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Visualizza Versione Completa : Un doveroso accenno al “serenissimo” Faccia



Der Wehrwolf
15-07-02, 17:34
Solo la Padania si è ricordata di lui
di Francesco Zuzic

Difficile essere di “diverso parere” della Lega a proposito del Faccia e della sua scalata al Campanile di San Marco che, ieri e a differenza di altri, questo giornale riportava in prima pagina. La Padania accennava doverosamente all’interminabile revisione di una sentenza che riguardava il leghista veneto. Ricordo: la sera della prima sentenza di una sua dura condanna ero ospite di Moncalvo in quel suo tradizionale e seguitissimo salottino televisivo a Treviso. «Cosa ne pensi, Francesco, della sentenza?», mi domandò a bruciapelo. Non ebbi dubbi per costruire una risposta. Ma per dire il proprio vero pensiero non si deve riflettere mai. È prodotto automatico del cervello. Bisogna dirlo e basta. Rifletterci su significa impoverirlo, modificarlo, qualche volta mummificarlo. Gli risposi più o meno così: «Lasciami far vibrare di sdegno per la prima volta le onde della tv usando una parola magica, quella stessa che uscì a Radio anch’io in una diretta della Rai intorno alle dieci del mattino di molti anni, fa». Si trattava di parola per nulla mummificata che apriva a linguaggi una volta vietati. E fu anche termine che risvegliò di colpo automobilisti con radio accesa che si recavano con qualche ritardo al lavoro quotidiano. Così sparai: «Czz (sta per fallo, ma non so fare scoop giornalistici, forse il mio solo fu quello televisivo di anni fa)... che sentenza!».
Moncalvo ne approfittò immediatamente e aggiunse: «Vuoi dire che sentenza del czz.?».
«No, questo lo dici tu, non io!». Di fatto non ho mai avuto una gran voglia di avere problemi con la Magistratura. Ne avevo sofferto solo uno nel 1953 quando, ventiduenne, avevo scritto su un giornaletto di Venezia che il sindaco era coinvolto in tangenti prese dalla ditta Trezza, appaltatrice dei dazi comunali. Le tangenti erano vere, il sindaco non c’entrava, ma il di lui fratello sembrò alla Magistratura di sì. Così per me tutto finì il primo giorno del processo in nulla. I Romolo e Remo di Tangentopoli credo ebbero qualche problema e io fui il dipietrino senza toga di allora. Però nessuno mi fece deputato. Avendo oggi settant’anni ho una sola prospettiva politica, quella di diventare presidente della Repubblica a ottanta... secondo italiche consuetudini fedeli all’immagine di un Catone il Censore ottantenne e senatore romano. Ma forse fu anche da quella antica scoperta nata dal caso che serpeggiò il marchingegno dell’Imposta sul Valore Aggiunto. Torniamo al Luigi Faccia. Non ho nessuna intenzione di paragonarlo a Luigi Manin, il patriota veneziano che scelse la guerra delle idee a quella dell’azione per liberarsi degli austriaci. Manin finì in prigione e alla fine liberato a forza dai veneziani. Anche se... beh, mi sembra che occupare il Campanile di Venezia fu un’idea più che un delitto. Certo, si trattò di un’idea molesta che ripropose tuttavia all’inconscio sociale i principi di una dignità locale, quella di una città che espresse anche una grande classe politica e amministrativa. A proposito, mi piace ricordare in queste pagine un paio di figure di podestà in camicia nera che copriva però cuori e cervelli locali e liberali. Parlo di quei due conti che amministrarono Venezia negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, il conte Marcello e il conte Foscari. Uno dei due era favorevole a fare il casinò a Venezia, l’altro contrario al gioco d’azzardo. Si accordarono: casinò sì, ma entrata vietata ai cittadini residenti a Venezia. Ricordo anche un terzo conte, post seconda guerra mondiale, Alvise Loredan: credo, alle origini contribuì a dare a Venezia le prime scosse leghiste. Certo, di un Faccia recentemente condotto di fronte all’autorevole Tribunale di Milano per discutere (per la terza volta!) se scarcerarlo o meno, abbiamo risaputo solo da la Padania. E a Milano vi fu tradotto con ferri ai polsi - così come si riporta - e cellulare, ossia vecchia carretta da rivoluzione francese. Sistema legale e corretto perché giustizia non perda una sua “faccia” forse leggermente austriacante, anche sofferente di una crisi di identità della quale è certamente consapevole e che cerca di riparare. Non mi è chiaro se, nella carrozzeria dove si discute come ripararla, serva più ministro, più Parlamento, più Csm o, forse più ancora, Freud. Ma torniamo a quel campanile, al suo angelo che, all’inizio del 1900 volò dal cielo alla terra di piazza San Marco. Fu campanile che i veneziani soprannominarono “el campanil onesto” perché seppe sedersi su se stesso. Non uccise, non ferì nessuno. Si salvò anche la marangona, la grande campana dei grandi momenti di Venezia, quella che batte il mezzogiorno, che suonava, o suona ancora, non so, un tocco immenso quando, seguendo il colpo di cannone sparato nell’isola di San Giorgio, dà il via al volo dei colombi. Perché Venezia ha una sua storia che, certo, è parte di quell’Italia dove c’è anche il Duomo di Monreale in Sicilia e dove nacque e visse Pirandello. Venezia è anche storia più vicina a me, che vi sono nato. In fondo lo stesso teologo Cardinale Tettamanzi sa che “più” prossimo da amare è quello che vive “più” vicino, pur non escludendo dal novero dei prossimi anche chi è “più” lontano. Pur certo essendogli molto prossimi i milanesi, gli sono... mi scusi Eminenza, più prossimi ancora i brianzoli. Di modo che nostri prossimi, seppure lontani, lo sono anche i cittadini di Kabul e del Caucaso e gli stessi cinesi della Grande Muraglia. Pensiero accettato dalla Lega? O solo mio diverso parere? E, se accettabile come amico di quel “delinquente ufficializzato” che si chiama Faccia, fatemi aggiungere che sono un “leghista pirandelliano”.
Se tuttavia il Faccia (che non era nemmeno in forza quella notte e il giorno dopo) e i suoi amici non avessero perso l’abitudine di occupare campanili, e volessero essere recidivi, mi si consenta di indicare loro qualche altra avventura la quale, seppur considerabile di tipo colonialista e antieuropeista, è tuttavia sospettabile di veneto “leghismo”.
Non mi dispiacerebbe rivedere la “banda” del Faccia occupare l’orologio della torre dei mori a Rovigno, in Istria. Per metterci lì il gonfalone di San Marco. Perché proprio nella piazza principale della cittadina oggi croata ma irreversibilmente veneta, c’è una copia della torre di Piazza San Marco di Venezia con un paio di mori i quali, anche a Rovigno, battono il loro martello sulla campana. Sono copia fedele di quei mori che convivono davanti al veneziano “campanil onesto”.
Suvvia, lettori miei, al direttore l’ardua contabilità. Credo che, nell’eventualità di un’occupazione della torre dell’orologio di Rovigno con il gonfalone di San Marco, all’italico applauso dei leghisti pirandelliani si unirebbe quello di una vecchia cittadina di Rovigno che proprio lì incontrai. Le chiesi l’indicazione di dov’era la stazione dei pullman. Mi indicò la strada e aggiunse: «La me scusi, se no parlo ben il talian, xe colpa de sti porsei che no i lo insegna più ne le scole».
Sì, Venezia è anche a Rovigno, a Cherso, a Lussino, a Fiume, su quella splendida costa spaccata qui e lì da una storia cattiva, infelice ma anche tiranna. Fu costa dove, a fianco degli americani, sperimentammo noi abbastanza di recente il “fare guerra”. Meglio sarebbe “fare guerra” al modo di Faccia. E se questa è apologia di reato che la mia cella a San Vittore sia dotata di computer per continuare a scrivere su questo giornale. Per quanto riguarda l’avvocato difensore l’ho già. È un mio caro amico che opera a Milano. Si chiama avvocato Di Palermo, ma è proprio nato a Rovigno.