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Visualizza Versione Completa : Giovanni XXIII, un "papa" buono ma per i nemici della Chiesa



Guelfo Nero
27-07-02, 20:18
CARI AMICI,

HO RITROVATO FORTUNOSAMENTE IN RETE E RIPORTO DAL NUMERO (credo) DI MARZO DEL 1975 DELLA "RIVISTA DI ASCETICA" QUESTO ARTICOLO DEL DOMENICANO PADRE INNOCENZO COLOSIO CHE RECENSISCE UN FATUO LIBRO DELL'IPERMODERNISTA MOLINARI SU GIOVANNI XXIII, IL "PAPA BUONO".
PADRE COLOSIO CON CORAGGIO TUTTO EVANGELICO DEMOLISCE IL MITO DEL "PAPA BUONO", CONSIDERANDO SOLO L'ASPETTO DELLA VENERABILITà E DELLA CANONIZZABILITà. ALLA LUCE DEI MOLTI FATTI EMERSI IN QUEST'ULTIMO VENTICINQUENNIO è ORMAI QUESTIONE COMUNEMENTE AMMESSA METTERE IN DUBBIO LA "CATTOLICITà" DI GIOVANNI XXIII. è UN ARTICOLO UN POCO DATATO MA RICCO DI FRESCHEZZA E FRANCHEZZA DOMENICANA: SI LEGGE CON GUSTO, SE NE APPREZZA LA VASTA DOTTRINA. OVVIAMENTE CONSIDERA SOLO UN ASPETTO DELLA SPAVENTOSA "QUESTIONE RONCALLI" CHE SPERIAMO UN GIORNO POSSA ESSERE IL "PROCESSO RONCALLI".

UN CARO SALUTO A TUTTI


GUELFO NERO


DISCUSSIONI SULLA "BONTà" DEL PAPA GIOVANNI XXIII

Franco Molinari ha recentemente pubblicato un libro dal titolo giornalisticamente troppo sensazionale, e anche, diciamo la verità, un po ingannatore: "I peccati di Papa Giovanni" (Torino, Marietti 1975, pp. 192, L. 2.500).
In realtà dei presunti o reali peccati del Roncalli si parla solo nel capitolo IX, che però tra gli undici del libro è il più lungo. Come nel precedente volume "I Tabù della storia della Chiesa moderna", Molinari prende lo spunto da opere recenti per ridimensionare santi ed eretici, papi, vescovi e movimenti dottrinali. Francamente il suo metodo storiografico non ci piace molto, diffidenti come siamo per le scoperte ribaltatrici in questo settore. Non è detto che l'ultima opera su Lutero o Calvino o chiunque altro, perché è l'ultima, sia anche la più vera; specialmente, nei periodi, come il nostro, di revisioni storiche dominate dalla moda e da eccessive preoccupazioni pratiche.

La nostra accusa.

Ad ogni modo qui non intendo esaminare criticamente il libro del Moli-nari, ciò che forse farò in altra sede; ma solo prendere lo spunto per dire, secondo quello che pare a me, quale sia il vero peccato, il peccato piu grosso del Papa Giovanni, che sarebbe questo: per
far piacere a tutti non manifestò e non difese sempre ufficientemente la verità e la disciplina ecclesiastica. Dei tre autori a mia conoscenza che si sono interessati recentemente a delineare le ombre del sole giovanneo e cioè il già citato Molinari; Raffaello Baldini sulla rivista Panorama del 22-5-1975; e Carlo Falconi nel suo recente libro "I Papi sul divano. L'autoanalisi dei pontefici testimoni di se stessi" (Milano 1975) - nessuno si è azzardato a pronunziare una simile grave accusa. Il compito perciò che mi assumo è nuovo e delicatissimo e lo affronto con grande trepidazione, molto più che mi sembra quasi di compiere un atto di ingratitudine verso una cara persona che aveva per me stima e simpatia (cfr. RONCALLI A., Lettere ai Vescovi di Bergamo, Bergamo 1973, p. 133). Ma, essendo convinto che la verità, o ciò che onestamente crediamo tale, abbia il primato su tutto, a costo di sembrare presuntuoso, irriverente e urtante, voglio esprimere candidamente il mio pensiero. Tanti hanno sfruttato la bontà e la benevolenza di Papa Roncalli quando era vivo; io invece faccio affidamento sulla sua indulgenza ora che è in Paradiso [speriamolo ma non ce n'è alcuna certezza]; e siccome lui amava la storia e sa che essa è impietosa e crudele, mi perdonerà questa requisitoria, nata dalla passione per lo stato caotico attuale della Chiesa, di cui mi pare che in parte sia responsabile anche lui. Un cardinale, dopo la sua morte, disse che ci sarebbero voluti cinquant'anni [o forse un giorno] per riparare i danni del suo pontificato. La frase fu diplomaticamente smentita. Pro-nunziata o meno, io credo che esprima qualcosa di vero. Naturalmente ciò che segue non implica la responsabilità della direzione della rivista. Si tratta di riflessioni e giudizi personali di chi scrive: giudizi del resto non influenzati dalle recenti pubblicazioni; giacché, seppure in forma privata, furono implicitamente espressi subito quando fu iniziata la campagna per la canonizzazione del « papa buono ». Infatti, sollecitato a firmare la petizione per la medesima, chi scrive si rifiutò di farlo, suscitando così l'ironica disapprovazione dei promotori. Il criterio che mi spinse a tale sgradevole rifiuto fu proprio quello diametralmente opposto alla norma fondamentale dell'agire del nostro grande personaggio, recentemente ricordata dallo stesso Postulatore, su L'Osservatore Romano del 4 Luglio: "Non voleva dispiacere a nessuno, e per non cadere proprio nell'errore volontario di dispiacere ad alcuno preferiva apparire anche troppo semplice", e debole, aggiungerò io. Ora a questo atteggiamento di fondo, praticato non solo come persona privata ma anche come occupante posti di suprema responsabilità, brutalmente contrappongo la prassi e la norma di S. Paolo: "Si hominibus placerem, Christi servus non essem (GaI 1, 10)." Non si può infatti [esercitare] la bonarietà a zutti i costi. Ma giacchè mi sono assunto l'ingrato compito di fare l'avvocato del diavolo, cercherò di procedere in maniera più... scientifica, ricordando la tesi classica apparentemente paradossale, che, cioè, le virtù in stato perfetto sono necessariamente connesse, cosicchè se ne manca anche una sola, nessuna è perfetta e non si può parlare di santità. Il mio venerato maestro P. Reginaldo Garrigou-Lagrange, sotto la cui direzione ho redatto appunto la tesi di laurea sul, tema della connessione della virtù, insisteva - in una lezione tenuta ai postulatori dei vari ordini - nel dire che nei processi di canonizzazione bisogna esaminare a fondo, per giudicare se nel soggetto le virtù hanno raggiunto il grado di perfezione, la loro vitale coesione, il comune sinergismo di tutte, cosicché se una non è perfetta, nessuna di esse sarà perfetta. Perciò se un uomo è caritevole al sommo, ma manca di coraggio morale, della virtù della fortezza, o della lungimirante prudenza, costui sarà un buon uomo, un ottimo cristiano ma non certamente un santo nel senso pieno del termine. In detta lezione, tenuta il 12 dicembre 1945 e che io credo tuttora medita, il famoso teologo così sviluppava il suo pensiero. La connessione delle virtù, specialmente di quelle disparate e apparentemente contrastanti, è un ottimo criterio per giudicare del grado eroico delle vere virtù e quindi della santità di una persona. Quando l'intensità di una virtù deriva, non dallo sforzo umano coadiuvato dalla grazia, ma dalla complessione naturale, essendo questa determinata "ad unum ", non si avrà contemporaneamente e in grado eminente la virtù che in un certo senso le è opposta. Chi di natura sua è portato alla fortezza non sarà portato anche per temperamento alla dolcezza, o mitezza, e viceversa. Quindi se riscontriamo dette virtù "disparate" in una medesima anima, dovremo ammettere in essa uno speciale intervento di Dio e della sua grazia; poiché Dio solo nella sua assoluta semplicità possiede le perfezioni « disparate »: possiede, per es., in modo eccellentissimo e in una misteriosa unità, l'infinita giustizia insieme con l'infinita misericordia; e perciò può unirle nell'anima del giusto. Se invece le virtù disparate, come dolcezza e fortezza, non si presentano fuse e unite, ma isolate, allora non abbiamo il trionfo della grazia e la vera santità, bensì il trionfo della natura, ossia di una sola virtù, senza il contrappeso di quella apparentemente opposta. Non è qui il caso di fare una sottile e lunga disquisizione per dimostrare come una virtù non possa essere veramente perfetta se non è accompagnata da tutte le altre parimenti perfette; rimando senz'altro il lettore alla questione 65 della 1-11 della Somma di S.Tommaso; del quale trattato voglio però citare un luminoso testo che fa proprio al caso nostro:

« Naturalis inclinatio ad bonum virtutis est quaedam inchoatio virtutis: non autem est virtus perfecta. Huismodi enim inclinatio
quanto est fortior tanto potest esse periculosior, nisi recta rado
adiungatur, per quam fiat recta electio eorum quae conveniunt ad
debitum finem, sicut equus currens, si sit caecus, tanto fortius im-pingit et laeditur, quam fortius currit » (I-lI, q. 38, a. 4 ad 3)".

La tanto decantata bontà naturale o bonarietà del Roncalli fu sempre
sorretta, accompagnata e corretta da tutte le altre virtù, specialmente dalla vera prudenza e dalla vera fortezza? Questo è il vero problema teologico di fondo per giudicare della santità di papa Giovanni. Egli, volendo a tutti i costi essere benevolo, simpatico, gradito, non ha forse instaurato un metodo di governo che ha snervato la disciplina ecclesiastica, per cui, insieme a molte altre cause, ci troviamo ora immersi in un immane caos ideologico, morale, liturgico, sociale? Per me la risposta è positiva, e quindi l'accusa è gravissima: a me quindi l'onere della prova. Non si tratta qui di rivelare enormi o segrete carenze nella conduzione della Chiesa da parte sua, ma semplicemente di elencare alcuni fatti sintomatici, che esprimono uno stile di governo, il quale partendo da così alta sede fatalmente a circoli concentrici si diffuse poi in tutto l'orbe cattolico. Ecco alcuni di questi episodi emblematici, significativi di uno stile, di un metodo, di un sistema, sui quali non so se hanno sufficientemente riflettuto i suoi panegiristi ad oltranza. Cominciamo con un episodio assai modesto in se stesso, ma molto espressivo della personalità del protagonista. Il 12 Febbraio 1962 fu emanata la nota Costituzione Apostolica "Veterum sapientia" che nelle sue norme contiene una legge severa: ai
professori di teologia che pian piano non si adattano ad insegnare in lingua latina sia tolta la cattedra. Un vescovo tedesco, abituato da buon teutonico a prendere le cose sempre molto sul serio,
turbato, angosciato, si proietta a Roma ed espone a papa Giovanni il suo grave problema: "Io devo chiudere la mia scuola di teologia perché i miei professori non possono e non intendono sottomettersi alla "Veterum sapientia". Il papa lo congeda con un ampio
sorriso, accompagnato da benevoli parole: "Ma non si preoccupi tanto; tiri via, lasci pure insegnare la teologia in tedesco". Chi mi ha raccontato il fatto ora è morto: ma era persona degna di fede e molto
ben informata sulle cose romane. L'episodio potrà sembrare di poco conto, ma secondo me è rivelatore di una mentalità, di un modo di agire poco coerente e fermo. Il seguente episodio è invece di dominio comune ed è molto più grave come indice di debolezza nel governo della Chiesa. L'episcopato olandese molto tempestivamente volle preparare il suo popolo al Concilio con una lettera cumulativa, tradotta presto in varie lingue, tra cui la francese e l'italiana. In essa vi era già adombrato, del resto abbastanza chiaramente, il principio che la validità delle decisioni del futuro concilio sarebbe stata condizionata dalla loro recezione o meno da parte dei
fedeli. A Roma subito si fiutò il sottointeso ma deciso democraticismo che traspariva da quelle posizioni, e per ordine superiore la lettera fu ritirata dal commercio. Alfrink, primate d'Olanda, corse subito da Giovanni XXIII, per mostrargli quale disdoro gettava sull'episcopato di una intera nazione un simile provvedimento disciplinare. Il papa Giovanni, per non dispiacere agli Olandesi, lo annullò, iniziando così quella serie di cedimenti, che poi in futuro culminarono, sotto il suo successore, nella non-condanna del famigerato Catechismo Olandese. Ovviamente, data la norma fohdamentale della vita privata e pubblica del papa di non dare mai dispiaceri a nessuno, egli era radicalmente allergico alle condanne, specialmente alle condanne solenni e formali.
In questo non fu certamente fedele agli insegnamenti del suo maestro, Mons. Radini-Tedeschi, vescovo di Bergamo il quale in una delle sue prime pastorali così formulava il suo compito fondamentale:
" Il vescovo deve con costanza e coraggio anatematizzare ogni errore, impugnando i tanti scismi che oggi più che mai si diffondono mediante una licenza che dicono a torto [libertà].
[Deve] affrontare impavido e mansueto, forte e soave, con la severità della censura e con la carità del padre, l'ira dei contraddittori e degli empi e sostenere l'impeto del demonio» (citato dal Molinari, op. cit., p. 160). Una pagina "agiografica compromettente". Non sembri un'inutile divagazione il fermarsi a lumeggiare un po' ampiamente con le parole stesse del Roncalli nella sua biografia di Mons. Radini Tedeschi (ed. III, Roma, 1963) lo stile santamente energico di questo prelato, in cui il futuro Papa ritrae dal vivo l'immagine del buon pastore. Le seguenti numerose citazioni elogiative ci permetteranno di precisare un esame di coscienza per il biografo (Le sottolineature sono mie): « La nota personale della sua natura era una rettitudine superiore ad ogni discussione e ad ogni elogio, un amore assoluto del bene. Di là la sua intrepidezza, il suo ardore nella lotta, la sua attrazione, così potrebbe dirsi, verso il pericolo, e la sua potente attività. Talora si notavano nella sua parola, in pubblico e in privato, nei suoi scritti, una cotal veemenza di linguaggio) alcune espressioni forti e sdegnose. Ma non mai che egli eccedesse la misura, o che tutto ciò fosse effetto di vanità, di rancore o d'altro. Il suo santo sdegno attingeva le sue ispirazioni dall'alto, sgorgava da emozioni vere e da un sentimento puro di zelo per la giustizia, per il bene, per il regno di Dio.
Queste doti naturali dell'uomo, la grazia del Signore le aveva elevate e rese più venerabili e feconde nel prete e nel vescovo (p. 106). Governo forte e vigoroso anzitutto: vero riflesso del suo carattere e della sua indole personale. « Che un vescovo sia saggio - così cominciava il suo discorso l'illustre ed eminentissimo
Cardinal Pie - è il meno che si possa domandare: è una necesità che egli sia nel numero dei dotti. Ma né la saggezza, né la scienza gli bastano, se ciascuna di queste qualità non ha il suo complemento nella fortezza. Sono necessarie al vescovo tutte le virtù del
cristiano, tutte le virtù del prete. Ma se voi mi chiedete quale di queste sia la virtù propria del nostro stato, il segno distintivo della nostra professione, la risposta sarà facile.
L'ordine è un sacramento uno e molteplice, che conferisce sino dagli inizi a coloro che ne partecipano, una certa misura di fortezza, una certa energia di resistenza. . . L'episcopato che è la pienezza suprema dell'ordine, è l'apogeo della forza spirituale. . . È del vescovo che devesi dire che egli non è abbastanza saggio se non è egualmente forte; né è convenientemente dotto, se non è nello stesso tempo vigoroso e risoluto: Vir sapiens, fortis est: et vir doctus, robustus et validus (Prov. XXIV, 5) (p. 107). In questa dottrina sta tutto lo spirito di governo di Mons. Radini. Quando fu pubblicato il nuovo breviario, secondo le recenti riforme del S.P. Pio X, l'occhio suo corse subito alla invocazione che la Chiesa mette sulle labbra dei sacerdoti per il loro vescovo; rilEvando in essa con una certa compiacenza il suggello liturgico di ciò che era prima norma della sua condotta - Oremus et pro antistite nostro - Stet et pascat in fortitudine tua, Domine, in sublimitate nominis tui (p. 107).
Di un suo lontano antecessore si racconta, che non sapesse mai dir di no ad alcuno: di un altro invece che dicesse sempre di no a tutti: e di un terzo che non sapesse mai cosa rispondere, incerto sempre fra il sì e il no. Sulle labbra di Mons. Radini c'era il sì e il no, a seconda dei casi, sempre pensato, sempre sincero e deciso: né il sì era espressione di debolezza, né il no di ostinazione capricciosa o
di partito preso contro alcuno. Egli era d'avviso che il più delle volte contribuisce assai meglio al buon ordine generale e al principio il mantenersi ferme nelle disposizioni date a suo
tempo, purché buone e giudiziose, che non il mutarle con facilità, preferendo ad esse disposizioni migliori, ma giunte troppo tardi.
Questo modo di procedere gli era abituale nelle singole questioni riguardanti particolarmente uomini e cose, nei vari ordinamenti e nelle riforme, come nelle opere grandi o modeste da lui compiute.
C'era nell'anima sua, nella sua natura, alcunché dello spirito militare: un amore e un trasporto alla lotta per il bene, per la Chiesa, per il Papa, per i diritti del popolo cristiano.
Non gli piaceva la guerra a colpi di spillo: quando la si dovesse fare, la preferiva a colpi di cannone: e il suo gusto erano le battaglie da cavaliere perfetto, cioè a cielo aperto e in piena campagna. Ciò appariva evidente dal tono di parecchi suoi discorsi,
dalle lettere, dagli scritti brevi o voluminosi pubblicati per la difesa dei sacri diritti della coscienza cattolica.
Ma in rapporfo al buon governo della sua Chiesa, questo spirito militare era facile scorgerlo in quel suo vedere e cercare in tutto e rigidamente la disciplina, anche nella più piccola cosa, nel fornire egli per primo nobile e forte esempio, nell'esigerla in ciascuno dei suoi subordinati ad ogni costo, nell'affrontare con serenità critiche,
noie e contrasti, perché ogni cosa fosse compiuta piacesse o no, in
conformità alle disposizioni tassative della Chiesa, nelle cerimonie,
nei sacramenti, nelle varie esplicazioni della vita ecclesiastica, in tutto. Pareva talora che avrebbe potuto lasciar correre su taluni abusi di poco rilievo, consacrati dalla tradizione che si prende facilmente dagli amanti del quieto vivere come argomento autorevole a giustificare tante cose. Ma egli non era un uomo da prestarvisi. Pieno di rispetto per le tradizioni locali che avesse trovato buone, poco gli importava spezzare quelle che erano contrarie a precise disposizioni ecclesiastiche, "poiché - ripeteva spesso- se v'era una diocesi ove tutte le cose possono e debbono essere fatte in perfetta regola, ed in esempio alle altre diocesi, questa è Bergamo". E procedeva innanzi al compimento del suo dovere. Sapeva che in tutte le cose l'eccesso deve essere evitato: sapeva anche, nella sua delicatezza, tener conto dei dovuti riguardi a persone e ad istituzioni. Ma era insieme convinto che in un governo il vigore del comando trae con sé mali minori che non la debolezza. Per suo conto aveva un sacro orrore per la popolarità ottenuta a prezzo di
debolezze e di fiacche compiacenze. " I poteri deboli ripeteva spesso non tardano a cadere in disistima, nell'abbandono e nel
disprezzo: i forti invece si impongòno al rispetto; e sul rispetto fioriscono a suo tempo l'ammirazione e l'amore » (pp. 109-110).
L'ammirazione si accoppiò all'amore: poiché non vi è nulla di così tcccante come la bontà disposata alla forza. E Mons. Radini, questo uomo così robusto e così energico, era buono, molto buono. A lui si poteva ben applicare in tutta la sua ampiezza il motto scritturale: De forti egressa est dulcedo (p. 111).Certo in materia di principi e di idee egli fu e sempre rimase un intransigente, come lo sanno essere tutte le anime di superiore levattira per cui valgono e contano qualche cosa i principii nella vita. Ma la sua era di quelle intransigente che si fanno ammirare per la loro nobile schiettezza, e che, procurando onore alle grandi cause sostenute, riescono spesso a disarmare le opposizioni, non di quelle che le inaspriscono e le aggravano. Per la purezza di una idea avrebbe sacrificata la vita; e di fronte ad atti, anche di piccola importanza, che compromettessero sia pure leggermente il principio, egli era irremovibile; né sarebbe stato facile coglierlo in fallo, pronto com'era a vedere subito la distinzione netta fra le idee e le cose (p. 112). Eppure nell'ordine dei rapporti personali, e salvi i principii, pochi uomini di Chiesa
seppero essere di fatto così discreti e concilianti come lui (p. 113).

Non sembri un fuor d'opera questa lunga citazione; giacché essa ci fa
toccare con mano come il giovane Roncalli, alla scuola del suo Vescovo, avesse idee chiarissime sul dovere infrangibile di unire la dolcezza alla fortezza, dando a quest'ultima il primato in caso di
necessità. Credo però che nessun onesto panegirista potrebbe applicare a lui ciò che egli scrisse del Radini-Tedeschi.
Altri atti di debolezza. Ecco un esempio della sua debolezza. Fin da quando era nunzio a Parigi non fece misteri circa la sua cordiale disapprovazione delle dottrine radicalmente evoluzioniste del famoso gesuita Teilliard de Chardin. Ma, eletto papa e sollecitato da più parti a mettere all'indice le sue opere, altra abbondante fonte dell'odierna dilagante confusione dottrinale - se ne schermì (limitandosi ad approvare il Monito del 5. Uffizio del 30 Giugno 1962, grave nel contenuto ma praticamente inefficace) con la storica frase: Io sono nato per benedire e non per condannare!
Ma Gesù, San Paolo, S. Giovanni Evangelista, Molti grandi e santi Papi non si limitarono a benedire - compito troppo facile e simpatico - ma esercitarono anche il doveroso e gravoso ufficio di condannare e anatematizzare! "La frusta non si addiceva alla mano del Roncalli", dice Molinari a p. 149 ma pure anche Gesù usò le funi.. E così si è giunti a celebrare un importante Concilio Ecumenico, che per la prima volta nella stOria della Chiesa non ha osato condannare apertamente il più grande errore del momento. E si trattava del comunismo ateo. Certo la storia, i secoli futuri non perdoneranno mai al Vaticano II di non aver stigmatizzato nella maniera più perentoria e plastica il comunismo ateo, il marxismo, che costituisce il più poderoso nemico del cristianesimo nel secolo XX. , Perfino il termine non figura mai nel testo vero e proprio del Concilio! (Chi vuole conoscere le manovre per cui contro la volontà di molti vescovi si è giunti a non nominare neppure il comunismo ateo negli Atti legga R.
'WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre - Le Concil inconnu, Parigi 1973, pp. 269-274). Si dirà: Ma quando veniva votata la "Gaudium et Spes", Giovanni era già morto. Verissimo; ma fu lui che nel Discorso programmatico di apertura annunziò con la massima solennità e chiarezza dì voler usare la medicina della misericordia piuttosto che quella della severità, evitando condanne, con lo specioso pretesto che è meglio esporre la verità che condannare l'errore,
molto più che si tratterebbe di errori già condannati; ignorando così le leggi della psicologia umana secondo le quali una rinnovata condanna formale con relative sanzioni pratiche è ben più efficace
di una luminosa disquisizione teorica. Papa Giovanni e il Vaticano lI ormai hanno fatto scuola, cosicché oggi la gerarchia a tutti i
livelli non ha più il santo coraggio di buttare fuori dalla Chiesa chi apertamente nega i dogmi più sacrosanti. Il caso Kung insegni.
La olandese Cornelia De Vogel, convertitasi al cattolicesimo nel 1943, nel suo libro "Lettere ai cattolici di Olanda", a tutti (tradotto anche in italiano, Japadre Ed., L'Aquila 1974), a p. 12 racconta di essersi rivolta aI Card. Alfrink, perché pubblicamente redarguisse i cattolici negatori di dogmi. Eccone la quanto mai emblematica risposta: "Devo condannare? Non serve. Sono
già stati tutti condannati da tempo. E poi condannare non si usa più; è una cosa antiquata". All'inizio di questo non-uso, introdotto per la prima volta nella storia della Chiesa, c'è l'atteggiamento di Giovanni XXIII. Sotto il suo regime sì è cominciato a considerare il problema della condanna guardando, non più al bene còmune e al significato del libro nella sua ovvia e oggettiva letteralità, ma alla personalità e alle intenzioni dell'autore, i cui « sacrosanti » diritti individuall, secondo la nuova etica ecclesiale, vanno anteposti a quelli della massa dei fedeli... Ma torniamo più direttamente a Papa Giovanni. Poco prima che fosse divulgata
l' Enciclica "Pacem in Terris" [detta "Falcem in terris"] su L'Osservatore Romano uscirono i famosi "Punti fermi", in cui veniva stigmatizzata qualsiasi collaborazione con movimenti ideologicamente fondati su dottrine erronee, per l'ovvia ragione profilattica che simile collaborazione per una specie di fatale osmosi implica a lungo andare anche l'assorbimento delle dottrine che ne stanno alla base. Ma questa classica e inderogabile norma, fatta sempre valere dai papi precedenti e specialmente da Pio XII , riaffermata anche sotto gli
occhi di Giovanni XXIII, doveva essere radicalmente smentita dalla sua Enciclica al n. 55, di cui ecco le precise liberalizzanti affermazioni: "Va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l'origine e il destino dell'universo e dell'uomo, con movimenti storici a flnalità economiche, sociali, culturali, e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le
dottrine una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventesi, non possono non subirne gli
influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi alla retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e
meritevoli di approvazione? Pertanto può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece sia o lo possa divenire
domani". È vero che nell'immediato contesto vengono poi precisate le condizioni per simili avvicinamenti, condizioni in parte contraddittorie, ma soprattutto ciecamente utopistiche, come la storia della collusione tra movimenti cattolici e movimenti marxisti di questi ultimi dieci anni ha dimostrato ad usura, e ancor più lo si vedrà in seguito. Il testo citato è fondamentale per la svolta giovannea e rappresenta una vera rivoluzione nella prassi della Chiesa, le cui gravissime e deleterie conseguenze peseranno
sul futuro della civiltà e del mondo. Abbiamo qui le basi ideologiche per il "compromesso storico", non solo per l'italia ma per tutto il mondo. Non mi sembra perciò esatto ciò che scrive Giovanni Spadolini nel suo interessante libro "Il Tevere più largo: Da porta Pia ad oggi" (Milano 1970, Longanesi Ed.), quando a p. 264 afferma che nella "Pacern in Terris" non si trova nulla di nuovo, nulla di diverso rispetto ai punti fermi dei precedenti Pontificati.
Il n.55 rappresenta invece una radicale inversione di marcia, legalizzando una collaborazione dei cattolici con movimenti nati da ideologie anticristiane, fino allora decisamente proibita per la elementare constatazione che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, come di fatto si verifica quotidianamente. Non c'è bisogno di essere specialisti in marxismo per avvertire e notare quante sottili infiltrazioni di quella ideologia siano penetrate ormai nel pensiero
e nell'agire di vari gruppuscoli sedicenti cattolici.
Per far piacere a chi, furono approvati i "Punti Fermi"? E per far
piacere a chi, fu sottoscritto il rivoluzionario n. 55 della "Pacem in terris"? Prendendo come norma di governo il non far dispiacere a nessuno, fatalmente si cade in contraddizioni teoriche e in confusioni pratiche. Verso i comunisti e. . . i superiori.
Ed ora un piccolo episodio personale sulla tanto discussa udienza al
giornalista Adjubei, genero di Kruscev, concessa probabilmente per fargli piacere oltre ad altre eventuali e più determinanti ragioni; ma comunque da chiunque era prevedibile che sarebbe stata strumentalizzata in favore del comunismo. Una mattina del mese di maggio del 1963 mi trovavo prestissimo alla banchina del porto di Civitavecchia in attesa della nave , che dalla Sardegna portava a Roma i Piccoli Rosarianti per l'udienza pontificia, organizzata dall'indimenticabile P. Enrico Rossetti. Conversando con alcuni scaricatori del porto, naturalmente comunisti, sentii elogiare da loro con entusiasmo il Papa, per avere ricevuto Adjubei, interpretando il gesto come atto simbolico di taciti approvazione deI movimento comunista. Tutte le mie osservazioni per confutare una simile interpretaziorie non approdarono a nulla. Essi, probabilmente insufflati da qualche loro caporione, replicarono: "Il papa, non potendo esplicitamente approvare il comunismo, ha trovato questo elegante stratagemma per farcelo capire. Lui e noi ce la ntendiamo perfettamente! Il papa è con noi". Che complessivamente il comportamento di Papa Roncalli abbia indebolito le remore all'avanzata comunista in Italia egli stesso se ne rese conto, se è vero che la sera della proclamazione del risultato delle elezioni del 1963 scoppiò in pianto esclamando: « Questo io non lo volevo, io non lo volevo! ». Ma la politica del "far piacere" può portare a queste e a ben altre luttuose conseguenze. Il "far piacere", o evitare di dispiacere a qualcuno può essere fonte anche di occultamento della verità, o per lo meno occasione di mancanza di coraggio
nell'esprimerla. Ecco un piccolo caso personale. Nel luglio del 1950 fui invitato a pranzo a Parigi dal Nunzio Roncalli, il quale per ben tre ore consecutive mi affascinò con una amabilissima e interessantissima conversazione che mi entusiasmò moltissimo; entusiasmo poi in parte sbollito quando seppi che più o meno le
medesime cose le raccontava a tutti. In tali circostanze il Nunzio ebbe dure parole di rimprovero per i Domenicani francesi che con una loro pubblicazione avevano acerbamente criticato il latino artefatto, libresco, bastardo, né classico né cristiano, con cui l'Istituto
Biblico aveva tradotto il Salterio per ordine di Pio XII. Non dovevano farlo per non recare dispiacere al Papa che teneva tanto a quella versione.... Io debolmente mi permisi di dire che
avevano fatto benissimo; giacché in questioni filologiche il piacere o dispiacere del papa non c'entra. Ma anche il Nunzio in fondo la pensava come i Domenicani; tanto è vero che fatto Papa dette ordine di riprendere il vecchio Salterio, correggendolo solo nei passi
meno felici e meno corrispondenti al testo ebraico. A tale proposito ecco la testimonianza esplicita di Mons. Marcel Lefebvre, nel suo libro Un vescovo parla (Rusconi, Ed. Milano 1974, p. 170): "Giovanni XXIII... non amava il nuovo Salterio. Lo disse apertamente alla Commissione Centrale prima del Concilio. Lo disse a noi presenti: " Oh, io non sono favàrevole a questo nuovo Salterio". Ma se fosse stato meno diplomatico, avrebbe dovuto dirlo prima a Pio XII stesso.
Da molti indizi mi pare che la sua obbedienza ai superiori sia stata troppo remissiva. Così, certo, non contrastandoli, forse anche quando sarebbe stato suo dovere farlo, godeva di quella famosa "pax" interiore ed esteriore che confina in parte col quietovivere.
A parte il fatto che all'epoca della sua formazione e dei suoi impieghi, il difetto di coraggio morale era una piaga della Chiesa , come esagerando faceva osservare il [pessimo] Fogazzaro in il Santo (c. 5, p. 243, Milano 1906), vi sono incarichi che acuiscono la tendenza alla sottomissione eccessiva. Ciascuno è figlio dei suo mestiere. Ogni mestiere implica fatalmente una deformazione prbfcssionale, tanto più grave quanto il soggetto sia più malleabile.
Durante quasi tutta la sua vita il futuro Papa Roncalli fu subalterno:
segretario, delegato, nunzio. Molinari pcco diplornaticamente scrive addirittura: "È noto infatti che il giovane segretario pensava col cervello del suo vescovo" (p. 167).
Nella sua vita aveva troppo ubbidito per poi da vecchio imparare a comandare; giacché non è del tutto vero che sa comandare chi ha saputo ubbidire: si tratta infatti di due azioni psicologicamente e moralmente strutturate in modo opposto. Del resto in una lettera del 10 Marzo 1938 aI prof. Donizetti da Istambul il futuro Papa così scriveva: "In questi quattro anni io posso dire di gustare i buoni frutti di un sistema che corrisponde al mio temperamento, cioè della
sostituzione del motto "Flectar non frangar" al motto "Frangar non fiectar". (Cfr. D. CUGINI, Papa Giovanni nei suoi primi giorni a Sotto il Monte, Bergamo 1965, 11 ed., p. 72).
Ironia dello storia: un uomo che durante la sua lunghissima vita era stato sempre anche troppo sottomesso è diventato, in parte suo malgrado, il padre della contestazione. Altra fama usurpata è quella di geniale innovatore: in realtà per indole e formazione era un tenace conservatore, e in un certo senso persino un restauratore: si
vedano gli Atti del Sinodo Romano! E anche i primitivi schemi del Vaticano II da lui studiati e approvati. Nella sostanza essi erano più volti a riassumere con stile e sensibilità moderni le idee
tradizionali, che non a formularne di radicalmente nuove. Del resto le novità non esplosero per merito o demerito dei Vescovi, ma dei periti, che sono stati i veri artefici del Vaticano II.
Questi, ben preparati e ben coalizzati, hanno saputo manovrare così bene che degli schemi primitivi (quelli che potremmo chiamare giovannei) c'è rimasto poco o nulla (Per i particolari rinviamo al
già citato libro di RALPh WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre. Le Concil inconnu, ed. du Cedre, 1974 traduzione dall'ed. americana).
Come il lettore si sarà accorto, il nostro capo di accusa non verte su certi minuscoli difetti che aveva Giovanni XXIII, come del resto si riscontrano anche nei santi; ma su uno stile di vita e di governo troppo teso a "far piacere" ad attirare la simpatia e la benevolenza universale. Troppi atteggiamenti del papa buono non sono quelli di un buon papa. Si dirà: sono sbagli tecnici, che non infirmano la santità soggettiva. Rispondiamo che la vera bontà di un governante deve essere sempre regolata dalla prudenza "regnativa", la quale a
sua volta deve essere sorretta dalla virtù della fortezza, data la
necessaria concatenazione di tutte le virtù. Del resto il futuro papa era cosciente di questo lato debole della sua natura; infatti come fa
osservare Molinari, dal Giornale dell'anima risulta che il Roncalli si riprometteva di "non indulgere troppo al suo temperamento pacifico e bonaccione" (p. 139); ma, come non riuscì mai a correggersi dal difetto della eccessiva loquacità, così non fu capace di armarsi della fortezza d'animo per governare la Chiesa e non lasciarsi governare, trasmettendo al suo successore una difficile eredità. Benché al papa si dia il titolo di santissimo, è difficile essere santi in quello stato, essendo così gravi, complessi e quasi contraddittori I suoi doveri, Non per nulla Giovanni XXIII, non credeva affatto alla santità di Pio XII, come mi riferiva un
autorevolissirno membro della soppressa Congregazione del S. Uffizio.
Il quale mi aggiungeva che quando Giovanni scendeva nelle Grotte Vaticane a far visita alla tomba del suo predecessore, diceva ostentatamente il De Profundis, per far capire alla gente che non lo considerava canonizzabile e così frenare l'incipiente movimento che già si profilava. Il papa stesso gli spiegò il significato della sua preghiera per il defunto. Ciò che per altri incluso il Postulatore della causa del Roncalli è squisita virtù, per chi scrive è... un vizio, se eretto a sistema normale di governo, un grave e pericoloso vizio! Mi si potrebbé obbiettare che "il Papa buono" non sempre si è lasciato governare dal desiderio di far piacere (ci vorrebbe altro!) e si potrebbero riferire alcuni gesti energici di riprovazione elencati a p. 164 dal Molinari. Ma, a parte il fatto che alcuni di essi sono stati esagerati, come per es., il "caso Spiazzi", si trattò di momentanei sussulti del suo viscerale "tradizionalismo"[esteriore e superficiale] e della sua spicciola adesione al programma curiale "quieta non movere"; per cui, per es., tanto si impressionò per il libro quanto mai innocente del P. Riccardo Lombardi,
scritto in preparazione al Concilio. Se avesse potuto prevedere, ed inparte avrebbe dovuto prevedere, lo svolgimento e le conseguenze del Vaticano Il (ma in fatto di previsioni papa Roncalli, benché definito da tutti "profeta", fu piuttosto lacunoso, come ben dimostra
CARLO FALCONI, nel suo curioso libro già citato "I papi sul divano".
L'autoanalisi dei pontefici testimoni di sé stessi), penso che mai lo avrebbe convocato. Per testimonianza del suo confessore e mio amico, Mons. Cavagna, so che il Papa negli ultimi tempi della sua vita era addoloratissimo per come si mettevano le cose in campo ecclesiale e politico. [FORSE IL PENTIMENTO CHE LO SALVò!] Sarebbe stata necessaria minor bonomia e maggiore fermezza. Scrivendo così
mi viene in mente la lunga e feroce critica che fa [il sifilitico] Nietzsche dell' "uomo buono" (meglio avrebbe detto del "buon uomo") nei suoi Frammenti postumi. "Esso è Indulgente, tollerante, pieno di pace e di gentilezza, capisce tutto, compassiona tutti, è amabile per non dover essere nemico, per non dover prendere partito, pratica la bontà, finissima astuzia con cui offre e quindi riceve
considerazione dappertutto. È la vera pecora di Cristo". Per il filosofo tedesco questo tipo di uomo è quanto mai nocivo."La mia proposizione: gli uomini buoni sono i tipi "umani più nocivi". Mi
si Risponde: ma ci sono solo pochi uomini buoni! Dio sia ringraziato! Si dirà anche: non ci sono uomini completamente buoni. Tanto meglio! Ma sempre io sosterrò che nella misura in cui è buono, un uomo è anche nocivo" (F. NIETZSCHE, Opere, VoL. VIII, Tomo III, p. 275, pp. 370-376, Milano, 1974, Adelphi Ed.). Sono proprio i tipi buoni e arrendevoli, che messi in alto loco diventano pericolosi, perché facilmente manovrabili da chi è più forte e più furbo di loro. Non è però questa la precisa prospettiva di Nietzsche quando afferma che i buoni sono nocivi. Per capire le sue affermazioni paradossali bisogna inquadrarle nella filosofia del superuomo e della volontà di potenza. Ovviamente noi non le sottoscriviamo, se non nel senso ridotto del detto popolare: Il medico pietoso, cioè "buono", fa incancrenire la piaga. E giacché siamo in "vena" di citazioni e per Meglio spiegarci, ecco come Ernest Hello descrive il medico "buono" (il quale naturùlmente è tutt'altro che un buon medico) : "Che cosa si direbbe di un medico che per un senso di carità, usasse dei riguardi alla malattia del suo cliente? Immaginate questo personaggio così riguardoso. Direbbe al malato: "Dopo tutto, amico mio, bisogna essere caritatevoli. il cancro che vi rode è forse in buona fede. Guardiamo un po': siate gentile, cercate di far con lui una piccola amicizia; non bisogna essere intrattabili; assecondatelo nel suo carattere.
in questo cancro c'è forse un animaletto che si nutrisce della vostra carne e del vostro sangue: avrete il coraggio di rifiutargli ciò che gli occorre? Morirebbe di fame, poverino! D'altronde son tratto a pensare che il cancro sia in buona fede e credo di adempiere presso di voi ad una missione di carità" (ERNESTO HELLO, L'uomo, Firenze 1928, p. 70). Hello stesso nel contesto allude alla pericolosità dei compromessi nel campo dell'insegnamento. Infatti poco prima aveva scritto: " Chi transige coll'errore -non conosce l'amore nella sua pienezza e nella sua forza sovrana. La pace apparente comprata e pagata dalla compiacenza è contraria tanto alla carità che alla giustizia perché scava un abisso là dove c'era un fossato.
La carità vuol sempre la luce e la luce non sopporta neppure l'ombra di un compromesso". Vi è nella medesima opera del brillante scrittore francese una stupenda pagina in cui descrive quale tipo di santo il mondo vorrebbe; e di Santi l'autore di "Physionomies de saints" se ne intende. Detta pagina getta un fascio di luce sull'universale simpatia suscitata dal papa Roncalli anche presso i mondani; anche se, ben inteso, la sua figura morale non coincide se non in proporzione assai ridotta con il tipo descritto da Hello:
"Essayez de vous figurer un saint qui n'aurait pas la haine du p&hé! L'idée seule de ce saint est ridicule. Et cependant c'est ainsi que le monde se figure le chrétien qu'il faudrait canoniser. Le saint véritable a la charité; mais c'est une charité terrible qui brùie et qui dévore, une charité qui déteste le mal, parce qu'elle veut la
guérison. Le saint que le monde se figure aurait une charité doucereuse, qui bénirait n'importe qui et n'impone quoi, en n'importe quelle circonstance. Le saint que le monde se figure sourirait à l'erreur, sourirait au péché, sourirait à tous, sourirait à tout. Il serait sans indignation, sans profondeur, sans bauteur, sans regard sur les abimes. Il serait bénin, bénévole, doucereux pour le malade, indulgent pour la maladie. Si vous voulez étre ce saint-là, le monde vous aimera, et il dira que vous faites aimer le christianisme.
Le monde, qui a l'instinct de l'ennemi, ne demande jamais qu'on abandonne la chose à laquelle on tient: il demande seulement qu'on pactise avec la chose contraire. Et alors il déclare que vous lui faites aimer la Religion, c'est-à-dire que Vous lui devenez agréable, en cessant d'étre un reproche pour lui. Il affirme alors que vous ressemblez à Jésus-Christ, qui pardonnait aux pécheurs. Parmi les confusions que lè monde (?) chérit, en voici une qu'il chérit beaucoup: il confond le pardon et l'approbation. Parce que Jésus Christ a pardonné à beaucoup de pécheurs, le monde veut en
conclure que Jésus-Christ ne détestait pas beaucoup le péché".
(E. HELLO, L'bomme, lib. lI, « Les Alliances spirituelles, Montreal, pp, 197 ssg)

Giunto al termine di queste amare constatazioni e severe considerazioni (dettate dalla Sofferenza per lo sfacelo che devasta la Chiesa nel campo della fede, dei costumi, della disciplina per la spaventosa crisi delle vocazioni; per le numerose defezioni di preti
e religiosi; per l'avanzare del comunismo ateo: tutti malanni derivanti in parte almeno - dalla mancanza di fermezza e di lungimiranza del governo pontificale di Giovanni XXIII) immagino facilmente quale ondata di indignazione susciteranno negli ammiratori senza riserve del papa Roncalli. A mia parziale discolpa dirò che, mentre il defunto pontefice "per far piacere a tutti" non sempre diceva brutalmente la verità, o meglio ciò che pensava; chi scrive invece, per temperamento e per convinzione, crede opportuno manifestare crudamente il suo Pensiero anche a costo cli dispiacere a molti, pronto però a ricredersi, se gli verrà dimostrato che sbaglia; giacché nessuno è infallibile, specialmente in campo storico, molto più se si tratta di avvenimenti troppo vicini.

PADRE INNOCENZO COLOSIO, O.P.



http://puffin.creighton.edu/bucko/travel/02_12_99_06.jpg

MISERERE EI, DOMINE, SECUNDUM MAGNAM MISERICORDIAM TUAM

Guelfo Nero
19-12-02, 10:43
CARI AMICI,

SUL NUMERO 51 DI "TRADIZIONE CATTOLICA", BOLLETTINO DELLA "FRATERNITà SAN PIO X", è RIPORTATO IL TEMA DI MATURITà 2002 DEL GIOVANE CATANESE FABIO ADERNò CHE HA DURAMENTE ATTACCATO LA FIGURA E RADICALMENTE DIVELTO DAL SUO PIEDISTALLO L'OPERA DI GIOVANNI XXIII.
è UN TEMA MOLTO MATURO CHE HA TUTTI I LIMITI DI UN'IMPOSTAZIONE PRETTAMENTE LEFEBVRIANA MA MOSTRA ANCHE UN'ASSENNATEZZA RAGGUARDEVOLE.
IL GIOVANE NON HA RISPARMIATO ATTACCHI ALL'ECUMENISMO, AL FILOCOMUNISMO RONCALLIANO, AL SUO INSANO ANTICURIALISMO, ALL'ANTROPOCENTRISMO DEL "NUOVO CORSO" CONCILIARE.
IL TEMA, malgrado IL PARERE CONTRARIO DELL'UNICO PRETE IN COMMISSIONE, HA AVUTO IL MASSIMO DEI VOTI.
CERTO MANCAVA UN ACCENNO ALLA POSSIBILE VACANZA DELLA SEDE DURANTE IL PERIODO RONCALLIANO MA (forse) NON SI POTEVA PRETENDERE.


UN SALUTO

GUELFO NERO :)

Guelfo Nero
29-12-02, 15:10
IL THREAD SI COLLEGA NATURALMENTE A QUANTO SCRITTO DA BELLARMINO NEL SUO 3D "RONCALLI "SANTO" MASSONE".
MAGARI UNIFICHEREMO PRIMA O POI TUTTO IL MATERIALE ANTIRONCALLIANO IN UN UNICO THREAD: CHE NE DITE, MIEI DILETTI MODERATORI?

GUELFO NERO
:)

Bellarmino
29-12-02, 15:55
Originally posted by guelfo nero
IL THREAD SI COLLEGA NATURALMENTE A QUANTO SCRITTO DA BELLARMINO NEL SUO 3D "RONCALLI "SANTO" MASSONE".
MAGARI UNIFICHEREMO PRIMA O POI TUTTO IL MATERIALE ANTIRONCALLIANO IN UN UNICO THREAD: CHE NE DITE, MIEI DILETTI MODERATORI?

GUELFO NERO
:)

D'accordissimo, caro Guelfo.
Procedi col taglia e cuci :)
saluti
Bellarmino

Guelfo Nero
22-08-03, 10:54
LO SO, IL SIMPATICO LIBRETTO è USCITO NEL GIUGNO 2000, PRIMA DELLA FATALE "PSEUDO-BEATIFICAZIONE" DEL 3 SETTEMBRE: RICORDO ANCORA QUEL SABATO CALDO, AMARO E INTERMINABILE, IL DISPIACERE PER LO SCHIAFFO CHE WOJTYLA LANCIAVA A SANTA MADRE CHIESA E ALLA MEMORIA DEL SERVO DI DIO PIO IX, "NON-BEATIFICATO" LO STESSO GIORNO.
SI, QUEL DEISTA, QUEL RAZIONALISTA, QUELLO SCETTICO, QUEL MODERNISTA, QUEL (FORSE) MASSONE DEL CARDINAL RONCALLI ACCANTO AL PAPA DEL SILLABO, AL PAPA DELL'IMMACOLATA, AL PAPA DELL'INFALLIBILITà, AL DOLCE "CRISTO IN TERRA", DUE VOLTE PRIGIONIERO IN VATICANO.
QUANTE LACRIME QUEL GIORNO IN CIELO: IDDIO AVRà TRATTENUTO LE SCHIERE ANGELICHE PRONTE A LANCIARSI SU QUEI VILI CHE INNANZAVANO IL LORO "VITELLO D'ORO" NELL'ABBRUTTITO COLONNATO BERNINIANO, SU QUEGLI SCIAGURATI CHE AGITAVANO IL TURIBOLO SULL'ALTARE DELL'ANTROPOLATRIA.
QUEL GIORNO PENSAVO ALLA SANTA VERGINE, AL SUO CUORE TRAFITTO DALLE SETTE SPADE: UNA SPADA ANCHE QUEL GIORNO MA LANCIATA DA UN UOMO CHE PORTA SUL SUO STEMMA UNA "M".
SEGNALARE QUESTO LIBRETTO PUò ESSERE UTILE DOPO LA FICTION DI RAI 1.
L'AUTORE è L'ANCORA VIGOROSO DON LUIGI VILLA, L'AGILE VOLUME ESCE PER I TIPI DELL'EDITRICE CIVILTà-OPERAIE DI MARIA IMMACOLATA (VIA GALILEI, 121 25123 BRESCIA TF. 030-3700003).
CON FORTI PENNELLATE L'AUTORE DELINEA LA "CARRIERA" DI RONCALLI, DA SEGRETARIO IN FORTE ODORE DI MODERNISMO DI MONSIGNOR RADINI-TEDESCHI A BERGAMO (BISOGNERà RIPARLARE DI QUESTO VESCOVO CADUTO DAGLI SPLENDORI DELL'INTRANSIGENTISMO AD UN CRISTIANESIMO-SOCIALE MALDESTRO E INCONTINENTE) A NUNZIO "PARACADUTATO" IN BULGARIA, TURCHIA, E FRANCIA, ALL'AMBIGUO PATRIARCATO DI VENEZIA, AL "PONTIFICATO", ALLA PREPARAZIONE DEL VATICANO II, ALLA "FALCEM IN TERRIS"...
è UN LIBRO SEMPLICE MA RICCO DI SPUNTI PER DOVEROSI APPROFONDIMENTI: SI SENTE CHE L'AUTORE HA RICOMPOSTO ABBASTANZA BENE LE FONTI DA CUI HA ATTINTO: TRA LE QUALI è IMPOSSIBILE NON SEGNALARE LA MONUMENTALE BIOGRAFIA RONCALLIANA (GIUNTA ORMAI AL 1961) PUBBLICATA ORMAI DA 13 ANNI DA DON FRANCESCO RICOSSA SU "SODALITIUM" E IL RECENTE DOSSIER SUI "SOFISMI RONCALLIANI" DI DON MICHELE SIMOULIN PUBBLICATO SU "LA TRADIZIONE CATTOLICA" [ANNO XI, 2(43)].
(SEMBRA) CHE PER INTERCESSIONE DI GIOVANNI XXIII SIANO AVVENUTI DEI "MIRACOLI". RICORDO, A CHI SI STUPISSE, CHE QUESTI PRODIGI, SE SONO SUPERANO REALMENTE LE LEGGI DI NATURA, POSSONO ESSERE DI ORIGINE DIVINA (E ALLORA SONO VERI MIRACOLI) OPPURE SONO DI ORIGINE DIABOLICA (E ALLORA SONO I CLASSICI "DIABOLICA PRODIGIA", SPESSO PRESENTI NELLA LUNGA STORIA DELLA CHIESA).

UN CARO SALUTO A TUTTI

GUELFO NERO

:) :) :)

Guelfo Nero
22-08-03, 11:00
CARISSIMI AMICI,

VI SEGNALO OGGI (FORSE NON TUTTI LO CONOSCETE) IL BEL LIBRO DEL CONTE FRANCO BELLEGRANDI, CAMERIERE DI CAPPA E SPADA DI SUA SANTITà, PRESTIGIOSA FIRMA DI TERZA PAGINA DE "L'OSSERVATORE ROMANO" NEGLI ANNI '60 CHE FU AMICO E SERVITORE DEGLI EMINENTISSIMI CARDINALI TODESCHINI E MINDSENTY E DI MONSIGNOR FAVERI, MEMBRO DELLA MINORANZA CATTOLICA AL "VATICANO II".
è UN LIBRO RICCO E PROFONDO, MALGRADO IL TONO TALVOLTA GIOCOSO E LEGGERO: è STATO BOLLATO DAI SOLITI "UTILI IDIOTI" COME "SCANDALISTICO" MA NON LO è AFFATTO. è INVECE SCRITTO CON NOTEVOLE SIGNORILITà, ANCHE QUANDO TOCCA ARGOMENTI DELICATI.
L'AUTORE è STATO VICINO IN QUALITà DI GUARDIA NOBILE, SIA A GIOVANNI XXIII CHE A PAOLO VI NEI SUOI PRIMI ANNI: HA VISTO E TOCCATO CON MANO LA PROGRESSIVA OCCUPAZIONE DEI NEO-MODERNISTI NEI PALAZZI VATICANI, IL PROGRESSIVO SVUOTAMENTO E ANNULLAMENTO DI FORME E CONTENUTI.
HA TOCCATO CON MANO L'ORRORE DEI CARDINALI ALL'ANNUNCIO DELL'INDIZIONE DEL VATICANO II, LO SVOLGIMENTO COSTELLATO DA CONTINUI "COLPI DI STATO".
SUI CONCLAVI DEL 1958 E DEL 1963 RILEVA L'EVIDENZA DELLA MACCHINAZIONE CUI CEDETTERO, ILLUSI, ANCHE GLI ITALIANI PER FAR ELEGGERE PRIMA UN VECCHIO MODERNISTA, POI UN GIOVANE E DISCUSSO MODERNISTA DELLA SECONDA GENERAZIONE.
DI GIOVANNI XXIII NOTA LA "LUNGIMIRANZA" TUTTA POLITICA, LA FALSA BONOMIA, L'ASSENZA DI "CARISMA" PONTIFICALE, LA SINISTRA E QUASI ORRIBILE PRESENZA DI MONSIGNOR CAPOVILLA AL SUO FIANCO, IL SUO ESSERE ARTEFICE E VITTIMA DEL "VATICANO II", IL SUO ESSERE "CREATURA" DI MONTINI.
DI PAOLO VI NOTA LA FORTE INCLINAZIONE AL "CATTOLICESIMO" DEMOCRATICO ALLA "MARITAIN", L'AVER PASSATO INFORMAZIONI A MOSCA QUANDO ERA ALLA SEGRETERIA DI STATO PER POI ESSERNE CACCIATO DA UN INORRIDITO E GIà MALATO PIO XII, L'ESSERE ARRIVATO AL CONCLAVE DEL 1963 CON L'ABITO BIANCO GIà PRECONFEZIONATO IN VALIGIA, LA DEMENZIALE "OSTPOLITIK" LA PRATICA, PARE CONTINUATIVA, DEL "VIZIO INNOMINABILE".
L'AUTORE RILEVA L'ESIBIZIONISMO E L'ISTRIONISMO DI PAOLO VI E LA SUA TENDENZA, TUTTA OMOFILA, NEL CREARE GRUPPI DI COLLABORATORI "SINERGICI ED OMOGENEI" (PARECCHIE NOMINE "PAPALI" SEMBRANO SIANO STATE REALIZZATE IN BASE A QUESTO CRITERIO, PERSINO PER IL "CARDINALATO").
NON MI PERMETTEREI MAI DI SCRIVERE TUTTO QUESTO SE NON FOSSI CONVINTO CHE MONTINI NON è STATO MAI SOSTANZIALMENTE PAPA ED EVITEREI DI SCRIVERLE SE NON FOSSE IN ATTO UN FORTE CAMPAGNA PROPAGANDISTICA (CON FIOR DI LIBRI!) CONDOTTA DA MONSIGNOR MACCHI, SUO ANZIANO "FEDELISSIMO", PER OTTENERE ADDIRITTURA LA "BEATIFICAZIONE" (ALLORA BEATIFICHIAMO ANCHE GENGIS KHAN!).
DON VILLA HA GIà SEGNALATO SU "CHIESA VIVA" IL RAPPORTO CONTINUATIVO TRA MONTINI E L'ATTORE CARLINI, E LA CUPA TRIANGOLAZIONE MONTINI-MACCHI-PIGNEDOLI NEGLI ANNI 50-60.
EPPURE IL "VIZIO INNOMINABILE" NON è NULLA IN CONFRONTO ALLO SMANTELLAMENTO DEL CATTOLICESIMO OPERATO DA PAOLO VI.
IL LIBRO CHE PUR NON SPOSA APPIENO LA TESI DELL'INVALIDITà DELLA "NUOVA MESSA" E DELLA "NUOVA CRESIMA", è PIENO DI PREGI ED IN ESSO SI COGLIE VERAMENTE LA SOLIDA E RICCA "ROMANITà" DELL'AUTORE.
DOPO LE DIREZIONI DEL CONTE DELLA TORRE E QUELLA GIà MODERNIZZANTE DEL MANZINI, L'OSSERVATORE ROMANO, CHE PER MOLTI ANNI E IN MOLTI MODI AVEVA LOTTATO CONTRO LA "SVOLTA CONCILIARE" SUBì IL "REPULISTI" MONTINIANO": L'INTERO GRUPPO DEI REDATTORI "PACELLIANI" (TRA CUI C'ERA L'AUTORE) FU SMANTELLATO E ARRIVò COME DIRETTORE IL GIUDAIZZANTE E "CONCILIARE" DON VIRGINIO LEVI. (DA POCO DECEDUTO, PARCE SEPULTO)
DOPO LA LETTURA NON RESTA CHE PREGARE PER L'ANIMA DI GIOVANNI XXIII E SOPRATTUTTO DI PAOLO VI.
MISERERE EIS DOMINE SECUNDUM MAGNAM MISERICORDIAM TUAM...

UN CARO SALUTO A TUTTI

GUELFO NERO

Guelfo Nero
27-10-03, 09:17
caro CM814,

ci sono notizie di Fabio Adernò? é sempre lefebvriano?

GUELFO NERO:)

cm814
27-10-03, 11:48
Originally posted by guelfo nero
caro CM814,

ci sono notizie di Fabio Adernò? é sempre lefebvriano?

GUELFO NERO:)

:D :D ....... ci sentiamo, Piergiorgio.
Oggi ho letto d'un fiato l'articolo del padre domenicano, e mi ha fatto pensare che, se vi fosse coraggio, tutto sarebbe più facile.
Qui a Catania, e provincia, gira voce che sono moltissimi i preti, che con autorizzazione vescovile celebrerebbero col rito tridentino. E molti di loro....... udite udite.... applaudirono un mio amico tradizionalista catanese, quando in pieno convegno catechistico, e innanzi a Sua Eccellenza, ha avuto il coraggio di affermare, che egli insegna con il catechismo di San PIO X.
E non tutti sono vecchi decrepiti, anzi.............. ;)

Pare che Catania si sia svegliata. C'è un ribollire che non vi dico.
Possono esserci novità in vista. Vedremo........
:)

Guelfo Nero
01-01-04, 02:00
ANNO NUOVO...INCOMINCIAMO SUBITO COL PIEDE GIUSTO...

Gli aspetti non conosciuti di mons. Angelo Roncalli, il prelato che diventerà il "Papa Buono"
Passioni da esoterico
Nel Dossier realizzato dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza del ministero degli Interni, nel gruppo dei "nuovi movimenti magici" sono inseriti anche i gruppi iniziatici, le fraternità universali, gli ordini pitagorici e gli ordini Rosicruciani.
Partiamo da qui, con questa premessa, per parlare di un libro, "Le profezie di Papa Giovanni" delle Edizioni Mediterranee.
L'autore, Pier Carpi, giornalista, è un esperto in discipline esoteriche e in teologia e collabora con i periodici del Corriere della Sera e della Mondadori. Come dire: difficile che si sia inventato tutto. Questo volumetto agile, in formato tascabile, di neanche 200 pagine (il prezzo di copertina è di 20 mila lire), parla delle profezie enunciate nel 1935 da Angelo Roncalli, in quel periodo delegato apostolico in Turchia.
Aldilà della questione "profezie", si racconta delle esperienze "supernormali" che ebbe un monsignore che sarebbe diventato il futuro papa Giovanni XXIII, il suo percorso iniziatico all'interno di una realtà - quella rosicruciana - che oggi verrebbe definita come "setta", la sua iniziazione (avvenne nel tempio "Il cavaliere e la rosa"); e sono illustrati anche alcuni particolari del rito e delle simbologie, che si ispirano alla tradizione Rosa+Croce.
Chi ha orecchie e cuore per intendere... ha uno strumento in più per farlo.

(POST DI BELLARMINO)

Shambler
01-01-04, 03:29
LA PRATICA, PARE CONTINUATIVA, DEL "VIZIO INNOMINABILE" :confused:

Guelfo Nero
01-01-04, 16:35
OVVIAMENTE MI RIFERIVO ALLA SODOMIA, CARO SHAMBLER...:rolleyes: :rolleyes: :rolleyes:

Shambler
01-01-04, 16:54
ma è un pettegolezzo!! figurati se una cosa simile poteva trapelare all'esterno.

Guelfo Nero
01-01-04, 16:58
NON CREDO PROPRIO, MOLTE SONO LE TESTIMONIANZE CONCORDI...ANCHE COMUNQUE è UN ASPETTO ASSOLUTAMENTE MARGINALE RISPETTO AL RESTO.

GUELFO NERO
:) :) :) :) :)

Shambler
01-01-04, 17:42
è marginale certamente ma mi sembra lo stesso abbastanza strano , visto l'ambiente, che qualcosa del genere trapeli.
chiusa parentesi

franco damiani (POL)
03-01-04, 00:12
Strano davvero, se non c' è nulla. Ricordo che al liceo (fine '60-primi '70) un mio compagno che bazzicava con me l'ambiente diocesano ma aveva anche amicizie "laiche" faceva continuamente battute sulla strana coppia Montini-Carlini. La cosa era considerata notoria.

Shambler
03-01-04, 02:07
non erano molto svegli se si sono fatti beccare colle mani nel sacco . anche io avevo sentito quella voce..

Guelfo Nero
03-01-04, 02:13
Pare che il Carlini ricevesse sempre delle rose, con biglietto dedicato (Tuo GIovanbattista).

Fonte anonima diocesana ambrosiana

Guelfo Nero :fru :fru :fru :fru :fru

Shambler
03-01-04, 03:51
e tu ci credi? qualunque gay normale , se è accorto, non lo fa sapere nemmeno ai genitori, figuriamo il papa.

Guelfo Nero
03-01-04, 09:23
in questo caso, era solo arcivescovo di Milano. ;)
Comunque ribadisco che questa questione è assolutamente marginale, rispetto allo scisma capitale che poimha colpito Montini.

Guelfo nero

franco damiani (POL)
05-02-04, 18:44
Dal libro di Franco Bellegrandi, pp. 85-86:

(Montini) a Milano, da arcivescovo, sarebbe stato fermato, di notte, dalla polizia, in abiti borghesi e in dubbia compagnia. E' legato da anni da amicizia particolare con un attore che si tinge i capelli di rosso e che non fa mistero della sua relazione col futuro papa. Del resto la relazione andrà avanti con gli anni, saldissima. Mi confiderà un ufficiale dei servizi di sicurezza del Vaticano che il prediletto di Montini aveva l'autorizzazione a entrare e uscire dall'appartamento del papa a suo piacimento.
Tanto che, spesso, se lo vedevano arrivare all'ascensore nel pieno della notte.
(...) Il primo ricatto afferrerà Montini alla gola non appena salito sul Soglio di Pietro. Quando la massoneria otterrà subito la rimozione della scomunica con cui la Chiesa colpisce quanti si fanno cremare dopo morti, minacciando di svelare gli incontri segreti fra Montini, arcivescovo di Milano, e il "suo" attore, in un albergo di Sion, nel Cantone Vallese della Svizzera. Si saprà più tardi, a Parigi, il retroscena di quel primo, clamoroso atto papale di Paolo VI e della complicità di un gendarme, paziente raccoglitore delle inconfutabili prove.
Ecco, dunque, a che dobbiamo la remissione della scomunica per chi si fa cremare e l'attuale dilagare di tale barbara pratica.

Shambler
05-02-04, 18:56
trovo tremendo il particolare dei capelli tinti di rosso..è pacchiano, no? :D

cariddeo
06-02-04, 04:09
Stiamo un po' cadendo di tono...
:rolleyes:
@+

franco damiani (POL)
06-02-04, 09:52
Noi o Montini-Debenedetti ?

Shambler
06-02-04, 18:44
il particolare dei capelli rossi è divertente.

Sùrsum corda! (POL)
06-02-04, 19:25
:-01#28 sarà stato così? :D ...che storia orribile.

cariddeo
07-02-04, 03:11
Che Montini fosse frocio (purtroppo è assolutamente acclarato, come Umberto II di Savoja) in questo forum non serve ai fini della dialettica sui danni che ha compiuto nella Chiesa Romana.
Che qui si disquisisca di questo mi pare una caduta di tono.
Tutto qui!
@+

P.S. Il cardinale Ottaviani una volta buttò là la famosa battuta sul pretino che recitava il breviario nei giardini vaticani.
Salve Regina disse il pretino, Ciao cara! gli rispose Paolo VI che l'incrociava.

franco damiani (POL)
07-02-04, 19:32
L'esibizionismo, la frenesia di novità e il "furore iconoclasta" (Bellegrandi), tratti tipicamente omofili, di Montini, davvero non c'entrano nulla con le rovine che egli lasciò nella Chiesa? E la sua ricattabilità (vedi caso della cremazione)?

Agape
09-02-04, 22:25
Aggiungerei una piccola nota di "fantasedevacantismo": poniamo che sia vero che Montini, come ogni puerpera che si rispetti, avesse già pronta la valigetta con il corredino per il lieto evento, come pare riporti Franco Bellegrandi nel suo libro (non l'ho letto ma mi riferisco a ciò che ne ha scritto Guelfo Nero), e che sia vero anche che dopo l'elezione era a quanto pare evidentemente ricattabile (i.e.caso della cremazione)..
Ora, decidiamo anche di accettare il canone 166 secondo cui "se i laici, contro la canonica libertà, si fossero immischiati in qualunque modo in un'elezione ecclesistica, l'elezione è invalida per il diritto stesso" (Si laici contra canonicam libertatem electioni ecclesiasticae quoque modo sese immiscuerint, electio ipso iure invalida est).
..a rigor di logica, ne segue che se la ricattabilità fosse iniziata prima del lieto evento (con tutto ciò che può significare...) allora...
...chissà perchè continua a girarmi in mente il suddetto canone 166..
...
...ma in definitiva si tratta soltanto, l'ho già detto, di una crisi acuta di fantasedevacantismo...

Shambler
09-02-04, 23:40
Originally posted by cariddeo
Che Montini fosse frocio (purtroppo è assolutamente acclarato, come Umberto II di Savoja) in questo forum non serve ai fini della dialettica sui danni che ha compiuto nella Chiesa Romana.
Che qui si disquisisca di questo mi pare una caduta di tono.
Tutto qui!
@+

P.S. Il cardinale Ottaviani una volta buttò là la famosa battuta sul pretino che recitava il breviario nei giardini vaticani.
Salve Regina disse il pretino, Ciao cara! gli rispose Paolo VI che l'incrociava.
hai ragione,non discutiamo di questi particolari che mi fanno ridere molto.
P.S tremenda la battuta, immagino che all'epoca i lazzi fioccassero.

Guelfo Nero
10-02-04, 01:55
Originally posted by Agape
Aggiungerei una piccola nota di "fantasedevacantismo": poniamo che sia vero che Montini, come ogni puerpera che si rispetti, avesse già pronta la valigetta con il corredino per il lieto evento, come pare riporti Franco Bellegrandi nel suo libro (non l'ho letto ma mi riferisco a ciò che ne ha scritto Guelfo Nero), e che sia vero anche che dopo l'elezione era a quanto pare evidentemente ricattabile (i.e.caso della cremazione)..
Ora, decidiamo anche di accettare il canone 166 secondo cui "se i laici, contro la canonica libertà, si fossero immischiati in qualunque modo in un'elezione ecclesistica, l'elezione è invalida per il diritto stesso" (Si laici contra canonicam libertatem electioni ecclesiasticae quoque modo sese immiscuerint, electio ipso iure invalida est).
..a rigor di logica, ne segue che se la ricattabilità fosse iniziata prima del lieto evento (con tutto ciò che può significare...) allora...
...chissà perchè continua a girarmi in mente il suddetto canone 166..
...
...ma in definitiva si tratta soltanto, l'ho già detto, di una crisi acuta di fantasedevacantismo...

MI COMPLIMENTO DAVVERO PER L'INTERESSANTE SEGNALAZIONE.
CERTO MANCA UNA PROVA DEFINITIVA DELL'INTERVENTO DELLE FORZE LAICHE ED OCCULTE, NEI CONCLAVI DEL 1963 E 1978, MA GLI INDIZI SONO MOLTISSIMI.

GUELFO NERO :)

Guelfo Nero
03-08-04, 17:01
Un thread dello scorso anno, a tratti crudo, ma credo ancora utile per forumisti e guest.

Guelfo Nero :)

Bellarmino
06-08-04, 16:27
Queste "illazioni" le ha pubblicate su un libro l'ex autista di Paolo VI. Perchè non schiumi nei suoi confronti, noi cosa c'entriamo?

franco damiani (POL)
06-08-04, 20:07
Originally posted by Bellarmino
Queste "illazioni" le ha pubblicate su un libro l'ex autista di Paolo VI. Perchè non schiumi nei suoi confronti, noi cosa c'entriamo?
Bellegrandi non era l'"autista di Paolo VI", ma un membro della guardia d'onore pontificia o giù di lì. E' lui a raccontare le visite notturne di Carlini in vaticano e tante altri particolari. Non mi risulta sia mai stato querelato.

franco damiani (POL)
06-08-04, 20:22
Originally posted by Dreyer
Per me sono falsità belle e buone, e volgarità gratuite.

NON TI RESTA CHE DENUNCIARE BELLEGRANDI. IO POSSO SOLO DIRE CHE L'AMICIZIA PARTICOLARE DI MONTINI-DEBENEDETTI CON CARLINI ERA NOTA FIN DAI TEMPI DI MILANO E MEZZA ITALIA NE RIDEVA: VOX POPULI...

tanto più che- anche ammettendo l'omosessualità di Montini (il che non è chiaramente vero)- non si vede quale sia il male in sè se essa rimaneva in fieri e non si trasformava in atti contro natura.

QUESTO LO SA IDDIO. DICIAMO CHE MONTINI RICEVEVA DI NASCOSTO CARLINI, DI NOTTE, PER PARLARE DI TEATRO...

Inoltre, qualcuno sopra citava maldestramente come "prove" dell'omosessualità le ansie di rinnovamento attribuite a Polo VU.
Eppure, Paolo VI fu un papa molto restauratore...è grazie a lui p. es. che si è messa in chiaro la questione degli antifecondativi e della contraccezione, solo accennata da Pio XII.

e' VERO, FU "MOLTO RESTAURATORE": ABBATTè IL CATTOLICESIMO PER TORNARE AL GIUDAISMO.
PIù SOPRA AGAPE HA RICORDATO COME L'OMOSESSUALITà DI MONTINI LO RENDESSE RICATTABILE E CHE CIò FU LA CAUSA DELL'ABROGAZIONE DEL DIVIETO ALLA CREMAZIONE (UNO DEI TANTI ATTI DI "RESTAURAZIONE"). L'"ANSIA DI RINNOVAMENTO" PUò ESSERE UN INDIZIO AGGIUNTIVO, NON CERTO "LA" PROVA.
LA QUESTIONE DEGLI ANTIFECONDATIVI NON ERA STATA AFFRONTATA DA PIO XII PERCHé... AL SUO TEMPO NON C'ERANO ANCORA, MA LA DOTTRINA MORALE CATTOLICA è SEMPRE STATA CHIARA SUL TEMA. DIMENTICHI CHE I MODERNISTI, DOPO I DUE PASSI AVANTI, NE FANNO UNO INDIETRO.

E poichè da sinistra accusarono Paolo VI di essere un reazionario e un retrivo...ecco che ciò conferma come in realtà fu un ottimo Papa.

INSOMMA, PER ESSERE UN "OTTIMO PAPA" BASTA ESSERE CRITICATI DALLA SINISTRA... WOJTYLA, ALLORA, è UN FUORICLASSE...

Fece alcuni errori, ma non certo gravi.

NO NO, RIPETO, A PARTE LA DISTRUZIONE DELLA CHIESA, DELLA MESSA, DEL SACERDOZIO E DEI SACRAMENTI NON NE HA FATTI ALTRI, DI GRAVI.

Bellarmino
06-08-04, 22:47
Originally posted by franco damiani
Bellegrandi non era l'"autista di Paolo VI", ma un membro della guardia d'onore pontificia o giù di lì. E' lui a raccontare le visite notturne di Carlini in vaticano e tante altri particolari. Non mi risulta sia mai stato querelato.
Lessi che il Bellegrandi dichiarò di aver condotto l'auto di Paolo VI mentre questi era seduto sui sedili posteriori in compagnia del suo "lui". Che poi abitualmente egli non facesse l'autista di Paolo VI non penso cambi la sostanza.

Bellarmino
07-08-04, 16:46
Originally posted by Dreyer
E' evidente che continuando così non si va da nessuna parte; visto dunque che damiani cita agape e sostiene che Paolo VI abolì il divieto di cremazione perchè ricattato ( :rolleyes: ) allora egli può spiegarmi perchè la cremazione è stata proibita fino al 1963.


Qui c'è il Documento pontificio sulla cremazione (http://web.genie.it/utenti/i/interface/Cremazione.html)

Dunque, mi si spieghi dov'è il problema teologico che vieta la cremazione.
Io insisto per ribadire che non è questione di fede ma culturale; voi negate...spiegatemi il perchè.
La cremazione era, ed è, usata dai massoni e dai materialisti (soprattutto in tempi passati) in ispregio alla dottrina cristiana della risurrezione dei corpi. Per questa ragione e per la tradizione, la Chiesa ne ha sempre condannato la pratica.
Ricordo che fu vietata anche durante i secoli delle grandi pestilenze che ammorbarono l'Europa, prefendo ad essa la sepoltura dei cadaveri in fosse comuni.

Augustinus
07-08-04, 17:24
Vi riporto stralci di un mio scritto sulla cremazione, di prossima pubblicazione su un'opera enciclopedica in autunno e di cui ho appena rivisto le bozze:

Il culto dei morti (e la venerazione dei sepolcri), da secoli, è indissolubilmente connesso con il fenomeno religioso, tanto da potersi affermare che l’uno costituisce un indubbio risvolto dell’altro. Ne consegue che era più che naturale che esso venisse disciplinato dal diritto della Chiesa, continuando le tombe ad essere considerate, pur in epoca cristiana, res divini iuris (Palma).
Nella mutata visione socioreligiosa, rispetto a quella romanopagana, era più che naturale che il sepolcro – comprendendo in tale dizione sia il luogo destinato al seppellimento sia il monumento destinato alla recordatio defuncti – fosse attratto nel monopolio della Chiesa, con una progressiva “confessionalizzazione” della materia.
Addirittura le stesse questioni ereditarie divennero di competenza delle corti ecclesiastiche (Palma) ed il parroco, sovente, rivestiva le funzioni di redattore e conservatore dei testamenti (funzione della quale vi sono delle residualità, in presenza di determinate circostanze, nell’art. 609, 1° comma, c.c.). Anche le modalità di sepoltura non potevano non rientrare nell’ambito della disciplina ecclesiastica in quanto il bisogno spirituale della pietà dei defunti che i cimiteri sono chiamati a soddisfare, rappresentò per secoli, «finché la rivoluzione francese non mise in evidenza le esigenze dell’igiene pubblica, l’elemento fondamentale sul quale la Chiesa fondava l’egemonia» sugli stessi cimiteri (Clemente di San Luca).
Con l’affermarsi del Cristianesimo quale religione di Stato od ufficiale, in effetti, «non raramente, i cadaveri dei pagani e dei cristiani, esclusi dalle exsequiae e dal coemeterium rimanevano insepolti» (Suchecki). L’attrazione in ambito ecclesiastico della sepoltura e relativa regolamentazione comportò, in altri termini, «l’esclusione dalla comunione dei fideles dei non cristiani, degli apostati, dei pubblici peccatori.
Rispetto alla prassi romana, fondata sul libero esercizio della sepoltura da parte di chiunque, si sviluppò una tenace resistenza all’ammissione di non cattolici nei luoghi deputati al seppellimento» (Palma).
Analogamente, la sepoltura era anche negata ai rapitori, agli scomunicati, agli omicidi, agli incestuosi ed agli autori di violenze su ecclesiastici (Palma), nonché ai profanatori di tombe, ai sacrileghi (Gaudemet) ed ai bambini morti senza esser stati battezzati (Gaudemet).
Si riteneva, inoltre, che il luogo nel quale fosse stato inumato un infedele rimanesse profano, ed addirittura «si rendeva sconsacrato il luogo ove la sepoltura era attuata» (Palma).
Tra le modalità di sepoltura ricordate, la filosofia, la teologia ed il Magistero della Chiesa, ispirandosi alla divina rivelazione contenuta nella Scrittura ed affermata dalla Tradizione, riprovarono l’antico costume dell’incinerazione dei cadaveri. Ciò in quanto se la credenza nell’immortalità dell’anima era (ed è) patrimonio pressoché comune di quasi tutte le confessioni religiose, era invece una specificità tutta cristiana la convinzione della resurrezione dei corpi, alla fine dei tempi, costituendo quest’idea uno degli aspetti più duri da accettare ed uno dei maggiori paradossi della fede in Cristo. Proprio su questo puntum saliens, sin dai primi tempi, il Cristianesimo registrò le maggiori ostilità, essendo considerata «folle e scandalosa», del tutto inconcepibile ed inaccettabile per la cultura ellenistica e poi, si potrebbe dire, per le altre culture “laiche” e “razionali”, l’idea di un generale levarsi dai sepolcri, anche per chi fosse già ridotto in polvere (cfr. Messori; Amerio):

«Il Signore, nel suo giorno, richiamerà alla vita intera, in corpo e anima, tutti gli uomini e saprà riconoscere i suoi segnati dal segno misterioso del battesimo, senza che il fuoco, che ha incenerito i corpi, e il verde della natura, che li ha assorbiti, costituiscano un ostacolo alla sua onnipotenza. … La stessa persona che muore risorgerà. Non risorgerà una persona diversa da quella che era morta. C’è, dunque, una continuità»
(Mucci).

Di qui, l’antichissimo costume, accettato dalla Chiesa, di inumare o tumulare i defunti; costume che affondava le sue radici, in ultima analisi, nell’idea evangelica, ripresa da Paolo di Tarso e dai Padri della Chiesa, del seme interrato e del corpo seminato corruttibile che risorge incorruttibile (cfr. Gv 12, 24; 1 Cor 15, 3544; Agostino, De Civitate Dei, I, 13), imitando così la sepoltura di Gesù.
È ben vero che l’Onnipotenza di Dio, secondo la teologia cristiana, può ben ricostruire un corpo ridotto in cenere (cfr. anche Panetta). Era indubbio tuttavia che l’ignizione del cadavere costituiva un chiaro segno contrario della resurrezione, un vero e proprio «antisegno» (Messori), eliminando tutta la simbolica e la forza evocativa insite nell’inumazione e nello stesso linguaggio utilizzato, sin dai primi tempi, dal Cristianesimo.
Basti qui solo ricordare che il termine «cimitero» propriamente non rimanda ad una necropoli o «città dei morti» d’impronta pagana, bensì ad un semplice «dormitorio» (dal greco «koimáo», «dormire»), nel quale i corpi di coloro che «riposano in Dio» attendono la resurrezione finale in cui saranno anch’essi chiamati a partecipare pienamente alla vita di Cristo. Del resto, negli stessi Vangeli è sottolineato quest’ultimo aspetto, come nel caso del miracolo della resurrezione della figlia di Giairo, episodio nel quale Gesù suscita il sorriso di coloro che gli erano intorno allorché dichiara che la piccola figlia di Giairo «non è morta, ma dorme» (cfr. Mt. 9, 18-26; Mc 5, 21-43; Lc 8, 40-56).
Il simbolismo dello stesso deporre il cadavere, affidandolo in una sorta di custodia e deposito alla terra, in attesa che possa restituirlo alla fine dei tempi, costituiva e costituisce tuttora un fattore di forte valenza figurativa e di impatto culturale. Spiega un autore:

«Come si deposita in banca una somma di denaro con lo scopo di ritirarla con gli interessi maturati, così i cristiani hanno affidato e affidano i loro corpi alla terra, come deposito, in attesa e nella fede di esserne nuovamente rivestiti nel giorno che il Signore soltanto conosce. Nella cremazione e nella dispersione delle ceneri sembra invece esprimersi una simbologia che implica, nel contesto dell’attuale cultura, una concezione diversa della sorte dell’uomo»
(Mucci).

Di qui anche la scarsa adesione alla pratica della cremazione da parte d’ampi strati di popolazione in Stati tradizionalmente cattolici, anche ai nostri giorni, nonostante la vasta adesione a tale pratica da parte di personaggi “famosi”, come, ad es., Carmelo Bene, Giuliana Nenni (figlia di Pietro), Pietro Valpreda, Franco Lucentini, Carlo Galante Garrone, Claudio Villa, Walter Chiari, Silvana Mangano, Enzo Tortora, Lina Volonghi, Elsa Morante, Goffredo Parise, Cesare Musatti, Gianni Versace, Michele Alboreto, Giorgio Strehler, Antonio Gramsci, Mia Martini, Luchino Visconti, Dino Buzzati, Fabrizio De André, Moana Pozzi e Renato Guttuso.
Durante le prime persecuzioni, non a caso, i Cristiani, assai spesso, rischiavano la vita per seppellire i corpi delle vittime, sottraendoli alla furia ed all’odio distruttore dei pagani che, quale suprema onta, ne bruciavano i corpi e disperdevano le ceneri.
Non desta pertanto meraviglia se un Padre della Chiesa, Tertulliano, definì la cremazione come «consuetudine atrocissima» e se un Concilio, convocato l’8 maggio 627 nella città di Toledo (III Concilio di Toledo), dichiarò la sepoltura dei defunti (mediante inumazione o tumulazione) come «ininterrotta e sempre praticata prassi della Chiesa» (cfr. Amerio). Carlo Magno, nel 785, con la conversione del re Sassone Witikingo, nel Capitulare Paderbrunnense per i Sassoni pagani, tra l’altro vietò, sotto pena di morte, il rito pagano della cremazione dei defunti (in PL 97, 145). La ragione di una tal pena risiedeva nel fatto che

«con l’espansione missionaria si venne a contatto con popoli che praticavano ordinariamente la cremazione. A questi popoli, i missionari proponevano il funerale di rito cristiano. In questi luoghi, dove entrò la semplice inumazione, la cremazione sembrò fin da questo momento il rito caratteristico del paganesimo. Nei territori dove utilizzavano la cremazione si nota un cambiamento enorme delle strutture e delle consuetudini dal momento in cui fu acquisito il diritto alla libera espressione culturale rivendicata per i Cristiani»
(Suchecki).

Lungo il corso dei secoli, la Chiesa vigilò attentamente affinché fosse data ai defunti dignitosa sepoltura, tutelandone il culto, con le eccezioni surricordate.
Sintomatica di questa tutela della pietas e delle pie intenzioni in materia fu la condanna ecclesiastica di un tipo particolare di cremazione. Durante l’epoca delle Crociate, in effetti, tra l’XI ed il XIII secolo, si venne affermando – essenzialmente per ragioni di praticità (analoghe per certi versi a quelle che avevano ispirato popolazioni guerresche come i Romani a praticare la cremazione) – la macabra consuetudine di fare a pezzi e cuocere, al fine di staccarne le carni, i cadaveri dei nobili e funzionari morti lontano dalle loro terre, specialmente durante spedizioni militari, per poter spedire (facilitando il trasporto) o seppellire i soli scheletri nei propri paesi. Era la c.d. pratica della scarnificazione (cfr. anche Suchecki). A tale trattamento furono sottoposti Federico Barbarossa nel 1167; San Luigi (Ludovico) IX, re di Francia, nel 1270; Filippo IV, re di Francia; Isabella d’Aragona, ed altri.
Papa Bonifacio VIII, con una decretale del 21.2.1300, Detestandae feritatis abusum (in Extrav. Comm., De sepulturis, III, 6), condannò queste

«“[Horribili] hic horror exprimunt” sevizie, prima di tutto perché esse sono contrarie all’antichissima tradizione cristiana ed umana, all’uso antico quanto lo stesso genere umano, e radicato nei giusti sentimenti di riverenza per il corpo umano. Per queste ragioni non merita d’essere approvato ed ammesso quell’abuso. La riverenza dovuta al corpo umano in quell’atto indegno si trasforma in odio verso di esso: “ne abusus praedicti saevitia ulterius corpora humana dilaceret, mentesque fidelium horrore commoveat […]”»
(Suchecki).

Tale usanza era ispirata da un’errata nozione di pietà. Per questa ragione era comminata la grave pena della scomunica, riservata alla Sede Apostolica, per chiunque avesse arrecato perturbazione e danno al corpo dei defunti (Suchecki. Cfr. Sguerzo).

Augustinus
07-08-04, 17:28
Nei secoli successivi, sino al XVIII-XIX sec., non ci furono più interventi ufficiali da parte della Suprema Autorità della Chiesa. Si dovette attendere il secolo dei Lumi per veder riaffiorare l’idea della cremazione, sostenuta, da un lato, per ragioni d’igiene e, dall’altro, per motivazioni areligiose, in odio e disprezzo alla religione cattolica (cfr. Sozzi e Porset).
Intento principale di questa corrente filosofica – che troverà pratica attuazione durante gli anni della Rivoluzione francese e di Napoleone – era quello di “laicizzare” o, più correttamente, “scristianizzare” l’Europa, sostituendo al culto cattolico un vago deismo, fondato sulla Dea Ragione e sull’Essere Supremo. In quegli anni tormentati, numerose furono le proposte per l’introduzione in Francia della cremazione. Soltanto però nel 1887 tale modalità di sepoltura entrò nell’ordinamento francese. Ciò lo si comprende perché, in quegli anni, la Francia viveva sotto la Terza Repubblica che, braccio secolare della massoneria più anticlericale, si richiamava ossessivamente all’eredità rivoluzionaria.
L’art. 3 della l. 15.11.1887, infatti, permise a chiunque di regolare le modalità della propria sepoltura, intendendo con tale espressione non soltanto l’inumazione, ma anche la cremazione. Alla legge fu data attuazione con il decreto 27.4.1889. Dalla Francia, comunque, questo crogiuolo di idee ed iniziative legislative pro cremazione si estesero in tutt’Europa: dalla Germania, all’Italia, al Regno Unito (cfr. Suchecki).
La Chiesa, da parte sua, pur non facendo della materia oggetto di verità di fede e pur non ritenendo, a stretto rigore, la cremazione contraria alla Divina Rivelazione, non mancò di pronunciarsi negativamente sulla suddetta modalità di sepoltura, in quanto proposta in odio alla fede (cfr. Sguerzo).
A tal riguardo, l’allora Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione, con proprio decreto Quoad cadaverum cremationes del 19.5.1886 (in ASS, XIX[1886], 46, nonché in Denzinger, n. 3188), rispose a due quesiti: se fosse lecito per i fedeli, da un lato, iscriversi a società per la cremazione e se fosse altresì consentito ai fedeli assentire alla cremazione del cadavere proprio o dei parenti. Ad entrambi i quesiti fu data risposta negativa, con la precisazione, riguardo al primo, che «se si tratta di associazioni affiliate alla setta massonica, si incorre nelle pene comminate contro di questa».
Nella clausola di approvazione del decreto, il Pontefice allora regnante, Leone XIII, invitava gli Ordinari a trasmettere ai fedeli della propria circoscrizione ecclesiastica la dottrina tradizionale della Chiesa, onde evitare l’abuso della cremazione dei cadaveri (Suchecki).
La stessa Congregazione tornò a pronunciarsi sull’argomento con decr. 15.12.1886, Quoad corporum creamationem (in ASS, XXV [1892-1893], 63, nonché in Denzinger, n. 3195-3196), ripubblicato tre anni dopo con un titolo diverso (decr Quoad cremationem aliena voluntate peractam, in ASS, XXIX [1896-1897], 642). In questo caso, il Dicastero pontificio precisò che, qualora si tratti di corpi di persone che, non per loro volontà, ma per volontà altrui, sono stati cremati, evitato lo scandalo, fosse lecito utilizzare i riti prescritti per la sepoltura ecclesiastica ed i suffragi in chiesa, non però sino al luogo di cremazione. Si aggiungeva, inoltre, che lo scandalo potesse essere rimosso rendendo noto che la cremazione non era stata scelta di propria volontà dal defunto, ma da altri. Si ribadiva, infine, che qualora, invece, la cremazione fosse stata scelta di propria volontà ed il soggetto avesse perseverato in essa in modo certo e notorio, in tal caso avrebbe dovuto negarsi la sepoltura ecclesiastica. Nei casi particolari e dubbi, in ogni caso, si doveva consultare l’Ordinario del luogo (cfr. Suchecki).
Il medesimo interrogativo fu nuovamente posto alla Sacra Congregazione del Sant'Uffizio negli anni ’30 del ‘900 da un vescovo locale. In special modo si domandavano lumi circa il modo di procedere nel caso in cui la cremazione non fosse stata scelta dal defunto, ma da altri. La predetta S. Congregazione, con responso del 14.4.1930 (cfr. Dalpiaz; Suchecki), ribadì che, evitato lo scandalo e fatto noto che la scelta di cremare non fosse stata compiuta dal defunto ma da altri, in tal caso non avrebbero potuto negarsi le esequie ecclesiastiche.
Un secondo interrogativo era stato posto, sempre alla S. Congregazione R. U. Inquisizione, dall’arcivescovo di Friburgo nel 1892. In effetti, le pene canoniche stabilite dalla Suprema Autorità suscitavano i dubbi di quei sacerdoti chiamati ad amministrare i sacramenti ed a celebrare celebrazioni eucaristiche di suffragio per persone che sceglievano la cremazione. A ciò si aggiungeva un ulteriore interrogativo: se cioè se fosse lecito per un fedele collaborare alla cremazione dei cadaveri, come nel caso di medici necroscopi o funzionari od operai addetti al forno crematorio e se fosse lecito amministrare i sacramenti a tutti questi soggetti se da tale attività non vogliono o non possono desistere.
La Congregazione, con proprio responso 27.7.1892 (in Denzinger, nn. 3276-3279), precisò che a coloro i quali, una volta ammoniti, non avessero ritrattato la disposizione della cremazione del loro corpo, non venisse accordato il conforto dei sacramenti, evitato comunque lo scandalo. Parimenti, per quanto riguardava l’applicazione del sacrificio eucaristico in suffragio dei fedeli defunti, i cui corpi «sono stati cremati non senza loro colpa», il Dicastero pontificio rispose negativamente «per quanto riguarda l’applicazione pubblica della messa», ma affermativamente circa l’applicazione privata. In merito alla seconda parte dei quesiti, e cioè se fosse lecita la collaborazione di cattolici alla cremazione, fu risposto che, in linea di principio, non era mai lecita siffatta collaborazione, ma che tuttavia talvolta poteva tollerarsi una «collaborazione materiale», purché essa non fosse considerata come un segno di protesta della setta massonica, non esprimesse un rifiuto della dottrina cattolica o che i soggetti predetti fossero stati chiamati a collaborare in disprezzo della religione cattolica, fermo restando, comunque, che chiunque avesse collaborato alla cremazione doveva essere pur sempre ammonito.
Quest’applicazione rigorosa dei precetti del S. Uffizio portò a ritenere che non fosse possibile rifiutare i sacramenti ed i sacramentali a coloro che avessero optato per la cremazione per ragioni diverse da motivi antireligiosi, come ragioni d’igiene, di progresso, ecc. (Così Suchecki).
Le disposizioni sinora esaminate furono tutte inserite puntualmente nella codificazione pianobenedettina del 1917.
Innanzitutto, venivano in rilievo i cann. 1203 e 1204, disciplinanti la sepoltura ecclesiastica.
Il can. 1203 § 1 esordiva imponendo la sepoltura dei corpi dei defunti e riprovando la violenta distruzione con il fuoco del cadavere:

«Fidelium defunctorum corpora sepelienda sunt, reprobata eorundem crematione».

La categoricità del divieto faceva sì che una volontà espressa, in un contratto o testamento o altro atto, di voler essere cremati fosse da considerare giuridicamente illecita e, come tale, non apposta (can. 1203 § 2):

«Si quis quovis modo mandaverit ut corpus suum cremetur, illicitum est hanc exsequi voluntatem; quae si adiecta fuerit contractui, testamento aut alii cuilibet actui, tanquam non adiecta habeatur».

Viene affermato, riguardo a tali due disposizioni, che:

«Questa disciplina molto severa contraria alla cremazione è stata presentata in punti molto chiari. I decreti di condanna della cremazione da parte del S. Ufficio, emanati in seguito alla diffusione del “Movimento per la cremazione” sostenuto ed appoggiato da varie società massoniche, restano tuttavia in pieno vigore, assieme alle disposizioni del Codice, ove la cremazione è voluta e intesa da persone o ambienti come espressione sensibile e simbolica antireligiosa, specie della non esistenza dell’aldilà, della negazione dell’immortalità dell’anima e della resurrezione dei corpi, come professione esplicita di materialismo, come significato di estrema ostilità alla fede cristiana, di assoluto rifiuto di ogni forma di conforto religioso e di suffragio.
In questo divieto perde la sua forza il contratto, testamento o qualunque altro atto con cui una persona ordina che il suo corpo venga cremato. Questo tipo di divieto viola la volontà del defunto, rendendola e nello stesso tempo considerandola come illecita: “illicitum est hanc exsequi voluntatem”. Tuttavia, l’esecuzione della volontà del defunto è considerata e trattata come non posta: “tanquam non adiecta habeatur”»
(Suchecki).

Il can. 1204 forniva una definizione di «sepoltura ecclesiastica» conforme alla Tradizione della Chiesa cattolica (cfr. Bernardini):

«Sepultura ecclesiastica consistit in cadaveris translatione ad ecclesiam, exsequiis super illud in eadem celebratis, illius depositione in loco legitime deputato fidelibus defunctis condendis».

Il successivo can. 1240 § 1, negava la sepoltura ecclesiastica a coloro che, senza mostrare alcun segno di pentimento in punto di morte, si fossero resi colpevoli di determinati delitti canonici. Tra questi erano privati della sepoltura ecclesiastica, oltre ai c.d. peccatori manifesti (can. 1240 § 1 n. 6), coloro «qui mandaverint suum corpus cremationi tradi» (can. 1240 § 1 n. 5). Si trattava di una vera e propria pena canonica, che il Codex del 1917 annoverava tra le c.d. pene vendicative (cfr. can. 2291).
In ogni caso, la disposizione del legislatore canonico di cui al can. 1240 § 1 andava interpretata secondo quanto indicato dalla risposta della Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del codice del 10.11.1925 (in AAS, XVII[1925], 583), in base alla quale, anche se la volontà espressa da colui che avesse disposto la cremazione del proprio cadavere non avesse trovato esecuzione, doveva negarsi al defunto la sepoltura ecclesiastica.
L’istruzione De crematione cadaverum dell’allora Sacra Congregazione del Sant'Uffizio del 19.6.1926 (in AAS, XVIII[1926], 282, ed in Denzinger, n. 3680) riassumeva la posizione della Chiesa cattolica in materia di cremazione, riprovando il «barbarum hunc morem» di cremare i cadaveri, da parte di alcuni cattolici, sotto il pretesto del progresso civile della scienza, per la salvaguardia della salute, ecc., dato che, con la combustione dei corpi, si esprimeva comunque una convinzione contraria all’insegnamento di un’esistenza oltremondana e della resurrezione dei corpi. Ciononostante, pur ribadendo tutte le precedenti condanne, si chiariva che la cremazione, in sé, non era da ritenersi pratica intrinsecamente negativa e che, anzi, in particolari circostanze ben potessero esistere ragioni di bene pubblico che suggerivano di praticare la cremazione, come ad es., porre un argine ad una pestilenza o in casi di guerre, ecc. (cfr. Panetta; Berutti).

Augustinus
07-08-04, 17:35
Con il Concilio Vaticano II ed il rinnovamento liturgico, da esso scaturito, la Chiesa ha in parte rivisitato la propria posizione tradizionale sulla cremazione.
La Sacra Congregazione del Sant'Uffizio, per questo, innovò la disciplina codiciale del 1917, attenuandone in parte il rigore, con l’Istruzione Piam et constantem de cadaverum crematione del 8.5.63/3.7.63 (in AAS, LVI[1964], 822; nonché in Denzinger, n. 4400), permettendosi la cremazione delle salme nella consapevolezza, in certune circostanze, della difficoltà di trovare in alcune regioni ubicazioni che soddisfino le prescrizioni per l’apertura di cimiteri, oppure che l’inumazione o la tumulazione possono contraddire in alcune parti del mondo il comune sentimento religioso lì imperante, come ad es. in India, in Cina, in Giappone, ecc.
Si chiariva, tuttavia, sin dall’esordio del documento, che la Chiesa cattolica si era sempre adoperata affinché fosse conservata, tra i fedeli, la pia pratica dell’inumazione dei cadaveri e che, per tale ragione, aveva comminato sanzioni canoniche contro coloro che per animo avverso ai dogmi cristiani avevano agito contro sì salutare prassi; d’altro canto, la cremazione in sé, non toccando l’anima del defunto, non era da considerarsi un ostacolo all’onnipotenza divina di ricostruire il corpo e, per questo, non negava i dogmi cristiani.
Come notato da un autore, dall’Istruzione poteva evincersi che

«anche se la Chiesa [era] ben lungi dall’accettare la cremazione come una delle forme lodevoli di seppellimento dei cadaveri, tuttavia questa resta[va] tollerata, pur permanendo di fatto una certa riprovazione oggettiva».
(Sguerzo)

Per tale motivo si stabiliva che gli Ordinari dei luoghi si adoperassero presso i fedeli loro affidati perché avessero ogni cura affinché fosse mantenuta la consuetudine di seppellire i cadaveri dei fedeli (punto sub 1 dell’Istruzione). Parimenti, prendendo coscienza dell’attenuarsi, se non del mutare dei sentimenti nei riguardi della Chiesa e delle sue verità in coloro che chiedevano la cremazione, venivano mitigate le sanzioni canoniche, stabilendosi che (punto sub 2 dell’Istruzione):

«Tuttavia, per non accrescere le difficoltà di ogni sorta e per non moltiplicare i casi di dispensa dalle leggi vigenti, è sembrato conveniente apportare qualche mitigazione alle disposizioni del diritto canonico, così che quanto è stabilito nel can. 1203, § 2 (vietata esecuzione del mandato di cremazione) e nel can. 1240, § 1, 5° (diniego di sepoltura ecclesiastica a chi ha chiesto la cremazione) non sia più da osservarsi in tutti i casi ma solo quando consti che la cremazione sia voluta come negazione dei dogmi cristiani, o con animo settario, o per odio contro la religione cattolica e la chiesa».

Ne conseguiva che a chi avesse chiesto la cremazione del proprio cadavere non si dovevano negare, per ciò solo, i sacramenti ed i pubblici suffragi, salvo che constasse che il soggetto avesse compiuto la detta scelta per motivi ostili alla vita cristiana (punto sub 3 dell’Istruzione). La prospettiva, quindi, da un punto di vista soggettivo, era completamente invertita rispetto al passato, allorché la cremazione faceva presumere iuris tantum che essa fosse (sempre) stata disposta per sentimenti anticristiani (Sguerzo).
Da ciò derivava che le disposizioni contenute nel Codice del 1917 e nella successiva istruzione dell’allora Sacra Congregazione del Sant'Uffizio del 1926 non si sarebbero più dovute osservare universaliter, ma soltanto qualora fosse parso evidente che la cremazione fosse voluta in odio e spregio della Chiesa (Sguerzo).
In ogni caso era sancito che:

«Per non indebolire l’attaccamento del popolo cristiano alla tradizione ecclesiastica e per mostrare l’avversione della chiesa alla cremazione, i riti della sepoltura ecclesiastica ed i susseguenti suffragi non si celebreranno mai nel luogo ove avviene la cremazione e neppure vi si accompagnerà il cadavere»
(punto sub 4 dell’Istruzione).

Qualche anno dopo, la Congregazione per il Culto divino, con il decreto Ritibus exsequiarum quo Novus Ordo exsequiarum promulgatur, del 15.8.69, prot. n. 720/69, promulgò il rito delle esequie, con cui fu stabilito, nelle Premesse (punto sub 15):

«A coloro che avessero scelto la cremazione del loro cadavere si può concedere il rito delle esequie cristiane, a meno che la loro scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana: tutto questo, in base a quanto stabilito dall’Istruzione della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, De cadaverum crematione, in data 8 maggio 1963, nn. 23».

Il rito delle esequie richiamava soltanto i punti subb 2 e 3 dell’Istruzione Piam et constantem, e non anche quello successivo (sub 4). Ciò comportava un ulteriore passo avanti a favore della cremazione, «riguardante il luogo ed il modo con il quale viene celebrato il rito della sepoltura, nel caso in cui alcuni scelgano la cremazione» (Suchecki), ammettendosi che la celebrazione del rito della sepoltura ecclesiastica potesse avvenire anche in presenza dell’urna cineraria e svolgersi, oltre che nella cappella cimiteriale o presso la tomba, pure nella stessa sala crematoria, «cercando di evitare con la debita prudenza ogni pericolo di scandalo o di indifferentismo religioso» (cfr. Panetta).
Inoltre, la S. Congregazione per la dottrina della fede, con decreto 20.9.73 (in AAS, LXV[1973], 500), stabilì, in relazione alla disposizione di cui al can. 1240 § 1 del Codice del 1917, che «non si proibiscano le esequie ai peccatori manifesti se, prima di morire, abbiano mostrato qualche segno di penitenza ed evitato il pubblico scandalo tra gli altri fedeli».
Cadeva così pure l’elenco tassativo degli esclusi dalle esequie ecclesiastiche contenute nel can. 1240 § 1 n. 6, affidandosi alla discrezione dell’interprete, se si tratti di un peccatore manifesto nonché la valutazione (assai incerta) del «qualche segno di penitenza» (aliqua poenitentiae signa) (Sguerzo).
Le novità introdotte in epoca postconciliare furono sostanzialmente mantenute nel nuovo Codice di diritto canonico, promulgato nel 1983. Questo, al can. 1176 § 3, recita che:

«La Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana».

Ai fedeli è vivamente raccomandata la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti, attribuendo a questa prassi la massima importanza e consolidando così la sua forza normativa (Così Suchecki), giacché «la Chiesa preferisce l’inumazione che meglio esprime la fede nella resurrezione e l’onore dovuto al corpo e ricorda che il Signore stesso fu sepolto» (Mucci).
Tuttavia il Codex non vieta la cremazione, a condizione che la scelta non sia frutto di ragioni contrarie alla fede cristiana.
Proprio per detta ragione, il successivo can. 1184 § 1, in merito ai soggetti che devono essere privati delle esequie ecclesiastiche, se sino alla morte non mostrarono alcun segno di pentimento, annovera al n. 2, «coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana».
La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, da ultimo, con decreto 17.12.01, prot. n. 1532/00/L, ha emanato il Direttorio sulla pietà popolare al la Liturgia. Principi ed orientamenti, in cui, al punto n. 254, viene trattata la materia della cremazione, chiarendosi che, anche in tal caso, comunque alle urne deve assicurarsi adeguata sepoltura, evitandosi di conservarle nelle civili abitazioni:

«La pietà popolare è lontana dalle pratiche della mummificazione, dell’imbalsamazione e della cremazione dei corpi, poiché esse inducono l’idea che la morte provochi la distruzione totale dell’essere umano; essa dunque ha ritenuto l’inumazione come il modello di sepoltura per il fedele. In effetti, questa evoca, da una parte, la terra da cui l’uomo è tratto (cfr. Gen 2, 6), e alla quale deve ritornare (cfr. Gen 3, 19; Sir 17, 1) e, dall’altra, essa si rifà alla sepoltura di Gesù, chicco di grano caduto in terra, che porta molto frutto (cfr. Gv 12, 24).
Ad ogni modo, nella nostra epoca, la pratica della cremazione si diffonde per delle ragioni legate alle trasformazioni delle condizioni di vita e di ambiente. … I fedeli che hanno compiuto tale scelta sono espressamente invitati a non conservare le urne dei defunti dei loro familiari nelle proprie abitazioni, ma a donare a queste una sepoltura decente, fino a quando Dio farà risorgere coloro che riposano nella terra ed il mare renda i morti che contiene (cfr. Ap 20, 13)».
(Direttorio sulla pietà popolare al la Liturgia. Principi ed orientamenti, § n. 254).

Augustinus
07-08-04, 17:41
Forse può essere utile notare come anche l'ebraismo o giudaismo ortodosso nonchè l'islamismo sono contrari alla cremazione:

Le altre confessioni cristiane, in special modo le chiese nate dalla c.d. riforma protestante, hanno, nei riguardi delle modalità di sepoltura una concezione ampiamente liberale; non reputando di aderire ai rigorismi, almeno passati, della Chiesa Cattolica, lasciano libertà di scelta delle modalità di sepoltura al singolo fedele ed ai parenti.
Unica eccezione degna di nota è rappresentata dalle Chiese ortodosse, che, invece, onorevolmente conservano una posizione sul punto assai rigorosa ed assolutamente contraria alla cremazione.
L’Ebraismo così come l’Islam hanno avuto, almeno sotto quest’aspetto, una posizione molto simile a quella tradizionale della Chiesa Cattolica.
Il rito ebraico tradizionale della sepoltura vieta la cremazione dei defunti. Questi sono inumati nel cimitero ebraico, il beth hachajìm, cioè “casa della vita” o “dei viventi”, in quanto i defunti continuano a vivere nel ricordo delle generazioni successive e dei parenti, attraverso le sue opere ed i suoi studi, nonché nella preghiera del Kaddish. Il cimitero deve essere, se possibile, ubicato su un pendio rivolto ad Est, dato che le tombe devono essere rivolte verso Gerusalemme.
Dopo la morte il defunto, subito il lavaggio rituale, rivestito di abiti funebri ed allineate le braccia lungo il corpo (mai incrociate!), è, laddove le leggi statali lo permettano, calato nella terra, avvolto in un semplice lenzuolo che copra tutta la salma. Anche quando si debba porre il corpo in una cassa in legno, esso deve essere ricoperto di un lenzuolo.
Tutto ciò per accelerare il processo decompositivo, in ossequio al precetto biblico “dalla polvere sei stato tratto ed in polvere tornerai”. Il libro del Deuteronomio (21, 23), uno dei cinque libri della Legge, la Torah, e la tradizione giudaica prescriverebbero di seppellire i morti e di avere rispetto per i corpi dei defunti. Nel Talmud babilonese (Shabbat, 46b), dove si raccolgono le tradizioni ed i codici rabbinici, si ordina che si debba procedere alla sepoltura lo stesso giorno del decesso, pena la trasgressione del comandamento di Dio dato nella Torah. È da avvertire che, quando si debbano trasportare, per volontà del defunto, i suoi resti nel luogo da lui designato per l’inumazione, come precisa un maestro dell’Ebraismo, rabbi Moshé Isserles (noto con l’acronimo HaRemà), vissuto nel XVI secolo, nel suo commento (glossa) all’autorevole codificazione di rabbi Josef Caro, Shulchan Arukh (Joré Deà, 363, 2), può ritenersi ammissibile l’uso di calce per accelerare il processo di decomposizione. Questo costume è assai usuale tra gli Ebrei portoghesi.
Per le ragioni religiose surriportate, comunque, sono rigorosamente vietate la cremazione e l’esumazione. Secondo l’Ebraismo tradizionale o ortodosso, infatti, la cremazione sarebbe un rito pagano, che mancherebbe di rispetto per il corpo umano. Per questo essa è guardata con orrore. Essa sarebbe contraria allo spirito ed alla tradizioni del giudaismo.
La Mishnah (Avodah Zarah, 1, 3) considera, in special modo, i roghi accesi per la cremazione una pratica idolatra. Così dice il Signore per bocca del Profeta Amos:

«Per tre misfatti di Moab e per quattro non revocherò il mio decreto, perché ha bruciato le ossa del re di Edom per ridurle in calce»
(Amos, 2, 1).

Può desumersi quindi, dai brani della stessa Scrittura, «che la cremazione offende e viola i corpi e le consuetudini contenute nella tradizione del popolo» e che «l’incinerazione è considerata come un crimine» (Suchecki).
La cremazione distruggerebbe, tra l’altro, il coccige, l’osso cioè posto alla base della colonna vertebrale, da cui, secondo i rabbini e la tradizione ebraica, dovrebbe aver inizio la resurrezione.
Nulla escludeva, analogamente a quanto previsto dalla Chiesa Cattolica, tuttavia, che potesse farsi ricorso alla cremazione quale misura di emergenza, in occasione di calamità (Suchecki. Cfr. Amos, 6, 10) o di guerre.
Il caso della cremazione di re Saul e dei suoi figli, riportato nella Scrittura (1 Sam 31, 12-13), è giustificato dai biblisti e dagli storici con la convinzione che si sia trattata di una cremazione non completa, che non bruciò le ossa, tanto da essere queste ultime sepolte sotto la quercia in Iabes, come riportato da 1 Cron 10, 11-12 (Suchecki). In tal maniera, le ossa di Saul e dei suoi figli, dopo l’umiliazione subita dai nemici, sarebbero state meglio conservate e preservate da ulteriori offese. Né, d’altro canto, è da escludersi l’ipotesi che coloro che praticarono tale cremazione l’abbiano fatto «sotto l’influsso della cultura dei Sumeri e degli Accadi di razza semitica» (Suchecki). Presso i Sumeri ed i popoli mesopotamici, infatti, la cremazione «era ritenuta un privilegio per i sacerdoti e per un gruppo ristretto di nobili», assicurando ad essi una degna sepoltura (Suchecki).
Ad ogni modo, il successore di Saul, Davide, non rimproverò coloro che praticarono la cremazione, ne comprese le ragioni, ma procedette successivamente alla sepoltura tradizionale dei resti del re ucciso e dei suoi figli (Suchecki. Cfr. 2 Sam 21, 13-14).
La tradizione rabbinica successiva, ed in special modo del rabbino Schelomò ben Izchak (comunemente noto con l’acronimo Rashì), però, ravvisò nella cremazione dei corpi di Saul e dei suoi figli la causa di una grave carestia, durata tre anni, che colpì il Regno d’Israele ai tempi del Re Davide a cui fa cenno la Scrittura (2 Sam 21, 1) (Rashì, 2 in riferimento al passo biblico citato. Cfr. anche Yeb, 78b).
In epoca moderna, la domanda circa la liceità o meno della cremazione è stata assai discussa, dal momento che nessuna menzione è fatta alla cremazione nella letteratura talmudica. L’incertezza circa l’esistenza di una norma espressa nell’Antico Testamento che prescriva la sepoltura del corpo umano (intesa come inumazione) e l’unicità del solo insegnamento dello Shulchan Arukh (Joré Deà, 362) secondo cui «la sepoltura nella terra è un ordine positivo», fanno ritenere ammissibile la cremazione. Anzi, a stretto rigore, da un punto di vista religioso, non vi sarebbero veri e propri argomenti contrari, come dichiarato dal grande maestro dell’Ebraismo rabbi Moshé ben Maimon o Maimonide (Teshuvà, 8, 2, 3). Ed un altro rabbino ebreo, Joseph Albo, addirittura criticava alcuni suoi correligionari (Abraham ibn Daud e Nahmanide) per la loro opposizione a tale pratica (Ikkarim, 4, 30).
Alla corrente dell’Ebraismo ortodosso se ne contrappone una più liberale, la quale si richiama ai suddetti insegnamenti più “aperti” e non crede alla resurrezione dei corpi, ritenendo che il corpo non sia altro che una sorta di vaso d’argilla, di per sé non immortale. Per questo, gli ebrei appartenenti a questa corrente, anche per ragioni squisitamente ecologiche ed ambientalistiche, ritengono preferibile la cremazione all’inumazione, lasciando, comunque, libertà di scelta tra l’una o l’altra modalità di sepoltura e stabilendo che se una persona desideri essere cremata nessuno possa vietarglielo, nemmeno i parenti.
Invero deve registrarsi, che, quando nel ‘700-‘800, si cominciò a profilare l’idea della pratica della cremazione, pure le autorità rabbiniche ortodosse assunsero una posizione moderata, precisando che la modalità ordinaria di sepoltura fosse da considerarsi l’inumazione, ma che tuttavia era consentito seppellire nella terra, nei cimiteri delle comunità, le urne cinerarie.
Tuttavia, anche in presenza di cremazione, è comunque vietata l’esumazione. A tale scopo, in Italia, a mente dell’art. 16, l. 8.3.89, n. 101,

«le sepolture sono perpetue, secondo la legge e la tradizione ebraiche, in deroga a quanto prevede l’art. 91 del d.p.r. 21.10.75, n. 803 [ora art. 92, comma 1°, d.p.r. 10.9.90, n. 285, ndr] sul servizio funerario, che fissa la durata della concessione comunale in novantanove anni. Perciò, ogni volta in cui vi sia tale scadenza, la concessione è rinnovata per un termine di uguale durata, in perpetuo. Gli oneri finanziari inerenti a tali rinnovi delle concessioni sono a carico degli ebrei interessati ai sepolcri, ossia a carico dei familiari dei defunti. In mancanza di tali interessati, l’onere del rinnovo grava sulla Comunità competente per territorio o sull’Unione delle Comunità»
(Finocchiaro).

Per quanto concerne l’Islam, tutte le tradizioni mussulmane sono concordi nel ritenere che il credente goda di un’immunità ed una dignità, tanto da vivo quanto da morto, secondo quanto indicato da Allah e riportato nel Corano (sura XVII, 70). In ragione di questa dignità nell’Islam non è consentita la cremazione dei mussulmani. Si legge nel libro sacro all’Islam, il Corano, che Dio ha detto:

«Dalla terra vi abbiamo creati, nella terra vi facciamo ritornare e dalla terra vi faremo uscire una seconda volta»
(sura XX, 55).

Ed ancora, si narra che un corvo, mandato da Dio, abbia mostrato a Caino, scavando la terra, «come nascondere il cadavere del fratello» Abele (sura V, 31).
Il giuristi mussulmani consentono tuttavia di mettere a morte mediante il fuoco un soggetto in virtù della legge del taglione (sura XVI, 126; II, 174) o quando abbia commesso un atto omosessuale.
In certi paesi arabi, come l’Egitto, esistono forni crematori ed è consentita la cremazione per coloro le cui norme religiose consentono l’incinerazione.
In una fatwa (parere legale), nel 2001, diffusa su internet, sollecitata dai mussulmani viventi in Occidente, è stata data la seguente risposta:

«L’Islam vieta rigorosamente di punire un vivente con il fuoco. Per questo, quando il Profeta ha visto i suoi seguaci bruciare un formicaio, ha detto loro: “Non può essere punito con il fuoco il padrone del fuoco”. Allo stesso modo, è vietato bruciare i morti in ragione del detto di Maometto: “ciò che fate soffrire ai viventi, fate soffrire al defunto”. L’Islam insiste sul fatto che l’acqua che occorre a lavare il defunto deve essere riscaldata ad un grado mediamente sopportabile e non faccia soffrirlo. Si può immaginare che il morto sia vivente, di cui si deve tener conto per ciò che si potrebbe fargli di male e di ciò che si sarebbe utile. Così l’acqua non sarà riscaldata e portata ad ebollizione perché la sua pelle non ne si distacchi. A maggior ragione, è vietato bruciare i morti.
Non esiste una pratica della cremazione dei morti mussulmani nei paesi arabi, poiché questo rituale si ricollega a delle religioni e dei gruppi religiosi celesti [cioè estranei all’Islam, ndr]. Una tale pratica non si trova né presso i mussulmani, né presso i giudei, né presso i cristiani. Ed io non conosco alcun mussulmano in un Paese occidentale che abbia domandato di farsi cremare, a meno che non abbia seguito, prima della morte, altri insegnamenti piuttosto che quelli dell’Islam o abbia mutato la sua religione. Ed in detta ipotesi, noi non possiamo considerarli mussulmani né tenerne conto nel nostro parere legale (fatwa)»
(Traduzione dal francese della risposta alla questione posta al Servizio di fatwa di islam-online il 10 maggio 2001).

A riprova di questa generale riprovazione, può segnalarsi il fatto che taluni gruppi islamici fondamentalisti, dediti ad azioni di stampo terroristico, come l’attuale GIA (Gruppo islamico armato), operante in Algeria, ricopre di un profondo significato simbolico la propria azione: così l’uccisione delle vittime è accostata a quella degli animali impuri; lo sgozzamento, tramite il taglio della gola, assolve alla funzione di purificazione mediante il sangue; la decapitazione avrebbe la finalità di impedire la ricomposizione dei corpi nel Giorno del Giudizio; la cremazione, infine, anticiperebbe, in un certo senso, il tormento eterno a cui Dio destinerebbe i rinnegati ed i miscredenti.
La tradizione islamica, inoltre, come traspare dalla suddetta fatwa, sulle modalità di sepoltura si rifà moltissimo alle usanze giudaiche tradizionali. È ben vero che il Corano nulla dice su dette modalità, ma i giuristi mussulmani, attingendo da alcuni presunti detti del profeta (hadith), hanno dettato precise disposizioni a tal riguardo, come ad es. che i martiri, a differenza dagli altri defunti, non devono essere lavati, ma, avvolti in un semplice lenzuolo, devono essere interrati in una fossa con i loro stessi abiti, perché saranno «lavati dagli angeli», come afferma Maometto (Aldeeb Abu-Sahlieh).
Generalmente, poi, ripugna all’Islam l’uso di una cassa (o feretro), sebbene essa possa venire utilizzata allorché la terra entro cui seppellire il defunto sia umida, tanto da accelerare la decomposizione del cadavere; ovvero si debba seppellire una donna e si voglia evitare che mani sacrileghe possano toccarla; o, ancora, allorché non sia possibile avvolgere il corpo in un lenzuolo o vi sia pericolo che animali selvatici possano dissotterrare il corpo e distruggerlo (Aldeeb Abu-Sahlieh).
L’interramento o inumazione del cadavere, avvolto nel suddetto lenzuolo, può avvenire in una semplice fossa (detta shaq) o in una fossa con una nicchia orientata a La Mecca (detta lahd). Quest’ultima, stando ai detti del Profeta, sarebbe da preferire per i mussulmani; la prima, invece, sarebbe da riservarsi a tutti gli altri. Nell’uno o nell’altro caso, comunque, una volta deposta la salma, la fossa va ricoperta ed interrata. La sepoltura, in ogni caso, deve avvenire in tempi brevi dalla morte accertata ed effettiva (Aldeeb Abu-Sahlieh).
Sul luogo di sepoltura, i giuristi mussulmani tradizionali sono favorevoli a che non vi siano costruzioni, ma un mero cumulo di terra sopraelevato per segnalare la presenza della tomba ed impedire che dei piedi la calpestino. Ma questa estrema semplicità non è seguita in taluni Paesi mussulmani, come l’Arabia Saudita (Aldeeb Abu-Sahlieh).

Guelfo Nero
07-08-04, 18:02
Ringrazio davvero Augustinus per gli interessantissimi post e aggiungo ovviamente un po' di pepe sedevacantista alla pietanza...

Grazie ancora

UN VECCHIO POST CHE PUò TORNARE UTILE...

IN QUESTO POST MI SOFFERMO SULLA CONDANNA CATTOLICA DELLA CREMAZIONE DEI CADAVERI: UNA DELLE TANTE CONDANNE CHE "CONCILIO" E "POSTCONCILIO" HANNO TRASFORMATO IN APPROVAZIONI.
MONSIGNOR ATTILIO VAUDAGNOTTI, UNO DEI TEOLOGI DELL'ARCIVESCOVO DI TORINO, L'EMINENTISSIMO FOSSATI, CHIEDEVA CHE IL "VATICANO II" RIBADISSE SOLENNEMENTE LA CONDANNA DELLA CREMAZIONE CONTRO QUALCHE "TEOLOGO" MODERNIZZANTE MOLTO POSSIBILISTA AL RIGUARDO.
LA CONDANNA NON VI FU, ANZI QUELLO CHE UN TEMPO ERA COSTUME DI ANTICLERICALI E MASSONI è DIVENTATO PRATICA COMUNE ANCHE TRA I CATTOLICI.
LA CREMAZIONE VOLONTARIA RIMANE ANCOR OGGI OGGETTIVAMENTE UN GESTO FORTEMENTE ANTICATTOLICO, UNA "BANDIERA" DEI NEMICI DI CRISTO: LE CONDANNE DELLA CHIESA RIMANGONO IN VIGORE MALGRADO LE CIARLE DEI MODERNISTI.
MOLTA GENTE OVVIAMENTE CHIEDE LA CREMAZIONE IN BUONA FEDE O QUASI: è OVVIO.
UN PO' PERCHè NON BEN INFORMATA DAI SACERDOTI CATTOLICI, UN PO' PER UN CERTO NATURALE ORRORE DELL'INUMAZIONE E DELLE SUE PUR NATURALI CONSEGUENZE, UN PO' PERCHè I CIMITERI (SPECIALMENTE NELLE GRANDI CITTà) SONO DIVENTATI, PER LA CRONICA CARENZA DI SPAZI, DELLE MISERANDE "CATENE DI MONTAGGIO" ( CHI HA VISTO QUALCHE ESUMAZIONE IN QUESTI CIMITERI PUò TESTIMONIARE- LO POSSO FARE ANCH'IO- LA POCA CURA, IL NESSUN RISPETTO DATO A QUEI MISERI RESTI STRAPPATI AL RIPOSO DELLE TOMBE SPESSO DOPO SOLO 10 ANNI!!!)
QUELLO CHE AVVIENE IN MOLTI CIMITERI ITALIANI, SFIORA A VOLTE IL VILIPENDIO DI CADAVERE.
LA CHIESA CATTOLICA HA SEMPRE LA CONDANNATO LA CREMAZIONE: L'INUMAZIONE è STATO COSTUME COMUNE DEI CRISTIANI, ANCHE IN MEZZO AL MONDO PAGANO OVVIAMENTE CREMAZIONISTA.
SPARITO PROGRESSIVAEMNTE IL PAGANESIMO, L'INUMAZIONE DEI CADAVERI è DIVENTATA PRATICA UNIVERSALE NEL MONDO CRISTIANO.
SOLO LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL RAZIONALISMO DEL XIX° SECOLO HANNO CON VARIE MOTIVAZIONI (ESTETICHE, PSICOLOGICHE, IGIENICHE, ECONOMICHE)RIABILITATO LA CREMAZIONE.
MA IL MOTIVO DI FONDO DELLA STRATEGIA DEI CREMAZIONISTI RIMANE IL MATERIALISMO, L'ODIO VERSO LA CHIESA, IL TENTATIVO DI RENDERE SEMPRE PIù LAICI I CIMITERI, DI LAICIZZARE LA MORTE, DI DISTRUGGERE O AFFIEVOLIRE LA FEDE NELLA RISURREZIONE E LA VITA ETERNA.
è VERO: LA CREMAZIONE NON è DIRETTAMENTE CONTRO IL DOGMA CATTOLICO (LA CHIESA L'HA SEMPRE PERMESSA IN DUE CASI :QUANDO SIA IMPOSSIBILE INUMARE PER GRANDI BATTAGLIE O EPIDEMIE, QUELLE AD ESEMPIO DEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO TEDESCHI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE OPPURE PER ESEGUIRE UNA SENTENZA DI MORTE PER UN DELITTO ANTISOCIALE PARTICOLARMENTE GRAVE) MA RIMANE CONTRO I COSTUMI CRISTIANI, LA PRASSI ECCLESIASTICA, IL NATURALE SENSO DI PIETà VERSO I DEFUNTI E LE LEGGI CANONICHE ED è STATA CONDANNATA DALLA CHIESA FIN DAI TEMPI ANTICHISSIMI.
LA CHIESA CATTOLICA NON SOLO HA CONDANNATO LA CREMAZIONE MA PROIBISCE DI DARE ESECUZIONI ALLE VOLONTà TESTAMENTARIE (CONSIDERATE IN TAL CASO NULLE) STILATE IN TAL SENSO.
TUTTO QUESTO SECONDO IL CANONE 1203 COMMA 2 DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO E L'ISTRUZIONE DEL SANTO UFFIZIO DEL 19 GIUGNO 1926 PUBBLICATA NEGLI ATTI DELLA SANTA SEDE VOLUME 18, P. 282 E SEGUENTI)
PRIMA DEL FUNESTO "VATICANO II" CHI VOLEVA CHE IL SUO CORPO VENISSE CREMATO O SI ISRIVEVA A SOCIETà FILO-CREMAZIONISTICHE ERA PRIVATO DEL FUNERALE E DELLA SEPOLTURA ECCLESIASTICA (ANCHE SE IN VITA MOSTRAVA IN QUALCHE SUO ATTO DI ESSERE CATTOLICO)
MONSIGNOR VAUDAGNOTTI DICEVA, A CHIUSURA DELLA SUA RICHIESTA, CHE IL CATTOLICO DEVE CONFORMARSI A CRISTO CHE "FU SEPOLTO" E RAMMENTARSI CHE, SECONDO LA DOTTRINA DI SAN PAOLO, IL CORPO è "COME UN SEME CHE NON VIENE BRUCIATO MA NASCOSTO NELLA TERRA, IN FEDE E SPERANZA DI RISURREZIONE".
IL BUON MONSIGNOR VAUDAGNOTTI, FECONDO APOLOGETA E TEOLOGO, NEGLI ANNI '70 E '80 DIFESE CON TUTTE LE FORZE LA SANTA MESSA A TORINO CONTRO LE FOLLIE MONTINIANE DELLA "NUOVA MESSA" CELEBRANDO SEMPRE IL SANTO SACRIFICIO CATTOLICO.
SEMPRE "HA COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA" PER USARE LE PAROLE DI SAN PAOLO.

UN SALUTO

GUELFO NERO

lupicida
22-12-04, 22:39
Roma: Passante a Nord Ovest - Veltroni, Giornata Che Restera' Nella Storia Della Citta'

(Adnkronos) - ''Credo che tutta l'Italia possa essere orgogliosa di Roma, di una capitale moderna''. Veltroni in conclusione ha voluto ricordare altre opere in cantiere come la nuova stazione Tiburtina e la linea C della metropolitana. ''La Galleria e' stata intitolata alla memoria di Papa Giovanni XXIII - ha concluso il sindaco -, poiche' e' stato il Pontefice del dialogo e della comprensione. Aveva i 'ponti' nella sua cultura e questa Galleria sapra' collegare e riunire pezzi prima distanti della citta' come un ponte che avvicina. E' stato uno dei Pontefici piu' amati dai romani ed era giusto intitolare alla sua memoria quest'opera''. :ronf

Sùrsum corda! (POL)
23-12-04, 00:31
Originally posted by Lupicida
Roma: Passante a Nord Ovest - Veltroni, Giornata Che Restera' Nella Storia Della Citta'

(Adnkronos) - ''Credo che tutta l'Italia possa essere orgogliosa di Roma, di una capitale moderna''. Veltroni in conclusione ha voluto ricordare altre opere in cantiere come la nuova stazione Tiburtina e la linea C della metropolitana. ''La Galleria e' stata intitolata alla memoria di Papa Giovanni XXIII - ha concluso il sindaco -, poiche' e' stato il Pontefice del dialogo e della comprensione. Aveva i 'ponti' nella sua cultura e questa Galleria sapra' collegare e riunire pezzi prima distanti della citta' come un ponte che avvicina. E' stato uno dei Pontefici piu' amati dai romani ed era giusto intitolare alla sua memoria quest'opera''. :ronf

Quando ti elogiano i nemici ti devi preoccupare...in questo caso è invece una conferma: Veltroni elogia Roncalli.

Guelfo Nero
07-04-05, 01:27
John Paul will be buried under the spot once occupied by the tomb of Pope John XXIII in the crypt beneath St. Peter's Basilica, Navarro-Valls said during his briefing Tuesday...

http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/articles/A27373-2005Apr5.html

Guelfo Nero
23-04-05, 23:06
NON ABBIAMO BISOGNO di un "papa" tradizionalista: abbiamo bisogno di un Papa cattolico.

Roncalli sul trono di Pietro: flabelli, cappe magne, guardie nobili, mazzieri, eppure covava virulenta la Rivoluzione.

Guelfo Nero:rolleyes:

Guelfo Nero
18-05-05, 08:57
http://www.novusordowatch.org/resources/John-XXIII-Beatified.pdf

La versione del testo di Don Villa contro la "beatificazione" (nulla e invalida) di Giovanni XXIII in lingua inglese.

Guelfo nero :) :) :)

Guelfo Nero
02-06-05, 17:12
http://www.americancatholic.org/Messenger/Nov1996/feature1.asp

[...]In 1925 he made Vatican hackles rise because of his ecumenical initiatives in Bulgaria which prefigured the invitation to the Orthodox to attend the Council. In 1944 in Istanbul he gave a sermon on a council to be held in the postwar period. [...]

Probabilmente era già l' "eletto" fin da allora...

Guelfo Nero
16-08-05, 01:10
Originally posted by guelfo nero
CARI AMICI,

HO RITROVATO FORTUNOSAMENTE IN RETE E RIPORTO DAL NUMERO (credo) DI MARZO DEL 1975 DELLA "RIVISTA DI ASCETICA" QUESTO ARTICOLO DEL DOMENICANO PADRE INNOCENZO COLOSIO CHE RECENSISCE UN FATUO LIBRO DELL'IPERMODERNISTA MOLINARI SU GIOVANNI XXIII, IL "PAPA BUONO".
PADRE COLOSIO CON CORAGGIO TUTTO EVANGELICO DEMOLISCE IL MITO DEL "PAPA BUONO", CONSIDERANDO SOLO L'ASPETTO DELLA VENERABILITà E DELLA CANONIZZABILITà. ALLA LUCE DEI MOLTI FATTI EMERSI IN QUEST'ULTIMO VENTICINQUENNIO è ORMAI QUESTIONE COMUNEMENTE AMMESSA METTERE IN DUBBIO LA "CATTOLICITà" DI GIOVANNI XXIII. è UN ARTICOLO UN POCO DATATO MA RICCO DI FRESCHEZZA E FRANCHEZZA DOMENICANA: SI LEGGE CON GUSTO, SE NE APPREZZA LA VASTA DOTTRINA. OVVIAMENTE CONSIDERA SOLO UN ASPETTO DELLA SPAVENTOSA "QUESTIONE RONCALLI" CHE SPERIAMO UN GIORNO POSSA ESSERE IL "PROCESSO RONCALLI".

UN CARO SALUTO A TUTTI


GUELFO NERO


DISCUSSIONI SULLA "BONTà" DEL PAPA GIOVANNI XXIII

Franco Molinari ha recentemente pubblicato un libro dal titolo giornalisticamente troppo sensazionale, e anche, diciamo la verità, un po ingannatore: "I peccati di Papa Giovanni" (Torino, Marietti 1975, pp. 192, L. 2.500).
In realtà dei presunti o reali peccati del Roncalli si parla solo nel capitolo IX, che però tra gli undici del libro è il più lungo. Come nel precedente volume "I Tabù della storia della Chiesa moderna", Molinari prende lo spunto da opere recenti per ridimensionare santi ed eretici, papi, vescovi e movimenti dottrinali. Francamente il suo metodo storiografico non ci piace molto, diffidenti come siamo per le scoperte ribaltatrici in questo settore. Non è detto che l'ultima opera su Lutero o Calvino o chiunque altro, perché è l'ultima, sia anche la più vera; specialmente, nei periodi, come il nostro, di revisioni storiche dominate dalla moda e da eccessive preoccupazioni pratiche.

La nostra accusa.

Ad ogni modo qui non intendo esaminare criticamente il libro del Moli-nari, ciò che forse farò in altra sede; ma solo prendere lo spunto per dire, secondo quello che pare a me, quale sia il vero peccato, il peccato piu grosso del Papa Giovanni, che sarebbe questo: per
far piacere a tutti non manifestò e non difese sempre ufficientemente la verità e la disciplina ecclesiastica. Dei tre autori a mia conoscenza che si sono interessati recentemente a delineare le ombre del sole giovanneo e cioè il già citato Molinari; Raffaello Baldini sulla rivista Panorama del 22-5-1975; e Carlo Falconi nel suo recente libro "I Papi sul divano. L'autoanalisi dei pontefici testimoni di se stessi" (Milano 1975) - nessuno si è azzardato a pronunziare una simile grave accusa. Il compito perciò che mi assumo è nuovo e delicatissimo e lo affronto con grande trepidazione, molto più che mi sembra quasi di compiere un atto di ingratitudine verso una cara persona che aveva per me stima e simpatia (cfr. RONCALLI A., Lettere ai Vescovi di Bergamo, Bergamo 1973, p. 133). Ma, essendo convinto che la verità, o ciò che onestamente crediamo tale, abbia il primato su tutto, a costo di sembrare presuntuoso, irriverente e urtante, voglio esprimere candidamente il mio pensiero. Tanti hanno sfruttato la bontà e la benevolenza di Papa Roncalli quando era vivo; io invece faccio affidamento sulla sua indulgenza ora che è in Paradiso [speriamolo ma non ce n'è alcuna certezza]; e siccome lui amava la storia e sa che essa è impietosa e crudele, mi perdonerà questa requisitoria, nata dalla passione per lo stato caotico attuale della Chiesa, di cui mi pare che in parte sia responsabile anche lui. Un cardinale, dopo la sua morte, disse che ci sarebbero voluti cinquant'anni [o forse un giorno] per riparare i danni del suo pontificato. La frase fu diplomaticamente smentita. Pro-nunziata o meno, io credo che esprima qualcosa di vero. Naturalmente ciò che segue non implica la responsabilità della direzione della rivista. Si tratta di riflessioni e giudizi personali di chi scrive: giudizi del resto non influenzati dalle recenti pubblicazioni; giacché, seppure in forma privata, furono implicitamente espressi subito quando fu iniziata la campagna per la canonizzazione del « papa buono ». Infatti, sollecitato a firmare la petizione per la medesima, chi scrive si rifiutò di farlo, suscitando così l'ironica disapprovazione dei promotori. Il criterio che mi spinse a tale sgradevole rifiuto fu proprio quello diametralmente opposto alla norma fondamentale dell'agire del nostro grande personaggio, recentemente ricordata dallo stesso Postulatore, su L'Osservatore Romano del 4 Luglio: "Non voleva dispiacere a nessuno, e per non cadere proprio nell'errore volontario di dispiacere ad alcuno preferiva apparire anche troppo semplice", e debole, aggiungerò io. Ora a questo atteggiamento di fondo, praticato non solo come persona privata ma anche come occupante posti di suprema responsabilità, brutalmente contrappongo la prassi e la norma di S. Paolo: "Si hominibus placerem, Christi servus non essem (GaI 1, 10)." Non si può infatti [esercitare] la bonarietà a zutti i costi. Ma giacchè mi sono assunto l'ingrato compito di fare l'avvocato del diavolo, cercherò di procedere in maniera più... scientifica, ricordando la tesi classica apparentemente paradossale, che, cioè, le virtù in stato perfetto sono necessariamente connesse, cosicchè se ne manca anche una sola, nessuna è perfetta e non si può parlare di santità. Il mio venerato maestro P. Reginaldo Garrigou-Lagrange, sotto la cui direzione ho redatto appunto la tesi di laurea sul, tema della connessione della virtù, insisteva - in una lezione tenuta ai postulatori dei vari ordini - nel dire che nei processi di canonizzazione bisogna esaminare a fondo, per giudicare se nel soggetto le virtù hanno raggiunto il grado di perfezione, la loro vitale coesione, il comune sinergismo di tutte, cosicché se una non è perfetta, nessuna di esse sarà perfetta. Perciò se un uomo è caritevole al sommo, ma manca di coraggio morale, della virtù della fortezza, o della lungimirante prudenza, costui sarà un buon uomo, un ottimo cristiano ma non certamente un santo nel senso pieno del termine. In detta lezione, tenuta il 12 dicembre 1945 e che io credo tuttora medita, il famoso teologo così sviluppava il suo pensiero. La connessione delle virtù, specialmente di quelle disparate e apparentemente contrastanti, è un ottimo criterio per giudicare del grado eroico delle vere virtù e quindi della santità di una persona. Quando l'intensità di una virtù deriva, non dallo sforzo umano coadiuvato dalla grazia, ma dalla complessione naturale, essendo questa determinata "ad unum ", non si avrà contemporaneamente e in grado eminente la virtù che in un certo senso le è opposta. Chi di natura sua è portato alla fortezza non sarà portato anche per temperamento alla dolcezza, o mitezza, e viceversa. Quindi se riscontriamo dette virtù "disparate" in una medesima anima, dovremo ammettere in essa uno speciale intervento di Dio e della sua grazia; poiché Dio solo nella sua assoluta semplicità possiede le perfezioni « disparate »: possiede, per es., in modo eccellentissimo e in una misteriosa unità, l'infinita giustizia insieme con l'infinita misericordia; e perciò può unirle nell'anima del giusto. Se invece le virtù disparate, come dolcezza e fortezza, non si presentano fuse e unite, ma isolate, allora non abbiamo il trionfo della grazia e la vera santità, bensì il trionfo della natura, ossia di una sola virtù, senza il contrappeso di quella apparentemente opposta. Non è qui il caso di fare una sottile e lunga disquisizione per dimostrare come una virtù non possa essere veramente perfetta se non è accompagnata da tutte le altre parimenti perfette; rimando senz'altro il lettore alla questione 65 della 1-11 della Somma di S.Tommaso; del quale trattato voglio però citare un luminoso testo che fa proprio al caso nostro:

« Naturalis inclinatio ad bonum virtutis est quaedam inchoatio virtutis: non autem est virtus perfecta. Huismodi enim inclinatio
quanto est fortior tanto potest esse periculosior, nisi recta rado
adiungatur, per quam fiat recta electio eorum quae conveniunt ad
debitum finem, sicut equus currens, si sit caecus, tanto fortius im-pingit et laeditur, quam fortius currit » (I-lI, q. 38, a. 4 ad 3)".

La tanto decantata bontà naturale o bonarietà del Roncalli fu sempre
sorretta, accompagnata e corretta da tutte le altre virtù, specialmente dalla vera prudenza e dalla vera fortezza? Questo è il vero problema teologico di fondo per giudicare della santità di papa Giovanni. Egli, volendo a tutti i costi essere benevolo, simpatico, gradito, non ha forse instaurato un metodo di governo che ha snervato la disciplina ecclesiastica, per cui, insieme a molte altre cause, ci troviamo ora immersi in un immane caos ideologico, morale, liturgico, sociale? Per me la risposta è positiva, e quindi l'accusa è gravissima: a me quindi l'onere della prova. Non si tratta qui di rivelare enormi o segrete carenze nella conduzione della Chiesa da parte sua, ma semplicemente di elencare alcuni fatti sintomatici, che esprimono uno stile di governo, il quale partendo da così alta sede fatalmente a circoli concentrici si diffuse poi in tutto l'orbe cattolico. Ecco alcuni di questi episodi emblematici, significativi di uno stile, di un metodo, di un sistema, sui quali non so se hanno sufficientemente riflettuto i suoi panegiristi ad oltranza. Cominciamo con un episodio assai modesto in se stesso, ma molto espressivo della personalità del protagonista. Il 12 Febbraio 1962 fu emanata la nota Costituzione Apostolica "Veterum sapientia" che nelle sue norme contiene una legge severa: ai
professori di teologia che pian piano non si adattano ad insegnare in lingua latina sia tolta la cattedra. Un vescovo tedesco, abituato da buon teutonico a prendere le cose sempre molto sul serio,
turbato, angosciato, si proietta a Roma ed espone a papa Giovanni il suo grave problema: "Io devo chiudere la mia scuola di teologia perché i miei professori non possono e non intendono sottomettersi alla "Veterum sapientia". Il papa lo congeda con un ampio
sorriso, accompagnato da benevoli parole: "Ma non si preoccupi tanto; tiri via, lasci pure insegnare la teologia in tedesco". Chi mi ha raccontato il fatto ora è morto: ma era persona degna di fede e molto
ben informata sulle cose romane. L'episodio potrà sembrare di poco conto, ma secondo me è rivelatore di una mentalità, di un modo di agire poco coerente e fermo. Il seguente episodio è invece di dominio comune ed è molto più grave come indice di debolezza nel governo della Chiesa. L'episcopato olandese molto tempestivamente volle preparare il suo popolo al Concilio con una lettera cumulativa, tradotta presto in varie lingue, tra cui la francese e l'italiana. In essa vi era già adombrato, del resto abbastanza chiaramente, il principio che la validità delle decisioni del futuro concilio sarebbe stata condizionata dalla loro recezione o meno da parte dei
fedeli. A Roma subito si fiutò il sottointeso ma deciso democraticismo che traspariva da quelle posizioni, e per ordine superiore la lettera fu ritirata dal commercio. Alfrink, primate d'Olanda, corse subito da Giovanni XXIII, per mostrargli quale disdoro gettava sull'episcopato di una intera nazione un simile provvedimento disciplinare. Il papa Giovanni, per non dispiacere agli Olandesi, lo annullò, iniziando così quella serie di cedimenti, che poi in futuro culminarono, sotto il suo successore, nella non-condanna del famigerato Catechismo Olandese. Ovviamente, data la norma fohdamentale della vita privata e pubblica del papa di non dare mai dispiaceri a nessuno, egli era radicalmente allergico alle condanne, specialmente alle condanne solenni e formali.
In questo non fu certamente fedele agli insegnamenti del suo maestro, Mons. Radini-Tedeschi, vescovo di Bergamo il quale in una delle sue prime pastorali così formulava il suo compito fondamentale:
" Il vescovo deve con costanza e coraggio anatematizzare ogni errore, impugnando i tanti scismi che oggi più che mai si diffondono mediante una licenza che dicono a torto [libertà].
[Deve] affrontare impavido e mansueto, forte e soave, con la severità della censura e con la carità del padre, l'ira dei contraddittori e degli empi e sostenere l'impeto del demonio» (citato dal Molinari, op. cit., p. 160). Una pagina "agiografica compromettente". Non sembri un'inutile divagazione il fermarsi a lumeggiare un po' ampiamente con le parole stesse del Roncalli nella sua biografia di Mons. Radini Tedeschi (ed. III, Roma, 1963) lo stile santamente energico di questo prelato, in cui il futuro Papa ritrae dal vivo l'immagine del buon pastore. Le seguenti numerose citazioni elogiative ci permetteranno di precisare un esame di coscienza per il biografo (Le sottolineature sono mie): « La nota personale della sua natura era una rettitudine superiore ad ogni discussione e ad ogni elogio, un amore assoluto del bene. Di là la sua intrepidezza, il suo ardore nella lotta, la sua attrazione, così potrebbe dirsi, verso il pericolo, e la sua potente attività. Talora si notavano nella sua parola, in pubblico e in privato, nei suoi scritti, una cotal veemenza di linguaggio) alcune espressioni forti e sdegnose. Ma non mai che egli eccedesse la misura, o che tutto ciò fosse effetto di vanità, di rancore o d'altro. Il suo santo sdegno attingeva le sue ispirazioni dall'alto, sgorgava da emozioni vere e da un sentimento puro di zelo per la giustizia, per il bene, per il regno di Dio.
Queste doti naturali dell'uomo, la grazia del Signore le aveva elevate e rese più venerabili e feconde nel prete e nel vescovo (p. 106). Governo forte e vigoroso anzitutto: vero riflesso del suo carattere e della sua indole personale. « Che un vescovo sia saggio - così cominciava il suo discorso l'illustre ed eminentissimo
Cardinal Pie - è il meno che si possa domandare: è una necesità che egli sia nel numero dei dotti. Ma né la saggezza, né la scienza gli bastano, se ciascuna di queste qualità non ha il suo complemento nella fortezza. Sono necessarie al vescovo tutte le virtù del
cristiano, tutte le virtù del prete. Ma se voi mi chiedete quale di queste sia la virtù propria del nostro stato, il segno distintivo della nostra professione, la risposta sarà facile.
L'ordine è un sacramento uno e molteplice, che conferisce sino dagli inizi a coloro che ne partecipano, una certa misura di fortezza, una certa energia di resistenza. . . L'episcopato che è la pienezza suprema dell'ordine, è l'apogeo della forza spirituale. . . È del vescovo che devesi dire che egli non è abbastanza saggio se non è egualmente forte; né è convenientemente dotto, se non è nello stesso tempo vigoroso e risoluto: Vir sapiens, fortis est: et vir doctus, robustus et validus (Prov. XXIV, 5) (p. 107). In questa dottrina sta tutto lo spirito di governo di Mons. Radini. Quando fu pubblicato il nuovo breviario, secondo le recenti riforme del S.P. Pio X, l'occhio suo corse subito alla invocazione che la Chiesa mette sulle labbra dei sacerdoti per il loro vescovo; rilEvando in essa con una certa compiacenza il suggello liturgico di ciò che era prima norma della sua condotta - Oremus et pro antistite nostro - Stet et pascat in fortitudine tua, Domine, in sublimitate nominis tui (p. 107).
Di un suo lontano antecessore si racconta, che non sapesse mai dir di no ad alcuno: di un altro invece che dicesse sempre di no a tutti: e di un terzo che non sapesse mai cosa rispondere, incerto sempre fra il sì e il no. Sulle labbra di Mons. Radini c'era il sì e il no, a seconda dei casi, sempre pensato, sempre sincero e deciso: né il sì era espressione di debolezza, né il no di ostinazione capricciosa o
di partito preso contro alcuno. Egli era d'avviso che il più delle volte contribuisce assai meglio al buon ordine generale e al principio il mantenersi ferme nelle disposizioni date a suo
tempo, purché buone e giudiziose, che non il mutarle con facilità, preferendo ad esse disposizioni migliori, ma giunte troppo tardi.
Questo modo di procedere gli era abituale nelle singole questioni riguardanti particolarmente uomini e cose, nei vari ordinamenti e nelle riforme, come nelle opere grandi o modeste da lui compiute.
C'era nell'anima sua, nella sua natura, alcunché dello spirito militare: un amore e un trasporto alla lotta per il bene, per la Chiesa, per il Papa, per i diritti del popolo cristiano.
Non gli piaceva la guerra a colpi di spillo: quando la si dovesse fare, la preferiva a colpi di cannone: e il suo gusto erano le battaglie da cavaliere perfetto, cioè a cielo aperto e in piena campagna. Ciò appariva evidente dal tono di parecchi suoi discorsi,
dalle lettere, dagli scritti brevi o voluminosi pubblicati per la difesa dei sacri diritti della coscienza cattolica.
Ma in rapporfo al buon governo della sua Chiesa, questo spirito militare era facile scorgerlo in quel suo vedere e cercare in tutto e rigidamente la disciplina, anche nella più piccola cosa, nel fornire egli per primo nobile e forte esempio, nell'esigerla in ciascuno dei suoi subordinati ad ogni costo, nell'affrontare con serenità critiche,
noie e contrasti, perché ogni cosa fosse compiuta piacesse o no, in
conformità alle disposizioni tassative della Chiesa, nelle cerimonie,
nei sacramenti, nelle varie esplicazioni della vita ecclesiastica, in tutto. Pareva talora che avrebbe potuto lasciar correre su taluni abusi di poco rilievo, consacrati dalla tradizione che si prende facilmente dagli amanti del quieto vivere come argomento autorevole a giustificare tante cose. Ma egli non era un uomo da prestarvisi. Pieno di rispetto per le tradizioni locali che avesse trovato buone, poco gli importava spezzare quelle che erano contrarie a precise disposizioni ecclesiastiche, "poiché - ripeteva spesso- se v'era una diocesi ove tutte le cose possono e debbono essere fatte in perfetta regola, ed in esempio alle altre diocesi, questa è Bergamo". E procedeva innanzi al compimento del suo dovere. Sapeva che in tutte le cose l'eccesso deve essere evitato: sapeva anche, nella sua delicatezza, tener conto dei dovuti riguardi a persone e ad istituzioni. Ma era insieme convinto che in un governo il vigore del comando trae con sé mali minori che non la debolezza. Per suo conto aveva un sacro orrore per la popolarità ottenuta a prezzo di
debolezze e di fiacche compiacenze. " I poteri deboli ripeteva spesso non tardano a cadere in disistima, nell'abbandono e nel
disprezzo: i forti invece si impongòno al rispetto; e sul rispetto fioriscono a suo tempo l'ammirazione e l'amore » (pp. 109-110).
L'ammirazione si accoppiò all'amore: poiché non vi è nulla di così tcccante come la bontà disposata alla forza. E Mons. Radini, questo uomo così robusto e così energico, era buono, molto buono. A lui si poteva ben applicare in tutta la sua ampiezza il motto scritturale: De forti egressa est dulcedo (p. 111).Certo in materia di principi e di idee egli fu e sempre rimase un intransigente, come lo sanno essere tutte le anime di superiore levattira per cui valgono e contano qualche cosa i principii nella vita. Ma la sua era di quelle intransigente che si fanno ammirare per la loro nobile schiettezza, e che, procurando onore alle grandi cause sostenute, riescono spesso a disarmare le opposizioni, non di quelle che le inaspriscono e le aggravano. Per la purezza di una idea avrebbe sacrificata la vita; e di fronte ad atti, anche di piccola importanza, che compromettessero sia pure leggermente il principio, egli era irremovibile; né sarebbe stato facile coglierlo in fallo, pronto com'era a vedere subito la distinzione netta fra le idee e le cose (p. 112). Eppure nell'ordine dei rapporti personali, e salvi i principii, pochi uomini di Chiesa
seppero essere di fatto così discreti e concilianti come lui (p. 113).

Non sembri un fuor d'opera questa lunga citazione; giacché essa ci fa
toccare con mano come il giovane Roncalli, alla scuola del suo Vescovo, avesse idee chiarissime sul dovere infrangibile di unire la dolcezza alla fortezza, dando a quest'ultima il primato in caso di
necessità. Credo però che nessun onesto panegirista potrebbe applicare a lui ciò che egli scrisse del Radini-Tedeschi.
Altri atti di debolezza. Ecco un esempio della sua debolezza. Fin da quando era nunzio a Parigi non fece misteri circa la sua cordiale disapprovazione delle dottrine radicalmente evoluzioniste del famoso gesuita Teilliard de Chardin. Ma, eletto papa e sollecitato da più parti a mettere all'indice le sue opere, altra abbondante fonte dell'odierna dilagante confusione dottrinale - se ne schermì (limitandosi ad approvare il Monito del 5. Uffizio del 30 Giugno 1962, grave nel contenuto ma praticamente inefficace) con la storica frase: Io sono nato per benedire e non per condannare!
Ma Gesù, San Paolo, S. Giovanni Evangelista, Molti grandi e santi Papi non si limitarono a benedire - compito troppo facile e simpatico - ma esercitarono anche il doveroso e gravoso ufficio di condannare e anatematizzare! "La frusta non si addiceva alla mano del Roncalli", dice Molinari a p. 149 ma pure anche Gesù usò le funi.. E così si è giunti a celebrare un importante Concilio Ecumenico, che per la prima volta nella stOria della Chiesa non ha osato condannare apertamente il più grande errore del momento. E si trattava del comunismo ateo. Certo la storia, i secoli futuri non perdoneranno mai al Vaticano II di non aver stigmatizzato nella maniera più perentoria e plastica il comunismo ateo, il marxismo, che costituisce il più poderoso nemico del cristianesimo nel secolo XX. , Perfino il termine non figura mai nel testo vero e proprio del Concilio! (Chi vuole conoscere le manovre per cui contro la volontà di molti vescovi si è giunti a non nominare neppure il comunismo ateo negli Atti legga R.
'WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre - Le Concil inconnu, Parigi 1973, pp. 269-274). Si dirà: Ma quando veniva votata la "Gaudium et Spes", Giovanni era già morto. Verissimo; ma fu lui che nel Discorso programmatico di apertura annunziò con la massima solennità e chiarezza dì voler usare la medicina della misericordia piuttosto che quella della severità, evitando condanne, con lo specioso pretesto che è meglio esporre la verità che condannare l'errore,
molto più che si tratterebbe di errori già condannati; ignorando così le leggi della psicologia umana secondo le quali una rinnovata condanna formale con relative sanzioni pratiche è ben più efficace
di una luminosa disquisizione teorica. Papa Giovanni e il Vaticano lI ormai hanno fatto scuola, cosicché oggi la gerarchia a tutti i
livelli non ha più il santo coraggio di buttare fuori dalla Chiesa chi apertamente nega i dogmi più sacrosanti. Il caso Kung insegni.
La olandese Cornelia De Vogel, convertitasi al cattolicesimo nel 1943, nel suo libro "Lettere ai cattolici di Olanda", a tutti (tradotto anche in italiano, Japadre Ed., L'Aquila 1974), a p. 12 racconta di essersi rivolta aI Card. Alfrink, perché pubblicamente redarguisse i cattolici negatori di dogmi. Eccone la quanto mai emblematica risposta: "Devo condannare? Non serve. Sono
già stati tutti condannati da tempo. E poi condannare non si usa più; è una cosa antiquata". All'inizio di questo non-uso, introdotto per la prima volta nella storia della Chiesa, c'è l'atteggiamento di Giovanni XXIII. Sotto il suo regime sì è cominciato a considerare il problema della condanna guardando, non più al bene còmune e al significato del libro nella sua ovvia e oggettiva letteralità, ma alla personalità e alle intenzioni dell'autore, i cui « sacrosanti » diritti individuall, secondo la nuova etica ecclesiale, vanno anteposti a quelli della massa dei fedeli... Ma torniamo più direttamente a Papa Giovanni. Poco prima che fosse divulgata
l' Enciclica "Pacem in Terris" [detta "Falcem in terris"] su L'Osservatore Romano uscirono i famosi "Punti fermi", in cui veniva stigmatizzata qualsiasi collaborazione con movimenti ideologicamente fondati su dottrine erronee, per l'ovvia ragione profilattica che simile collaborazione per una specie di fatale osmosi implica a lungo andare anche l'assorbimento delle dottrine che ne stanno alla base. Ma questa classica e inderogabile norma, fatta sempre valere dai papi precedenti e specialmente da Pio XII , riaffermata anche sotto gli
occhi di Giovanni XXIII, doveva essere radicalmente smentita dalla sua Enciclica al n. 55, di cui ecco le precise liberalizzanti affermazioni: "Va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l'origine e il destino dell'universo e dell'uomo, con movimenti storici a flnalità economiche, sociali, culturali, e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le
dottrine una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventesi, non possono non subirne gli
influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi alla retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e
meritevoli di approvazione? Pertanto può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece sia o lo possa divenire
domani". È vero che nell'immediato contesto vengono poi precisate le condizioni per simili avvicinamenti, condizioni in parte contraddittorie, ma soprattutto ciecamente utopistiche, come la storia della collusione tra movimenti cattolici e movimenti marxisti di questi ultimi dieci anni ha dimostrato ad usura, e ancor più lo si vedrà in seguito. Il testo citato è fondamentale per la svolta giovannea e rappresenta una vera rivoluzione nella prassi della Chiesa, le cui gravissime e deleterie conseguenze peseranno
sul futuro della civiltà e del mondo. Abbiamo qui le basi ideologiche per il "compromesso storico", non solo per l'italia ma per tutto il mondo. Non mi sembra perciò esatto ciò che scrive Giovanni Spadolini nel suo interessante libro "Il Tevere più largo: Da porta Pia ad oggi" (Milano 1970, Longanesi Ed.), quando a p. 264 afferma che nella "Pacern in Terris" non si trova nulla di nuovo, nulla di diverso rispetto ai punti fermi dei precedenti Pontificati.
Il n.55 rappresenta invece una radicale inversione di marcia, legalizzando una collaborazione dei cattolici con movimenti nati da ideologie anticristiane, fino allora decisamente proibita per la elementare constatazione che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, come di fatto si verifica quotidianamente. Non c'è bisogno di essere specialisti in marxismo per avvertire e notare quante sottili infiltrazioni di quella ideologia siano penetrate ormai nel pensiero
e nell'agire di vari gruppuscoli sedicenti cattolici.
Per far piacere a chi, furono approvati i "Punti Fermi"? E per far
piacere a chi, fu sottoscritto il rivoluzionario n. 55 della "Pacem in terris"? Prendendo come norma di governo il non far dispiacere a nessuno, fatalmente si cade in contraddizioni teoriche e in confusioni pratiche. Verso i comunisti e. . . i superiori.
Ed ora un piccolo episodio personale sulla tanto discussa udienza al
giornalista Adjubei, genero di Kruscev, concessa probabilmente per fargli piacere oltre ad altre eventuali e più determinanti ragioni; ma comunque da chiunque era prevedibile che sarebbe stata strumentalizzata in favore del comunismo. Una mattina del mese di maggio del 1963 mi trovavo prestissimo alla banchina del porto di Civitavecchia in attesa della nave , che dalla Sardegna portava a Roma i Piccoli Rosarianti per l'udienza pontificia, organizzata dall'indimenticabile P. Enrico Rossetti. Conversando con alcuni scaricatori del porto, naturalmente comunisti, sentii elogiare da loro con entusiasmo il Papa, per avere ricevuto Adjubei, interpretando il gesto come atto simbolico di taciti approvazione deI movimento comunista. Tutte le mie osservazioni per confutare una simile interpretaziorie non approdarono a nulla. Essi, probabilmente insufflati da qualche loro caporione, replicarono: "Il papa, non potendo esplicitamente approvare il comunismo, ha trovato questo elegante stratagemma per farcelo capire. Lui e noi ce la ntendiamo perfettamente! Il papa è con noi". Che complessivamente il comportamento di Papa Roncalli abbia indebolito le remore all'avanzata comunista in Italia egli stesso se ne rese conto, se è vero che la sera della proclamazione del risultato delle elezioni del 1963 scoppiò in pianto esclamando: « Questo io non lo volevo, io non lo volevo! ». Ma la politica del "far piacere" può portare a queste e a ben altre luttuose conseguenze. Il "far piacere", o evitare di dispiacere a qualcuno può essere fonte anche di occultamento della verità, o per lo meno occasione di mancanza di coraggio
nell'esprimerla. Ecco un piccolo caso personale. Nel luglio del 1950 fui invitato a pranzo a Parigi dal Nunzio Roncalli, il quale per ben tre ore consecutive mi affascinò con una amabilissima e interessantissima conversazione che mi entusiasmò moltissimo; entusiasmo poi in parte sbollito quando seppi che più o meno le
medesime cose le raccontava a tutti. In tali circostanze il Nunzio ebbe dure parole di rimprovero per i Domenicani francesi che con una loro pubblicazione avevano acerbamente criticato il latino artefatto, libresco, bastardo, né classico né cristiano, con cui l'Istituto
Biblico aveva tradotto il Salterio per ordine di Pio XII. Non dovevano farlo per non recare dispiacere al Papa che teneva tanto a quella versione.... Io debolmente mi permisi di dire che
avevano fatto benissimo; giacché in questioni filologiche il piacere o dispiacere del papa non c'entra. Ma anche il Nunzio in fondo la pensava come i Domenicani; tanto è vero che fatto Papa dette ordine di riprendere il vecchio Salterio, correggendolo solo nei passi
meno felici e meno corrispondenti al testo ebraico. A tale proposito ecco la testimonianza esplicita di Mons. Marcel Lefebvre, nel suo libro Un vescovo parla (Rusconi, Ed. Milano 1974, p. 170): "Giovanni XXIII... non amava il nuovo Salterio. Lo disse apertamente alla Commissione Centrale prima del Concilio. Lo disse a noi presenti: " Oh, io non sono favàrevole a questo nuovo Salterio". Ma se fosse stato meno diplomatico, avrebbe dovuto dirlo prima a Pio XII stesso.
Da molti indizi mi pare che la sua obbedienza ai superiori sia stata troppo remissiva. Così, certo, non contrastandoli, forse anche quando sarebbe stato suo dovere farlo, godeva di quella famosa "pax" interiore ed esteriore che confina in parte col quietovivere.
A parte il fatto che all'epoca della sua formazione e dei suoi impieghi, il difetto di coraggio morale era una piaga della Chiesa , come esagerando faceva osservare il [pessimo] Fogazzaro in il Santo (c. 5, p. 243, Milano 1906), vi sono incarichi che acuiscono la tendenza alla sottomissione eccessiva. Ciascuno è figlio dei suo mestiere. Ogni mestiere implica fatalmente una deformazione prbfcssionale, tanto più grave quanto il soggetto sia più malleabile.
Durante quasi tutta la sua vita il futuro Papa Roncalli fu subalterno:
segretario, delegato, nunzio. Molinari pcco diplornaticamente scrive addirittura: "È noto infatti che il giovane segretario pensava col cervello del suo vescovo" (p. 167).
Nella sua vita aveva troppo ubbidito per poi da vecchio imparare a comandare; giacché non è del tutto vero che sa comandare chi ha saputo ubbidire: si tratta infatti di due azioni psicologicamente e moralmente strutturate in modo opposto. Del resto in una lettera del 10 Marzo 1938 aI prof. Donizetti da Istambul il futuro Papa così scriveva: "In questi quattro anni io posso dire di gustare i buoni frutti di un sistema che corrisponde al mio temperamento, cioè della
sostituzione del motto "Flectar non frangar" al motto "Frangar non fiectar". (Cfr. D. CUGINI, Papa Giovanni nei suoi primi giorni a Sotto il Monte, Bergamo 1965, 11 ed., p. 72).
Ironia dello storia: un uomo che durante la sua lunghissima vita era stato sempre anche troppo sottomesso è diventato, in parte suo malgrado, il padre della contestazione. Altra fama usurpata è quella di geniale innovatore: in realtà per indole e formazione era un tenace conservatore, e in un certo senso persino un restauratore: si
vedano gli Atti del Sinodo Romano! E anche i primitivi schemi del Vaticano II da lui studiati e approvati. Nella sostanza essi erano più volti a riassumere con stile e sensibilità moderni le idee
tradizionali, che non a formularne di radicalmente nuove. Del resto le novità non esplosero per merito o demerito dei Vescovi, ma dei periti, che sono stati i veri artefici del Vaticano II.
Questi, ben preparati e ben coalizzati, hanno saputo manovrare così bene che degli schemi primitivi (quelli che potremmo chiamare giovannei) c'è rimasto poco o nulla (Per i particolari rinviamo al
già citato libro di RALPh WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre. Le Concil inconnu, ed. du Cedre, 1974 traduzione dall'ed. americana).
Come il lettore si sarà accorto, il nostro capo di accusa non verte su certi minuscoli difetti che aveva Giovanni XXIII, come del resto si riscontrano anche nei santi; ma su uno stile di vita e di governo troppo teso a "far piacere" ad attirare la simpatia e la benevolenza universale. Troppi atteggiamenti del papa buono non sono quelli di un buon papa. Si dirà: sono sbagli tecnici, che non infirmano la santità soggettiva. Rispondiamo che la vera bontà di un governante deve essere sempre regolata dalla prudenza "regnativa", la quale a
sua volta deve essere sorretta dalla virtù della fortezza, data la
necessaria concatenazione di tutte le virtù. Del resto il futuro papa era cosciente di questo lato debole della sua natura; infatti come fa
osservare Molinari, dal Giornale dell'anima risulta che il Roncalli si riprometteva di "non indulgere troppo al suo temperamento pacifico e bonaccione" (p. 139); ma, come non riuscì mai a correggersi dal difetto della eccessiva loquacità, così non fu capace di armarsi della fortezza d'animo per governare la Chiesa e non lasciarsi governare, trasmettendo al suo successore una difficile eredità. Benché al papa si dia il titolo di santissimo, è difficile essere santi in quello stato, essendo così gravi, complessi e quasi contraddittori I suoi doveri, Non per nulla Giovanni XXIII, non credeva affatto alla santità di Pio XII, come mi riferiva un
autorevolissirno membro della soppressa Congregazione del S. Uffizio.
Il quale mi aggiungeva che quando Giovanni scendeva nelle Grotte Vaticane a far visita alla tomba del suo predecessore, diceva ostentatamente il De Profundis, per far capire alla gente che non lo considerava canonizzabile e così frenare l'incipiente movimento che già si profilava. Il papa stesso gli spiegò il significato della sua preghiera per il defunto. Ciò che per altri incluso il Postulatore della causa del Roncalli è squisita virtù, per chi scrive è... un vizio, se eretto a sistema normale di governo, un grave e pericoloso vizio! Mi si potrebbé obbiettare che "il Papa buono" non sempre si è lasciato governare dal desiderio di far piacere (ci vorrebbe altro!) e si potrebbero riferire alcuni gesti energici di riprovazione elencati a p. 164 dal Molinari. Ma, a parte il fatto che alcuni di essi sono stati esagerati, come per es., il "caso Spiazzi", si trattò di momentanei sussulti del suo viscerale "tradizionalismo"[esteriore e superficiale] e della sua spicciola adesione al programma curiale "quieta non movere"; per cui, per es., tanto si impressionò per il libro quanto mai innocente del P. Riccardo Lombardi,
scritto in preparazione al Concilio. Se avesse potuto prevedere, ed inparte avrebbe dovuto prevedere, lo svolgimento e le conseguenze del Vaticano Il (ma in fatto di previsioni papa Roncalli, benché definito da tutti "profeta", fu piuttosto lacunoso, come ben dimostra
CARLO FALCONI, nel suo curioso libro già citato "I papi sul divano".
L'autoanalisi dei pontefici testimoni di sé stessi), penso che mai lo avrebbe convocato. Per testimonianza del suo confessore e mio amico, Mons. Cavagna, so che il Papa negli ultimi tempi della sua vita era addoloratissimo per come si mettevano le cose in campo ecclesiale e politico. [FORSE IL PENTIMENTO CHE LO SALVò!] Sarebbe stata necessaria minor bonomia e maggiore fermezza. Scrivendo così
mi viene in mente la lunga e feroce critica che fa [il sifilitico] Nietzsche dell' "uomo buono" (meglio avrebbe detto del "buon uomo") nei suoi Frammenti postumi. "Esso è Indulgente, tollerante, pieno di pace e di gentilezza, capisce tutto, compassiona tutti, è amabile per non dover essere nemico, per non dover prendere partito, pratica la bontà, finissima astuzia con cui offre e quindi riceve
considerazione dappertutto. È la vera pecora di Cristo". Per il filosofo tedesco questo tipo di uomo è quanto mai nocivo."La mia proposizione: gli uomini buoni sono i tipi "umani più nocivi". Mi
si Risponde: ma ci sono solo pochi uomini buoni! Dio sia ringraziato! Si dirà anche: non ci sono uomini completamente buoni. Tanto meglio! Ma sempre io sosterrò che nella misura in cui è buono, un uomo è anche nocivo" (F. NIETZSCHE, Opere, VoL. VIII, Tomo III, p. 275, pp. 370-376, Milano, 1974, Adelphi Ed.). Sono proprio i tipi buoni e arrendevoli, che messi in alto loco diventano pericolosi, perché facilmente manovrabili da chi è più forte e più furbo di loro. Non è però questa la precisa prospettiva di Nietzsche quando afferma che i buoni sono nocivi. Per capire le sue affermazioni paradossali bisogna inquadrarle nella filosofia del superuomo e della volontà di potenza. Ovviamente noi non le sottoscriviamo, se non nel senso ridotto del detto popolare: Il medico pietoso, cioè "buono", fa incancrenire la piaga. E giacché siamo in "vena" di citazioni e per Meglio spiegarci, ecco come Ernest Hello descrive il medico "buono" (il quale naturùlmente è tutt'altro che un buon medico) : "Che cosa si direbbe di un medico che per un senso di carità, usasse dei riguardi alla malattia del suo cliente? Immaginate questo personaggio così riguardoso. Direbbe al malato: "Dopo tutto, amico mio, bisogna essere caritatevoli. il cancro che vi rode è forse in buona fede. Guardiamo un po': siate gentile, cercate di far con lui una piccola amicizia; non bisogna essere intrattabili; assecondatelo nel suo carattere.
in questo cancro c'è forse un animaletto che si nutrisce della vostra carne e del vostro sangue: avrete il coraggio di rifiutargli ciò che gli occorre? Morirebbe di fame, poverino! D'altronde son tratto a pensare che il cancro sia in buona fede e credo di adempiere presso di voi ad una missione di carità" (ERNESTO HELLO, L'uomo, Firenze 1928, p. 70). Hello stesso nel contesto allude alla pericolosità dei compromessi nel campo dell'insegnamento. Infatti poco prima aveva scritto: " Chi transige coll'errore -non conosce l'amore nella sua pienezza e nella sua forza sovrana. La pace apparente comprata e pagata dalla compiacenza è contraria tanto alla carità che alla giustizia perché scava un abisso là dove c'era un fossato.
La carità vuol sempre la luce e la luce non sopporta neppure l'ombra di un compromesso". Vi è nella medesima opera del brillante scrittore francese una stupenda pagina in cui descrive quale tipo di santo il mondo vorrebbe; e di Santi l'autore di "Physionomies de saints" se ne intende. Detta pagina getta un fascio di luce sull'universale simpatia suscitata dal papa Roncalli anche presso i mondani; anche se, ben inteso, la sua figura morale non coincide se non in proporzione assai ridotta con il tipo descritto da Hello:
"Essayez de vous figurer un saint qui n'aurait pas la haine du p&hé! L'idée seule de ce saint est ridicule. Et cependant c'est ainsi que le monde se figure le chrétien qu'il faudrait canoniser. Le saint véritable a la charité; mais c'est une charité terrible qui brùie et qui dévore, une charité qui déteste le mal, parce qu'elle veut la
guérison. Le saint que le monde se figure aurait une charité doucereuse, qui bénirait n'importe qui et n'impone quoi, en n'importe quelle circonstance. Le saint que le monde se figure sourirait à l'erreur, sourirait au péché, sourirait à tous, sourirait à tout. Il serait sans indignation, sans profondeur, sans bauteur, sans regard sur les abimes. Il serait bénin, bénévole, doucereux pour le malade, indulgent pour la maladie. Si vous voulez étre ce saint-là, le monde vous aimera, et il dira que vous faites aimer le christianisme.
Le monde, qui a l'instinct de l'ennemi, ne demande jamais qu'on abandonne la chose à laquelle on tient: il demande seulement qu'on pactise avec la chose contraire. Et alors il déclare que vous lui faites aimer la Religion, c'est-à-dire que Vous lui devenez agréable, en cessant d'étre un reproche pour lui. Il affirme alors que vous ressemblez à Jésus-Christ, qui pardonnait aux pécheurs. Parmi les confusions que lè monde (?) chérit, en voici une qu'il chérit beaucoup: il confond le pardon et l'approbation. Parce que Jésus Christ a pardonné à beaucoup de pécheurs, le monde veut en
conclure que Jésus-Christ ne détestait pas beaucoup le péché".
(E. HELLO, L'bomme, lib. lI, « Les Alliances spirituelles, Montreal, pp, 197 ssg)

Giunto al termine di queste amare constatazioni e severe considerazioni (dettate dalla Sofferenza per lo sfacelo che devasta la Chiesa nel campo della fede, dei costumi, della disciplina per la spaventosa crisi delle vocazioni; per le numerose defezioni di preti
e religiosi; per l'avanzare del comunismo ateo: tutti malanni derivanti in parte almeno - dalla mancanza di fermezza e di lungimiranza del governo pontificale di Giovanni XXIII) immagino facilmente quale ondata di indignazione susciteranno negli ammiratori senza riserve del papa Roncalli. A mia parziale discolpa dirò che, mentre il defunto pontefice "per far piacere a tutti" non sempre diceva brutalmente la verità, o meglio ciò che pensava; chi scrive invece, per temperamento e per convinzione, crede opportuno manifestare crudamente il suo Pensiero anche a costo cli dispiacere a molti, pronto però a ricredersi, se gli verrà dimostrato che sbaglia; giacché nessuno è infallibile, specialmente in campo storico, molto più se si tratta di avvenimenti troppo vicini.

PADRE INNOCENZO COLOSIO, O.P.



http://puffin.creighton.edu/bucko/travel/02_12_99_06.jpg

MISERERE EI, DOMINE, SECUNDUM MAGNAM MISERICORDIAM TUAM

argyle_83
09-11-05, 11:37
Originally posted by guelfo nero
CARI AMICI,

SUL NUMERO 51 DI "TRADIZIONE CATTOLICA", BOLLETTINO DELLA "FRATERNITà SAN PIO X", è RIPORTATO IL TEMA DI MATURITà 2002 DEL GIOVANE CATANESE FABIO ADERNò CHE HA DURAMENTE ATTACCATO LA FIGURA E RADICALMENTE DIVELTO DAL SUO PIEDISTALLO L'OPERA DI GIOVANNI XXIII.
è UN TEMA MOLTO MATURO CHE HA TUTTI I LIMITI DI UN'IMPOSTAZIONE PRETTAMENTE LEFEBVRIANA MA MOSTRA ANCHE UN'ASSENNATEZZA RAGGUARDEVOLE.
IL GIOVANE NON HA RISPARMIATO ATTACCHI ALL'ECUMENISMO, AL FILOCOMUNISMO RONCALLIANO, AL SUO INSANO ANTICURIALISMO, ALL'ANTROPOCENTRISMO DEL "NUOVO CORSO" CONCILIARE.
IL TEMA, malgrado IL PARERE CONTRARIO DELL'UNICO PRETE IN COMMISSIONE, HA AVUTO IL MASSIMO DEI VOTI.
CERTO MANCAVA UN ACCENNO ALLA POSSIBILE VACANZA DELLA SEDE DURANTE IL PERIODO RONCALLIANO MA (forse) NON SI POTEVA PRETENDERE.


UN SALUTO

GUELFO NERO :)

E' reperibile sul web questo tema di maturità?
Grazie.

Peucezio (POL)
10-11-05, 05:34
Originally posted by argyle_83
E' reperibile sul web questo tema di maturità?
Grazie.


Io ho da qualche parte il numero della rivista, se ti interessa posso sempre scannerizzare l'articolo e postarlo.

argyle_83
10-11-05, 17:03
Originally posted by Peucezio
Io ho da qualche parte il numero della rivista, se ti interessa posso sempre scannerizzare l'articolo e postarlo.

Se puoi (sempre che per te non sia un problema), ti ringrazio.
:)

Peucezio (POL)
11-11-05, 06:39
Il passaggio dal file di Word alla casella del forum impedisce purtroppo di conservare i corsivi, grassetti i rientri ecc., che andrebbero ripristinati manualmente (cosa che non ho la pazienza di fare).
In ogni caso il testo, tratto da "La Tradizione Cattolica", n° 51, anno 2002, pagine 44-49, è il seguente:


---------------------------

Giovanni XXIII,
il Concilio,
gli esami di Stato
e... i Salesiani

di Fabio Adernò

Ospitiamo volentieri un intervento tanto interessante quanto insolito: il tema di maturità su Giovanni XXIII di un nostro giovane lettore. Una introduzione del medesimo ha il pregio di introdurci nella tipica atmosfera in cui abitualmente un esaminando si trova collocato... con qualche sorpresa. Il testo che presentiamo ai lettori rappresenta una testimonianza significativa soprattutto in relazione alla giovanissima età dell 'autore.

Sono le 7,30 di mercoledì 19 giugno. Mi alzo tranquillo, né più né meno come se fosse un normalissimo giorno in cui il profes¬sore ha fissato il compito d'Italiano. Arrivato a scuola, l'appello: sono il primo, come da cinque anni... anche se, stavolta, mi fa un cer¬to effetto: penso che non mi capiterà più di sentire i nomi dei miei compagni dopo il mio...
Ma ecco che, mentre mi trovo a riflettere su ciò, il presidente, un uomo panciuto e bonario, avvolto in una camicia di lino che fa trasparire la canottiera, apre la busta con i titoli dei temi. Poco dopo mi ritrovo con in mano circa otto fogli spillati, con tanto di stemma del Ministero. Inizio a leggerli sommariamente: Quasimodo, Saba, e poi, autori e paesaggi natii, i beni culturali, la memoria storica, internet, e... mi strofino gli occhi, forse sono troppo assonnato e non ci vedo bene... o, forse è il caldo... eh no, ci vedo benissimo! È un tema su Papa Giovanni e il Concilio! Roba da matti! Ma come può essere saltato in mente all’intellighenzia ministeriale di dare una traccia del genere come tema storico?! Nei programmi curriculari non si accenna neanche quel periodo!
Esterrefatto, cerco di star attento a ciò che dice il professore sullo svolgimento... ma non parla del tema di Storia! E già, chi vuole che lo faccia un tema simile, l'argomento è veramente particolare, esule dalle comuni conoscenze impartite dagli insegnanti, laici e non.
Tuttavia, felice all'ennesima potenza per via di questo titolo, totalmente inaspettato (altro che 11 settembre e roba simile...!) mi butto a capofitto nella stesura di questo tema che, devo dire, per me ha tutto l'odore di un intervento divino...
Così, ho finalmente la possibilità di mettere per iscritto, di comunicare agli altri la mia idea sul "Papa buono", sul Vaticano II, insomma su tutto ciò che è stato ed è una delle mie più coinvolgenti passioni da un anno e mezzo a questa parte, da quando il mio spirito critico, già in lotta con la moderna società per le mie idee monarchiche, ha trovato nella salvaguardia della Tradizione, religiosa particolarmente, il centro di tutto il suo pensiero; e leggendo, approfondendo ed appassionandomi a tutto ciò che è Tradizione, ho compreso come sarebbe impossibile scindere l'Altare e il Trono ed ho riscoperto il mio essere Cattolico Apostolico Romano, dopo anni e anni in cui mi si è detto e pontificato che basta essere "cristiani"; e se anche già da piccolo avevo visto nella Messa antica un qualcosa di meraviglioso, totalmente diverso dallo scempio delle moderne "celebrazioni liturgiche" post-conciliari, ove c'è tutto meno che Dio, con l'incontro col "mondo della Tradizione", tutto ciò che era fantasia (potevo solo immaginare, dai racconti di papà chierichetto e dal suo ben conservato Missale Romanum, come fosse l'antico Rito) è divenuto realtà tangibile e continuo confronto e riscontro positivo e realizzante, perché è bello sapere che non si è soli a pensarla in un modo!
Comunque, tornando al tema, è stato davvero come se fosse stato fatto apposta per me. La traccia, tuttavia, implicitamente comprendeva il giudizio (positivo, ovviamente) sull'argomento trattato, vedendo in Giovanni XXIII colui il quale seppe aprire le finestre (e le porte) della Chiesa (vecchia, decrepita e a tratti medievale) all'aria fresca che si respirava nel mondo, iniziando quel Concilio così salutare per l'umanità che non andava più ammaestrata, ma da cui la Sposa di Cristo doveva farsi ammaestrare... Tutto bello, tutto sorrisi, proprio come nella fiction TV di Rai 1, Papa Giovanni! Sarà mica per questo che i professori del Ministero hanno scelto questo argomento?! Beh, se è così, sono da compatire, poverini! Se fossimo vissuti negli anni '50 ci avrebbero dato un tema su Mosè e l'esodo ebraico per via de "I dieci Comandamenti”? E se fossimo stati nel '40 sulla guerra di secessione americana grazie a "Via col vento"? Forse è meglio non continuare, andremmo a finire troppo in basso...!
In quattro ore e un quarto ho già terminato tutto, devo solo rileggere le mie cinque colonne e mezzo. Mi sento in cuor mio serenissimo, come per tutta la mattinata, tranquillo di aver fatto bene, e, dal mio punto di vista, fermamente convinto che nulla al mondo accade a caso... ! E poi, vengo a sapere che sono stato l'unico in tutto l'Istituto (e forse in tutta Catania) a svolgere quel tema.
Tornato a casa, trovo i miei che sono una pasqua: avevano già sentito al telegiornale i temi che avevano dato e, conoscendomi, avevano messo la mano sul fuoco che io avrei fatto proprio quello storico.
Il giorno seguente, reduce della versione di Latino, sui giornali leggo che in tutta Italia siamo stati solo 1' 1,3% dei ragazzi a scegliere Giovanni XXIII e il Concilio; forse che siamo tutti tradizionalisti?!? Voglia Iddio!
Superata anche la terza prova, mi dedico al ripasso di tutte le materie e alla stesura del "percorso" pluridisciplinare per il colloquio orale. Argomento: Religione e Stato: sudditanza, collaborazione, scissione. Manco a farlo apposta!
Mercoledì 3 luglio: gli orali. Sono il secondo della mattinata. In una sala calda con delle sedie rosse ed un tavolo con una tovaglia azzurra, mi accoglie (!) la commissione: tutti laici e un salesiano, insegnante di scienze. Presento il mio percorso ed inizio a dire che lo Stato deve riconoscere il Vero Dio e tributarGli onore e culto pubblico, che deve professare la Vera Religione, che ogni potere proviene da Dio, che Cristo possiede la potestà su tutte le cose in Cielo e in Terra... tutto ben documentato con passi evangelici e di Encicliche, con citazioni dall'Apologeticum di Quintiliano e dal De Civitate Dei di Sant'Agostino... insomma, quello che viene definito un gran bel lavoro da parte dei miei insegnanti... laici. E già, perché il caro reverendo salesiano, mentre confrontavo i Patti Lateranensi ed il nuovo Concordato, difendendo il sacrosanto principio della Religione Cattolica come Religione di Stato, ecco che m'interrompe e dice: "E secondo te questo è giusto?" ! ! ! Rimango attonito per un paio di secondi e poi rispondo, fermo e deciso: "Sono Cattolico, quindi è perfettamente corretto!". Una smorfia gli si disegna sul suo viso sul quale ben si legge che mi detesta, come già da tre anni del resto (non potrò mai dimenticare, infatti, che una volta mi disse, in classe, davanti a tutti: "Tu sei nato per indispormi!": alla faccia della pedagogia salesiana e dall'amore per i ragazzi di Don Bosco!). Malgrado la sua interruzione, continuo a parlare e il discorso cade sull'immutabilità della Dottrina e della Teologia... ed eccolo di nuovo all'attacco, ancora più nero di prima. Mi domanda, con un mefistofelico ciglio alzato: "Secondo te - com'è democratico, penso! - la Teologia è una scienza?" ed io: "Beh, in un certo senso sì, in quanto "indaga Dio". "; "Allora - mi dice - può anche evolversi, come ogni scienza..." quasi volesse inculcarmi un qualcosa che già puzzava di modernismo. Io, grazie al Cielo, risoluto, rispondo: "Certo, può evolversi, però nell 'ambito della Tradizione". "E che cos'è la Tradizione? — mi chiede - In che senso" (sic!) "Nel senso - gli dico - che può mutare alcune delle forme espressive, ma non sostanziali. Se, ad esempio, la Fede e la Tradizione insegnano che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, non può venire qualcuno e dire il contrario, barricandosi dietro l'evoluzione della Teologia! E così via per tutte le nostre Verità di Fede, i nostri Dogmi. Siamo Cattolici". Incerberito mi dice: "Allora, dimmi una cosa: uno che va a casa di un peccatore, farabutto, comunista, ateo, che la società religiosa "tradizionale" impone di non frequentare, secondo te, sbaglia?". Io, con occhio vispo, malgrado un'odiosa orticaria che mi comprimeva lo zigomo (il prete non mi ha chiesto neanche cosa avessi!) gli ribatto: "Parla di Gesù e San Matteo, non è vero?". "Sì". "No, non sbaglia: prima di tutto perché stiamo parlando di una società quale quella giudaica, dove la legge mosaica non è certo uguale a quella dell Amore e della Carità Cristiana; in secondo luogo perché lo ha convertito!". Ah, ora capisco perché mi ha fatto questa domanda - penso tra me e me - : nel tema ho parlato del rapporto di troppa amicizia tra Giovanni XXIII e Kruscev: quindi aggiungo: "Non mi pare che Giovanni XXIII abbia convertito Kruscev!". Ed ecco che taglia corto - mentre, con la coda dell'occhio, m'accorgo che la commissione intera muore in sottecchi dalle risate per questo botta e risposta! - e inviperito esclama: "Comunque, è meglio che si facciano domande fuori percorso! Che è tutto questo tempo che stiamo perdendo!". L'esame continua bene (solo l'insegnante di Storia e Filosofia (cristo-marxista) mi fa delle domande che non c'entravano nulla - dopo, tra l'altro, che avevo trattato già tre argomenti della sua materia) fino a quando la professoressa di Storia dell'Arte non mi domanda come mai il Bernini abbia disegnato il colonnato della Basilica di San Pietro a quel modo, ed io rispondo che è il simbolo dell'abbraccio della Chiesa Universale ai Fedeli. Allora il mio "amico" reverendo esclama: "Solo ai fedeli, vero?!". Ed io: "Aperuisti Credentibus Regna Caelorum, dice il 'TeDeum' ...se si ricorda... oltre che l'incipit di San Giovanni!". Per condire poi l'insalata ecco che mi domanda - pur sapendo e vedendo che nel percorso avevo trattato ben quattro argomenti di geografia astronomica - le Leggi di Keplero a memoria. Che Iddio lo perdoni!
Finito l'esame (45 minuti) la porta si chiude e tale resta per più di mezz'ora. Si sentono toni alti e pugni sul tavolo. Dalla porta a vetri opachi s'intravede la sua figura che si dimena e sbraita come un personaggio dantesco.
Qualche giorno dopo vengo a conoscenza di alcuni particolari: il mio tema aveva fatto il giro di tutto l'Istituto Salesiano. Il mio "amico" non voleva che mi si desse il massimo per via delle idee espresse, perché la forma espressiva e la rielaborazione critica dell'argomento sono risultate eccellenti (il foglio era così come l'avevo consegnato!). Fatto leggere al mio insegnante (salesiano) di (ir)religione, mi è stato riferito abbia esclamato "Si deve confessare! ". Peccato che lui non si ricordi che una volta, in cortile, in occasione della nefasta "giornata di preghiera per la pace" del 24 gennaio, ad una mia esclamazione sull'incompatibilità della nostra Fede con gli altri culti, e sull'assurdità di un Papa, Vicario di Cristo, in mezzo ad eretici, senza Dio, scismatici ecc. (senza, per altro, il minimo desiderio di convertirli), mi disse: "E dove è scritto che il Papa è Vicario di Cristo?! Portami le prove!". Peccato che non c'era Torquemada!
Dunque, col mio tema, ho dato vita ad un vespaio... tuttavia, ne sono lieto, perché sono orgoglioso di essere come sono: Cattolico Apostolico Romano. E sono fiero di aver espresso le mie idee a riguardo del Concilio, di Giovanni XXIII. Anzi, mi spiace tanto non esser riuscito a scrivere tutto ciò che desideravo, visto che ce n'è proprio tanto da scrivere.
Ma ciò che mi amareggia in tutta questa vicenda è proprio il comportamento dei salesiani, che dovrebbero essere eredi di Don Bosco, ferreo sostenitore del Potere Temporale, devotissimo suddito del Beato Pio IX, e che, invece di apprezzare un lavoro che ho svolto con entusiasmo, lo atterrano senza mezzi termini, senza un dialogo critico costruttivo. E allora mi chiedo: perché non mi insegnavano loro, in cinque anni, cosa è stato il Vaticano II, chi fu Giovanni XXIII, cosa significa veramente essere Cristiano-Cattolici, invece di proporre, durante le ore di religione, disquisizioni astruse sulla globalizzazione in termini marxisti - piuttosto che come lotta al mondialismo e all'indifferentismo religioso e sociale -; invece di farci svolgere gli esercizi spirituali di Pasqua in mezzo ai drogati, anziché con Dio; invece di beneficiarci - per quanto è possibile col nuovo Rito - soltanto dieci volte (su circa trentotto settimane di scuola) della Santa Messa settimanale; invece di indurci alla donazione degli organi anziché spiegarci la Dottrina morale della Chiesa... e potrei continuare a lungo!
Questo mio è stato uno sfogo, a dimostrazione che realmente col Vaticano II la Chiesa non è più quella di prima, o meglio, che gli uomini di Chiesa non sono veramente tali, così come comanda Nostro Signore. Si disprezza il passato e ciò è un'offesa a Dio, Signore della Storia. Ed ecco che i laici mostrano maggior consiglio dei religiosi. Se questa è la Società di San Francesco di Sales!
Prima di passare al mio tema desidero, tuttavia, soffermarmi sulla critica di parte "cattolica" alla traccia su Giovanni XXIII: non è stata molto apprezzata, ma non perché elogiava il Vaticano II, quanto perché dava l'idea (?) che Giovanni XXIII fosse un Papa progressista: e allora ecco rivangare la Veterum Sapientia, l'obbligo della talare per i preti e... basta! Già, più di questo non potevano dire! Comunque la cosa straordinaria è che pare sia seccato ai critici cattolici (primi fra tutti Vittorio Messori e l’Osservatore Romano) che il Papa buono venga dipinto come un innovatore, anzi viene difeso come tradizionalista! Anche lo stesso Mons. Loris Capovilla - causa di tanti pasticci...! - ha affermato che "è sbagliato inquadrare Giovanni XXIII al di fuori della continuità apostolica". Ma come, s'è fatto tanto per diffondere l'idea del Papa buono (e molta gente pensa che gli Altri siano stati cattivi!), del sorriso, della fratellanza, della Pacem in terris, del Concilio come risveglio della Chiesa dall'oppio dell'antimodernismo, dell'anticomunismo, dell'antiliberalismo, dell'antigiudaismo cristiano..., s'è detto che
ora tutto va meglio di prima, si è giunti a citare, nei documenti ufficiali, il Vaticano II prima dei Vangeli, ed ora, davanti alla mostruosità costruita, i mastri artigiani si mordono le mani e dicono che Giovanni XXIII è stato un "buon Papa" perché fu - in parte N.d.A. -tradizionalista?!?
Giudichi, adesso, il lettore se ciò che ho scritto nel tema sia errato o no.


PROVA D'ITALIANO
Tipologia "C"
Secondo un giudizio storico larga¬mente condiviso, con Papa Giovanni XXIII la Chiesa si lascia alle spalle le fasi più aspre della contrapposizione alla modernità, quali ad esempio, le pronunzie del "Sillabo" e la scomunica del modernismo. Si avvia al tem¬po stesso un lungo travaglio, culminato nel Concilio Vaticano II, teso al dialogo ecumenico con i lontani e i separati e al con¬fronto con un mondo aperto a moderne pro¬spettive politiche. Illustra questa importante fase della storia della Chiesa ed il ruolo che essa ha avuto nel contesto italiano ed interna¬zionale.

SVOLGIMENTO
La critica contemporanea è concorde nell'affermare che col Pontificato di Giovanni XXIII (1958-1963) si avvia per la Chiesa Cattolica una nuova epoca, che aprirà la strada al Concilio Ecumenico Vaticano II ed ai successivi Papati di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Un'epoca di novità, ma... fino a quando una novità può essere positiva? Beh, fino a quando non stravolge completamente ciò che è stato il passato. Hobsbawn ha affermato che "la distruzione del passato [...] è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento". Poteva, quindi, la Chiesa, che col Vaticano II s'è "aperta" al mondo, non assoggettarsi da esso? E un processo naturale di ogni assimi¬lazione: chi va con lo zoppo impara a zoppi¬care!
Papa di transizione - tra la nomina di un Giovan Battista Montini (futuro Paolo VI) a Cardinale ed il mantenimento dello status quo voluto dal curiale Cardinale Ottaviani (Prefetto del Sant'Uffìzio) per la salvezza del Cattolicesimo dall'ombra nera (rossa) del comunismo dilagante (se non si fosse stati risoluti, a Cuba sarebbe scoppiata una guerra interminabile...) - Giovanni XXIII regnò per soli cinque anni, ma furono cinque anni intensi, ricchi di iniziative, ma anche di contraddizioni... si pensi, ad esempio, al troppo stretto rapporto d'amicizia col capo sovietico Kruscev e alla scomunica, sottoscritta dal Papa, nei confronti degli iscritti al Partito comunista, emessa dal Sant'Uffizio il 25 Marzo 1959 (è conciliabile ciò con la frase assurda dal punto di vista logico, teologico e dottrinale: "si punisce l’idea non chi la segue"?!).
La pietà popolare, senz'altro lontana dalle problematiche di gestione interna della Chiesa Cattolica, ha attribuito a Giovanni XXIII l'epiteto di "Papa buono". Che fu buono non c'è alcun dubbio (si pensi alla sua tenerezza coi bambini, coi malati, coi carcerati), ma fu davvero un "buon Papa"? Può considerarsi tale un Pontefice che - è bene dirlo - involontariamente, per la sua troppa bonarietà da "prete di campagna", essendo anche mal consigliato (Mons. Loris Capovilla), avvia un processo che porterà alla scissione tra Chiesa della Tradizione e Chiesa moderna? Perché involontariamente? Perché il Vaticano II era stato indetto con l'intento aggregativo di tutti i Vescovi del mondo e non come organismo decisionale a livello quasi rivoluzionario. E già, perché il Sinodo romano finì come gli Stati Generali al tempo della Rivoluzione francese! Questo perché numerosi Presuli (stranieri e progressisti) vollero cambiare l'impostazione data dalla Curia Romana, dando vita, ad esempio, alla Costituzione "Sacrosanctum Concilium" dove la voglia innovatrice (rivoluzionaria) prevalse, abbattendo per primi mille anni di Teologia e Dottrina liturgica. La cosa, infatti, più significativa (e negativa) del Concilio è stata quella di rinnegare il glorioso passato della Chiesa. Era un po' sporco? Beh, chi lavora si macchia!
Nel Concilio, poi, si sono contravvenute disposizioni di Pontefici Santi, come Pio X, che nell'Enciclica "Pascendi" del 1907 aveva condannato il Modernismo, o come il Beato Pio IX, che nella "Quanta cura" e nell'annesso "Syllabus" del 1864, aveva deplorato il liberalismo e gli errori nel nostro tempo. Tutto questo, col Vaticano II, diviene "normale". Nonché si sono tralasciati secoli e secoli di Patristica, in favore della "dilectio pro homine", contravvenendo al precetto evangelico: "Stolti! Non sapete che amare il mondo è odiare Me?"
Addio, dunque, alla Cattolicità Romana in nome di una Cristianità più libera, senza dogmi, senza confessioni, priva delle radici teologiche e dottrinali della Storia della Chiesa. Frutti negativi, o meglio, che sono diventati tali con l'applicazione; che si sono ritorti contro la stessa umanità da salvare, perché è ovvio che il Concilio, da un vero Cattolico, non può esser visto in una totalità positiva per il nostro tempo, perché ora più che mai il mondo avrebbe avuto bisogno di una voce forte, ferma, che si ergesse tra le molte fuorvianti che si odono... sì, anche con condanne, perché Dio non è solo misericordia, ma anche giustizia!
Ad esempio, la frase "cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che ci divide" non potrebbe essere stata più deleteria per la Chie¬sa, anche perché, invece di cercare di correg¬gere gli errori e stabilire ciò che è buono e ciò che non lo è (compiti fondamentali della Chiesa Cattolica), si finisce col farsene conniven¬ti. Ed è così che si arriva agli errori dottrinali, alle macedonie teologiche, agli svianti consessi ecumenici tanto in auge da trent'an¬ni a questa parte. Il nostro secolo è forse meno bisognoso di quello passato delle amorevoli cure della Chiesa, Madre e Maestra? Cure dolci di una madre, sì, ma anche severe di un maestro, di un padre, atte non ad impaurire, ma a far crescere. Col Concilio tutto questo è svanito: la Chiesa ha perso il suo essere geni¬tore, ed è stata limitata ed essere Istituzione, che noi credenti sappiamo divina, ma che per i laicisti è solo umana, con una sua Gerarchia, che è comoda quando si parla di pena di mor¬te, ma diviene fastidiosa a riguardo dell'abor¬to, del divorzio: insomma, un qualcosa da te¬nere nel cassetto, usare poco e riconservare. Questa è la Chiesa del post-Concilio, la Chiesa moderna, che ha perso i suoi Riti dal sapore d'incenso e dal profumo di Paradiso, che è stata asservita agli Stati (addirittura in Italia, nel 1984, la Santa Sede ha controfirmato un Concordato che poneva fine alla Religione Cattolica come Religione di Stato!) e così fa¬cendo ha negato la Sovranità eterna di Gesù Cristo su tutte le cose. Per non parlare, poi, della piaga dell'ecumenismo, che se solo fosse condotto come voleva Pio XII! Tutti uguali, tutti gli stessi: musulmani, ebrei, induisti, buddisti...: quale scandalo agli occhi di Dio che ispirò il Salmista: "Tutti gli dei delle genti sono demoni " !
Sarebbe, comunque, troppo lungo enumerare gli errori del Concilio - che, tra l'altro, si manifestano di anno in anno - così come anche le sue ripercussioni in ambito sociale, politico, sia nazionale sia internazionale. Solo per citarne alcune: l'annullamento della Chiesa in materia di Stato e la sua ghettizzazione solo in ambito spirituale; il suo abbandono, anche se parziale, della missione evangelizzatrice del mondo, e quindi anche civilizzatrice, perché, come diceva San Pio X, "non c'è civiltà senza civiltà morale e non c'è civiltà morale senza Vera Religione " (=Cristo, il Suo Vangelo, la Sua Chiesa). Si è spenta la voglia di portare a tutti la Verità, "unica e immutabile", per non urtare l'altro, per non offenderlo. I "lontani" e i "separati", è vero, sembrano più vicini: ma le loro eresie, i loro scismi? È mutata la Dottrina, quindi è cambiata anche la loro posizione... ma può mutare una Dottrina divina secondo cui, tra l'altro, lì dove c'è Pietro lì c'è Dio e che "extra Ecclesia nulla salus "? Si può aprire da Cattolici le mani al mondo sociale e politico senza attenersi al mandato di evangelizzare, sanare i contriti di cuore, e "Instaurare omnia in Christo" (S. Pio X)?
Questo è stato ed è il Vaticano II, i suoi frutti, le sue conseguenze e siccome mi sembrava troppo comune e banale descrivere suoi pregi (pochi, molto pochi a dire il vero... !), mi sono assunto il compito di parlare dei suoi difetti. È forse politicamente scorretto, poco "irenistico", ma credo proprio che parte della crisi che stiamo attraversando socialmente sia anche dovuta al fatto che la Chiesa non è più la Chiesa Cattolica di sempre, della Sua Tradizione, dei Suoi Santi, ma si sia ormai asservita - grazie a Dio non tutta! - all'antropocentrismo liberale e laicista dilagante. Possa Dio proteggere sempre la Sua Santa Chiesa dalle tentazioni mondane degli uomini che la compongono.

Giudizio espresso dalla Commissione d'esame: «Eccellente la capacità di rielaborazione critica dell'argomento, pur affrontato attraverso interpretazione eccessivamente soggettiva. Eccellente anche la forma espressiva. 15/15».

argyle_83
12-11-05, 14:40
[QUOTE]Originally posted by Peucezio
[B]Il passaggio dal file di Word alla casella del forum impedisce purtroppo di conservare i corsivi, grassetti i rientri ecc., che andrebbero ripristinati manualmente (cosa che non ho la pazienza di fare).
In ogni caso il testo, tratto da "La Tradizione Cattolica", n° 51, anno 2002, pagine 44-49, è il seguente:


Grazie, Peucezio.
:)

Guelfo Nero
02-09-06, 22:23
NON ABBIAMO BISOGNO di un "papa" tradizionalista: abbiamo bisogno di un Papa cattolico.

Roncalli sul trono di Pietro: flabelli, cappe magne, guardie nobili, mazzieri, eppure covava virulenta la Rivoluzione.

Guelfo Nero:rolleyes:

Vale anche oggi, più che mai...

Sùrsum corda! (POL)
02-09-06, 23:25
http://www.s-clements.org/PhotoGalleries/04Institution/images/24train.jpg

Serendipity
02-09-06, 23:31
Pare che il Carlini ricevesse sempre delle rose, con biglietto dedicato (Tuo GIovanbattista).

Fonte anonima diocesana ambrosiana

Guelfo Nero :fru :fru :fru :fru :fru Confermo confermo confermo.

Serendipity
02-09-06, 23:37
Che Montini fosse frocio (purtroppo è assolutamente acclarato, come Umberto II di Savoia) Su Montini confermo, ma la verità storica mi impone di smentire su Umberto II.
La notizia dell'omosessualità dell'allora Principe Ereditario Umberto venne diffusa da Mussolini, che, sospinto da Hitler di salire il gradino da Capo del Governo a Capo dello Stato, come aveva fatto appunto il dittatore tedesco, ambiva a porre sotto il proprio diretto controllo anche la Corona. Da qui la diceria che il Principe Umberto fosse gay, che non volesse andare con le donne, e che, quindi, non avrebbe potuto dare sèguito alla Dinastia (Umberto ebbe invece quattro figli).

Serendipity
03-09-06, 00:09
AAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!! Ennesimo anatema... :eek:
Leggete qui (Guelfo Nero ha già letto e sapientemente risposto) ---> http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=56914

Luca
03-09-06, 00:11
Non andiamo off topic, mi raccomando... ;)

Luca
03-09-06, 00:23
http://www.s-clements.org/PhotoGalleries/04Institution/images/24train.jpg


Come dice spesso Guelfo: "C'è molta gente nel pittoresco mondo dei "tradizionalisti" che inciampa nella cappa magna". :D :D :D :D :D

Luca
03-09-06, 00:26
http://santiebeati.it/immagini/Original/55725/55725AX.JPG

Il cardinale Roncalli (aka Giovanni XXIII)

Serendipity
03-09-06, 03:56
Come dice spesso Guelfo: "C'è molta gente nel pittoresco mondo dei "tradizionalisti" che inciampa nella cappa magna". :D :D :D :D :D Però la cappa magna è bella davvero... Io, uffa, non l'ho ancora mai vista utilizzare dal vivo... :ue


http://img213.imageshack.us/img213/6624/siriencappa7cs9.jpg

Luca
22-05-08, 01:35
Giovanni XXIII e la libertà religiosa

Il concetto cattolico di libertà e di dignità

Leone XIII, nell’Enciclica «Libertas» (20 giugno 1888): «La libertà, dono di natura nobilissimo, è proprio unicamente degli esseri intelligenti o ragionevoli e conferisce all’uomo questa dignità, di essere in mano del suo consiglio ed avere intera padronanza delle sue azioni. La qual dignità però importa moltissimo come sia sostenuta, perché dall’uso della libertà derivano del pari e sommi beni e sommi mali. Può, infatti, l’uomo obbedire alla ragione, seguire il bene morale e tendere diritto all’ultimo suo fine; e può invece mettersi in tutt’altra via, e correndo dietro a false immagini di bene, turbare l’ordine debito, ed esporsi da se stesso ad inevitabile rovina. Il nostro Redentore Gesù Cristo, restaurando ed elevando la dignità primitiva di natura, recò alla volontà grandissimo giovamento; e... la innalzò a più nobile segno. Per la stessa ragione assai benemerita di sì eccellente dono di natura fu e sarà sempre la Chiesa cattolica, come quella che ha per officio di propagare a tutti i secoli i benefizi recatici da Gesù Cristo».

Il libero arbitrio

Leone XIII distingue: «La libertà naturale, (d’ordine psicologico) è principio e fonte nativa da cui scaturisce ogni altra libertà».
Essa, «Innalzandosi alla conoscenza delle ragioni immutabili e necessarie del vero e del bene, è in grado di giudicare della contingenza dei beni particolari. Ora, come la semplicità, spiritualità ed immortalità dell’anima, così la libertà sua nessuno afferma più alto, nessuno con più costanza difende della Chiesa cattolica, che le insegnò sempre, e le sostiene qual dogma».
Si tratta della responsabilità umana: risposta dovuta anzitutto a Dio.
«Libertà morale. Poiché ogni mezzo ha ragione di bene utile, e il bene, in quanto bene, è oggetto proprio dell’appetito, ne segue che il libero arbitrio è dote della volontà, anzi è la volontà stessa, in quanto ha, nell’operare, facoltà di elezione». Il bene voluto è conosciuto da un giudizio della ragione.
Così la volontà, come la libertà che ne deriva, ha per oggetto il bene conforme alla ragione.
La possibilità di errare, per difetto di giudizio, «Dimostra che siamo liberi, come la malattia, che siamo vivi, ma dell’umana libertà non è che difetto. Discorre su ciò il San Tommaso: ‘Il poter peccare non è libertà, ma servaggio’. Basti quel che egli dice commentando le parole di Gesù Cristo: - chi fa il peccato è schiavo del peccato (Giovanni 8, 34). ‘L’uomo è ragionevole per natura […] si muove da sé e però da libero, quando opera secondo ragione: ma quando contro ragione, come fa quando pecca, allora egli è mosso quasi da un altro, e tirato e imprigionato nei termini altrui: chi fa il peccato ne è schiavo».

La libertà e la Legge: «Tale essendo dunque nell’uomo la condizione della sua libertà, troppo era necessario avvalorarla di lumi ed aiuti, che in tutti i moti suoi la indirizzassero al bene e la ritraessero dal male; altrimenti di grave danno sarebbe riuscito all’uomo il libero arbitrio».
«E primieramente fu necessario porgli una legge, ossia una regola di ciò, che si ha da fare ed omettere... Nello stesso arbitrio dell’uomo adunque, ossia nella morale necessità che gli atti volontari nostri non discordino dalla retta ragione, va cercata, come in radice, la prima causa dell’esserci necessaria la legge. E nulla può dirsi o concepirsi più perverso e strano di quella massima: che l’uomo, perché naturalmente libero, deve andare esente da legge; il che, se fosse vero, ne seguirebbe che per essere liberi dovremmo essere irragionevoli. Ma la verità si è che proprio per questo l’uomo va soggetto a legge, perché è libero per natura».
«L’uomo, per necessità di natura, trovasi in una vera e perpetua dipendenza da Dio, così nell’essere come nell’operare, e però non può concepirsi umana libertà se non dipendente da Dio e dalla sua divina volontà. Negare a Dio tale sovranità, o non volervisi assoggettare, non è libertà ma abuso di libertà e ribellione, e in siffatta disposizione d’animo consiste appunto il vizio capitale del liberalismo. Il quale però prende molte forme, potendo la volontà in modo e gradi diversi sottrarsi alla dipendenza dovuta a Dio e a chi ne partecipa la autorità».

La vera libertà consiste, quindi, nel fatto che, con l’aiuto dell’ordinamento giuridico della società, l’uomo possa vivere liberamente secondo il bene e il fine per cui fu creato.
La libertà fisica e sociale dev’essere pertanto difesa nella legge, cioè se qualcuno abusa della propria libertà contro il bene e la libertà comune, la società ha il diritto e il dovere d’impiegare la coercizione per impedirlo.
Ecco il corollario inevitabile del problema della libertà umana: perché la legge sia rispettata, assicurando la libertà generale, l’autorità deve esercitare la coazione che, perciò, va valutata come servizio alla libertà di tutti.
Si può addurre un semplice esempio nel consesso civile dove sono stabilite delle tasse per i servizi comuni, che ogni cittadino deve pagare.
Si è liberi, nel foro intimo, di discordare da una norma, ma chi si prende la libertà, in foro esterno, di non adempiere ai suoi obblighi, pagando le tasse, va soggetto a coercizione che secondo le leggi del Paese può risolversi anche nella galera.
Tanto meno è ammessa la libertà personale o associata di insorgere contro l’osservanza delle leggi umane legittimamente approvate.
Se ciò si applica alle leggi umane, che dire della Legge divina?

La Chiesa insegna che queste norme civili, più o meno eque, sono subordinate ad un ordine morale, ad una legge naturale che, essendo legata al bene e al fine dell’uomo, sovrasta e deve determinare le leggi civili.
E già Papa Felice II ricordava: «L’errore cui non si resiste viene approvato; la verità che non viene difesa, viene oppressa».
La causa dell’ortodossia è anche la causa dei princìpi della vita morale, per cui San Tommaso dice: «Come lo Stato punisce coloro che falsano le monete, a più ragione deve punire coloro che falsano le idee».
La prima legge e il primo obbligo, anche civile, sono quindi la difesa del fondamento stesso delle leggi, del vero principio dell’ordine e dell’autorità.
Infatti la libertà tra gli uomini deriva dalla Legge.
Queste ragioni spiegano la necessità logica dell’Inquisizione e la sua difesa storica, per cui scrittori come Vittorio Messori spiegano: «L’Inquisizione fu la prima vera forma di garanzia giuridica, laddove esistevano solo la giustizia sommaria del linciaggio o quella, vergognosa, applicata dal potente del luogo pro domo sua».
Le autorità della Chiesa cattolica, nella loro capacità di depositarie della Legge divina, sempre affermarono il precipuo dovere degli Stati d’assicurare la libertà della Chiesa d’insegnare la Parola divina e, di conseguenza, di considerare illecita la libertà personale o associata di istigare contro il suo insegnamento.
Ciò costituisce delitto oggettivo di fronte al quale il potere civile non deve essere indifferente, ma deve reprimere con la forza, se necessario.

Enciclica «Libertas»: «Nell’ordine sociale dunque la civile libertà, degna di questo nome, non consiste già in far quel che talenta a ciascuno, ciò che anzi partorirebbe confusione e disordine, che riuscirebbe in ultimo ad oppressione comune; ma in questo unicamente, che con la tutela e l’aiuto delle leggi civili si possa più agevolmente vivere secondo le norme della legge eterna».
La Chiesa, depositaria della Legge di Dio, stabilisce che nessuno può essere costretto ad abbracciare questa Legge, che rifiuta in foro interno.
Ma sempre ha dichiarato che non può essere riconosciuta una libertà di negare la Legge in foro esterno.
Guidare con autorità divina la libertà umana è e sarà sempre la missione essenziale della Chiesa e del Papato; prova inconfondibile della sua identità soprannaturale.

I diritti delle anime e della Chiesa

Papa Pio XI insegna: «Diritti sacrosanti ed inviolabili... si tratta del diritto delle anime di procurarsi il maggior bene spirituale sotto il magistero e l’opera formatrice della Chiesa, di tale magistero e di tale opera unica mandataria divinamente costituita in quest’ordine soprannaturale fondato nel Sangue di Dio Redentore, necessario ed obbligatorio a tutti per partecipare alla divina Redenzione. Si tratta del diritto delle anime così formate di partecipare i tesori della Redenzione ad altre anime collaborando all’attività dell’Apostolato Gerarchico. E’ in considerazione di questo duplice diritto delle anime, che Ci dicevamo testé lieti di combattere la buona battaglia per la
libertà delle coscienze, [che non è quella] maniera di dire equivoca e troppo spesso abusata a significare l’assoluta indipendenza della coscienza, cosa assurda in anima da Dio creata e redenta» (Enciclica «Non abbiamo bisogno», 29giugno 1931).
Papa Pio XII insegna: «La Chiesa cattolica è una società perfetta, la quale ha per fondamento la verità della fede infallibilmente rivelata da Dio. Ciò che a questa verità si oppone è necessariamente un errore e all’errore non si possono obiettivamente riconoscere gli stessi diritti che alla verità. In tal guisa la libertà di pensiero e la libertà di coscienza hanno i loro limiti essenziali nella veridicità di Dio rivelatore» (Discorso 6 ottobre 1946).
La libertà morale è «facoltà di muoversi nel bene» nella formula di San Tommaso d’Aquino: «La libertà è il potere di fare il bene, come l’intelligenza è la facoltà di conoscere il vero. La possibilità di fare il male non è l’essenza della libertà più di quanto la possibilità d’ingannarsi sia l’essenza dell’intelligenza, o la possibilità d’ammalarsi sia l’essenza della salute».
La libertà di scegliere una religione che, se non è rivelata da Dio, è solo un’illusione, non è vera libertà.
Dichiarare il diritto di tale libertà di illusione sulla Legge divina, è riconoscere il primato della coscienza e del libero esame sulla verità rivelata.
Il che è interamente incompatibile con l’autorità della Chiesa di Dio e con la ragione.
Fu il motivo della condanna di Lutero e dei modernisti.
Tale dichiarazione da parte di un prelato implica il dissenso della propria autorità con l’autorità divina: una tacita rinuncia, non solo alla fede cattolica, ma alla sua carica nella Chiesa.
Eppure, ciò è stato «rimeditato» e dichiarato in un documento del Vaticano II.

Libertà e dignità secondo la «Dignitatis humanae personae»(DH)
«1. Il diritto della Persona e delle Comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa.
a) Nell’epoca attuale gli uomini divengono sempre più consapevoli della dignità della persona umana e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà... tanto delle singole persone quanto delle associazioni... (che) nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito, e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società. Considerando tali aspirazioni... questo Concilio rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, delle quali trae nuovi elementi sempre in armonia con quelli già posseduti. [!?…]
c) Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica...
E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ordine a Dio e alla sua Chiesa, e, una volta conosciuta, ad aderire ad essa e conservarla.
d) Il Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che in virtù della stessa verità...
E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell’adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l’immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e della società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo.
e) Inoltre questo Concilio trattando di questa libertà religiosa, si propone di enucleare la dottrina dei Sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all’ordinamento giuridico della società».

Leo XIII «Immortale Dei»: «Se l’intelligenza aderisce a false idee, se la volontà sceglie il male e vi si attacca, né l’una né l’altra raggiunge la sua perfezione. Entrambe saranno inferiori alla loro innata dignità e diverranno corrotte».
La dignità umana può solo essere ordinata al Vero.
«Libertas»: «E a chi domandi quale di tante e fra loro opposte religioni sia quell’unica che dobbiamo seguire, quella certamente, rispondono la ragione e la natura, che fu istituita da Dio e che facilmente è riconoscibile da certi caratteri esteriori, scolpiti in essa per mano della Provvidenza divina, poiché in cosa di tanta importanza ogni errore sarebbe fatale».
La ricerca della verità?

Dice Tertulliano: «Cosa giova sentire coloro che confessano di essere ancora alla ricerca della verità? Se veramente la cercano è perché ancora non hanno trovato niente di certo, e, se sono alla ricerca, dimostrano la loro incertezza in ogni punto in cui sembrano provvisoriamente poggiarsi. Se anche tu sei alla ricerca e volgi gli occhi verso chi cerca, volgendo il tuo dubbio al dubbio loro, sarai inevitabilmente un cieco guidato da ciechi. Per insinuarci i loro scritti loro fingono essere in dubbio approfittando della nostra attenzione. Ma appena stabiliscono il contatto passano a sostenere quanto dicevano ricercare... ma dicono che è credendo che fanno la loro ricerca, poiché essa ha in mira la difesa della fede. Ora, prima di difenderla la rinnegano... non sono cristiani, né di fronte a sé stessi, tanto meno davanti a noi. Che fede posso discutere in questo modo fraudolento» («La Regola della Fede»).
Ecco una saggia descrizione dei precursori del «dubbio modernista».
Essi, aggiungendo inoltre che «la verità non si impone che in virtù della stessa verità», riprendono Wycliff, per il quale «la forza della parola di Dio» è legge da sé sufficiente per il regime universale della Chiesa.
Eppure, qui si tratta del libero esercizio, nella società, della religione, naturalmente di quella vera, che dev’essere riconosciuta e dichiarata tale, e che, come la verità, è una: si tratta della religione cattolica.
Stabilito ciò, e per farlo è stata istituita la Cattedra di Pietro, a quale altro interlocutore potrebbe riferirsi, trattando dell’esercizio della religione l’autorità cattolica?

In verità, la DH, come si è capito poi, serviva per invitare le altre religioni ad un dialogo ecumenista di pace.
Perciò emetteva segnali cifrati in un linguaggio sofistico, strano all’udito cattolico, perché implicava il riconoscimento della veracità di altre religioni.
Per esempio, col dire che la confessione della vera fede non è, ma sussiste nella Chiesa cattolica, si insinua che la sua identità come Chiesa di Cristo, da assoluta passerebbe a relativa.
Riguardo alla Verità che vincola le coscienze, col riferirsi soltanto a coloro che l’abbiano trovata, si allude a una fede non più universale e trascendente, ma immanente, legata al fondo delle coscienze.
E poiché la verità si imporrebbe da sé nelle coscienze, essa sarebbe più soggettiva che oggettiva, nel qual caso la Chiesa non potrebbe giudicare e imporre censure e pene per difenderla; non avrebbe più senso l’autorità dogmatica e di giurisdizione divina della Chiesa, ma solo quella amministrativa. Ecco perché si può dire che tale dichiarazione implica, nella sua «inversione semantica» del senso della religione cattolica, una vera rinuncia all’autorità della Chiesa, quale essa è definita.

Enciclica «Libertas»: «Ammettono la Chiesa, ‘ma non le riconoscono la natura e i diritti di società perfetta con vero potere di far leggi, giudicare, punire, ma solamente la facoltà di esortare, persuadere, governare, chi spontaneamente e volontariamente le si assoggetta. Con tali idee snaturano l’essenziale concetto di questa divina società, ne restringono ed assottigliano l’autorità, il magistero, l’influenza...’ ».
Leone XIII si riferiva ai nemici della Chiesa, ma... se essi operassero all’interno del suo corpo, come fanno i modernisti?
Potrebbero agire con l’autorità della Chiesa?

Ora, se la DH si propone di «enucleare la dottrina dei Papi più recenti (che non può essere diversa da quella dei Papi più distanti), per continuarla», essa dovrebbe ribadire che la Legge divina vincola l’ordinamento giuridico della società di tutti gli uomini.
Il fine dell’autorità della Chiesa è proprio di insegnare questo principio.
Ma ormai è chiaro: il progetto era di ripensare la dottrina per introdurre concetti acattolici nascosti da un linguaggio d’apparenza cattolica.
Ciò è già evidente dall’analisi dei documenti citati dalla DH; figuriamoci di fronte a quelli evitati! Ma continuiamo a leggerla.

«2. Oggetto e fondamento della libertà religiosa fondata sulla stessa natura.
a) Il Concilio [Vaticano II] dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa.
Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia
religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti,
di agire in conformità a essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata.
Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della
persona umana quale si conosce, sia per mezzo della parola di Dio rivelata che tramite la stessa
ragione. (1) Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e
sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società».

A sostegno del suo concetto di libertà religiosa la DH adduce in (1) il testo della Libertas: «Non meno celebrata delle altre è la libertà così detta di coscienza; la quale se prendasi in questo senso che ognuno sia libero di onorare Dio o di non onorarlo dagli argomenti recati di sopra è confutata abbastanza. Ma può avere ancora questo significato, che l’uomo abbia nel civile
consorzio diritto di compiere tutti i suoi doveri verso Dio senza impedimento alcuno. Questa libertà vera è degna dei figli di Dio, che mantiene alta la dignità dell’uomo, è più forte di qualunque violenza e ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora».

Sentiamo monsignor Antonio de Castro-Mayer: «Può un tale testo costituire una genuina difesa della libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per il seguace di qualsiasi religione? L’espressione ‘nulla re impediente’ (senza alcun impedimento) dà a questo il significato di una libertà religiosa nel senso indicato (nella DH)? Il senso reale del testo non avvalla una simile interpretazione. Infatti, parlando della libertà per seguire la volontà di Dio ed eseguire i Suoi ordini, il testo colloca faccia a faccia l’uomo da una parte, la volontà di Dio e i suoi ordini dall’altra. E chiede per l’uomo la facoltà di eseguire questa volontà e questi ordini senza impedimenti. Si capisce subito che il testo parla della volontà di Dio e dei Suoi ordini come si presentano ufficialmente e oggettivamente. D’altronde, l’interpretazione favorevole al testo della DH sarebbe talmente opposta a tutto il contesto dell’Enciclica che è difficile comprendere come possa valersi di esso il testo conciliare. Leone XIII, che aveva appena difeso la repressione contro quanti oralmente o per scritto diffondono l’errore non potrebbe poi contraddire se stesso!».

«Il senso della libertà ivi difeso da Leone XIII è chiaro: si tratta del diritto di seguire la volontà di Dio e di compiere i Suoi precetti d’accordo con la coscienza del dovere. Questa libertà, secondo l’Enciclica, ha per oggetto un bene conforme alla ragione; non si oppone al principio per cui la Chiesa concede diritti soltanto a quello che è vero e onesto; è qualificata come legittima e onesta, per distinguere dalla libertà dei liberali radicali o moderati».

«Inoltre, il contesto prossimo del passo della Libertas che stiamo analizzando dà ancora più risalto al suo vero significato che non è quello che la DH gli vuol attribuire. Infatti, la Commissione del Segretariato per l’unione dei Cristiani, citando il testo testé analizzato (confronta opuscolo ‘Schema Declarationis de Libertate Religiosis’, 1965, pagina 19), ha trascritto solo il passo che abbiamo riportato sopra. Se la citazione si fosse estesa per qualche rigo, si sarebbe visto subito che il passo non si riferisce alla libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna contro la diffusione di religioni false. Poiché, di seguito, la Libertas dice: Siffatta libertà la usarono con intrepida costanza gli Apostoli, la sancirono con gli scritti gli Apologisti, la consacrarono martiri in gran numero col proprio sangue».

«Ora, la libertà religiosa, interpretata nel senso di diritto delle false religioni all’immunità da coercizione esterna, non è difesa dalla stessa DH come insegnata espressamente dagli Apostoli, ma come avente radici nella rivelazione divina. Come potrebbe allora Leone XIII dire che gli Apostoli costantemente rivendicavano per sé tale libertà? E soprattutto, come potrebbe Leone XIII dire che un’innumerevole moltitudine di Martiri ha consacrato questa libertà col proprio sangue? Non si ha notizia di nessun martire che sia morto per difendere il diritto dei nicolaiti, degli gnostici, degli ariani, dei protestanti o degli atei a diffondere i loro errori. Sarebbe singolare questo eroismo a favore dei nemici della fede. Perciò torna evidente che il tratto citato della Libertas non riguarda la libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per i divulgatori dell’errore».

«Subito all’inizio del paragrafo seguente, Leone XIII dichiara: ‘Nulla di comune ha con lo spirito di sedizione e di rea indipendenza, né deroga punto al debito ossequio verso il pubblico potere, il quale intanto ha diritto di comandare e obbligare in coscienza, in quanto non discorda dal potere di Dio, e nell’ordine stabilito da Dio si mantiene. Ma quando si comandano cose apertamente contrarie alla divina volontà, allora si esce da quell’ordine e si va contro al volere divino e quindi non obbedire è giusto e bello».

«Ora, l’ubbidienza dovuta al pubblico potere e il diritto dei cittadini di disubbidire alle leggi umane ingiuste non dimostrano la libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna nella pratica delle false religioni. Ciò riguarda la vera libertà, che è la facoltà di fare il bene, di seguire la volontà di Dio, di praticare la religione cattolica, senza essere in questo impedito da nessuno. Più avanti il testo è ancora più esplicito: ai liberali al contrario che fanno padrone assoluto e onnipotente lo Stato; che inculcano di vivere senza curarsi menomamente di Dio, tale libertà, congiunta a onestà e religione, è affatto ignota; tantoché ciò che altri faccia per mantenerla è, a giudizio loro, delitto e attentato contro l’ordine pubblico».

«Sarebbe totalmente assurdo dire che i liberali sono contrari alla libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per la diffusione delle religioni false. Si rende chiaro, perciò, che Leone XIII propone quella libertà legittima e onesta da lui stesso definita precedentemente nella stessa Enciclica, nel cui nome possiamo e per principio dobbiamo opporci alle leggi ingiuste.
Queste considerazioni sul testo della Libertas, citato dalla DH, rendono facile la comprensione anche del vero senso delle altre citazioni».

«Quando la ‘Mit brennender Sorge’ rivendica, contro il nazismo, il diritto del fedele a praticare la religione, il testo non afferma l’immunità dell’errore nell’ordine civile..., ma il diritto alla libertà dei figli della Chiesa: ‘Il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che ad essa conviene. Quelle leggi, che sopprimono o rendono difficile la
professione e la pratica di questa fede, sono in contrasto col diritto naturale’ (AAS, 1937, pagina 182). Pio XI, autore della ‘Mortalium animos’, in questa Enciclica fa una professione di fede in cui dice: ‘... a questa libertà sono segnati limiti dal comandamento della divina maestà, che ha voluto e fondato questa Chiesa come unità inseparabile nelle sue parti essenziali’. E’ perciò inconcepibile che si pretenda che questo Papa difendesse una nuova nozione cattolica di libertà, in opposizione ai Papi precedenti. E’evidente che, nello stesso modo in cui Leone XIII ha proclamato, in nome di questa libertà, il diritto di resistere alle leggi ingiuste dei governi liberali, anche Pio XI ha proclamato, in nome della stessa libertà, il diritto di resistere al nazismo».

«Parimenti, quando Pio XII, durante la II Guerra Mondiale, con una semplice frase rivendicò, tra i diritti fondamentali della persona, il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa, il suo testo non affermava - come abbiamo già osservato a proposito della Mit brennender Sorge - il diritto al falso culto reso a Dio in una religione non vera. Al contrario, egli intendeva affermare che all’uomo deve essere riconosciuto il diritto di rendere a Dio il vero culto, una volta che questo soltanto è il culto a Lui dovuto. Infatti, è ‘delirio’ affermare che la libertà di coscienza e di culto è diritto proprio di ogni uomo. E’ evidente che Pio XII non intendeva modificare la dottrina cattolica a riguardo (Gregorio XVI, Mirari vos e Pio IX, Quanta cura), ma difendeva soltanto la libertà legittima e onesta chiaramente spiegata da Leone XIII. Tanto più che nell’allocuzione ‘Ci riesce’, dove tratta ex professo della questione, nega qualsiasi diritto a quanto non corrisponde alla verità e alla norma morale».

Dalla Pacem in terris (Ptr) alla Dignitatis humanae (DH)

Da quanto visto fin qua, alla luce della dottrina cattolica e della ragione, traspare l’intenzione di assolutizzare il concetto di dignità umana e allo stesso tempo identificare il concetto di libertà umana a quello psicologico.
L’uomo avrebbe la dignità d’essere libero di pensare, dire e fare quello che vuole e questa libertà è il segno di questa dignità innata.
Quest’idea è un po’ quella dell’esistenzialismo per cui fare, pure il male, è prova del principale: esistere!
Finora si è visto come la DH, per cambiare il senso della dottrina, inverte il senso degl’insegnamenti papali e patristici.
Monsignor Castro-Mayer cita un altro l’esempio: «Seguivano una citazione di Lattanzio e un’altra di Leone XIII, ma né l’una né l’altra provano la proclamazione fatta, poiché Lattanzio parlava del diritto dei cristiani a praticare la loro religione nell’impero romano e Leone XIII precisava di quale libertà intendeva parlare, cosa che non fa invece l’enciclica di Giovanni XXIII. In questa, infatti, l’assenza di ogni precisazione fa sì che la proclamazione del diritto di ogni uomo a
professare la propria religione può cadere sotto i colpi della condanna del liberalismo fatta da Leone XIII, proprio nella ‘Libertas’ di cui nella Ptr si cita un passaggio... procedimenti di tal fatta non sono onesti intellettualmente» (per dire il minimo...).
La DH affermando di seguire gli ultimi Papi in verità segue e cita solo la Ptr di Giovanni XXIII, che preparò il terreno per tale «aggiornamento» libertario.

La DH è basata sulla versione eterodossa della Pacem in terris (Ptr).
Quale?
La storia viene da lontano.
Erasmo è stato un grande precursore di quest’apertura in campo teologico professando che «ogni uomo ha in sé la teologia», ed è «ispirato e guidato dallo spirito di Cristo, sia esso scavatore o tessitore».
Lo scrittore Jacques Ploncard d’Assac, nel suo libro «L’Eglise occupée» (Edizioni de Chiré, Vouillé, 1972), parla delle conseguenze di queste idee fino ai nostri giorni, partendo dalla battuta di un monaco di Colonia: «Erasmo ha messo le uova, Lutero le farà schiudere».
In esse c’era il sussurro invitante la coscienza umana ad emanciparsi, questa volta, però, in nome dello spirito ordinatore di Cristo.
Sono le idee apparse nei secoli scorsi a delineare oggi la mentalità dei profeti della rivoluzione conciliare.

Giovanni XXIII rilancia l’ambiguità erasmiana nella Pacem in terris, che, essendo il riferimento più citato nella DH, chiaramente contiene la frase chiave della revisione conciliare sui concetti di dignità umana e libertà religiosa: «In hominis iuribus hoc quoque numerandum est, ut et Deum, ad rectam conscientiae suae normam, venerari possit, et religionem privatim publice profiteri»; cioè «ciascuno ha il diritto di onorare Dio seguendo la retta norma della propria coscienza e di
professare la propria religione in pubblico e in privato» (AAS 55, 1963, pagina 260).
Ecco l’ambiguità rilanciata: si tratta di norme divine su cui si fonda la retta coscienza, ovvero di una retta norma, come giudizio della propria coscienza autonoma?
L’abbozzo di quest’ambiguità di Erasmo era stata condannato dalla Chiesa nel passato.
Nei nostri tempi essa ritorna rinforzata da Giovanni XXIII, per delineare il piano di aggiornamento conciliare.
L’ambiguità si rivelerà la copertura lasciata cadere con l’opzione della DH per una «coscienza autonoma».
Già la manovra per attuare quest’inversione svela la natura della sua sinistra intenzione.

Il senso della DH «è il senso percepito dal padre Rouquette, che scriveva in Études del giugno 1963: - Essa [Ptr] è di fatto un evento che, per gli storici futuri, segnerà una svolta nella storia della Chiesa» (Monsignor F. Spadafora, «La Tradizione contro il concilio», pagine 240/1).
Ecco il riassunto del testo postumo del P. Joseph de Sainte-Marie pubblicato dal «Courrier de Rome» (maggio 1987) e da «Itinéraires», (luglio-agosto 1987): «P. Laurentin lo testimonia... scrive - ‘questo diritto della persona... non è un’innovazione conciliare’, […] questa formula ‘che inizialmente era stata assunta tale e quale, non può essere mantenuta se non a costo di
attenuazioni. Tuttavia, la dichiarazione presa nel suo insieme non scioglie certe ambiguità, ma perfino fa deduzioni su quanto era stato volontariamente mantenuto nella Ptr’. Ecco una confessione da considerare e Laurentin dice da chi l’ha avuta: padre Pavan (il teologo di Giovanni XXIII) in ‘Libertà religiosa e Pubblici poteri’, Milano, 1965, pagina357. Strano modo di insegnare la verità».

L’ambigua formula della Ptr «può cadere sotto la condanna del liberalismo della Libertas di Leone XIII, della quale si cita un brano... Senza dubbio troviamo qui una delle ‘ambiguità mantenute volontariamente’ di cui parla Laurentin. A cosa serve invocare l’espressione ‘seguendo la giusta norma della coscienza’ per dire che si tratta qui della libertà religiosa concepita correttamente? Poiché siamo di nuovo di fronte ad una ambiguità. Si sa che la morale cattolica riconosce il diritto e proclama il dovere, di ogni uomo, di seguire il giudizio della ‘coscienza retta’: conscientia recta. S’intende con ciò il giudizio di una coscienza formata secondo le norme della virtù della prudenza e che si è conformata alla verità. Questa nozione classica si trova perfino nella Gaudium et Spes, 16. Di questa coscienza retta si proclama la dignità, che si estende fino alla coscienza invincibilmente erronea, quella di una persona che è nell’impossibilità morale e pratica di liberarsi dall’errore in cui si trova».
Ma la retta coscienza non perde la sua dignità nel momento in cui aderisce all’errore per negligenza colposa?
Non diviene allora decaduta, come è accaduto ai primi genitori espulsi dal Paradiso?

«L’ambiguità della Ptr appare nella redazione latina del testo, che parla della ‘rectam conscientiae suae normam’, cioè della ‘norma retta della coscienza’. Si deve intendere il riferimento alla norma della ‘coscienza retta’ o di una ‘norma retta’, che sarebbe ogni giudizio in coscienza? Ognuno può capirlo come crede; e in ciò consiste l’ambiguità. Ognuno la applicherà perciò ugualmente nel senso che vuole, ma l’enciclica ha in se stessa un moto interno che ci dice in quale senso, secondo essa, tale ‘libertà’ dev’essere intesa. E’ il senso inteso da padre Laurentin e da padre Pavan, così come dai periti conciliari della ‘libertà religiosa’. Senza dubbio, continua immediatamente: non un cambiamento dei princìpi della antropologia cattolica, fondata sulla Rivelazione, ma una presa di posizione nuova vis-à-vis del mondo moderno. Soltanto questo? Forse si può anche dire questo della Ptr, a causa delle ‘ambiguità volontariamente mantenute’, ma ciò non è più possibile dopo la Dignitatis humanae, titolo della dichiarazione conciliare, dove si trovano princìpi che furono essi stessi cambiati».

«La continuità tra la Pacem in terris e la Dignitatis humanae è evidente; lo dimostrano i testi quanto le testimonianze, incontestabili in questa materia, di Laurentin e di Rouquette. Abbiamo visto come il primo lo sottolinea. Ed ecco quanto diceva il secondo, nella stessa cronaca del giugno 1963, cioè tra la prima e la seconda sezione conciliare: ‘Tra i diritti derivati dalla dignità della persona umana, l’enciclica insiste sul diritto ad una libera ricerca della verità’ (non semplice ‘tolleranza’, ma ‘libero esercizio del culto’, e questo è detto con una confusione di campi e di punti di vista deliberatamente mantenuti».

«Le posizioni prese in questo modo dall’enciclica arrivano a proporre il Segretariato per l’Unità nel progetto dello schema De libertate religiosa; il cardinale Bea, in un’intervista alla quale ci siamo riferiti, ha indicato che li c’era il suo spirito. Il paragone (tra il progetto di schema e la DH. 3) parla da sé e ci permette di identificare nella persona del cardinale Bea, l’autore del testo centrale della dichiarazione sulla libertà religiosa, o almeno, del suo ispiratore principale. Perciò ha provocato la dura reazione del cardinale Ottaviani, che rimase sconfitto solo a causa de mancato sostegno da parte della Sede che teoricamente rappresentava come Prefetto del Sant’Officio».

«Il sofisma che si ripete in entrambi i testi consiste nel passare in modo indebito dall’affermazione innegabile, evidente e fondamentale, della libertà essenziale dell’atto di fede, libertà per la quale ogni pressione su tale atto distrugge la sua natura stessa, all’affermazione, per niente evidente, e di fatto negata tradizionalmente dalla Chiesa, di una libertà parimenti essenziale e illimitata a priori in materia di esercizio pubblico del culto religioso, qualunque esso sia. La Chiesa non nega nella pratica, in assoluto, ogni diritto di pubblica espressione alle altre religioni. In ciò la sua tolleranza è aumentata nel tempo».

«La Pacem in terris e il Vaticano II si spingono al punto di mettere in causa gli stessi princìpi. E’ esattamente in questo che consiste la novità e il problema gravissimo posto dall’affermazione del testo conciliare (DH): un diritto alla libertà religiosa nel foro esterno iscritto nella natura umana e nell’‘ordine stesso stabilito da Dio’, diritto che si vuole limitato unicamente dalle esigenze d’'ordine pubblico’. Si noti anche, poiché il fatto è di massima importanza, un’altra somiglianza tra l’enciclica di Giovanni XXIII e la dichiarazione del Vaticano II: in entrambi i casi questi testi, di così pesanti conseguenze per la storia della Chiesa, e che così si pongono per il giudizio di tale magistero, non sono potuti venire alla luce che in seguito a gravi scorrettezze di procedura. Per quel che concerne la Ptr, ecco ancora la testimonianza di padre Rouquette: ‘So da buona fonte che il progetto in questione è stato redatto da monsignor Pavan, animatore delle Settimane sociali in Italia; la sua redazione è stata condotta in gran segreto; il testo non sarebbe sottomesso al Santo-Ufficio, i cui direttori non fanno mistero della loro opposizione al neutralismo politico papale. Si è voluto evitare così che il Santo-Ufficio differisse indefinitamente la pubblicazione del testo, come era successo con la Mater et Magistra».

«La Ptr è stata pubblicata all’insaputa del Santo-Ufficio, essendo stata redatta e mantenuta segreta dal piccolo gruppo di periti - e di pressione - dal quale era l’opera. Analogo, ma ancora più grave, il corso seguito dalla DH. Le legittime obiezioni sollevate al piano di dichiarazione dal Coetus internationalis Patrum non furono ascoltate, ma respinte (confronta Rhin. Wiltgen, pagine 243-247)... Come la Ptr, e ancora più di questa, la dichiarazione conciliare è stata pubblicata in seguito a palesi violazioni delle regole. Non fu rispettato nel primo caso almeno il dovere di prudenza; nel secondo, perfino un diritto esplicito è stato conculcato».

Conseguenze della contraffazione dottrinale. «Il discorso sugli effetti di questi errori imposti alla Chiesa da gruppi di pressione per vie oltremodo subdole per la copertura dell’autorità pontificia o conciliare sarebbe vastissimo.
Ci limitiamo ai titoli principali sotto i quali continuare la riflessione sulle loro conseguenze ed
implicazioni.

- La prima concerne l’autorità del magistero: se la Chiesa insegna oggi solennemente il contrario di quanto insegnò fino al 1963, significa che si era prima sbagliata. Ma se si era sbagliata, è fallibile, e lo è oggi come lo fu ieri. Che ragione avrei allora per credere in essa ora più che ieri?’.
- La seconda è che proclamando oggi come principio assoluto il diritto naturale alla libertà religiosa, la ‘dichiarazione’ conciliare rappresenta una condanna di massa non solo dell’insegnamento precedente della Chiesa, ma anche del suo modo di agire; il che mette in causa non più semplicemente la sua potestas docendi, ma anche l’uso della sua potestas regendi. Per dei secoli la Chiesa avrebbe agito ignorando e conculcando un diritto naturale fondamentale della persona umana. E la negazione conciliare dei diritti e dei poteri della società civile in materia religiosa implica una analoga condanna di tutti i Papi degli ultimi secoli.
- Peggio ancora, dalla concezione non solo laica ma abbastanza laicizzante che essa offre, la dichiarazione conciliare nega i diritti di Cristo sulla società civile, il che è non solo in contraddizione con l’insegnamento costante della Chiesa, ma anche con le verità più fondamentali della dottrina cristiana della Redenzione. C’è un’empietà in questo, nel senso proprio del termine, forse non del tutto esplicita, ma a causa della sua implicazione immediata. […]
- Insomma, per tornare al piano dell’ordine naturale, questa separazione falsa e indebita di quanto concerne la religione rivelata dell’ordine della società civile risulta nella completa rovina delle fondamenta stesse di quest’ordine. Il caso estremo a cui porteranno i princìpi qui esposti sarà quello dell’esaltazione dello Stato come realtà suprema e ultima. Forse non sarebbe lui, in ultima analisi, a giudicare le esigenze dell’‘ordine pubblico’, in nome del quale esso sarebbe abilitato a
regolamentare ‘la libertà religiosa’? E’ vero, si parla di un ‘ordine morale oggettivo’ per fondare questi diritti del potere civile, ma su cosa si fonderà questo stesso ordine se non si riconosce più allo Stato alcun dovere verso la legge naturale e la religione in quanto tale e verso la religione rivelata in particolare?».

Come si vede, la via per l’inversione di rotta riguardo alla libertà cristiana fu aperta da Giovanni XXIII.
Ora si deve analizzare il suo completamento nel Vaticano II sotto la direzione di Paolo VI.

Arai Daniele

Fonte: www.effedieffe.com

Luca
27-04-14, 00:46
Sempre attuale.

Luca
29-04-14, 03:15
Il mito del ?papa buono?: un articolo di Padre Innocenzo Colosio O.P. | Radio Spada (http://radiospada.org/2014/04/il-mito-del-papa-buono-un-articolo-di-padre-innocenzo-colosio-o-p/)

Guelfo Nero
29-08-20, 16:20
Lettera aperta di Pacificus a Giovanni XXIII

Santità, sono un fedele della Chiesa Cattolica, oggi nell’anno di grazia 2014. Sono trascorsi cinquant’anni da quando Voi siete comparso davanti al Giudizio di Dio, e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, soprattutto nel Tevere.

Certo è inutile che io mi metta a raccontarVi anche solo le cose essenziali delle vicende di questi cinquant’anni che ci separano, perché Voi ovviamente sapete già tutto perfettamente.

Vi scrivo semplicemente per comunicarVi alcuni pensieri che dagli ultimi giorni a questa parte – e Voi sapete meglio di tutti quello che è successo- mi sono venuti in mente, proprio su di Voi.

Io non conosco ancora molto bene la Vostra vita, certo so della Vostra umile origine, dei Vostri anni giovanili, quando grazie al Vostro vescovo[1], che Voi avete sempre amato, siete andato a completare gli studi ecclesiastici a Roma[2].

So bene poi della stima e amicizia che nutrivate per don Ernesto[3], tanto da farlo Vostro prete assistente la prima volta che Voi offriste il Divino Sacrificio.

Immagino che in quegli anni di fermento, quando le novità[4] si diffondevano, soprattutto tra i giovani leviti come Voi, proprio all’ombra della basilica della Cristianità, anche Voi foste affascinato da quelle nuove vie, e forse ne provaste anche un certo trasporto.

Ma era già l’epoca in cui il mitissimo Pio, dal sommo trono, con l’apostolica Autorità lanciava l’anatema[5].

E Voi da allora, e per molti anni, studiaste bene di non dare scandalo con queste novità: durante quella gita – così mi pare si narri- Voi non voleste andare a trovare l’autore[6] di quel romanzo che sicuramente Voi avevate letto più volte, perché tale cosa avrebbe potuto comprometterVi la carriera.

So bene che sentimenti Voi provaste nell’ascoltare le lezioni di apologetica di quel santo gesuita[7], quando in una calda estate venne al seminario della sua città, mentre Voi già avevate dei ruoli[8], so bene che la santa intransigenza di quel friulano –che Dio l’abbia in Gloria!- Vi disgustava veramente tanto: costui non lasciava spazio al minimo dialogo con il mondo, certo e sicuro su una dottrina di venti secoli di lotte, vero milite della milizia divina sulla terra – la Chiesa Cattolica – ; mentre Voi nel vostro cuore nutrivate sentimenti ben più benevoli verso quel mondo che forse non appariva così brutto.

So bene della Vostra proverbiale obbedienza ai superiori, a cominciare dal Vostro amato vescovo; so bene che per i Vostri natali e per le Vostre esperienze, Voi avete sviluppato, in qualche modo, questa reverenza assoluta per l’ Autorità, reverenza che andava ben oltre la virtù, sfociando nel servilismo.

Ma qui sono temerario: cinquant’anni fa Iddio Vi ha già giudicato anche per questo – o almeno presumo sia così – ma perdonatemi se mi sono spinto troppo in là.

Voi certo avete avuto in sorte di vivere in un periodo in cui “batteva la storia”, e di cose ne avete viste e fatte vedere tante.

Di paesi anche ne avete visti molti, di riti pure, dall’oriente all’occidente[9].

Io non voglio pensare male: c’è chi dice che di riti Voi ne abbiate visti anche troppi[10], io voglio credere di no, e ad ogni modo cambierebbe poco.

So poi dello stupore che Voi faceste provare nei palazzi patriarcali[11] quando invitavate i capi degli scismatici o delle false religioni, io voglio credere per mostrare loro la luce del santo Evangelo e la verità tutta intera, sicuramente li facevate sentire a loro agio, perché si dice ancora oggi, anzi oggi più che mai, del Vostro carattere “miracolosamente” buono.

Alcuni insinuano che Voi desideravate ardentemente la somma cattedra della Chiesa Cattolica, molti altri invece dicono che Voi non Ve ne curavate, quando eravate principe.

E così quando il grande Pio XII rese l’anima a Dio, poco dopo i signori cardinali elessero Voi, un “umile lavoratore nella vigna del Signore”.

Certo non mostraste particolari emozioni, anzi le faceste provare agli altri quando decretaste la prima abolizione, e nessuno Vi baciò più la pantofola[12]. Poi serenamente Vi ritiraste “a recitare il rosario, il vespro e la compieta”, stando al racconto del Vostro fedele amico.[13]

Io credo che Voi abbiate accettato veramente il Pontificato, senza nessuna riserva[14], anche se non siamo tutti concordi su questo, ma sicuramente dopo di Voi si fece e si fa altrimenti.

Certo Voi avevate nel cuore anche il concilio di Trento e la Sacra Tradizione, perché mai faceste un atto pubblico palesemente contro di essa.

Con ancora più certezza Voi avevate nel cuore anche il mondo, tanto che mai faceste un atto pubblico palesemente contro di esso.

Voi, caro Papa, eravate così abituato ad obbedire che quando vi siete trovato a dover obbedire solo a Dio, e tramite Egli alla Chiesa tutta, nella sua storia, sicuramente Vi siete trovato a disagio[15].

Infatti, oltre che ad Iddio, Voi avevate sempre obbedito anche a degli uomini: è un gran mistero di come in quei cinque anni Voi Vi regolaste.

E così un anno prima di spirare Voi decideste di fare quello che faceste[16], ed è inutile che io Ve lo ricordi.

Inutile ricordarVi quel gesto di quel cardinale genovese[17] che in intimità dal terrazzo vaticano Vi ammoniva sul confine che sarebbe sparito tra lo Stato vaticano e lo stato italiano, quasi a significare la fine della distinzione tra cose sacre e profane. Inutile ricordare alla Vostra anima, da mezzo secolo oramai non più sottoposta alla giurisdizione ecclesiastica, il tedio dei giorni che precedettero l’annuncio dell’evento al mondo, i mille dubbi che Voi, forse, aveste allora.

Così mentre stava succedendo quello che successe – e ripeto che non voglio neppure nominare ciò che avvenne- Voi rendevate l’anima a Dio.

Voglio credere come qualcuno dice, che sul letto di morte Voi abbiate detto: “ Mio Dio, cosa ho fatto!”.

Voglio credere che di questo fatto mostruoso Voi vi siate debitamente pentito.

Con tutto il cuore spero che Voi, dopo la purificazione che Dio stabilì, ora siate in Cielo, e possiate vedere faccia a faccia quel Dio che sulla terra Voi aveste l’onore e l’onere di rappresentare.

Di là vediate la nostra miseria, e la miseria in cui Voi avete buttato la Chiesa.

Di là vediate nel profondo la bestemmia mondiale che si è compiuta nel giorno in cui un tempo i neofiti deponevano le vesti immacolate[18].

Di là… vediate un po’ vicino a che persona hanno appeso il Vostro ritratto, quel giorno in cui la Chiesa è stata umiliata.

E questa visione, ed è solo il mio auspicio, possa essere l’ultima dolorosissima ed umiliante prova da superare, prima di giungere al Cielo.

In Domino

Pacificus



[1] Monsignor Giacomo Radini Tedeschi, vescovo di Bergamo, il quale si dimostrò benevolo nei confronti dei modernisti.

[2] Il seminarista Angelo Roncalli, dopo aver studiato al Seminario diocesano di Bergamo, vinse una borsa di studio e si traferì all’ Apollinare a Roma.

[3] Don Ernesto Bonaiuti, capofila del modernismo italiano, poi scomunicato da Papa San Pio X

[4] Ci riferiamo ovviamente al dilagare dell’eresia modernista nei primi anni del Novecento.

[5] Ovvero l’Enciclica Pascendi Dominici gregis del 1907

[6] Antonio Fogazzaro, autore, tra l’altro, de “Il Santo”

[7] Ovvero Padre Guido Mattiussi SJ che tenne al seminario di Bergamo delle lezioni di apologetica nell’estate 1911

[8] Insegnante di Storia della Chiesa presso il Seminario di Bergamo

[9] Giovanni XXIII all’epoca era delegato apostolico in Bulgaria e Turchia.

[10] Il riferimento alla presunta iniziazione massonica di Roncalli durante la sua permanenza in quelle terre.

[11] Ci riferiamo a incontri privati dell’allora Patriarca di Venezia Roncalli con esponenti di altri culti e religioni.

[12] Appena eletto, all’atto di obbedienza dei cardinali, dispensò i cardinali dal ”bacio del piede”.

[13] Cioè il segretario, Loris Capovilla, oggi “cardinale”.

[14] La papalità di Giovanni XXIII è discussa nel mondo cattolico integrale, secondo alcuni sarebbe vero Papa, secondo altri (in merito all’apertura del Concilio Vaticano secondo) non avrebbe avuto l’intenzione di fare il bene della Chiesa. Seguendo la posizione del teologo domenicano Monsignor Michel Louis Guerard des Lauriers, la vacanza della Sede è certo solo a partire dal 7 dicembre 1965

[15] Cfr. Il mito del ?papa buono?: un articolo di Padre Innocenzo Colosio O.P. | Radio Spada (http://radiospada.org/2014/04/il-mito-del-papa-buono-un-articolo-di-padre-innocenzo-colosio-o-p/)

[16] Vale a dire la convocazione del Concilio Vaticano II.

[17] Il Cardinal Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova.

[18] Ci riferiamo alla domenica in Albis, quest’anno caduta il 27 aprile, giorno delle “canonizzazioni”.

FOnte: https://www.radiospada.org/2014/05/lettera-aperta-a-papa-giovanni-xxiii/