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Visualizza Versione Completa : 31 Luglio - S. Ignazio di Loyola



Colombo da Priverno
31-07-02, 14:59
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Ignazio è nato a Loyola, nei Paesi Baschi, da una famiglia di piccola nobiltà. Ha frequentato la corte e ha partecipato a campagne militari. Nel 1521, costretto a stare a letto per una ferita riportata nella difesa di Pamplona, ha trascorso il tempo leggendo una vita di Cristo e le vite dei santi. Queste letture lo animarono e emerse il desiderio di seguire Gesù.
Iniziò un lungo periodo di pellegrinaggio esteriore e interiore. L'itinerario del "pellegrino" - così si definisce Ignazio stesso nel raccontare la sua vita - ebbe come prima tappa il paese di Manresa, vicino Barcellona. Qui ha vissuto un'intensa esperienza spirituale che si è prolungata lungo tutto l'arco della sua vita. Il libro degli Esercizi Spirituali è il condensato di questa esperienza del santo.
Il cammino, sempre improntato a quello di un pellegrino, lo portò a Gerusalemme, dove gli fu proibito di stabilizzarsi, come avrebbe voluto, per cui dovette tornare in Europa.
Arrivato a Barcellona, si dedicò agli studi per poter aiutare meglio gli altri.
A Parigi, dove si era recato per approfondire e concludere la formazione filosofico - teologica, si costituì attorno a lui un gruppetto di una decina di studenti, che Ignazio stesso ha denominato "amici nel Signore". Questi "amici" (tra cui incontriamo Francesco Saverio, futuro santo e patrono delle Missioni) erano di diverse nazionalità e erano animati dallo stesso ideale di aiutare gli altri.
Ignazio fu ordinato sacerdote a Venezia nel 1537 e nello stesso anno si recò a Roma.

Lungo questo ultimo tratto di cammino verso la meta Ignazio ebbe un nuovo incontro forte con il Signore a La Storta, vicino Roma. E proprio a Roma quel gruppetto che si era formato a Parigi ora si mette a disposizione del Papa per essere inviato in missione ovunque: diventa la comunità che fonda la Compagnia di Gesù. Questa venne approvata dal Papa Paolo III nel 1540.
Ignazio fu eletto primo Generale dei gesuiti. Fino al 1556, anno della sua morte, ha governato i gesuiti componendo le costituzioni dell'Ordine, scrivendo circa 6000 lettere e interessandosi di diverse dimensioni della società: dai governanti alle povere donne di strada, dal difendere e propagare la fede nello scacchiere nel mondo allora conosciuto alle questioni riguardanti singole persone.
Ignazio fu in sintonia con il detto: "non farsi costringere dal massimo e tuttavia farsi contenere dal minimo: questo è divino"
Gregrorio XV nel 1622 lo dichiarò santo.

Colombo da Priverno
31-07-02, 15:09
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Ad majorem dei gloriam - Per la maggior gloria di Dio
E' il motto della Compagnia di Gesù. I religiosi della Compagnia devono vivere, agire ed operare come Compagni di Gesù e pertanto ogni loro azione, gesto o parola deve essere volta ad aumentare la "maggior gloria di Dio".

Con toto el core, con tota l'anima, con tota la volontad
E' una frase che Ignazio amava molto ripetere, mescolando il suo italiano sempre incerto con il suo caratteristico accento basco. Esprime la dedizione totale verso Dio e verso gesù, nonchè il completo donarsi per il servizio dei fratelli.

En todo amar y servir
"In tutto amare e servire". In queste due parole è raccolta l'essenza del programma di S. Ignazio: AMARE e SERVIRE. Ignazio era un uomo d'azione. L'amore, per quanto fondamentale, non doveva essere fine a se stesso, ma deve essere accompagnato dal servizio agli altri.

L'amore si mostra nelle opere
Si ribadisce con questa frase come Ignazio fosse uomo portato all'azione e al servizio, che è la più alta espressione dell'amore.

Colombo da Priverno
31-07-02, 15:15
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Prendi, Signore,
e accetta tutta la mia libertà,
la mia memoria, il mio intelletto,
e tutta la mia volontà,
tutto ciò che ho e possiedo;
tu mi hai dato tutte queste cose,
a te, Signore, le restituisco;
sono tutte tue,
disponine secondo la tua volontà.
Dammi il tuo amore e la tua grazia,
queste sole, mi bastano.

***

Anima di Cristo, santificami
Corpo di Cristo, salvami
Sangue di Cristo, inebriami
Acqua del costato di Cristo, lavami
Passione di Cristo, confortami
O buon Gesù, esaudiscimi
Dentro le tue ferite nascondimi
Non permettere che io mi separi da te
Dal nemico maligno difendimi
Nell'ora della mia morte chiamami
E comandami di venire a te
Perché con i tuoi santi io ti lodi
nei secoli dei secoli.
Amen.

***

O Dio, che a gloria del tuo nome hai suscitato nella tua Chiesa sant'Ignazio di Loyola, concedi anche a noi, con il suo aiuto e il suo esempio, di combattere la buona battaglia del vangelo, per ricevere in cielo la corona dei santi.

***

Accresci, o Signore, coni doni spirituali e umani questa Compagnia, a cui ti sei degnato di dare inizio per mezzo del santo padre Ignazio perché unita a te nella virtù e nell'amore comprenda ciò che piace alla tua maestà e fedelmente lo compia.

Augustinus
30-07-04, 21:42
Il 31 agosto la Chiesa celebra la memoria di S. Ignazio di Loyola. In suo onore riporto in rilievo questo thread aperto dall'amico Lepanto.

Augustinus

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dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=23800) (con modifiche):

Sant' Ignazio di Loyola (Iñigo López de Recalde), Sacerdote

31 luglio - Memoria

Loyola, Spagna, 24 dicembre c. 1491 - Roma, 31 luglio 1556

Iñigo López Oñaz de Recalde y Loyola - tale il suo nome originario, che egli cambiò in Ignazio dopo la sua conversione - nacque, ultimo di 13 figli, il 24 dicembre 1491 (?), nel castello di Loyola vicino Azpeitia, circa 20 chilometri a sud-ovest di San Sebastián nella provincia basca di Guipúzcoa, Spagna. Ricevette l’educazione cavalleresca propria del suo ceto. Nel 1506, Ignazio divenne un paggio al servizio di un parente, Juan Velázquez de Cuéllar, tesoriere (contador mayor) del regno di Castiglia. Come cortigiano, Ignazio ebbe in quel periodo uno stile di vita dissipato.
NeI 1517 entrò a servizio del Viceré di Navarra. Amava l’avventura e infervorava la sua mente leggendo romanzi cavallereschi.
Quando nel 1521 scoppiò la guerra tra Francesco I di Francia e il giovane Imperatore di Spagna Carlo V, i Francesi entrarono in territorio spagnolo e marciarono alla conquista della città di Pamplona. Ignazio era lì a difenderla; ma il 20 maggio una palla di cannone nemico lo raggiunse, gli sfracellò la gamba destra e gli ferì anche la sinistra. Alla caduta del loro capitano i soldati spagnoli si arresero. I francesi raccolsero Ignazio e lo mandarono al suo castello a Loyola. Arduo fu il compito del chirurgo nel riassettargli le gambe, e alla fine - temendo di restare zoppo - Ignazio si sottomise a un secondo intervento di "stiramento" della gamba. Ma tutte le cure e i tormenti non gli valsero a impedirgli di zoppicare per il resto della sua vita. Durante la lunga convalescenza cercò distrazione nella lettura dei suoi romanzi preferiti di cavalleria, ma per quanto si cercasse, non se ne trovò uno in tutto il castello! Gli furono invece dati due altri libri: la "Legenda aurea" di Jacopo da Varagine, cioè una raccolta di vite di santi; e la "Vita Christi" di Ludolfo di Sassonia. Cominciò a leggerli. La lettura della Passione del Signore lo commuoveva, mentre la lettura delle imprese dei santi lo entusiasmava.
Cominciò a chiedersi: "Perché non potrei fare anch’io quello che hanno fatto per il Signore uomini santi come Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman?".
La Grazia lo aveva finalmente raggiunto, ma le vanità terrene lo attiravano dalla loro parte. Fu un duro combattimento, il suo. Alla fine si raccomandò alla Vergine e, liberato dall’oppressione della carne, si arrese completamente a Dio. Guarito, Ignazio lasciò Loyola e si diresse al monastero domenicano di Montserrat (25 marzo 1522), nella Catalogna, a visitare il santuario della Madonna Nera. Qui volle trascorrere tutta la notte in preghiera. Al mattino depose la spada e il pugnale all’altare della Vergine, e al loro posto si fornì d’un bastone da pellegrino. Fece una lunga preparazione e una dettagliata confessione della sua vita al maestro dei novizi dei Benedettini, poi, cambiati i suoi abiti con il vestito grezzo del penitente, si diresse a Manresa, a meditare e far penitenza.
Cominciò a digiunare e autoflagellarsi. Ma presto si accorse che queste mortificazioni non gli giovavano per la serenità dello spirito. Capì così le insidie dello spirito maligno e imparò a sue spese la necessità della direzione spirituale e l’importanza della "giusta misura" in tutte le cose. Si dette pure ad opere di carità per il popolo, insegnando le vie del Signore ai bambini e ai "rozzi". Dalle sue vicissitudini a Manresa nasceranno i suoi famosi "Esercizi Spirituali", "Ejercicios espirituales", dove è racchiusa tutta la sua esperienza spirituale, da lui composti a Manresa (1523), che divennero una classica guida per l'itinerario spirituale.
Fondò a Montmatre, Parigi, (1534) la Compagnia di Gesù (Gesuiti) per la maggior gloria di Dio a servizio della Chiesa in obbedienza totale al successore di Pietro. Promosse la catechesi e l'apostolato missionario ed ebbe tra i suoi discepoli san Francesco Saverio.

Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Era avviato alla vita del cavaliere, la conversione avvenne durante una convalescenza, quando si trovò a leggere dei libri cristiani. All'abbazia benedettina di Monserrat fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. Nella cittadina di Manresa per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo presso il fiume Cardoner decise di fondare una Compagnia di consacrati. Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali. L'attività dei Preti pellegrini, quelli che in seguito saranno i Gesuiti, si sviluppa un po'in tutto il mondo. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. (Avvenire)

Etimologia:Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino

Emblema:IHS (monogramma di Cristo)

Martirologio Romano: Memoria di sant’Ignazio di Loyola, sacerdote, che, nato nella Guascogna in Spagna, visse alla corte del re e nell’esercito, finché, gravemente ferito, si convertì a Dio; compiuti gli studi teologici a Parigi, unì a sé i primi compagni, che poi costituì nella Compagnia di Gesù a Roma, dove svolse un fruttuoso ministero, dedicandosi alla stesura di opere e alla formazione dei discepoli, a maggior gloria di Dio.

Martirologio tradizionale (31 luglio): A Roma il natale di sant'Ignazio, Sacerdote e Confessore, Fondatore della Compagnia di Gesù, uomo illustre per santità e per miracoli, e zelantissimo nel dilatare ovunque la religione cattolica: dal Sommo Pontefice Pio undecimo fu dichiarato Patrono celeste di tutti gli Esercizi spirituali.

L'agiografia dei secoli passati ha spesso deformato il ritratto di Iñigo López Oñaz de Recalde y Loyola (S. Ignazio di Loyola, nato presso Azpeitia nel 1491, morto a Roma il 31 luglio 1556), per adattarlo di volta in volta all'immagine militaresca odiata o amata dal fondatore della Compagnia di Gesù. Ultimo rampollo di nobile famiglia, a 14 anni aveva ricevuto la tonsura, ma alla carriera ecclesiastica non si sentiva invogliato. Preferì la spada del cavaliere. Durante la difesa del castello di Pamplona, assediato da Francesco I di Francia, ebbe una gamba stroncata. A stroncargli la carriera militare fu tuttavia la svogliata lettura di un paio di libri ingialliti, che la cognata gli porse per ingannare il tempo della convalescenza.
La “Vita di Gesù” e “La leggenda aurea” determinarono la scelta più impegnativa della sua vita. Temprato alla vita militare e poi alle privazioni del penitente e del pellegrino (in un primo momento, lasciatosi crescere barba e capelli incolti e senza mutar mai abito aveva pensato di isolarsi in un eremo nella Tebaide), generoso e imprudente anche nelle fatiche, confesserà candidamente: "E non sapevo ancora che cosa fosse l'umiltà o l'amore o la pazienza o la discrezione". Il che vuol dire che più tardi imparò a essere discreto, paziente, umile e affettuoso. Quando si accorse di aver ecceduto nelle privazioni, confessò sorridendo di aver imparato sbagliando. Smessi gli stracci del pellegrino e dell'accattone, al ritorno dalla Terrasanta completò gli studi prima a Barcellona, poi ad Alcalá, quindi a Parigi, suscitando ovunque simpatia e confidenza. In Spagna fu addirittura sospettato di eresia e imprigionato. "Non ci sono tanti ceppi e catene a Salamanca, - scrisse - che io non ne desideri di più per amore di Dio".
Nel 1528 si iscrisse all'Università di Parigi, dove rimase sette anni, ampliando la sua cultura letteraria e teologica, e cercando di interessare gli altri studenti agli Esercizi Spirituali.
Qui conseguì il titolo di "Maestro in filosofia", mutò il nome di Inigo in quello di Ignazio e raccolse attorno a sè il primo nucleo della "Compagnia di Gesù", un gruppo sempre più numeroso e qualificato di "soldati di Cristo", che lottano e si sacrificano all'insegna del motto "Ad majorem Dei gloriam ", per la maggior gloria di Dio.
Il vademecum di questi soldati è un libriccino di non comoda lettura: gli "Esercizi Spirituali" (approvati nel testo attuale da Papa Paolo III il 31 luglio 1548), scritto o piuttosto vissuto da S. Ignazio nella solitudine di Manresa. E’ qui il segreto di Ignazio, il segreto del suo spirito di dedizione, della sua mistica del servizio per la gioia di amare Dio - come spesso ripeteva, mischiando lo spagnolo all'italiano - "con toto el core, con tota l'anima, con tota la volontad".
I primi sei "seguaci" con i quali diede vita il 15 agosto 1534 a Montmartre, fuori da Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà e castità e fondando la Società di Gesù, furono Pierre Faber o Favre (francese), Francis Xavier (meglio noto come San Francesco Saverio), Alfonso Salmeron, James Lainez o Laynez, Nicholas Bobedilla (spagnoli), e Simon Rodrigues (portoghese). Il Faber o Favre, ch’era già sacerdote, celebrò la S. Messa, durante la quale tutti promisero con voto di realizzare in castità e povertà quanto intendevano fare. Quel giorno, possiamo dire, nacque la Compagnia di Gesù. Una lapide in lingua latina, nella chiesa di Montmartre, ricorda ancora quell’avvenimento con queste parole: "La Compagnia di Gesù, che ebbe come Padre S. Ignazio di Loyola e come madre Parigi, nacque qui il 15 agosto nell’anno di grazia 1534".
Nel 1537 si recarono in Italia in cerca dell'approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III diede loro una lode e consentì loro di essere ordinati come preti. Essi vennero ordinati a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno in attesa della partenza per l’Oriente. Purtroppo, proprio in quel 1537 si riaccese la guerra tra la "Serenissima" e il vicino Oriente, e la partenza fu rimandata "sine die". Misero allora in atto la seconda parte del voto: andare a Roma e offrirsi come "preti rinnovati" al Papa.
Si dedicarono alla preghiera ed ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l'imperatore, Venezia, il Papa e l'Impero Ottomano rendevano impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme.
Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell'ottobre del 1538, per far approvare al papa la costituzione del nuovo ordine. Alle porte di Roma accadde un fatto straordinario, a cui Ignazio annesse sempre grande valore. Entrati a pregare in una Cappella detta La Storta, Ignazio ebbe una visione, in cui contemplò Gesù che portava la Croce con Dio Padre al suo fianco. "Voglio che ci serviate", disse Gesù. Il Padre aggiunse: "Vi sarò propizio a Roma"; e Ignazio fu posto a fianco di Gesù. Usciti dalla preghiera, Ignazio disse ai compagni: "Non so che cosa ci attende a Roma, se la persecuzione o la morte". E narrò loro la visione. A Roma il Papa li accolse bene, si fece dar prova della saldezza della loro fede e dottrina cattolica e dette loro il permesso di predicare e celebrare i sacramenti.
Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio, e Papa Paolo III confermò l'ordine con la bolla papale Regimini militantis (27 settembre 1540), decretandone la nascita giuridica, ma limitò il numero dei suoi membri a sessanta. Questa limitazione venne rimossa tramite una successiva bolla, la Injunctum nobis, del 14 marzo 1543.
Ignazio ricordava spesso al Papa il voto di andare in Terra santa. Ma un giorno il Papa stesso gli disse: "Roma può essere benissimo la vostra Gerusalemme, visto il bene che fate e il grave bisogno della città". Queste parole misero fine al sogno di Ignazio.
A Roma e nelle altre città i Compagni insegnavano, predicavano, si prendevano cura degli ortani, dei poveri, dei malati negli ospedali. Ignazio pensò anche a recuperare uomini e donne dalla prostituzione.
All’estero, Ignazio si preoccupava molto per l’eresia in Germania. Vi mandò il Favre, che vi spese le migliori energie, fino a morire sulla breccia dopo pochi anni. Vi mandò pure un uomo coltissimo e zelante, il Canisio, che tenne fronte al luteranesimo, riuscendo a salvare metà della Germania dall’invadente eresia.
NeI 1540 fu fatta richiesta al Papa, da parte del re del Portogallo, di mandare missionari in India. All’ambasciatore interessato, il Papa rispose: "Rivolgetevi a Ignazio". E Ignazio sacrificò il suo figlio più caro, Francesco Saverio, segno del suo ardore di salvare tutti.
Approvata la Compagnia di Gesù da Paolo III nel settembre 1540, si pensò subito all’elezione del Generale. Saverio lasciò il suo voto in iscritto prima di salpare per l’india. Tutti, eccetto Ignazio, votarono per il Fondatore. Dietro le reiterate insistenze di tutti i compagni, Ignazio finalmente accettò l’incarico, che per comune decisione, doveva essere a vita!
Nel 1548 venne stampato per la prima volta Esercizi Spirituali, per il quale venne portato davanti al tribunale dell'Inquisizione, ma poi rilasciato.
Sempre nel 1548, Sant'Ignazio fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso Primum ac Prototypum Collegium ovvero Messanense Collegium Prototypum Societatis, primo e quindi prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i Gesuiti fonderanno con successo nel mondo facendo dell'insegnamento la marca distintiva dell'Ordine.
Ignazio scrisse le Costituzioni del nuovo Ordine, il cui nome era - e doveva rimanere - "Compagnia di Gesù", adottate nel 1554, che creavano un'organizzazione monarchica e spingevano per un'abnegazione assoluta ed un'obbedienza assoluta al Papa ed ai superiori (perinde ac cadaver, " come un cadavere" scrisse Ignazio).
Lo spirito animatore di queste Costituzioni doveva essere quello degli Esercizi spirituali: la maggior gloria di Dio (AMDG: "Ad maiorem Dei gloriam") e il maggior servizio delle anime.
Quanto alla parte pratica riguardante la vita religiosa, Ignazio non ebbe fretta, volendo egli stesso imparare dall’esperienza. E così la parola "fine" non arrivò mai, pensando sempre a qualche novità da aggiungere o cambiare. Le Costituzioni furono perciò pubblicate postume, e senza conclusione.
Il nuovo stile libero di vita religiosa non piacque a tutti nella chiesa. Lo stesso Cardinale Carafa, cofondatore dei Teatini (insieme a S. Gaetano Thiene) ripeteva: "Ma che religiosi siete se non avete neppure il canto e la preghiera corale?". E fatto papa col nome di Paolo IV, si astenne dall’intervenire finché visse Ignazio. Poi introdusse la preghiera corale anche tra i Gesuiti. La quale però fu tolta dal suo successore, e si tornò allo stile voluto da Ignazio.
Tra il 1553 ed il 1555, Ignazio dettò al suo segratario, padre Gonçalves da Câmara, la sua vita. Questa autobiografia è essenziale per la comprensione dei suoi Esercizi Spirituali. Per oltre 150 anni, però, tale documento è rimasto segreto negli archivi dell'ordine, fino a il testo non venne pubblicato in Acta Sanctorum.
Ignazio soffriva da tempo di gravi disturbi all’apparato digerente, ma i medici non diagnosticarono mai l’origine del suo malessere. Solo dopo la sua morte gli furono scoperti tre grossi calcoli nel fegato. Eppure il santo non smise mai di lavorare, nonostante i laucinanti dolori.
Quando finalmente fu costretto a letto, ridotto in fin di vita, chiese gli ultimi sacramenti. Chiesto il parere del medico curante, il segretario P. Polanco disse a Ignazio di non esserci urgenza.
L’ultima notte, Ignazio, sentendo approssimarsi la fine, pregò il Polanco di recarsi dal S. Padre (Paolo IV) e chiedergli la benedizione "in articulo mortis ". Di nuovo il Polanco si consultò col medico, che rispose la morte non essere imminente. E tutto fu rimandato al giorno dopo.
Ma all’alba del nuovo giorno, 31 luglio 1556, Ignazio entrò in agonia. Polanco, avvisato, si affrettò al palazzo del Papa, che dette di cuore la sua benedizione per il morente. Polanco tornò di corsa a casa, ma quando vi giunse Ignazio era già spirato.
La notizia si sparse subito per tutta Roma: "E' morto il santo!", si ripeteva ovunque. Sì, Ignazio era morto da santo, nel dolore e nella solitudine, abbandonato al volere totale del suo Dio, secondo le parole della sua preghiera di offerta: "Prendi, o Signore, e accetta tutta la mia libertà, la memoria, l’intelletto e ogni mia volontà...".
L’offerta era stata davvero totale fino a quest’ultimo, in cui non nessuno dei suoi figli era accanto al suo letto, eccetto il religioso che lo aveva vegliato per la notte.
Ignazio fu beatificato da Paolo V nel 1609 e canonizzato da Gregorio XV il 12 marzo del 1622 insieme a S. Francesco Saverio, S. Filippo Neri, suo amico, S. Teresa d’Avila e S. Isidoro il contadino. Di lui fu detto: "Aveva il cuore più grande del mondo".

Autore: Piero Bargellini (con aggiunte)

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[B]ALTRA BIOGRAFIA DALLO STESSO SITO:

Il primo scritto che racconta la vita, la vocazione e la missione di s. Ignazio, è stato redatto proprio da lui, in Italia è conosciuto come “Autobiografia”, ed egli racconta la sua chiamata e la sua missione, presentandosi in terza persona, per lo più designato con il nome di “pellegrino”; apparentemente è la descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia un paese basco, nell’estate del 1491, il suo nome era Iñigo Lopez de Loyola, settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere.
Iñigo perse la madre subito dopo la nascita, ed era destinato alla carriera sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia ricevé per questo anche la tonsura.
Ma egli ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere come già per due suoi fratelli; il padre prima di morire, nel 1506 lo mandò ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, affinché ricevesse un’educazione adeguata; accompagnò don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferiva la corte allora itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura opera.
Nel 1515 Iñigo venne accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subì un processo che non sfociò in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi; questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca.
Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferì presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trovò a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferì ad una gamba.
Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
Ma il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane; durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata.
Si trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
Per iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
Un’epidemia di peste, cosa ricorrente in quei tempi, gl’impedì di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente.
In una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri “Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi.
Arrivato nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme s’imbarcò per Gaeta e da qui arrivò a Roma la Domenica delle Palme, fu ricevuto e benedetto dall’olandese Adriano VI, ultimo papa non italiano fino a Giovanni Paolo II.
Imbarcatosi a Venezia arrivò in Terrasanta visitando tutti i luoghi santificati dalla presenza di Gesù; avrebbe voluto rimanere lì ma il Superiore dei Francescani, responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibì e quindi ritornò nel 1524 in Spagna.
Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorreva approfondire le sue scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prese a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà e a Salamanca.
Per delle incomprensioni ed equivoci, non poté completare gli studi in Spagna, per cui nel 1528 si trasferì a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il dottorato in filosofia.
Ma già nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi a disposizione del papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla; nel contempo Iñigo latinizzò il suo nome in Ignazio, ricordando il santo vescovo martire s. Ignazio d’Antiochia.
A causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per cui si presentarono dal papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti.
Ignazio di Loyola nel 1537 si trasferì in Italia prima a Bologna e poi a Venezia, dove fu ordinato sacerdote; insieme a due compagni si avvicinò a Roma e a 14 km a nord della città, in località ‘La Storta’ ebbe una visione che lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.
Il 27 settembre 1540 papa Polo III approvò la Compagnia di Gesù con la bolla “Regimini militantis Ecclesiae”.
L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto all’unanimità Preposito Generale e il 22 aprile fece con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel 1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prese a redigere le “Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si sparpagliavano per il mondo.
Rimasto a Roma per volere del papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa.
Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
Fu proclamato beato il 27 luglio 1609 da papa Paolo V e proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.
Si completa la scheda sul Santo Fondatore, colonna della Chiesa e iniziatore di quella riforma coronata dal Concilio di Trento, con una panoramica di notizie sul suo Ordine, la “Compagnia di Gesù”.
Le “Costituzioni” redatte da s. Ignazio fissano lo spirito della Compagnia, essa è un Ordine di “chierici regolari” analogo a quelli sorti nello stesso periodo, ma accentuante anche nella denominazione scelta dal suo Fondatore, l’aspetto dell’azione militante al servizio della Chiesa.
La Compagnia adattò lo spirito del monachesimo, al necessario dinamismo di un apostolato da svolgersi in un mondo in rapida trasformazione spirituale e sociale, com’era quello del XVI secolo; alla stabilità della vita monastica sostituì una grande mobilità dei suoi membri, legati però a particolari obblighi di obbedienza ai superiori e al papa; alle preghiere del coro sostituì l’orazione mentale.
Considerò inoltre essenziale la preparazione e l’aggiornamento culturale dei suoi membri. È governata da un “Preposito generale”.
I gradi della formazione dei sacerdoti gesuiti, comprendono due anni di noviziato, gli aspiranti sono detti ‘scolastici’, gli studi approfonditi sono inframezzati dall’ordinazione sacerdotale (solitamente dopo il terzo anno di filosofia), il giovane gesuita verso i 30 anni diventa professo ed emette i tre voti solenni di povertà, castità e obbedienza, più in quarto voto di obbedienza speciale al papa; accanto ai ‘professi’ vi sono i “coadiutori spirituali” che emettono soltanto i tre voti semplici.
Non c’è un ramo femminile né un Terz’Ordine. La spiritualità della Compagnia si basa sugli ‘Esercizi Spirituali’ di s. Ignazio e si contraddistingue per l’abbandono alla volontà di Dio espresso nell’assoluta obbedienza ai superiori; in una profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali, nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio; nello zelo apostolico; nella totale fedeltà alla Santa Sede.
I Gesuiti non possono possedere personalmente rendite fisse, consentite solo ai Collegi e alle Case di formazione; i professi fanno anche il voto speciale di non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
Come attività, in origine la Compagnia si presentava come un gruppo missionario a disposizione del pontefice e pronto a svolgere qualsiasi compito questi volesse affidargli per la “maggior gloria di Dio”.
Quindi svolsero attività prevalentemente itinerante, facendo fronte alle più urgenti necessità di predicazione, di catechesi, di cura di anime, di missioni speciali, di riforma del clero, operante nella Controriforma e nell’evangelizzazione dei nuovi Paesi (Oriente, Africa, America).
Nel 1547, s. Ignazio affidò alla sua Compagnia, un ministero inizialmente non previsto, quello dell’insegnamento, che diventò una delle attività principali dell’Ordine e uno dei principali strumenti della sua diffusione e della sua forza, lo testimoniano i prestigiosi Collegi sparsi per il mondo.
Alla morte di s. Ignazio, avvenuta come già detto nel 1556, la Compagnia contava già mille membri e nel 1615, con la guida dei vari Generali succedutisi era a 13.000 membri, diffondendosi in tutta Europa, subendo anche i primi martiri (Campion, Ogilvie, in Inghilterra).
Ma soprattutto ebbe un’attività missionaria di rilievo iniziata nel 1541 con s. Francesco Xavier, inviato in India e nel Giappone, dove i successivi gesuiti subirono come gli altri missionari, sanguinose persecuzioni.
Più duratura fu la loro opera in Cina con padre Matteo Ricci (1552-1610) e in America Meridionale, specie in Brasile, con le famose ‘riduzioni’. Più sfortunata fu l’opera dei Gesuiti in America Settentrionale, in cui furono martiri i santi Giovanni de Brebeuf, Isacco Jogues, Carlo Garnier e altri cinque missionari.
Col passare del tempo, nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti con la loro accresciuta potenza furono al centro di dispute dottrinarie e di violenti conflitti politico-ecclesiatici, troppo lunghi e numerosi da descrivere in questa sede; che alimentarono l’odio di tanti movimenti antireligiosi e l’astio dei Domenicani, dei sovrani dell’epoca e dei parlamentari e governi di vari Stati.
Si arrivò così allo scioglimento prima negli Stati di Portogallo, Spagna, Napoli, Parma e Piacenza e infine sotto la pressione dei sovrani europei, anche allo scioglimento totale della Compagnia di Gesù nel 1773, da parte di papa Clemente XIV.
I Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice Caterina II; nel 1814 papa Pio VII diede il via alla restaurazione della Compagnia.
Da allora i suoi membri sono stati sempre presenti nelle dispute morali, dottrinarie, filosofiche, teologiche e ideologiche, che hanno interessato la vita morale e istituzionale della società non solo cattolica.
Nel 1850 sorse la prestigiosa e diffusa rivista “La Civiltà Cattolica”, voce autorevole del pensiero della Compagnia; altre espulsioni si ebbero nel 1880 e 1901 interessanti molti Stati europei e sud americani.
Nell’annuario del 1966 i Gesuiti erano 36.000, divisi in 79 province nel mondo e 77 territori di missione. In una statistica aggiornata al 2002, la Compagnia di Gesù annovera tra i suoi figli 49 Santi di cui 34 martiri e 147 Beati di cui 139 martiri; a loro si aggiungono centinaia di Servi di Dio e Venerabili, avviati sulla strada di un riconoscimento ufficiale della loro santità o del loro martirio.
L’alto numero di martiri, testimonia la vocazione missionaria dei Gesuiti, votati all’affermazione della ‘maggior gloria di Dio’, nonostante i pericoli e le persecuzioni a cui sono andati incontro, sin dalla loro fondazione.

Autore: Antonio Borrelli

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Augustinus
30-07-04, 21:49
(Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647)

Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati «Vita di Cristo» e «Florilegio di santi», ambedue nella lingua materna.
Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso.
Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: «E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?». Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo.
Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia.
Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costato che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti.

http://img377.imageshack.us/img377/78/priestsloyola2to0.jpg

http://www.kfki.hu/~arthp/art/l/le_gros/religion.jpg Pierre Le Gros il Giovane, La Vera Religione scaccia l'eresia, 1695-99, particolare dell'altare di S. Ignazio, Chiesa del Gesù, Roma

http://img224.imageshack.us/img224/7540/rubensloyolahh7.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/05/Detail_-_Glory_of_St_Ignatius_of_Loyola_-_Rubens_-_1616_-_KHM_-_Vienna.jpg http://faculty.maxwell.syr.edu/gaddis/HST212/April16/IgnatiusScene.jpg Pieter Paul Rubens, Miracolo di S. Ignazio, 1618-19, Kunsthistoriches Museum, Vienna

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a8/Peter_Paul_Rubens_028.jpg Pieter Paul Rubens, Miracolo di S. Ignazio, 1620, Kunsthistoriches Museum, Vienna

http://img234.imageshack.us/img234/6795/ignatiusuz9.jpg Pieter Paul Rubens, Esorcismo di S. Ignazio, 1619 circa, Dulwich Picture Gallery, Londra

http://www.bildindex.de/bilder/gg3200_031b.jpg Pierre Hubert Subleyras, Visione di S. Ignazio, XVIII sec.

Augustinus
31-07-04, 11:09
http://img111.imageshack.us/img111/6208/signaciodethl8.jpg http://img151.imageshack.us/img151/1843/ign14cp9.jpg Juan de Valdés Leal, S. Ignazio in penitenza nella cova di Manresa, 1660 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia

http://www.gesuiti.it/moscati/Img/IL_De_Ribera.jpg http://sistersofcharity.org.au/story/_img/ignatius2.jpg http://people.bu.edu/wwildman/WeirdWildWeb/media/galleries/theology/theologians/Loyola_Ignatius_02.jpg Jusepe de Ribera, S. Ignazio scrive la sua regola, 1620 circa

http://www.kfki.hu/~arthp/art/p/pozzo/gesu.jpg http://img525.imageshack.us/img525/4535/ch08flh7.jpg Andrea Pozzo, Altare di S. Ignazio, 1695-99, Chiesa del Gesù, Roma

http://img36.imageshack.us/img36/4395/zurbarnignazioloyola3hm.png Ambito di Francisco de Zurbaran, S. Ignazio di Loyola, XVII sec.

Augustinus
31-07-04, 22:54
PAOLO VI

DISCORSO IN OCCASIONE DELLA XXXII CONGREGAZIONE GENERALE
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Martedì, 3 dicembre 1974

Venerati e carissimi Padri della Compagnia di Gesù!

Nel ricevervi oggi, si rinnova per Noi la gioia e la trepidazione del 7 maggio 1965, quando iniziava la XXXI Congregazione Generale della vostra Compagnia, e del 15 novembre dell’anno successivo, alla sua conclusione: gioia grande, per l’effusione di paterna e sincera carità che non può non suscitare ogni incontro tra il Papa e i figli di Sant’Ignazio, soprattutto perché vediamo le testimonianze di apostolato e di fedeltà che ci date, e delle quali ci rallegriamo; ma anche trepidazione per i motivi dei quali vi parleremo oltre. Noi diamo perciò grande importanza a questo nuovo incontro: sia per l’occasione tradizionale che lo origina, l’inaugurazione dei lavori della XXXII Congregazione Generale; sia per il suo significato storico, che va ben oltre il lato contingente. È infatti tutta la Compagnia, che, nel suo cammino nel tempo, dopo oltre quattro secoli di marcia, si trova a Roma, davanti al Papa, e pensa forse alla visione profetica della Storta: Ego vobis Romae propitius ero (P. TACCHI-VENTURI, S.I., Storia della Compagnia di Gesù in Italia narrata col sussidio di fonti inedite, vol. II, parte I, Roma 1950, 2ª ed., p. 4, n. 2; P. RIBADENEIRA, Vita Ignatii, cap. IX: Acta Sanctorum Iulii, t. VII, Antverpiae 1731, p. 683).

Vi è in voi, vi è in noi il senso d’un momento decisivo, che concentra negli animi i ricordi, i sentimenti, i presagi del vostro destino nella vita della Chiesa. Vedendovi qui, nella rappresentatività di tutte le vostre Province del mondo, il nostro sguardo abbraccia la totalità dei Gesuiti, circa trentamila uomini, che lavorano per il Regno di Dio, ed offrono un contributo di grande valore alle opere apostoliche e missionarie della Chiesa; uomini che si dedicano alle anime, spesso nel nascondimento e nel segreto di una intera esistenza. Ciascuno di questi vostri confratelli fa certo salire dal suo cuore verso questa Congregazione desideri profondi, molti dei quali sono espressi nei «postulata», e che perciò richiedono da voi, delegati, una attenta comprensione e un grande rispetto. Ma più che il numero, sembra a noi che debba contare la qualità di tali desideri, espressi o taciti che siano, che abbracciano certo la conformità alla vocazione e al carisma proprio dei Gesuiti, trasmesso da una ininterrotta tradizione; la conformità alla volontà di Dio, umilmente cercata nella preghiera; e la conformità alla volontà della Chiesa, nella linea del grande movimento spirituale che ha sorretto, e sorregge tuttora, come sorreggerà in avvenire la Compagnia.

URGENZA DEL MOMENTO

Comprendiamo la peculiarità del momento, che richiede anche da parte vostra non la solita e ordinaria amministrazione, bensì un esame profondo e sintetico, libero e globale sullo stato della vostra odierna maturazione verso i problemi e la situazione della Compagnia. È un atto da compiere con estrema lucidità e con spirito soprannaturale - confrontare la vostra identità con quanto sta avvenendo nel mondo e nella Compagnia stessa - tenendovi unicamente in ascolto della voce dello Spirito Santo, sotto la guida e l'illuminazione del Magistero, con una disposizione perciò di umiltà, di coraggio e di risolutezza per decidere sugli opportuni orientamenti perché non sia prolungato uno stato di indeterminatezza che diverrebbe pericolosa. Tutto questo con grande fiducia.

Noi vi confermiamo la nostra: vi amiamo sinceramente, e vi riteniamo capaci di quel rinnovamento e riassestamento che tutti auspichiamo.

Ecco il significato di questo incontro di riflessione. Già vi facemmo conoscere in merito il nostro pensiero con le lettere che il Cardinale Segretario di Stato ha inviato in nostro nome il 26 marzo 1970 e il 15 febbraio 1973; e con quella del 15 settembre 1973, In Paschae solemnitate, da noi destinata al Preposito Generale, e, per lui, a tutti i membri della Compagnia.

Continuando sulla linea di pensiero di quel documento, che noi speriamo sia stato da voi meditato e approfondito, com’era nei nostri voti, noi vi parliamo oggi con un affetto, con un’urgenza particolari, in nome di Cristo, e come, a voi piace di considerarci, Superiore supremo della Compagnia, in vista del legame speciale che unisce la Compagnia stessa, fin dalla fondazione, al Romano Pontefice. I Papi hanno sempre posto una speranza particolare nella Compagnia di Gesù.

E noi, che in occasione della precedente Congregazione vi affidammo il particolare incarico di far fronte all’ateismo, come espressione moderna del vostro voto di obbedienza al Papa (AAS 57, 1965, p. 514; 58, 1966, p. 1177), ci rivolgiamo oggi a voi all’inizio di questi lavori ai quali tutta la Chiesa guarda, proprio per confortare e stimolare le vostre riflessioni; e vi osserviamo nella vostra totalità di grande Famiglia religiosa, che si ferma un istante e si consulta sulla via da tenere.

A noi pare che, ascoltando in quest’ora di trepida vigilia e d’intensa attenzione quid Spiritus dicat a voi e a noi (cfr. Apoc. 2, 7, etc.), sorgano nel nostro animo tre domande, alle quali ci sentiamo tenuti a rispondere: «Donde venite?» «Chi siete?» «Dove andate?».

Noi siamo qui, come Pietra miliare, a misurare, sia pure con un solo sguardo, il cammino da voi finora compiuto.

«DONDE VENITE?»

I. Donde venite, dunque? E il pensiero va a quel complesso secolo XVI, nel quale si ponevano le fondazioni della civiltà e della cultura moderna, e la Chiesa, minacciata dalla scissione, dava inizio a una nuova èra di rinnovamento religioso e sociale, fondato sulla preghiera e sull’amore di Dio e dei fratelli, cioè sulla ricerca della più genuina santità. Era un momento affascinato da una nuova concezione dell’uomo e del mondo, che spesso - anche se non è stato questo l’umanesimo più genuino - stava per relegare Dio al di fuori dell’orizzonte della vita e della storia; era un mondo che prendeva dimensioni nuove dalle recenti scoperte geografiche; e perciò, per tanti aspetti - sconvolgimenti, riflessioni, analisi, ricostruzioni, slanci, aspirazioni, ecc. – non poco simile al nostro.

Su quello sfondo tempestoso e magnifico si colloca la figura di Sant’Ignazio. Sì, donde venite? E ci pare di udire a un solo grido, tamquam vox aquarum multarum (Apoc. 1, 15), salire dal fondo dei secoli da tutti i vostri confratelli: noi veniamo da Ignazio di Loyola, il nostro Fondatore; veniamo da colui che ha segnato un’orma indelebile non solo nell’Ordine, ma anche nella storia della spiritualità e dell’apostolato di tutta la Chiesa.

- Con lui, veniamo da Manresa, dalla mistica grotta che vide le successive ascensioni della sua grande anima, dalla pace serena dei principianti alle purificazioni della notte dello spirito, fino alle grandi grazie mistiche delle visioni trinitarie (cfr. HUGO RAHNER, Ignatius von Loyola u. das geschichtliche Werden seiner Frommigkeit, Graz 1947, cap. III).

Iniziarono allora i primi lineamenti dell’opera, che ha formato nei secoli le anime, orientandole verso Dio, gli Esercizi Spirituali che, tra l’altro, insegnano ad usare «con grande animo e liberalità verso il Creatore e Signore, offrendogli tutto il proprio volere e libertà, perché sua divina Maestà, così nella persona come di tutto quello che essa ha, si serva conforme alla sua santissima volontà» (Annotaciones, 5: Monumenta Ignatiana, series secunda, Exercitia Spiritualia S. Ignatii de Loyola et eorum Directoria, nova editio, tom. I, Exerc. Spir.: MHSI, vol. 100, Romae 1969, p. 146).

- Con Sant’Ignazio - voi ci rispondete ancora - noi veniamo da Montmartre, dove il nostro Fondatore il 15 agosto 1534, dopo la Messa celebrata da Pietro Fabro, pronunciò con lui, con Francesco Saverio, del quale oggi celebriamo la festa, con Salmeròn, e Laìnez e Rodrigues e Bobadilla, i voti che dovevano segnare come la gemma primaverile da cui sarebbe sbocciata a Roma la Compagnia (P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. II, parte I, pp. 63 ss.).

- E con Sant’Ignazio - voi continuate - noi siamo a Roma, donde con lui siamo partiti, forti della benedizione del Successore di Pietro, da quando Paolo III, dopo l’appassionata apologia del Cardinale Gaspare Contarini nel settembre 1539, diede la prima approvazione orale, preludio di quella Bolla Regimini Ecclesiae Militantis del 27 settembre 1540, che sancì con la suprema autorità della Chiesa l’esistenza della nuova Società di Presbiteri. La sua originalità stava, pare a noi, nell’aver intuito che i tempi richiedevano persone completamente disponibili, capaci di staccarsi da tutto e di seguire qualunque missione fosse indicata dal Papa, e reclamata a suo giudizio dal bene della Chiesa, mettendo sempre in primo piano la gloria di Dio: ad maiorem Dei gloriam. Ma S. Ignazio guardava anche oltre quei tempi, come scriveva al termine del Quinque Capitula: Haec sunt quae de nostra professione typo quodam explicare potuimus, quod nunc facimus ut summatim scriptione hac informemus tum illos qui nos de nostro vitae instituto interrogant, tum etiam posteros nostros si quos, Deo uolente, imitatores habebimus huius vitae (P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. I, parte II, Roma, 2ª ed. 1931, p. 189).

Tali siete stati voluti, tali siete nati: questi fatti dànno, si può dire, la definizione della Compagnia, com’è ricavata dalle origini, e ne indicano le linee costituzionali, e le imprimono il dinamismo, che come una molla continua l’ha sorretta nei secoli.

«CHI SIETE?»

II. Sappiamo dunque chi siete. Come abbiamo sintetizzato nella nostra lettera In Paschae solemnitate, voi siete membri di un Ordine religioso, apostolico, sacerdotale, unito col Romano Pontefice da uno speciale vincolo di amore e di servizio, nel modo descritto nella Formula Instituti.

Siete religiosi, perciò uomini di preghiera, di imitazione evangelica del Cristo, e dotati di spirito soprannaturale, garantito e protetto dai voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, i quali non sono un ostacolo della libera persona, quasi fossero relitto di epoche sociologicamente superate, ma invece sono chiara volontà di affrancamento nello spirito del Discorso della Montagna, mediante i quali impegni colui che è chiamato - come ha sottolineato il Vaticano II - «per poter raccogliere più copioso il frutto della grazia battesimale, . . . .intende liberarsi dagli impedimenti, che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino, e si consacra più intimamente al servizio di Dio» (Lumen Gentium, 44; cfr. Perfectae Caritatis, 12-14). Come religiosi siete uomini dediti all’austerità della vita, per imitare il Figlio di Dio, il quale « spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» (Phil. 2, 7), e «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor. 8, 9); come religiosi dovete quindi rifuggire - come scrivevamo nella menzionata Lettera, - «dai facili compromessi con la mentalità desacralizzata e corriva di tante forme odierne della vita morale»; e altresì riconoscere e vivere - coraggiosamente ed esemplarmente - «il valore ascetico e formativo della vita comune», custodendolo intatto contro le tentazioni dell’individualismo e della autonoma singolarità.

Siete apostoli, inoltre: cioè missionari, mandati in ogni direzione secondo la fisionomia più autentica e genuina della Compagnia: uomini che Cristo stesso invia in tutto il mondo a diffondere la sua santa dottrina, tra gli uomini in ogni stato e condizione (cfr. Ex. Spir. n. 145: cfr. MHSI, vol. 100, Romae 1969, p. 246). È questa una caratteristica fondamentale e insostituibile del vero Gesuita, che trova appunto negli Esercizi, come nelle Costituzioni, le spinte continue a praticare le virtù a lui proprie, indicate da Sant’Ignazio, e ciò in un modo più forte, in una tensione più grande, in una ricerca continua del meglio, del «magis», del più (cfr. i criteri delle Costituzioni). E la stessa diversità di ministeri, a cui la Compagnia si dedica, attinge da tali sorgenti la sua più profonda ragione di quella vita apostolica, che dev’essere vissuta «pleno sensu».

Sacerdoti, poi, siete: anche questo è carattere essenziale della Compagnia, pur non dimenticando l’antica e legittima tradizione dei benemeriti Fratelli, non insigniti dell’Ordine sacro, che pure hanno sempre avuto un ruolo onorato ed efficiente nella Compagnia. La «sacerdotalità» è stata formalmente richiesta dal Fondatore per tutti i religiosi professi; e ben a ragione, perché il sacerdozio è necessario all’Ordine da lui istituito con la precipua finalità della santificazione degli uomini mediante la Parola e i sacramenti.

Effettivamente, il carattere sacerdotale è richiesto dalla vostra dedizione alla vita apostolica, ripetiamo «pleno sensu»: dal carisma dell’Ordine sacerdotale, che configura a Cristo inviato dal Padre, nasce principalmente l’apostolicità della missione, a cui, come Gesuiti, siete deputati. Siete perciò sacerdoti, allenati a quella familiaritas cum Deo, con cui Sant’Ignazio volle fondare la Compagnia; sacerdoti che insegnano, provvisti della «sermonis gratia» (cfr. Monumenta Ignatiana, Sancti Ignatii de Loyola Constitutiones Societatis Iesu, tomus III, textus latinus, p. 1, c. 2, 9 (59-60); MHSI, vol. 65, Romae 1938, p. 49); tesi a far sì che «la parola del Signore si diffonda e sia glorificata» (2 Thess. 3, 1); siete sacerdoti che amministrano la grazia di Dio, con i sacramenti, sacerdoti che ricevono potestà e hanno il dovere di partecipare organicamente all’opera apostolica di alimento e di unione della comunità cristiana, specialmente con la celebrazione dell’Eucaristia; sacerdoti perciò consapevoli, come abbiamo detto in un nostro discorso nel 1963, del «rapporto antecedente e conseguente (del Sacerdozio) con l’Eucaristia, per il quale il Sacerdote è ministro generatore di tanto Sacramento, e poi primo adoratore e sapiente rivelatore e instancabile distributore» (alla XIII Settimana Naz. di Aggiornamento Pastorale, 6 sett. 1963; AAS 55, 1963, p. 754).

UNITI CON IL PAPA

Infine, siete uniti col Papa da uno speciale voto: perché questa unione col Successore di Pietro, che è il nucleo principale dei membri della Compagnia, ha sempre assicurato, anzi è il segno visibile della vostra comunione con Cristo. Capo primo e supremo della Compagnia che per antonomasia è sua, di Gesù. Ed è l’unione col Papa che ha sempre reso i membri della Società veramente liberi, cioè posti sotto la direzione dello Spirito, abilitati a tutte le missioni anche più ardue o più lontane, non legati a condizioni anguste di tempo e di luogo, provvisti di un respiro veramente cattolico, universale.

Nella fusione di questa quadruplice nota noi vediamo dispiegarsi tutta la meravigliosa ricchezza e adattabilità che ha caratterizzato la Compagnia nei secoli, come Compagnia di «inviati» dalla Chiesa: di qui la ricerca e l’insegnamento teologici; di qui l’apostolato di predicazione, di assistenza spirituale, di pubblicazioni ed edizioni, di animazione di gruppi, di formazione mediante la Parola di Dio e il sacramento della riconciliazione, secondo un preciso e geniale impegno voluto dal Santo; di qui l’apostolato sociale e l’azione intellettuale e culturale, che dalle scuole per l’educazione integrale dei giovani raggiunge tutti i gradi della formazione universitaria e della ricerca scientifica; di qui la «puerorum ac rudium in christianismo institutio», che S. Ignazio dà ai suoi figli, fin dalla prima minuta dei suoi Quinque Capitula, come uno dei loro fini precipui (cfr. P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. I, parte II, p. 183); di qui le missioni, testimonianza concreta e commovente della «missione» della Compagnia; di qui la cura ai poveri, ai malati, agli emarginati. Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i Gesuiti: la vostra Società aderisce e si confonde con la società della Chiesa, nelle opere molteplici che sapete animare, pur tenendo presente la necessità che tutte siano unificate dall’unico punto di vista della gloria di Dio e della santificazione degli uomini, senza dispersioni che impediscano scelte prioritarie.

E allora perché dubitate? Avete una spiritualità fortemente tracciata, un’identità inequivocabile, una conferma secolare che giunge dalla bontà di metodi, che, passati attraverso il crogiuolo della storia, portano tuttora l’impronta della forte spiritualità di Sant’Ignazio. Allora non bisognerà assolutamente mettere in dubbio che un più profondo impegno nella via fin qui percorsa, nel carisma proprio, non sia nuovamente fonte di fecondità spirituale e apostolica. È vero, è diffusa oggi nella Chiesa la tentazione caratteristica del nostro tempo: il dubbio sistematico, la critica della propria identità, il desiderio di cambiare, l’indipendenza e l’individualismo. Le difficoltà che voi avvertite sono quelle che prendono oggi i cristiani in generale, davanti alla profonda mutazione culturale che colpisce il senso stesso di Dio; le vostre sono le stesse difficoltà degli apostoli di oggi, che sentono l’assillo di annunziare il Vangelo e la difficoltà di tradurlo in un linguaggio recepibile dai contemporanei; sono le difficoltà di altri Ordini religiosi. Comprendiamo i dubbi e le difficoltà vere, serie, che alcuni di voi provano. Voi siete agli avamposti di quella rinnovazione profonda che la Chiesa, specie dopo il Concilio Vaticano II, sta affrontando in questo mondo secolarizzato. La vostra Compagnia è, diciamo, il test della vitalità della Chiesa attraverso i secoli; essa è forse uno dei crogiuoli più significativi, nei quali si incontrano le difficoltà, le tentazioni, gli sforzi, la perennità e i successi della Chiesa intera.

Certamente è una crisi di sofferenza, e forse di crescenza, come più volte è stato detto: ma noi, in qualità di Vicario di Cristo, che deve confermare nella fede i fratelli (cfr. Luc. 22, 32), e voi parimente, che avete la pesante responsabilità di rappresentare consapevolmente le aspirazioni dei vostri Confratelli, tutti dobbiamo vegliare affinché l’adattamento necessario non si compia a detrimento dell’identità fondamentale, dell’essenzialità della figura del Gesuita, quale è descritta nella Formula Instituti, quale la storia e la spiritualità propria dell’Ordine la propongono, e quale l’interpretazione autentica dei bisogni stessi dei tempi sembra ancora oggi reclamare. Quell’immagine non dev’essere alterata, non deve essere sfigurata.

Non si potrà chiamare necessità apostolica ciò che non sarebbe altro che decadenza spirituale, quando Ignazio avvisa chiaramente ogni confratello inviato in missione che, «rispetto a sé isteso, procuri di non dimenticarsi di sé per attendere agli altri, non volendo far un minimo peccato per tutto il guadagno spirituale posibile, né anche metendosi in pericolo» (Monumenta Ignatiana, series prima, Sancti Ignatii de Loyola Epistolae et Instrtictiones, tom. XII, fasc. II: MHSI, Annus 19, fasc. 217, Ianuario 1912, Matriti, pp. 251-252). Se la vostra Società si pone in crisi, se cerca avventurose vie che non sono le sue, ne vengono a soffrire anche tutti coloro che, in un modo o nell’altro, debbono ai Gesuiti tanto e tanto della loro formazione cristiana.

Ora, voi lo sapete quanto Noi, oggi appare in alcune vostre file un forte stato di incertezza, anzi una certa fondamentale rimessa in questione della vostra stessa identità. La figura del Gesuita, quale l’abbiamo tratteggiata in sommi capi, è sostanzialmente quella di un animatore spirituale, di un educatore alla vita cattolica dei contemporanei nella fisionomia sua propria, come abbiamo detto, di sacerdote e di apostolo. Ma, ci chiediamo, e voi vi chiedete, a titolo di coscienziosa verifica e di rassicurante conferma, a che punto sta ora la vita di preghiera, la contemplazione, la semplicità di vita, la povertà, l’uso dei mezzi soprannaturali? A che punto sta l’adesione e la testimonianza leale circa i punti fondamentali della fede e della morale cattolica, come sono proposti dal Magistero ecclesiastico? La volontà di collaborare con piena fiducia all’opera del Papa? Le «nubi sul cielo», che vedevamo nel 1966, sia pure «in gran parte dissipate» dalla XXXI Congregazione Generale (AAS 58, 1966, p. 1174), non hanno forse purtroppo continuato a gettare qualche ombra sulla Compagnia? Alcuni fatti dolorosi, che mettono in discussione l’essenza stessa dell’appartenenza alla Compagnia, si ripetono con troppa frequenza, e ci vengono segnalati da tante parti, specialmente dai Pastori delle diocesi, ed esercitano una triste influenza nel clero, negli altri religiosi, nel laicato cattolico. Questi fatti chiedono a Noi e a voi una espressione di rammarico: non certo per insistervi, ma per cercare insieme i rimedi affinché la Compagnia rimanga, o torni ad essere ciò di cui vi è bisogno, ciò che essa dev’essere per rispondere all’intenzione del Fondatore e alle attese della Chiesa, oggi. Occorre uno studio intelligente di ciò che è la Compagnia, un’esperienza delle situazioni e degli uomini; ma occorre altresì, e sarà bene insistervi, un senso spirituale, un giudizio di fede sulle cose che dobbiamo fare, sulla via che ci si apre davanti, tenendo conto della volontà di Dio il quale esige una disponibilità incondizionata.

«DOVE ANDATE?»

III. Dove andate, dunque? La domanda non può rimanere inevasa. Ve la state ponendo da tempo, del resto, con lucidità, forse con rischio.

La meta, a cui tendete, e di cui questa Congregazione Generale è l’opportuno segno dei tempi, è e dev’essere senza dubbio la prosecuzione di un sano, equilibrato, giusto aggiornamento nella fedeltà sostanziale alla fisionomia specifica della Compagnia, nel rispetto del carisma del vostro Fondatore. È stato questo il voto del Concilio Vaticano II, col Decreto Perfectae caritatis, che ha auspicato «il continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e allo spirito primitivo degli istituti, e l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi» (ibid. 2). Noi vorremmo ispirarvi piena fiducia e darvi slancio a camminare al passo con le esigenze del mondo spirituale di oggi, ricordandovi però, come già facemmo in forma generale nell’Esortazione Apostolica Evangelica testificatio, che tale necessario rinnovamento non sarebbe efficace qualora si scostasse dalla identità propria della vostra Famiglia religiosa, così chiaramente descritta nella vostra Regola fondamentale o Formula Instituti: «per un essere che vive, l’adattamento al suo ambiente non consiste nell’abbandonare la sua vera identità, ma nell’affermarsi, piuttosto, nella vitalità che gli è propria. La profonda comprensione delle tendenze attuali e delle istanze del mondo moderno deve far zampillare le vostre sorgenti con rinnovato vigore e freschezza. Tale impegno è esaltante, in proporzione delle difficoltà». (n. 51; AAS 63, 1971, p. 523).

oi vi incoraggiamo pertanto, con tutto il Nostro cuore, a perseguire l’aggiornamento voluto tanto chiaramente e autorevolmente dalla Chiesa. Ma, al tempo stesso, Noi non ce ne nascondiamo, come voi del resto, tutto il peso e la responsabilità. Il mondo in cui viviamo pone in crisi la nostra mentalità religiosa e talvolta perfino la nostra scelta di fede: viviamo in una prospettiva abbagliante di umanesimo profano, legata ad una critica razionalistica e areligiosa con cui l’uomo vuol condurre a termine il suo perfezionamento personale e sociale unicamente con i propri sforzi, mentre invece per noi, uomini di Dio, si tratta della divinizzazione dell’uomo nel Cristo, mediante la fede nel Dio vivente, l’imitazione maggiormente perfetta del Cristo, la scelta della Croce, della lotta contro il maligno e il peccato . . . Ricordate il «sub crucis vexillo Deo militare et soli Domino atque Romano Pontifici . . . servire»? (Bolla Regimini militantis Ecclesiae, in P. TACCHI-VENTURI, op. cit., vol. I, parte II, Documenti, Roma 1931, pp. 182-183). Il secolo di Ignazio subiva una trasformazione umanistica altrettanto forte, sia pure non altrettanto virulenta come quella dei secoli successivi, che hanno visto in azione i maestri del dubbio sistematico, della negazione radicale, della utopia idealista di un regno solo temporale sulla terra, chiuso a ogni possibilità di vera trascendenza. Ma «dov’è mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Cor. 1, 20-21). Noi siamo gli araldi di questa sapienza paradossale, di questo annuncio faticoso: ma, come abbiamo ricordato ai Confratelli nell’Episcopato, a conclusione del Sinodo, così ora a voi ripetiamo che, nonostante le difficoltà, «Cristo è con noi, è in noi, egli parla in noi e per mezzo nostro, e non ci farà mancare l’aiuto necessario» (cfr. L’Osservatore Romano, 27 ottobre 1974, p. 2) per trasmettere il messaggio cristiano ai nostri contemporanei.

FEDELTÀ VIVA E FECONDA

Lo sguardo realistico su questo mondo ci rende avvertiti di un altro pericolo: il fenomeno della novità per se stessa, che pone tutto in discussione. La novità è la spinta per il progresso umano e spirituale, è vero : ma solo quando essa vuole restare ancorata alla fedeltà a Colui che fa nuove tutte le cose (cfr. Apoc. 21, 5), nel mistero sempre rinnovantesi e sempre rinnovatore della sua Morte e della sua Risurrezione, alla quale ci assimila nei Sacramenti della sua Chiesa, e non quando questa novità si risolve in un relativismo che distrugge oggi ciò che ha edificato ieri. Di fronte a queste tentazioni, non è difficile perciò vedere le possibilità che si offrono al dinamismo della vostra marcia in avanti: un forte richiamo nelle due direzioni della fede e dell’amore.

Quindi, nel cammino che vi si apre innanzi in questo scorcio del secolo, segnato dall’Anno Santo come segno premonitore di buon auspicio per una radicale conversione a Dio, noi vi indichiamo il duplice carisma dell’apostolo, che deve garantire la vostra identità e illuminare costantemente il vostro insegnamento, i centri di studio, le vostre pubblicazioni periodiche: da una parte, la fedeltà non sterile e statica, ma viva e feconda, alla tradizione, alla fede, all’istituzione del Fondatore, per rimanere sale della terra e luce del mondo (Matth. 5, 13, 14). Custodite il buon deposito (cfr. 1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14). «Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra . . . Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove» (Eph. 6, 11-13).

Dall’altra parte, ecco il carisma della carità, cioè del servizio generoso agli uomini fratelli, che camminano accanto a noi verso l’avvenire; è l’ansia di Paolo, che ogni vero apostolo sente bruciare dentro di sé: «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno . . . Mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor. 9, 22; 10, 33).

La perfezione è nella simultaneità dei due carismi, fedeltà e servizio, senza che uno prenda il sopravvento sull’altro. Cosa certo difficile, ma possibile. Oggi è fortissimo il fascino del secondo carisma: il prevalere dell’agire sull’essere; dell’agitazione sulla contemplazione; dell’esistenza concreta sulla speculazione teorica, il che ha portato da una teologia deduttiva a una induttiva; tutto ciò potrebbe far pensare che i due aspetti della fedeltà e della carità siano opposti. Ma non è così, voi lo sapete: entrambi procedono dallo Spirito che è amore. Non si ameranno mai troppo gli uomini: ma solo nell’amore e con l’amore di Cristo. «La Chiesa si applica a far vedere in ogni argomento che la dottrina rivelata, in quanto cattolica, assume e completa tutti i giusti pensieri degli uomini, che di per se stessi hanno sempre qualcosa di frammentario e di meschino » (H. DE LUBAC, Catholicisme, Paris 1952, cap. IX, p. 248). Diversamente, la disponibilità del servizio può degenerare in relativismo, in conversione al mondo e alla sua mentalità immanentistica, in assimilazione col mondo che si voleva salvare, in secolarismo, in fusione col profano. Non vi prenda, vi scongiuriamo, lo spiriturs vertiginis (Is. 19, 14).

A questo proposito, vi vogliamo ancora indicare alcuni orientamenti, che potrete sviluppare nelle vostre riflessioni:

a) il discernimento, a cui la spiritualità ignaziana vi tiene singolarmente allenati, dovrà sempre sostenervi nella difficile ricerca della sintesi dei due carismi, dei due poli della vostra vita. Occorrerà saper leggere sempre con chiarezza lucidissima e conseguenziale tra le esigenze del mondo e quelle del Vangelo, del suo paradosso di morte e vita, di croce e di risurrezione, di stoltezza e di sapienza. Vi orienti il discernimento provocatorio di Paolo: «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore . . . perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Phil. 3, 7.8, 10-l 1). Ricordiamo sempre che un sommo criterio è quello dato da Nostro Signore: «Dai loro frutti li riconoscerete» (Matth. 7, 16); e lo sforzo che deve guidare il vostro discernimento sarà quello di essere docili alla voce dello Spirito, per produrre il frutto dello Spirito, «che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal. 5, 22).

b) Sarà opportuno, poi, ricordare la necessità di bene operare una scelta di fondo tra le varie sollecitazioni che vi vengono dall’apostolato nel mondo di oggi. Oggi, è un fatto, si nota la difficoltà di compiere scelte riflesse e decise; si teme forse di non poter giungere a una piena autorealizzazione; e perciò si vuol essere tutto, si vuole far tutto, seguire indiscriminatamente tutte le vocazioni umane e cristiane, del sacerdote e del laico, degli Istituti Religiosi e di quelli Secolari, applicandosi a campi non propri. Di qui l’insoddisfazione, l’improvvisazione, lo scoraggiamento. Ora, voi avete una vocazione precisa, quella che vi abbiamo ora ricordata, una specificità inconfondibile nella spiritualità e nella vocazione apostolica. È questa che dovete approfondire nelle sue linee maestre.

DISPONIBILITÀ ALL'OBBEDIENZA

c) Infine, ritorniamo a ricordarvi la disponibilità all’obbedienza. Questo è il tratto diremmo fisionomico della Compagnia. «In altri Ordini - ha scritto Sant’Ignazio nella famosa lettera del 26 marzo 1553 - si può trovar vantaggio in digiuni, veglie, ed altre asperità . . . . ma io desidero molto, fratelli carissimi, che coloro che servono Dio Nostro Signore in questa Compagnia si segnalino nella purità e perfezione dell’obbedienza, con la rinuncia vera alle nostre volontà e l’abnegazione dei nostri giudizi» (Monumenta Ignatiana, series prima, Sancti Ignatii de Loyola, Societatis Iesu Fundatoris Epistolae et Instructiones, tomus IV, fasc. V: MHSI, Annus 13, fasc. 153, sett. 1906, Matriti, p. 671).

Nell’obbedienza vi è l’essenza stessa dell’imitazione di Cristo, «il quale redense per obbedienza il mondo perduto a motivo della sua mancanza, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis» (ibid.). Nell’obbedienza v’è il segreto della fecondità apostolica. Più voi fate opera di pionieri, più vi è necessario essere strettamente uniti a colui che vi manda: «Tutte le audacie apostoliche sono permesse, quando si è sicuri dell’obbedienza degli apostoli» (LOEW, Journal d’une mission ouwrière, p. 452). Non ignoriamo certo che se l’obbedienza è molto esigente per quanti obbediscono, essa non lo è di meno per quanti esercitano l’autorità: ad essi è richiesto di ascoltare senza parzialità le voci di tutti i loro figli; di circondarsi di consiglieri prudenti per vagliare lealmente le situazioni; di scegliere davanti a Dio ciò che meglio corrisponde alla sua volontà e di intervenire con fermezza ovunque vi si sia allontanati. Effettivamente ogni figlio della Chiesa sa bene che il banco di prova della sua fedeltà si fonda sull’obbedienza: «il cattolico sa che la Chiesa non comanda che per il fatto ch’essa anzitutto obbedisce a Dio». Egli vuol essere un «uomo libero», ma rifugge dall’essere tra coloro che «si servono della liberta come di un mantello per coprire la loro malizia» (1 Petr. 2, 16). L’obbedienza è per lui il prezzo della libertà, come è condizione dell’unità» (H. DE LUBAC, Méditation sur l’Eglise, p. 224, cfr. pp. 222-230).

Diletti figli!

Al termine di questo incontro, crediamo di avervi dato qualche indicazione circa la via che dovete percorrere nel mondo odierno; e abbiamo anche voluto indicarvi quella del mondo futuro. Conoscetelo, avvicinatelo, servitelo, amatelo questo mondo; e in Cristo sarà vostro. Guardatelo con gli stessi occhi di Sant’Ignazio, avvertite le stesse esigenze spirituali, usatene le stesse armi: preghiera, scelta della parte di Dio, della sua gloria, pratica dell’ascesi, disponibilità assoluta.

Pensiamo di non chiedervi troppo esprimendo il desiderio che la Congregazione approfondisca e ridica gli «elementi essenziali» («essentialia») della vocazione gesuitica, in modo che tutti i vostri Confratelli possano riconoscersi, ritemprare il proprio impegno, riscoprire la propria identità, risentire la propria vocazione, rifondere la propria unione comunitaria. Il momento lo esige, la Compagnia aspetta una voce decisiva. Non lasciatela mancare!

Noi vi seguiamo con vivissimo interesse in questi vostri lavori, che dovranno avere un grande influsso di santità e di slancio apostolico, di fedeltà al vostro carisma e alla Chiesa, accompagnandoli specialmente con la preghiera affinché la luce dello Spirito Santo, lo Spirito del Padre e del Figlio, vi illumini, vi conforti, vi guidi, vi richiami, vi dia impulso a seguire sempre più da vicino Cristo Crocifisso. A Gesù salga in questo momento la comune preghiera, secondo le parole stesse di Ignazio: «Prendete, Signore, e ricevete tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà, ogni mio avere e ogni mio possesso; voi me lo deste, a voi, Signore, lo rendo; tutto è vostro, disponete secondo ogni vostra volontà, datemi il vostro amore e la vostra grazia, ché questa mi basta» (Esercizi Spirituali, n. 234; op. cit., MHSI, vol. 100, Romae 1969, pp. 308-309).

Così, così, fratelli e figli. Avanti, in Nomine Domini. Camminiamo insieme, liberi, obbedienti, uniti nell’amore di Cristo, per la maggior gloria di Dio. Amen.

http://www.exibart.com/foto/4414.gif Baciccio (Giovanni Battista Gaulli), Visione di S. Ignazio a La Storta, 1684-85, Worcester Art Museum, Worcester

http://www.kfki.hu/~arthp/art/b/baciccio/apotheos.jpg Baciccio (Giovanni Battista Gaulli), Apoteosi di S. Ignazio, 1685 circa, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/trin1.jpg http://img525.imageshack.us/img525/9799/domenichinosaintignatiurp9.jpg http://img151.imageshack.us/img151/949/ah030405223xw7.jpg Domenichino, Visione di S. Ignazio a La Storta, 1620, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4a/Sebastiano_Ricci_038.jpg Sebastiano Ricci, Sacra Famiglia con S. Ignazio, 1704, collezione privata

Augustinus
31-07-04, 23:24
Gli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola

di Gaetano Iannaccone S.I.

Sono veri Esercizi Spirituali, non virtuali, ne' fatti via Internet, ma reali e della durata di 5 giorni.

Dice Sant'Ignazio: ANNOTAZIONI PER DARE UNA PRIMA IDEA DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI CHE SEGUONO, E PER AIUTARE SIA CHI LI DEVE PROPORRE SIA CHI LI DEVE FARE.

[1] Prima annotazione. Con il termine di esercizi spirituali si intende ogni forma di esame di coscienza, di meditazione, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale, e di altre attività spirituali, come si dirà più avanti. Infatti, come il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali i diversi modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi da tutte le affezioni disordinate e, dopo averle eliminate, a cercare e trovare la volontà di Dio nell'organizzazione della propria vita in ordine alla salvezza dell'anima.

Anno 1548. Il giovane Duca di Gandìa (Spagna), Francesco Borgia, pronipote di Papa Alessandro VI, fa pervenire al Pontefice Paolo III una singolare petizione: l'approvazione pontificia di un libretto di Esercizi Spirituali, scritto da Ignazio di Loyola, Generale e Fondatore della Compagnia di Gesù, che lo stesso Papa aveva approvata otto anni prima.

Ignazio e i suoi Compagni già davano questi Esercizi, con frutti spirituali eccellenti. Ma, per essi, S.Ignazio era stato due volte in carcere ad Alcalà e a Salamanca, vittima dei sospetti dell'Inquisizione, che in tempo di Riforma Protestante guardava con diffidenza qualsiasi nuovo movimento spirituale.

La risposta del Papa venne il 31 luglio 1548: "Avendo fatto esaminare detti Esercizi e udite anche testimonianze e rapporti favorevoli [...] abbiamo accertato che detti Esercizi sono pieni di pietà e santità, e sono e saranno molto utili per il progresso spirituale dei fedeli. Inoltre è per noi doveroso riconoscere che Ignazio e la Compagnia da lui fondata vanno raccogliendo frutti abbondanti di bene in tutta la Chiesa; e di questo molto merito è da attribuire agli Esercizi Spirituali. Perciò [...] esortiamo i fedeli d'ambo i sessi, ovunque nel mondo, di avvalersi dei benefici di questi Esercizi e di lasciarsi plasmare da essi." A questa prima solenne approvazione di Paolo III, altre fecero seguito attraverso i secoli.

Nel nostro secolo i più grandi elogi sono venuti particolarmente da Pio XI, Pio XII e Paolo VI. Il papa Pio XI nel 1922 dichiarò sant'Ignazio di Loyola Patrono di tutti gli Esercizi Spirituali, e nell'Enciclica Mens nostra del 1929 tratta in maniera magistrale degli Esercizi ignaziani, mettendone in evidenza la profondità della dottrina e la sicurezza del metodo ascetico.

Paolo VI, alunno dei gesuiti, così scrisse nel 1965: "Sappiamo che la predicazione più efficace è proprio quella degli Esercizi Spirituali." E precisava: "Guai se gli Esercizi spirituali, per avere quel paradigma meraviglioso e magistrale che S.Ignazio ha loro lasciato, diventassero una ripetizione formalistica e, direi pigra di questo.schema. […] Dobbiamo allargare questa fonte di salvezza e di energia spirituale, dobbiamo renderla possibile a tutte le categorie".

Il pensiero di S. Ignazio

Così scriveva il santo - da Venezia - al suo amico e confessore Emanuele Miona (16 nov. 1536). "Non conosco in questa vita altro mezzo per pagare una parte del mio debito con voi se non quello di farvi praticare gli Esercizi Spirituali di un mese. […] Gli Esercizi sono certamente quanto di meglio io posso concepire, conoscere e comprendere in questa vita, sia per il progresso personale di un uomo, sia per i frutti, l'aiuto e il profitto ch'egli può procurare a molti altri".

S.Ignazio considerava gli Esercizi non come "opera sua", ma come un dono di Dio per tutta la Chiesa. Gli Esercizi non erano stati studiati e composti a tavolino, ma sperimentati nel suo eremo di Manresa, dove fece per quasi un anno una vita di asceta e penitente, e dove - come egli scrive nella sua Autobiografia - "Dio si comportava con lui come fa un maestro di scuola con un bambino: lo istruiva" (Autob. 27).

Questo lo portava a precisare che gli Esercizi fossero "fatti", non letti. Non voleva perciò che il libretto degli Esercizi fosse in mano a tutti, perché dalla semplice lettura si può cavare ben poco. Né voleva che chi dava gli Esercizi si dilungasse in spiegazioni. I punti di meditazione dovevano essere brevi, perché vale più quello che l'anima scopre da sè stessa, anziché una lunga spiegazione didattica.

Come si svolgono gli Esercizi ignaziani

Ricordiamo anzitutto che gli Esercizi Spirituali non sono un tempo di studio o di semplice raccoglimento e preghiera. Sono ricerca: "Come il passeggiare, il camminare, il correre sono esercizi fisici, così si dicono Esercizi Spirituali ogni modo di preparare e disporre l'anima a togliere tutti gli affetti disordinati e, dopo averli tolti, a cercare e trovare la volontà di Dio nella disposizione della propria vita, per la salvezza della propria anima" (Es. Sp. Ann.1).

E' chiaro il fine: sforzarsi di ordinare la propria vita secondo il progetto di Dio. Ed ecco il modo di procedere.
S.Ignazio raccomanda anzitutto di fare gli Esercizi Spirituali in un luogo diverso dal proprio ambiente abituale. Per questo i gesuiti hanno dato vita alle cosiddette "Case di Esercizi", organizzate in modo da permettere quella concentrazione, quel "deserto" anche esteriore, quel silenzio che faciliti l'azione della Grazia in noi.

Si comincia con una considerazione fondamentale (che S.Ignazio chiama "Principio e fondamento"): per qual fine Dio ci ha creati?. La ragione, illuminata dalla Fede, dà la risposta: l'uomo è stato creato da Dio e per Dio. Ogni bene creato è stato messo a disposizione dell'uomo perché lo aiuti a raggiungere questo fine. Perciò egli ne deve fare un uso ragionevole. Dobbiamo quindi acquistare libertà di spirito e un perfetto controllo dei nostri istinti, mediante quella che Ignazio chiama "l'indifferenza", che non è "apatia", ma autocontrollo e equilibrio spirituale.

Ciò fatto Ignazio passa agli Esercizi veri e propri, che egli divide in quattro settimane", da intendere soprattutto come temi da trattare, e non secondo il numero di giorni).

Sono dunque 4 tappe, che si possono facilmente ricordare con quattro tradizionali parole latine, ciascuna delle quali ne esprime la finalità.

I Settimana (tappa): "Deformata riformare", eliminare cioè dall'anima le deformità causate dal peccato). E' un modo di conoscere noi stessi e il grave disordine creato dal peccato nella nostra vita, oltre al pericolo della dannazione cui ci espone! Per non cadere nella sfiducia, Ignazio ci fa contemplare la figura del Salvatore Crocifisso, morto per salvarci dalla morte eterna.

II Settinana (tappa): "Reformata conformare". Siamo invitati a rivestirci di Cristo e armarci della sua armatura. L'uomo "riformato" deve "conformarsi" a Cristo: povero come lui; ardente di amore per il Padre e i fratelli. E' il tempo della "riforma" o della scelta dello stato di vita: come io in concreto devo seguire Cristo?.

III Settimana (tappa): "Conformata confirmare". Cioè rinsaldare i propositi di adesione a Cristo, mediante la contemplazione di Colui che fu obbediente fino alla morte in croce. Il grido del Figlio: "Padre, se è possibile, allontana da me questo calice", deve continuamente richiamarci alla seconda parte della supplica: "Però non sia fatto come io desidero, ma come Tu vuoi". In questa tappa ci confermiamo nelle decisioni prese.

IV Settimana (tappa): "Confirmata transformare". "Io non muoio: entro nella vita", scrisse S. Teresa di Lisieux poco prima di morire. E infatti la Chiesa canta: "Vita mutatur, non tollitur", cioè: "la vita non è tolta con la morte, ma trasformata". La morte in croce di Gesù ha coinciso con l'inizio del Cristianesimo. "Chi perde la propria vita per me, la troverà", dice Gesù nel Vangelo. E la vita del Risorto è la speranza di chi fa gli Esercizi in questa tappa finale.

A conclusione degli Esercizi S.Ignazio propone una meravigliosa contemplazione per ottenere l'Amor puro di Dio (chiamata "contemplatio ad amorem") . Si ritorna col pensiero alla Creazione e alla Redenzione, per scoprire come e quanto Dio ci ami! E l'anima resta con un unico desiderio che si esprime in preghiera: "O Signore, dammi il tuo amore e la tua grazia: questo solo mi basta".

Attualità degli Esercizi Spirituali

Oggi il mondo ama il chiasso, non il silenzio e il raccoglimento; vuole essere "libero" da leggi e disciplina. Si può ancora parlare di "ricerca della volontà di Dio nella disposizione della propria vita?".

Nel 1967 i Vescovi del Triveneto scrissero una lettera sulla "Validità degli Esercizi Spirituali", e raccomandarono "a perseverare in questo apostolato che si rivela giorno per giorno sempre più prezioso". Senza escludere l'impegno di sperimentare forme che si adattino ai nostri tempi, si insiste "sulla classica struttura degli Esercizi ignaziani, così valida e provvidenziale nel suo clima di riflessione e di profondo silenzio" (Pietro Schiavone s.j., Il Progetto del Padre, pp.12-13).

Gli Esercizi sono un "carisma": un dono di Dio alla Chiesa, per la sua edificazione e per il suo rinnovamento, e l'esperienza di innumerevoli persone che anche oggi ne traggono giovamento è la prova che lo Spirito Santo attraverso gli Esercizi continua ad illuminare le anime.

Concludiamo con queste parole di Paolo VI, "La pratica degli Esercizi costituisce non solo una pausa tonificante e corroborante per lo spirito, in mezzo alle dissipazioni della chiassosa vita moderna, ma altresì una scuola ancora oggi insostituibile per introdurre le anime ad una maggiore intimità con Dio, all'amore della virtù e alla scienza vera della vita, come dono di Dio e come risposta alla sua chiamata".

FONTE (http://www.gesuiti.it/moscati/Italiano/It_Esercizi.html)

Augustinus
28-07-05, 16:25
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0d/Tomb_of_St._Ignatius.jpg http://img167.imageshack.us/img167/1750/img12atg7sf8.jpg Alessandro Algardi, Urna in bronzo dorato delle reliquie di S. Ignazio, XVII sec., Chiesa del Gesù, Roma

Augustinus
31-07-05, 08:56
8 Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647

Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati «Vita di Cristo» e «Florilegio di santi», ambedue nella lingua materna.
Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso.
Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: «E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?». Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo.
Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia.
Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costato che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti.

http://img142.imageshack.us/img142/7575/loyola0taor2.jpg

http://img142.imageshack.us/img142/8459/portraitignatiustv0.jpg Jacopino del Conte, Ritratto di S. Ignazio, 1556, Curia Generalizia, Roma

Augustinus
23-04-06, 11:49
BENEDETTO XVI

DISCORSO AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO ALLA TOMBA DI S. PIETRO PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DI GESÙ (GESUITI)

Basilica di S. Pietro, 22.4.2006

Cari Padri e Fratelli della Compagnia di Gesù,

è con grande gioia che vi incontro in questa storica Basilica di San Pietro, dopo la Santa Messa celebrata per voi dal Card. Angelo Sodano, mio Segretario di Stato, in occasione di varie ricorrenze giubilari della Famiglia Ignaziana. A tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto in primo luogo il Preposito Generale, P. Peter-Hans Kolvenbach, e lo ringrazio per le cortesi parole con cui mi ha manifestato i vostri comuni sentimenti. Saluto i Signori Cardinali con i Vescovi ed i sacerdoti e quanti hanno voluto partecipare all’odierna manifestazione. Insieme ai Padri e ai Fratelli, saluto anche gli amici della Compagnia di Gesù qui presenti, e tra loro i molti religiosi e religiose, i membri delle Comunità di Vita Cristiana e dell’Apostolato della Preghiera, gli alunni ed ex-alunni con le loro famiglie di Roma, d'Italia e di Stonyhurst in Inghilterra, i docenti e gli studenti delle istituzioni accademiche, i numerosi collaboratori e collaboratrici. L’odierna vostra visita mi offre l’opportunità di ringraziare insieme a voi il Signore per aver concesso alla vostra Compagnia il dono di uomini di straordinaria santità e di eccezionale zelo apostolico quali sono sant'Ignazio di Loyola, san Francesco Saverio e il beato Pietro Favre. Essi sono per voi i Padri e i Fondatori: è giusto, perciò, che in quest'anno centenario li ricordiate con gratitudine e guardiate a loro come a guide illuminate e sicure del vostro cammino spirituale e della vostra attività apostolica.

Sant'Ignazio di Loyola fu anzitutto un uomo di Dio, che pose al primo posto nella sua vita Dio, la sua maggior gloria e il suo maggior servizio; fu un uomo di profonda preghiera, che aveva il suo centro e il suo culmine nella Celebrazione eucaristica quotidiana. In tal modo egli ha lasciato ai suoi seguaci un’eredità spirituale preziosa che non deve essere smarrita o dimenticata. Proprio perché uomo di Dio, sant’Ignazio fu fedele servitore della Chiesa, nella quale vide e venerò la sposa del Signore e la madre dei cristiani. E dal desiderio di servire la Chiesa nella maniera più utile ed efficace è nato il voto di speciale obbedienza al Papa, da lui stesso qualificato come "il nostro principio e principale fondamento" (Costituzioni della Compagnia di Gesù, p. I,162). Questo carattere ecclesiale, così specifico della Compagnia di Gesù, continui ad essere presente nelle vostre persone e nella vostra attività apostolica, cari Gesuiti, affinché possiate venire incontro fedelmente alle urgenti attuali necessità della Chiesa. Tra queste mi pare importante segnalare l’impegno culturale nei campi della teologia e della filosofia, tradizionali ambiti di presenza apostolica della Compagnia di Gesù, come pure il dialogo con la cultura moderna, che se da una parte vanta meravigliosi progressi in campo scientifico, resta fortemente segnata dallo scientismo positivista e materialista. Certamente, lo sforzo di promuovere in cordiale collaborazione con le altre realtà ecclesiali, una cultura ispirata ai valori del Vangelo, richiede una intensa preparazione spirituale e culturale. Proprio per questo, sant’Ignazio volle che i giovani gesuiti fossero formati per lunghi anni nella vita spirituale e negli studi. E’ bene che questa tradizione sia mantenuta e rafforzata, data pure la crescente complessità e vastità della cultura moderna. Un’altra grande preoccupazione per lui fu l'educazione cristiana e la formazione culturale dei giovani: di qui l’impulso che egli diede all’istituzione dei «collegi», i quali, dopo la sua morte, si diffusero in Europa e nel mondo. Continuate, cari Gesuiti, questo importante apostolato mantenendo inalterato lo spirito del vostro Fondatore.

Parlando di sant’Ignazio non posso tralasciare il ricordo di san Francesco Saverio, di cui lo scorso 7 aprile si è celebrato il quinto centenario della nascita: non solo la loro storia si è intrecciata per lunghi anni da Parigi e Roma, ma un unico desiderio - si potrebbe dire, un’unica passione - li mosse e sostenne nelle loro pur differenti vicende umane: la passione di dare a Dio-Trinità una gloria sempre più grande e di lavorare per l'annunzio del Vangelo di Cristo ai popoli che lo ignoravano. San Francesco Saverio, che il mio predecessore Pio XI di venerata memoria ha proclamato "patrono delle Missioni cattoliche", avvertì come sua missione quella di "aprire vie nuove" al Vangelo "nell'immenso continente asiatico". Il suo apostolato in Oriente durò appena dieci anni, ma la sua fecondità si è rivelata mirabile nei quattro secoli e mezzo di vita della Compagnia di Gesù, poiché il suo esempio ha suscitato tra i giovani gesuiti moltissime vocazioni missionarie, e tuttora egli resta un richiamo perché si continui l’azione missionaria nei grandi Paesi del continente asiatico.

Se san Francesco Saverio lavorò nei Paesi d’Oriente, il suo confratello e amico fin dagli anni parigini, il beato Pietro Favre, savoiardo, nato il 13 aprile 1506, operò nei Paesi europei, dove i fedeli cristiani aspiravano ad una vera riforma della Chiesa. Uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere, attirando in tal modo molti giovani alla Compagnia, il beato Favre trascorse la sua breve esistenza in diversi Paesi europei, specialmente in Germania, dove per ordine di Paolo III prese parte, nelle diete di Worms, di Ratisbona e di Spira, ai colloqui con i capi della Riforma. Ebbe così modo di praticare in maniera eccezionale il voto di speciale obbedienza al Papa "circa le missioni", divenendo per tutti i gesuiti del futuro un modello da seguire.

Cari Padri e Fratelli della Compagnia, quest’oggi voi guardate con particolare devozione alla Beata Vergine Maria, ricordando che il 22 aprile del 1541 Ignazio e i suoi primi compagni emisero i voti solenni dinanzi all’immagine di Maria nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Continui Maria a vegliare sulla Compagnia di Gesù perché ogni suo membro porti nella sua persona l’«immagine» di Cristo Crocifisso per aver parte alla sua resurrezione. Assicuro per questo un ricordo nella preghiera, mentre a ciascuno di voi qui presente ed all’intera vostra famiglia spirituale imparto volentieri la mia benedizione, che estendo anche a tutte le altre persone religiose e consacrate che sono intervenute a questa Udienza.

Augustinus
23-04-06, 11:53
CARD. ANGELO SODANO

OMELIA DURANTE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER IL PELLEGRINAGGIO ALLA TOMBA DI S. PIETRO PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DI GESÙ (GESUITI)

Basilica di S. Pietro, 22.4.2006

Venerati Confratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,

Cari Membri della Compagnia di Gesù,

Fratelli e sorelle nel Signore!

"Alleluia, alleluia" è l’esclamazione gioiosa che sgorga dal nostro cuore in questo periodo pasquale, mentre contempliamo la potenza del Risorto, che ribalta la pesante pietra del sepolcro ed appare ai suoi discepoli in tutto lo splendore della sua gloria.

"Alleluia, alleluia" ripetiamo anche noi oggi, volgendo lo sguardo su ciò che il Signore, per mezzo del suo Santo Spirito, ha operato nella Chiesa nel corso della sua storia, suscitando in essa sempre nuove forme di santità.

Il nostro sguardo si sofferma oggi, in modo particolare, su tre grandi figure di Religiosi, che hanno gettato le basi della Compagnia di Gesù: Ignazio di Loyola, Francesco Saverio e Pietro Favre.

1. Nel clima pasquale

E’ una storia gloriosa quella che oggi ci spinge a cantare in coro il nostro alleluia, nella gioiosa atmosfera della Pasqua.

Un insigne storico della liturgia, il compianto Padre Joseph Jungmann della Compagnia Gesù, nel suo noto trattato "Missarum Solemnia", ben ci ha spiegato il valore della breve esclamazione biblica dell’Alleluia che pervade tutta la Chiesa in questo tempo di gaudio pasquale. Egli anzi ci ricordava che prima della riforma liturgica di San Pio X l’Alleluia si ripeteva addirittura nove volte nella Domenica in Albis, per esprimere tutta la gioia dei cristiani di fronte ai doni del Signore (Ibidem, Verlag Herder, Wien 1949, n. 434).

Con tale atteggiamento interiore anche noi oggi vogliamo cantare un inno di lode all’Onnipotente, ripetendo le parole del Salmo responsoriale: "Haec dies quam fecit Dominus, exultemus et laetemur in ea - Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Sal. 117).

2. L’odierna celebrazione

Con questo spirito siamo qui convenuti, intorno all’altare del Signore, per rinnovare il Sacrificio eucaristico, offrendoci con Cristo al Padre in atteggiamento di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di supplica. Sono le quattro note finalità di ogni Celebrazione eucaristica, secondo la dottrina della Chiesa.

Al riguardo ricordo ancora con nostalgia le profonde lezioni che ci teneva nella Pontificia Università Gregoriana il compianto Padre Giuseppe Filograssi, S.I., che, come maestro insigne e vero uomo di Dio, ci introduceva a conoscere sempre meglio i vari aspetti del "mysterium fidei".

3. Di fronte alla Maestà Divina

Anche oggi il primo motivo che ha riunito la Famiglia ignaziana intorno all’altare del Signore è quello dell’adorazione verso il Padre, nostro Creatore e Signore. Egli, con il suo Santo Spirito, ha suscitato nel cuore dell’Europa, cinque secoli fa, i tre grandi giganti di santità, che noi oggi vogliamo ricordare. Questi volevano "Deo militare - militare al servizio di Dio", come diceva il Papa Paolo III nella Bolla "Regimini militantis Ecclesiae" del 27 settembre 1540. Essi volevano costituire una Compagnia "per il maggior servizio, lode e gloria del Nome di Dio" (Costituzioni, n. 693), confidando che "la divina e somma Maestà volesse servirsi della Compagnia per la diffusione" del suo Regno (Costituzioni, n. 190).

In realtà, anche nelle fatiche della vita apostolica, S. Ignazio voleva che Dio fosse servito per primo. Con lo stesso spirito S. Francesco Saverio si dedicava alle sue imprese missionarie ed il Beato Pietro Favre svolgeva la sua silenziosa opera di accompagnamento di tante anime in cerca di Dio.

Tutto doveva essere "ad majorem Dei gloriam - a maggior gloria di Dio", come recita il motto che i nostri Santi ci hanno lasciato. Ed è con questo spirito che noi oggi vogliamo celebrare il nostro Sacrificio eucaristico.

4. Il dovere del ringraziamento

In secondo luogo noi oggi vogliamo ringraziare con Cristo il Padre che sta nei cieli per tutti i benefici che ha concesso alla Chiesa suscitando in essa i Santi che noi oggi ricordiamo. Noi oggi contempliamo Ignazio, Saverio e Pietro come uomini intimamente uniti fra di loro, ma sappiamo bene, dalle loro stesse testimonianze, che essi erano ben uniti fra loro perché intimamente uniti a Cristo. Insieme volevano appunto essere la Compagnia di Gesù, vivendo con il suo stesso stile di vita e lavorando con la stessa finalità per l’avvento del suo Regno. Certo Ignazio fu all’inizio di tale cordata, ma ben presto, a Parigi, mentre egli studiava alla Sorbona, si associò a lui Francesco Saverio, che veniva dalla terra di Navarra, e Pietro Fabbro, che proveniva dalla Savoia. Nacque così quell’emulazione reciproca, che li portò a dare vita alla Compagnia negli anni 1539-1540, appunto con il fine di "ayudar a las animas", aiutare le anime ad amare e servire il Signore.

Noi oggi vogliamo ringraziare il Padre celeste per averci dato tali maestri di santità, che ci indicano il cammino dell’amore a Cristo e del conseguente impegno apostolico, per portare le anime a Dio.

5. La domanda di perdono

Memori poi che ogni Sacrificio eucaristico ha anche un fine propiziatorio, noi oggi vogliamo domandare perdono per le nostre infedeltà. In realtà,sappiamo bene che ogni impresa umana è fatta da figli di Adamo, che sono inclini al peccato, e che ogni giorno devono, pertanto, ripetere la preghiera insegnataci da Gesù, dicendo: "Pater noster …, libera nos a malo – Padre nostro…, liberaci dal male".

Il male esiste nella storia dei singoli uomini, come in quella delle comunità. Già nel Collegio Apostolico vi fu Giuda che tradì il Signore, come Pietro che lo rinnegò. Anche per noi oggi il gallo ritorna sovente a cantare, invitandoci a piangere le nostre infedeltà e a domandare perdono al Signore.

6. La preghiera per il futuro

Infine, oggi vogliamo pure implorare dal Padre che sta nei cielo grazie abbondanti su tutta la Compagnia di Gesù, per la santificazione dei suoi membri e per la fecondità del loro ministero.

L’attuale commemorazione segnerà così un’ora di grazia per la Famiglia ignaziana e la spingerà ad un nuovo ardore apostolico, per annunziare Cristo agli uomini d’oggi.

Nel Vangelo odierno abbiamo nuovamente ascoltato il mandato missionario universale: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

In questa Santa Messa imploreremo per tutti noi la luce e la forza per adempiere tale missione. Come ai tempi di Gesù, anche oggi vi sono "messi che biondeggiano" (Gv 4,35) e che attendono solo l’arrivo dei mietitori.

La nostra preghiera si elevi pertanto a Dio per la Compagnia di Gesù, perché possa continuare a svolgere con generosità la sua missione di annunciare al mondo d’oggi il Vangelo di Cristo, riprendendo lo slancio delle origini e l’ardore apostolico di Ignazio, Francesco Saverio e Pietro Favre.

7. Conclusione

Fratelli e sorelle nel Signore, con queste finalità celebreremo oggi il Sacrificio eucaristico. Grazie abbondanti scenderanno così sulla Chiesa, all’inizio di questo terzo millennio cristiano. Dal cielo interceda per noi Maria Santissima, che in questo giorno è particolarmente invocata come Madre della Compagnia di Gesù. Essa ci ottenga dal suo Divin Figlio la grazia di continuare con nuovo impegno nel santo servizio del Signore. Amen.

Augustinus
30-07-06, 14:03
http://img160.imageshack.us/img160/7492/militaryloyola5ev9.jpg S. Ignazio a Manresa

http://img128.imageshack.us/img128/8349/ny093dg6310du4.jpg Visione a La Storta

http://img65.imageshack.us/img65/6876/imagenenviazu6.jpg http://www.wga.hu/art/m/montanez/ignatius.jpg http://www.sjm.e.telefonica.net/IgnacioMontañés2.jpg Juan Martínez Montañés, S. Ignazio, 1610 circa, Chiesa dell'Annunciazione, Siviglia

Augustinus
31-07-06, 08:31
Cosa ne dice la Chiesa Cattolica (sugli Esercizi ignaziani)

«Avendo [...] il diletto figlio, nobil uomo Francesco Borgia duca di Gandia, recentemente a noi fatto esporre che il diletto figlio Ignazio di Loyola [...] aveva compilati certi insegnamenti o Esercizi spirituali tratti dalle Sacre Scritture e dalle esperienze della vita spirituale e redatti in ordine adattissimo a muovere piamente gli animi dei fedeli [...] noi, che abbiamo fatto esaminare gli insegnamenti e tali Esercizi [...] li abbiamo riconosciuti pieni di pietà e di santità e che sono e saranno molto utili e salutari per l’edificazione e spirituale profitto dei fedeli [...] e tutte e singole le cose in essi contenute, con nostra certa scienza approviamo, lodiamo e, col patrocinio del presente scritto, comunichiamo. Molto esortiamo tutti i singoli i fedeli di Cristo d’ambo i sessi dovunque stabiliti che vogliano usare gli insegnamenti ed Esercizi tanto pii ed essere in quelli devotamente istruiti... Dato a Roma, presso san Marco, sotto l’anello del Pescatore, l’ultimo giorno di luglio 1548, anno quattordicesimo del nostro pontificato».
Paolo III, lettera apostolica «Pastoralis officii» per l’approvazione e raccomandazione degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio

"Abbiamo sempre tenuto in grande considerazione l'abitudine agli Esercizi Spirituali (...) e non potreste certamente fare un'opera migliore per soccorrere il popolo, oggi esposto a così grandi pericoli.
"(...) Il metodo di sant'Ignazio è particolarmente adatto a prevenire le menti e i cuori dalle insidie nascoste del Modernismo (...) e a non lasciarsi ingannare dalle menzogne dei socialisti".
(San Pio X, Exercitiorum Spiritualium, 8 dicembre 1904)

[Sant'Ignazio] "... ritiratosi nella grotta di Manresa, ammaestrato dalla stessa Madre di Dio nell'arte di combattere le battaglie del Signore, ricevette come dalle mani di Lei quel perfetto codice (...) di cui deve fare uso ogni buon soldato di Gesù Cristo".
(Pio XI, Meditandibus nobis, 3-12-1922)

"Non è certamente vero che questo metodo abbia perso efficacità o non corrisponda più alle esigenze dell'uomo moderno. Anzi, è una triste realtà che il liquore perde vigore quando viene diluito nelle acque incolori della super-adattazione e la macchina perde potenza quando vengono smontati alcuni pezzi fondamentali dell'ingranaggio ignaziano".
(Pio XII, Esortazione ai pellegrini dell'Opera degli Esercizi spirituali Parrocchiali di Spagna, 24-10-1948)

"Quanto all'ascetica del libro degli Esercizi, potremmo pensare che sant'Ignazio l'abbia scritto specialmente per la nostra epoca"
(Pio XII, Discorso al Collegio germanico, 10-10-1952)

"Il cristiano nel forte dinamismo degli Esercizi è aiutato ad entrare nell'ambito dei pensieri di Dio, dei suoi disegni, per affidarsi a Lui, Verità ed Amore (...) La scuola degli Esercizi Spirituali sia sempre un efficace rimedio al male dell'uomo moderno, trascinato dal vortice delle vicende umane a vivere fuori di se', troppo preso dalle cose esteriori: sia fucina di uomini nuovi, di autentici cristiani, di apostoli impegnati. E' il voto che affido all'intercessione della Madonna: la contemplativa per eccellenza, la maestra sapiente degli Esercizi spirituali"
(Giovanni Paolo II, Osservatore romano 17-18 dicembre 1979).

«Ignazio vi parla sempre di quel “magis”, di quel “di più” e di quel “seguimi”, a cui Cristo vi chiama, fissandovi con amore negli occhi ed interpellando la vostra libertà, come fece con il giovane di cui narra il Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri…, poi vieni e seguimi” (Mt 19,21-22).
[…] Come ai tempi di Ignazio, di Stanislao, di Luigi, di Giovanni, così anche adesso non mancano le grandi imprese da compiere per il Regno. Sono grandi, sono difficili, ma sono belle e appassionanti. Sono le sfide del terzo Millennio, sono le vostre sfide, sono le sfide che il Signore della storia pone davanti alla vostra generazione.
Pertanto, non abbiate paura di essere santi! Abbiate il coraggio di cercare e trovare la verità al di là del relativismo e dell’indifferenza di chi tende a costruire il nostro mondo come se Dio non esistesse»
(Giovanni Paolo II, Ai giovani partecipanti ad un convegno ignaziano, 12 settembre 1991)

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=86)

Augustinus
31-07-06, 08:34
Cosa si fa

Dalle "ANNOTAZIONI" di Sant'Ignazio:
"20. La ventesima: a chi è più libero da impegni e desidera ottenere il maggior frutto spirituale possibile vanno dati tutti gli esercizi conservando esattamente l'ordine con cui procedono (ed è anche utile scrivere le cose principali per non dimenticarle).
In essi, di solito, tanto più progredirà nella vita spirituale, quanto più si allontanerà dagli amici e da tutti i conoscenti, e da ogni affanno per le cose terrene, trasferendosi, per esempio, dalla sua abitazione ordinaria in un'altra casa o camera più isolata, in modo da poter andare con libertà e tranquillità ogni giorno alla Messa del mattino e all'ufficio dei vespri senza che i suoi familiari lo disturbino.
Da questo isolamento derivano, tra i molti altri, tre vantaggi principali: il primo è che, allontanandosi uno da amici e conoscenti, come pure dagli affari non proprio rettamente ordinati al servizio di Dio, merita non poco presso Dio; il secondo che, stando così isolato e avendo la mente non più così dispersa in molte cose come prima, ma raccolta e occupata in una sola, cioè ad obbedire al proprio Creatore e ad occuparsi della salvezza della propria anima, usa delle sue facoltà naturali con molta più libertà e scioltezza nella ricerca di quello che tanto desidera; il terzo è che quanto più l'anima si trova isolata e in solitudine, tanto più diventa capace di cercare e trovare il suo Creatore e Signore; e quanto più si avvicina a lui, tanto più si dispone a ricevere i doni dalla divina bontà.

Osservazioni importanti
1. Il silenzio e il raccoglimento interiore sono indispensabili.
2. Per questo non si deve parlare, né formare gruppi, né passeggiare in gruppo (anche senza parlare).
3. Non si deve entrare nelle camere degli altri ed anche nei locali di servizio (cucina, ecc.).
4. Non si deve uscire senza necessità dalla propria camera nei tempi riservati all’orazione mentale.
5. Il tempo libero è parte integrante degli Esercizi. Se non si ha niente in particolare da fare, si può leggere, prendere appunti, consultare un Padre Direttore, fare una visita a Gesù nel SS. Sacramento, ricorrere alla Santa Vergine rivolgendole qualche preghiera.
6. L’esercitante deve essere puntuale in ogni esercizio e non deve ometterne alcuno senza avvertire un padre Direttore.
7. Non si può fumare in sala da pranzo durante i pasti.
8. Si prega di domandare ciò di cui si ha bisogno all'incaricato.
9. Se qualcuno è indisposto, avvertire subito un padre Direttore.
10. Non temere di chiedere ai padri Direttori ulteriori spiegazioni su ciò che non si è udito bene, o non si è chiaramente compreso.

Dalle "ANNOTAZIONI" di Sant'Ignazio:
[ATTENZIONE CI ACCOSTIAMO AL MISTERO DI DIO!]
"3. La terza: siccome in tutti gli Esercizi spirituali seguenti usiamo degli atti dell'intelletto quando ragioniamo e di quelli della volontà quando muoviamo i sentimenti, avvertiamo che negli atti che sono principalmente della volontà, quando cioè parliamo vocalmente o mentalmente con Dio nostro Signore o con i suoi santi, si richiede da parte nostra maggiore rispetto di quando usiamo piuttosto dell'intelletto per riflettere".

Non scoraggiarti se, soprattutto i primi giorni, la meditazione sembrerà arida. Il buon Dio vede gli sforzi che fai. Continua. Ma durante il tempo libero, va da un Padre. Ti aiuterà.

Orario per gli Esercizi di sei giorni

Ore 6,30 - Sveglia
Ore 7,00 - Preghiere del mattino, orazione mentale.
Ore 7,30 - Santa Messa
Ore 8,05 - Colazione. Esame dell’orazione (può essere utile prendere appunti). Tempo libero
Ore 9,30 - Sala conferenze: punti dell’orazione mentale. In camera: orazione mentale.
Ore 10,30 - Esame dell’orazione (può essere utile prendere appunti).
Ore 10,35 - Tempo libero.
Ore 11,30 - Istruzione. Esame generale e particolare.
Ore 12,30 - Pranzo. Riposo. Evitare ogni rumore.

Pomeriggio

Ore 14,30 - In cappella: visita a Gesù nel tabernacolo. Tempo libero.
Ore 15,00 - Sala delle conferenze: punti dell’orazione mentale. In camera: orazione mentale.
Ore 16,00 - Esame dell’orazione mentale (può essere utile prendere appunti).
Ore 16,05 - Tempo libero.
Ore 16,45 - In cappella o all’aperto: Via Crucis. Tempo libero.
Ore 17,45 - Sala delle conferenze: punti dell’orazione mentale. In camera: orazione mentale.
Ore 19,10 - Rosario.
Ore 19,30 - Cena.
Ore 21,00 - In cappella: punti dell’orazione mentale di domani mattina.
Esame generale e particolare. Preghiere della sera.
Riposo.

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=article&sid=1354)

Augustinus
31-07-06, 08:35
Cosa hanno di diverso questi Esercizi?

SANT'IGNAZIO DI LOYOLA (o Iñigo López de Loyola, Azpeitia 1491 - Roma 1556), nel 1521, costretto al letto per una ferita riportata nella difesa di Pamplona, leggendo le vita dei santi, fu acceso dal desiderio di seguire le orme di Cristo. Ritiratosi a Manresa, visse un'intensa esperienza spirituale alla scuola della Vergine Santa, che condensò nel libro degli Esercizi Spirituali. Divenuto preposito generale della Compagnia di Gesù, attese per il resto della vita all'organizzazione della Compagnia, stilandone le Costituzioni, inviando nelle Indie i primi missionari, avviando l'attività dei collegi e dando definitiva sistemazione ai suoi Esercizi spirituali, la cui pratica costituisce il fondamento della spiritualità gesuitica.

Il Ven. Padre PIO BRUNONE LANTERI (1759-1830), formatosi alla scuola del padre gesuita Nicolaus Von Diessbach e allo spirito degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio, operò contro Napoleone soprattutto proponendo la verità evangelica con una serie di iniziative intelligenti, miranti anche combattere la modernità. Fondò una Congregazione per dare gli Esercizi Spirituali, secondo il metodo di S. Ignazio, a tutte le categorie di persone, sia sotto forma di Missioni popolari, sia come Esercizi dettati in un clima di silenzio e solitudine, sia a gruppi, sia a singole persone, per aiutarli a cercare e trovare la volontà di Dio, per la scelta dello stato di vita, oppure per mettere ordine e meglio orientare la propria condizione di coniugato, sacerdote, religioso, professionista.

Dopo la soppressione e il ristabilimento della Compagnia di Gesù, il Padre Generale JOHANNES PHILIPPE ROOTHAN (1783-1853), visse il tempo della nuova fondazione nella percezione che tutto il corpo della Compagnia di Gesù deve riallacciarsi autenticamente al carisma di sant'Ignazio e che per questo è di importanza capitale riprendere in mano e riscoprire la fonte primaria dello spirito ignaziano. Nel 1835, come segno concreto di tale urgenza, lo stesso padre generale pubblica una nuova traduzione latina degli Esercizi. Egli rivedrà più volte il testo, fino alla definitiva pubblicazione del 1852.

Un religioso di questo secolo, FRANCESCO DA PAOLA VALLET (1883/1947), fu un grandissimo predicatore di Esercizi, che dettò a decina di migliaia di persone. Riuscì genialmente a condensare l'essenziale degli esercizi in cinque giorni. Grazie a lui, sono diventati accessibili a tutti. Indispensabili sono il silenzio e un luogo adatto alla contemplazione per restare in preghiera con il Signore. Gli ES sono fondamentalmente una scuola di preghiera: si sono contati più di dieci metodi di preghiera all'interno degli ES. Ma per pregare occorre silenzio e ascolto della Parola di Dio. Inoltre non bisogna "tradire" Ignazio togliendo parti essenziali del metodo. Anche nei cinque giorni ci sono dei capisaldi come gli esercizi di purificazione della prima settimana che sfociano nel Sacramento della Confessione, l'esercizio della "Considerazione della regalità di Cristo e la sua chiamata" all'inizio della seconda settimana, "i due stendardi" e l' "elezione" entrambe sempre nella seconda settimana e il mistero centrale della nostra fede cioé Passione e Resurrezione. Eliminare queste meditazioni significa non aver compreso lo spirito di Ignazio. Certo si possono usare esempi e parole più comprensibili per l'uomo moderno ma senza cambiare la sostanza del metodo. E' fondamentale comunque lasciare la struttura delle quattro settimane.

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=88)

Augustinus
31-07-06, 08:47
Testimonianze di chi ha fatto questo tipo di Esercizi

Testimonianza della Compagnia di Gesù.

Essa è nata nel 1539, quando un gruppo di "maestri in arti", che avevano conseguito il baccellierato in filosofia e in teologia alla Sorbona di Parigi, fa gli Esercizi Spirituali sotto la guida di Ignazio di Loyola e decide di costituire un Ordine religioso.
Gli Esercizi sono proprio l'origine della conversione del Fondatore e dell'Istituto religioso più grande della storia cattolica.

Santa Gianna Beretta Molla (1922-1962), sposa, medico pediatra e mamma eroica. (v. QUI (http://www.clairval.com/lettres/it/2003/04/01/6020403.htm))

Dal 16 al 18 marzo 1938, Gianna partecipa ad un ritiro spirituale secondo gli Esercizi di sant'Ignazio. Le numerose grazie che vi riceve lasceranno in lei un'impronta per tutta la vita: «Ascoltava gli altri e parlava poco, rispondeva con precisione come se ascoltasse una voce interiore... D'estate, portava le compagne nella casa per ritiri spirituali». Essa medesima spiega: «Il solo fatto di parlar bene non trascina, ma dare l'esempio, sì. Rendere la verità visibile nella propria persona; rendere la verità gradevole offrendo se stessi come esempio attraente, e, se possibile, eroico... Non abbiate paura di difendere Dio, la Chiesa, il Papa. Contro tutta questa campagna antireligiosa ed immorale, non si può rimanere indifferenti... Bisogna agire, immettersi in tutti i campi d'azione, sociale, familiare e politico. E darsi da fare, perché tutte le forze del male, oscure e minacciose, sono riunite».

Servo di Dio Giuseppe Fanin (1924-1948), fidanzato, sindacalista, martirizzato dai socialisti (v. QUI (http://www.mascellaro.info/abes/giuseppefanin1948/index.php))

Il proposito espresso al termine degli Esercizi spirituali che svolse a Villa S. Giuseppe, a Bologna, nell'aprile 1947, gli ultimi della sua vita, fu quello di cercare la perfezione come giovane, che simultaneamente si consacra all'ideale della santità cristiana secondo S. Ignazio e si consacra pure a tutte le forme di attività apostolica del laicato per la salvezza della società. Poiché l'azione di Fanin si svolse in particolare per promuovere la giustizia sociale fra i lavoratori della terra.
L'ultima sera, in sede, c'era troppa gente; tanta che Giuseppe Fanin con la fidanzata indugiano un po'; poi pensano di tornare a casa. Anche quella sera la passeranno assieme. Giuseppe era giunto all'appuntamento con un bel mazzo di fiori, ma quella sera aveva pensato di ritirarsi un po' per tempo. Sono le 21,45. Eccolo pedalare veloce per Corso Italia, per inoltrarsi verso casa, sulla strada di campagna, solo nella nebbia e nel buio. Era l’ora del Rosario che Giuseppe recitava ogni sera durante quel tragitto: un'ombra appare ferma sulla strada; Giuseppe esita e s'arresta; «Non ho mai fatto del male a nessuno; chi potrà farmi del male?!». Ora sono due, tre ombre che gli si serrano addosso bieche e nere come il tradimento.Mezz'ora dopo un corpo rantolante veniva trovato da un passante su un mucchio di ghiaia. «È un ubriaco» pensò alzando un lembo del gabardine. Sotto c'era un cranio fracassato. Attorno, nella nebbia fredda si intravedevano poche case. Ma nessuno aveva visto nulla, nessuno sapeva nulla. Eppure Giuseppe aveva lottato nella notte prima di soccombere. Quando i Carabinieri lo raccolsero, era a 30 metri dalla bicicletta; le mani deformate dal gonfiore e dai lividi dicevano ì suoi tentativi di difendere la testa. La lotta era stata impari: i cinque solchi nella nuca testimoniavano la ferocia con cui era stata menata la verga di ferro. Anche quando si era abbattuto sulla ghiaia i socialisti avevano continuato a battere fino a spezzare le ossa; all’Ospedale si riscontrarono altre ferite fonde di punteruolo nei fianchi: le belve, non contente di uccidere, avevano voluto torturare.

Beato Ivan Merz (1896-1928), single, ariete del movimento cattolico croato (v. QUI (http://www.ivanmerz.hr/international/tal/tal_uvodna.htm))

Ivan ha sempre tenuto in gran considerazione gli esercizi spirituali, facendoli regolarmente una volta l'anno, raccomandandoli agli altri e organizzandoli per i suoi giovani. Durante gli esercizi Ivan appuntava le sue riflessioni sulle meditazioni e faceva i suoi buoni propositi. A questo mirano, infatti, gli esercizi spirituali dettati da Sant'Ignazio di Loyola, che poi la Chiesa ha fatto suoi: spronare l'anima sulla via della perfezione dopo averla aiutata nella ricerca della sua vocazione. Ed è stato per l'appunto durante un corso d'esercizi, nel novembre del 1923, che Ivan scelse la via più difficile dell'apostolato laicale, la "via dei re" di consacrazione della propria esistenza nel mondo per lavorare con tutte le proprie forze per il Regno di Cristo.

Beato José Anacleto González Flores (1888-1927), Sposo e avvocato, martire cristero del Messico. (v. QUI (http://www.uag.mx/cristeros/) e QUI (http://www.beatificacionesmexico.com.mx/web/anacleto.php))

Nel 1905 fece un corso Esercizi di Sant'Ignazio di Loyola, dettati da missionari giunti da Guadalajara, che cambiò la direzione della sua vita. Promosse con successo il boicottaggio proclamato dai cattolici contro i mezzi di comunicazione e le imprese massoniche. Il suo esempio e le sue parole lo fecero diventare una figura simbolica riconosciuta e rispettata dai Cristeros. per questo fu arrestato il 1° aprile 1927, primo venerdì del mese. Anacleto subito fu torturato brutalmente: fu sospeso in aria legato ai polsi, mentre con i coltelli ferivano i suoi piedi nudi. Davanti la sua eroica resistenza cominciarono ad accanirsi sul resto del corpo e fu sottomesso secondo i suoi biografi ad altre torture innumerevoli e inenarrabili. Trovò la forza per opporsi alla tortura dei suoi compagni e ad animarli davanti alle crudeltà cui erano sottoposti. Un processo molto sommario condannò tutti alla pena di morte. Nel sentire la sentenza Anacleto rispose: "Una sola cosa dirò ed è che con totale disinteresse ho lavorato per difendere la causa di Gesù Cristo e della Sua Chiesa. Voi mi ucciderete, ma sappiate che con me non morirà la causa. Molti stanno dietro a me disposti a difenderla fino al martirio. Me ne vado, ma con la certezza che vedrò presto dal cielo il trionfo della religione della mia Patria". Poi Anacleto cominciò a recitare l'atto di contrizione seguito dai suoi compagni. Al termine della preghiera questi ultimi furono uccisi da una scarica di fucilate. Anacleto, nonostante i dolori, si diresse al generale che presenziava alla tortura dicendogli: "Generale ti perdono di cuore; molto presto ci vedremo di fronte al tribunale divino e lo stesso giudice che mi giudicherà, sarà anche il tuo, ed allora avrai in me un intercessore davanti a Dio". Poichè i soldati non si decidevano a sparargli, il generale ordinò ad un capitano di ucciderlo con una baionetta. Secondo le testimonianze di numerosi soldati pentiti, Anacleto gridò prima di morire: "Per la seconda volta ascolti l'America questo grido: Io muoio, ma Dio non muore! Viva Cristo Re!".

Beato Carlo d'Austria (1887-1922), Padre di famiglia e di popoli (v. QUI (http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=465))

Carlo non è un fariseo o un bacchettono: ha sette bambini, una sposa... è spontneamente austero e serio, nel senso che è uno che prende sul serio la vita.... Forse la frequentazione dei gesuiti e gli Esercizi Spirituali, che ha fatto in gioventù, saranno serviti a fargli aplicare quel decisivo criterio del "tanto... quanto...", nei confronti delle cose terrene. Avviandosi all'esilio ove morirà, passa per la Svizzera, dove i framassoni fanno tre tentativi per avvicinarsi a lui, offrendogli la corona de' suoi padri in cambio di un accordo con loro. Ma Carlo li respinge con le parole: "Quanto a questo, io, come principe cattolico, non ho una parola da dire". E parlò così pur sapendo bene ciò che poi gli sarebbe successo... Lo dice a coloro che lo circondavano: "Ora ogni mia cosa avrà cattiva riuscita". Ma soggiunge: "Tuttavia non sarà mai ch'io accetti dal diavolo ciò che mi ha dato Iddio".

Servo di Dio Garcia Moreno (1821-1875), sposo, avvocato, ingegnere, capo di Stato e martello contro la massoneria. (v. QUI (http://www.paginecattoliche.it/Moreno_Cammilleri.htm))

Nel 1873, i Redentoristi predicavano i Santi Esercizi nella capitale ad un immenso uditorio composto di tutte le classi. Il presidente alla testa del suo popolo assisteva a tutte le prediche. Dopo di aver ricondotto a Dio parecchie migliaia di uomini, la Missione ebbe termine coll'impianto della Croce, cerimonia che diede occasione ad una scena degna degli antichi tempi... Per appartenere in modo tutto particolare a Colei che chiamava la sua buona Madre celeste, risolvette, di entrare nella congregazione che i Padri Gesuiti avevano istituito nella capitale. All'osservazione che il suo posto sarebbe stato piuttosto tra la gente importante, rispose: “Vi ingannate, il mio posto è proprio in mezzo al popolo”. Da quel punto assistette regolarmente alle adunanze, alle comunioni generali ed agli altri esercizi della congregazione, felice ad un tempo e fiero di portare la medaglia di Maria in mezzo ai suoi cari operai, fieri essi pure di avere in mezzo a loro il presidente della Repubblica... Il presidente manifestò ai Vescovi riuniti il proposito che egli aveva formato di consacrare l'Equatore al Sacro Cuore di Gesù; e tale consacrazione offerse lo spettacolo unico al mondo di una nazione che, sfuggita alle unghie di Satana, si getta nel Cuore del suo Dio per amarlo, glorificarlo e servirlo. Era troppo, evidentemente; il capo di Stato che aveva tanto ardire da risollevare il vessillo di Cristo e calpestare quello di Satana, fu condannato a morte dal gran consiglio delle logge.

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=print&sid=1373)

Augustinus
31-07-06, 08:50
Finalità degli Esercizi

P. Giorgio Bettan S.J., Alla scuola di S. Ignazio negli esercizi, Roma: ADP, 1986, pp. 11-19

1. «Togliere via da sé tutte le affezioni disordinate». (Esercizi Sp., Ann, 1).

Bisogna attaccare il male alla radice e la radice avvelenata è il cuore egoista, avido di piacere. Gesù volendo portare rimedio ai malati di spirito indicò la fonte intossicata: "Dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo" (Mt 15, 19-20). Le affezioni disordinate non sono le affezioni peccaminose, malva5e che costituiscono di per sé peccato grave. Sono invece le inclinazioni dell'animo, tutte le tendenze che non hanno la loro giustificazione né nella fede né nella ragione. È il codice del mi piace e non mi piace eretto a sistema di vita. Una regola quindi senza logica, bizzarra, fatta di vari umori secondo i capricci di una natura malata.

Questo terreno è l'humus patogeno da cui deriva ogni male.

S. Giovanni della Croce conoscitore esperto del ginepraio del cuore umano, parla degli affetti disordinati in diversi tratti della «Salita del Monte Carmelo». Titoli di vari capitoli sono queste espressioni: «I desideri tormentano l'anima [ ... ], oscurano [ ... ], insozzano [ ... ], intiepidiscono e infiacchiscono lo spirito» (Opere 1962). Cosi egli fa un'analisi severa del male che producono.

S. Teresa non è meno vigorosa nel recidere gli affetti disordinati.
Viene richiesta un giorno del suo parere circa il desiderio di una persona riguardo una carica da assumere. Ne parla con il Signore e riceve la risposta che essa trascrive: «Quella persona potrà accettare solo quando avrà capito con verità e chiarezza che il vero dominio sta nel non aver nulla» (Opere, Roma, 1950, p. 390, n. 16). Finché non si raggiungerà la sanità del cuore e un certo equilibrio negli affetti, ci sarà sempre un grave ostacolo all'azione di Dio. Difficilmente si potrà captare il suo messaggio perché «affezione acceca ragione».

La preghiera negli Esercizi fa penetrare nel Cuore di Gesù allo scopo di cambiare il proprio cuore.
L'educazione affettiva, l'equilibrio dei propri sentimenti si potrà ottenere in un confronto sincero e in un prolungato colloquio con Cristo Crocifisso, con il suo Cuore squarciato.

2 - «E, toltele, indagare e trovare la Volontà Divina» (Esercizi Sp., Annot. 1).

Dio vuole essere ricercato: per questo si fa desiderare attendere.

Colui che inizia un corso di Esercizi deve mettersi alla ricerca di Dio secondo determinate regole. S. Benedetto suppone questa disposizione in colui che batte alla porta del monastero; S. Ignazio la vuole in coloro che desiderano fare gli Esercizi: «Quanto più la nostra anima si trova sola e raccolta, tanto più si fa atta ad avvicinarsi al suo Creatore e Signore» (Esercizi Sp. Annot. 20).

Questa ricerca di Dio si identifica con la ricerca della verità, della verità pratica, del disegno di Dio su ogni individuo sia per la sua attività personale che per il bene che può e deve compiere nella società. S. Agostino raccomandava: «Aggiungi la verità alla vita e troverai una vita felice» e così pregava: «Signore, Dio mio, unica mia speranza, ascoltami perché non mi abbia a stancare nella ricerca, ma fa che io cerchi il tuo volto sempre ardentemente. Tu dai la forza per cercarti e a colui dal quale ti sei fatto trovare dai la speranza di cercarti sempre di più» (De Trin. 1, XV, e. 28).

Dio è l'infinito; colui che si avvicina a lui ha sempre nuove scoperte da fare, nuove strade da percorrere. Nella ricerca della divina volontà succede quello che avviene all'alpinista in montagna: alla prima catena di monti che egli vede, inizia il cammino con la speranza di raggiungere presto la vetta; quanto più sale s'accorge che ad una cresta ne seguono altre più elevate e il cammino non si ferma più.

Non si può certo dire di conoscere la divina volontà perché si conosce il Decalogo; Dio invita, rivolge degli appelli, suscita desideri, stimola al più, al meglio; chi segue questa dinamica è amico di Dio agisce nello spirito di figlio del Padre. Niente porta alla ricerca della via che Dio ha tracciato per ogni anima come un corso di Esercizi Spirituali, fatto nel totale silenzio. In questa attività Maria SS. è modello meraviglioso, maestra impareggiabile, guida sicura.

Pio XI nella Costituzione Apostolica «Summorum Pontificum» insegna: «L'efficacia del metodo ignaziano e la somma utilità degli Esercizi, com'ebbe ad asserire il Nostro predecessore di venerata memoria Leone XIII, venne confermata "dall'esperienza di ormai tre secoli e dalla testimonianza di quanti in questo spazio di tempo fiorirono o per scienza ascetica o per santità di costumi".

Oltre ai molti uomini illustri per santità usci i dalla stessa famiglia di Ignazio, i quali apertissimamente attestarono di aver, attinto da questa fonte la regola della loro virtù, ci piace ricordare, tra il clero secolare, quei due fulgidi luminari della Chiesa: San Francesco di Sales e S. Carlo Borromeo...

Noi pertanto, persuasi che i mali dei tempi nostri traggono per la massima parte l'origine della mancanza di «chi rifletta nel suo cuore» (Ger. 12, 11); sapendo che gli Esercizi Spirituali, fatti secondo il metodo di S. Ignazio, sono di grande efficacia per superare le gravi difficoltà da cui è travagliata la società odierna; conoscendo la lieta messe che oggi, non meno che nei tempi andati, va maturando nei sacri ritiri, sia tra i religiosi e i sacerdoti secolari, sia tra i laici e - cosa particolarmente degna di attenzione ai nostri giorni - tra gli stessi operai; desideriamo ardentemente che la pratica di questi Esercizi Spirituali si diffonda sempre più largamente, e che sorgano più numerose e fioriscano prosperose quelle sante case dove - come a una scuola di vita perfettamente cristiana - si appartano i fedeli o per un mese intiero, o per otto giorni, o dove ciò non sia possibile, anche per più breve spazio di tempo».

Giovanni Paolo Il disse il 1° febb. 1981 ad un gruppo di giovani: «Di cuore auspico che questi esercizi spirituali, costituiscano per ciascuno di voi un incontro, che ritempri le vostre forze spirituali corrobori il vostro impegno, e vi renda generosi testimoni di Cristo nel mondo di oggi».

Il Concilio Vaticano II per i laici consacrati all'apostolato non ha nulla di più efficace ed utile da suggerire: «hanno a disposizione i ritiri e gli Esercizi spirituali per nutrire la propria vita spirituale, per conoscere le condizioni del mondo e scoprire ed impiegare i metodi adatti» (Decreto Apostolato dei laici n. 32).

3 - «E trovare la volontà divina» (Esercizi Spir. Annot. 1)

Sono molti i modi con i quali Dio parla all'anima e fa conoscere la sua volontà. L'illuminazione interiore, l'impulso e l'attrattiva ad una determinata attività, la scelta fatta con calma alla luce dei criteri soprannaturali, il consiglio di una persona prudente, sono modi ed espressioni di un linguaggio divino.

Dio agisce nelle anime con maestria impareggiabile. Si adatta come una mamma che prende la mano del bambino facendogli scrivere il suo nome e lasciandogli la piacevole convinzione di averlo scritto lui. Se però quel bambino, fatto adulto, ha notevoli capacità, Dio gli dà il desiderio dell'ascesa, del perfezionamento; più progredisce più lo stimola e l'aiuta a progredire.

Santa Teresa, narrando una sua visione, ricorda di aver ascoltato: «"Figliola come son pochi quelli che amano veramente! Se mi amassero per davvero, non nasconderei loro i miei segreti. Sai tu cosa vuol dire amarmi per davvero? Persuadersi che è menzogna tutto quello che a me non piace. Comprenderai chiaramente quanto ora non capisci dal profitto che ne avrà la tua anima". Cosi infatti è avvenuto e ne sia lode al Signore! D'allora in poi mi pare così pieno di vanità e di menzogna quanto non è ordinato alla sua gloria» (S. Teresa, Opere, pag. 383).

Quando si comincerà a compiere con impegno la volontà di Dio in tutti i dettagli della vita ci si ritroverà nell'armonia e nella pace.

4 - «In ordine alla salvezza dell'anima» (Esercizi Spirit., ibidem).

La parola salvezza non significa solo salvezza eterna, ingresso in cielo; indica floridezza e gagliardia della vita spirituale nell'esercizio della fede, della speranza, e della carità.

Fare gli Esercizi è già praticare la santità, esercitando e sviluppando le virtù teologali che sono la travatura della vita spirituale. Non si può stare con Cristo, all'unisono con il suo Cuore infinitamente amante, senza percepirne gli immancabili benefici.

5 - Nella contemplazione di Cristo nei suoi misteri

L'aspetto più toccante degli Esercizi ignaziani è la contemplazione affettuosa dei misteri di Cristo così da diventare convivenza, amicizia, comunione intima con Lui.

Chi ha la fortuna di fare il "Mese" è invitato a ripetere più volte al giorno, all'inizio delle diverse contemplazioni per la seconda, la terza, la quarta settimana, con insistente richiesta, "l'intima conoscenza del mio Signore, Cristo Gesù per amarlo di più e seguirlo meglio".

Intima conoscenza significa "andare al Cuore", "prendere Gesù per il cuore" come ripeteva S. Teresa di Gesù Bambino perché il cuore spiega Gesù ed Egli in ogni mistero svela il suo cuore.

Solo cosi, cioè in Cristo, l'esercitante trova con maggiore chiarezza la volontà di Dio nella propria vita.

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=print&sid=1381)

Augustinus
31-07-06, 08:54
Che cosa richiedono gli Esercizi?

P. Giorgio Bettan S.J., Alla scuola di S. Ignazio negli esercizi, Roma: ADP, 1986, pp. 20-27

1 - «Solitudine operosa»

Solitudine operosa che indica:
Raccoglimento profondo che concentra ed unisce tutte le proprie facoltà portandole a Dio. S. Alberto Magno osserva "Colui che entra in se stesso e penetra nel suo intimo, oltrepassa se stesso e sale a Dio". (Dell'unione con Dio c. 7).
Separazione dagli uomini e dalle cose della vita ordinaria, per raggiungere la vera libertà interiore. Ci si mette nel versante della contemplazione per ritornare carichi di energia nuova in quello dell'azione.
S. Ignazio nell'annotazione 20 dice: ..."Da questo isolamento derivano tra i molti altri, tre vantaggi principali:
Il primo è che, allontanandosi uno da molti amici e conoscenti, come pure da molte occupazioni non bene ordinate, per servire e lodare Dio nostro Signore, merita non poco dinanzi alla divina Maestà Sua.
Il secondo: stando cosi isolato, senza avere la mente divisa in molte cose, anzi mettendo ogni impegno in una sola, e cioè nel servire il proprio Creatore e nell'aiutare la propria anima, usa più liberamente le proprie capacità naturali per cercare con diligenza ciò che tanto desidera.
Il terzo: quanto più la nostra anima si trova sola e isolata, tanto più diventa capace di avvicinarsi e di unirsi al proprio Creatore e Signore; e quanto più cosi si unisce, tanto più si predispone a ricevere grazie e doni della sua divina e somma Bontà.
Paolo VI ad un gruppo di collaboratori laici il 26 luglio 1963 raccomandava la fedeltà agli Esercizi annuali: «...quale immenso profitto per le vostre anime, quale edificazione per i vostri fratelli in questi tre giorni di totale silenzio ove centinaia di voi ogni anno vanno a mettersi in ascolto di Dio, a rifare le loro forze spirituali per ritornare più generosi ai combattimenti della vita. La fedeltà agli Esercizi Spirituali chiusi è sicurezza per il progresso dell'anima, pegno di una attività gioiosa e feconda al servizio della Chiesa e dei vostri fratelli».

2 - La schiettezza trasparente

La ricerca della verità è esigente - scrive Federico Ozanam - ed è necessaria la sincerità; tanto più se da questa verità dipende l'orientamento o la riforma della vita.
1) Sincerità con colui che dirige gli Esercizi. Uno degli aspetti essenziali degli Esercizi ignaziani è dato dai colloqui di apertura e guida spirituale in ordine alla conoscenza di sé, di interpretazione dei segni divini nella propria vita, di una verifica della propria attività nella linea del Magistero della Chiesa, di uno stimolo ed incoraggiamento nella via della santità.
2) Sincerità con sé stessi. Ciò che si cerca negli Esercizi è la divina volontà nella vita di ciascuno; quindi niente è più necessario, niente più utile e grande. Quanto si ricerca è nascosto, è il segreto del Re dei cuori: uno sguardo superficiale non basterebbe per capirlo. Poiché ogni uomo è terribilmente condizionato dall'ambiente, è necessario che si crei il clima adatto per questo lavoro interiore e impegnativo.

3 - Intensa preghiera

Negli Esercizi la preghiera è la condizione più importante. L'anima deve essere attenta e particolarmente sensibile con lo sguardo dell'amico tutto proteso all'amore del suo amico, con l'ansia del bimbo che vuole piacere a suo padre. Deve pervadere l'anima e il sentimento della devozione filiale reso vivo dalle invocazioni pie, affettuose; ripetute spesso. La varietà dei metodi di preghiera, i meravigliosi colloqui, la ricchezza stupenda delle meditazioni e contemplazioni porteranno ad aprire il proprio cuore al Cuore di Cristo che vuole aprirsi a noi.
S. Agostino cosi parla: «Si chiede con amore, si cerca amando, si batte sotto l'impulso dell'amore, nell'amore ci si confida, nell'amore ci si stabilisce in Colui al quale ci si è affidati» (De Moribus Eccl. l. 1, c. 17).
Negli Esercizi ci si deve aspettare il frutto più dalla grazia che dall'abilità umana; entra negli Esercizi con l'animo pieno di fiducia e prega così:
«O beatissima grazia,
che rendi ricco di virtù
chi è povero di spirito
e rendi umile di cuore
chi è ricco di molti beni!

Vieni, discendi in me,
riempimi con la tua consolazione,
affinché l'anima mia
non cada per la stanchezza
e l'aridità della mente.

Ti supplico, o Signore,
fa' che io possa trovare grazia
dinanzi ai tuoi occhi,
poiché,
anche se non ottengo tutte le altre cose
che desidera la natura,
a me basta la tua grazia.

Se anche sarò tentato
e oppresso da molte tribolazioni,
finché la tua grazia sarà con me,
non mi abbatterò per questi mali.

Essa è la mia forza,
essa mi reca consiglio e aiuto;
è più potente di tutti i nemici
e più sapiente di tutti i sapienti.

La grazia è maestra di verità,
maestra di disciplina,
Luce del cuore, sollievo nell'oppressione;
mette in fuga la tristezza,
alimenta la devozione,
fa scaturire le lacrime.

Che cosa sono io senza di lei,
se non un legno secco,
un fuscello inutile da buttar via?

Dunque, o Signore,
la tua grazia sempre mi preceda e mi segua;
e senza interruzione mi dia la possibilità
di essere sempre dedito a opere buone,
per Gesù Cristo Figlio Tuo. Così sia».

(Imitazione di Cristo, 1. 3, c. 55)

4. Conclusione

Giustamente Paolo VI, il 29 dicembre 1965, elogiando il paradigma meraviglioso e magistrale che S. Ignazio allora ha lasciato, diceva che bisogna vedere la profondità di dottrina che esso contiene, la ricchezza spirituale di cui è sorgente la applicabilità enorme che esso apre davanti. Proseguiva dicendo: «Dobbiamo allargare questa fonte di salvezza e di energia spirituale, dobbiamo renderla possibile a tutte le categorie: ai ragazzi, alla gioventù, agli operai, agli studenti, agli studiosi, alle persone colte, ai malati...»
Giovanni Paolo II, il 16 dic. 1979, diceva: "La scuola degli Esercizi Spirituali è sempre un efficace rimedio al male dell'uomo moderno trascinato dal vortice delle vicende umane a vivere fuori di sé, troppo preso dalle cose esteriori, è fucina di uomini nuovi, di autentici cristiani, di apostoli impegnati".
È il 31 luglio 1985:
«In tale situazione di "deserto" e di silenzio" degli uomini e delle cose, l'esercitante, a somiglianza della Vergine SS., è chiamato ad ascoltare la Parola di Dio, ad accoglierla in un vitale e dinamico rapporto, a rimanere nella Parola, immergendosi in prolungata meditazione, in affettuosa orazione, in silenziosa contemplazione, a mettere in pratica la Parola, a proclamarla...».
L'invito agli Esercizi Spirituali di S. Ignazio è una delle linee costanti del Magistero della Chiesa.
Frutto eccellente degli Esercizi sarà fare spesso e vivere l'offerta di se stessi e del proprio vissuto quotidiano al Cuore di Cristo come viene suggerito dall'Apostolato della Preghiera.
Cuore divino di Gesù, io ti offro, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, Madre della Chiesa, in unione al Sacrificio Eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati e per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.
In particolare secondo le intenzioni del Papa.

È una spiritualità che aiuta il cristiano a trasformare la propria vita in un'offerta viva a gloria di Dio Padre. Cosi è vissuta la Madonna, la prima e perfetta cristiana, la vera Maestra degli Esercizi.

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=print&sid=1389)

Augustinus
31-07-06, 08:57
Un gran santo ci dice: andate a fare gli Esercizi!

Lettera sull'utilità degli esercizi spirituali ove S. Alfonso descrive i vantaggi del ritiro, in particolare quando s'impone una decisione per dare una svolta alla propria vita. Il Santo stima sommamente gli esercizi fatti nella solitudine, "perché - dice - io riconosco di dovere a questa santa pratica la mia conversione e la risoluzione che io ho preso di lasciare il mondo". Molti esempi citati sono tratti dalle Notizie memorabili degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio del Rosignoli, S. J.; ma il Santo li propone con un tono particolare: le riflessioni pregnanti e originali, le argomentazioni vive che a lui sono proprie e dona anche un timbro tutto personale a questa lettera per la quale ha largamente attinto da autori che hanno trattato la stessa materia. Questa Lettera ad un giovine studioso è stata citata da Pio XI nella sua lettera Mens nostra de Usu exercitiorum magis magisque promovendo, del 20 dicembre 1929, dove la definisce "pulcherrima quaedam epistola". Le edizioni di Torino intitolano questo piccolo trattato: Sull'utilità degli esercizi spirituali fatti in solitudine. (Cfr. Bibliographie générale des écrivains rédemptoristes, Louvain 1933, p. 149-150).

S. Alfonso Maria de Liguori
Dottore della Chiesa

Sull'utilità degli esercizi spirituali

1. Ho ricevuta la sua lettera, in cui mi fa sapere che ancora sta irresoluto circa lo stato di vita che deve eleggere; e che avendo partecipato al suo parroco il mio consiglio di andare per tal effetto a fare gli esercizj in quella casa che tiene suo padre in campagna, le ha risposto il detto parroco che non occorreva andare in quella casa a seccarsi il cervello per otto giorni in solitudine, ma bastava che sentisse gli esercizj che tra breve egli avrebbe dati al popolo nella sua chiesa. Giacché dunque ella su quest'ultimo punto degli esercizj di nuovo mi cerca consiglio, bisogna ch'io le risponda a lungo, e le faccia conoscere primieramente quanto maggior profitto apportano gli esercizj spirituali fatti in silenzio in qualche luogo solitario, che gli altri che si fanno in pubblico, con tornare in casa, ove la persona seguita come prima a discorrere e conversare con parenti ed amici; tanto più che in casa sua, come mi scrive, non ha una camera a parte ove ritirarsi: a questi esercizj in solitudine per altro io vivo troppo affezionato, mentre da essi riconosco la mia conversione e risoluzione di lasciare il mondo. Secondariamente poi le suggerirò i mezzi e le cautele con cui dovrà fare questi esercizj per ottenerne il frutto che desidera. La prego dopo che avrà letta questa mia, farla leggere ancora al signor suo parroco.

2. Parliamo dunque prima del grande utile che apportano gli esercizj fatti nella solitudine, ove non si tratta con altri che con Dio, e prima di tutto vediamone la ragione.
Le verità della vita eterna, come sono il grande affare della nostra salute, la preziosità del tempo che Dio ci dona, affinché accumuliamo meriti per l'eternità beata, l'obbligo che abbiamo di amare Dio per la sua infinita bontà e per l'amore immenso che ci porta, queste e simili cose non si vedono cogli occhi di carne, ma cogli occhi della mente.
All'incontro è certo che se dal nostro intelletto non si rappresenta alla volontà il pregio di qualche bene o la deformità di qualche male, non mai la volontà abbraccerà quel bene né fuggirà quel male.
Or questa è la rovina degli uomini attaccati al mondo; essi vivono fra le tenebre, ond'è poi che, non conoscendo la grandezza de' beni e dei mali eterni, allettati dal senso, si abbandonano a' piaceri vietati e così miseramente si perdono. Perciò lo Spirito santo, acciocché fuggiamo i peccati ci avvisa a tenere avanti gli occhi le ultime cose che ci hanno da avvenire, cioè la morte con cui finiranno per noi tutti i beni della terra, ed il giudizio divino, ove dovremo render conto a Dio di tutta la nostra vita: Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis (Eccl. 7. 40.). Ed in altro luogo dice: Utinam saperent et intelligerent, ac novissima providerent! (Deut. 32. 29.) Colle quali parole vuol farci intendere che se gli uomini rimirassero le cose dell'altra vita, certamente attenderebbero tutti a farsi santi, e non si porrebbero a rischio di fare una vita infelice per tutta l'eternità. Essi chiudono gli occhi alla luce, e così, restando ciechi, precipitano in tanti mali. Perciò i santi pregavano sempre il Signore che desse loro luce: Illumina oculos meos, ne unquam obdormiam in morte (Psal. 12. 4.). Deus illuminet vultum suum super nos (Psal. 66. 2.). Notam fac mihi viam in qua ambulem (Psal. 142. 8.). Da mihi intellectum, et discam mandata tua (Psal. 118. 73).

3. Ora per ottenere questa luce divina bisogna accostarsi a Dio: Accedite ad eum et illuminamini (Psal. 33. 6.). Poiché scrive s. Agostino, che siccome non possiamo noi vedere il sole, se non col lume dello stesso sole; così non possiamo vedere il lume di Dio, se non col lume dello stesso Dio: Sicut solem non videt oculus, nisi in lumine solis, sic dominicum lumen non poterit videre intelligentia, nisi in ipsius lumine. Questo lume si ottiene negli esercizj: noi con quelli ci accostiamo a Dio, e Dio c'illumina colla sua luce.
Altro non importano gli esercizj spirituali, che il distaccarci per quel tempo dal commercio del mondo e ritirarci a conversare da solo a solo con Dio.
Ivi Iddio parla a noi colle sue ispirazioni, e noi parliamo a Dio, meditando, amandolo, dolendoci de' disgusti che gli abbiamo dati, offerendoci a servirlo in avvenire con tutto l'amore, e pregandolo che ci faccia conoscere la sua volontà, e ci dia forza di eseguirla. Dicea Giobbe: Nunc enim requiescerem cum regibus et consulibus terrae, qui aedificant sibi solitudines (Iob. 3. 13. et 14.).Chi sono questi re che si fabbricano le solitudini? Sono, come dice s. Gregorio, i dispregiatori del mondo, che si staccano dai tumulti mondani per rendersi degni di parlare da solo a solo con Dio: Aedificant solitudines, idest seipsos a tumultu mundi (quantum possunt) elongant, ut soli sint et idonei loqui cum Deo (In Iob. loc. cit.).
A s. Arsenio, mentre egli stava esaminando i mezzi che dovea prendere per farsi santo, Iddio gli fece sentire: Fuge, tace, quiesce: fuggi dal mondo, taci, lascia di parlare cogli uomini, e parla solo con me; e così riposa in pace nella solitudine.
In conformità di ciò s. Anselmo ad uno che si trovava affannato da molte occupazioni del secolo, e si lagnava che non aveva un momento di pace, scrisse così: Fuge paullulum occupationes tuas, absconde te modicum a tumultuosis cogitationibus tuis; vaca aliquantulum Deo et requiesce in eo. Dic Deo: Eia nunc doce cor meum, ubi et quomodo te quaeram; ubi et quomodo te inveniam. Parole che tutte convengono alla persona vostra: fuggi, gli disse, per qualche tempo da queste applicazioni terrene che ti fanno stare inquieto, e riposati ritirato con Dio. Digli: Signore, insegnatemi, dove e come io possa trovarvi, affinché vi parli da solo a solo, e insieme ascolti le vostre parole.

4. Sì che ben parla Iddio a chi lo cerca, ma non parla in mezzo ai tumulti del mondo: Non in commotione Dominus, fu detto ad Elia (Reg. 19. 11.), allorché fu chiamato da Dio alla solitudine. La voce di Dio, come dicesi nello stesso luogo, è come un sibilo di un'aura leggiera, sibilus aurae tenuis, che appena si sente; e non già dall'orecchio del corpo, ma dall'orecchio del cuore, senza strepito, ed in una dolce quiete. Ciò appunto dice il Signore per Osea: Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius (Os. 2. 14.). Quando Dio vuol tirare a sé un'anima, la conduce alla solitudine, lungi dagli intrighi del mondo e dal commercio degli uomini, ed ivi le parla colle sue parole di fuoco: Ignitum eloquium tuum (Psal. 118. 140.). Le parole di Dio diconsi parole di fuoco, perché liquefanno l'anima, come dicea la sacra sposa: Anima mea liquefacta est ut dilectus meus locutus est (Cant. 5. 6.), sicché la rendono facile a farsi governare da Dio, ed a prender quella forma di vita che Dio vuole da lei: parole in somma efficaci ed operative, che nello stesso tempo che si fanno udire operano nell'anima quello che Dio da lei richiede.

5. Un giorno il Signore disse a s. Teresa: Oh quanto volentieri io parlerei a molte anime, ma il mondo fa tanto strepito nel loro cuore, che la mia voce non può sentirsi. Oh se si appartassero qualche poco dal mondo! Sicché, sig. D.N. mio carissimo, Iddio vuol parlarvi, ma vuol parlarvi da solo a solo nella solitudine, poiché se vi parlasse nella vostra casa, i parenti, gli amici e le faccende domestiche seguirebbero a fare strepito nel vostro cuore e non potreste udire la sua voce. Perciò i santi hanno lasciate le patrie e le loro case, e sono andati ad intanarsi in una grotta o deserto, oppure in una cella di qualche casa religiosa, per trovar ivi Dio ed ascoltar le sue voci.
Narra s. Eucherio (Epist. ad s. Hilar.), che una persona andava cercando un luogo, ove potesse trovare Dio; andò per tal fine a consigliarsi con un maestro di spirito, quegli la condusse in un luogo solitario, e poi le disse: Ecco dove si trova Dio, senza dirle altro: e con ciò volle farle intendere che Dio non si trova in mezzo ai rumori del mondo, ma nella solitudine.
Dice s. Bernardo, che meglio avea conosciuto Dio tra i faggi ed i cerri, che in tutti i libri di scienze che avea studiati. Il genio de' mondani è di stare in conversazione di amici a discorrere e divertirsi; ma il desiderio dei santi è di starsene nei luoghi solinghi in mezzo ai boschi, o dentro le caverne per trattenersi ivi a trattar solo con Dio, il quale nella solitudine tratta e parla colle anime alla famigliare, come un amico con un altro amico: Oh solitudo, esclama s. Girolamo, in qua Deus cum suis familiariter loquitur, ac conversatur!
Dicea il venerabile p. Vincenzo Carafa, che nel mondo, se avesse avuto a desiderar qualche cosa, altro non avrebbe cercato che una grotticella con un tozzo di pane ed un libro spirituale, per viver sempre ivi lontano dagli uomini e farsela solo con Dio.
Lo sposo de' cantici loda la bellezza dell'anima solitaria e l'assomiglia alla bellezza della tortorella: Pulcrae sunt genae tuae sicut turturis (Cant. 1. 9.). Appunto perché la tortorella fugge la compagnia degli altri uccelli, e se la fa sempre ne' luoghi più solitarj. Quindi è che gli angeli santi ammirano con gaudio la bellezza e lo splendore, del quale adorna sale in cielo un'anima, che in questo mondo è vivuta nascosta e solitaria, come in un deserto: Quae est ista quae ascendit de deserto deliciis affluens? (Cant. 8. 5.).

6. Ho voluto scrivervi tutte queste cose, per farvi prendere amore alla santa solitudine; mentre spero che negli esercizj che farete non già vi seccherete il cervello, come dice il signor parroco, ma che Iddio vi farà provare tante delizie di spirito, che ne uscirete talmente innamorato degli esercizj, che non lascerete poi di farli ogni anno.
Cosa che vi gioverà immensamente per l'anima in ogni stato che eleggerete; poiché in mezzo al mondo le faccende, i disturbi, e le distrazioni sempre inaridiscono lo spirito, e perciò bisogna da quando in quando adacquarlo e rinnovarlo, come esorta san Paolo: Renovamini autem spiritu mentis vestrae (Ephes. 4. 23.).
Il re Davide affannato dalle cure terrene desiderava di volare, e fuggire da mezzo al mondo per ritrovar riposo: Quis dabit mihi pennas, volabo et requiescam? (Psal. 54. 7). Ma non potendo lasciare il mondo col corpo, cercava almeno da tempo in tempo di sbrigarsi dagli intrighi del regno che governava e si tratteneva in solitudine a conversare con Dio; e così trovava pace il suo spirito: Ecce elongavi fugiens, et mansi in solitudine (Ibid. vers. 8).
Anche Gesù Cristo, che non aveva bisogno di solitudine affin di stare raccolto con Dio, pure per dare a noi esempio, si distaccava spesso dal commercio degli uomini, e se ne andava sopra de' monti e ne' deserti a fare orazione: Dimissa turba, ascendit in montem solus orare (Matth. 14. 23). Ipse autem secedebat in desertum et orabat (Luc. 5. 16.). E volea che i suoi discepoli dopo le fatiche delle loro missioni si ritirassero in qualche luogo solitario a riposar collo spirito: Venite seorsum in desertum locum et requiescite pusillum (Marc. 6. 31). Dichiarando con ciò che anche in mezzo alle occupazioni spirituali lo spirito alquanto si rilascia, dovendo trattar cogli uomini; onde bisogna ristorarlo nella solitudine.

7. I mondani che sono avvezzi a divertirsi nelle conversazioni, ne' conviti e ne' giuochi, credono che nella solitudine, ove non sono tali spassi, si patisca un tedio insoffribile; e così veramente accade a coloro che tengono la coscienza imbrattata di peccati: perché quando essi stanno occupati negli affari del mondo, non pensano alle cose dell'anima; ma quando stanno disoccupati, in quella solitudine, dove non van cercando Dio, subito si affacciano loro i rimorsi della coscienza, e così nella solitudine non trovan quiete, ma tedio e pena. Ma datemi una persona che vada cercando Dio; ella nella solitudine non vi troverà tedio, ma contento e gioia: ce ne assicura il Savio: Non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus illius, sed laetitiam et gaudium (Sap. 8. 16).
No che non apporta amarezza né tedio il conversare con Dio, ma allegrezza e pace. Il venerabile cardinal Bellarmino nel tempo delle villeggiature, in cui gli altri cardinali andavano a divertirsi nelle ville, egli se ne andava in una casa solitaria a fare gli esercizj per un mese, e dicea che quella era la sua villeggiatura, ed ivi certamente ritrovava più delizie il suo spirito, che gli altri in tutti i loro spassi.
S. Carlo Borromeo due volte l'anno faceva gli esercizj, ed in quelli trovava il suo paradiso, e mentre stava facendo in un anno questi esercizj sul monte di Varallo, gli venne l'ultima infermità che lo condusse alla morte.
Così appunto dicea s. Girolamo, che la solitudine era il suo paradiso che trovava in questa terra: Solitudo mihi paradisus est (Ep. 4. ad Rust.).

8. Ma qual contento, dirà taluno, può trovare una persona stando sola e non avendo con chi discorrere? No, risponde s. Bernardo, non è solo nella solitudine colui, che in quella va cercando Dio; perché ivi Dio stesso l'accompagna e lo tiene più contento che se avesse la compagnia dei primi principi della terra. Io, scrive il s. abate, non era meno solo che quando stava solo: Numquam minus solus, quam cum solus (Ep. ad Fratr. de M. etc.).
Il profeta Isaia descrive le dolcezze che Dio fa provare a chi va a cercarlo nella solitudine: Consolabitur Dominus Sion, et consolabitur omnes ruinas eius; et ponet desertum eius quasi delicias, et solitudinem eius quasi hortum Domini. Gaudium et laetitia invenietur in ea, gratiarum actio et vox laudis (Isa. 51. 3.). Il Signore sa ben consolare l'anima ritirata dal mondo: egli le compensa a mille doppj tutte le perdite che fa de' piaceri mondani; le fa diventare la solitudine un giardino di delizie, ove ella trova una pace che sazia, non essendovi colà tumulto di mondo, mentre solo trovansi ivi ringraziamenti e lodi a quel Dio che così l'accarezza. Se altro contento non vi fosse nella solitudine, che il contento di conoscere le verità eterne, questo solo basterebbe a farla sommamente desiderare. Le verità divine son quelle che conosciute saziano l'anima, e non già le vanità mondane che sono tutte bugie ed inganni.
Or questo appunto è quel gran piacere che si trova negli esercizj fatti in silenzio: ivi con chiaro lume si conoscono le massime cristiane, il peso dell'eternità, la bruttezza del peccato, il valore della grazia, l'amore che Dio ci porta, la vanità dei beni di terra, la pazzia di coloro che per acquistarli perdono i beni eterni e si acquistano un'eternità di pene.

9. Quindi avviene poi che la persona alla vista di tali verità prende i mezzi più efficaci ad assicurare la sua eterna salute, e si solleva sopra se stessa, come parla Geremia: Sedebit solitarius et tacebit, quia levavit se super se (Thren. 3. 28.). Ivi distaccandosi dagli affetti terreni si stringe con Dio colle preghiere, co' desiderj di esser tutta sua, colle offerte di se stessa, e con altri replicati atti di pentimento, di amore, di rassegnazione, e così troverassi sollevata sopra le cose create, in modo che si riderà di coloro che tanto stimano i beni di questo secolo, mentr'ella li disprezza, conoscendoli troppo piccioli e indegni dell'amore di un cuore creato per amare un infinito bene che è Dio. È certo che chi esce dagli esercizj n'esce molto diverso e migliorato di quello che vi è entrato. Era sentimento del Grisostomo che per acquistar la perfezione era un grande aiuto il ritiramento: Ad adipiscendam perfectionem magnum in secessu subsidium.
Quindi scrisse un dotto autore (Presso Com. p. 213.), parlando degli esercizj: Felix homo, quem Christus e mundi strepitu in spiritualia exercitia et solitudinem coelesti amoenitate florentem inducit. Beato colui che staccandosi da' rumori del mondo si lascia portare dal Signore agli esercizj, ove si gode la solitudine che partecipa delle delizie del cielo!
Son buone tutte le prediche che si fanno nelle chiese, ma se gli uditori non si applicano a riflettere sopra di quelle, poco sarà il frutto che ne ricaveranno; le riflessioni sono quelle che partoriscono poi le sante risoluzioni; ma queste riflessioni non si faranno mai come debbono esser fatte, se non si fanno nella solitudine.
La conchiglia quando ha ricevuta la rugiada del cielo subito si chiude e scende nel fondo del mare, e così forma la perla. È cosa indubitata che ciò è quello che perfeziona il frutto degli esercizj, il riflettere in silenzio, trattandosi da solo a solo con Dio, le verità intese nella predica o lette nel libro.
Perciò s. Vincenzo de Paoli nelle missioni che faceva invitava sempre gli ascoltanti a fare gli esercizj chiusi in qualche luogo solitario. Una massima santa ben riflettuta basta a fare un santo.
San Francesco Saverio lasciò il mondo per l'impressione che gli fece quella massima del vangelo: Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? (Matth. 16. 26).
Un certo giovane studente per una sentenza della morte suggeritagli da un buon religioso mutò la sua mala vita in una vita santa.
S. Clemente Ancirano per un'altra sentenza dell'eternità che gli fu suggerita dalla madre: Negotium pro quo contendimus vita aeterna est, soffrì allegramente per Gesù Cristo molti tormenti che gli furono dati dal tiranno.

10. Per fare poi il giusto concetto del bene che partoriscono gli esercizj fatti in solitudine, leggete, se avete qualche libro di questa materia, e vedete ivi le conversioni stupende avvenute per mezzo degli esercizj. Voglio qui accennarne alcune poche.
Narra il p. Maffei che in Siena vi era un sacerdote pubblico scandaloso; questi, essendogli stati dati gli esercizj da un missionario che a caso era passato per Siena, non solo si ravvide e si confessò, ma un giorno, trovandosi in una chiesa un gran popolo, salì in pulpito, e piangendo con una fune al collo cercò perdono a tutti degli scandali dati, e dopo ciò andò a farsi cappuccino, e morì da santo; ed in morte dicea che tutto il suo bene lo riconoscea da quegli esercizj.
Narra di più il p. Bartoli (Lib. 5), che un certo cavalier tedesco, il quale per essersi abbandonato a tutti i vizj era giunto a dar l'anima al demonio con una scrittura firmata col suo sangue, facendo poi gli esercizj, concepì tanto pentimento de' suoi peccati, che per il dolore svenne più volte, ed indi seguì a fare una vita penitente sinché visse.
Inoltre narra il p. Rosignuoli (Notit. mem. de es. t. 3) che in Sicilia vi fu un figliuolo d'un barone il quale era diventato così dissoluto, che il padre dopo molti mezzi presi per vederlo corretto, e tutti riusciti vani, fu obbligato a porlo in una galea tra gli schiavi in catena; ma un certo buon religioso, avendone compassione, andò a trovarlo, e con belle maniere l'indusse a voler meditare certe massime di eternità nella stessa galea; terminate quelle meditazioni, il giovane volle farsi una confession generale, e fece una tal mutazione di vita, che il padre poi l'accolse con piacere in sua casa e seguì ad amarlo.

11. Un altro giovane fiammingo, avendo fatti gli esercizj ed essendosi con quelli convertito da una pessima vita, disse poi agli amici che se ne ammiravano: voi vi maravigliate di me, ma io vi dico che se il demonio stesso fosse capace di fare gli esercizj, facendoli si ridurrebbe a penitenza.
Un altro che era religioso, ma di così mali costumi che si era fatto intollerabile, fu mandato da' superiori a fare gli esercizj. Mentre egli andava se ne burlava e diceva agli amici: tenete apparecchiate le corone, per quando ritorno a farmele toccare. Ma fatti gli esercizj si mutò in maniera, che divenne l'esempio degli altri religiosi, i quali vedendo quella mutazione, vollero tutti essi fare gli esercizj.
Certi altri giovani, vedendo altri loro amici che andavano agli esercizj, vollero accompagnarli, non già per cavarne frutto, ma per ridersi poi nella conversazione delle loro divozioni; ma avvenne tutto il contrario, poiché negli esercizj si compunsero talmente che diedero in sospiri e pianti, si confessarono tutti e mutarono vita.
E di tali fatti potrei qui addurne altri mille; ma non voglio lasciare il caso di una monaca nel monastero di Torre di Specchi in Roma, la quale facea la letterata, ma menava una vita molto imperfetta. Questa di mala voglia cominciò a fare gli esercizj, che si faceano nel monastero; ma la prima meditazione che fece del fine dell'uomo le fece tale impressione, che cominciò a piangere, e se ne andò al suo padre spirituale e gli disse: Padre, voglio farmi santa e presto santa. Volea più dire, ma le lagrime le impedirono di più parlare. Ritirata poi nella cella, scrisse una carta, in cui donò a Gesù Cristo tutta se stessa, si diede a fare una vita penitente e ritirata, e così visse fino alla morte.
Se altro non fosse, basta a far gran conto degli esercizj il vedere la stima che ne han fatta tanti uomini santi. S. Carlo Borromeo dalla prima volta che fece gli esercizj in Roma si pose a fare una vita perfetta.
S. Francesco di Sales dagli esercizj riconobbe il principio della sua santa vita.
Il p. Luigi Granata, uomo santo, dicea che non gli sarebbe bastata tutta la vita a spiegare le nuove cognizioni delle cose eterne che avea scoperte nel fare gli esercizj.
Il p. d'Avila chiamava gli esercizj una scuola di sapienza celeste, e volea che i suoi discepoli tutti fossero andati agli esercizj.
Il p. Lodovico Blosio benedettino dicea doversi rendere speciali grazie a Dio, per avere in questi ultimi tempi manifestato alla sua chiesa questo tesoro degli esercizj.

12. Ma se gli esercizj giovano ad ogni stato di persone, sono di special giovamento a chi vuol eleggere lo stato di vita che ha da imprendere. E trovo scritto che il primo fine per cui furono istituiti gli esercizj fu questo di eleggere lo stato della vita, mentre da questa elezione dipende l'eterna salute di ciascuno. Non abbiamo già noi da aspettare che venga un angelo dal cielo ad assicurarci dello stato che abbiamo da eleggere secondo la volontà di Dio; basta mettersi avanti gli occhi lo stato che pensiamo di eleggere, indi dobbiamo riguardare il fine che abbiamo in questa elezione, e pesare le circostanze che vi sono.

13. Questo è il punto principale, per cui desidero che voi facciate gli esercizj in silenzio, cioè per risolvere lo stato che avete da eleggere. Per tanto, quando sarete entrato negli esercizj, come spero, vi prego a mettere in pratica le cose che qui soggiungo. In primo luogo l'unico intento che voi avete da avere in questi esercizj, è di conoscere quel che Dio vuole da voi; perloché in andare in quella casa solitaria, andate dicendo fra voi: Audiam quid loquatur in me Dominus Deus (Psal. 84. 9), vado a sapere quel che mi dirà il Signore e che vuole da me. Inoltre è necessario che abbiate una volontà risoluta di ubbidire a Dio, e seguire la vocazione che Dio vi manifesterà, senza riserva. Di più è necessario che preghiate istantemente il Signore che vi faccia conoscere la sua volontà in quale stato vi voglia. Ma avvertite che per avere questa luce bisogna che lo preghiate con indifferenza. Chi prega Dio ad illuminarlo circa il suo stato, ma prega senza indifferenza, ed invece di stare uniformato alla volontà divina, vuole più presto che Dio si uniformi alla sua, costui è simile ad un piloto che finge di volere, ma in fatti non vuole che la nave cammini, mentre gitta l'ancora in mare e poi spande le vele; a costui il Signore non dà luce né parla. Ma se voi lo supplicherete con indifferenza e risoluzione di eseguire la sua volontà, egli vi farà conoscere chiaramente lo stato migliore per voi. E se mai trovaste ripugnanza, ponetevi avanti il punto della morte, pensate all'elezione che vorreste in quel punto aver fatta, e quella fate.

14. Portatevi in quella casa un libro di meditazioni solite a farsi negli esercizj, e quelle meditazioni che leggerete vi serviranno in vece delle prediche; facendovi sopra così nella mattina come nella sera mezz'ora di riflessione per volta. Portatevi ancora qualche vita di santi o altro libro spirituale per farvi la lezione, e questi saranno i soli vostri compagni nella solitudine per quegli otto giorni. È necessario poi per aver questa luce e sentire quel che vi dice il Signore, che allontaniate da voi le distrazioni: Vacate et videte quoniam ego sum Deus (Psal. 45. 11). Per conoscer le divine chiamate bisogna sbrigarsi dal trattare col mondo. Ad ogni infermo nulla giovano i rimedj, se egli non li prende colla dovuta cautela, come di fuggir l'aria cruda, il cibo nocivo, la molta applicazione di mente; e così parimente, acciocché vi giovino gli esercizj per la salute dell'anima bisogna rimuovere le distrazioni nocive, come sono il ricever visite degli amici o ambasciate di fuori o lettere che vi vengono scritte. S. Francesco di Sales, quando stava agli esercizj mettea da parte le lettere che ricevea, e non leggevale se non terminati gli esercizj. Bisogna ancora lasciar di leggere libri curiosi ed anche di studio; allora bisogna studiare solamente il crocifisso. Perciò nella vostra camera non tenete altri libri che spirituali; e leggendoli, non li leggete per curiosità, ma solo per lo stesso fine di risolver lo stato di vita, che Dio vi farà conoscere voler da voi.

15. Di più non basta togliere le distrazioni esterne, bisogna ancora rimuovere le interne: perché se deliberatamente vi applicherete a pensare a cose di mondo o di studio o simili, poco vi serviranno gli esercizj e la solitudine. Dice s. Gregorio: Quid prodest solitudo corporis, si defuerit solitudo cordis? (Mor. lib. 30. cap. 12).
Pietro Ortiz agente di Carlo V volle andare al monastero di Monte-Cassino a fare gli esercizj; or mentre stava alla porta del monastero disse a' suoi pensieri quel che disse il nostro Salvatore a' suoi discepoli: Sedete hic, donec vadam illuc et orem (Matth. 26. 36): pensieri di mondo, trattenetevi qui fuori; finiti poi gli esercizj, ci rivedremo e parleremo. Mentre si sta agli esercizj bisogna valersi di quel tempo solamente per bene dell'anima, senza perderne un momento. Vi prego finalmente quando sarete negli esercizj di leggere questa breve orazione che qui sotto vi scrivo:

Dio mio, io son quel miserabile che per lo passato vi ho disprezzato; ma ora vi stimo ed amo sopra ogni cosa, né voglio amar altro che voi. Voi mi volete tutto per voi, ed io voglio essere tutto vostro. Loquere, Domine, quia audit servus tuus. Fatemi sapere quel che volete da me, ché tutto voglio farlo; e fatemi specialmente intendere in quale stato volete che io vi serva: Notam fac mihi viam in qua ambulem.

Raccomandatevi ancora negli esercizj con modo speciale alla divina Madre Maria, pregandola che vi ottenga la grazia di adempire perfettamente la volontà del suo figlio. E non vi dimenticate, quando farete gli esercizj, di raccomandarmi a Gesù Cristo, mentre io non lascierò di farlo con modo particolare per voi, acciocché il Signore vi faccia santo, come vi desidero; e con ciò mi protesto ec.

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=print&sid=1397)

Augustinus
31-07-06, 08:59
E a te, non può esser utile venire agli Esercizi?

Hai mai pensato che se il mondo ha bisogno di veri cattolici, la prima cosa che dobbiamo fare è cominciare dalla nostra conversione? Gesù, la nostra famiglia, L'Europa secolarizzata, le nuove povertà, il terrosimo islamico, i regimi totalitari... tutti chiedono la nostra conversione!

Può un'opera scritta nel XVI secolo essere valida oggi, alle soglie del terzo millennio? […] Il libro degli Esercizi Spirituali, a differenza degli altri, più che presentare una dottrina o una teoria, offre "una strada verso il vangelo", sulla base dell'esperienza del suo autore. Il valore (e l'attualità), dunque, degli Esercizi Spirituali "è legata a una personale esperienza del Signore, alla decisione di seguire il vangelo, che misteriosamente rimane sempre vivo".

È noto il pensiero di Ignazio: "La forza e l'efficacia di questi Esercizi Spirituali consiste nella loro pratica effettiva. Il nome stesso lo indica, ed è molto importante - aggiunge, con l'evidente intenzione di rincarare la dose - che chi li dà sia bene esercitato" (Epistolae et instructiones IX, 702). Lo stesso Ignazio - fatto insolito nell'agiografia, ma altamente significativo - parla di Esercizi Spirituali come di dono di particolare efficacia: sono mezzo di "capitale importanza" (Epistolae et instructiones XII, 142), uno strumento di cui Dio si è "servito grandemente", un'"optima via" (Directoria 106, 5).
Per Emanuele Miona, che era stato suo confessore, il santo nutriva sentimenti di particolare riconoscenza, "come di figlio a padre". Come, almeno "in parte", disobbligarsi? "Non vedo in questa vita altro mezzo - confessa candidamente il Nostro - che farle fare per un mese gli esercizi spirituali". A meno che non li abbia già "sperimentati e gustati. Se no, per il suo [di Dio] amore e la morte acerbissima che egli patì per noi, la prego di mettercisi. Qualora dovesse pentirsene, oltre la pena che mi vorrà infliggere e che io accetto, mi tenga pure per uno che si burla delle persone spirituali, cui deve tutto".

Come se questo non bastasse, aggiunge: "Due, tre e quante volte posso, le chiedo per il servizio di Dio N. S. quanto le ho detto finora. Non vorrei che nel giorno del giudizio sua divina maestà mi dicesse perché non gliel'ho domandato con tutte le mie forze". E, ricorrendo ad affermazioni rivelatrici di un Ignazio veramente imprevedibile, arriva a dichiarare: "Gli Esercizi sono tutto il meglio che io in questa vita possa pensare, sentire e comprendere sia per il progresso personale di un uomo sia per il frutto, l'aiuto e il progresso rispetto a molti altri".

Questo significa anche che, nella mente del loro autore, gli Esercizi Spirituali hanno particolare valenza apostolica, come si evince anche dal seguito: "Se lei non ne sentisse la necessità per se stesso, ne potrebbe vedere l'inestimabile e incalcolabile profitto per gli altri".

Esagerazione? Non è nello stile di Ignazio. Si tratta piuttosto della sua netta convinzione di essere depositario di un carisma da sfruttare. Lo leggiamo nella conclusione della lettera: "Supplico l'immensa clemenza di Dio N. S. che ci dia la sua grazia perché sentiamo la sua santissima volontà e ce la faccia compiere perfettamente secondo il talento affidato ad ognuno, in modo che non si dica: "Servo malvagio, tu sapevi..."" (Epistolae et instructiones I, 111-113).

Unanime il giudizio sulla validità degli Esercizi Spirituali da parte dei gesuiti della prima Compagnia: tutti ne hanno parlato come di uno speciale carisma. Secondo Polanco, Ignazio è stato "a Domino edoctus et illustratus his Exercitiis" [edotto e informato dal Signore in questi Esercizi], che, vera arma spirituale (l'immagine dell'arma ricorre in molti altri documenti. Si veda Directoria 245, nota 10), sono stati dati "quale singolare dono di Dio alla Compagnia per un singolare progresso delle anime" (Directoria 274, 2). Sono, scrive il Nadal, una "peculiare grazia di Dio" (Exercitia Spiritualia 35) e hanno in sé "magnam vim" [grande forza] (Directoria 131, 41). Per spiegare tale "admirabilem efficaciam", leggiamo altrove, bisogna rifarsi alla "divina voluntas". "Dio, infatti, conferisce efficacia a chi a lui piace, manifestando così la sua potenza" (come nel caso di Stefano, il cui discorso, continua Nadal, non contiene niente che non sia nella Scrittura. "Mirabilem tamen videmus efficaciam habuisse, cuius rei non aliam quam Dei voluntas possumus reddere rationem", Directoria 120, 2).

In maniera più lapidaria, Polanco scrive che la Compagnia si serve "specialmente degli Essercitii spirituali o, per meglio dirsi, della pratica et modo di quelli". La quale - aggiunge, anche se mettendo tra parentesi - "è nova et non così loro in sé" (Exercitia Spiritualia 35). Le verità, cioè, sono quelle di sempre. La novità deriva loro dal fatto che sono un carisma.

Lo mette a fuoco anche Ribadeneira in una lettera al p. Girón: "Umanamente parlando", non si può spiegare come da concetti appresi a scuola e attinti da libri, per quanto spirituali, possano seguire conversioni, riforme di costumi e frutti tanto eccellenti "se il Signore non avesse conferito ad essi una speciale grazia per effetti simili" (FN III, 600; Cfr., per citazioni analoghe, Directoria 107, nota 7).

Esattamente perché "speciale grazia e singolare dono di Dio", gli Esercizi Spirituali, oltre a essere efficaci, sono pure attuali.

Lo hanno evidenziato anche i papi dei nostri tempi. Ricordo che Pio XI ha scritto sugli Esercizi l'enciclica Mens nostra, di cui ho riportato larghi stralci in: Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1992/8, pp. 27-30. A p. 32 ho pure trascritto il discorso di Giovanni Paolo II all'Angelus del 16 dicembre 1979. Paolo VI, per esempio, quando, il 29.12.1965, ha detto della necessità di "dare, specialmente in Italia, alla predicazione un'espressione più forte, più conclusiva, più persuasiva di quanto non abbia avuto finora. E sappiamo - ha aggiunto - che la predicazione più efficace è proprio quella degli Esercizi".

Giovanni Paolo II, nel messaggio per il venticinquesimo anniversario della FIES (6 agosto 1989), si è, tra l'altro, augurato che "uno dei frutti più ricchi della presente circostanza sia un rinnovato impegno, da parte dei fratelli nell'episcopato e dei sacerdoti, nel ricondurre molti all'esperienza degli Esercizi per offrire così una vigorosa occasione di ripresa alla spiritualità di tutto il popolo di Dio". "La vita spirituale - ha ancora scritto il papa - trova proprio negli Esercizi una delle insostituibili fonti di grazia di cui anche il nuovo Codice di Diritto Canonico sottolinea il valore e l'obbligo per i ministri sacri" (cfr. CJC, can. 276, 2c, 4). Il nuovo Codice parla ancora di Esercizi Spirituali ai cann. 246, 5 (seminaristi), 553 (sacerdoti), 663, 5 (religiosi), 719, 1 (membri degli istituti secolari), 1039 (candidati agli ordini sacri)

Non meno importante è l'intervento dello stesso Giovanni Paolo II in occasione del trentesimo anniversario della fondazione della FIES, anche perché vi troviamo inserita la "ponderata descrizione" - come ha affermato lo stesso pontefice - degli Esercizi Spirituali, riportata dall'art. 1 dello Statuto della Federazione: "Forte esperienza di Dio, suscitata dall'ascolto della sua Parola, compresa e accolta nel proprio vissuto personale, sotto l'azione dello Spirito Santo, che, in un clima di silenzio e di preghiera e con la mediazione di una guida spirituale, dona la capacità di discernere, in ordine alla purificazione del cuore, alla conversione della vita e alla sequela di Cristo, per il compimento della propria missione nella Chiesa e nel mondo".

Per essere meno incompleto nel dire del pensiero dei papi, accenno ancora alla necessità dell'aggiornamento e della fedeltà al metodo. "Guai - ha precisato Paolo VI, con l'abituale incisività, il 29.12.1965 - se gli Esercizi spirituali, per avere quel paradigma meraviglioso e magistrale che sant'Ignazio ha loro lasciato, diventassero una ripetizione formalistica e, direi, pigra di questo schema". Dopo avere invitato a vedere le ricchezze del testo (cfr. nota 47), ha concluso: "C'è tutta una rielaborazione degli Esercizi che noi auguriamo davvero che i nostri bravi sacerdoti sappiano dare".

"Fra i parecchi metodi lodevoli per dare Esercizi ai laici - ha scritto Paolo VI al card. Cushing (25.7.1966) - quello basato sugli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola, fin dall'approvazione data da Paolo III nel 1548, è il più largamente usato. I direttori di ritiri, d'altronde, non devono mai cessare di approfondire l'efficacia delle ricchezze dottrinali e spirituali del testo ignaziano e di esprimere queste ricchezze secondo la teologia del Concilio Vaticano II. Il ritiro non deve divenire uno studio dei documenti conciliari; il direttore deve, però, presentare i temi degli Esercizi, qualunque sia il metodo di cui si serve, in un contesto teologico familiare ai laici di oggi".

Ma questo non autorizza ad accedere a peregrine sperimentazioni: "Sarebbe tuttavia un errore - continua il papa - diluire il ritiro degli esercizi con innovazioni che, per quanto buone in se stesse, riducessero l'efficacia del ritiro chiuso". Lo aveva sottolineato Pio XII il 24.10.1948: "L'efficacia degli Esercizi di sant'Ignazio si ha quando si conserva la fedeltà allo spirito e al metodo. ( ... ) Non è certo il metodo ad aver perduto efficacia o a non corrispondere alle esigenze dell'uomo moderno. Al contrario è una triste realtà che il liquore perde di forza e la macchina di potenza, quando si diluisce nelle acque incolori di un eccessivo adattamento e quando si smontano i pezzi fondamentali dell'ingranaggio ignaziano. Gli Esercizi di sant'Ignazio saranno sempre uno dei mezzi più efficaci per la rigenerazione spirituale del mondo e per il suo retto ordinamento, ma a condizione che continuino ad essere autenticamente ignaziani".

"Queste iniziative - come attività di gruppo, discussioni religiose e ricerche di sociologia religiosa - hanno il loro posto nella Chiesa, ma il loro posto non è il ritiro chiuso, nel quale l'anima, sola con Dio, riceve generosamente l'incontro con lui, ed è da lui meravigliosamente illuminata e fortificata".

È il pensiero di Ignazio, così come esposto, per esempio, nella quindicesima "annotazione". Il numero 114 (luglio-settembre 1993) di Tempi dello Spirito raccoglie i documenti del magistero sugli Esercizi Spirituali dal 1964 al 1993 [Cf. anche l'annotazione 20: "Da questo isolamento derivano, fra molti altri, tre vantaggi principali. Primo: chi si distacca da molti amici e conoscenti, e anche da molte occupazioni non bene ordinate, per servire e lodare Dio nostro Signore, acquista un grande merito davanti alla divina Maestà. Secondo: chi sta così appartato, non avendo la mente distratta da molte cose, ma ponendo tutta l'attenzione in una sola, cioè nel servire il Creatore e nel giovare alla propria anima, può impegnare più liberamente le sue facoltà naturali per cercare con diligenza quello che tanto desidera. Terzo: quanto più un'anima si trova sola e appartata, tanto più diventa capace di avvicinarsi e di unirsi al suo Creatore e Signore; e quanto più gli si unisce, tanto più si dispone a ricevere grazie e doni dalla somma e divina bontà". n.d.r.].

Importanza e attualità degli "Esercizi" (Testo tratto da: S. IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali. Ricerca sulle fonti. Edizione con testo originale a fronte a c. di PIETRO SCHIAVONE S.J., Cinisello Balsamo (MI): San Paolo, 1995, pp. 51-56)

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=print&sid=1405)

Augustinus
31-07-06, 09:03
Comprendere bene il vinci te stesso

Aiutati ché il cielo ti aiuta.

Gli uomini formati dalla spiritualità di S.Ignazio credono alla sapienza del proverbio comune: "Aiutati, che il Cielo ti aiuta!". La massima dell'autore degli Esercizi è pressappoco uguale: "Prima di agire fare ogni cosa come se tutto dipendesse solo da noi; dopo l'azione riconoscere che il risultato è dipeso da Dio solo".
Tutti costoro non soltanto si richiamano al buon senso e all'esperienza vissuta, ma hanno pure notato che, nel Vangelo, Nostro Signore non ha detto: "Chi vuol venire dietro a me, mi ami" ; ma "chi vuol venire dietro di me, porti la sua croce" - il che non significa "dispensarsi dall'amare", ma che "l'amare dev'essere prima di tutto abnegazione".
Alcuni trovano la spiritualità dei Gesuiti troppo "volontarista": "Mi chiederò ciò che voglio ottenere" - "Lottare contro" - "Farsi indifferenti" - "Segnalarmi". Tutto questo sente lo sforzo, come certi scritti sentono l'olio.
Guardiamoci bene dall'esagerare le esigenze di sant'Ignazio!
... Il creatore degli Esercizi è tanto lontano dal rappresentare una persona che faccia poco conto o disprezzi l'amore, che fin dagli inizi della Compagnia di Gesù, ciò che gli avversari vedevano soprattutto negli amici del "Pellegrino" era un'accolta di persone che predicavano troppo una vita di amore e nell'amore, e ciò che i discepoli venivano a cercare dal maestro era appunto la conoscenza dell'arte di amare. L'esclamazione del Domenech, dice il Cocleo, a cui il B. P. Fabro diede gli esercizi, è molto bella e istruttiva allo scopo: "Mi rallegro che finalmente si trovano dei Maestri per imparare ad amare". Gaudeo quod tandem magistri circa affectus inveniantur.
Di fronte al Luteranesimo, che era un appello al sentimento contro il dogma tradizionale, gli Esercizi apportavano alle masse, alquanto inaridite dalle controversie delle scuole e dal formalismo convenzionale della predicazione, il soccorso delle intuizioni profonde del cuore, e questo nella linea dell'insegnamento tradizionale. Ecco la verità.
L'abate Christiani lo fa notare molto bene nella sua vita di san Pietro Canisio: "Contrariamente a quello che noi potremmo pensare, ciò che seduceva le anime di allora non era affatto l'armatura logica degli Esercizi. Di logica astratta si era sazi. L'arida dialettica delle scuole aveva perduto ogni prestigio. Per mezzo di una rivoluzione, che non è senza esempi nella storia d'elle idee, la comparsa del sentimento negli Esercizi ridonava e vita e forza alle dottrine concettuali".
Santa Maria Maddalena de' Pazzi, illuminata spesso da Dio inferiormente sulla vita profonda della Compagnia di Gesù, non ha esitato ad affermare che lo spirito di sant'Ignazio è identico a quello di san Giovanni Evangelista, perché è uno spirito di amore.

Comprendere bene il "vinci te stesso".

La disciplina proclamata da sant'Ignazio non è punto esagerata. Vincersi, sì; è proprio il Vangelo e la dottrina di tutti i maestri.
Che dice, infatti, san Paolo nel corso delle sue Lettere? Si trova il linguaggio d'Ignazio troppo volontarista, troppo militare, troppo sul tipo: "avanti, via!". Ma si ascolti il codice di vita inferiore promulgato dall'Apostolo. Se le immagini guerriere v'intorbidano la vista, non leggete san Paolo per carità!
"Combatti il buon combattimento... - Lavora come un buon soldato del Cristo... - Le tue armi non siano quelle della carne, ma quelle di Dio, le armi della luce...".
Ma le metafore troppo violente vi spiacciono, e desiderate qualcosa di morbido, di pacifico, di meno aggressivo che non questo terribile agere contra, che vi fa l'effetto di un cilicio. E allora non mettetevi a leggere le Lettere di san Paolo.
"Corro, combatto, dò colpi. Castigo il mio corpo e lo riduco in servitù... Essere inchiodato alla croce con Cristo... Imprimere nelle mie membra le stimmate del Salvatore Gesù...Compiere ciò che manca alla Passione del Redentore".
Dicevate di volere l'amore? Allora non occorre andar più lontano, perché non troverete mai un'altra. materia di uguali prodezze, mai un programma più divinamente esaltante. Soltanto intendiamoci bene: Volete un amore che sia solo di riposo? No: ma un amore virile, assetato di produrre delle prove, un amore vero!
Bisognerà dunque distruggere tutto? Vincermi è presto detto; ma in sé è una realtà terribile !
Certamente; tuttavia bisogna intenderci bene.
Vincere non significa demolire. Alcune volte, è vero, non c'è altra via di uscita: ma dove è possibile, Inabilità consisterà non nel gettare a terra il tempio dei falsi dei, ma piuttosto nel servirsene per il culto del Dio unico. Alcune nostre potenze sono pericolose; tuttavia sant'Ignazio non parla di sterminarle; al contrario abbiamo già veduto come egli cerchi molto più di sfruttare e l'immaginazione e la sensibilità.
Come fa notare il filosofo Maurizio Blondel, c'è in noi la bestia, il fanciullo e l'uomo.
La bestia bisogna domarla; il fanciullo si dovrà spesso incoraggiare: "Orsù, anima mia..." dirà san Francesco di Sales e sono note le parole pittoresche con le quali si propone di rialzarsi dopo una caduta; quanto all'uomo, se è già così cresciuto da non avere più bisogno del latte dei piccoli, ma di nutrirsi del pane dei forti, si deve sapergli domandare molto e, nel caso fosse di poco coraggio, trascinare a poco a poco a grandi cose. "Non bisogna parlare alle nostre potenze il medesimo linguaggio, come il padre di famiglia non comanda allo stesso modo agli animali, ai servi, ai figli, alla sposa" (L'Action", Alcan, p. 190)
È questione di opportunità, di abilità, di tatto. L'anima è capace delle vette! E dunque non esitiamo! Bisogna quindi proporre la formazione completa e senza riserve. La natura strepiterà; che importa? Si tratta di condurre l'amore fino all'estremo dell'amore.
Nel suo ritiro spirituale del 1876 a Clamart, Monsignor d'Hulst, vinto dalla logica trionfante della grazia, scriveva:
"Ho combattuto tutto il giorno con le preghiere straordinarie, che il Santo ci fa fare al termine dei "Due stendardi" e nei "Tre modi di umiltà". C'è voluto del tempo perché comprendessi ch'io potevo e dovevo domandare sinceramente delle cose, che sono tanto al di sopra della mia virtù e cosi lontane, ahimè! dai miei sentimenti. Ma finalmente sulla parola di sant'Ignazio e di tutti i suoi interpreti, le ho domandate di buon cuore e sto per ridomandarle per protestare contro le riserve e le restrizioni della natura e per ottenere di fare almeno un breve passo innanzi lungo la via, al termine della quale si trovano queste cose sublimi".

[Tratto da "A Dio", del P. R. Plus S.I.]

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=article&sid=1414)

Augustinus
31-07-06, 09:05
PIO XI

LETTERA ENCICLICA
MENS NOSTRA

SULL'IMPORTANZA DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi,
Primati, Arcivescovi, Vescovi
e agli altri Ordinari locali
che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Vi sono certamente note, Venerabili Fratelli, le intenzioni che Ci mossero all’inizio di quest’anno a promulgare uno straordinario Giubileo per tutto il mondo cattolico in occasione del cinquantesimo anniversario del Nostro Sacerdozio. Infatti, come abbiamo solennemente dichiarato nella Costituzione Apostolica « Auspicantibus Nobis » del 6 gennaio 1929 [1], non solo intendevamo invitare tutti i diletti figli della grande famiglia, che il Cuore di Dio ha affidato al cuore Nostro, ad unirsi al giubileo del Padre comune per rendere comuni grazie al sommo Datore di ogni bene; ma in modo particolare Ci arrideva la dolce speranza che, aprendo più largamente i tesori spirituali di cui il Signore Ci ha costituiti amministratori, i fedeli ne avrebbero tratto felice opportunità per rinvigorirsi nella fede, per crescere nella pietà e nella perfezione cristiana e per riformare più efficacemente i costumi privati e pubblici: donde, come frutto della piena pacificazione dei singoli con se stessi e con Dio, sarebbe anche venuta la mutua pacificazione degli animi e dei popoli.

Né vana fu la Nostra speranza. Infatti, quel mirabile slancio di devozione, con cui venne accolta la promulgazione del Giubileo, lungi dall’affievolirsi, andò anzi sempre crescendo, concorrendovi il Signore anche coi memorandi avvenimenti che renderanno imperituro il ricordo di quest’anno veramente salutare.

E Noi, con indicibile consolazione, abbiamo potuto in gran parte seguire con gli occhi Nostri questo magnifico aumento di fede e di pietà attraverso le schiere così varie e così numerose di tanti figli carissimi, che Ci fu dato personalmente vedere e accogliere nella Nostra casa, e che potemmo, stavamo per dire, stringere al Nostro cuore paterno.

Ora, mentre dall’intimo dell’animo Nostro innalziamo al Padre delle misericordie un caldo inno di ringraziamento per tanti e così segnalati frutti che Egli si è degnato seminare, maturare e raccogliere nella sua vigna lungo tutto quest’anno giubilare, la Nostra stessa pastorale sollecitudine Ci muove a vivamente desiderare che tali e tanti frutti si conservino e crescano a bene dei singoli, e per ciò stesso a bene dell’intera società.

Riflettendo su come ciò possa essere conseguito, Ci sovviene che il Nostro Predecessore di felice memoria Leone XIII, nell’indire il sacro Giubileo in altra occasione, con parole che nella già ricordata Costituzione «Auspicantibus Nobis » facemmo Nostre [2], esortava tutti i fedeli « a raccogliersi un poco in se stessi e ad innalzare i pensieri immersi nelle cose terrene a cose migliori » [3]. Ci sovviene altresì che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X, così zelante promotore e vivo esempio di santità sacerdotale, durante l’anno giubilare del suo sacerdozio, in una piissima e memoranda « Esortazione » al clero cattolico [4] dava documenti preziosi di vita spirituale.

Orbene, procedendo sulle orme di questi Pontefici, abbiamo giudicato opportuno fare anche Noi qualche cosa per promuovere un’iniziativa dalla quale confidiamo possano derivare molti rilevanti vantaggi a favore del popolo cristiano. Intendiamo parlare della pratica degli Esercizi spirituali, che desideriamo vivamente venga diffusa in larga scala non solo fra l’uno e l’altro clero, ma anche fra le schiere dei cattolici laici, in modo che sia possibile lasciare ai Nostri diletti figli un ricordo di questo anno sacro. Ciò facciamo tanto più volentieri al tramonto di questo anno giubilare del Nostro Sacerdozio. Infatti, nulla di più lieto possiamo avere che ricordare le grazie celesti e le ineffabili consolazioni da Noi sperimentate negli Esercizi spirituali che fummo soliti frequentare assiduamente, tanto che essi segnarono quasi le varie tappe della Nostra vita sacerdotale. Da essi attingemmo luce e forza per conoscere e compiere la volontà divina, e con non minore soddisfazione ripensiamo al ministero sacerdotale da Noi esercitato per lunghi anni, nel corso del quale Ci fu concesso di dedicarCi più e più volte all’opera degli Esercizi spirituali, e potemmo constatare gl’immensi salutari effetti che ne derivano al bene delle anime.

E veramente, Venerabili Fratelli, sotto molti rispetti si constatano la somma importanza, utilità, opportunità di questi santi ritiri specialmente nei tempi che corrono. La grande malattia dell’età moderna, fonte precipua dei mali che tutti deploriamo, è la mancanza di riflessione, quell’effusione continua e veramente febbrile verso le cose esterne, quella smodata cupidigia delle ricchezze e dei piaceri, che a poco a poco affievolisce negli animi ogni più nobile ideale, li immerge nelle cose terrene e transitorie e non permette loro di assurgere alla considerazione, delle verità eterne, delle leggi divine, di Dio, unica fonte di tutto ciò che esiste, unico fine dell’universo creato, il quale nella sua infinità bontà e misericordia, ai giorni nostri, con effusione straordinaria di grazie, potentemente attira a sé le anime, nonostante la corruzione che dappertutto s’infiltra.

Ora, ad un morbo così profondo della famiglia umana, quale rimedio migliore possiamo Noi proporre che invitare tutte queste anime dissipate e stanche al raccoglimento degli Esercizi?

E veramente anche se gli Esercizi spirituali non consistessero in altro che nell’appartarsi per qualche tempo dalle assillanti occupazioni e preoccupazioni terrene per riposare lo spirito nella quiete non oziosa di un ritiro e nel silenzio di tutte le cose esteriori, per dare comodità all’uomo di pensare ai problemi più vitali che, nei segreti più intimi della coscienza, hanno sempre preoccupato e preoccupano l’umanità, cioè ai problemi della sua origine e del suo fine, « donde venga e dove vada », sarebbe già un grande ristoro per l’anima.

Gli Esercizi spirituali, costringendo l’uomo all’interiore lavoro dello spirito alla riflessione, alla meditazione, all’esame di se stesso, sono per le umane facoltà una mirabile scuola di educazione in cui la mente impara a riflettere, la volontà si rafforza, le passioni si dominano, l’attività riceve una direzione, una norma, un impulso efficace e tutta l’anima assurge alla sua nativa nobiltà e grandezza, conforme a ciò che il Pontefice San Gregorio nel suo libro Pastorale afferma con elegante similitudine: «La mente umana, a guisa dell’acqua, se è rinchiusa si raccoglie in alto, perché ritorna là donde discende; se è rilasciata si disperde, perché si effonde inutilmente in basso » [5].

Oltre a ciò, nel ritiro degli Esercizi spirituali, non solo « la mente, lieta nel suo Signore, viene eccitata come da certi stimoli del silenzio e rinvigorita da ineffabili rapimenti », come dice Sant’Eucherio, Vescovo di Lione [6], ma soprattutto viene con divina larghezza convitata a quel « celeste nutrimento » di cui parla Lattanzio: « poiché nessun cibo è più soave all’anima che la cognizione della verità » [7]; viene ammessa a quella « scuola di celeste dottrina e palestra di arti divine » [8] come la chiama un antico autore che per lungo tempo fu creduto S. Basilio Magno, dove « Dio è tutto quello che si impara, è la via per cui si tende, è il tutto per cui si giunge alla cognizione della verità » [9].

Pertanto, gli Esercizi non solo perfezionano le naturali facoltà dell’uomo, ma hanno un mirabile potere nel formare l’uomo soprannaturale, cioè il cristiano. Nei tempi difficili in cui viviamo, nei quali il vero senso di Cristo, lo spirito soprannaturale, essenza della nostra santa religione, soffre tanti ostacoli ed impedimenti, nell’imperversare del naturalismo, che tende ad illanguidire la vivezza degli ideali della fede e a smorzare gli ardori della carità cristiana, è quanto mai salutare sottrarre l’uomo a quel fascino « della vanità » che « oscura il bene »[10], e trasportarlo in quella beata solitudine, ove in un celeste magistero l’anima apprende il vero valore dell’umana esistenza, riposta appunto nel servizio a Dio, il salutare orrore alla colpa il santo timore di Dio, la vanità delle cose cose terrene, e nella contemplazione di Colui che è « via e verità e vita » [11] impara a deporre l’uomo vecchio [12] e a rinnegare se stesso, e nell’esercizio dell’umiltà, dell’ubbidienza, della mortificazione, a rivestirsi di Cristo, fino a giungere a quell’« uomo perfetto » e a quella « misura dell’età piena di Cristo » [13] di cui parla l’Apostolo, anzi fino a poter dire con lui: «Vivo non già io, ma vive in me Cristo » [14]: sublimi ascensioni e divina trasformazione che l’anima compie sotto l’azione della grazia invocata nelle più frequente e fervorosa preghiera, attinta nella partecipazione più devota ai sacrosanti misteri.

Inestimabili beni soprannaturali sono questi, Venerabili Fratelli, nel felice possesso dei quali solamente è riposta la quiete, il riposo, la vera pace, suprema aspirazione dell’anima, a cui tende con profonda nostalgia il mondo moderno, ma che invano ricerca nel perseguimento di terreni ideali, nel turbine della vita. L’esperienza di anime veramente innumerevoli attraverso i secoli ha luminosamente dimostrato, e dimostra oggi forse più che mai, questo mirabile potere pacificatore e santificatore riposto nel sacro ritiro degli Esercizi spirituali, da cui le anime escono « radicate ed edificate » [15] in Cristo, piene di luce, di vigore, di felicità « che supera ogni senso » [16].

Ma da questa pienezza della vita cristiana, che gli Esercizi spirituali apportano e perfezionano, oltre il frutto soavissimo della pace interiore, germoglia quasi spontaneo un altro importantissimo frutto che ha una più larga risonanza sociale: lo spirito di apostolato. È infatti naturale effetto della carità che un’anima, quando è piena di Dio, senta il bisogno di comunicare alle altre anime la conoscenza e l’amore dell’infinito Bene che essa ha trovato e possiede.

Orbene in questi tempi di immensi bisogni per le anime, quando le lontane regioni delle Missioni « già biondeggiano per la mietitura » [17] e domandano sempre più numerosi operai; quando nei nostri stessi paesi le crescenti necessità spirituali dei popoli esigono numerosi e scelti manipoli di ben formati apostoli nell’uno e nell’altro Clero dispensatori dei misteri di Dio, e, partecipanti all’apostolato gerarchico, le schiere dei laici consacrati ai molteplici rami dell’Azione Cattolica, Noi, Venerabili Fratelli, ammaestrati dall’esperienza della storia, negli Esercizi spirituali vediamo e salutiamo i provvidenziali Cenacoli, dove i cuori generosi, sotto l’influsso della grazia, apprezzando degnamente al lume delle eterne verità e degli esempi di Cristo il valore inestimabile delle anime, sentiranno la voce del Signore che li invita a farsi suoi cooperatori nella redenzione del mondo, in quel qualunque stato di vita, a cui, con saggia elezione, conosceranno essere chiamati a servire il loro Creatore, e dove apprenderanno gl’ideali, i propositi, gli ardimenti dell’apostolato cristiano.

Del resto, tale fu sempre la via ordinaria tenuta dal Signore per formare i suoi Apostoli. Perciò il divino Maestro, non contento del lungo nascondimento di Nazareth, volle premettere alla sua vita pubblica il severo ritiro di quaranta giorni nel deserto. Perciò in mezzo alle fatiche della predicazione evangelica, spesso invitava gli Apostoli al silenzio dell’isolamento: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco » [18]; perciò soprattutto volle che, dopo la sua Ascensione, gli Apostoli ricevessero la loro ultima formazione nel Cenacolo di Gerusalemme: « perseverando concordi nella preghiera » [19], in attesa dello Spirito Santo in quel memorando ritiro di dieci giorni, che furono, quasi oseremmo dire, i primi Esercizi spirituali praticati nella Chiesa, dai quali anzi la Chiesa stessa nacque con tutta la sua sempre giovanile vigoria: beato ritiro in cui, sotto lo sguardo e nella materna assistenza di Maria, si formarono, insieme con i primi Apostoli, coloro che vorremmo chiamare i precursori dell’Azione Cattolica.

Da quel giorno la pratica degli Esercizi spirituali, se non nel nome e nella forma quale ora si usa, almeno nella sostanza, divenne « famigliare agli antichi cristiani » [20], come dice san Francesco di Sales, e ne troviamo chiari accenni nelle opere dei Santi Padri. Così, per esempio, San Girolamo alla nobile matrona Celanzia: « Scegliti — scriveva — un luogo adatto e lontano dallo strepito della famiglia, in cui tu possa ripararti come in un porto. Quivi lo studio della divina Scrittura sia così intenso, così frequente il ritorno alla preghiera, tanto assidua la riflessione sulle cose future che tu abbia da compensare con questo riposo tutte le occupazioni degli altri tempi. Né diciamo questo quasi volessimo distoglierti dai tuoi: anzi, con ciò intendiamo che ivi tu impari e mediti quale poi tu debba mostrarti verso i tuoi » [21]. Nel medesimo secolo il grande Vescovo di Ravenna, San Pietro Crisologo, lanciava a tutti i fedeli il noto eloquente invito: «Abbiamo dato al corpo un anno, diamo all’animo alcuni giorni… Viviamo un po’ di tempo per Dio, noi che siamo vissuti interamente per il mondo… Risuoni la divina voce ai nostri orecchi: lo strepito domestico non turbi il nostro udito… Così agguerriti, o fratelli, così ammaestrati, dichiareremo guerra al peccato… sicuri della vittoria » [22].

Anche in seguito, lungo i secoli, gli uomini hanno sempre sentito l’attrattiva della tranquilla solitudine, dove l’anima, lontana da qualsiasi osservatore, potesse dedicarsi alle cose divine, e quanto più burrascosi erano i tempi, tanto più forte si faceva sentire l’impulso dello Spirito Santo che sospingeva nel deserto le anime sitibonde di giustizia e di verità, « affinché più assiduamente libere dagli appetiti corporei, possano attendere alla divina sapienza nell’intimo della loro mente, dove, tacendo ogni strepito di sollecitudini terrene, si rallegrino in sante meditazioni e nelle delizie eterne » [23].

Più tardi Dio suscitò nella sua Chiesa illuminati Maestri della vita soprannaturale che diedero sapienti norme e proposero metodi di ascesi attinti alla divina rivelazione ed all’esperienza propria e dei secoli cristiani, e non senza particolare provvidenza del Signore ne uscirono, per opera del grande Servo di Dio Ignazio di Loyola, gli Esercizi spirituali propriamente detti: « tesoro, — come lo chiamava quel venerabile uomo dell’inclito Ordine di San Benedetto, Ludovico Blosio, citato da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori in una bellissima lettera « sugli Esercizi in solitudine— tesoro, che Dio ha manifestato alla sua Chiesa in questi ultimi tempi, per il quale gli si devono rendere speciali azioni di grazie » [24].

Da questi Esercizi, che ben presto sollevarono sì gran fama di sé nella Chiesa, prese ispirazione per correre ancor più generoso nella vita della santità, tra gli altri molti, il Nostro veneratissimo e per tanti titoli a Noi carissimo San Carlo Borromeo, il quale, come avemmo Noi stessi altra volta l’opportunità di ricordare, « ne divulgò l’uso nel clero e nel popolo » [25] non solo con l’impulso del suo zelo e l’autorità del suo nome, ma anche con regole e direttòrii speciali; e giunse persino a farsi fondatore di una casa esclusivamente destinata per gli Esercizi stessi secondo il metodo di Sant’Ignazio. Ad essa diede il nome di «Asceterium», la prima forse, a quanto si sappia, di tal genere: esempio imitato poi ben presto felicemente in ogni parte.

Corrispondente alla stima sempre crescente che si andava diffondendo nella Chiesa per gli Esercizi spirituali, fu il moltiplicarsi di tali Case riservate per questi sacri ritiri, quasi oasi verdeggianti e feconde nel deserto del pellegrinaggio terreno, destinate a raccogliere separatamente i fedeli dell’uno e dell’altro sesso ad un periodo di spirituale ristoro. Dopo l’immane tragedia della guerra, di fronte al profondo rivolgimento sociale che essa ha portato, al tramonto di tante illusioni, al riaffermarsi più potente in molte anime di elevate aspirazioni, ecco risvegliarsi mirabilmente in molti, sotto il soffio dello Spirito Santo, il bisogno dei Ritiri spirituali. Anime desiderose di una vita migliore e più santa, altre sbattute dalle tempeste della vita, dalle preoccupazioni dell’esistenza, dalle distrazioni e dalle seduzioni del mondo, anime avvelenate da una atmosfera satura di razionalismo e di sensualità, cercano rifugio in questi asili di pace, in queste case di preghiera, ove possano riposare lo spirito, ritemprare le forze, orientare soprannaturalmente il cammino della vita.

Dal canto Nostro, mentre dall’intimo del cuore godiamo di tale salutare movimento e vi scorgiamo un efficacissimo rimedio ai mali presenti, siamo risoluti ad assecondare, per quanto sta in noi, i pietosi disegni della Divina Bontà e a non lasciare passare invano questo invito dello Spirito Santo che oggi spira in molti cuori.

Noi Ci apprestiamo a compiere ciò con animo particolarmente lieto, osservando quanto è stato compiuto dai nostri predecessori. Infatti, questa stessa Sede Apostolica, dopo aver tante volte raccomandato gli Esercizi spirituali con la parola, ha voluto precedere i fedeli anche con l’esempio, e già da parecchio tempo, di quando in quando suole per alcuni giorni convertire in Cenacolo di meditazione e di preghiera le auguste aule Vaticane; consuetudine, che Noi ben volentieri abbiamo seguito con grande gioia e conforto. E per procurare in più larga misura questa gioia e questo conforto a Noi ed a quanti più da vicino Ci assistono, soddisfacendo ai loro pii desiderii, abbiamo dato le opportune disposizioni affinché un corso di santi spirituali Esercizi abbia luogo ogni anno in questa Nostra Sede Vaticana.

Anche voi, Venerabili Fratelli, conoscete ed apprezzate altamente gli Esercizi spirituali, coi quali avete temprato dapprima il vostro spirito sacerdotale e vi siete poi preparati alla pienezza del sacerdozio, e ad essi, non di rado, alla testa dei vostri sacerdoti ricorrete per rinfrancare gli animi vostri nella contemplazione dei beni celesti. Ciò costituisce certamente un’apprezzabile azione, per la quale vogliamo darvi un doveroso e pubblico elogio. Sappiamo inoltre, (ed anche questo additiamo come esempio da imitare, tanto più luminoso quanto più alto e di natura sua meno frequente) che in alcune regioni tanto dell’Oriente che dell’Occidente i Vescovi, con a capo il loro Metropolita o Patriarca, talvolta si sono riuniti insieme per attendere ad un ritiro spirituale tutto proprio e adatto alla loro eccelsa dignità e ai doveri che ne derivano. Il che forse non sarà troppo difficile da imitare quando specialmente gravi ragioni chiamano a raccolta tutti i Presuli di una Provincia Ecclesiastica, o per provvedere con comuni decisioni ai più urgenti bisogni spirituali dei loro greggi o per prendere più efficaci deliberazioni secondo le esigenze del momento. Così Noi stessi pensavamo di fare coi Vescovi della regione Lombarda quando per brevissimo tempo fummo preposti alla Chiesa Metropolitana di Milano, e l’avremmo eseguito in quello stesso primo anno, se altri disegni non avesse avuto e compiuto la divina Provvidenza sulla Nostra umile persona.

I sacerdoti e i religiosi, già prima che fosse loro prescritto l’uso degli Esercizi per legge della Chiesa, con lodevole frequenza si valevano di questo mezzo di santificazione; così ora con tanto maggiore impegno vi si applicheranno quanto più solenne è la voce dei sacri Canoni che a questo li sprona.

I sacerdoti del Clero secolare siano fedeli nel frequentare gli Esercizi spirituali almeno nella così discreta misura prescritta loro dal Codice di Diritto Canonico [26], e vi apportino tanto maggior desiderio di trarne frutto, quanto più in mezzo alle sollecitudini del loro ministero sentiranno il bisogno di quella pienezza di spirito che è loro necessaria perché possano, com’è loro dovere, effonderla sulle anime loro affidate. Così hanno sempre sentito i sacerdoti più zelanti, così hanno praticato ed insegnato tutti quelli che si distinsero nella direzione delle anime e nella formazione del Clero, come, per citare un esempio moderno, il Beato Giuseppe Cafasso, da Noi recentemente elevato agli onori degli altari. Egli appunto degli esercizi spirituali si valeva per santificare se stesso e i suoi confratelli di sacerdozio; e fu al termine di uno di tali ritiri che con sicuro intuito soprannaturale poté indicare ad un giovane sacerdote suo penitente, quella via che la Provvidenza gli assegnava e che lo condusse poi a diventare il Beato Giovanni Bosco, per il quale nessun elogio è sufficiente.

I Religiosi, poi, che ogni anno sono chiamati ai sacri Esercizi [27], qualunque sia la regola sotto cui militano, vi troveranno una miniera inesauribile e ricca di ogni genere di tesori, a cui tutti possono attingere secondo i loro particolari bisogni per perseverare e progredire nella pratica più perfetta della legge e dei consigli evangelici. Gli annui Esercizi sono per loro come un mistico « albero della vita » [28], valendosi del quale tanto gli individui quanto le comunità conserveranno sempre vigoroso e vivace il primitivo spirito della loro vocazione.

I Sacerdoti dell’uno e dell’altro Clero non ritengano perduto per l’apostolato il tempo che consacreranno agli Esercizi spirituali. San Bernardo non esitava a raccomandare perfino a colui che, già suo discepolo, era allora Sommo Pontefice, il Beato Eugenio III: « Se vuoi essere di tutti, ad imitazione di Colui che si fece tutto a tutti, lodo tale umanità, purché sia completa. E come mai sarà completa, se escludi te stesso? Anche tu sei uomo: affinché dunque tale umanità sia intera e piena, accolga anche te dentro di sé quel cuore che accoglie tutti gli altri; altrimenti, che ti giova guadagnare tutti, se perdi te stesso? Perciò, siccome tutti ti posseggono, sii anche tu uno dei tuoi possessori. Ricordati, non dico sempre, non dico spesso, ma almeno talvolta di restituire te a te stesso » [29].

Né meno ci stanno a cuore, Venerabili Fratelli, gli Esercizi ai vari gruppi di quell’Azione Cattolica che non Ci stanchiamo né Ci stancheremo di promuovere e raccomandare, essendo l’utilissima, per non dire necessaria, partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa. Vediamo con immensa consolazione organizzarsi ovunque corsi d’Esercizi particolarmente riservati alle pacifiche schiere di questi valorosi soldati di Cristo, e specialmente ai più giovani, che numerosi vi accorrono per addestrarsi alle sante battaglie del Signore, e vi trovano non solo la forza di migliorare la propria vita, ma spesso sentono nel cuore la voce misteriosa che li chiama a diventare apostoli in tutta la magnifica pienezza del nome. Splendida aurora di bene che Ci fa salutare e sperare un prossimo luminoso meriggio, se la pratica degli Esercizi spirituali più universalmente e più regolarmente verrà promossa e caldeggiata nelle file delle varie Associazioni cattoliche, specialmente giovanili [30].

Ed è ora veramente disposizione ammirabile della misericordiosa provvidenza di Dio che in un tempo, in cui i beni temporali e il conseguente benessere materiale e una certa agiatezza di vita tendono ad estendersi in qualche notevole misura ai lavoratori e ad un maggior numero dei figli del popolo, è provvidenziale, diciamo, che si vada facendo comune anche alla massa dei fedeli questo tesoro spirituale, destinato a controbilanciare il peso dei beni terreni, affinché non trascinino le anime verso il materialismo teorico e pratico.

Diamo dunque il Nostro plauso e il Nostro paterno incoraggiamento alle Opere « pro Exercitiis » che già sorgono in varie regioni, specialmente quelle così fruttuose e così opportune dei « Ritiri Operai » con le relative « Leghe di Perseveranza », e le raccomandiamo vivamente, Venerabili Fratelli, alla vostra cura e alla vostra sollecitudine.

Ma tutto quello che abbiamo riferito circa gli Esercizi spirituali e i loro mirabili frutti suppone che il sacro ritiro sia praticato veneramente come si conviene, e che non diventi come una semplice consuetudine che si pratica senza interiore slancio ed energia e, conseguentemente, con poco o nessun frutto per l’anima.

Pertanto, anzitutto bisogna che gli Esercizi si facciano nel ritiro, appartandosi dal frastuono delle ordinarie sollecitudini della vita quotidiana; poiché, come esattamente insegna l’aureo libretto «Dell’Imitazione di Cristo »: «Nel silenzio e nella quiete fa profitto l’anima devota » [31].

Ond’è che quantunque siano certamente lodevoli e da promuoversi con ogni pastorale sollecitudine, come sono sempre dal Signore largamente benedetti, gli Esercizi spirituali, predicati pubblicamente al popolo, Noi però particolarmente insistiamo sugli Esercizi « chiusi », nei quali la segregazione dalle creature è più facilmente ottenuta, e l’anima nel silenzio e nella solitudine attende unicamente a sé e a Dio.

Inoltre gli Esercizi spirituali esigono un certo periodo di tempo perché possano dirsi tali; un periodo di tempo che può variare a seconda delle circostanze e delle persone, da alcuni giorni fino ad un intero mese, ma che in ogni caso non dovrebbe essere troppo ristretto se si vogliono sperimentare tutti quei vantaggi che abbiamo sopra enumerati. Come per il corpo la permanenza in luoghi salubri deve prolungarsi alquanto perché se ne senta l’effetto, così anche in questa cura salutare dello spirito l’anima deve trattenersi un certo tempo, se vuole veramente sentirne ristoro e riportarne nuovo vigore.

Infine, condizione importantissima perché gli Esercizi siano fatti bene e riescano fruttuosissimi è il farli secondo un metodo sapiente e pratico.

Or non vi è dubbio che fra tutti i metodi di Esercizi spirituali che lodevolmente si attengono ai princìpi della sana ascetica cattolica, uno ha riscosso le piene e ripetute approvazioni di questa Sede Apostolica, ha meritato gli amplissimi elogi dei Santi e dei Maestri della vita spirituale, ha raccolto incalcolabili frutti di santità attraverso ormai quattro secoli: intendiamo alludere al metodo di sant’Ignazio di Loyola, di questo che Ci piace chiamare Maestro specializzato degli Esercizi, il cui « ammirabile libro degli Esercizi » [32], piccolo di mole ma grande e prezioso di contenuto, dal dì che venne solennemente approvato, lodato, raccomandato dal Nostro Predecessore Paolo III di santa memoria [33], « quasi subito si affermò ed impose» — per usare le parole che Noi stessi prima del Sommo Pontificato avemmo già occasione di scrivere — « quale il più sapiente ed universale codice di governo spirituale delle anime, quale sorgente inesauribile della pietà più profonda ad un tempo e più solida, quale stimolo irresistibile e guida sicurissima alla conversione ed alla più alta spiritualità e perfezione » [34]. E quando agli inizi del nostro Pontificato « assecondando i voti e gli ardentissimi desideri dei sacri Pastori di quasi tutto l’orbe cattolico dell’uno e dell’altro rito » con la Costituzione Apostolica « Summorum Pontificum » del 25 luglio 1922 « abbiamo dichiarato e costituito Sant’Ignazio di Loyola celeste patrono di tutti gli Esercizi Spirituali, e quindi degli istituti, sodalizi, e associazioni di qualunque genere che curano ed assistono coloro che fanno gli Esercizi spirituali » [35], non abbiamo fatto altro che sancire con la Nostra suprema Autorità quello che già sentivano comunemente i Pastori e i fedeli; quello che implicitamente più volte avevano detto i Nostri Predecessori lodando gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, specialmente, oltre il ricordato Paolo III, i grandi Pontefici Alessandro VII [36], Benedetto XIV [37], Leone XIII [38]; quello che hanno dichiarato con alti elogi, e ancor più con la loro virtù attinta o aumentata a questa scuola, tutti coloro (per usare le parole dello stesso Nostro Predecessore Leone XIII) « che o per la dottrina ascetica o per la santità dei costumi » in quest’ultimi quattro secoli « sommamente fiorirono » [39]. La sodezza della dottrina spirituale, lontana dai pericoli e dalle illusioni dei pseudomistici, l’ammirabile adattamento ad ogni ceto e condizione di persone (dalle anime dedite per vocazione alla vita contemplativa sino agli uomini viventi nel mondo), l’unità organica delle sue parti, il mirabile ordine con cui si succedono le verità da meditare e i documenti spirituali, ordinati a condurre l’uomo dalla liberazione della colpa [40] alle più alte vette dell’orazione e dell’amor di Dio per la via sicura dell’abnegazione e della vittoria sulle passioni, rendono il metodo degli Esercizi di Sant’Ignazio il più commendevole e il più fruttuoso.

Resta, Venerabili Fratelli, che a mantenere negli animi il frutto degli Esercizi spirituali da Noi ampiamente magnificato, ed a risvegliarne le salutari impressioni, raccomandiamo un compendioso rinnovamento degli Esercizi, cioè il ritiro mensile o trimestrale: costume, diremo col Nostro venerato Predecessore Pio X, che « godiamo di vedere introdotto in molti luoghi » [41], specialmente nelle Comunità religiose e tra i Sacerdoti, desiderando vivamente che se ne estenda il benefico vantaggio anche ai laici: tanto più che a questi potrà talvolta supplire in qualche misura il frutto degli Esercizi stessi, quando per gravi ragioni non fosse loro possibile praticarli. In questo modo, Venerabili Fratelli, dalla diffusione degli Esercizi spirituali in tutte le classi della società cristiana e soprattutto dall’uso fervoroso di essi, Noi Ci ripromettiamo i più salutari frutti di rigenerazione, di vita spirituale, di apostolato, cui terrà dietro la pace individuale e sociale.

Fu nel silenzio di una notte misteriosa, lungi dal frastuono del mondo, in luogo solitario, che il Verbo eterno fatto carne si rivelò all’umanità, ed echeggiò nel cielo il canto angelico: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà » [42]. Questo canto di pace cristiana, che è supremo anelito del nostro cuore apostolico e meta a cui tendono gli sforzi e l’opera Nostra — Pax Christi in regno Christi ! — risuonerà, potente nelle anime dei cristiani che, segregati dal frastuono assordante della vita moderna, si ritireranno nella solitudine e nel silenzio a meditare le verità della Fede e i misteri di Colui che portò al mondo, e gli lasciò come sua preziosa eredità, il dono della pace: «Vi dò la mia pace » [43].

Questo saluto di pace Noi intanto inviamo a voi tutti, Venerabili Fratelli, in questo giorno in cui si compiono i cinquant’anni del nostro Sacerdozio, sotto gli auspici e quasi alla vigilia di quel dolcissimo mistero di pace che è la Natività di nostro Signore Gesù Cristo; e questa pace invochiamo con fervide preghiere da Colui che è stato salutato Principe della pace.

Con questi sentimenti, con l’animo aperto ad una lieta e sicura speranza, a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al vostro popolo, cioè a tutta la Nostra dilettissima famiglia cattolica impartiamo nel Signore, con grande affetto, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 dicembre 1929, anno ottavo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

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[1] Acta Apost. Sedis, vol. XXI (1929), p. 6.

[2] Acta Apost. Sedis, vol. XXI (1929), p. 6.

[3] Litt. Encycl. Quod auctoritate, 22 Dec. 1885 (Acta Leonis XIII, vol. II, pp. 175 ss.).

[4] Exhortatio ad clerum catholicum: Haerent animo, 4 Aug. 1908 (Acta Sanctae Sedis, vol. XLI, pp. 555-577).

[5] S. Greg. M., Pastor., 1. III, adm. 15 (Migne, P.L., tom. 77, col. 73).

[6] S. Eucher., De laud. eremi, 37 (Migne, P.L., tom. 50, col. 709).

[7] Lactant., De falsa relig., l, I, c. 1 (Migne, P.L., tom. 6, col. 118).

[8] S. Basil. M., De laude solitariae vitae, initio (Opera omnia, Venetiis, 1751, tom. 2, p. 379.

[9] Ibid.

[10] Sap., IV, 12.

[11] Ioann., XIV, 6.

[12] Rom., XIII, 14.

[13] Ephes., IV, 13.

[14] Galat., II, 20.

[15] Coloss., II, 7.

[16] Philipp., IV, 7.

[17] Ioann., IV, 35.

[18] Marc. VI, 31.

[19] Act., I, 14.

[20] S. Franc. Sal., Traité de l’amour de Dieu, l. 12, c. 8.

[21] S. Hieronym., Ep. 148 ad Celant., 24 (Migne P.L., tom. 22, col. 1216).

[22] S. Petr. Chrysolog., Serm. 12 (Migne, P.L., tom. 52, col. 186).

[23] S. Leo Magn., Serm. 19 (Migne P.L., tom. 54, col. 186).

[24] S. Alf. M. De’ Liguori, Lettera sull’utilità degli Esercizi in solitudine ; Opere ascet. (Marietti, 1847), vol. III, p. 616.

[25] Const. Apost. Summorum Pontificum, 25 Iul. 1922 (Acta Apost. Sed., vol. XIV, p. 421).

[26] Cod. iur. can., can. 126.

[27] Cod. iur. can., can. 595, par. 1.

[28] Gen., II, 9.

[29] S. Bern., De consider., l. I, c. 5 (Migne, P.L., tom. 182, col. 734).

[30] Cf. Ordine del giorno di Mons. Radini-Tedeschi in « Congr. cattol. ital. », an. 1895.

[31] De imit. Chr., l. I, c. 206.

[32] Brev. Rom., in festo S. Ign. 31 Iul., lect. 4.

[33] Litt. Apost. Pastoralis officii, 31 Iul. 1548.

[34] S. Carlo e gli esercizi spirituali di S. Ignazio, in « S. Carlo Borromeo nel 3° Centenario della canonizzazione », n. 23, Sett. 1910, p. 488.

[35] Const. Apost. Summorum Pontificum, 25 Iul. 1922 (Acta Apost. Sedis, vol. XIV, p. 1922).

[36] Litt. Apost. Cum sicut, 12 Oct. 1647.

[37] Litt. Apost. Quantum secessus, 20 Mart. 1753; litt. Apost. Dedimus sane, 16 Maii 1753.

[38] Epist. Ignatianae commentationes, 8 Febbr. 1900 (Acta Leonis XIII, vol. VII, p. 373.

[39] Ibid.

[40] Epist. apost. Pii Pp. XI: Nous avons appris, 28 Mart. 1929 ad Card. Dubois.

[41] Exhort. ad Cler. cathol. Haerent animo, 4 Aug. 1908 (Acta Sanctae Sedis, vol. XLI, p. 575)

[42] Luc., II, 14.

[43] Ioann., XIV, 27.

FONTE (http://www.totustuus.net/modules.php?name=News&file=print&sid=1432)

Augustinus
31-07-06, 18:42
S. Claudio de la Colombière (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=144853)

Servo di Dio Daniel Dajani gesuita, martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=151441)

Servo di Dio Giovanni Fausti gesuita, martire in Albania (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=151442)

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Beato Diego Luis de San Vitores, gesuita, martire nelle Marianne (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=158106)

S. Giovanni d'Avila (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=165817)

S. Francesco De Geronimo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=165997)

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S. Roberto Bellarmino, dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=191840)

S. Francesco Saverio (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=76019)

S. Pietro Canisio, Dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=392587)

Santi contemporanei e che hanno conosciuto S. Ignazio non inclusi in precedenza:

S. Pio V Papa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=96755)

S. Filippo Neri (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=169242)

S. Teresa di Gesù (d'Avila) vergine e dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=70283)

S. Carlo Borromeo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=72531)

S. Giovanni della Croce, dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=77318)

Testi ignaziani:

Esercizi spirituali (http://www.gesuiti.it/File/Pubblicazioni/TestiFondamentali/Esercizi.pdf)

Racconto del pellegrino - Autobiografia di S. Ignazio di Loyola (http://www.gesuiti.it/File/Pubblicazioni/TestiFondamentali/Autobiografia.pdf)

Formule dell'Istituto della Compagnia di Gesù approvate dai Sommi Pontefici Paolo III e Giulio III (http://www.gesuiti.it/File/Pubblicazioni/TestiFondamentali/Formule.pdf)

Deliberazione dei Primi Padri del 24 giugno 1539 (http://www.gesuiti.it/File/Pubblicazioni/TestiFondamentali/DelibPrimiPadri.pdf)
Diario Spirituale di S. Ignazio (http://www.gesuiti.it/File/Pubblicazioni/TestiFondamentali/DiarioSpirit.pdf)

Costituzioni della Compagnia di Gesù (http://www.gesuiti.it/File/Pubblicazioni/Costituzioni_dei_Gesuiti/TESTO_INTERO_Costituzioni.pdf)

Link esterni:

Sito dei Gesuiti (http://www.gesuiti.it/gesuiti/schedabase.asp) (significativamente nella Sezione "ex alunni" anzichè elencare Santi, Beati, Papi, ecc., sono elencati ... personaggi ... di dubbia cattolicità come Cartesio, Voltaire, Joyce, ecc. :rolleyes: )

Nuovo sito della Chiesa del Gesù (http://www.chiesadelgesu.org/)

Augustinus
19-08-06, 23:17
ecco un altro eroico gesuita: v. QUI (http://libritomaselli.altervista.org/cattolici/John_Hardon.html)

Caro Ferrer,
ho leggermente editato il tuo messaggio per renderlo più facilmente leggibile e per farsì che il link sia più facilmente raggiungibile.
Grazie

Aug. :) :) :)

Augustinus
30-07-07, 18:29
In rilievo

Aug. :) :) :)

Augustinus
31-07-07, 07:16
La storia ci dice anora di sant'Ignazio di Loyola, che da una lezione spirituale, presa a fare non per divizione ma per solo desiderio di fuggire la noia di una penosa infermità, fu mutato da capitano che egli era di un re della terra, in capitano de re del cielo ...
(Padre Pio)

Augustinus
31-07-07, 07:28
http://immaculata.files.wordpress.com/2006/12/ignatius_loyola_manresa_1.jpg

Augustinus
31-07-07, 07:32
http://www.cattolicesimo.com/immsacre/trin.jpg http://img182.imageshack.us/img182/4311/ignatius2uo4vg0gk3.jpg Jerónimo Jacinto de Espinosa, Visione di S. Ignazio a La Storta, con S. Michele Arcangelo e l'Angelo custode, Museo de Bellas Artes, València

http://images.nortonsimon.org/erez4/cache/Norton%20Simon%20Images%5FM197503P%5Ffpx%5F88e40b6 e2508188f.jpg http://www.digital-images.net/Images/NS_Paint/Rubens_St_Ignatius_ofLoyola_3538.jpg http://img145.imageshack.us/img145/3891/4dpictwv9.jpg http://www.codart.nl/images/Publications/Brukenthal/0995PeterPaulRubensworkshop.jpg Pieter Pauwel Rubens, S. Ignazio di Loyola, 1620-22, National Bruckental Museum, Sibiu

http://www.wittert.ulg.ac.be/fr/images/i_27/b27229x.jpg Antica stampa dei SS. Ignazio di Loyola e Francesco Saverio ispirata al Rubens

Augustinus
31-07-07, 07:58
http://www.retraite-st-ignace.net/images/6.jpg Anonimo dell'ambito di Rubens, Ritratto di S. Ignazio che presenta la regola dell'ordine della Compagnia di Gesù, XVII sec., Museo storico aloisiano, Castiglione delle Stiviere

Augustinus
31-07-07, 09:31
S. Ignazio di Loyola (+1556) narra nel Diario spirituale le sue esperienze trinitarie avvenute in contesto eucaristico: «Durante quella messa, io conoscevo, sentivo o vedevo, Dominus scit, che nel parlare al Padre, nel vedere che egli era una persona della Santissima Trinità, mi infiammavo d’amore per tutta la Trinità, tanto più che le altre persone erano in lui essenzialmente.(…)Al Te igitur, sentendo e vedendo in modo non oscuro, ma luminoso e molto luminoso, l’essere stesso o essenza divina in forma sferica, un po’ più grande del sole apparente, e da questa essenza pareva uscire o derivare il Padre, di modo che, al pronunziare Te, cioè Pater, l’essenza divina mi si presentava prima del Padre; e in questo rappresentarmi e vedere l’essere della ss. Trinità, senza distinzione o senza visione delle altre persone, tanta intensa devozione alla cosa rappresentata, con molte mozioni ed effusione di lagrime; continuato così durante la messa a considerare, a ricordarmi, con amore intensissimo verso l’essere della Santissima Trinità…».

Uno degli aspetti della mistica di Ignazio di Loyola è senza dubbio la sua caratteristica contemplazione della Trinità come fonte di ogni essere. La prima rivelazione del mistero avviene durante la chiamata visione del fiume Cardoner, presso Manresa. Un’esperienza che segna la vita e la spiritualità di Ignazio con una particolare impronta trinitaria nella sua contemplazione e nella sua azione, come emerge anche dalla visione della Trinità alle porte di Roma, presso La Storta.

Nel 1522 s. Ignazio di Loyola si reca in pellegrinaggio a Montserrat per celebrare la «Veglia d’armi» secondo il rito appreso dal romanzo Amadigi di Gaula (scritto da G. Rodríguez de Montalvo alla fine del ‘400): appende la spada all’altare della Vergine e si consacra definitivamente a colei «che non è né contessa né duchessa, ma di condizione ben più alta».

Augustinus
31-07-07, 09:47
St. Ignatius Loyola

Youngest son of Don Beltrán Yañez de Oñez y Loyola and Marina Saenz de Lieona y Balda (the name López de Recalde, though accepted by the Bollandist Father Pien, is a copyist's blunder).

Born in 1491 at the castle of Loyola above Azpeitia in Guipuscoa; died at Rome, 31 July, 1556. The family arms are: per pale, or, seven bends gules (?vert) for Oñez; argent, pot and chain sable between two grey wolves rampant, for Loyola. The saint was baptized Iñigo, after St. Enecus (Innicus), Abbot of Oña: the name Ignatius was assumed in later years, while he was residing in Rome. For the saint's genealogy, see Pérez (op. cit. below, 131); Michel (op. cit. below, II, 383); Polanco (Chronicon, I, 51646). For the date of birth cfr. Astráin, I, 3 S.

I. CONVERSION (1491-1521)

At an early age he was made a cleric. We do not know when, or why he was released from clerical obligations. He was brought up in the household of Juan Velásquez de Cuellar, contador mayor to Ferdinand and Isabella, and in his suite probably attended the court from time to time, though not in the royal service. This was perhaps the time of his greatest dissipation and laxity. He was affected and extravagant about his hair and dress, consumed with the desire of winning glory, and would seem to heve been sometimes involved in those darker intrigues, for which handsome young courtiers too often think themselves licensed. How far he went on the downward course is still unproved. The balance of evidence tends to show that his own subsequent humble confessions of having been a great sinner should not be treated as pious exaggerations. But we have no details, not even definite charges. In 1517 a change for the better seems to have taken place; Velásquez died and Ignatius took service in the army. The turning-point of his life came in 1521. While the French were besieging the citadel of Pampeluna, a cannon ball, passing between Ignatius' legs, tore open the left calf and broke the right shin (Whit-Tuesday, 20 May, 1521). With his fall the garrison lost heart and surrendered, but he was well treated by the French and carried on a litter to Loyola, where his leg had to be rebroken and reset, and afterwards a protruding end of the bone was sawn off, and the limb, having been shortened by clumsy setting, was stretched out by weights. All these pains were undergone voluntarily, without uttering a cry or submitting to be bound. But the pain and weakness which followed were so great that the patient began to fail and sink. On the eve of Sts. Peter and Paul, however, a turn for the better took place, and he threw off his fever.

So far Ignatius had shown none but the ordinary virtues of the Spanish officer. His dangers and sufferings has doubtless done much to purge his soul, but there was no idea yet of remodelling his life on any higher ideals. Then, in order to divert the weary hours of convalescence, he asked for the romances of chivalry, his favourite reading, but there were none in the castle, and instead they brought him the lives of Christ and of the saints, and he read them in the same quasi-competitive spirit with which he read the achievements of knights and warriors. "Suppose I were to rival this saint in fasting, that one in endurance, that other in pilgrimages." He would then wander off into thoughts of chivalry, and service to fair ladies, especially to one of high rank, whose name is unknown. Then all of a sudden, he became conscious that the after-effect of these dreams was to make him dry and dissatisfied, while the ideas of falling into rank among the saints braced and strengthened him, and left him full of joy and peace. Next it dawned on him that the former ideas were of the world, the latter God-sent; finally, worldly thoughts began to lose their hold, while heavenly ones grew clearer and dearer. One night as he lay awake, pondering these new lights, "he saw clearly", so says his autobiography, "the image of Our Lady with the Holy Child Jesus", at whose sight for a notable time he felt a reassuring sweetness, which eventually left him with such a loathing of his past sins, and especially for those of the flesh, that every unclean imagination seemed blotted out from his soul, and never again was there the least consent to any carnal thought. His conversion was now complete. Everyone noticed that he would speak of nothing but spiritual things, and his elder brother begged him not to take any rash or extreme resolution, which might compromise the honour of their family.

II. SPIRITUAL FORMATION (1522-24)

When Ignatius left Loyola he had no definite plans for the future, except that he wished to rival all the saints had done in the way of penance. His first care was to make a general confession at the famous sanctuary of Montserrat, where, after three days of self-examination, and carefully noting his sins, he confessed, gave to the poor the rich clothes in which he had come, and put on garment of sack-cloth reaching to his feet. His sword and dagger he suspended at Our Lady's altar, and passed the night watching before them. Next morning, the feast of the Annunciation, 1522, after Communion, he left the sanctuary, not knowing whither he went. But he soon fell in with a kind woman, Iñes Pascual, who showed him a cavern near the neighbouring town of Manresa, where he might retire for prayer, austerities, and contemplation, while he lived on alms. But here, instead of obtaining greater peace, he was consumed with the most troublesome scruples. Had he confessed this sin? Had he omitted that circumstance? At one time he was violently tempted to end his miseries by suicide, on which he resolved neither to eat nor to drink (unless his life was in danger), until God granted him the peace which he desired, and so he continued until his confessor stopped him at the end of the week. At last, however, he triumphed over all obstacles, and then abounded in wonderful graces and visions.

It was at this time, too, that he began to make notes of his spiritual experiences, notes which grew into the little book of "The Spiritual Exercises". God also afflicted him with severe sicknesses, when he was looked after by friends in the public hospital; for many felt drawn towards him, and he requited their many kind offices by teaching them how to pray and instructing them in spiritual matters. Having recovered health, and acquired sufficient experience to guide him in his new life, he commenced his long-meditated migration to the Holy Land. From the first he had looked forward to it as leading to a life of heroic penance; now he also regarded it as a school in which he might learn how to realize clearly and to conform himself perfectly to Christ's life. The voyage was fully as painful as he had conceived. Poverty, sickness, exposure, fatigue, starvation, dangers of shipwreck and capture, prisons, blows, contradictions, these were his daily lot; and on his arrival the Franciscans, who had charge of the holy places, commanded him to return under pain of sin. Ignatius demanded what right they had thus to interfere with a pilgrim like himself, and the friars explained that, to prevent many troubles which had occurred in finding ransoms for Christian prisoners, the pope had given them the power and they offered to show him their Bulls. Ignatius at once submitted, though it meant altering his whole plan of life, refused to look at the proferred Bulls, and was back at Barcelona about March, 1524.

III. STUDIES AND COMPANIONS (1521-39)

Ignatius left Jerusalem in the dark as to his future and "asking himself as he went, quid agendum" (Autobiography, 50). Eventually he resolved to study, in order to be of greater help to others. To studies he therefore gave eleven years, more than a third of his remaining life. Later he studied among school-boys at Barcelona, and early in 1526 he knew enough to proceed to his philosophy at the University of Alcalá. But here he met with many troubles to be described later, and at the end of 1527 he entered the University of Salamanca, whence, his trials continuing, he betook himself to Paris (June, 1528), and there with great method repeated his course of arts, taking his M.A. on 14 March, 1535. Meanwhile theology had been begun, and he had taken the licentiate in 1534; the doctorate he never took, as his health compelled him to leave Paris in March, 1535. Though Ignatius, despite his pains, acquired no great erudition, he gained many practical advantages from his course of education. To say nothing of knowledge sufficient to find such information as he needed afterwards to hold his own in the company of the learned, and to control others more erudite than himself, he also became thoroughly versed in the science of education, and learned by experience how the life of prayer and penance might be combined with that of teaching and study, an invaluable acquirement to the future founder of the Society of Jesus. The labours of Ignatius for others involved him in trials without number. At Barcelona, he was beaten senseless, and his companion killed, at the instigation of some worldlings vexed at being refused entrance into a convent which he had reformed. At Alcalá, a meddlesome inquisitor, Figueroa, harassed him constantly, and once automatically imprisoned him for two months. This drove him to Salamanca, where, worse still, he was thrown into the common prison, fettered by the foot to his companion Calisto, which indignity only drew from Ignatius the characteristic words, "There are not so many handcuffs and chains in Salamanca, but that I desire even more for the love of God".

In Paris his trials were very varied -- from poverty, plague, works of charity, and college discipline, on which account he was once sentenced to a public flogging by Dr. Govea, the rector of Collège Ste-Barbe, but on his explaining his conduct, the rector as publicly begged his pardon. There was but one delation to the inquisitors, and, on Ignatius requesting a prompt settlement, the Inquisitor Ori told him proceedings were therewith quashed.

We notice a certain progression in Ignatius' dealing with accusations against him. The first time he allowed them to cease without any pronouncement being given in his favour. The second time he demurred at Figueroa wanting to end in this fashion. The third time, after sentence had been passed, he appealed to he Archbishop of Toledo against some of its clauses. Finally he does not await sentence, but goes at once to the judge to urge an inquiry, and eventually he made it his practice to demand sentence, whenever reflection was cast upon his orthodoxy. (Records of Ignatius' legal proceedings at Azpeitia, in 1515; at Alcal´ in 1526, 1527; at Venice, 1537; at Rome in 1538, will be found in "Scripta de S. Ignatio", pp. 580-620.) Ignatius had now for the third time gathered companions around him. His first followers in Spain had persevered for a time, even amid the severe trials of imprisonment, but instead of following Ignatius to Paris, as they had agreed to do, they gave him up. In Paris too the first to follow did not persevere long, but of the third band not one deserted him. They were (St.) Peter Faber, a Genevan Savoyard; (St.) Francis Xavier, of Navarre; James Laynez, Alonso Salmerón, and Nicolás Bobadilla, Spaniards; Simón Rodríguez, a Portuguese. Three others joined soon after -- Claude Le Jay, a Genevan Savoyard; Jean Codure and Paschase Broët, French. Progress is to be noted in the way Ignatius trained his companions. The first were exercised in the same severe exterior mortifications, begging, fasting, going barefoot, etc., which the saint was himself practising. But though this discipline had prospered in a quiet country place like Manresa, it had attracted an objectionable amount of criticism at the University of Alcalá. At Paris dress and habits were adapted to the life in great towns; fasting, etc., was reduced; studies and spiritual exercises were multiplied, and alms funded.

The only bond between Ignatius' followers so far was devotion to himself, and his great ideal of leading in the Holy Land a life as like as possible to Christ's. On 15 August, 1534, they took the vows of poverty and chastity at Montmartre (probably near the modern Chapelle de St-Denys, Rue Antoinette), and a third vow to go to the Holy Land after two years, when their studies were finished. Six months later Ignatius was compelled by bad health to return to his native country, and on recovery made his way slowly to Bologna, where, unable through ill health to study, he devoted himself to active works of charity till his companions came from Paris to Venice (6 January, 1537) on the way to the Holy Land. Finding further progress barred by the war with the Turks, they now agreed to await for a year the opportunity of fulfilling their vow, after which they would put themselves at the pope's disposal. Faber and some others, going to Rome in Lent, got leave for all to be ordained. They were eventually made priests on St. John Baptist's day. But Ignatius took eighteen months to prepare for his first Mass.

IV. FOUNDATION OF THE SOCIETY

By the winter of 1537, the year of waiting being over, it was time to offer their services to the pope. The others being sent in pairs to neighboring university towns, Ignatius with Faber and Laynez started for Rome. At La Storta, a few miles before reaching the city, Ignatius had a noteworthy vision. He seemed to see the Eternal Father associating him with His Son, who spoke the words: Ego vobis Romae propitius ero. Many have thought this promise simply referred to the subsequent success of the order there. Ignatius' own interpretation was characteristic: "I do not know whether we shall be crucified in Rome; but Jesus will be propitious." Just before or just after this, Ignatius had suggested for the title of their brotherhood "The Company of Jesus". Company was taken in its military sense, and in those days a company was generally known by its captain's name. In the Latin Bull of foundation, however, they were called "Societas Jesu". We first hear of the term Jesuit in 1544, applied as a term of reproach by adversaries. It had been used in the fifteenth century to describe in scorn someone who cantingly interlarded his speech with repetitions of the Holy Name. In 1522 it was still regarded as a mark of scorn, but before very long the friends of the society saw that they could take it in a good sense, and, though never used by Ignatius, it was readily adopted (Pollen, "The Month", June, 1909). Paul III having received the fathers favourably, all were summoned to Rome to work under the pope's eyes. At this critical moment an active campaign of slander was opened by one Fra Matteo Mainardi (who eventually died in open heresy), and a certain Michael who had been refused admission to the order. It was not till 18 November, 1538, that Ignatius obtained from the governor of Rome an honourable sentence, still extent, in his favour. The thoughts of the fathers were naturally occupied with a formula of their intended mode of life to submit to the pope; and in March, 1539, they began to meet in the evenings to settle the matter.

Hitherto without superior, rule or tradition, they had prospered most remarkably. Why not continue as they had begun? The obvious answer was that without some sort of union, some houses for training postulants, they were practically doomed to die out with the existing members, for the pope already desired to send them about as missioners from place to place. This point was soon agreed to, but when the question arose whether they should, by adding a vow of obedience to their existing vows, form themselves into a compact religious order, or remain, as they were, a congregation of secular priests, opinions differed much and seriously. Not only had they done so well without strict rules, but (to mention only one obstacle, which was in fact not overcome afterwards without great difficulty), there was the danger, if they decided for an order, that the pope might force them to adopt some ancient rule, which would mean the end of all their new ideas. The debate on this point continued for several weeks, but the conclusion in favour of a life under obedience was eventually reached unanimously. After this, progress was faster, and by 24 June some sixteen resolutions had been decided on, covering the main points of the proposed institute. Thence Ignatius drew up in five sections the first "Formula Instituti", which was submitted to the pope, who gave a viva voce approbation 3 September, 1539, but Cardinal Guidiccioni, the head of the commission appointed to report on the "Formula", was of the view that a new order should not be admitted, and with that the chances of approbation seemed to be at an end. Ignatius and his companions, undismayed, agreed to offer up 4000 Masses to obtain the object desired, and after some time the cardinal unexpectedly changed his mind, approved the "Formula" and the Bull "Regimini militantis Ecclesiae" (27 September, 1540), which embodies and sanctions it, was issued, but the members were not to exceed sixty (this clause was abrogated after two years). In April, 1541, Ignatius was, in spite of his reluctance, elected the first general, and on 22 April he and his companions made their profession in St. Paul Outside the Walls. The society was now fully constituted.

V. THE BOOK OF THE SPIRITUAL EXERCISES

This work originated in Ignatius' experiences, while he was at Loyola in 1521, and the chief meditations were probably reduced to their present shapes during his life at Manresa in 1522, at the end of which period he had begun to teach them to others. In the process of 1527 at Salamanca, they are spoken of for the first time as the "Book of Exercises". The earliest extant text is of the year 1541. At the request of St. Francis Borgia. The book was examined by papal censors and a solemn approbation given by Paul III in the Brief "Pastoralis Officii" of 1548. "The Spiritual" are written very concisely, in the form of a handbook for the priest who is to explain them, and it is practically impossible to describe them without making them, just as it might be impossible to explain Nelson's "Sailing Orders" to a man who knew nothing of ships or the sea. The idea of the work is to help the exercitant to find out what the will of God is in regard to his future, and to give him energy and courage to follow that will. The exercitant (under ideal circumstances) is guided through four weeks of meditations: the first week on sin and its consequences, the second on Christ's life on earth, the third on his passion, the fourth on His risen life; and a certain number of instructions (called "rules", "additions", "notes") are added to teach him how to pray, how to avoid scruples, how to elect a vocation in life without being swayed by the love of self or of the world. In their fullness they should, according to Ignatius' idea, ordinarily be made once or twice only; but in part (from three to four days) they may be most profitably made annually, and are now commonly called "retreats", from the seclusion or retreat from the world in which the exercitant lives. More popular selections are preached to the people in church and are called "missions". The stores of spiritual wisdom contained in the "Book of Exercises" are truly astonishing, and their author is believed to have been inspired while drawing them up. (See also next section.) Sommervogel enumerates 292 writers among the Jesuits alone, who have commented on the whole book, to say nothing of commentators on parts (e.g. the meditations), who are far more numerous still. But the best testimony to the work is the frequency with which the exercises are made. In England (for which alone statistics are before the writer) the educated people who make retreats number annually about 22,000, while the number who attend popular expositions of the Exercises in "missions" is approximately 27,000, out of a total Catholic population of 2,000,000.

VI. THE CONSTITUTIONS OF THE SOCIETY

Ignatius was commissioned in 1541 to draw them up, but he did not begin to do so until 1547, having occupied the mean space with introducing customs tentatively, which were destined in time to become laws. In 1547 Father Polanco became his secretary, and with his intelligent aid the first draft of the constitutions was made between 1547 and 1550, and simultaneously pontifical approbation was asked for a new edition of the "Formula". Julius III conceded this by the Bull "Exposcit debitum", 21 July, 1550. At the same time a large number of the older fathers assembled to peruse the first draft of the constitutions, and though none of them made any serious objections, Ignatius' next recension (1552) shows a fair amount of changes. This revised version was then published and put into force throughout the society, a few explanations being added here and there to meet difficulties as they arose. These final touches were being added by the saint up till the time of his death, after which the first general congregation of the society ordered them to be printed, and they have never been touched since. The true way of appreciating the constitutions of the society is to study them as they are carried into practice by the Jesuits themselves, and for this, reference may be made to the articles on the SOCIETY OF JESUS. A few points, however, in which Ignatius' institute differed from the older orders may be mentioned here. They are:

the vow not to accept ecclesiastical dignities;
increased probations. The novitiate is prolonged from one year to two, with a third year, which usually falls after the priesthood. Candidates are moreover at first admitted to simple vows only, solemn vows coming much later on;
the Society does not keep choir;
it does not have a distinctive religious habit;
it does not accept the direction of convents;
it is not governed by a regular triennial chapter;
it is also said to have been the first order to undertake officially and by virtue of its constitutions active works such as the following:



foreign missions, at the pope's bidding;
the education of youth of all classes;
the instruction of the ignorant and the poor;
ministering to the sick, to prisoners, etc.

The above points give no conception of the originality with which Ignatius has handled all parts of his subject, even those common to all orders. It is obvious that he must have acquired some knowledge of other religious constitutions, especially during the years of inquiry (1541-1547), when he was on terms of intimacy with religious of every class. But witnesses, who attended him, tell us that he wrote without any books before him except the Missal. Though his constitutions of course embody technical terms to be found in other rules, and also a few stock phrases like "the old man's staff", and "the corpse carried to any place", the thought is entirely original, and would seem to have been God-guided throughout. By a happy accident we still possess his journal of prayers for forty days, during which he was deliberating the single point of poverty in churches. It shows that in making up his mind he was marvelously aided by heavenly lights, intelligence, and visions. If, as we may surely infer, the whole work was equally assisted by grace, its heavenly inspiration will not be doubtful. The same conclusion is probable true of "The Spiritual".

VII. LATER LIFE AND DEATH

The later years of Ignatius were spent in partial retirement, the correspondence inevitable in governing the Society leaving no time for those works of active ministry which in themselves he much preferred. His health too began to fail. In 1551, when he had gathered the elder fathers to revise the constitutions, he laid his resignation of the generalate in their hands, but they refused to accept it then or later, when the saint renewed his prayer. In 1554 Father Nadal was given the powers of vicar-general, but it was often necessary to send himm abroad as commissary, and in the end Ignatius continued, with Polanco's aid, to direct everything. With most of his first companions he had to part soon. Rodríguez started on 5 March, 1540, for Lisbon, where he eventually founded the Portuguese province, of which he was made provincial on 10 October, 1546. St. Francis Xavier followed Rodríguez immediately, and became provincial of India in 1549. In September, 1541, Salmeron and Broet started for their perilous mission to Ireland, which they reached (via Scotland) next Lent. But Ireland, the prey to Henry VIII's barbarous violence, could not give the zealous missionaries a free field for the exercise of the ministries proper to their institute. All Lent they passed in Ulster, flying from persecutors, and doing in secret such good as they might. With difficulty they reached Scotland, and regained Rome, Dec., 1542. The beginnings of the Society in Germany are connected with St. Peter Faber, Blessed Peter Canisius, Le Jay, and Bobadilla in 1542. In 1546 Laynez and Salmeron were nominated papal theologians for the Council of Trent, where Canisius, Le Jay, and Covillon also found places. In 1553 came the picturesque, but not very successful mission of Nuñez Barretto as Patriarch of Abyssinia. For all these missions Ignatius wrote minute instructions, many of which are still extant. He encouraged and exhorted his envoys in their work by his letters, while the reports they wrote back to him form our chief source of information on the missionary triumphs achieved. Though living alone in Rome, it was he who in effect led, directed, and animated his subjects all the world over.

The two most painful crosses of this period were probably the suits with Isabel Roser and Simón Rodríguez. The former lady had been one of Ignatius' first and most esteemed patronesses during his beginnings in Spain. She came to Rome later on and persuaded Ignatius to receive a vow of obedience to him, and she was afterwards joined by two or three other ladies. But the saint found that the demands they made on his time were more than he could possibly allow them. "They caused me more trouble", he is reported to have said, "than the whole of the Society", and he obtained from the pope a relaxation of the vow he had accepted. A suit with Roser followed, which she lost, and Ignatius forbade his sons hereafter to become ex officio directors to convents of nuns (Scripta de S. Igntio, pp. 652-5). Painful though this must have been to a man so loyal as Ignatius, the difference with Rodríguez, one of his first companions, must have been more bitter still. Rodríguez had founded the Province of Portugal, and brought it in a short time to a high state of efficiency. But his methods were not precisely those of Ignatius, and, when new men of Ignatius' own training came under him, differences soon made themselves felt. A struggle ensued in which Rodríguez unfortunately took sides against Ignatius' envoys. The results for the newly formed province were disastrous. Well-nigh half of its members had to be expelled before peace was established; but Ignatius did not hesitate. Rodriguez having been recalled to Rome, the new provincial being empowered to dismiss him if he refused, he demanded a formal trial, which Ignatius, foreseeing the results, endeavoured to ward off. But on Simón's insistence a full court of inquiry was granted, whose proceedings are now printed and it unanimously condemned Rodriguez to penance and banishment from the province (Scripta etc., pp. 666-707). Of all his external works, those nearest his heart, to judge by his correspondence, were the building and foundation of the Roman College (1551), and of the German College (1552). For their sake he begged, worked, and borrowed with splendid insistence until his death. The success of the first was ensured by the generosity of St. Francis Borgia, before he entered the Society. The latter was still in a struggling condition when Ignatius died, but his great ideas have proved the true and best foundation of both.

In the summer of 1556 the saint was attacked by Roman fever. His doctors did not foresee any serious consequences, but the saint did. On 30 July, 1556, he asked for the last sacraments and the papal blessing, but he was told that no immediate danger threatened. Next morning at daybreak, the infirmarian found him lying in peaceful prayer, so peaceful that he did not at once perceive that the saint was actually dying. When his condition was realized, the last blessing was given, but the end came before the holy oils could be fetched. Perhaps he had prayed that his death, like his life, might pass without any demonstration. He was beatified by Paul V on 27 July, 1609, and canonized by Gregory XV on 22 May, 1622. His body lies under the altar designed by Pozzi in the Gesù. Though he died in the sixteenth year from the foundation of the Society, that body already numbered about 1000 religious (of whom, however, only 35 were yet professed) with 100 religious houses, arranged in 10 provinces. (Sacchini, op. cit. infra., lib.1, cc,i, nn. 1-20.) For his place in history see COUNTER-REFORMATION. It is immpossible to sketch in brief Ignatius' grand and complex character: ardent yet restrained, fearless, resolute, simple, prudent, strong, and loving. The Protestant and Jansenistic conception of him as a restless, bustling pragmatist bears no correspondence at all with the peacefulness and perseverance which characterized the real man. That he was a strong disciplinarian is true. In a young and rapidly growing body that was inevitable; and the age loved strong virtues. But if he believed in discipline as an educative force, he despised any other motives for action except the love of God and man. It was by studying Ignatius as a ruler that Xavier learnt the principle, "the company of Jesus ought to be called the company of love and conformity of souls". (Ep., 12 Jan., 1519).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VII, New York, 1910 (http://www.newadvent.org/cathen/07639c.htm)

Augustinus
31-07-07, 10:01
Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecôte, Paris-Poitiers, 1901, VI ediz., t. IV, p. 273-284

LE XXXI JUILLET.

SAINT IGNACE, CONFESSEUR.

Bien que le cycle du Temps après la Pentecôte nous ait maintes fois déjà manifesté la sollicitude avec laquelle l'Esprit divin préside à la défense de l'Eglise, l'enseignement resplendit aujourd'hui d'une manière nouvelle. Au XVI° siècle, un assaut formidable était livré à la cité sainte. Satan avait choisi pour chef de l'attaque un homme tombé comme lui des hauteurs du ciel. Luther, sollicité dans ses jeunes années par les grâces de choix qui font les parfaits, n'avait point su, dans un jour d'égarement, résister à l'esprit de révolte. Comme Lucifer, qui prétendit égaler Dieu, lui se posa en face du vicaire du Très-Haut sur la montagne du Testament (1); bientôt, roulant aussi d'abîme en abîme, il entraînait de même à sa suite la troisième partie des étoiles du ciel de la sainte Eglise (2). Loi mystérieuse et terrible, que celle qui si souvent laisse à l'homme ou à l'ange déchu, dans les sphères du mal, la principauté qui devait s'exercer par eux pour le bien et l'amour! Mais l'éternelle Sagesse n'est cependant jamais frustrée dans la divine loyauté de ce jeu sublime commencé avec le monde, et qui régit toujours les temps (3); c'est alors qu'à l'encontre de la liberté pervertie de l'ange ou de l'homme, elle met en oeuvre cette autre loi de substitution miséricordieuse dont Michel bénéficia le premier.

La vocation d'Ignace à la sainteté suit pas à pas dans ses développements la défection luthérienne. Au printemps de l'année 1521, Luther, jetant son défi à toutes les puissances, venait à peine de quitter Worms et de gagner la Wartbourg (4), qu'Ignace, à Pampelune, était frappé du coup qui devait le retirer du monde et bientôt le conduire à Manrèse. Valeureux comme ses nobles ancêtres, il s'était senti pénétrer dès ses premiers ans de l'ardeur belliqueuse qu'on les vit montrer sur les champs de bataille de la terre des Espagnes; mais la campagne contre le Maure a pris fin dans les jours mêmes de sa naissance (5); se pourrait-il qu'il n'eût, pour satisfaire ses chevaleresques instincts, que les querelles mesquines où la politique des rois va toujours plus s'abaisser? Le seul vrai Roi resté digne de sa grande âme, se révèle à lui dans l'épreuve qui vient d'arrêter ses projets mondains; une milice nouvelle s'offre, à son ambition; une autre croisade commence; et l'an 1522 voit, des monts de Catalogne à ceux de Thuringe, se développer la divine stratégie dont les Anges seuls ont encore le secret.

Admirable campagne, où l'on dirait que le ciel se contente d'observer l'enfer, lui laissant prendre les devants, ne se gardant que le droit de faire surabonder la grâce là où l'iniquité prétend abonder (6). De même que, l'année d'auparavant, le premier appel d'Ignace avait suivi de trois semaines la rébellion consommée de Luther: à trois semaines également de distance, voici qu'en celle-ci l'enfer et le ciel produisent leurs élus sous l'armure différente qui convient aux deux camps dont ils seront chefs. Dix mois de manifestations étranges et d'ascèse diabolique ont préparé le lieutenant de Satan dans la retraite forcée qu'il nomme sa Pathmos; et le 5 mars, en rupture de ban, le transfuge du sacerdoce et du cloître quitte la Wartbourg transformé sous la cuirasse et le casque en chevalier de fausse marque. Le 25 du même mois, dans la glorieuse nuit où le Verbe prit chair, le brillant soldat des armées du royaume catholique, le descendant des Ognès et des Loyola, vêtu d'un sac comme de l'insigne de pauvreté qui révèle ses projets nouveaux, passe en prières au Mont-Serrat sa veille des armes; il suspend à l'autel de Marie sa vaillante épée, et de là s'en va préludant aux combats inconnus qui l'attendent dans une lutte sans merci contre lui-même.

Au drapeau du libre examen, qui partout déjà fait flotter ses plis orgueilleux, il oppose sur le sien pour unique devise: À la plus grande gloire de Dieu! Bientôt Paris, où Calvin recrute dans le secret les futurs huguenots, le voit enrôler, pour le compte du Dieu des armées, la compagnie d'avant-poste qui doit dans sa pensée couvrir l'armée chrétienne en éclairant sa marche, porter et recevoir les premiers coups. L'Angleterre vient-elle, aux premiers mois de 1534, d'imiter dans leur défection l'Allemagne et les pays du Nord, que, le 15 août de cette année, les premiers soldats d'Ignace scellent à Montmartre avec lui l'engagement définitif qu'ils doivent renouveler solennellement plus tard à Saint-Paul-hors-les-Murs. Car c'est à Rome qu'est fixé le point de ralliement de la petite troupe, qui s'accroîtra bientôt merveilleusement, mais dont la profession spéciale sera d'être toujours prête à se porter, au moindre signe, sur tous les points où le Chef suprême de l'Eglise militante jugera bon d'utiliser son zèle pour la défense de la foi ou sa propagation, pour le progrès des âmes dans la doctrine et la vie chrétienne (7).

Une bouche illustre a dit en nos temps (8) que «ce qui frappe de prime abord dans l'histoire de la société de Jésus, c'est que pour elle l'âge mûr est contemporain de la première formation. Qui connaît les premiers auteurs de la compagnie, connaît la compagnie entière dans son esprit, dans son but, dans ses entreprises, dans ses procédés, dans ses méthodes. Quelle génération que celle qui préside à ses origines! Quelle union de science et d'activité, de vie intérieure et de vie militante! On peut dire que ce sont des hommes universels, des hommes de race gigantesque, en comparaison desquels nous ne sommes que des insectes: de genere giganteo, quibus comparat! quasi locustae videbamur (9)».

Combien plus touchante n'en apparaît pas la simplicité si pleine de charmes de ces premiers Pères de la compagnie, faisant la route qui les sépare de Rome à pied et jeûnant, épuisés, mais le cœur débordant d'allégresse et chantant à demi-voix les psaumes de David (10)! Quand il fallut, pour répondre aux nécessités de l'heure présente, abandonner dans le nouvel institut les grandes traditions de la prière publique, il en coûta à plusieurs de ces âmes; ce ne fut pas sans lutte que Marie, sur ce point, dut céder à Marthe: tant de siècles durant, la solennelle célébration des divins Offices avait paru l'indispensable tâche de toute famille religieuse, dont elle formait la dette sociale première, comme elle était l'aliment premier de la sainteté individuelle de ses membres!

Mais l'arrivée de temps nouveaux promenant partout la déchéance et la ruine, appelait une exception aussi insolite alors que douloureuse pour la vaillante compagnie qui dévouait son existence à l'instabilité d'alertes sans fin et de sorties perpétuelles sur les terres ennemies. Ignace le comprit; et il sacrifia au but particulier qui s'imposait à lui l'attrait personnel qu'il ressentit jusqu'à la fin pour le chant sacré, dont les moindres notes parvenant à son oreille faisaient couler de ses yeux des larmes d'extase (11). Après sa mort, l'Eglise, qui jusque-là n'avait point connu d'intérêt primant la splendeur à donner au culte de l'Epoux, voulut revenir sur une dérogation qui portait une atteinte si profonde aux instincts les plus chers de son cœur d'Epouse; on vit Paul IV la révoquer absolument; mais saint Pie V eut beau lui-même longtemps lutter contre elle, il dut enfin la subir.

Avec les derniers siècles et leurs embûches, l'heure des milices spéciales organisées en camps volants avait sonné pour l'Eglise. Mais autant il devenait plus difficile chaque jour d'exiger de ces troupes méritantes, absorbées dans de continuels combats au dehors, les habitudes de ceux que protégeaient la Cité sainte et ses anciennes tours de défense: autant Ignace répudiait le contre-sens étrange qui eût voulu réformer les mœurs du peuple chrétien d'après la manière de vivre entraînée par le service de reconnaissances et de grand'garde, auquel il se sacrifiait pour tous. La troisième des dix-huit règles qu'il pose, comme couronnement des EXERCICES SPIRITUELS, pour avoir en nous les vrais sentiments de l'Eglise orthodoxe, est de recommander aux fidèles les chants de l'Eglise, les psaumes, et les différentes Heures canoniales au temps marqué pour chacune. Et, en tête de ce livre qui est bien le trésor de la Compagnie de Jésus, établissant les conditions qui permettront de retirer le plus grand fruit possible des mêmes Exercices, il détermine, dans son annotation vingtième, que celui qui le peut devra choisir, pour le temps de leur durée, une habitation d'où il lui soit facile de se rendre aux Offices de Matines (12) et des Vêpres ainsi qu'au divin Sacrifice. Que fait du reste en cela notre Saint, sinon conseiller pour la pratique des Exercices le même esprit dans lequel ils furent composés, en cette retraite bénie de Manrèse où l'assistance quotidienne à la Messe solennelle et aux Offices du soir fut pour lui la source de délices du ciel (13)?

Mais il est temps d'écouter l'Eglise dans le récit de la vie de ce grand serviteur de Dieu.

Ignace, Espagnol de nation, naquit à Loyola, dans l'ancienne Cantabrie, d'une noble famille. Attaché d'abord à la cour du roi catholique, il s'adonna ensuite aux armes. Contraint de s'aliter par une blessure grave reçue dans la défense de Pampelune, la lecture fortuite de livres pieux l'embrasa d'une ardeur merveilleuse pour suivre les traces du Christ et des Saints. Il se rendit au Mont-Serrat où, suspendant ses armes devant l'autel de la bienheureuse Vierge et veillant toute une nuit, il entreprit l'apprentissage de la milice sacrée. De là, vêtu d'un sac comme il l'était, ayant auparavant donné à un mendiant ses habits de prix, il se retira à Manrèse; il y demeura un an, ne vivant que d'eau et du pain de l'aumône, jeûnant tous les jours sauf le dimanche, domptant sa chair par une dure chaîne et le cilice, couchant à terre et se flagellant avec le fer jusqu'au sang, mais réconforté par Dieu de si merveilleuses lumières, que si les saintes Ecritures n'existaient pas, avait-il coutume de dire par la suite, il n'en serait pas moins prêt à mourir pour la foi sur les seules révélations que le Seigneur lui avait faites à Manrèse. Ce fut alors que cet homme sans lettres aucunes composa le livre admirable des Exercices, confirmé par le jugement du Siège apostolique et l'utilité de tous.

Pour se rendre plus apte toutefois à gagner les âmes, il résolut de s'assurer le secours des lettres, et commença par étudier la grammaire au milieu des enfants. Comme cependant il ne relâchait rien de son zèle pour le salut d'autrui, on ne saurait croire combien il eut à dévorer de misères et d'affronts en tous lieux, subissant les plus âpres épreuves, la prison et les coups jusqu'à presque en mourir; mais il ambitionnait toujours de souffrir bien plus encore pour la gloire de son Seigneur. S'étant adjoint dans l'université de Paris neuf compagnons de différentes nations, qui tous avaient pris les degrés dans les arts et la théologie, il jeta dans cette ville, à Montmartre, les premiers fondements de l'Ordre que Rome le vit instituer plus tard. Aux trois vœux ordinaires il en ajouta un quatrième de sujétion étroite au Siège apostolique touchant les Missions. Paul III fut le premier qui accueillit et confirma la nouvelle société, approuvée bientôt par d'autres souverains Pontifes et par le concile de Trente. Ignace donc, envoyant saint François Xavier prêcher l'Evangile aux Indes et disséminant ses fils dans les différentes parties du monde pour propager la religion, déclara au paganisme et à l'hérésie une guerre si heureuse, que, d'après le sentiment universel, confirmé même par l'oracle Apostolique, Ignace et son institut furent opposés par Dieu à Luther et aux hérétiques d'alors, comme en d'autres temps d'autres saints personnages furent suscités dans un but semblable.

Mais le premier objet de sa sollicitude fut de renouveler la piété parmi les catholiques. La splendeur des édifices sacrés, l'enseignement du catéchisme, la prédication, la fréquentation des sacrements lui durent accroissement et progrès. Il ouvrit en tous lieux des écoles pour élever la jeunesse dans les lettres et la piété; à Rome il fonda le collège Germanique, des refuges pour les femmes de mauvaise vie et les jeunes filles en danger, des maisons pour les catéchumènes et les orphelins des deux sexes. D'autres oeuvres de piété encore attestaient son zèle infatigable pour gagner les âmes; et on l'entendait dire que, si le choix lui était donné, il préférerait vivre incertain de la béatitude et ce pendant se dévouer au service de Dieu et au salut du prochain, plutôt que de mourir tout de suite avec l'assurance de la gloire du ciel. Son pouvoir sur les démons fut merveilleux. Saint Philippe Néri et d'autres virent son visage briller d'une lumière céleste. Enfin, dans sa soixante-cinquième année, il passa au baiser de son Seigneur, dont il avait toujours eu à la bouche la plus grande gloire, cherchant sans fin cette gloire en toutes choses. Illustre par ses miracles et ses grands mérites envers l'Eglise, il fut inscrit par Grégoire XV dans les fastes des Saints.

La victoire qui triomphe du monde est notre foi (14). Une fois de plus vous l'avez montré, ô vous qui fûtes le grand triomphateur du siècle où le Fils de Dieu vous choisit pour relever son drapeau humilié devant l'étendard de Babel. Contre les bataillons sans cesse grossissant des révoltés, vous fûtes longtemps presque seul, laissant au Dieu des armées le soin de choisir son heure pour vous mettre aux prises avec les cohortes de Satan, comme il l'avait choisie pour vous retirer de la milice des hommes. Le monde, instruit alors de vos desseins, n'y eût vu qu'un objet de risée; et toutefois nul certes aujourd'hui ne saurait le nier: ce fut un moment solennel pour l'histoire du monde, que celui où, pareil dans votre confiance aux plus illustres capitaines concentrant leurs armées, vous donniez ordre à vos neuf compagnons de gagner trois par trois la Ville sainte. Quels résultats durant les quinze années où cette troupe d'élite, que recrutait l'Esprit-Saint, vous eut à sa tête comme premier Général! L'hérésie refoulée d'Italie, confondue à Trente, enrayée partout, immobilisée jusqu'en son foyer même; d'immenses conquêtes sur des terres nouvelles, réparant les pertes subies dans notre Occident; Sion elle-même rajeunissant sa beauté, relevée dans son peuple et ses pasteurs, assurée pour ses fils d'une éducation répondant à leurs célestes destinées: sur toute la ligne enfin où il avait imprudemment crié victoire, Satan rugissant, dompté à nouveau par ce nom de Jésus qui fait fléchir tout genou dans le ciel, sur la terre et dans les enfers (15)! Quelle gloire pour vous, ô Ignace, eût jamais égalé celle-là dans les armées des rois de la terre?

Du trône que vous avez conquis par tant de hauts faits, veillez sur ces fruits de vos œuvres, et montrez-vous toujours le soldat de Dieu. Au travers des contradictions qui ne leur manquèrent jamais, soutenez vos fils au poste d'honneur et de vaillance qui fait d'eux les sentinelles avancées de l'Eglise. Qu'ils soient fidèles à l'esprit de leur glorieux Père, «ayant sans cesse devant les yeux: premièrement Dieu; ensuite, comme une voie qui conduit à lui, la forme de leur institut, consacrant tout ce qu'ils ont de forces à atteinte dre ce but que Dieu leur marque; chacun pourtant suivant la mesure de la grâce qu'il a reçue de l'Esprit-Saint et le degré propre de sa vocation (16)». Enfin, ô chef d'une si noble descendance, étendez votre amour à toutes les familles religieuses, dont le sort en face de la persécution est devenu si étroitement solidaire aujourd'hui de celui de la vôtre; bénissez spécialement l'Ordre monastique qui protégea de ses antiques rameaux vos premiers pas dans la vie parfaite, et la naissance de l'illustre Compagnie qui sera votre couronne immortelle dans les cieux. Ayez pitié de la France, de ce Paris dont l'université vous fournit les assises de l'inébranlable édifice élevé par vous à la gloire du Très-Haut. Que tout chrétien apprenne de vous à militer pour le Seigneur, à ne jamais renier son drapeau; que tout homme, sous votre conduite, revienne à Dieu son principe et sa fin.

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NOTE

1. Isai. XIV, 13.

2. Apoc. XII, 4.

3. Prov. VIII, 30, 31.

4. La diète de Worms, où eut lieu la rupture officielle de l'hérésiarque en présence des divers ordres de l'empire, vit cette rupture se consommer dans les derniers jours d'avril, et ce fut le 20 mai qu'Ignace reçut la blessure dont sa conversion fut la suite.

5. 1491.

6. Rom. V, 20.

7. Litt. Pauli III, Regimini militantis Ecclesiae; Julii III Exposcit debitum; etc.

8. Cardinal Pie, Homélie prononcée dans les fêtes de la béatification du B. Pierre Le Fèvre.

9. Num. XIII, 34.

10. P. Ribadeneira, Vita Ignatii Loiolae Lib. II, cap. VII.

11. J. Rhous, in Variis virtutum historiis, Lib. III, cap. II.

12. Nous suivons ici l'édition latine authentique publiée sous les yeux de saint Ignace après l'approbation de Paul III, et réimprimée depuis par l'autorité des Congrégations générales. Une traduction nouvelle, faite en ce siècle sur le texte espagnol, ne parle pas ici des Matines; mais elle insiste sur l'assistance de tous les jours, autant que faire se peut, à la Messe et aux Vêpres.

13. Acta a L. Consalvo S. J. ex ore Sancti excepta.

14. I Johan. V, 4.

15. Philip. II, 10.

16. Litt. apost. Primae Instituti approbationis, Pauli III, Regimini militantis.

Augustinus
31-07-08, 07:09
http://img210.imageshack.us/img210/6738/paolo20iiiss6.jpg Paolo III approva la regola dei gesuiti

Augustinus
31-07-08, 07:17
http://img142.imageshack.us/img142/9158/anonsignatiusloyolabrzk1.jpg http://img525.imageshack.us/img525/5158/ignazio20di20rubensos6.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/WA67MF/98-021851.jpg http://img223.imageshack.us/img223/6492/militaryloyola1ny4.jpg Anonimo di Scuola francese, Ritratto di S. Ignazio in abiti militari, XVII sec., castaello di Versailles e di Trianon, Versailles

http://img177.imageshack.us/img177/4049/ignatiussjac2ql5.jpg

Augustinus
31-07-08, 07:21
http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/IgnatiusLoyola/IgnatiusLoyola-01.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/IgnatiusLoyola/StIgnatiusLoyola-FounderStatue.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/IgnatiusLoyola/St%20Ignatius%20Loyola-FounderSaint.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/IgnatiusLoyola/St%20Ignatius%20Loyola-FounderSaint-uprdtl.jpg http://www.insecula.com/PhotosNew/00/00/07/29/ME0000072947_3.JPG http://farm3.static.flickr.com/2054/2458643429_6928925960.jpg http://www.uca.edu.ni/ignaciana/galeria/25.jpg Camillo e Giuseppe Rusconi, S. Ignazio di Loyola, 1733, Basilica di S. Pietro, Città del Vaticano, Roma

Augustinus
31-07-08, 18:38
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/BG1Z6/96-006028.jpg http://img122.imageshack.us/img122/9291/4dpict1hi3.jpg JJuan de Valdés Leal, S. Ignazio riceve il nome di Gesù, 1676, Museo de Bellas Artes, Sivigilia

http://img297.imageshack.us/img297/7884/4dpictkv2.jpg Juan de Valdés Leal, Apparizione della Vergine a S. Ignazio di Loyola a Pamplona, 1663-64, Museo de Bellas Artes, Siviglia

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/RMTRLC/07-521351.jpg Autore anonimo, Ritratto di S. Ignazio di Loyola, musée de Port-Royal des Champs, Magny-les-Hameaux

http://img243.imageshack.us/img243/6313/4dpictys7.jpg Luca Giordano, S. Francesco Saverio battezza gli indiani e S. Ignazio di Loyola, XVII sec., Museo di Capodimonte, Napoli

http://img387.imageshack.us/img387/1494/4dpictmp6.jpg S. Ignazio di Loyola, XIX sec., Saint Louis University Museum of Art

Holuxar
01-08-19, 00:00
31 LUGLIO 2019: SANT’IGNAZIO DI LOYOLA; trentunesimo giorno del MESE dedicato alla devozione al PREZIOSISSIMO SANGUE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO…



Sant'Ignazio di Loyola - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santignazio-di-loyola/)
http://www.sodalitium.biz/santignazio-di-loyola/
«31 luglio, Sant’Ignazio di Loyola, Confessore (Azpeitia, 1491 – Roma, 31 luglio 1556).
“A Roma il natale di sant’Ignazio, Sacerdote e Confessore, Fondatore della Compagnia di Gesù, uomo illustre per santità e per miracoli, e zelantissimo nel dilatare ovunque la religione cattolica: dal Sommo Pontefice Pio undecimo fu dichiarato Patrono celeste di tutti gli Esercizi spirituali”.

Anima Christi, sanctifica me.
Corpus Christi, salva me.
Sanguis Christi, inebria me.
Aqua lateris Christi, lava me.
Passio Christi, conforta me.
O bone Jesu, exaudi me.
Intra vulnera tua absconde me.
Ne permittas me separari a Te.
Ab hoste maligno defende me.
In hora mortis meae voca me,
Et jube me venire ad Te,
Ut cum Sanctis tuis laudem Te
In saecula saeculorum.
Amen.

Anima di Cristo, santificami,
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami,
acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, fortificami.
Oh buon Gesù, ascoltami.
Nelle tue piaghe, nascondimi.
Non permettere che io sia separato da Te.
Dal nemico maligno difendimi.
Nell’ora della mia morte chiamami,
e comandami di venire a Te,
Perché con i tuoi Santi ti lodi,
nei secoli dei secoli. Così sia.»
http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/ignazio-3-176x300.jpg
http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/ignazio-3-1.jpg


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http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/ignazio-3-1.jpg




Esercizi spirituali: turni estivi 2019 - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/esercizi-spirituali/)
http://www.sodalitium.biz/esercizi-spirituali/
«ESERCIZI SPIRITUALI DI SANT’IGNAZIO DI LOYOLA
SECONDO IL METODO DI PADRE VALLET A VERRUA SAVOIA (TO)
Cosa serve all’uomo guadagnare il mondo intero… se poi perde l’anima sua? (Parole di Gesù nel Vangelo)
5 giorni per preparare l’eternità felice… cosa sono in confronto ai 360 giorni che ogni anno dedichiamo a questo mondo di tenebra?…
TURNO ESTIVO
Per le donne: da lunedì 19 agosto (ore 12) a sabato 24 agosto 2019.
Per gli uomini: da lunedì 26 agosto (ore 12) a sabato 31 agosto 2019.
Gli esercizi sono predicati dai sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii.»
http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-3-1-696x1024.jpg
Esercizi spirituali: turni estivi 2019 - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/esercizi-spirituali/)


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-3-1-696x1024.jpg


“Programme des exercices spirituels (retraites) de Saint Ignace organisés par l'Institut Mater Boni Consilii.”
Exercices spirituels de Saint Ignace - Sodalitium (http://www.sodalitium.eu/exercices-spirituels-de-saint-ignace/)
http://www.sodalitium.eu/exercices-spirituels-de-saint-ignace/



SANTE MESSE CATTOLICHE "NON UNA CUM" CELEBRATE DAI SACERDOTI DELL' I.M.B.C. ("ISTITUTO MATER BONI CONSILII") E DA DON FLORIANO IN TUTTA ITALIA:


"Sante Messe - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"Torino - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/torino/

"Modena - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/modena/

"Rimini - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/rimini/

"Pescara - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/pescara/

"Potenza - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/potenza/

"Roma - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/roma/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I.M.B.C. a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio, Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11).”





Uno straordinario romanzo (che consiglio fortissimamente di comprare e leggere, io l’ho riletto più volte, ne ho regalato anche una copia ad un amico sperando che anche lui si converta al Cattolicesimo...) di Gianvito Armenise – cattolico integrale fedele dell’IMBC – che inizia con la preghiera a San Michele Arcangelo alla fine della Santa Messa ed è incentrato sugli insegnamenti di sant’Ignazio di Loyola e sugli "Esercizi Spirituali":



Gianvito Armenise, Per vincere se stessi, Tabula Fati, Chieti 2016.
Edizioni Tabula fati - Gianvito Armenise, Per vincere se stessi (http://www.edizionitabulafati.it/pervinceresestessi.htm)
http://www.edizionitabulafati.it/pervinceresestessi.htm
«Paolo e Giuliano sono amici da tempo. Anzi “camerati” perché frequentano la sezione di un piccolo movimento della destra extra-parlamentare.
Paolo, però, avverte un senso di inquietudine interiore e, nel frattempo, conosce Antonio con cui finirà per condividere l’esperienza degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola e la critica al Concilio Vaticano II. Paolo deciderà, così, di allontanarsi dalla militanza politica.
Ma un giorno, in ospedale, Giuliano farà uno strano incontro che gli cambierà la vita.»
http://www.edizionitabulafati.it/pervinceresestessi.jpg


http://www.edizionitabulafati.it/pervinceresestessi.jpg







“31 Luglio - S. Ignazio di Loyola.”
https://forum.termometropolitico.it/226318-31-luglio-s-ignazio-di-loyola.html
https://forum.termometropolitico.it/226318-31-luglio-s-ignazio-di-loyola-4.html
https://forum.termometropolitico.it/383254-31-luglio-s-ignazio-di-loyola.html
“31 luglio: Sant'Ignazio di Loyola, Confessore, fondatore della Compagnia di Gesú.”
https://forum.termometropolitico.it/513737-31-luglio-sant-ignazio-di-loyola-confessore-fondatore-della-compagnia-di-gesu.html
https://forum.termometropolitico.it/513737-31-luglio-sant-ignazio-di-loyola-confessore-fondatore-della-compagnia-di-gesu-31.html
https://forum.termometropolitico.it/13710-31-luglio-sant-ignazio-di-loyola-confessore.html
https://forum.termometropolitico.it/13710-31-luglio-sant-ignazio-di-loyola-confessore-5.html





https://www.preghiereperlafamiglia.it/sant-ignazio-di-loyola.htm
“SANT' IGNAZIO DI LOYOLA Azpeitia, Spagna, c. 1491 - Roma, 31 luglio 1556.
Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Era avviato alla vita del cavaliere, la conversione avvenne durante una convalescenza, quando si trovò a leggere dei libri cristiani. All'abbazia benedettina di Monserrat fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. Nella cittadina di Manresa per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo presso il fiume Cardoner decise di fondare una Compagnia di consacrati. Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali. L'attività dei Preti pellegrini, quelli che in seguito saranno i Gesuiti, si sviluppa un po'in tutto il mondo. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. (Avvenire)”








Tradidi quod et accepi (http://tradidiaccepi.blogspot.it)
https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»


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"SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, CONFESSORE.
Ignazio, di nazione Spagnuolo e nato nel 1491 a Loyola, nella Cantabria, da nobile famiglia, visse prima alla corte del re cattolico, e poi s'arruolò nella milizia. Costretto a letto per una grave ferita riportata nell'assedio di Pamplona, la lettura fortuita di pii libri l'infiammò d'un vivo desiderio di seguire le tracce di Cristo e dei Santi. Recatosi a Monserrato, vi sospese le armi davanti all'altare della beata Vergine, e vegliando la notte, iniziò il tirocinio della santa milizia. Quindi vestito di sacco com'era, avendo dato prima a un mendicante i suoi ricchi abiti, si ritirò a Manresa, dove dimorò un anno, mendicando il pane e l'acqua di cui si nutriva, digiunando tutti i giorni, eccetto le Domeniche, domando la carne con una rude catena e col cilizio, dormendo per terra e flagellandosi fino a sangue, con una disciplina di ferro, ma confortato da Dio con sì meravigliosi lumi, che era solito dire: Quand'anche non esistessero le sacre Scritture, io non sarei meno pronto a morire per la fede per le sole cose che il Signore m'ha rivelato a Manresa. Fu allora che quest'uomo, affatto illetterato, compose quel mirabile libro degli Esercizi che si raccomanda per l'approvazione della Sede apostolica e per il bene che tutti ne ricavano.
Tuttavia per rendersi più atto a guadagnare le anime, risolvé d'assicurarsi il soccorso delle lettere, e cominciò a studiare la grammatica coi fanciulli. Intanto non trascurando per nulla quanto riguarda l'altrui salvezza, stupisce il vedere quante fatiche ed affronti ebbe a sostenere dappertutto, soffrendo le più dure prove, la prigione e le battiture fin quasi a morirne; ciò però non gli impediva di bramare ancora molto di più per la gloria del Signore. Essendosi uniti a lui nove compagni di diverse nazioni, appartenenti all'università di Parigi, tutti maestri nelle arti e addottorati in teologia, vi gettò a Montmartre i primi fondamenti del suo ordine, che poi stabilì a Roma, aggiungendo ai tre ordinari un quarto voto riguardante le Missioni, e mettendolo sotto la stretta dipendenza della Sede apostolica; e Paolo III prima l'ammise e confermò, e altri Pontefici e il concilio di Trento l'approvarono. Egli poi inviato san Francesco Saverio a predicare il Vangelo nelle Indie e disseminati altri nelle diverse parti del mondo a propagarvi la religione, dichiarò guerra al paganesimo e all'eresia, e con tal successo, che, per sentimento universale, confermato anche da testimonianza pontificia, Dio volle opposto Ignazio e la sua società a Lutero e agli eretici d'allora, come già altri santi uomini in altri tempi.
Ma innanzi tutto e soprattutto ebbe a cuore il rinnovamento della pietà fra i Cattolici. Lo splendore dei templi, l'insegnamento del catechismo, la frequenza delle sacre riunioni e dei sacramenti devono molto alla sua azione. Egli aprì dappertutto collegi per formare la gioventù nelle lettere e nella pietà: a Roma fondò il collegio Germanico, ricoveri per le donne perdute e le giovani pericolanti, case per i catecumeni e gli orfani di ambo i sessi, e altre opere di pietà attestano il suo zelo infaticabile per guadagnare le anime a Dio. Più d'una volta si udì dire, che se gli fosse dato di scegliere, avrebbe preferito vivere incerto della beatitudine, e intanto lavorare per Iddio e la salvezza del prossimo, piuttosto che morire subito colla sicurezza della gloria del cielo. Esercitò un impero straordinario sui demoni. San Filippo Neri ed altri videro il suo volto tutto raggiante di luce celeste. Infine, a Roma il 31 luglio 1556, a sessantacinque anni di età, se ne andò all'amplesso del suo Signore, la cui maggior gloria aveva avuto sempre in bocca, ed aveva cercato in tutto. Illustre nella Chiesa per i suoi grandi meriti e miracoli, Paolo V lo iscrisse nell'albo dei Beati il 27 luglio 1609 e Gregorio XV in quello dei Santi il 12 marzo 1622. Pio XI lo proclamò patrono degli esercizi spirituali il 25 luglio 1922."

"Dagli «Atti» raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant'Ignazio.
(Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647)
Provate gli spiriti se sono da Dio.
Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati «Vita di Cristo» e «Florilegio di santi», ambedue nella lingua materna.
Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso.
Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: «E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?». Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo.
Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenza fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia.
Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costatò che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti."


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https://sardiniatridentina.blogspot.com/2017/07/santignazio-sacerdote-e-confessore.html?m=1
«Sant'Ignazio di Loyola Confessore.
Dal Martirologio Romano: "A Roma il natale di sant'Ignazio, Sacerdote e Confessore, Fondatore della Compagnia di Gesù, uomo illustre per santità e per miracoli, e zelantissimo nel dilatare ovunque la religione cattolica: dal Sommo Pontefice Pio undecimo fu dichiarato Patrono celeste di tutti gli Esercizi spirituali".

INTROITUS
Philipp 2:10-11.- In nómine Iesu omne genu fléctitur, coeléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Iesus Christus in glória est Dei Patris ~~ Ps 5:12-13.- Gloriabúntur in te omnes, qui díligunt nomen tuum: quóniam tu benedíces iusto. ~~ Glória ~~ In nómine Iesu omne genu fléctitur, coeléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Iesus Christus in glória est Dei Patris

Philipp 2:10-11.- Nel nome di Gesù si deve piegare ogni ginocchio in cielo, in terra e nell'inferno, ed ogni lingua deve confessare che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre. ~~ Ps 5:12-13.- In te si glorino quanti amano il tuo nome, perché Tu benedici il giusto. ~~ Gloria ~~ Nel nome di Gesù si deve piegare ogni ginocchio in cielo, in terra e nell'inferno, ed ogni lingua deve confessare che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre.

Gloria

ORATIO
Orémus.
Deus, qui ad maiórem tui nóminis glóriam propagándam, novo per beátum Ignátium subsídio militántem Ecclésiam roborásti: concéde; ut, eius auxílio et imitatióne certántes in terris, coronári cum ipso mereámur in coelis. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.
O Dio, che mediante il beato Ignazio, per la maggior gloria de tuo nome rafforzasti la Chiesa militante con un nuovo presidio; fa' che, col suo aiuto e a sua imitazione, combattendo in terra, meritiamo di essere con lui coronati in cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

LECTIO
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Timótheum.
2 Tim 2:8-10; 3:10-12
Caríssime: Memor esto, Dóminum Iesum Christum resurrexísse a mórtuis ex sémine David, secúndum Evangélium meum, in quo labóro usque ad víncula, quasi male óperans: sed verbum Dei non est alligátum. Ideo ómnia sustíneo propter eléctos, ut et ipsi salútem consequántur, quæ est in Christo Iesu, cum glória coelésti. Tu autem assecútus es meam doctrínam, institutiónem, propósitum, fidem, longanimitátem, dilectiónem, patiéntiam, persecutiónes, passiónes: quália mihi facta sunt Antiochíæ, Icónii et Lystris: quales persecutiónes sustínui, et ex ómnibus erípuit me Dóminus. Et omnes, qui pie volunt vívere in Christo Iesu, persecutiónem patiéntur.

Carissimo: Ricordati che il Signore Gesù Cristo, progenie di Davide, è risuscitato da morte, secondo il mio Vangelo, per il quale io soffro fino ad essere incatenato come un malfattore, ma la parola di Dio non si incatena. Perciò io sopporto ogni cosa per amore degli eletti, affinché essi pure conseguano la salute che è in Cristo Gesù, con la gloria celeste. Ma tu segui bene la "mia dottrina, la mia condotta, i propositi, la fede, la longanimità, l'amore, la pazienza, le persecuzioni, i patimenti, che soffersi ad Antiochia, ad Iconio, a Listri; persecuzioni che ho sostenuto e dalle quali tutte mi ha liberato il Signore. Tutti coloro infatti che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo, patiranno persecuzioni.

GRADUALE
Ps 91:13; 91:14
Iustus ut palma florébit: sicut cedrus Líbani multiplicábitur in domo Dómini.
Ps 91.3
Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctem.

Il giusto fiorisce come palma; cresce come cedro del Libano nella casa del Signore.
V. Per celebrare la tua misericordia al mattino, e la tua fedeltà nella notte.

ALLELUIA
Allelúia, allelúia
Iac 1:12
Beátus vir, qui suffert tentatiónem: quóniam, cum probátus fúerit, accípiet corónam vitæ. Allelúia.

Alleluia, alleluia.
Beato l'uomo che supera la prova; perché dopo essere stato provato, avrà la corona di vita. Alleluia.

EVANGELIUM
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 10:1-9
In illo témpore: Designávit Dóminus et álios septuagínta duos: et misit illos binos ante fáciem suam in omnem civitátem et locum, quo erat ipse ventúrus. Et dicébat illis: Messis quidem multa, operárii autem pauci. Rogáte ergo Dóminum messis, ut mittat operários in messem suam. Ite: ecce, ego mitto vos sicut agnos inter lupos. Nolíte portáre saeculum neque peram neque calceaménta; et néminem per viam salutavéritis. In quamcúmque domum intravéritis, primum dícite: Pax huic dómui: et si ibi fúerit fílius pacis, requiéscet super illum pax vestra: sin autem, ad vos revertétur. In eádem autem domo manéte, edéntes et bibéntes quæ apud illos sunt: dignus est enim operárius mercéde sua. Nolíte transíre de domo in domum. Et in quamcúmque civitátem intravéritis, et suscéperint vos, manducáte quæ apponúntur vobis: et curáte infírmos, qui in illa sunt, et dícite illis: Appropinquávit in vos regnum Dei.

In quel tempo: Il Signore scelse anche altri settantadue discepoli e li mandò a due a due innanzi a sé in ogni città e luogo dove egli era per andare. E diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai per la sua mietitura. Andate! Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi. Non portate né borsa, né sacca, né sandali; e per la strada non salutate nessuno. In qualunque casa entrerete, dite prima di tutto: “Pace a questa casa”. E se ci sarà un figlio di pace riposerà su di lui la pace vostra, altrimenti ritornerà a voi. E nella stessa casa restate, mangiando e bevendo di quel che vi dànno; perché l'operaio è degno della sua mercede. Non girate di casa in casa. E in qualunque città entrerete, se vi accolgono, mangiate di quel che vi sarà messo davanti e guarite gli infermi che ci sono, e dite loro: “Sta per venire a voi il Regno di Dio”».

OFFERTORIUM
Ps 88:25
Véritas mea et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu eius

Con lui staranno la mia fedeltà e il mio amore, e s'innalzerà nel mio Nome la sua forza.

SECRETA
Adsint, Dómine Deus, oblatiónibus nostris sancti Ignátii benígna suffrágia: ut sacrosáncta mystéria, in quibus omnis sanctitátis fontem constituísti, nos quoque in veritáte sanctíficet. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Queste oblazioni, o Signore, siano accompagnate dalla benigna intercessione del beato Ignazio, affinché i sacri misteri, che stabilisti fonte di ogni santità, santifichino realmente anche noi. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

COMMUNIO
Luc 12:49
Ignem veni míttere in terram: et quid volo, nisi ut accendátur?

Son venuto a portare il fuoco sulla terra, e che altro voglio se non che si accenda?

POSTCOMMUNIO
Orémus.
Laudis hóstia, Dómine, quam pro sancto Ignátio grátias agentes obtúlimus: ad perpétuam nos maiestátis tuæ laudatiónem, eius intercessióne, pérducat. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.

Questo sacrificio di lode che ti abbiamo offerto, o Signore, in onore di sant'Ignazio, ci porti, per sua intercessione, a lodarti per sempre in cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.»







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“Preghiera di San Pietro Canisio per conservare la vera fede”
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“31 luglio 2019:
Ignazio da Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, santo, il corpo, proveniente da S. Maria della Strada, custodito in una urna di bronzo dorato, dono di Francesca Giattini, si venera presso l’altare a lui dedicato nella chiesa del SS. Nome di Gesù all’Argentina. Il capo è conservato in sagrestia e si espone il giorno della sua festa. Nato a Loyola nel 1491 morì nel convento annesso alla chiesa del SS. Nome di Gesù il 31 luglio del 1556. Il suo culto pubblico fu promosso dal cardinale Baronio nel 1600, venne beatificato nel 1609 e canonizzato nel 1622.
M.R.: 31 luglio - A Roma il natale di sant'Ignazio, Sacerdote e Confessore, Fondatore della Compagnia di Gesù, uomo illustre per santità e per miracoli, e zelantissimo nel dilatare ovunque la religione cattolica: dal Sommo Pontefice Pio undecimo fu dichiarato Patrono celeste di tutti gli Esercizi spirituali. [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]”


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“Il 31 luglio la Chiesa rende onore a Sant’Ignazio di Loyola, iniziatore degli Esercizi Spirituali e fondatore della Compagnia di Gesù. Tutti noi, per mille ragioni, siamo grandemente debitori a questo Santo che, tra l’altro, chiamò presto alla milizia cattolica un altro grandissimo Santo: Francesco Saverio.
PS: i commenti genericamente antigesuitici saranno censurati senza ulteriore avviso.”

https://www.radiospada.org/tag/compagnia-di-gesu/
https://www.radiospada.org/tag/gesuiti/
https://www.radiospada.org/tag/esercizi-spirituali/

https://www.radiospada.org/2019/07/lattualita-di-s-ignazio-secondo-pio-xi/
"L’attualità di S. Ignazio secondo Pio XI
di Redazione RS il 31 Luglio 2019 a cura di Giuliano Zoroddu.
Per degnamente ricordare la gigantesca figura di Sant’Ignazio e anche per richiamare i meriti della sua (già) gloriosa Fondazione alla memoria di chi facilmente si dà all’antigesuitismo di fronte allo sfacelo dell’attuale modernistica Compagnia di Gesù, offriamo al Lettore la lettera Meditantibus Nobis scritta dal grande papa Pio XI in occasione del III anniversario della canonizzazione dei Santi Ignazio di Loyola e Francesco Saverio."


"Al Reverendo Padre Wladimiro Ledóchowski,
Generale della Compagnia di Gesù.

Diletto figlio, salute e Apostolica Benedizione.

Quando, all’inizio del Nostro Sommo Pontificato, Noi meditavamo come avremmo potuto procurare alla Santa Chiesa sia migliori condizioni interne, sia favorevoli sviluppi all’esterno, come richiesto fondamentalmente dal Nostro ufficio, è giunto, con il ricordo di altri Santi, anche quello di Ignazio di Loyola e di Francesco Saverio, dei quali dovrà celebrarsi con grandiosa solennità il terzo centenario della canonizzazione. L’uno, infatti, per disposizione divina, fu dato come aiuto alla Sposa di Cristo la quale stava iniziando un nuovo periodo della propria vita, in cui lotta e contrasto erano sempre presenti; l’altro, nella sua instancabile operosità per la diffusione della luce evangelica, andò adorno di tanti e così rilevanti carismi dello Spirito Santo da sembrare l’erede della virtù e dello zelo che rifulsero nei primi Apostoli.

Per la verità, la stagione di pericoli nella quale Ignazio accorse in aiuto della Chiesa non è ancora finta, in quanto quasi tutti i mali presenti derivano da quella radice; e se oggi, più che mai, «una porta grande e propizia è aperta» [1] al Vangelo di Gesù Cristo, ciò avviene specialmente nelle regioni dove lavorò Saverio. Pertanto, diletto figlio, se Ci è sembrato opportuno scriverti questa Lettera di elogio del tuo Padre Legislatore e del maggiore dei suoi figli, ciò non avviene soltanto nell’interesse del tuo Ordine, ma per il bene comune. Infatti, è di grande importanza che la Cristianità fiorisca ogni giorno di più per l’insegnamento dell’uno e si diffonda, rinverdendo, per l’impegno dell’altro.

Certamente è vero che quanti meritano dall’autorità della Chiesa la lode di santità hanno tutti in comune di essere eccellenti in ogni genere di virtù; tuttavia, come «ogni stella differisce da un’altra nello splendore» [2], così i Santi si distinguono con ammirabile varietà l’uno dall’altro per la loro particolare eccellenza o in questa o in quella virtù. Ora, se riguardiamo la vita d’Ignazio, restiamo anzitutto mossi ad ammirazione dalla magnanimità di un uomo che, avido di procurare la maggior gloria di Dio, non pago di impiegare se stesso in tutti gli uffici del sacro ministero e di abbracciare per la salute delle anime ogni genere di beneficenza cristiana, si associò dei compagni pronti ed ardenti come in un drappello di scelta milizia, per dilatare il regno di Dio tra i fedeli e tra i barbari. Ma chi penetri più addentro la vicenda, facilmente scorgerà quale nota distintiva di Ignazio lo spirito insigne di ubbidienza, e come missione a lui particolarmente assegnata da Dio il condurre gli uomini ad esercitare con più amore questa stessa virtù.

Infatti, chi conosce il tempo in cui visse Ignazio, non ignora che il principale tra tutti i mali onde fu afflitta la Chiesa in quei giorni procellosi, fu il rifiuto di gran parte degli uomini di ubbidire e di sottomettersi a Dio. A capo di tale movimento di ribellione contro il servizio divino furono certo coloro che, assegnando al privato giudizio del singolo la regola della fede divina, ripudiarono superbamente l’autorità della Chiesa cattolica. Ma oltre a questi, troppi erano coloro che, se non per sistema, certo di fatto sembravano avere respinto la sottomissione a Cristo, e vivevano più da pagani che da cristiani; come se col rinascimento delle lettere e delle arti fosse rivissuto lo spirito dell’antico paganesimo. Si può anzi affermare che, se gran parte della società cristiana non fosse stata infetta, come da veleno pestifero, dalla sfrenata licenza di vita e di sentimenti, giammai dal corpo della Chiesa sarebbe scoppiata l’eresia dei Novatori. Pertanto, venuto meno il rispetto delle leggi divine non solo in gran parte del popolo cristiano, ma persino del clero, e mentre allo scoppiare della rivolta promossa dai Novatori si vedevano allontanarsi dal grembo materno della Chiesa non poche regioni, quelle cioè in cui più si era rallentato il sentimento del dovere, dal cuore dei buoni erompeva unanime la preghiera al divino Fondatore della Chiesa perché, memore delle sue promesse, venisse in soccorso alla sua Sposa in circostanze tanto stringenti.

Ed effettivamente, quando giudicò che i tempi fossero maturi, Egli venne in suo aiuto in modo meraviglioso con la celebrazione del Concilio di Trento. Inoltre, a conforto della Chiesa, suscitò, quali illustri modelli di ogni virtù, un Carlo Borromeo, un Gaetano Thiene, un Antonio Zaccaria, un Filippo Neri, una Teresa di Gesù ed altri personaggi destinati a dimostrare con la loro vita l’indefettibile santità della Chiesa cattolica, e a reprimere l’empietà e la corruttela dei costumi con la voce, con gli scritti, con l’esempio. E veramente grande ed utilissima fu l’opera da essi compiuta. Ma occorreva estirpare dalle più profonde radici l’origine stessa del male; e a quest’opera, appunto, Ignazio parve destinato dalla divina Provvidenza. Egli infatti, dotato dalla natura d’indole mirabilmente disposta sia al comando, sia all’ubbidienza, fin dai primi suoi anni andò rafforzandola con la disciplina militare. Fornito dunque di un animo così temprato per natura e per educazione, non appena illuminato da Dio si sentì chiamato a promuovere la gloria divina e la salute delle anime, con tutta la fiamma del suo cuore ardente si arruolò sotto le bandiere del Re dei cieli. E volendo inaugurare degnamente la sua nuova vita militare, vegliò tutta una notte in armi presso l’altare della Vergine; e poco dopo, ritiratosi nella grotta di Manresa, apprese dalla stessa Madre di Dio l’arte di combattere le battaglie del Signore, e ricevette come dalle mani di Lei quel perfetto codice di leggi (che così in verità possiamo chiamarlo) di cui deve far uso ogni buon soldato di Gesù Cristo. Alludiamo agli Esercizi Spirituali che, secondo la tradizione, furono ispirati dal cielo ad Ignazio. Non che si debbano apprezzare poco altri metodi di esercizi usati da altri, ma in quelli che si compiono secondo il metodo Ignaziano tutto il disegno è così sapientemente combinato, ogni parte è così strettamente connessa con l’altra, che ove non si sia contrari alla grazia divina, rinnovano l’uomo, per così dire, radicalmente e lo rendono del tutto sottomesso al volere divino. Preparatosi così alla vita d’azione, Ignazio si impegnò a formare i compagni che si era prescelto, volendo che riuscissero esemplarmente ubbidienti a Dio e al Vicario di Dio, il Romano Pontefice, e che considerassero l’obbedienza come la nota caratteristica della sua Compagnia. Perciò non solo volle che i suoi si avvezzassero ad alimentare il fervore spirituale specialmente con la pratica degli Esercizi, ma li armò di questo stesso strumento perché se ne servissero in ogni tempo per ricondurre alla Chiesa gli animi che se ne erano allontanati e per sottometterli totalmente al potere di Cristo.

In realtà, la storia attesta, e gli stessi nemici della Chiesa ammettono, qual benefico sollievo provasse subito il mondo cattolico confortato tramite Ignazio di così opportuno aiuto; né riuscirebbe facile ricordare le imprese di ogni genere compiute per la gloria di Dio dalla Compagnia di Gesù sotto la guida e il magistero di Ignazio. Furono allora visti i suoi compagni instancabili respingere vittoriosamente la ribellione degli eretici; attendere dappertutto alla riforma dei costumi corrotti; restaurare nel Clero la scaduta disciplina; guidare non pochi alle cime della perfezione cristiana; impegnarsi nell’informare a pietà e nell’erudire nelle lettere e nelle scienze la gioventù, nell’intento di preparare una posterità veramente cristiana; e lavorare intanto egregiamente nella conversione degli infedeli per dilatare con nuove conquiste il regno di Gesù Cristo.

Noi abbiamo volentieri ricordato tali benemerenze non solo perché manifestano la bontà divina verso la Chiesa, ma perché Ci sembrano opportunissime ai tempi tribolati in cui siamo stati innalzati a questa Sede Apostolica. Infatti, se si vuole ricercare la prima origine dei mali da cui è travagliata la nostra società, si vedrà che tutto deriva dalla ribellione che i Novatori scatenarono contro l’autorità divina della Chiesa; ribellione che, ingigantita nel secolo XVIII nella grande Rivoluzione, quando con tanta arroganza si promulgarono i diritti dell’uomo, ora è spinta alle estreme conseguenze. Ond’è che vediamo esaltata fuor di misura la dignità della ragione umana; disprezzato e ripudiato quanto sembri superare le forze e l’intelligenza dell’uomo e non sia compreso nei limiti della natura; per nulla considerati e dai privati e dai pubblici poteri gli stessi sacrosanti diritti di Dio. Pertanto, eliminato Dio, principio e sorgente di ogni autorità, ne consegue naturalmente che più non esista potere umano la cui autorità venga reputata inviolabile. Perciò, disprezzata l’autorità divina della Chiesa, in breve parvero vacillare e rovinare i fondamenti del potere civile, perché, prevalendo sempre più la pazza audacia della cupidigia, si incominciarono impunemente a pervertire le leggi dell’umano consorzio.

Orbene, nessun rimedio efficace, del quale tutti i buoni sentono la necessità, si può recare a condizioni tanto disperate, ove non si ristabilisca il rispetto a Dio e l’ubbidienza alla sua volontà. Attraverso le innumerevoli vicissitudini di tempi e di cose rimane sempre inconcusso che il primo e il più grande dovere degli uomini sono l’ossequio e l’ubbidienza al sommo Creatore e Signore di tutte le cose; ogni qualvolta essi si allontanano da tale dovere, occorre subito che si ravvedano, se vogliono reintegrare l’ordine radicalmente perturbato e così andar liberi dalla quantità di mali che li opprimono. Del resto in questo solo punto è contenuta l’essenza della vita cristiana, e lo stesso Apostolo Paolo sembra voler inculcare questo concetto quando mirabilmente compendia in brevi tratti la vita del divino Redentore: «Umiliò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce» [3]. «Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» [4].

Ora appunto gli Esercizi Spirituali aiutano meravigliosamente tale ritorno all’ubbidienza in quanto, specialmente se fatti secondo il metodo di Sant’Ignazio, inculcano con argomenti inoppugnabili la perfetta ubbidienza alla legge divina, appoggiandola agli eterni princìpi della ragione e della fede. Perciò, desiderosi che la loro pratica si diffonda sempre più, seguendo l’esempio di molti Nostri Predecessori, non solo tornammo a raccomandarli ai fedeli con la Costituzione Apostolica «Summorum Pontificum», ma inoltre nominammo Sant’Ignazio di Loyola celeste Patrono di tutti gli Esercizi Spirituali. E quantunque, come abbiamo detto, non manchino altri metodi di Esercizi, è però certo che il metodo Ignaziano eccelle tra essi, e, soprattutto per la più sicura speranza che porge di utilità solida e duratura, gode di più ampie approvazioni della Sede Apostolica. Se dunque molti fedeli useranno con diligenza questo strumento di santità, potremo confidare che in breve, repressa la cupidigia di libertà sfrenata e ristabilite la coscienza e l’osservanza del dovere, possa finalmente l’umana società ottenere il dono della pace sospirata.

Quanto fin qui abbiamo rammentato, riguarda propriamente il bene interno e domestico della religione cristiana. Ma ciò che stiamo per dire in breve di San Francesco Saverio, riguarda il suo incremento all’esterno; benché, a dire il vero, strettissimo è il legame che congiunge l’opera del Saverio con quella di Ignazio, che ora abbiamo lodata. Infatti Ignazio, alla propria scuola, seppe talmente mutare quel Saverio che da principio aveva trovato tutto dedito alla vanità della gloria umana, da poterlo in breve offrire all’estremo Oriente quale predicatore, anzi Apostolo del Vangelo di Cristo: mutazione, questa, veramente meravigliosa e da attribuire tutta meritamente all’efficacia degli Esercizi. Infatti, se Francesco intraprese più volte così lunghi viaggi per terra e per mare; se portò per primo il nome di Gesù nel Giappone, che a buon diritto si può appellare isola dei Martiri; se affrontò pericoli immensi e sostenne incredibili fatiche; se versò l’acqua salutare del Battesimo su innumerabili fronti; se infine operò tanti miracoli di ogni genere, tutto ciò lo stesso Francesco affermava di doverlo, dopo Dio, ad Ignazio, «padre dell’anima sua», come lo chiamava, dal quale, nel sacro ritiro degli Esercizi, era stato guidato alla piena cognizione e all’amore di Gesù Cristo. E qui certo rifulgono l’ammirabile bontà e sapienza della provvidenza di Dio; il quale, nel tempo appunto in cui la Chiesa era terribilmente combattuta all’interno, e all’esterno subiva perdite ingenti di popoli intieri, con questo solo mezzo, ossia con l’aiuto degli Esercizi, le somministrò un duplice soccorso della più grande opportunità; cioè, insieme con Ignazio, prescelto a riparare la disciplina interna, quel Saverio che con la conquista di popoli stranieri alla fede di Cristo doveva compensare le perdite della Chiesa stessa. Primo, dopo un così lungo intervallo di tempo, egli parve rinnovare gli esempi degli Apostoli; poiché egli stesso fondò solide cristianità tra non poche genti barbare, dopo averle istruite con molti sudori e guidate alla pietà con le sue virtù esimie, ed aprì ai nostri Missionari vastissime regioni che fino a quel tempo erano rimaste assolutamente chiuse alla predicazione cristiana. Egli poi, com’era naturale, lasciò eredi del suo spirito prima di tutti i suoi Fratelli; e Noi sappiamo che fino ad oggi essi non si allontanarono mai dalla virtù di lui, ma custodirono sempre gelosamente una così preziosa eredità. Ma la memoria di Francesco Saverio servì sempre di stimolo anche agli altri predicatori del Vangelo; e perciò appunto il Saverio, per solenne decreto di questa Sede Apostolica, fu proclamato Patrono celeste dell’opera della « Propagazione della Fede ».

Orbene, la nostra età assomiglia a quella del Saverio anche nel fatto che la fede avita, respinta con superbo sdegno da molti dei nostri, sembra ormai voglia passare ad altre nazioni che l’attendono desiderose. E Noi spesso apprendiamo dalle lettere dei Missionari che in remote regioni dell’Africa e dell’Asia già biondeggia la messe apostolica per la raccolta, onde riparare i danni che subisce la Chiesa in Europa. Inoltre i fedeli si mostrano ora molto più zelanti che in passato nel promuovere la propagazione del Vangelo; zelo, questo, certamente acceso dal soffio della grazia divina, e che Noi auspichiamo ardentemente s’infiammi dappertutto, sull’esempio e sotto il patrocinio del Saverio, affinché, mosso dalle preghiere, «il Padrone della messe mandi operai nella sua messe»: operai che ogni buon cristiano vorrà aiutare con le preghiere e sostenere con le offerte.

Perciò, diletti figli, quanti appartenete alla Compagnia di Gesù, mentre celebrate la solenne memoria del vostro Padre Legislatore e del vostro Fratello maggiore, vi esortiamo tutti a seguire i loro esempi continuando con sempre nuove benemerenze verso la Chiesa a promuovere il vostro Istituto, ripetutamente onorato di ampie lodi da questa Sede Apostolica. E, principalmente, doppio è il frutto che vorremmo ricaviate dalla presente solennità. Anzitutto che attendiate ogni giorno più a servirvi per vostra e altrui utilità degli Esercizi Spirituali. Sappiamo che su questo punto già avete intrapreso con esito felice a lavorare con particolare diligenza a favore della classe operaia; è dunque da augurare che con uguale positivo risultato vi adoperiate nell’interesse delle altre classi sociali. Il secondo frutto riguarda la diffusione delle Missioni cattoliche. Ora, benché conosciamo la vostra diligenza e il vostro impegno del tutto singolari anche in quest’opera (sappiamo infatti che circa duemila di voi lavorano per gl’infedeli in quasi quaranta Missioni) tuttavia preghiamo ardentemente Iddio che ecciti ed infiammi sempre più in voi codesto santo zelo.

E perché tutto riesca a maggior gloria di Dio, a bene della Chiesa e a salvezza delle anime, auspice dei doni divini e testimone della Nostra benevolenza paterna, impartiamo con vivo affetto la Benedizione Apostolica a te, diletto figlio, e a tutti i figli della Compagnia di Gesù a te affidati.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 dicembre 1922, festa di San Francesco Saverio, anno primo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI."
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“Le Spagne sono state oltremodo benedette da Dio anche perché solo gli Spagnoli possono fare cose tipo mettere i polsini e i gemelli alla tunica di Nostro Signore Gesù Cristo.”

“Il 31 luglio 1009 Papa Sergio IV Osporci viene intronizzato Sommo Pontefice.”

“Il 31 luglio 432 San Sisto III viene esaltato al Sommo Pontificato.”

"[AVVISO SACRO] Dal mezzogiorno del 1° Agosto alla mezzanotte del giorno seguente, 2 agosto (festa di santa Maria degli Angeli e memoria della dedicazione della omonima Patriarcale Basilica di Assisi), è possibile lucrare il Perdono di Assisi: l’indulgenza plenaria cioè accordata da Onorio III a san Francesco nel luglio del 1216."
https://www.radiospada.org/2018/08/non-anni-ma-anime-il-perdono-di-assisi/







www.agerecontra.it | Sito del Circolo Cattolico "Christus Rex"
http://www.agerecontra.it/

"Centro Studi Giuseppe Federici - sito ufficiale"
http://www.centrostudifederici.org/

"sito dedicato alla crisi dottrinale nella Chiesa cattolica"
http://www.crisinellachiesa.it/

"Sito ufficiale del Centro Culturale San Giorgio"
http://www.centrosangiorgio.com/


C.M.R.I. - "Congregatio Mariae Reginae Immacolata" ("Congregation of Mary Immaculate Queen" "Congregazione di Maria Regina Immacolata"):
http://www.cmri.org/ital-index.html





https://www.truerestoration.org/


https://novusordowatch.org/


": Quidlibet : ? A Traditionalist Miscellany — By the Rev. Anthony Cekada"
http://www.fathercekada.com/

"Home | Traditional Latin Mass Resources"
http://www.traditionalmass.org/

http://www.traditionalcatholicpriest.com/





"Como ovejas sin Pastor"
http://sicutoves.blogspot.com/


https://moimunanblog.com/
https://moimunanblog.com/2019/07/30/san-ignacio-de-loyola-fundador/
"31 de julio SAN IGNACIO DE LOYOLA, CONFESOR."
https://i2.wp.com/www.catolicosalerta.com.ar/santoral/imagenes/07-31-ignacio-loyola.JPG


https://i2.wp.com/www.catolicosalerta.com.ar/santoral/imagenes/07-31-ignacio-loyola.JPG




“Pro Fide Catholica | Le site de Laurent Glauzy”
https://profidecatholica.com/


https://johanlivernette.wordpress.com/


https://lacontrerevolution.wordpress.com/


https://sedevacantisme.wordpress.com/


"Sede Vacante -"
http://www.catholique-sedevacantiste.fr/


http://wordpress.catholicapedia.net/




“Litanie de Saint Ignace de Loyola.”
Litanie de Saint Ignace de Loyola (http://le-petit-sacristain.blogspot.com/2015/07/litanie-de-saint-ignace-de-loyola.html)



Ligue Saint Amédée (http://www.SaintAmedee.ch)
http://www.SaintAmedee.ch
https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum]. Pas de "motu proprio" chez nous : nous célebrons la Sainte Messe selon le missel de Saint Pie V.»
“Mieux vaut une petite œuvre dans la Vérité, qu’une grande dans l’erreur.”

31 juillet : Saint Ignace de Loyola, Fondateur de la Compagnie de Jésus (1491-1556) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/31-juillet-saint-ignace-de-loyola)
“31 juillet : Saint Ignace de Loyola, Fondateur de la Compagnie de Jésus (1491-1556).”
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Exercices spirituels de Saint Ignace - Sodalitium (http://www.sodalitium.eu/exercices-spirituels-de-saint-ignace/)
http://www.sodalitium.eu/images/benvenuto_files/001_SaintIgnace.jpg


http://www.sodalitium.eu/images/benvenuto_files/001_SaintIgnace.jpg




SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, ORA PRO NOBIS!!! A.M.D.G.
PREZIOSISSIMO SANGUE DI NOSTRO SIGNOR GESÙ CRISTO, MISERERE NOBIS!!!
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula saeculorum. Amen.
«O Santissima Trinità, vi adoro! Mio Dio, mio Dio, Vi amo nel Santissimo Sacramento!»
CHRISTUS VINCIT, CHRISTUS REGNAT, CHRISTUS IMPERAT!!!
Luca, SURSUM CORDA – HABEMUS AD DOMINUM!!!

Holuxar
31-07-20, 23:47
31 LUGLIO 2020: SANT’IGNAZIO DI LOYOLA; trentunesimo ed ultimo giorno del MESE dedicato alla devozione al PREZIOSISSIMO SANGUE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO…




Sant'Ignazio - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santignazio/)
http://www.sodalitium.biz/santignazio/
«31 luglio, Sant’Ignazio di Loyola, Confessore (Azpeitia, 1491 – Roma, 31 luglio 1556).
“A Roma il natale di sant’Ignazio, Sacerdote e Confessore, Fondatore della Compagnia di Gesù, uomo illustre per santità e per miracoli, e zelantissimo nel dilatare ovunque la religione cattolica: dal Sommo Pontefice Pio undecimo fu dichiarato Patrono celeste di tutti gli Esercizi spirituali”.

Anima Christi, sanctifica me.
Corpus Christi, salva me.
Sanguis Christi, inebria me.
Aqua lateris Christi, lava me.
Passio Christi, conforta me.
O bone Jesu, exaudi me.
Intra vulnera tua absconde me.
Ne permittas me separari a Te.
Ab hoste maligno defende me.
In hora mortis meae voca me,
Et jube me venire ad Te,
Ut cum Sanctis tuis laudem Te
In saecula saeculorum.
Amen.

Anima di Cristo, santificami,
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami,
acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, fortificami.
Oh buon Gesù, ascoltami.
Nelle tue piaghe, nascondimi.
Non permettere che io sia separato da Te.
Dal nemico maligno difendimi.
Nell’ora della mia morte chiamami,
e comandami di venire a Te,
Perché con i tuoi Santi ti lodi,
nei secoli dei secoli. Così sia».

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Esercizi spirituali: turni estivi 2020 - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/esercizi-spirituali/)
http://www.sodalitium.biz/esercizi-spirituali/
«Esercizi spirituali: turni estivi 2020

ESERCIZI SPIRITUALI DI SANT’IGNAZIO DI LOYOLA
SECONDO IL METODO DI PADRE VALLET A VERRUA SAVOIA (TO)

“Cosa serve all’uomo guadagnare il mondo intero… se poi perde l’anima sua?”

5 giorni per preparare l’eternità felice… cosa sono in confronto ai 360 giorni che ogni anno dedichiamo a questo mondo di tenebra?…

TURNI ESTIVI

Per le donne: da lunedì 17 agosto (ore 12) a sabato 22 agosto 2020.
Per gli uomini: da lunedì 24 agosto (ore 12) a sabato 29 agosto 2020.
Gli esercizi sono predicati dai sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii (...)»

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"Sante Messe - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/


“Sodalitium - IMBC”
https://www.youtube.com/user/sodalitium


“Omelie dell'I.M.B.C. a Ferrara”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/


http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio, Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11)”




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
http://www.domusmarcellefebvre.it/
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso».





https://www.agerecontra.it/tag/sacro-cuore/
https://www.agerecontra.it/tag/gesu/
https://www.agerecontra.it/tag/riparazione/







https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«MARTIROLOGIO ROMANO, 1955. Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis»



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"ORAZIONE A SANT’IGNAZIO DI LOYOLA
Glorioso Patriarca sant'Ignazio, umilmente vi supplichiamo ad ottenerci da Dio principal­mente la liberazione dal massimo dei mali che è il peccato, e poi dai tanti flagelli, coi quali il Signore punisce le colpe dei popoli. Il vostro esempio accenda nel cuor nostro un efficace de­siderio di adoperarci continuamente alla mag­gior gloria di Dio ed al bene dei nostri pros­simi; ed otteneteci pure dall’amoroso Cuore di Gesù nostro Signore la grazia, che è corona di tutte le altre, cioè la perseveranza finale e la eterna beatitudine. Così sia.

Indulgenza di 300 giorni, e plenaria alle solite condizioni purché siasi recitata l’orazione ogni giorno per un mese intiero".



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"MESE DI LUGLIO: DEVOZIONE AL PREZIOSISSIMO SANGUE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO"



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https://sardiniatridentina.blogspot.com/2017/07/santignazio-sacerdote-e-confessore.html?m=1
"SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, CONFESSORE"




"Dire in breve dei meriti d'Ignazio verso il Cattolicisimo, è impossibile. Il suo nome infatti riassume da solo tutto l'immenso lavoro intrapreso dalla Chiesa nel secolo XVI, per opporre alla riforma luterana una vera riforma cattolica; cosicché la liturgia stessa asserisce in lode d'Ignazio, che la Provvidenza lo ha inviato per contrapporlo appunto a Lutero"
(Card. A.I. Schuster, Liber Sacramentorum, Roma-Torino, Vol. VIII, p. 120)





San Francesco Saverio e Sant'Ignazio di Loyola, Bolswert Schelte Adams; Rubens Pieter Paul – Stampe e incisioni – Lombardia Beni Culturali (http://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/H0080-01819/)



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PREGHIERA DEL BUON SOLDATO A SANT’IGNAZIO DI LOYOLA (31.7)"

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“31 luglio 2020:
Ignazio da Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, santo, il corpo, proveniente da S. Maria della Strada, custodito in una urna di bronzo dorato, dono di Francesca Giattini, si venera presso l’altare a lui dedicato nella chiesa del SS. Nome di Gesù all’Argentina. Il capo è conservato in sagrestia e si espone il giorno della sua festa. Nato a Loyola nel 1491 morì nel convento annesso alla chiesa del SS. Nome di Gesù il 31 luglio del 1556. Il suo culto pubblico fu promosso dal cardinale Baronio nel 1600, venne beatificato nel 1609 e canonizzato nel 1622.
M.R.: 31 luglio - A Roma il natale di sant'Ignazio, Sacerdote e Confessore, Fondatore della Compagnia di Gesù, uomo illustre per santità e per miracoli, e zelantissimo nel dilatare ovunque la religione cattolica: dal Sommo Pontefice Pio undecimo fu dichiarato Patrono celeste di tutti gli Esercizi spirituali. [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]”

“Il 31 luglio la Chiesa rende onore a Sant’Ignazio di Loyola, iniziatore degli Esercizi Spirituali e fondatore della Compagnia di Gesù. Tutti noi, per mille ragioni, siamo grandemente debitori a questo Santo che, tra l’altro, chiamò presto alla milizia cattolica un altro grandissimo Santo: Francesco Saverio”

https://www.radiospada.org/2020/07/a-santignazio-una-preghiera-scritta-da-san-francesco-saverio/
«A Sant’Ignazio. Una preghiera scritta da San Francesco Saverio di Redazione RS il 31 Luglio 2020
Ignazio da Loyola e Francesco Saverio:
“Ecco – scrive Gregorio XV nella bolla della loro canonizzazione (12 marzo 1622) – i nomi più grandi nella storia della Compagnia di Gesù. Il primo, grande per l’ammirabile conversione, per austerezze di penitente, per magnifiche e svariatissime imprese in promuovere la maggior gloria di Dio e l’esaltazione di santa Chiesa; grande il secondo per gli slanci d’un’accesissima carità, per indicibili fatiche tra i gentili e prodigi degni dei primi apostoli della fede”. Furono uniti da una intensissima carità, tanta quanto fu quella del Patriarca della Compagnia nel guadagnare alla sua causa il suo compagno di stanza all’Università di Parigi. Quest’ultimo, dalle lontane terre del Giappone, scriveva la seguente tenera preghiera al Padre che anche noi possiamo recitare. Io finalmente, o Padre dell’anima mia, e a me venerabile in sommo grado, colle ginocchia in terra (così scrivo a Vostra Paternità questa lettera), e come se io qui l’avessi presente: vi supplico a non cessar mai di pregare il Signore per me nei suoi santi Sacrifici ed Orazioni, acciocché si degni in tutta la vita mia di farmi e conoscere ed eseguire perfettamente la sua Santissima Volontà.
da : Lettere di S. Francesco Saverio, apostolo dell’Indie (traduzione di p. Orazio Torsellino sj), Venezia, 1716, p. 119»
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Libri ed articoli degni di nota su Sant’Ignazio di Loyola e la Compagnia di Gesù:




https://twitter.com/GianvitArmenise

Gianvito Armenise, Per vincere se stessi, Tabula Fati, Chieti 2016.

Edizioni Tabula fati - Gianvito Armenise, Per vincere se stessi (http://www.edizionitabulafati.it/pervinceresestessi.htm)
«Paolo e Giuliano sono amici da tempo. Anzi “camerati” perché frequentano la sezione di un piccolo movimento della destra extra-parlamentare.
Paolo, però, avverte un senso di inquietudine interiore e, nel frattempo, conosce Antonio con cui finirà per condividere l’esperienza degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola e la critica al Concilio Vaticano II. Paolo deciderà, così, di allontanarsi dalla militanza politica.
Ma un giorno, in ospedale, Giuliano farà uno strano incontro che gli cambierà la vita»
http://www.edizionitabulafati.it/pervinceresestessi.jpg



Edizioni Solfanelli - Giuseppe Brienza: I gesuiti e la rivoluzione italiana nel 1848 (http://www.edizionisolfanelli.it/igesuiti.htm)
«Giuseppe Brienza I GESUITI E LA RIVOLUZIONE ITALIANA NEL 1848
Questo saggio offre uno scorcio chiarificatore sulla vicenda di molti religiosi della Compagnia di Gesù che, nell’Italia infiammata dalla Rivoluzione europea del 1848, furono messi al bando e costretti a defatiganti esili a causa dei moti risorgimentali dello stesso anno. Propellente ideologico innescato contro i Gesuiti furono soprattutto i corrosivi pamphlet di Vincenzo Gioberti, che li accusava di costituire “uno dei principali ostacoli al riscatto d’Italia”.
Al contrario, furono invece perseguitati e costretti a lasciare il paese insigni studiosi appartenenti alla Compagnia, molto apprezzati all’estero (dove poterono infatti trovare rifugio e continuare le loro attività), come i padri Francesco de Vico e Angelo Secchi considerati ancor oggi pionieri dell’astrofisica, i teologi Giovanni Perrone e Johann Baptist Franzelin, e infine il filosofo Luigi Taparelli d’Azeglio i cui studi sul diritto naturale e sui rapporti fra società civile e Stato (questi ultimi per molti aspetti anticipatori dell’attuale dibattito sul “principio di sussidiarietà”) rappresentano pietre miliari nel pensiero cattolico contemporaneo.
La testimonianza di fedeltà dei Gesuiti all’Ordine e al Papa anche come sovrano temporale conferma come in buona parte degli Stati preunitari, nonostante le infiltrazioni illuministiche verificatesi nelle élite intellettuali, il clero e il mondo scientifico continuassero ad essere fedeli a Pio IX. Romana del resto — come ha dimostrato Giuseppe Spada, lo storico coevo probabilmente più documentato di quegli anni e ampiamente citato nel saggio — la rivoluzione del ’48-’49 nella capitale del Papa-re lo fu solo nella terminologia usata dalla propaganda del tempo e trasmessa fino ad oggi dalla vulgata risorgimentale».
http://www.edizionisolfanelli.it/igesuiti.jpg



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https://www.confederazionetriarii.it/santignazio-di-loyola-e-la-compagnia-di-gesu/
“Sant’Ignazio di Loyola e la Compagnia di Gesù
Massimo Viglione e Corrado Gnerre
Ignazio (in basco Íñigo) López nacque a Loyola intorno al 1491 e morì a Roma il 31 luglio del 1556 (canonizzato il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV).Ultimo di tredici figli, faceva parte di una nobile famiglia che abitava un piccolo castello nella regione basca. Pur destinato al sacerdozio, egli non aveva la vocazione: leggeva continuamente romanzi cavallereschi e decise così di intraprendere la carriera militare, conducendo per un certo tempo la vita avventurosa e anche dissipata del soldato (un po’ come san Francesco). E, come per san Francesco, accadde un episodio che modificò per sempre la sua vita: combattendo nel 1521 nell’esercito del giovane Re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V d’Asburgo, nella celebre battaglia di Pamplona contro i francesi venne ferito gravemente. Con le gambe fracassate, Ignazio fu costretto ad una lunga e dolorosa degenza. Ritornato al castello di famiglia, non essendoci più romanzi cavallereschi da leggere e non sapendo come trascorrere il tempo, si fece dare da una sua cognata due vecchi libri: una Vita di Gesù e una raccolta di Vite di Santi. Ignazio li lesse e la sua vita cambiò per sempre. E con essa la storia della Chiesa e della Cristianità.

Ignazio comprese che il Signore voleva che restasse soldato, ma un soldato diverso, un soldato di Cristo. Ai piedi della Madonna di Monserrat lasciò i vestiti di cavaliere e le armi. Si ritirò per mesi in preghiera e penitenza nella grotta di Manresa, dove secondo la tradizione la Vergine Ss.ma gli ispirò la sua opera celeberrima, Gli Esercizi spirituali; quindi andò in pellegrinaggio in Terrasanta. Poi decise di approfondire la propria fede. Riprese i libri e studiò prima a Barcellona, poi alla Sorbona a Parigi, dove si laureò e dove iniziò in concreto il suo apostolato. Infatti, egli ebbe subito la percezione di quanto l’infezione luterana stesse dilagando, specie tra alcuni docenti e molti studenti. Comprese allora quale sarebbe stata la sua missione in questo mondo: difendere la Chiesa e la Verità dall’eresia protestante.


Ad Majorem dei Gloriam

Con i suoi primi 9 compagni, il 15 agosto 1534, nella chiesa parigina di Saint Pierre de Montmartre, fece voto di vivere in povertà e in castità, di servire totalmente il Papa e fondò un nuovo ordine religioso, cui diede il militaresco nome di Compagnia di Gesù. Motto dell’ordine fu: “Ad Majorem Dei gloriam”.

Sempre come san Francesco, decise di venire a Roma per avere la definitiva approvazione papale sia del nuovo Ordine che della regola. Giunto alla collina della Storta, nei pressi di Roma, ebbe la visione del Sacro Cuore, con la scritta: “Propitius ero tibi Romae” (“Ti sarò propizio a Roma”): da questo evento si innestò il culto del Sacro Cuore in ambiente gesuitico. E da qui scaturisce anche la decisione di rimanere per sempre nella capitale della Cristianità.

Papa Paolo III approvò l’Ordine nel 1540; più tardi Ignazio, nominato “generale” della Compagnia, scrisse per essa le Costituzioni e gli Esercizi spirituali: le pratiche di meditazione e di educazione all’autocontrollo che dovevano servire ai membri per prepararsi alla loro missione.

Agli usuali tre voti, Ignazio ne volle aggiungere un quarto: l’obbedienza assoluta al Papa (e al generale dell’Ordine). Un’obbedienza “senza se e senza ma” veramente nel senso concreto del concetto, espressa dalla famosa sentenza ignaziana: “Perinde ac cadaver”. Nelle Costituzioni troviamo scritto al paragrafo 547: «(…) facciamo quanto ci sarà comandato con molta prontezza, gaudio spirituale e perseveranza, persuadendoci che tutto ciò è giusto, e rinnegando con cieca obbedienza ogni parere e giudizio personale in contrario, in tutte le cose che il superiore ordina… Persuasi come siamo che chiunque vive sotto l’obbedienza si deve lasciar portare e reggere dalla Provvidenza, per mezzo del superiore, come se fosse un corpo morto, che si fa portare dovunque e trattare come più piace».


Lo spirito della Controriforma

L’ordine dei gesuiti ebbe un enorme e rapido sviluppo. Al contrario di quanto avviene oggi più o meno in ogni ordine religioso (l’affannosa ricerca di nuovi seminaristi e adepti), Ignazio scoraggiava i giovani dall’entrare nella Compagnia, ponendone subito in rilievo tutte le difficoltà, legate soprattutto al voto di obbedienza assoluta. Si racconta il seguente episodio: un giorno un giovane nobile chiese di entrare nella Compagnia e di poter incontrare Ignazio (cosa peraltro non facile per nessuno), dichiarandosi pronto a sostenere qualsiasi sacrificio richiesto. Ignazio volle esaminarlo: ricevutolo dinanzi a sé, lo lasciò parlare, ascoltando le promesse del giovane di disposizione al martirio e all’obbedienza incondizionata. Improvvisamente, lo interruppe e gli chiese di fare tre salti indietro. Il giovane chiese perché dovesse farli. Ignazio lo guardò e gli disse che non era adatto a divenire gesuita… Aveva chiesto “perché?”!

Al contrario di quanto la mentalità moderna possa credere, proprio la durezza e la difficoltà selettiva donavano alla Compagnia un fascino irresistibile. Così, in pochi anni, il numero dei gesuiti salì enormemente, molto più dei limiti imposti dai pontefici. La Compagnia si diffuse in tutta Europa, e i suoi figli furono mandati in tutto il mondo a evangelizzare le genti.

Sant’Ignazio fondò a Roma due collegi, il Collegio Romano e il Collegio Germanico, quest’ultimo specificamente destinato alla formazione dei sacerdoti di lingua tedesca inviati a combattere la diffusione delle dottrine di Lutero e di Calvino. Nelle sale dove gli allievi vivevano, erano affrescate scene di tortura: così i futuri missionari avevano tutti i giorni sotto gli occhi il destino che avrebbero potuto subire se fossero caduti nelle mani dei loro nemici.

Riguardo al Protestantesimo, l’idea geniale di Ignazio, ma soprattutto dei suoi successori, fu quella di cogliere l’occasione della Pace di Augusta, che prevedeva che nelle terre imperiali le popolazioni dovessero seguire la scelta religiosa del Principe locale (“Cuius regio et ejus religio”). Teologi preparati e padri spirituali vennero per decenni inviati non solo nelle corti rimaste cattoliche al fine di garantire la fedeltà alla Chiesa della famiglia regnante, ma anche nelle corti protestanti, allo scopo ultimo della conversione del sovrano, o almeno per ottenere la pace religiosa per i cattolici. Essi seppero incarnare alla massima espressione lo spirito della Controriforma in tutto il mondo germanico, e, in tal maniera, i gesuiti svolsero un ruolo determinante come baluardo della cattolicità in tutte le terre imperiali.

La Compagnia era di fatto un vero e proprio esercito al servizio del Papa, che cercò con successo di limitare la diffusione delle teorie di Lutero e di Calvino, con una politica volta da un lato a fare colpo sulla sensibilità popolare con l’arte, le processioni, la devozione alla Madonna e ai santi, dall’altro a esercitare una notevole influenza sulla classe dirigente.

La Compagnia di Gesù aprì in tutte le nazioni collegi, in cui – con un programma di studi rigoroso, fondato sull’insegnamento delle lingue classiche – venivano educati non solo i futuri sacerdoti, ma anche i figli della nobiltà e dell’alta borghesia che volevano ricevere un’educazione qualificata. Per tutto il XVII e XVIII secolo, non solo lo spirito teologico e spirituale della Controriforma, ma anche l’arte sia colta che popolare del Barocco e in qualche modo tutta la cultura e l’istruzione europea trovarono i loro massimi esponenti nel padri gesuiti. La Compagnia divenne l’istituzione formante e caratterizzante di tutto il mondo religioso, civile e culturale europeo dei secoli moderni.

I gesuiti col tempo divennero sempre più soggetti a critiche, specie da parte di correnti cripto eretiche come i giansenisti, che li accusavano di “lassismo”, non solo per la loro tendenza a vivere nelle corti, ma anche per la loro apertura alla spiritualità popolare e barocca, e in particolare per il culto del Sacro Cuore (ci fu perfino chi parlò di “cardiolatria”…). In realtà, la fucina di santi dei gesuiti non teme confronti: in pochi decenni, possiamo ricordare stelle del paradiso comesan Francesco Saverio, uno dei dieci fondatori, detto “l’Apostolo dei pagani”, perché fu missionario in India e Giappone (dove battezzò fino a 100.000 persone); san Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, che processò Giordano Bruno e Galileo Galilei, e san Luigi Gonzaga, parente del Duca di Mantova, che, giovanissimo, rinunciò a tutte le ricchezze e gli onori per farsi missionario fra gli appestati: morì giovane di peste, e la Chiesa lo ha consacrato “Patrono universale della gioventù”.



I gesuiti inviati nel mondo

La falsità dell’accusa di lassismo è soprattutto provata però dal vero e proprio esercito di gesuiti che furono nei decenni inviati in ogni parte del mondo per evangelizzare i pagani. Oltre a san Francesco Saverio, un numero indefinito di figli di sant’Ignazio partì per l’Asia (ricordiamo Matteo Ricci in Cina), l’Africa, il Nuovo Mondo. Qui, a partire dal 1609, i gesuiti avevano realizzato nelle regioni al confine fra i domini spagnoli del Paraguay e quelli portoghesi del Brasile un’esperienza politica e religiosa di grande importanza: le “Riduzioni” (in spagnolo Reducciones). In queste missioni, sottratte all’autorità del Re di Spagna, gli indios vivevano sotto la protezione dei missionari cattolici, coltivando le terre comuni e dedicandosi ad attività artigianali. I gesuiti li proteggevano dalle incursioni dei mercanti di schiavi, li istruivano nelle tecniche agricole e li incoraggiavano a vivere in piccole comunità di villaggio fondate sulla famiglia, insegnavano loro a leggere e a scrivere.

Questa situazione suscitò le proteste dei più spregiudicati fra i coloni spagnoli, che avevano tutto l’interesse a fare schiavi gli indios e a impadronirsi delle loro terre. Le proteste contro i gesuiti dei governatori spagnoli furono una delle principali conseguenze della soppressione dell’Ordine: il 1767, anno in cui i gesuiti furono espulsi dalla Spagna, segnò anche la fine delle Riduzioni e con esse della libertà per migliaia di Indios che persero le terre in cui vivevano e, in molti casi, la libertà.


Soppressione, rinascita e “cambiamento” della Compagnia di Gesù

Nei decenni dell’Illuminismo la guerra contro la Compagnia si intensificò radicalmente: lo spirito anticattolico illuminista vedeva nei gesuiti il nemico giurato da abbattere. Con la complicità delle famiglie reali cattoliche (i vari rami dei Borbone in primis) e con quella incredibile e imperdonabile di un Pontefice Romano, Clemente XIV, giansenisti, massoni e illuministi poterono ottenere ciò che qualche decennio prima era impensabile: nel 1773 la Compagnia fu sciolta e bandita, al punto tale che accadde il paradosso che molti gesuiti trovarono rifugio nella Prussia protestante e nella Russia ortodossa!

Superfluo ricordare quanto questo atto folle abbia poi facilitato la diffusione delle idee sovversive tanto nelle famiglie reali e nelle élites politiche e culturali, quanto fra le popolazioni, specie fra la borghesia colta, i militari, i burocrati: in pratica, i philosophes presero il posto, sia fisicamente che con i loro scritti, dei gesuiti nella gestione della cultura, nell’educazione dei giovani, nelle corti reali. Ed è ancor più superfluo notare quanto tutto questo abbia poi facilitato il trionfo della Rivoluzione Francese e quindi l’affermazione degli ideali anticattolici e laicisti in tutta Europa, nonché la persecuzione fisica di migliaia e migliaia di cattolici in Francia, Italia, Spagna ecc.

Solo nel 1814, con la caduta di Napoleone e con l’affermazione dei principi della Restaurazione, Pio VII ricostituì la Compagnia di Gesù. Per tutto il XIX secolo, i suoi esponenti di punta combatterono una indefessa battaglia ideale contro le forze della Rivoluzione liberale, socialista e massonica. Specie in Italia, lo scontro fu durissimo: un gruppo di gesuiti italiani (Carlo Maria Curci in primis, quindi Luigi Taparelli d’Azeglio, Antonio Bresciani, Giovan Battista Pianciani) fondò una rivista di importanza capitale, La Civiltà Cattolica, che condusse per decenni delle eroiche battaglie intellettuali contro il Risorgimento laicista prima e contro la diffusione di tutti gli errori della modernità nella prima metà del XX secolo, a partire dal liberalismo e dai totalitarismi, poi. La Compagnia di Gesù, così, per altri 150 anni, rimase il baluardo della Verità teologica, filosofica, storica, morale.

Occorre dire che le cose sono cambiate dagli anni della Seconda Guerra Mondiale in poi. Un gruppo sempre più consistente e influente di teologi gesuiti di nuova generazione (Theilard de Chardin, de Lubac, Rahner e altri) introdussero con successo nella Compagnia idee eterodosse o almeno pericolosamente vicine al modernismo teologico, scomunicato da san Pio X, producendo, di fatto, sebbene a diversi livelli, il distaccamento della Compagnia dall’antica impostazione di fedeltà alla sana dottrina tradizionale della Chiesa e il diffondersi del progressismo all’interno della Chiesa stessa, del neomodernismo, delle deviazioni postconciliari, fino alla stessa teologia della liberazione.

In pratica, il processo di sovversione teologica, spirituale, liturgica e morale in atto da decenni nella Chiesa, e con un crescendo impressionante dopo il Concilio Vaticano II, vede nella Compagnia, se non l’unico certamente il principale artefice ideale e a volte anche operativo. Oggi, sebbene forse non più in maniera radicale come nei decenni anteriori e posteriori al Concilio, la Compagnia (eccetto che per lodevoli singole eccezioni) rimane in generale espressione salda del progressismo teologico e politico dei nostri giorni.

Esattamente il contrario di tutto quanto insegnato, voluto e vissuto dal Fondatore della Compagnia di Gesù, per il quale l’obbedienza totale al Papa e al magistero universale e immutabile della Chiesa era la condizione prima e ineliminabile non solo dell’essere gesuita, ma dell’essere cattolico, dell’essere dalla parte di Gesù Cristo e non dei suoi nemici, terreni e ultraterreni.

Ignazio di Loyola è lo stendardo della Cattolicità del XVI secolo (e in qualche modo di tutta la modernità), che si opposto, nei giorni terribili del trionfo dell’eresia e della fine dell’unità della Res Publica Christiana, allo stendardo del male, incarnato da Martin Lutero. Ignazio e Lutero sono i due poli opposti dello scontro fra la luce e le tenebre nel secolo più religioso della storia umana, i due stendardi della lotta fra la nascente Rivoluzione anticristiana e la risposta a tale Rivoluzione, quella che diverrà nei secoli successivi la Contro-Rivoluzione cattolica. Contro Lutero e i suoi soci, Dio scelse in primis Ignazio e la sua Compagnia.

Il fatto che oggi per la prima volta vi sia sul Soglio di Pietro un Pontefice gesuita, costituirà certamente un passaggio determinante per la storia della Chiesa e della Cristianità tutta.

Massimo Viglione



La spiritualità di Sant’Ignazio come risposta agli errori di Lutero

Sant’Ignazio di Loyola è una delle figure che ha maggiormente influito non solo nella storia religiosa ma anche in quella culturale dell’Occidente. Approfondiamo in questa voce la sua spiritualità, soprattutto in relazione alla lotta contro il Luteranesimo.
Trasfigurare l’umano nel divino, portare il divino nell’umano
Ad maiorem Dei gloriam: A maggior gloria di Dio. È questa la frase-cuore della spiritualità ignaziana. Una spiritualità che costituì una significativa ed efficace risposta agli errori che la Rivoluzione protestante stava diffondendo. Una spiritualità che nacque per quello scopo, ma che costituisce un valore sempre attuale per il fedele della Chiesa militante.

La spiritualità ignaziana è fondata su un capolavoro, gli Esercizi spirituali, che il Santo di Loyola scrisse (ispirato dalla Vergine… c’è chi dice che addirittura la Vergine glieli avrebbe dettati) quando si trovava in eremitaggio nella Grotta di Manresa.

Lo scopo degli Esercizi è porre l’uomo all’interno della dimensione dell’eternità. L’esercitante deve inserire nella propria vita i misteri centrali della Redenzione affinché possa trasfigurare la sua esistenza in una prospettiva di senso, data appunto dall’essere destinato a vivere per l’eternità con Dio.

Sant’Ignazio tiene a precisare che la presenza di Dio non è una possibilità esclusiva dell’esito ultraterreno (nel senso che l’uomo può – se lo vuole – arrivare a Dio quando riuscirà a conquistare il Paradiso), ma essa è da vivere già nella propria vita terrena. Anzi, è proprio questa la specificità dell’autentica vita cristiana.

La meditazione dei misteri della Redenzione deve avvenire coinvolgendo il proprio umano: finanche i sensi devono partecipare. Il Santo spagnolo tiene a far capire all’esercitante come sia importante osservare attentamente le cose, anche le più banali, per comprenderne il significato: l’Eterno può essere più facilmente sperimentato dall’uomo, solo se è inserito nel concreto della vita quotidiana. È ciò che sant’Ignazio definisce composizione di luogo.

Queste le sue direttive nella seconda contemplazione della seconda settimana dei suoi esercizi: «Sarà qui vedere con gli occhi dell’immaginazione la via da Nazareth a Betlemme, considerandone la lunghezza, la larghezza, e se tale via sia pianeggiante o se attraversa valli o colline. Similmente osservando il luogo o grotta della natività: è grande o piccola? È bassa o alta? Come era disposta? (…) Il primo punto è vedere le persone, cioè vedere nostra Signora, Giuseppe, l’ancella e il bambino Gesù appena nato, facendomi io poverello e piccolo schiavo indegno, guardandoli e servendoli nelle loro necessità, come se fossi presente, con tutto l’affetto e il rispetto possibile. E quindi riflettere in me stesso per ricavare qualche frutto. Il secondo: osservare, notare e contemplare quello che dicono; e, riflettendo in me stesso, ricavarne qualche profitto. Il terzo: guardare e contemplare quello che fanno, come il camminare e lavorare, perché il Signore nasca in somma povertà per poi morire in croce dopo tante fatiche fame, sete, caldo e freddo, ingiurie e affronti; e tutto questo per me. Poi, riflettendo, ricavare qualche profitto spirituale». (...)

Corrado Gnerre

Massimo Viglione e Corrado Gnerre”




https://cooperatores-veritatis.org/2017/01/23/i-gesuiti-scristianizzazione-chiesa-1/
https://cooperatores-veritatis.org/2017/04/22/gesuiti-novatores-chiesa-nova-apostata/
« (…) Siamo giunti alla conclusione del nostro modesto studio sulla rovina che regna fra i gesuiti novatores. Prima di proseguire ci preme riaffermare che, il nostro, non è assolutamente un atto d’accusa contro la Compagnia di Gesù, anzi: lo scopo di questo studio è quello di onorare e difendere quei grandi gesuiti fedeli alla Chiesa fino al martirio. Ma, per fare questo, è necessario denunciare senza remore la decadenza dell’ordine fondato da Sant’Ignazio, per cui affidiamo queste pagine proprio al santo Fondatore di Loyola e a tutti i grandi gesuiti che hanno glorificato Cristo e la Chiesa con le loro vite. Ad maiorem Dei gloriam!»
https://cooperatoresveritatis.files.wordpress.com/2017/01/08-dossier-gesuiti-parte-prima-11.jpg



https://cooperatoresveritatis.files.wordpress.com/2017/01/08-dossier-gesuiti-parte-prima-11.jpg



https://cooperatores-veritatis.org/dossier/i-gesuiti-studio/
https://cooperatores-veritatis.org/2019/07/30/gesuiti-sono-forse-loro-la-chiesa-nella-chiesa-vista-in-molte-profezie/
« (…) Padre Martin, inoltre, fu il primo – proprio lui, ex gesuita ma sempre fedele a Sant’Ignazio di Loyola – a descrivere la deriva e il tradimento della Compagnia di Gesù in un libro ben documentato intitolato I Gesuiti. Il potere e la segreta missione della Compagnia di Gesù nel mondo in cui fede e politica si scontrano (Sugarco, 1987; cliccare qui) (…)
Ripetiamolo: questa analisi da parte di Padre Malachi, che ben conosceva il terzo segreto di Fatima, vedi qui, segretario del cardinale gesuita Augustin Bea e costretto a lasciare la Compagnia perché “la nuova non era più quella fondata da sant’Ignazio…”, è stata scritta nel 1987 e sfidiamo davvero chiunque ad affermare che ciò che è stato analizzato ieri non è quanto stiamo vivendo oggi (…)».


https://gloria.tv/post/n7TLyFgJ2Fdq2PtsAjYKa1jZY
“Il gesuita Malachi Martin, padre Amorth e il Terzo Segreto di Fatima: "Satana è in Vaticano!".”


GESUITI E FRENESIA RELATIVISTA (http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/la-contro-chiesa/4146-gesuiti-e-la-frenesia-relativista)
«Che accidenti sta succedendo ai gesuiti? di Francesco Lamendola
L’Ordine dei Gesuiti, ossia la Compagnia di Gesù (Societas Iesu), fondato da sant’Ignazio di Loyola, è stato approvato ufficialmente da papa Paolo III – quello che convocò il Concilio di Trento, peraltro dietro suggerimento dello stesso Loyola – il 27 settembre del 1540, con la bolla Regimini militantis ecclesiae. Non è certo questa la sede per farne la storia; tutti sappiamo, comunque, che è nato e si è sviluppato come l’Ordine più tipico della Riforma cattolica, per gli ideali che l’hanno ispirato e, in particolare, come “truppa scelta” votata direttamente e prioritariamente al santo Padre, oltre che come un Ordine religioso decisamente colto, molto attivo nell’istruzione e nella formazione delle classi dirigenti cattoliche, nonché nella evangelizzazione ai quattro angoli del mondo, con parecchi martiri sparsi dal Giappone al Canada. Sono ben noti anche i successi riportati da Matteo Ricci e da altri gesuiti nella evangelizzazione dell’Asia, anche se sia in Cina, sia in India, quando pareva che la cristianizzazione di quei Paesi fosse ormai a portata di mano, il tentativo fallì per la questione, sollevata dai domenicani, e giustamente, della conformità al cattolicesimo delle forme culturali tipiche della società cinese e di quella indiana, che i gesuiti tendevano a includere nel loro progetto missionario. Sono anche note le reducciones gesuite del Paraguay, che costituirono dei modelli di “repubbliche teocratiche” e degli interessanti esperimenti di “sviluppo separato” degli indigeni e di autosufficienza economica, al riparo dall’avidità dei colonizzatori europei e specialmente dei cacciatori di schiavi del Brasile: tanto da destare la gelosia e l’odio dei proprietari spagnoli e portoghesi, che ne pretesero la chiusura. I gesuiti, illustri scienziati, e perciò portati a svolgere un ruolo di primo piano nella vicenda del processo a Galilei, non si sono mai risparmiati sul fronte della lotta contro le tendenze anticristiane del XVIII secolo, tanto che i “sovrani illuminati” (a eccezione di Caterina di Russia) ne decisero l’espulsione da un Paese dopo l’altro, fino a quando, nel 1773, papa Clemente XIV si vide costretto a sopprimerli, con la lettera apostolica Dominus ac Redemptor, un documento patetico e imbarazzante, nel quale il papa non prende posizione circa le accuse che venivano mosse ai gesuiti, ma si limita a constatare che tali accuse esistono e sono molto forti, e che, per amor di pace, è preferibile eliminarne la causa alla radice. Pio VII li avrebbe poi ricostituiti poi nel 1814.
Rinati nel clima della Restaurazione, i gesuiti nel XIX e XX secolo si sono strenuamente adoperati per la propagazione e la difesa della fede cattolica; compatti difensori del papato, cui, peraltro, avevano deciso di non aspirare personalmente, sono stati in prima fila nella battaglia antimodernista di san Pio X e, con la rivista La civiltà cattolica, fondata nel 1850, hanno perseguito fino a dopo la Seconda guerra mondiale un vasto progetto di ricattolicizzazione della società, e perfino di restaurazione della teologia tomista, già indicata da papa Leone XIII come la teologia più idonea a veicolare e sostenere le verità della dottrina cattolica (…)».




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«Perché non bisogna discreditare la Compagnia di Gesù 29 Marzo 2017 (Roberto de Mattei)
(…) L’obbedienza è una virtù eminente riconosciuta da tutti i teologi e praticata da tutti i santi. Essa ha il suo perfetto modello in Gesù Cristo, di cui san Paolo dice che fu «obbediente fino alla morte, alla morte di Croce!» (Fil. 2, 8). Essere nell’obbedienza significa essere in Cristo (2 Cor 2, 9) e vivere pienamente il Vangelo (Rom 10, 16; 2 Tess. 1, 8). Perciò i Padri e i Dottori hanno definito l’obbedienza come la custode e la madre di tutte le virtù (S. Agostino, De Civ. Dei, Liber XIV, c. 12). Il fondamento dell’obbedienza è la subordinazione ai superiori perché rappresentano l’autorità stessa di Dio. Ma essi rappresentano l’autorità in quanto custodiscono e applicano la legge divina.
Questa legge divina è a sua volta superiore al potere umano degli uomini che hanno il compito di farla rispettare. L’obbedienza costituisce per un religioso la virtù morale più eccelsa (Summa theologica 2-2ae, q. 186, aa. 5, 8). Tuttavia si pecca contro questa virtù non solo per disobbedienza, ma anche per servilismo, uniformandosi a decisioni dei superiori palesemente ingiuste.
(…) In questa prospettiva si addebitano talora ai Gesuiti colpe che non sono loro, come quella di avere introdotto nella Chiesa una concezione ipertrofica e volontaristica dell’obbedienza religiosa. Si cita a questo proposito l’invito di sant’Ignazio di Loyola alla “cieca obbedienza”, travisando il significato che il fondatore della Compagnia di Gesù dà a questa virtù. La parola “cieca” evoca infatti l’irrazionalità, ma se tra i santi vi è un campione della razionalità questi è proprio sant’Ignazio, i cui Esercizi Spirituali sono un capolavoro di logica, basato sull’applicazione del principio di non contraddizione al campo spirituale e morale dell’esercitando.
L’affermazione di Guglielmo da Ockam, secondo cui è giusto tutto ciò che Dio comanda, ma Dio può comandare anche l’ingiusto (iustum quia iussum), pone le basi del volontarismo di Lutero di cui la concezione ignaziana rappresenta l’antitesi. L’obbedienza cieca a cui sant’Ignazio fa riferimento sarebbe irrazionale se prescindesse dalla ragione che costituisce invece, come egli spiega, il suo presupposto, perché è il risultato di un’attenta e ponderata riflessione (Monumenta Ignatiana (MI), G. Lopez del Horno, Madrid 1903, I, 4, pp. 677-679).
L’obbedienza ignaziana non ha nulla a che vedere con il volontarismo, proprio perché si fonda sulla logica e sul rispetto di una oggettiva legge divina e naturale, alla quale il superiore deve subordinarsi. Sant’Ignazio tratta dell’obbedienza, nelle Costituzioni della Compagnia, nella Lettera sull’ubbidienza indirizzata ai gesuiti del Portogallo il 26 marzo 1553 e in molte altre lettere, come quelle agli scolastici di Coimbra, alla Comunità di Gandia, ai Gesuiti di Roma, ad Andrés Oviedo, al padre Urbano Fernandez.
In questi documenti egli chiarisce bene come l’obbedienza ha dei limiti precisi: il peccato e l’evidenza contraria. Nelle Costituzioni, ad esempio, sant’Ignazio afferma che i Gesuiti devono obbedire al Superiore «in tutte le cose in cui non vi sia peccato» (n. 284); «in tutte le cose che il superiore ordina e nelle quali non si può individuare alcuna sorta di peccato» (n. 547); in tutte quelle «in cui non sia manifesto alcun peccato» (n. 549). Dunque quando l’ordine del superiore induce al peccato, deve essere rifiutato.
Naturalmente si tratta di peccato sia mortale che veniale, ed anche di occasione di peccato, purché chi è posto davanti all’ordine ingiusto ne sia soggettivamente certo. Oltre alla limitazione che proviene dalla volontà, che è il peccato, c’è quella che dipende dal giudizio, come emerge dalla lettera ai gesuiti di Coimbra del 14 gennaio 1548, in cui il fondatore della Compagnia specifica che l’obbedienza vale fino a che «non si entri in cosa che sia peccato o che sia conosciuta come falsa in maniera tale da imporsi necessariamente al giudizio» (MI, I, 1, p. 690).
Questo limite è espresso anche nella Carta dell’Obbedienza in cui il gesuita è invitato a ubbidire «in molte cose in cui non lo forzi l’evidenza della verità conosciuta» (MI, I, 4, p. 674). Il padre Carlos Palmés de Genover s.j., che ha studiato questo tema, commenta: «È chiaro che l’evidenza contraria è un limite naturale dell’obbedienza, per l’impossibilità psicologica di dare il proprio assenso a ciò che si presenta come evidentemente falso» (La obediencia religiosa ignaciana, Eugenio Subirana, Barcelona 1963, p. 239). Se nel peccato il limite è di ordine morale, nel caso dell’evidenza, è di ordine psicologico. L’obbedienza dunque è “cieca” a determinate condizioni e mai irrazionale.
(…) Tra la Rivoluzione protestante e la Rivoluzione francese i Gesuiti hanno rappresentato l’inespugnabile barriera che la Provvidenza ha levato contro i nemici della Chiesa. E la diga crollò, nel 1773, proprio quando un papa, Clemente XIV, soppresse la Compagnia di Gesù, privando la Chiesa dei suoi migliori difensori. Il padre Jacques Terrien ha svolto una accurata ricerca storica su una tradizione, che rimonta ai primi tempi della Compagnia, secondo la quale la perseveranza nella vocazione all’interno dell’Istituto fondato da sant’Ignazio sarebbe un pegno sicuro di salvezza (Recherches historiques sur cette tradition que la mort dans la Compagnie de Jésus est un gage certain de prédestination, Oudin, Paris 1883).
Tra le numerose testimonianze che il religioso riporta, dai Bollandisti a santa Teresa d’Avila, è di particolare interesse una rivelazione che ebbe nel 1569 san Francesco Borgia, preposito generale dell’ordine. «Dio mi ha rivelato – affermò il santo spagnolo – che nessuno di coloro che sono vissuti, vivono o vivranno nella Compagnia, morendo in essa, sarà condannato, per lo spazio di trecento anni. E’ la stessa grazia che già fu fatta all’Ordine di san Benedetto» (Terrien, op.cit, pp. 21-22).
Poiché i gesuiti furono fondati nel 1540, il privilegio della salvezza per coloro che sono morti all’interno della Compagnia, si estende fino al 1840 (…)»
http://www.robertodemattei.it/wp-content/uploads/2017/03/simbolo_gesuita.jpg







https://moimunanblog.com/
"31 de julio SAN IGNACIO DE LOYOLA, CONFESOR"





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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum]. Pas de "motu proprio" chez nous : nous célebrons la Sainte Messe selon le missel de Saint Pie V»
“Mieux vaut une petite œuvre dans la Vérité, qu’une grande dans l’erreur”

“31 juillet : Saint Ignace de Loyola, Fondateur de la Compagnie de Jésus (1491-1556)”
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Exercices spirituels de Saint Ignace - Sodalitium (http://www.sodalitium.eu/exercices-spirituels-de-saint-ignace/)




SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, ORA PRO NOBIS!!! A.M.D.G.
PREZIOSISSIMO SANGUE DI NOSTRO SIGNOR GESÙ CRISTO, MISERERE NOBIS!!!
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula saeculorum. Amen.
«O Santissima Trinità, vi adoro! Mio Dio, mio Dio, Vi amo nel Santissimo Sacramento!»
CHRISTUS VINCIT, CHRISTUS REGNAT, CHRISTUS IMPERAT!!!
Luca, SURSUM CORDA – HABEMUS AD DOMINUM!!!