Felix (POL)
23-07-02, 04:40
una guerra combattuta dall'Italia e di cui stranamente si parla poco. Eppure ebbe un'importanza storica notevolissima: forse la guerra italo-turca del 1911-12 fu la scintilla che diede fuoco alla miccia della prima guerra mondiale!
Pensiamo che il 1911 ben più che il 1914 fu un anno di sconvolgimenti politici su tutto il globo: rivoluzione in Cina, rivoluzione in Messico, guerra tra Italia e Turchia... La data segna indubbiamente una prima frattura decisiva nell'ordine geopolitico mondiale, che crollerà fragorosamente tre anni dopo...
Felix
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LA GUERRA NASCOSTA IN LIBIA
La guerra di Libia non è un capitolo molto frequentato della storia italiana. In parte ciò è dovuto alla collocazione del conflitto libico a ridosso della prima guerra mondiale, in parte alla poca attenzione che in Italia si dà alle questioni coloniali. Su questa marginalità storica ha anche contribuito la concorrenza di altri due fattori: è una guerra per i nostri militari poco gloriosa, di cui si sa poco e con pochi documenti – in alcuni
casi niente del tutto. Al contrario, in Libia è studiata con attenzione e passione ed è motivo di propaganda e di rivendicazioni politiche ed economiche nei confronti del nostro paese. Da questa poca attenzione storica scaturiscono curiosi effetti: sui libri di scuola si nota che gli italiani conquistarono la Libia nel 1912 e poi la riconquistarono nel 1921/1931. Due conquiste per un solo "scatolone di sabbia". Manca qualcosa.
La guerra di Libia
Tracciato questo poco confortante quadro generale, proviamo a venire alla guerra vera e propria. Da quello che si sa dai libri di testo, la guerra di Libia scoppiò in maniera improvvisa e inaspettata alla fine di settembre del 1911, sull’onda della propaganda dei nazionalisti, in base alle assicurazioni degli ambienti militari che si sarebbe trattato di una passeggiata bellica e infine come sfida ai socialisti –pacifisti, internazionalisti e antimilitaristi – che crescevano elettoralmente di anno in anno.
Dalla tragedia di Adua (1896) l’Italia aveva evitato accuratamente qualsiasi avventura coloniale e in genere aveva tenuto un profilo in politica estera estremamente basso. Nel 1912 sembrava che la situazione generale – interna e internazionale – le permettesse un’avventura da tutti considerata sicura. Al di là del Mediterraneo, nelle due provincie ottomane di Tripolitania e Cirenaica, c’erano pochi soldati turchi e una popolazione, assicuravano gli esperti del tempo, ansiosa di essere liberata.
L’Italia mise in campo tutto il suo potenziale militare e tecnologico nell’ inconfessata convinzione che sarebbe bastata questa esibizione di superiorità ad annichilire la volontà di resistenza turca. Poco importa che i primi a sbarcare a Tripoli siano stati i marinai dell’ammiraglio Cagni, perché le truppe erano in ritardo nei porti di Sicilia: i cannoni di una delle più potenti e moderne flotte del mondo garantivano una superiorità decisiva. Le città della costa caddero una ad una, con poca o nessuna resistenza e gli italiani poterono esibire i loro avveniristici ritrovati: mitragliatrici e cannoni a tiro rapido, fotocellule e persino gli aeroplani, alla loro prima apparizione mondiale in veste bellica.
I giornalisti nazionalisti, dalla prima linea, scrivevano a casa relazioni roboanti sulla "grande proletaria" che si era finalmente mossa e sulle strade dell’impero romano che venivano nuovamente percorse da novelle legioni italiane. Una delle caratteristiche importanti di questo conflitto, infatti, fu il suo ruolo di antesignano delle guerre mediatiche d’oggi.
L’euforia durò giusto un mese: il 23 ottobre i turchi attaccarono il perimetro difensivo di Tripoli presso Sciara Sciat, mentre alle spalle delle linee italiane insorgeva la popolazione araba. Per una giornata si profilò il disastro militare che verso sera venne scongiurato, anche se a prezzo di molte perdite e di un notevole arretramento delle linee. Sciara Sciat – il cui anniversario è festa nazionale a Tripoli ed è visto come il momento di nascita di una identità nazionale libica – fu un brutto episodio: gli arabi si lasciarono andare a sevizie e torture su prigionieri e feriti, gli italiani risposero con impiccagioni e fucilazioni di massa, con la deportazione dei capi e dei sospetti – un numero ancora oggi imprecisato morì nei campi di prigionia delle Tremiti e delle Lipari – e con ogni sorta di angherie sulla popolazione.
Gli italiani nelle città, i turchi nel deserto
In Italia si andò ad affermare la figura dell’arabo infido e traditore, maestro d’agguati e di trappole, che poteva essere affrontato e domato solo con il pugno di ferro. In Africa invece si instaurò una non-guerra che vedeva gli italiani – sempre più numerosi e armati – chiusi nelle città costiere di Tripoli, Bengasi, Derna, Homs e poche altre, e gli arabo-turchi nel deserto ad attaccare chiunque mettesse il naso fuori dalle fortificazioni. Gli italiani di tanto in tanto tentavano una sortita e il nemico si dileguava all’interno, dove gli italiani erano del tutto impreparati a combattere, previo tornare subito sulle posizioni iniziali non appena la sortita rientrava nelle linee.
La situazione non cambiò sostanzialmente quando i comandi decisero di inviare in Libia gli ascari eritrei: è vero che queste ottime truppe africane dimostrarono una migliore adattabilità alle condizioni climatiche, ma non riuscirono a spostare l’ago della bilancia. Gli arabo turchi dominavano l’interno, gli italiani erano padroni della costa.
La guerra così prese a languire: i giornalisti se ne andarono, i giornali la dimenticarono e il governo sperò inutilmente che tutti se ne scordassero. Invece i socialisti gongolavano e non perdevano occasione per mettere il dito nella piaga della cronica inanità militare italiana.
La diplomazia europea continuò ad assistere preoccupata a un conflitto aperto che rischiava di far esplodere quella sorta di caldaia bollente che era l’impero ottomano, il Grande Malato d’Europa. La situazione si aggravò ulteriormente quando i comandi italiani, incapaci di risolvere il conflitto sul campo africano, e pressati dalle esigenze politiche, decisero di alzare il livello dello scontro bombardando dapprima Beirut, poi occupando le isole egee del Dodecanneso e infine arrivando a bombardare la capitale ottomana, Costantinopoli.
Queste azioni fecero immediatamente esplodere i rapporti da sempre turbolenti nei Balcani e furono all’origine della prima guerra balcanica a cui ne seguì una seconda ed entrambe rappresentarono l’origine lontana dell’attentato di Sarajevo e dello scoppio della Grande Guerra.
vedi il testo completo in: http://www.storiainrete.com/
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Pensiamo che il 1911 ben più che il 1914 fu un anno di sconvolgimenti politici su tutto il globo: rivoluzione in Cina, rivoluzione in Messico, guerra tra Italia e Turchia... La data segna indubbiamente una prima frattura decisiva nell'ordine geopolitico mondiale, che crollerà fragorosamente tre anni dopo...
Felix
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LA GUERRA NASCOSTA IN LIBIA
La guerra di Libia non è un capitolo molto frequentato della storia italiana. In parte ciò è dovuto alla collocazione del conflitto libico a ridosso della prima guerra mondiale, in parte alla poca attenzione che in Italia si dà alle questioni coloniali. Su questa marginalità storica ha anche contribuito la concorrenza di altri due fattori: è una guerra per i nostri militari poco gloriosa, di cui si sa poco e con pochi documenti – in alcuni
casi niente del tutto. Al contrario, in Libia è studiata con attenzione e passione ed è motivo di propaganda e di rivendicazioni politiche ed economiche nei confronti del nostro paese. Da questa poca attenzione storica scaturiscono curiosi effetti: sui libri di scuola si nota che gli italiani conquistarono la Libia nel 1912 e poi la riconquistarono nel 1921/1931. Due conquiste per un solo "scatolone di sabbia". Manca qualcosa.
La guerra di Libia
Tracciato questo poco confortante quadro generale, proviamo a venire alla guerra vera e propria. Da quello che si sa dai libri di testo, la guerra di Libia scoppiò in maniera improvvisa e inaspettata alla fine di settembre del 1911, sull’onda della propaganda dei nazionalisti, in base alle assicurazioni degli ambienti militari che si sarebbe trattato di una passeggiata bellica e infine come sfida ai socialisti –pacifisti, internazionalisti e antimilitaristi – che crescevano elettoralmente di anno in anno.
Dalla tragedia di Adua (1896) l’Italia aveva evitato accuratamente qualsiasi avventura coloniale e in genere aveva tenuto un profilo in politica estera estremamente basso. Nel 1912 sembrava che la situazione generale – interna e internazionale – le permettesse un’avventura da tutti considerata sicura. Al di là del Mediterraneo, nelle due provincie ottomane di Tripolitania e Cirenaica, c’erano pochi soldati turchi e una popolazione, assicuravano gli esperti del tempo, ansiosa di essere liberata.
L’Italia mise in campo tutto il suo potenziale militare e tecnologico nell’ inconfessata convinzione che sarebbe bastata questa esibizione di superiorità ad annichilire la volontà di resistenza turca. Poco importa che i primi a sbarcare a Tripoli siano stati i marinai dell’ammiraglio Cagni, perché le truppe erano in ritardo nei porti di Sicilia: i cannoni di una delle più potenti e moderne flotte del mondo garantivano una superiorità decisiva. Le città della costa caddero una ad una, con poca o nessuna resistenza e gli italiani poterono esibire i loro avveniristici ritrovati: mitragliatrici e cannoni a tiro rapido, fotocellule e persino gli aeroplani, alla loro prima apparizione mondiale in veste bellica.
I giornalisti nazionalisti, dalla prima linea, scrivevano a casa relazioni roboanti sulla "grande proletaria" che si era finalmente mossa e sulle strade dell’impero romano che venivano nuovamente percorse da novelle legioni italiane. Una delle caratteristiche importanti di questo conflitto, infatti, fu il suo ruolo di antesignano delle guerre mediatiche d’oggi.
L’euforia durò giusto un mese: il 23 ottobre i turchi attaccarono il perimetro difensivo di Tripoli presso Sciara Sciat, mentre alle spalle delle linee italiane insorgeva la popolazione araba. Per una giornata si profilò il disastro militare che verso sera venne scongiurato, anche se a prezzo di molte perdite e di un notevole arretramento delle linee. Sciara Sciat – il cui anniversario è festa nazionale a Tripoli ed è visto come il momento di nascita di una identità nazionale libica – fu un brutto episodio: gli arabi si lasciarono andare a sevizie e torture su prigionieri e feriti, gli italiani risposero con impiccagioni e fucilazioni di massa, con la deportazione dei capi e dei sospetti – un numero ancora oggi imprecisato morì nei campi di prigionia delle Tremiti e delle Lipari – e con ogni sorta di angherie sulla popolazione.
Gli italiani nelle città, i turchi nel deserto
In Italia si andò ad affermare la figura dell’arabo infido e traditore, maestro d’agguati e di trappole, che poteva essere affrontato e domato solo con il pugno di ferro. In Africa invece si instaurò una non-guerra che vedeva gli italiani – sempre più numerosi e armati – chiusi nelle città costiere di Tripoli, Bengasi, Derna, Homs e poche altre, e gli arabo-turchi nel deserto ad attaccare chiunque mettesse il naso fuori dalle fortificazioni. Gli italiani di tanto in tanto tentavano una sortita e il nemico si dileguava all’interno, dove gli italiani erano del tutto impreparati a combattere, previo tornare subito sulle posizioni iniziali non appena la sortita rientrava nelle linee.
La situazione non cambiò sostanzialmente quando i comandi decisero di inviare in Libia gli ascari eritrei: è vero che queste ottime truppe africane dimostrarono una migliore adattabilità alle condizioni climatiche, ma non riuscirono a spostare l’ago della bilancia. Gli arabo turchi dominavano l’interno, gli italiani erano padroni della costa.
La guerra così prese a languire: i giornalisti se ne andarono, i giornali la dimenticarono e il governo sperò inutilmente che tutti se ne scordassero. Invece i socialisti gongolavano e non perdevano occasione per mettere il dito nella piaga della cronica inanità militare italiana.
La diplomazia europea continuò ad assistere preoccupata a un conflitto aperto che rischiava di far esplodere quella sorta di caldaia bollente che era l’impero ottomano, il Grande Malato d’Europa. La situazione si aggravò ulteriormente quando i comandi italiani, incapaci di risolvere il conflitto sul campo africano, e pressati dalle esigenze politiche, decisero di alzare il livello dello scontro bombardando dapprima Beirut, poi occupando le isole egee del Dodecanneso e infine arrivando a bombardare la capitale ottomana, Costantinopoli.
Queste azioni fecero immediatamente esplodere i rapporti da sempre turbolenti nei Balcani e furono all’origine della prima guerra balcanica a cui ne seguì una seconda ed entrambe rappresentarono l’origine lontana dell’attentato di Sarajevo e dello scoppio della Grande Guerra.
vedi il testo completo in: http://www.storiainrete.com/
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