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cm814
27-07-02, 13:51
Ancora censure..... ancora. La musica può veicolare solo alcune idee politiche, non altre.... solo alcuni valori, non altri.... solo alcuni drammi (se tali sono), non altri.....

dal sito di AVVENIRE (http://www.avvenire.it/)


CASO SPRINGSTEEN

SE IL ROCK NON TACE DIO, I CRITICI INVECE

Gigio Rancilio

Acerto mondo che ruota attorno al rock Dio deve fare una strana impressione. Nonostante l’epoca della «musica rivoluzionaria», tutta fumi e ossessioni sia superata da un pezzo, c’è ancora chi non riesce a farsene una ragione. Passi che un artista tratti nelle sue canzoni temi prossimi alla dimensione – come dire? – spirituale, purché però sia molto soffice e «new age». Concesso che citi Budda o Allah, e racconti magari di Scientology. Ma se si azzarda a nominare addirittura Dio o a stillare una sua preghiera in musica, allora scattano l’ironia o – più sottilmente – la censura. Ne sa qualcosa Bob Dylan, che già all’inizio degli anni Ottanta fu sbeffeggiato dai critici nostrani per avere dato alle stampe album come «Saved» e «Shot of Love», nei quali raccontava senza giri di parole (lui, di tradizione ebraica) la sua adesione al cristianesimo. I più gentili vi videro «una sbornia». Come se si trattasse di una stravaganza totale, anzi dell’eccesso di un ubriaco. Poi Dylan tornò all’«ovile», e non si occupò più di religione. E i critici tornarono a incensarlo. Esercizio abbastanza facile, considerato che quegli album non erano dei capolavori. Stavolta, però, le cose sono più complicate. Perché a invocare Dio, per più volte, è Bruce Springsteen. Cioè l’artista del rock americano più amato in Italia. E lo fa in un album (il nuovo, intenso «The rising») incentrato sul mondo dopo l’11 settembre. L’esempio più eclatante si trova nella canzone che chiude il disco, intitolata «My city of ruins» (La mia città di rovine), dove l’idolo rock canta: «Con queste mani, Signore, prego di avere la forza/ Con queste mani, Signore, prego di avere la fede/ Signore preghiamo per i perduti/ Signore preghiamo per questo mondo». Parole impossibili da travisare. E che i giornali italiani, e persino un tg, recensendo ieri il disco, hanno stranamente omesso. Così come non si sono accorti di tutte le altre volte che Springsteen parla di Dio, di preghiera e di fede. Lui che in quasi trent’anni di musica (è in giro dal ’73) non l’aveva mai fatto, al punto da far credere a molti che, pur essendo nato in una famiglia cattolica di origini italiane, fosse agnostico. Comunque la si pensi al riguardo, era – ed è – una notizia. Che però è stata cancellata. Solo sul «Corriere» qualche riga. Una scelta mediatica così compatta può essere frutto del caso? E se non lo è, cosa l’ha scatenata? Un certo qual fastidio? Quell’insofferenza di pelle che si produce al contatto con situazioni inattese quanto scomode? Meglio ignorare la notizia, dunque, che scriverne: pur sapendo quanto è amato Springsteen in Italia, e pur intuendo forse lo spessore di questo disco. Il massimo dell’acribia l’ha toccato chi s’è concentrato sui riferimenti a Budda e Allah presenti (uno per parte) nell’album, o anche solo sulla canzone «Paradise», dove l’artista si mette nei panni di un giovane kamikaze. Un po’ poco, ammettiamolo come sforzo professionale. Qualcuno è arrivato a scrivere che «l’unica religione del disco è il rock». Insomma un depistaggio in piena regola, un esorcismo alla rovescia. Come se quelle invocazioni di Springsteen fossero dettagli senza importanza. Dispiace. Ancora una volta si è scelto la strada più semplice. Senza tener conto però che il silenzio talora provoca un urto maggiore di un torrente di parole.



Carlo Magno Imperatore.