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Visualizza Versione Completa : Esercizi di Sant'Ignazio (Gennaio 2009)



Guelfo Nero
31-07-02, 21:35
CARI AMICI,

NON POTEVA MANCARE PER IL MESE D'AGOSTO LA SEGNALAZIONE DEGLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO CHE SONO CERTAMENTE UNA DELLE CIFRE DISTINTIVE DELL'ESSERE CATTOLICO OGGI.
POSTO QUESTO MESSAGGIO PROPRIO OGGI, NELLA STRAORDINARIA FESTA DI SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, PER RENDERE UN OMAGGIO A CHI NE HA COMPOSTO, TEMI E TESTI SU DIRETTA ISPIRAZIONE DELLA VERGINE MARIA.

http://santiebeati.it/immagini/Original/23800/23800A.JPG


GLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO SONO UN INSIEME DI PRATICHE DEVOTE E DI TEMI SACRI DA MEDITARE CHE VENGONO DATI A CHI FA GLI ESERCIZI PERCHè POI NON CESSI MAI DI FARNE PRATICAD.
IN FONDO SONO UNA SPECIE DI "PALESTRA DELLO SPIRITO" DOVE INIZIARE AD IRROBUSTIRSI, VINCERE PASSIONI DISORDINATE, STACCARSI DA PECCATI INVETERATI, COMPRENDERE APPIENO IL SENSO DELLA VITA E DELLA PRATICA CATTOLICA.
PER CHI LI FA, OGNI ANNO SONO IL MOMENTO DI RICAPITOLAZIONE, DI RIFLESSIONE, DI CORREZIONE PER POI RIPARTIRE NELLA MILIZIA CRISTIANA DI OGNI GIORNO.
NELLA LORO STRUTTURA ORIGINARIA DURANO TRENTA GIORNI MA IN QUESTO SECOLO UN GRANDE CULTORE DEGLI ESERCIZI E PREDICATORE, PADRE FRANCESCO DI PAOLA VALLET (1883-1944) NE CREATO UNA VERSIONE PIù BREVE, CON TOTALE ADERENZA AL TESTO IGNAZIANO DELLA DURATA DI 5 GIORNI. IL PIO PADRE BARRIELLE (1897-1983) DURANTE GLI ANNI SETTANTA HA AGGIUNTO QUALCHE RITOCCO, ADEGUANDOLI ALLA SITUAZIONE ATTUALE DELLA CHIESA.
SONO CINQUE GIORNI INTENSISSIMI CON MEDITAZIONI QUOTIDIANE SUI NOVISSIMI (MORTE, GIUDIZIO, INFERNO E PARADISO), SULLO SCONTRO MILLENARIO TRA I DUE ESERCITI (I DUE STENDARDI DI DIO E DI SATANA), SULLA NECESSITà DEL MILITARE SOTTO LE BANDIERE DI DIO, SULLA PASSIONE, MORTE E RESURREZIONE DI NOSTRO SIGNORE GESù CRISTO.
OGNI GIORNO UNA CONFERENZA APOLOGETICA SULLA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO, SULL'IMMORTALITà DELL'ANIMA, SULLA DIMOSTRAZIONE CHE LA CHIESA CATTOLICA è L'UNICA CHIESA FONDATA DA CRISTO, SULL'ATTUALE SITUAZIONE DELLA CHIESA DOPO IL "VATICANO II".
OGNI GIORNO SANTO ROSARIO, OGNI GIORNO ALTERNATI VISITA AL SANTISSIMO SACRAMENTO E VIA CRUCIS.
IL TUTTO IN UN SILENZIO PROFONDO CHE INVITA A LASCIARE FUORI DALLA PORTA PER QUALCHE GIORNO GLI AFFANNI MONDANI E A RIMANERE SOLI DI FRONTE ALLE PROPRIE MANCANZE, ALLE PROPRIE VILTà E AL PROPRIO DOVERE.
"LA VITA è MILIZIA SULLA TERRA", ANZI "LA VITA SULLA TERRA è UN TURNO DI GUARDIA" COME DICEVA MONSIGNOR LUIGI NICORA, POI VESCOVO DI COMO NEL 1888 ("VITA EST FACTIO"): BISOGNA RISPETTARE LE CONSEGNE ED ESSERE PRONTI A CEDERLE, QUANDO CI VERRANNO RICHIESTE.
QUESTI ESERCIZI SERVONO ANCHE A RICORDARCI QUESTA SAGGIA VISIONE DI ANTROPOLOGIA CATTOLICA.
OVVIAMENTE I SACERDOTI SONO SEMPRE A DISPOSIZIONE DEGLI ESERCITANTI PER DARE BUONI CONSIGLI, PER RACCOGLIERNE DUBBI, TRISTEZZE E GIOIE.
A VERRUA SAVOIA PRESSO L'ISTITUTO "MATER BONI CONSILII" GLI ESERCIZI PER GLI UOMINI SI TERRANNO DALLE 12.00 DEL 26 AGOSTO ALLE 12.00 DEL 31 AGOSTO, PER LE DONNE DAL 19 AL 24 AGOSTO.
GLI ESERCIZI SARANNO DATI DA DON FRANCESCO RICOSSA E DA DON CURZIO NITOGLIA. (PER INFORMAZIONI TEL. 0161-839335)

UN CARO SALUTO

GUELFO NERO
:)

Guelfo Nero
08-08-02, 13:25
CARI AMICI,

IL 15 AGOSTO, NELLA FESTA DELL'ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA, SARà CELEBRATA IN MILANO DA DON UGO GIUGNI LA SANTA MESSA DI SAN PIO V (LA MESSA CATTOLICA) PRESSO L'ORATORIO "SANT'AMBROGIO" IN VIA VIVARINI, 3 A MILANO ALLE ORE 10.30.
SI TRATTA DI UN FATTO STRAORDINARIO PERCHè SOLITAMENTE NEL MESE D'AGOSTO IN MILANO NON VENGONO CELEBRATE MESSE (PUBBLICHE ALMENO).
LA CITTà DI SANT'AMBROGIO, DI SAN CARLO E DEL CARDINAL SCHUSTER TORNA PER UN GIORNO SOTTO IL REAME DI GESù EUCARISTICO.
LA PRESENTE VALGA COME AVVISO PER TUTTI I FEDELI MILANESI E LOMBARDI,

REGINA IN COELUM ASSUMPTA, ORA PRO NOBIS


GUELFO NERO;)

vescovosilvano
08-08-02, 21:58
Perchè a Milano i cattolici tradizionalisti usano il rito di Pio V quando lo stsso ritenne che Milano dovesse continuare ad usare l'Ambrosiano?

Guelfo Nero
08-08-02, 22:33
EGREGIO E CARO PADRE,

HO LETTO IL SUO POST DI RISPOSTA SULLA "LIBERTà RELIGIOSA" IN QUESTO FORUM E L'HO TROVATO INTERESSANTE MA MI RISERVO, SPECIALMENTE SUL "CONCETTO DI LIBERTà DI COSCIENZA", DI FORMULARE QUALCHE RILIEVO CRITICO.
LA SUA CURIOSITà SUL RITO AMBROSIANO è BEN GIUSTIFICATA: C'è UNA DISPOSIZIONE DI DIRITTO ECCLESIASTICO CHE STABILISCE CHE DI NORMA SI CELEBRI NELLA DIOCESI DI MILANO SOLO IN RITO AMBROSIANO.
PURTROPPO LA STRAORDINARIETà DELLA SITUAZIONE ECCLESIALE CHE STIAMO VIVENDO, COMPORTA CHE TUTTE LE NORME DI DIRITTO ECCLESIASTICO POSSANO ESSERE SOTTOPOSTE (SE NECESSARIO) ALL' "EPIKEIA".
BISOGNA VERIFICARE SE L'APPLICAZIONE LETTERALE DI QUELLA LEGGE OGGI VANIFICHI LO SPIRITO DELLA LEGGE E L'INTENZIONE DEL LEGISLATORE.
SAN PIO V E CON LUI SAN CARLO BORROMEO VOLEVA OVVIAMENTE CHE IL RITO AMBROSIANO, INSIGNE PER ANTICHITà E PER DECORO LITURGICO, AVESSE UNA TOTALE PREMINENZA NELLA DIOCESI DI MILANO MA SAN PIO V NON POTEVA CERTO PREVEDERE (PER QUANTO FOSSE UN SANTO) LE RIFORME DEL RITO AMBROSIANO, CONCOMITANTI CON QUELLE DEL MESSALE ROMANO DEL 1969.
SE QUESTE RIFORME, COME è DI PALMARE EVIDENZA PER I CATTOLICI DOC, INVALIDANO LE MESSE CELEBRATE OGGI, VUOL DIRE CHE OGGI NELLA DIOCESI DI MILANO NON SI CELEBRANO PIù MESSE AMBROSIANE, ANZI NON SI CELEBRANO MESSE AFFATTO. (i modernisti compiono dei "riti" ma senza transustanziazione)
è EVIDENTE CHE LA "SALUS ANIMARUM" (SALVEZZA DELLE ANIME), PRIMO FINE DI OGNI LEGGE ECCLESIASTICA, RENDE POSSIBILE (ANZI, SE VOGLIAMO BEN VEDERE, MORALMENTE DOVEROSA) LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA, ANCHE IN RITO ROMANO, PURCHè CATTOLICA, SUL SUOLO DELLA DIOCESI.
PURTROPPO TUTTI I SACERDOTI CHE VENGONO A CELEBRARE LA MESSA A MILANO SONO DI FORMAZIONE ROMANA: UNO SOLO è CAPACE DI CELEBRARE IN RITO AMBROSIANO ED è PER QUESTO COSTANTE LA CELEBRAZIONE IN RITO ROMANO.
COMUNQUE ALL'ORATORIO "SANT'AMBROGIO" A NATALE, PASQUA E SANT'AMBROGIO SI CELEBRA DI NORMA LA MESSA AMBROSIANA, TANTO RICCA NELLA LITURGIA E ANCHE NEI PARAMENTI.
OVVIAMENTE A MILANO (A SAN ROCCO AL GENTILINO) DA SETTEMBRE A LUGLIO C'è LA MESSA IN RITO AMBROSIANO "ANTICO" CONCESSA CON IL COSIDDETTO "INDULTO" DEL 1984: UNA MESSA OGGI CERTAMENTE VALIDA, ANCHE SE PONE ALTRI TIPI DI PROBLEMI TEOLOGICI.

UN CORDIALE ED "INIMICISSIMO" SALUTO

GUELFO NERO
:) :) :)

Guelfo Nero
10-08-02, 21:02
CARI AMICI,

IN QUESTO MESE D'AGOSTO CHE è IL MESE TRIONFALE DELL'ASSUNZIONE DI MARIA SANTISSIMA, PERMETTEMI DI POSTARE DELLE PICCOLE GALLERIE ASSUNZIONISTE IN OMAGGIO ALLA SANTA VERGINE.
QUESTO FORUM LE APPARTIENE.

GUELFO NERO


SIAM PECCATORI MA FIGLI TUOI,
IMMACOLATA, PREGA PER NOI.


http://www.ackland.org/art/collection/euroam/1500-1700/82.12.1.jpg


http://www.nga.gov/image/a0000e/a0000e3c.jpg


http://www.santuari.it/bocciola/images/boc8.jpg

Guelfo Nero
10-08-02, 21:22
è COMUNE SENTENZA DEI TEOLOGI CHE ALL'ASSUNZIONE
SIA SEGUITA L'INCORONAZIONE DI MARIA AD OPERA
DELLA SANTISSIMA TRINITà.
LA REGALITà UNIVERSALE DI MARIA SANTISSIMA
è STATA PROCLAMATA DA S.S. PIO XII
CON L'ISTITUZIONE DELLA FESTA DI MARIA REGINA (31 MAGGIO)
L'11 OTTOBRE 1954.


http://www.kfki.hu/~arthp/art/g/ghirland/domenico/7panel/03corona.jpg

Guelfo Nero
13-08-02, 23:52
AD OGNUNA DI QUESTE DODICI LODI SEGUA L'AVE MARIA.

1 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE INVITATA DAL VOSTRO DILETTO AL CIELO

2 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE ASSUNTA DAGLI ANGELI IN CIELO

3 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE INCONTRATA DA TUTTA LA CORTE DEL CIELO

4 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE RICEVUTA CON TANTO ONORE IN CIELO

5 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE COLLOCATA ALLA DESTRA DI VOSTRO FIGLIO IN CIELO

6 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE CORONATA CON TANTA GLORIA IN CIELO

7 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE SALUTATA FIGLIA, MADRE E SPOSA DI DIO IN CIELO

8 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE RICONOSCIUTA REGINA SUPREMA DI TUTTO IL CIELO

9 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE ONORATA DA TUTTI GLI SPIRITI ED I BEATI DEL CIELO

10 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE FOSTE COSTITUITA AVVOCATA NOSTRA IN CIELO

11 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE INCOMINCIASTE A PREGARE PER NOI IN CIELO

12 SIA BENEDETTA, O MARIA, L'ORA NELLA QUALE VI DEGNERETE DI RICEVERE NOI TUTTI IN CIELO

SEGUANO LE LITANIE LAURETANE CHE SI CONCLUDONO CON "REGINA PACIS, ORA PRO NOBIS".

SI TERMINI COSì:

-ASSUMPTA EST MARIA IN COELUM; GAUDENT ANGELI
-LAUDANTES BENEDICUNT DOMINUM

OREMUS

FAMULORUM TUORUM, QUAESUMUS, DOMINE, DELICTIS IGNOSCE; UT QUI TIBI PLACERE DE ACTIBUS NOSTRIS NON VALEMUS, GENITRICIS FILII TUI DOMINI NOSTRI INTERCESSIONE SALVEMUR. QUI TECUM VIVIT ET REGNAT IN SAECULA SAECULORUM. AMEN

LO SO, LA NOVENA GIà VOLGE AL TERMINE: MA POSTARLA NON FA MAI MALE


GUELFO NERO


http://www.immaculateheart.com/Ave%20Maria/images/queenofworld.jpg

Guelfo Nero
14-08-02, 23:48
http://www.sofc.org/CHROSARY/Windows/coronation.jpg



http://www.udayton.edu/mary/images/feasts/assump01.jpg


ASSUNTA PERCHè IMMACOLATA, ASSUNTA PERCHè MADRE DI DIO, ASSUNTA PERCHè VERGINE PERPETUA.

"L'ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE, ED IL MIO SPIRITO ESULTA IN DIO
MIO SALVATORE, PERCHè HA GUARDATO ALLA BASSEZZA DELLA SUA SERVA; ED ECCO CHE D'OR INNANZI TUTTE LE GENERAZIONI MI DIRANNO BEATA, PERCHè GRANDI COSE MI HA FATTO COLUI CHE è POTENTE, QUEGLI IL CUI NOME è SANTO E LA CUI MISERICORDIA SI ESTENDE DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE".
(DAL VANGELO DELLA MESSA DELL'ASSUNZIONE)


REGINA IN COELUM ASSUMPTA, ORA PRO NOBIS

Guelfo Nero
19-08-02, 10:00
CARI AMICI,

ACCANTO AGLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO PROPRIAMENTE DETTI, SANT'IGNAZIO DI LOYOLA DETTò ANCHE LE REGOLE "PER SENTIRE NELLA CHIESA" CIò PER PER AVERE ATTEGGIAMENTO, POSIZIONE, FORMA MENTIS CATTOLICA SEMPRE ADERENTI AL MAGISTERO E AGLI ORDINI DELLA CHIESA CATTOLICA.
IN QUESTI ANNI DEL "POST-CONCILIO" IN CUI PERSINO IL CONCETTO DI AUTORITà NELLA CHIESA SEMBRA ESSERSI ECLISSATO, RICHIAMARE QUESTE REGOLE è DOVEROSO.
SI TRATTA POI DI UNA BUONA INTRODUZIONE ALLO SPIRITO DEGLI ESERCIZI IGNAZIANI DI VERRUA SAVOIA CUI QUESTO THREAD è STATO DEDICATO.
NON SI POTRà NON NOTARE QUANTO SIA LONTANO IL CONCETTO CHE DELLA CHIESA HANNO I NEO-MODERNISTI, DALLO SCHIETTO SENTIRE CATTOLICO DI SANT'IGNAZIO E DI PADRE MESCHLER.

UN CARO SALUTO A TUTTI

GUELFO NERO

Commento alle "Regole per sentire nella Chiesa" degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola
di Padre Maurizio Meschler S.J.

PARTE PRIMA

Principii fondamentali riguardanti la fede - I


1. Rispetto alla fede S. Ignazio scrive: «Messo da parte ogni proprio giudizio dobbiamo tenere l'animo preparato e pronto ad obbedire in tutte le cose alla vera sposa di Cristo Signore nostro, che è la nostra santa Madre, la Chiesa gerarchica» (Reg. 1). E più innanzi: «Per raggiungere in ogni cosa la verità, dobbiamo tenere sempre fermo, che il bianco che vedo, io creda essere nero, se così lo definisca la Chiesa gerarchica: credendo che tra lo sposo, Cristo signore nostro e la Chiesa sposa sua vi sia il medesimo spirito che ci governa e regge nelle cose che spettano alla salute dell'anima nostra; perocché quel medesimo spirito e quel medesimo Signore che diede i dieci comandamenti regge e governa la santa nostra Madre Chiesa» (Reg. 13).
Con queste parole anzitutto viene rimosso e condannato il principio fondamentale del protestantesimo e del razionalismo e di ogni altra setta contraria alla fede, che cioè l'opinione privata ed il sentimento privato ovvero la propria ragione siano l'unica norma valevole nelle cose della fede; per lo contrario viene riconosciuto ed affermato il principio fondamentale del cattolicismo, che in tutto ciò che riguarda la fede decide la sola autorità della Chiesa. In verità noi non crediamo immediatamente alla Chiesa, ma a Dio. Non possiamo credere, se non quel che Dio ha rivelato e perché Dio lo ha rivelato. Il motivo della nostra fede altro non è che Dio: cioè l'autorità, l'onniscienza, la veracità di un Dio rivelante. Or quel che Dio ha rivelato non sappiamo altrimenti con certezza, se non per mezzo della Chiesa. Essa attinge il contenuto della rivelazione dalla S. Scrittura e dalla Tradizione, che sono le fonti della nostra fede; ma la regola unica immediata della fede è per noi la Chiesa in virtù del suo magistero infallibile. Or questo appunto ci distingue da tutte le sètte, le quali in conseguenza del loro sistema, se Dio pietosamente non intervenga col lume e con la forza della sua grazia, non sono neppur capaci di fare rettamente un atto di fede: prima perché non possiedono l'intero deposito della fede; poi perché non accettano il fondamento storico della fede; in fine perché il motivo della loro fede non è l'autorità di Dio, ma il loro proprio modo di vedere.
Ma come credere che il bianco ch'io vedo, si nero, se la Chiesa così definisce? Non è questo un opprimere l'intelletto umano? Non è una pretensione insopportabile della Chiesa, una scandalosa esagerazione dei suoi diritti?
Dalle stesse parole di S. Ignazio si deduce che la nostra sommessione alla Chiesa in cose di fede deve avere un suo termine proprio, perché del tutto cieca non può mai essere, particolarmente rispetto ai motivi di credibilità. Noi sappiamo assai bene, per qual ragione diamo alla Chiesa la nostra adesione, quand'essa ci propone a credere alcuna cosa come rivelata da Dio, se pure la nostra fede è retta ed illuminata. È officio proprio della Chiesa di trasmetterci ed annunciarci infallibilmente non solo quel che Dio ha rivelato, ma anche il modo come la verità rivelata dev'essere da noi intesa. Nella Chiesa ci soggettiamo a Dio, anche quando non si giunge a vedere, se la verità rivelata proposta è in se stessa così ovvero altrimenti. E però l'oscurità non riguarda i motivi fondamentali della fede, ma solo la naturale evidenza dell'oggetto rivelato. Or questo è proprio, anzi sostanziale di ogni atto di fede. Non crediamo, perché vediamo e sappiamo, ma perché Dio lo dice e ci dà guarentigia della verità del suo detto. L'atto cieco dell'accogliere tocca adunque l'evidenza della cosa rivelata, non il fatto della rivelazione, né l'autorità della Chiesa che ci presenta con certezza la cosa rivelata.

Inoltre le parole alquanto singolari del Santo sono solamente un modo di dire, quasi a maniera di esempio e di similitudine. Null'altro intendono di fatto, se non di insistere sulla prontezza nostra nelle cose di fede; null'altro in sostanza significano, se non che dobbiamo avere animo grande verso Dio e verso la Chiesa, facendo della nostra sommessione incondizionata il nostro punto di onore. La Chiesa sa molto bene a che si estendano i suoi diritti rispetto le cose della fede, né quei diritti adopera a caso, ma con riguardo e prudenza: per lo meno finora non ci ha mai imposto cosa alcuna fuor di ragione. Se dunque ci comanda di credere questo o quello, essa è nel suo diritto, e noi nulla possiamo fare di meglio, che ubbidirle.

Del resto nelle parole di S. Ignazio, per quanto a prima vista possano apparire singolari, si nasconde una verità profonda. Il Signore ha concesso l'infallibilità alla Chiesa soltanto, non all'occhio mio, non al mio intelletto, non all'intelletto di qualsivoglia altro mio pari al mondo. Come dunque ardiremo affermare contro Dio e contro la Chiesa, che quanto a noi sembra retto, sia poi retto veramente? Quanti al mondo patiscono d'occhi e non distinguono l'un colore dall'altro! Che possono far di meglio costoro, se non credere a quel che dicono gli altri, sebbene essi veggano il contrario? Similmente avviene dell'intelletto. Quante volte gli occhi dell'intelletto ci hanno ingannato! È verità irrepugnabile, che il motivo, onde noi aderiamo alla verità rivelata, cioè la veracità di Dio e l'impossibilità di un inganno da parte sua, è molto più sodo e sicuro che non qualsivoglia altra cognizione o persuasione naturale; esso ci offre una sicurezza di tal natura, quale non ci può essere data da nessun'altra dimostrazione degli scienziati. Ben pesato ogni cosa, le parole del Santo rimangono nel loro valore e nella loro verità.
Però queste parole non solo richiedono la più ampia prontezza di volontà rispetto alla fede, ma suggeriscono inoltre i migliori e più appropriati motivi a tal fine. S. Ignazio chiama la Chiesa la sposa di Cristo. Ed essa tale di fatto, e fin che rimane sposa di Cristo e non é da lui ripudiata, non può errare in cose di fede. Ora Cristo non è sposo infedele, ed il primo indispensabile vincolo che lo unisce alla Chiesa, che anzi è il fondamento di tutti gli altri, è la fede vera ed immutabile. Senza ciò la Chiesa non potrebbe essere sposa di Cristo.
Più ancora. Quel medesimo Spirito, Spirito di verità che procede dal Padre e dal Figliuolo (1), che vive ed inabita nel vero e reale corpo di Cristo, vive pure ed inabita nel corpo mistico di lui, la Chiesa. Le fu dato da Cristo e rimane in lei e le insegna ogni verità (2). Questo Spirito adunque, che al medesimo tempo è in Cristo e nella Chiesa, non può contraddirsi, né essere nell'uno verità, nell'altra errore. Ciò che la Chiesa insegna, insegna lo Spirito Santo e chi resiste alla Chiesa, resiste allo Spirito Santo; come fu detto degli Ebrei: Voi resistete sempre allo Spirito Santo (3).
Inoltre la Chiesa è madre nostra, madre buona, fedele e santa, la quale vuole seriamente il bene dei suoi figliuoli.
Come può dunque sottrarre ai suoi figliuoli l'unico bene che è la verità ed offrir loro, non la verità santificante della fede, ma il pane della bugia? La madre pel suo figliuolo fa le veci del catechista, del parroco, quasi dissi del Papa; ed il bambino le si affida senza riserva e la segue, perché è persuaso, ch'essa è premurosa per lui, che vuole unicamente il suo bene, e che quanto fa, fa per ordine e disposizione di Dio. Come dunque il Signore, verità e bontà eterna, può permettere, che il fedele sia ingannato nella sua fiducia e dalla sua stessa madre sia spinto all'errore e perda il bene di quella fede che sola può salvare?
Finalmente la Chiesa nostra è la Chiesa gerarchica, come S. Ignazio si esprime, e questo è un nuovo motivo che ci i spinge alla sommessione verso lei ed alla prontezza di volontà nelle cose della fede. La nostra Chiesa non è, come le sètte, un composto d'individui pari nel diritto, senza consecrazione, senza missione; non è una mostra permanente di mode religiose sempre cangianti e di novità sempre diverse: non è una babele in confusione e rovina, dove l'uno non intende più l'altro. La nostra Chiesa è un organismo mirabile, potente e vario insieme, di poteri istituiti da Dio; la sua origine va fino a Cristo, e le sue doti divine dell'unità, dell'infallibilità, dell'immutabilità, della perennità empiono di riverenza ogni spirito serio e riflessivo e lo determinano alla sommessione della fede. Tutto questo è racchiuso in quelle parole tanto semplici e tanto dolci di S. Ignazio che la nostra Chiesa è la Chiesa gerarchica.
Ora il primo e più importante dovere del cattolicismo è credere. La fede è la prima cosa che Iddio domanda dall'uomo (4), è il primo passo dell'uomo verso Dio, e Dio non permette regresso. La fede è la radice della giustificazione, il principio e la fonte di tutta la vita spirituale, il fondamento indispensabile di ogni virtù, perfino della speranza e della carità (5); dalla fede sgorga tutta la vita soprannaturale (6). Dobbiamo dunque stimare la fede sopra ogni altra cosa.
Nell'esercizio della fede dobbiamo mettere la gioia nostra, perché la fede torna di tanto onore a Dio; perché Dio tanto la raccomanda e la ricompensa; perché essa è il più santo bisogno e il massimo bene dell'anima nostra; perché innalza il nostro intelletto, lo estende e lo introduce in un mondo di verità, delle quali naturalmente non abbiamo sentore alcuno; perché infine corrobora il tesoro delle nostre cognizioni naturali e le conferma con nuova guarentigia e con maggior sicurezza. Dobbiamo dunque credere volentieri e con allegrezza d'animo e non punto ammettere il principio di credere il meno che torni possibile. Non dobbiamo accontentarci di accettare esplicitamente soltanto le verità definite; il così fare andrebbe contro l'insegnamento del Concilio Vaticano (7). Dobbiamo accogliere le verità di fede nel complesso di quelle presupposizioni o conseguenze, che necessariamente vi sono congiunte. E come si pratica in ogni altra virtù, così pure nella fede, e massimamente nella fede, dobbiamo procedere con generosità. E perché no? Forse perché siamo uomini istruiti? Ma la fede del dotto e dell'ignorante non è sostanzialmente diversa. I professori e gli scienziati non hanno particolari privilegi rispetto alla fede. Per lo contrario in forza dei loro studi e della loro maggiore penetrazione in cose di scienza dovrebbero credere più alacremente di ogni altro, e non già sentirsi quasi impacciati da non si sa qual peso, appena la Chiesa in materia di fede fa loro qualche ingiunzione. Perché tanta prudenza, tanta riservatezza, tanti dubbi rispetto alla Chiesa ed a Dio, mentre siamo si facili a prestar fede agli uomini? Si chiede consiglio a profeti, ai quali Dio non ha parlato, e si trasanda la Madre in Israello (8), mentre pure essa sola dev'essere consultata su tutto ciò che appartiene alla fede.
Da professori increduli, da scribacchiatori di romanzi e di articoli da giornale, da avventurieri delle scienze naturali ci lasciamo imporre ogni sorta di enormità e viviamo contenti; ma la Chiesa infallibile bisogna proprio toccarla, palparla, maneggiarla con le dita, e come si fa delle monete, bisogna voltare e rivoltare l'articolo di fede due e tre volte ed esaminarlo col microscopio e metterlo perfino nel crogiuolo, nel dubbio non forse sia moneta falsa. È il giudizio toccato ai Giudei. Essi sprezzavano il vero Messia; ai falsi Messia correvano dietro. E furono tratti in errore e spinti a rovina.

NOTE

1 Giov. XV, 26.
2 Giov. XIV, 16, 17, 26.
3 Att. VII, 51.
4 Hebr. XI, 6.
5 Hebr. XI, 1.
6 Gal. III, 11.
7 Constit. de Fide Cath. «Quoniam vero satis non est, haereticam pravitatem devitare, nisi ii quoque errores diligenter fugiantur, qui ad illam plus minusve accedunt; omnes officii monemus, servandi etiam Constitutiones et Decreta, quibus pravae eiusmodi opiniones, quae isthic diserte non enumerantur, ab hac Sancta Sede proscriptae et prohibitae sunt.» (Denz. Schön. 3045; «Ma poiché non è sufficiente evitare la perversità dell'eresia, se non si pone molta attenzione a fuggire anche quegli errori che le sono più o meno prossimi, ricordiamo a tutti il dovere di osservare anche le costituzioni e i decreti, con i quali la Santa Sede ha prescritto e proibito quelle opinioni perverse, che qui non sono espressamente elencate.»
8 2 Sam. XX, 19.

Guelfo Nero
20-08-02, 08:07
CARI AMICI,

CONTINUA LA TRASCRIZIONE DI QUESTE BELLE PAGINE DI PADRE MESCHLER, PAGINE TUTTE DA GUSTARE.

BUONA LETTURA

GUELFO NERO


PARTE PRIMA

Principii fondamentali riguardanti la fede - II


2. Hanno relazione con la fede eziandio quelle regole, nelle quali S. Ignazio raccomanda in via ordinaria di non parlare senza riflessione e prudenza della predestinazione alla vita eterna e della potenza della fede e della grazia in modo da indurre questo pericolo, che cioè ne soffra la persuasione della realtà e necessità del libero arbitrio e della cooperazione alla grazia e s'indebolisca lo zelo per le opere buone, a Dio gradite (Reg. 14-18). Si tratta evidentemente di avvisi, assai opportuni nei tempi andati contro le dottrine di Lutero, di Calvino e poi di Giansenio. Certo è che la determinazione e la preparazione della volontà alla grazia non sono argomenti da trattarsi innanzi ad ogni sorta di uditori, a cagione del pericolo di dar negli equivoci e di recar danno allo spirito.
Del resto tali questioni hanno oggi perduto in parte la loro viva attualità. I tempi nostri, troppo leggeri di solito, non si rompono il capo per le cose eterne e per la predeterminazione alla salute. Per quel che riguarda l'esagerazione intempestiva in cose di fede, quasi la fede bastasse da sola alla salute, che, com'è noto era uno dei principii fondamentali del vecchio luteranesimo, i protestanti hanno del tutto cambiato posizione. Oggi essi affermano: Poco importa la fede, purché si conduca vita onesta; su per giù quello stesso che in altri tempi si gittava da loro in faccia ai cattolici. Essi non vogliono più professioni di fede: e se oramai è caduta la stupida dottrina che la sola fede basta per la salute, senza le opere, chi la metterà di nuovo in onore?

Ed il medesimo si dica delle dottrine esagerate intorno la grazia stessa. Come la fede non può stare senza le opere, così la grazia non esclude punto la libera cooperazione della volontà umana. La grazia ci è necessaria ad ogni opera buona, appunto perché siam noi messi in grado di determinarvici. Un istrumento cieco e privo di volontà non ha davvero bisogno di grazia alcuna.

Certo è per ultimo che nessuno si salva, se non è predestinato da Dio; ma non è meno certo, che nessuno è predestinato da Dio, senza la sua cooperazione alla salute, in quella misura che gli è possibile.

Con tutto questo S. Ignazio ci vuol mettere innanzi una massima fondamentale per la vita pratica cattolica: ed è che in tutte le circostanze nostre, siano personali o private o pubbliche, non ci restringiamo a gemere, a lamentarci, a fantasticare, aspettando miracoli dal cielo e rimanendoci in tanto con le mani in mano. L'uomo ha attività sua propria. È da confidare in Dio, come se tutto dipendesse da lui; ma insieme è da lavorare così, come se tutto dipendesse da noi soli;. Confidenza in Dio, alacrità, energia e costanza -ecco l'uomo cattolico!

3. S. Ignazio conchiude le sue regole intorno la fede con una osservazione sul modo onde suole la Chiesa insegnare e difendere la fede cattolica (Reg. 11). Due sono i metodi del suo insegnamento: il cosiddetto positivo e lo scolastico. Il primo, il positivo è usato particolarmente dai Padri e dottori ecclesiastici dei primi secoli. Esso non tanto si occupa sistematicamente nel consolidare e difendere la fede, sì piuttosto nell'applicarla alla vita pratica del cristiano, a lode ed onore di Dio e ad edificazione dei fedeli, studiandosi di mettere in rilievo la praticità, la bellezza, l'elevatezza e la consolazione della nostra religione.

Il secondo metodo, lo scolastico, usato più tardi dai dottori e scrittori ecclesiastici, consiste nel precisare e definire il concetto ed il senso dei dogmi, nel dichiararli e nell'accostarli il meglio che torni possibile all'intelligenza umana per mezzo di una illustrazione razionale; come pure nel ridurre i risultati ottenuti ad un sistema logico insieme e compatto. Il nobile fine della scolastica è di accostare insieme i due ordini della natura e della grazia, della fede e della scienza, e di dimostrare come non solo non si contraddicono mai l'un l'altro, ma per contrario si illustrano e si compiono a vicenda, innalzando la dottrina cattolica ad un grandioso, solenne e sistematico concetto della dottrina rivelata. In altri termini, la scolastica vuol far cristiano l'uomo fin dal suo primo fondamento che è la natura. Se vogliamo pensare e giudicare cattolicamente, dobbiamo con la Chiesa approvare ambedue questi metodi e ritenerli per buoni ed acconci al loro intento. Il metodo positivo non incontra così grandi difficoltà, come lo scolastico. Or riguardo a questo secondo metodo dice S. Ignazio, che non si può ammettere, che lo Spirito Santo, il quale sempre assiste alla Chiesa e la regge, le venga mai meno; ma anzi è da tener per fermo che la guidi col suo lume e la provveda di sempre nuovi mezzi a seconda dei bisogni dei tempi ed in aiuto di quel progresso, che le ha promesso (1) . Ed in vero la Chiesa deve in particolare ai dottori scolastici quel grandioso edificio delle verità, che ora ci sta innanzi. Essi hanno a loro disposizione, non solo la S. Scrittura e le opere dei SS. Padri, ma anche le decisioni dei Concilii e del diritto canonico e la ricca esperienza, che la Chiesa andò facendo nel corso dei secoli, particolarmente nella lotta contro le eresie, a fine di definire con sempre maggiore chiarezza e precisione le verità della fede, mostrarne maggiormente la convenienza con la ragione e difenderle con forza maggiore contro gli assalti. E questa è pure la ragione, per la quale specialmente gli eretici ed i nemici della Chiesa hanno sempre manifestato un odio istintivo contro questo metodo d'insegnamento. Innanzi la scolastica non reggono ne le incertezze, ne le esagerazioni, ne i sistemi personali; ne lo sragionare senza costrutto e senza logica; neppure vi regge la sola erudizione. Tutti gli eretici si studiarono di provare le loro opinioni coi soli testi dei Padri e della S. Scrittura, perché così più facilmente stimavano di potersi trarre d'impaccio.
Per tale motivo Leone XIII dichiarò S. Tommaso patrono della filosofia ecclesiastica e della teologia, sanzionando con questo il metodo scolastico. E già prima di Leone, era stata condannata la sentenza, che il metodo ed i principii degli scolastici non fossero più appropriati ai bisogni dei tempi ed al progresso della scienza (2) . Eppure nessun altro metodo quanto lo scolastico risponde ai bisogni dell'uomo, dimostrando la fede come naturalmente possibile e conforme alla ragione ed alla scienza ed offrendo ad ognuno il mezzo di formarsi col proprio ragionamento un tal concetto del mondo, che sia fondato ad un tempo e sulla natura e sulla fede. Come il metodo scolastico risponda allo spirito umano ed entri spontaneo nella sua natura, ne è prova che il mondo vi ritorna sempre. Già due volte questo ritorno alla scolastica ha fatto indietreggiare il mondo scientifico dai suoi errori, nel secolo XVI ed ai nostri giorni. Non giova punto il gridare che la scolastica è un'eredità del monachismo del medio evo. Anche essa non ha dubbio, come tutte le cose quaggiù, ebbe i suoi giorni oscuri ed uscì fuori di strada. Ma questa è cosa secondaria. Si tratta soltanto del sistema e del metodo. Un metodo che si fa innanzi con principii solidi ed accertati, con disciplina di studio già da lungo provata, col debito conto di ciò che è antico e tradizionale, che tutti i rami della scienza mantiene subordinati fra loro e subordinati alla prima verità, è da considerare come un beneficio speciale del cielo in un tempo, quando sono in voga i metodi d'insegnamento più corruttori e si rigettano tutti i principii direttivi fondamentali, quando si sta paghi della semplice affermazione del fatto, senza vagliarlo e provarlo alla stregua della filosofia, quando senza alcun principio direttivo e di proprio capriccio si determina in antecedenza la conclusione, si proclama la libertà assoluta della coscienza, l'autonomia della ragione, la piena libertà delle dottrine da insegnare e da imparare e si lascia aperto il campo a tutti i seminatori del dubbio. Di fronte a questa triste condizione di cose non vi ha altro di meglio, se non affidarsi all'antico e provato metodo d'insegnamento ed adoperarsi in ogni miglior modo, perché esso sia conservato e rimesso in onore.
Così, secondo S. Ignazio, deve pensare e giudicare il cattolico in cose di fede. Come si vede, il Santo abbraccia la questione in modo fermo, profondo e pratico. Egli considera il cristianesimo nella Chiesa cattolica e la Chiesa cattolica nel Papa. Egli chiama la Chiesa col suo termine prediletto la Chiesa gerarchica, cioè la Chiesa organata da Dio, che si svolge con potenza divina e che monta su fino alla vetta sua propria. Questa vetta è il capo della Chiesa il Pontefice romano. Dobbiamo a lui quella stessa prontezza ed alacrità di volere in cose di fede, onde siamo obbligati verso la Chiesa. Con questo S. Ignazio condanna tutto ciò che è setta ed ogni soggettivismo. La nostra condotta rispetto alla fede è esattamente la condotta nostra rispetto al Papa. L'attaccamento pieno ed intero al Papa in cose di fede è la pietra di paragone della sincerità della nostra fede e del nostro sentire cristiano. I molti bei discorsi intorno al cristianesimo e alla Chiesa, perfino le più splendide dissertazioni intorno a Nostro Signore Gesù Cristo a nulla approdano. Tutto si riduce al Papa. Il Papa è il governo visibile della Chiesa; il Papa è il Vicario di Cristo qui sulla terra. Niuno in cose di fede ha contatto quaggiù immediato con Dio, e noi intanto siamo credenti, cristiani e cattolici, in quanto in cose di fede pensiamo e parliamo col Papa.

NOTE

1 Giov. XVI, 13.
2 Syllabus 13: «Methodus et principia, quibus antiqui Doctores scholastici Theologiam excoluerunt, temporum nostrorum necessitatibus scientiarumque progressui minime congruunt» («I metodi e i principi, con i quali gli antichi dottori scolastici hanno coltivato lo studio della teologia, non sono per nulla adatti alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.» Nostra traduzione) PROPOSIZIONE CONDANNATA DA S.S. PIO IX

Guelfo Nero
20-08-02, 23:20
Commento alle "Regole per sentire nella Chiesa" degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola
di Padre Maurizio Meschler S.J.

PARTE SECONDA.

Esercizio pratico della vita cristiana - I

Passiamo ora a dire dello spirito cattolico e del sentire con la Chiesa rispetto all'esercizio ed all'attuazione pratica del cattolicismo nella vita quotidiana. S. Ignazio pone questo principio fondamentale: «Sono da lodare tutti i precetti della Chiesa con animo disposto e pronto a trovare sempre ragioni per difenderli e non mai per impugnarli» (Reg. 9). Il diritto della Chiesa d'imporre leggi e precetti altro non è che una parte del triplice potere conferitole da Cristo, a fine di condurre gli uomini all'eterna salute. In forza del suo magistero annunzia agli uomini la verità, la fede; pel suo sacerdozio ci comunica la grazia e per la sua podestà pastorale determina le leggi, secondo le quali dev'essere regolato l'uso dei mezzi di salute e particolarmente l'esercizio e l'attuazione della vita cristiana (1) . Or siccome quest'attuazione si riferisce principalmente ad un triplice oggetto: agli atti del culto, ai doveri personali circa la disciplina e all'obbedienza verso la legittima autorità, così illustrando brevemente questi tre punti, vedremo insieme quanto ragionevole, quanto sapiente sia la regola anzidetta, per cui il vero cattolico dev'essere disposto a difendere sempre le prescrizioni della Chiesa e non mai ad impugnarle.

1. Per quanto riguarda gli atti del culto, secondo S. Ignazio, il vero cattolico deve approvare e lodare, stimare grandemente e difendere tutto ciò che a Dio si riferisce, come l'assistere con frequenza alla santa messa, il canto sacro, la salmodia e le lunghe orazioni nel tempio e fuori del tempio, le ore canoniche ai tempi debiti ed il tempo speso, in qualsivoglia altra preghiera o privata o pubblica (Reg. 3).
Con ciò non si vuol punto dire, che per essere buoni e schietti cattolici, dobbiam correre di qua e di là ad assistere a tutti gli atti ed a tutte le funzioni del culto. La Chiesa stessa procede con molto riserbo nelle sue prescrizioni sostanziali e nella misura del culto pubblico a tutti imposta; richiede anzi assai poco, così che niuno può ragionevolmente menarne lamento. Se altri manchi di discrezione, ovvero se in questo o in quel luogo si passino per avventura i debiti limiti, non è da farne carico alla Chiesa; ma anche in questi casi nulla è mai da condannare in pubblico come abuso. Per certa gente tutto è lungo, tutto è soverchio, anche la funzione liturgica più discreta, mentre, se ben si guarda. il popolo cattolico vi trova per lo più il suo gusto e volentieri passa in chiesa le lunghe ore. Come noi ci prendiamo la libertà di determinare la misura delle nostre devozioni entro i limiti autorevolmente assegnati dalla Chiesa, così dobbiamo lasciare negli altri la medesima libertà. Né altro intende S. Ignazio con le sue parole, -se non questo appunto, che se vogliamo sentire da veri e schietti cattolici, dobbiamo rispettare, stimare ed amare la preghiera per se stessa, qualunque ne sia la forma, purché riconosciuta e permessa dalla Chiesa. Però più particolarmente è da stimare e da lodare la preghiera in quanto è attuazione del culto pubblico. Quest'è la preghiera solenne della Chiesa in nome suo, dei fedeli, del mondo intero; è la preghiera da lei officialmente istituita e disposta, il punto culminante della vita pubblica cristiana, il punto del contatto visibile tra cielo e terra ed il pubblico riconoscimento del supremo dominio di Dio sopra di noi.
Trattasi adunque di quella parte del nostro tempo e del nostro cuore, che spetta a Dio, e dobbiamo dargliela volentieri, anzi con gioia, sapendo che non va mai perduta, perché sempre ridonda in nostro vantaggio. Senza la benedizione della preghiera non è punto possibile concepire prosperità nella vita cristiana. Gli affari materiali e terreni assorbono la massima parte del nostro tempo, ci distraggono dalle cose celesti ed a poco a poco tendono ad estinguere in noi il soprannaturale. Come mai potrà la fede signoreggiare nelle anime nostre, se non ci raccogliamo ai tempi debiti nella preghiera, trascurando per giunta l'aiuto potente che viene allo spirito dalle ceremonie auguste del culto liturgico? È grettezza d'animo trovare il tempo per tutto, anche per le cose più frivole della vita mondana, e non trovarlo per Dio o trovarlo solo nella più scarsa misura possibile.


Qui pure appartiene l'altra regola del Santo, che è lodare la sontuosità dei sacri edificii e la ricchezza e gli ornamenti tutti delle chiese e lo splendore delle solennità e delle luminarie (Reg. 8, 6). La chiesa è il luogo del sacrificio, che è l'atto pubblico più solenne ed augusto della religione; la chiesa è l'abitazione di Dio vivo e reale sotto le specie eucaristiche; la chiesa è il luogo, dove insieme convengono Dio ed il genere umano, dove Dio fino all'uomo si abbassa, dove l'uomo s'innalza fino a Dio. Quivi, è bene spesa la più sontuosa magnificenza, per l'onore di Dio, per l'onore nostro. Quanto tempo, quanta fatica, quali somme non si gittano specialmente ai nostri tempi per albergare come si conviene chi regge i destini della nazione e per le feste ed onoranze puramente mondane e politiche! Eppure quanto spesso, a proposito della ricchezza delle nostre chiese e delle spese pel culto, tornano sul labbro di certi cattolici le vergognose parole di Giuda, il traditore: Ut quid perditio haec? (2)

Al culto divino appartengono pure i sacramenti. S. Ignazio dice su questo punto, che convien lodare ed approvare l'accostarsi ai sacramenti della confessione e della comunione almeno una volta l'anno, come prescrive la Chiesa; meglio, se questo si faccia ogni mese; meglio ancora, se con le debite condizioni si faccia ogni settimana (Reg. 2). Ora ci viene l'invito dalla stessa suprema autorità di accostarci alla comunione anche ogni giorno: tanto è lodevole questa pratica e tanto conforme al vero spirito della Chiesa.
Invero, i santi sacramenti non sono soltanto l'attuazione più insigne del culto divino, ma sono altresì i canali principali della grazia ed i mezzi efficaci per ricuperare, conservare e promuovere la vita di grazia. Nelle difficoltà della vita, in mezzo alle mille distrazioni ed ai pericoli che ci circondano, quanto è facile uscir fuori di strada, battere malamente e cadere! Ma il ricevere i santi sacramenti rimedia ogni cosa. La primavera dell'anima ritorna, e però con ogni buon diritto venne sempre considerata la frequenza ai santi sacramenti come un segno infallibile dello spirito e della vita schiettamente cattolica, così nell'individuo, come nelle società particolari e nelle intere popolazioni.
Un altro elemento del culto divino è la venerazione dei santi, secondo la dottrina e la pratica della Chiesa: quindi invocarne l'intercessione e celebrarne la festa, esporre pubblicamente le loro statue ed immagini e farvi innanzi orazione. Parimente appartiene al culto o pubblico o privato quanto è fomento della pietà cristiana, come dire la visita delle stazioni, i pii pellegrinaggi ai santuarii, le indulgenze, i giubilei e le altre pratiche di devozione. Il cattolico se vuol sentir con la Chiesa, deve tutto ciò stimare, approvare e farne uso secondo il suo potere (Reg. 6, 8).
Il culto dei santi non solo termina a Dio, modello supremo e fonte d'ogni santità, ma onora grandemente l'umana natura. Esso infatti riconosce, premia e glorifica la generosità del cuore umano nel servizio divino e nell'esercizio della virtù. Non vi ha mezzo più efficace per eccitare il fedele all'amore delle virtù e alla costanza del praticarla quanto l'esempio dei santi, che gli vengono proposti ad esempio.
E poiché S. Ignazio accenna pure alle devozioni in genere, diremo anzitutto, che queste devono essere riconosciute ed approvate dalla Chiesa. Il solo permesso dell'autorità ecclesiastica dà loro l'esistenza legale. Inoltre è da notar bene il loro valore e significato. Le divozioni sono esercizii di culto e di pietà, per lo più non prescritti dalla Chiesa, e quindi generalmente lasciati all'arbitrio dei fedeli, piuttosto come mezzi secondarii pel loro profitto spirituale. È dunque errore il considerare le devozioni e l'adoperarle come fine, fondandovi sopra l'intera vita spirituale. Fine della vita spirituale è la carità e la perfezione, ed i mezzi sostanziali per ottenerlo sono l'esercizio della virtù e della vittoria di se stesso, la preghiera ed i sacramenti. Tutto il resto è mezzo subordinato per giungere alla perfezione. Il fare a rovescio è cadere nel cosiddetto sacramentalismo, di cui talvolta ci accusano noi cattolici, per renderci ridicoli. Chi opera altrimenti dà ragione all'accusa, che noi siamo buoni cattolici, ma cattivi cristiani. Questo non è il concetto delle divozioni, quale ci è dato dalla Chiesa, ma è confusione e malinteso. Si avverta infine che non proviene da buono spirito quella certa inquietezza e quella tendenza di andar sempre in cerca di nuove divozioni, con l'intenzione di volere o di dovere appropriarsele tutte. Potrebbe avvenire come a colui che in un sontuoso convito vuol prendere ogni cosa. Invece ognuno deve prendere quel che meglio gli conviene e gli piace.
Intese così, le devozioni devono apparire commendevoli e venerande. Sono i fiori sempre freschi ed olezzanti ed i dolci frutti sull'albero vitale della Chiesa. Considerate nel loro oggetto, anch'esse sono verità, fondate nella fede e dalla fede derivanti, le quali prese dalle dottrine della Chiesa, passano sotto la guida dello Spirito Santo nell'uso pratico e nella venerazione del popolo cristiano, diventando canali di grazia, che spargono in ogni dove freschezza e pienezza nella vita cattolica. Sono l'ornamento variopinto della Sposa di Cristo, il soffio vitale dello Spirito Santo, che veste i giardini della sua Chiesa di fiori sempre novelli. E chi non sa che oltre i Santi e gli Ordini religiosi, le grandi devozioni popolari sono state sempre tra' mezzi più importanti e più efficaci delle riforme ecclesiastiche ?

Per conseguenza il non vedere nelle devozioni, cosi spiegate, se non escrescenze inutili e piante cosiddette parassitarie, è opinione erronea ed al tutto contraria al sentir con la Chiesa. Ciò non dà a divedere né spirito illuminato, né sano zelo, né lodevole sovrabbondanza di vita spirituale. Se noi ci contentiamo della nostra pietà, digiuna, smilza, povera, lasciamo almeno agli altri la gioia di camminare nella via di Dio cantando e giubilando e di ornarsi dei fiori che per la bontà di Dio sbocciano loro intorno a dritta ed a sinistra. Perché mai dovrà ridursi ogni cosa al puro e stretto necessario? Nella vita pratica non adoperiamo così, né quanto al cibo, né quanto all'abitazione ed al vestito. Oh quanto difficilmente ci priviamo spesso di piccolezze, divenute care alla vita! Perché tanta grettezza nella vita spirituale? Si danno certamente abusi in codeste devozioni. Ma l'errore non istà nella cosa, non nella Chiesa, ma negli uomini. Oh di quante cose non abusiamo noi uomini! Dovrebbe dunque il Signore sottrarre gli stessi sacramenti, perché molti ne abusano? Il far guerra in genere e senza distinzione a tutte le devozioni, senza punto distinguere è indizio di zelo imprudente e non punto degno di Dio. Nel pietoso disegno di Dio le devozioni sono mezzi e guida alla nostra salute. Così dispone il Signore, che ciascuno secondo il suo modo di vedere, secondo il suo carattere, la sua naturale inclinazione e disposizione d'animo, in mezzo al gran numero delle varie devozioni, trovi quella che meglio gli piace e lo attrae. Una devozione preferita, che tocca il cuore, per molti diviene l'unico legame che anco a li stringe a Dio; senz'esso si perderebbero. Anche nell'ordinamento della natura spesso la vita dipende da un nonnulla. Il togliere alle anime le devozioni è in certi casi il medesimo che toglier loro la vita e la salute. Né l'ordine della natura, né quello della grazia vogliono improntarsi alla stregua del nostro piccolo intelletto.

Tornando al culto dei Santi è da ricordare un'altra regola di S. Ignazio, dove si ammonisce di non fare comparazioni tra i santi e le persone viventi, come sarebbe il dire che questi o quegli è più dotto di S. Agostino, che eguaglia od è anche più grande di un S. Francesco, che è un S. Paolo per potenza e vigore apostolico (Reg. 12). Quest'è per lo meno un'imprudenza, un'esagerazione, e può essere anche un'ingiustizia verso i santi ed un grande errore. Come non si deve lodare il giorno prima di sera, così non si deve lodare nessuno qual santo prima di conoscere la sua fine.
Inoltre in tale avvertimento s'asconde una regola pratica molto sapiente, e noi cattolici dobbiamo prenderne nota. In certi tempi, in certi luoghi e presso certi uomini erompe di tanto in tanto una tendenza e una farne per lo straordinario nel campo della mistica, una vera mania di miracoli. Appena qualche fenomeno sembra passare i limiti della natura, vi si corre appresso, ammirando e credendo. Quest'è imprevidenza ed imprudenza, e si dimentica che in ogni tempo sorsero impostori e gabbamondi a danno de' creduli. La Chiesa non adopera così. S. Giovanni ha ordinato di non credere ad ogni spirito, ma di esaminare se esso venga da Dio (3) , e però la Chiesa procede adagio, con precauzione e seriamente. Cosi adopera anche S. Ignazio. Egli era senza dubbio un grande mistico e nella sua vita ebbe a passare per tutti i gradi delle grazie e doni straordinarii. Ma forse non vi ha alcun maestro della vita spirituale, che nell'educare e promuovere gli altri nella via della virtù abbia adoperato così parcamente i mezzi mistici e siasi dimostrato così freddo rispetto ai fenomeni di questa specie. Aveva egli, per mo' di dire, un fiuto veramente cattolico, e dichiarava di preferire un grado inferiore di virtù, purché congiunto a prudenza, ad una virtù superiore ma senza prudenza.

1 Matt. XXVIII, 19 segg.
2 Marc. XIV, 4.
3 Giov. IV, 2.


http://www.vatican.va/roman_curia/img/foto4_b.jpg

MODELLO PER L'INTELLETTUALE CATTOLICO NELLA SOCIETà.
L'ATTACCAMENTO AL MAGISTERO PONTIFICIO E ALLA SANTA SEDE NON VIENE MAI MENO, ANCHE DI FRONTE AD UN GRAN VUOTO D'AUTORITà, COME QUELLO CHE STIAMO VIVENDO.

Guelfo Nero
21-08-02, 23:59
CARI AMICI FORUMISTI,

CON QUESTO POST SI CONCLUDE LA RIPRODUZIONE DEL BEL TESTO DI PADRE MESCHLER SULLE REGOLE PER SENTIRE NELLA CHIESA ANNESSE AGLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO.
CHI HA AVUTO LA PAZIENZA DI LEGGERLE IN QUESTI GIORNI, AVRà VISTO CHE SI TRATTA DI CIBO PER GIOVANI LEONI CATTOLICI, NON PER "mEZZE CALZETTE" AGNOSTICHE, LIBERALI, PER "CATTOLICIFAIDATE" O PER SUPERUOMINI RIDICOLI.
è CIBO PER UOMINI VERI: CONTRO OGNI RETORICA SUL DEBOLISMO, SOLO IL CATTOLICESIMO RENDE VERAMENTE UOMINI, SOLO IL CATTOLICESIMO RENDE VERI, PERCHè SOLO IL CATTOLICESIMO è LA VERITà NEL SENSO PIENO ED INTEGRALE DEL TERMINE.
IL RESTO è, NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI, UN DIVERSIVO.
DIO SOLO SA, QUANTO BISOGNO CI SIA DI UOMINI VERI E NON DI MOCCIOSI: DI MOCCIOSI DI TUTTE LE ETà TRABOCCANO LE NOSTRE CONTRADE.
SONO TRACOTANTI, ARROGANTI, INSULSI NEL VOLER ESSERE "AUTONOMI", FRENETICI NEL LORO VOLER ESSERE "VIVI".
PULITISSIMI, PROMANANO UN LEZZO INSOPPORTABILE: IL LEZZO DEL NULLA.
CRISTO RE, INVECE, TRAMITE IL SUO FEDELE SANT'IGNAZIO, CHIAMA A RACCOLTA I CATTOLICI.
NON RISPONDERE SAREBBE UNA VERGOGNA, RIMANDARE SAREBBE UNA VILTà.

UN CARO SALUTO A TUTTI

GUELFO NERO


Commento alle "Regole per sentire nella Chiesa" degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola
di P. Maurizio Meschler S. I.

PARTE SECONDA.

Esercizio pratico della vita cristiana - II


2. Il secondo punto della vita pratica cattolica riguarda l'esercizio dell'ascetica cristiana, la vita religiosa e la penitenza. Sotto questo rispetto afferma S. Ignazio, che secondo lo spirito cattolico si devono lodare i varii Ordini religiosi e monastici e lo stato di verginità e continenza, preferendolo in genere al matrimonio; così pure si devono lodare i voti religiosi di povertà, castità ed obbedienza ed ogni altra opera di perfezione e di supererogazione; poi i digiuni e le astinenze, particolarmente ne' tempi e ne' giorni prescritti dalla Chiesa, ed infine ogni altra penitenza non solo interna, ma esterna altresì (Reg. 4, 5, 7).
Il protestantesimo per principio si era levato contro tutte queste cose e le aveva coperte di disprezzo e di odio. Ed anche ai nostri giorni il cosiddetto Americanismo, sebbene per altri motivi, si è pronunciato contro i voti e contro la vita religiosa. Si capisce; all'uomo terreno tutte queste cose vanno attraverso. Ma il cristiano cattolico le accoglie come veneranda e cara eredità della Chiesa, come genuine fioriture dello spirito di Cristo e del Vangelo e come il più nobile frutto della legge morale cristiana.
È evidente che la eccellenza della legge morale non si manifesta soltanto per ciò che soffoca nel cuore dell'uomo i germi del male, ma piuttosto per ciò, che additando quanto v'ha di grande e di nobile, eleva l'umana volontà, la fortifica e le infonde energia e slancio verso i più alti beni celesti e verso la perfezione. Quest'è la vittoria immacolata della legge divina. Or questo si ottiene col proporre all'uomo officii e fini supererogatorii, come sono i voti, che non sono oggetto di comandamento, ma di libera volontà, a fine di rendere a Dio un servigio gradito ed onorevole E però S. Ignazio osserva che oggetto del voto dev'essere per solito, non ciò che è comune e meno buono, come ad esempio il matrimonio ovvero la mercatura, ma ciò che promuove la perfezione evangelica (Reg. 5). I voti invero sono anzitutto mezzi per raggiungere la perfezione che consiste in un più alto grado di carità verso Dio, non contentandosi l'uomo della sola osservanza dei comandamenti, ma spingendosi innanzi ad opere, a Dio molte care, sebbene semplicemente proposte come consiglio. Tra questi voti tengono il primo posto i tre voti religiosi, che costituiscono la sostanza della vita religiosa e lo stato della perfezione spirituale, perché con la loro osservanza il religioso in virtù del suo stato si obbliga a tendere alla perfezione. In questo senso lo stato religioso è nella Chiesa stato di perfezione cristiana.
Se dunque nella società civile a buon diritto si danno varii stati che si propongono per fine loro proprio il promovimento dei beni temporali, perché non si dovrà dare uno stato speciale che si consacri al conseguimento e promovimento dei più grandi beni dell'uomo, della perfezione cristiana? Lo stato religioso è il più sodo disciplinamento dell'anima, la più intima educazione di se stesso, il più nobile ed il più elevato slancio del cuore a Dio, il più efficace ammonitore e predicatore dei beni eterni in questa vita ed il dono più generoso pel bene e per la salute del mondo. Lo stato religioso ha seguito l'umanità anelante al bene e le ha offerto la sua parte di lavoro in tutti i rami di cultura e di svolgimento conveniente. Che cosa non hanno fatto gli ordini religiosi per la scienza e per l'arte, perfino nell'industria e nell'agricoltura, senza nulla dire delle opere in pro della missione della Chiesa ed in quelle di carità e beneficenza? Solo non hanno inventato mostri divoratori d'uomini, ma in quella vece hanno creato eserciti di angeli della misericordia, che hanno curato, sanato, consolato le vittime della discordia. Lo stato religioso è una delle glorie più belle della nostra Chiesa. Come non dovrà il cattolico stimarlo ed onorarlo?

Ancora una parola intorno alla mortificazione ed alla penitenza, contro la quale il protestantesimo ebbe sempre ed ha tuttavia una repugnanza insormontabile. Anche il mondo moderno de' cattolici annacquati rifugge da ogni austerità esterna. L'ascetica antica era piuttosto ispida e dura. Essa cominciava dal purificare seriamente il cuore dal peccato e dalle passioni disordinate per mezzo della vera vittoria di se stesso, e riteneva a lungo il suo alunno nell'esercizio della cosiddetta via purgativa, mettendogli innanzi le massime eterne ed incutendo nell'anima del peccatore un salutare spavento dei castighi eterni. «Non solo il timore figliale, scrive S. Ignazio (Reg. 18) è cosa pia e santissima, ma anche il timore servile (non però servilmente servile), perché anch'esso esclude il peccato ed inchiude il principio dell'amore». In questa osservazione del Santo si scorge quasi un presentimento del futuro giansenismo e quietismo e dei danni gravissimi recati da questi sistemi nella direzione delle anime.
Una certa ascetica moderna, per iscansare la noia o per sfuggire ogni cosa triste, va abbandonando quest'antica e sicura via purgativa e si rivolge ad altri metodi di vita spirituale più graditi e più attrattivi. Se ciò avvenga con maggiore profitto è un'altra questione. È vero. Noi non siamo più l'antica generazione, adusata alle intemperie. I figliuoli del tempo nostro sono anemici e nervosi. Ma da ciò segue soltanto che noi non possiamo più far tutto quello che facevano gli antichi, e non già che. si debba ammettere soltanto la penitenza interna, rifiutando con disprezzo l'esterna. Anche la penitenza esterna è un germoglio del Vangelo di Cristo e dello spirito cattolico, anzi aggiungiamo, dell'istinto nativo del peccatore, se pure è uomo leale. Egli ha peccato e vuol riparare ed anzitutto con la penitenza esterna, ad imitazione del Redentore, che per amor nostro sostenne i tormenti e la croce. È: questo l'A B C della vita spirituale.

3. Il terzo punto della vita pratica cattolica, toccato da S. Ignazio nelle sue regole ad sentiendum cum Ecclesia, riguarda la riverenza e la sommessione alle autorità tanto spirituali che temporali. Egli dice, che non dobbiamo essere corrivi nel biasimare le ordinazioni e la vita personale dei superiori, sì piuttosto dobbiamo essere inclinati ad approvarle e lodarle. Anche nel caso che le loro ordinazioni e le loro persone non siano tali che meritino lode, certo il biasimo pubblico di chi non è chiamato per ufficio ad esercitarlo porge, più che altro, occasione di mormorazione e di scandalo e può degenerare in eccitamento alla rivolta. Per lo contrario torna utile il rappresentare tali abusi a coloro che possono recarvi rimedio (Reg. 10). È chiaro poi che, trattandosi del potere civile, questa regola va interpretata in conformità del diritto costituzionale di sindacato che hanno i corpi rappresentativi dello Stato sul potere esecutivo.

Quel che il Santo qui raccomanda è un principio conservativo di grande importanza. Esso comprende nientemeno che tutta l'educazione e tutta la disciplina del popolo cristiano come tale; esso riguarda l'osservanza del quarto comandamento di Dio rispetto a tutti coloro che ci sono preposti; esso è il fondamento della pace e dell'ordine nel popolo cristiano e costituisce il primo e più importante dovere di coscienza di ciascuno in particolare. Questo spirito di riverenza e di sommessione verso l'autorità costituita è sempre stato il contrassegno del genuino sentire cristiano e cattolico. La nostra Chiesa è stata in ogni tempo banditrice e custode della debita obbedienza; essa stessa non può sussistere, senza la sommessione al potere costituito da Dio. È quindi più sicuro eseguire un comando meno prudente e meno acconcio, piuttosto che scuotere il fondamento dell'ordine. Neppure la personale indegnità del superiore ci dispensa dal debito della sommessione, salvo ch'egli non comandi cosa contraria a Dio. I superiori nostri sono uomini e possono come noi errare; quest'è saputo. Sono però luogotenenti della giustizia e santità di Dio nel mondo. Importa assai che essi siano pure nella realtà quello che rappresentano, e però chi nel debito modo sappia avvisarli o farli avvisare dei loro errori, è grandemente benemerito della società e della Chiesa.
Se mai in altri tempi, questa regola è di suprema importanza nei nostri, dove tutti i vincoli della dipendenza e della sommessione sono in pericolo e minacciano di sciogliersi, dove tutti vogliono insegnare e nessuno imparare, dove ognuno vuol comandare e. nessuno obbedire, dove oramai gli iniqui pongono in cielo la bocca loro ed i loro discorsi si trascinano per tutta la, terra (1) ; disprezzano l'autorità e la maestà bestemmiano (2) .
Insomma il tempo nostro è il tempo dell'indipendenza personale, del volersi aiutare da sé, del farsi eguali a Dio, ricusando di riconoscere sopra di se altro maestro. Il mezzo contro questi mali gravissimi è la norma di S. Ignazio sull'obbedienza cristiana. Seguendo tale regola ogni rivolta, ecclesiastica o politica, è impossibile, com'è impossibile il dispotismo per l'autorità che s'informi ai principii evangelici.


CONCLUSIONE


Questi adunque sono i contrassegni del vero e schietto cattolicismo in cose di fede e di pratica cristiana. Le norme dateci da S. Ignazio sono lo specchio vivente dell'uomo cattolico, che nulla lascia a desiderare quanto a solidità nella virtù e compitezza nei suoi doveri. Il Santo tien dietro di passo in passo a tutti i pericoli, a tutte le aberrazioni, a tutte le falsificazioni del cattolicismo, che da secoli sbucarono fuori; egli colpisce gli errori di Lutero, di Calvino, di Giansenio, gli errori dei quietisti, e le sue regole potrebbonsi dire una requisitoria contro tutti i devastatori della vera vita cattolica; si potrebbero chiamare un compendio della storia ecclesiastica fino ai nostri giorni, anzi fino al più recente cattolicismo di moda secondo il modello del riformismo. Esso non è altro che una nuova edizione del vecchio liberalismo religioso, che è il sistema delle cose fatte a metà, della debolezza, dell'inconseguenza; è il frutto necessario del rispetto umano, dell'adulare e del piaggiare nomi e tendenze che non sono favorevoli alla Chiesa; è la propagine genuina di quel liberalismo che non si nutre se non a scapito della fede e della solida vita cristiana. Contro tale cattolicismo riformatore le regole di S. Ignazio sono un rimedio radicale. Sarebbe quindi opera quanto mai appropriata al bisogno il fare stampare una copia di queste regole alla fine di certi libri che trattano di riforme religiose; varrebbe per Errata Corrige, non degli errori di stampa, ma delle aberrazioni dell'autore.
Sappiamo bene che tutte queste sono massime sconcertanti pe' figliuoli del nostro tempo; ma esse sono attinte proprio dal cuore del cattolicismo per modo, che chi vuol essere vero cattolico, non può fare a meno dal prenderle come norma della propria vita. È ben vero che la loro osservanza chiede per se tutto l'uomo, il suo intelletto e la sua volontà, e presuppone una piena ed incondizionata adesione al concetto cristiano della vita e del dovere fino alle ultime sue applicazioni. Ma pur troppo tali energie cattoliche spuntano piuttosto raramente tanto nella vita privata che nella pubblica.

Or donde questo? Anzitutto, il male viene dall'intelletto, poiché manca la soda e debita conoscenza della religione. La stessa istruzione religiosa elementare, spesso alla prima soglia della vita, non incontra, se non malvage alterazioni e dileggi, perfino da parte di maestri che pur si dicono cattolici; poi il diluvio della stampa e della letteratura irreligiosa e disonesta s'impossessa degli animi giovanili e non solo ne rovina lo spirito, ma ne avvelena il cuore; si va estendendo spaventosamente l'esempio corruttore dei compagni di scuola o di lavoro; quindi le esigenze degli studii speciali a cui conviene dedicarsi per la vita, e più innanzi la stretta delle occupazioni giornaliere ed anche la poca voglia impediscono l'applicazione allo studio privato della religione; prediche, appena appena se ne sentono; divozioni private, nulla; frequenza alle funzioni del culto, rara assai; si aggiungono infine altri peggiori disordini che guastano ogni cosa, ed è però quasi un miracolo, se fin dalla fresca età non si gitta via lo scudo della fede, passando nel campo dell'indifferenza e della formale incredulità. Così si entra nella vita pubblica. L'uomo maturo dovrebbe attuare nella pratica della vita quel che non ha mai imparato; dovrebbe stimare ed amare quel che non conosce e che forse odia; dovrebbe difendere quel che non può giudicare. Spesso prende parte alla legislazione del suo paese e si erige a giudice intorno a questioni religiose della più. alta importanza; spesso ancora si dedica all'officio di maestro o di pubblico scrittore, e si propone a trattare argomenti strettamente religiosi. Eppure non conosce né le dottrine, né le leggi, né i misteri del culto, né la costituzione della Chiesa cattolica! È e rimane vero che uno dei cancri del nostro tempo è la confusione, l'intorbidarnento. l'oscurità degli spiriti.
Più deplorabile è l'altra causa del male, quando cioè il cattolico conosce bensì i suoi doveri religiosi, ma non ha il coraggio di praticarli pubblicamente. L'ignoranza è spesso degna di compatimento; ma il non praticare il dovere conosciuto è una mancanza personale, anzi un peccato, un delitto, non solo contro Dio e contro la Chiesa alla quale si appartiene, ma anche contro se stesso e contro la propria umana dignità personale.
Trattasi di una vera e formale schiavitù -spaventevole parola nel secolo della libertà e dell'eguaglianza- anzi della più rovinosa e più disonorante tra le schiavitù!. È infatti una schiavitù che nessuno c'impone, che c'imponiamo da noi stessi. La forza della nostra volontà è tanto debole che si fabbrica catene, sottomettendosi non solo ad un unico padrone, ma a quanti si danno la briga di scagliarsi contro la nostra libertà di coscienza, siano essi pure i più miserabili ed i più dispregevoli tra gli uomini. Il timore e la debolezza ce li dipinge come una grande potenza e come nostri sovrani onnipotenti, purtroppo pel conseguimento non già del bene, ma del male. Chi si lascia vincere dal rispetto umano è come una piuma, senza peso, senza solidità; è una banderuola; è una canna agitata dal vento, come dice il Salvatore (3) , che ogni soffio fa piegare. Tale uomo ha già con se il passaporto per la via dell'iniquità. Noi non ci vergogniamo di essere al cospetto del mondo figliuoli riconoscenti, sposi fedeli, impiegati coscienziosi, sudditi intemerati; e poi, quali cattolici, ci vergogniamo di Dio e del suo servizio, come se al mondo nulla vi fosse di più meschino e di più rovinoso della nostra fede, della nostra Chiesa!
Il terzo motivo che ritrae gli uomini dal mostrarsi veramente cattolici di sentimento e di fatto, è la cura delle cose terrene, dell'avere e delle ricchezze. Si vuol vivere, si vuol vivere senza fastidii, si vuol godere della vita e per questo occorre denaro. Se il denaro non si ha, bisogna metterlo insieme, oh quanto spesso, a spese del cattolicismo. Si nega il cattolicismo e si prende l'irreligione dei più, che possono aiutarci nell'acquisto dei beni terreni. Così fa l'uomo di affari coi suoi corrispondenti, così il mercante coi suoi clienti, il servo coi suoi padroni, il giornaliero con chi lo paga, il deputato coi suoi elettori, l'impiegato con gli uomini di governo, perfino il soldato col suo superiore d'armi. Non si vuol avere altra religione se non quella del proprio santo aiutatore.
Nessuno vuole che si trascuri il proprio benessere ed il progresso anche materiale dell'individuo e della famiglia. Dio stesso ne suggerisce i mezzi opportuni: la fiducia nella provvidenza, la preghiera, il lavoro onorato. Ma rinnegare la religione non è un mezzo. Questo non è confidare in Dio, ma chiedere consiglio ed aiuto dai falsi idoli; questo non è preghiera, ma provocazione del castigo di Dio; questo non è lavoro onorato, ma latrocinio dell'onore e della padronanza di Dio, a cui appartiene la nostra anima, il nostro corpo, ed il nostro servizio; non è neppure commercio onorato, ma commercio da Giuda, che vende Dio per quattro miseri quattrini e compra per se la corda; questo è sangue dell'anima, troppo caro di prezzo, quando pure dovesse costare il mondo intero.

NOTE

1 Ps. LXXII, 8, 9.
2 2 Petr. II, 10; Iud. 8.
3 Matt. XI, 7.



http://www.vatican.va/roman_curia/img/foto3_b.jpg

Guelfo Nero
11-02-03, 02:14
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L'11 febbraio 1858 una fanciulla di quattordici anni, Bernadette Soubirous, ingenua e umile, che non sapeva ancora leggere e scrivere speditamente, si recò in compagnia di una sorella e di una coetanea a raccogliere legna secca nei pressi di Massabielle, un anfratto roccioso alla periferia di Lourdes per raggiungere il quale le fanciulle dovevano guadare a piedi nudi un torrente. Bernadette, che soffriva di asma, esitava a mettere i piedi in acqua e si attardava.
Un fruscio tra gli alberi le fece alzare gli occhi in direzione della grotta, dove scorse "una signora" dal volto radioso, vestita di bianco con una fascia azzurra, che le sorrideva e con la quale recitò una terza parte di Rosario, con la corona che portava sempre con sè. 1 genitori, ai quali la sorella di Bernadette rivelò ben presto il segreto, dapprima vietarono alla veggente di ritornare alla grotta, poi cedettero alle sue lacrime. L'apparizione si ripeté il 18 febbraio.
La Signora sorrise al gesto della fanciulla che aspergeva la roccia con acqua benedetta, poi le parlò: "Volete avere la bontà di venir qui per quindici giorni?... Non vi prometto di farvi felice in questo mondo, ma nell'altro". Nel corso delle apparizioni successive, la Signora chiese a Bernadette di pregare per i peccatori e invitò i fedeli alla penitenza.
Il 25 febbraio la invitò a bere ad una fontana, indicandole il posto. Bernadette grattò con le unghie la superficie del terreno: all'inizio ne sgorgò solo un filo d'acqua torbida. Bernadette ne bevve un sorso e vi si lavò: era la miracolosa sorgente di Lourdes. Il 2 marzo la Signora disse alla fanciulla di riferire ai sacerdoti il suo desiderio che si facesse una processione e che in quel posto venisse eretta una cappella.
Il parroco Peyramale si mostrò incredulo e trattò duramente Bernadette: "Di' a quella signora che ti dica il suo nome", le ordinò. La mattina del 25 marzo la Vergine diede la risposta: "io sono l'Immacolata Concezione".
Quattro anni prima Pio IX aveva proclamato il dogma della concezione senza macchia originale della Vergine e ora Maria comunicava agli uomini il titolo con il quale voleva essere invocata. Nonostante la proibizione delle autorità civili (interrogarono e minacciarono Bernadette; l'accesso alla grotta venne dapprima interdetto e poi finalmente consentito per ordine dello stesso imperatore Napoleone III, i pellegrini vi accorrevano da ogni parte e si verificarono i primi fatti prodigiosi. Ad oltre cent'anni di distanza vi accorrono ancora folle smisurate per sperimentarvi il "miracolo di Lourdes", la serenità.

SANCTA MARIA, REGINA SINE LABE ORIGINALI CONCEPTA, ORA PRO NOBIS

Guelfo Nero
17-02-03, 11:57
CARI AMICI

MI PIACE RIPORTARVI UN PICCOLO BRANO, VEEMENTE E COINVOLGENTE, TRATTO DAL LIBRO DI UN GIOVANE CATTOLICO VALLONE DEGLI ANNI '30 RAPHAEL SINDIC. IL TITOLO DEL LIBRO ERA SIGNIFICATIVAMENTE "GIFLES" ("SCHIAFFI").

"MORTE ALLA MASSONERIA, MORTE AL LIBERO PENSIERO, MORTE AL COLLETTIVISMO, MORTE AL LIBERALISMO, MORTE AL LAICISMO, MORTE ALLA NEUTRALITà. MORTE ANCHE E SOPRATUTTO AL CRETINISMO CATTOLICO, LA "CRISTIANESIMO" BASTARDO NATO DALL'ADULTERIO DEL DOGMA E DAL CONCUBINAGGIO DELLA MORALE. [CREDO SI RIFERISCA AL modernismo sociale del partiti popolari DELL'INTERNAZIONALE BIANCA... N.D.R.] NOI VOGLIAMO IL CATTOLICESIMO INTEGRALE, INTRANSIGENTE, TOTALE. NOI VOGLIAMO DARE ALLA VERITà LO SPAZIO CHE MERITA, VOGLIAMO CIOè DARLE TUTTO LO SPAZIO. NOI ABORRIAMO I MEDIOCRI, DISPREZZIAMO I VIGLIACCHI, SCHIAFFEGGIAMO I RINNEGATI. NOI VOGLIAMO DIO. NOI RIFIUTIAMO AL NEMICO QUALSIASI CONCESSIONE, NON GLI ACCORDIAMO NESSUN SORRISETTO VIGLIACCO, NESSUNA RETROMARCIA, NOI RIFIUTIAMO DI MASCHERARE I NOSTRI PENSIERI E I NOSTRI ATTI. [...] L'ERRORE NON LO ACCETTEREMO MAI, NON CI FA PAURA E NON NE ABBIAMO ALCUN RISPETTO. NOI GLI SCARICHIAMO ADDOSSO TUTTO IL NOSTRO ODIO E IL NOSTRO DISPREZZO. NOI NON SIAMO NEUTRI, NON VOGLIAMO E NON POSSIAMO ESSERLO. NOI SIAMO CON DIO, TOTALMENTE, ALLEGRAMENTE E PER SEMPRE".


O GRAN BONTà DEI CAVALIERI ANTIQUI!


GUELFO NERO ;)

Guelfo Nero
26-02-03, 10:51
Queste sono le tre fulgide gemme che rendono sovranamente bella e potente l'Immacolata Madre di Dio. La Medaglia miracolosa, che affrettò la solenne proclamazione di fede dell'Immacolata Concezione, possa far affrettare i tempi anche per la definizione dei dogmi mariani di Maria Mediatrice, Corredentrice e Regina.

Non a caso la Medaglia fa brillare queste verità. Tocca a noi non trascurare la lezione e il richiamo così dolce e consolante che essa ci dona: la mia Celeste Mamma Immacolata è anche la mia Celeste Mediatrice, Corredentrice e Regina!

Ogni grazia viene da Lei

L'Immacolata con le braccia allargate verso il basso e con una miriade di raggi splendenti che partono dalle sue mani rappresenta in modo luminoso Maria SS. come Mediatrice di tutte le grazie.

La mediazione universale fa parte della missione materna di Maria SS. verso il genere umano. Questa è una verità che fin dai primi tempi della Chiesa è stata riconosciuta alla Madonna e che speriamo di vedere presto proclamata dogma di fede, come ardentemente desiderava San Massimiliano Maria Kolbe.

L'Immacolata è la Mediatrice di grazia presso Gesù, unico Mediatore fra Dio e l'uomo. Ella, come Madre nostra, intercede sempre in nostro favore, anche quando noi non ricorriamo esplicitamente e direttamente a Lei. Per questo, oltre che Madre nostra, è anche la "Madre della divina grazia" e tutte le grazie che gli uomini ricevono, tutte, senza eccezione, vengono dal suo Cuore, passano per le sue mani.

Rileggiamo ora qualche punto della seconda apparizione dell'Immacolata a S. Caterina Labouré, e vedremo come la verità della Mediazione mariana appaia certa e luminosa.

"Ella aveva gli occhi rivolti al cielo, e il suo volto diventò risplendente, mentre presentava il globo a Nostro Signore": ecco una Mamma, bella di una bellezza inesprimibile, che prega e intercede per noi, figli che Ella ama.

"Tutto ad un tratto le sue dita si ricoprirono di anelli, ornati di pietre preziose... le quali gettavano dei raggi, gli uni più belli degli altri... Mentre io ero intenta a contemplarla, la Santissima Vergine abbassò gli occhi verso di me, ed una voce si fece intendere che mi disse queste parole "Questo globo che vedi rappresenta tutto il mondo... la Francia... e ciascuna persona in particolare". Io qui non so ridire ciò che provai e ciò che vidi, la bellezza e lo splendore dei raggi sfolgoranti ! ... e la Vergine SS. aggiunse "Sono il simbolo delle grazie che io spargo sulle persone che me le domandano", facendomi così comprendere quanto è dolce pregare la SS. Vergine e quanto Ella è generosa con le persone che La pregano; quante grazie Ella accorda alle persone che gliele cercano, quale gioia Ella prova nel concederle...".

"Chiedimi quanto vuoi..."

Ci pensiamo mai che ogni momento la Madonna sta in questo atteggiamento di supplica e di dono per noi? Non ricordiamo quello che la Madonna fece a Cana? Lei sola si accorse che era venuto a mancare il vino. E con tanta sollecitudine e dolcezza lo disse a Suo Figlio Gesù; "Non hanno più vino" (Gv 2,3). Gesù guardò in fondo agli occhi di quella Mamma Sua e nostra, sentì la tenerezza di quel Cuore così simile al Suo, e fece il miracolo, il Suo primo miracolo, cambiando l'acqua in vino, in anticipo con l'ora stabilita da Dio! (Gv 2,4). Veramente la Madonna è "Onnipotente per grazia".

Lei tutto può, perché sta tra Dio e l'uomo, essendo donna ed essendo Madre di Dio. Ah, quale gioia per noi avere una simile Madre!

Il Papa Pio IX scrisse che la Madonna, con la Sua dignità di Madre e Regina, stando alla destra di Gesù "ottiene ciò che domanda, né può restare inesaudita".

E il numero sterminato di grazie che la Medaglia miracolosa ha ottenuto agli uomini è la conferma più certa di questa consolantissima verità.

La nostra Corredentrice

Ma perché Maria è stata da Dio elevata a questo ufficio di Tesoriera di tutte le grazie?

Perché Ella con le sue sofferenze è stata da Dio associata a Gesù per salvare gli uomini; Ella cioè è la Corredentrice del genere umano.

Afferma S. Pio X nell'Enciclica "Ad diem illum" del 2 febbraio 1904 "Da questa comunione di dolori e di volontà tra Cristo e Maria, meritò Ella di divenire degnissimamente la Riparatrice del mondo perduto, e quindi la Dispensatrice di tutti i doni che Gesù ci procurò con la morte e con il sangue".

Anche questa verità della Corredenzione di Maria SS. La troviamo espressa nella Medaglia miracolosa. Guardiamone il rovescio: la lettera M, monogramma di Maria, sormontata da una croce; al di sotto, il Sacro Cuore di Gesù coronato di spine e il Cuore Immacolato di Maria, trafitto da una spada.

C'è qui in compendio tutta la dottrina della Corredenzione di Maria.

Pensiamo al Calvario Gesù sulla Croce, Maria ai piedi della Croce, uniti indissolubilmente nell'offerta del loro sacrificio che ha redento il mondo. Come ad Eva, così a Maria, nuova Eva, Dio disse: "Tu partorirai nel dolore" (Gn 3,6). Nel dolore infatti la Madonna partorì noi alla vita della grazia. Partorì nel dolore del Suo Cuore trafitto dalla spada della Passione e Morte del Figlio.

Quanto è profondo dunque il significato di quei due Sacri Cuori effigiati sul rovescio della Medaglia!

"Sono ebreo di razza"

La Madonna quindi è Corredentrice e perciò stesso Mediatrice universale di tutte le grazie, come insegna San Pio X. E soprattutto per la grazia delle grazie, ossia la salvezza finale, rivolgiamoci alla Divina Corredentrice: Ella sa fare di ogni peccatore un giusto, di ogni redento un Santo.

Ci conforti il racconto di una della tante conversioni operate dalla Madonna per mezzo della Medaglia miracolosa.

Riportiamo l'episodio dalla vita di San Massimiliano M. Kolbe.

Durante la degenza nel sanatorio di Zakopane, egli non pensò certamente di starsene inerte. Proprio lui amava ripetere ai suoi confratelli "Non possiamo dormire fino a quando una sola anima resterà sotto il dominio di satana". Per cui, anche ammalato a Zakopane, si diede da fare.

Tra l'altro ogni giovedì teneva una conferenza ai giovani studenti atei del sanatorio. Dopo pochi giovedì, quattro di essi si convertirono.

Soltanto uno, tra i più giovani, pur seguendo attentamente le conferenze del Santo, mostrava di non avere a che fare con lui, allontanandosi immediatamente alla fine di ogni riunione.

Ma un giovedì si avvicinò e gli disse "Vorrei salutarla, padre; è l'ultima volta che ci vediamo. Le mie condizioni si sono aggravate, non potrò lasciare il letto, è la fine...".

Poi gli confidò

-Sono ebreo di razza e di religione.
-Verrò a trovarti.
-Impossibile, lei lo sa, è proibito far visita agli ammalati gravi.
-Verrò lo stesso.

Ed infatti non solo ci andò, ma lo battezzò, gli diede la S. Comunione, gli impartì l'Unzione degli infermi e poi gli mise al collo la Medaglia miracolosa.

-Sei contento? ... Dimmi, che cosa ti turba ancora, ragazzo?
-La mamma... L'arrivo della mamma.

Sua madre era un'ebrea fanatica.

-Non temere sarai già in Paradiso quando arriverà.

Infatti il giovane morì alle 11, mentre la mamma arrivò soltanto a mezzogiorno. E quando venne, fece un gran baccano a causa della conversione del figlio. Immediatamente gli strappò dal petto la Medaglia miracolosa e cacciò in cattivo modo San Massimiliano.

-Ma, post factum...-, commentava il Santo raccontando l'episodio al fratello fra' Alfonso.

La nostra Regina

Un'ultima importante verità ci viene insegnata dalla Medaglia miracolosa la Regalità di Maria Santissima.

La Madonna, nell'apparizione del 27 novembre 1830 a S. Caterina Labouré, poggia vittoriosamente i suoi piedi sul globo, e sembra dirci anche Ella come Gesù Re Divino "Non abbiate timore, io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33).

Inoltre, l'Immacolata tiene fra le mani un altro globo più piccolo che offre a Dio Padre. Se è vero che si può offrire solo ciò che e proprio, Maria può offrire a Dio il mondo perché esso Le appartiene, essendo stata costituita Regina dell'universo.

Infine, le dodici stelle impresse sul retro della Medaglia, indicano i Santi e in genere tutte le anime che per effetto della sua materna protezione, circondano ora il Suo trono regale lassù in cielo.

In particolare, nelle dodici stelle si è voluto vedere simboleggiare i dodici apostoli, ossia le colonne della Chiesa stessa, che glorifica in Maria SS. la sua Divina Madre, la Madre di Cristo Capo e del Corpo mistico di Cristo.

Guardando la Medaglina, quindi, possiamo richiamare alla mente il "segno prodigioso" della Donna dell'Apocalisse, che S. Giovanni vide avanzarsi vestita di sole, con la luna sotto i piedi e con il capo coronato da dodici stelle (Ap 12,1).

E quale gioia non deve infondere nei nostri cuori questa sublime verità? Noi siamo i fortunati figli di una Madre onnipotente e misericordiosa, bellissima e gloriosissima, tutta amore e splendore, Madre di Dio e dell'umanità, Regina della terra e del Paradiso


http://sanlorenzo.dataport.it/S.Caterina/Globocolor.JPEG

Guelfo Nero
07-03-03, 11:07
OGGI E NON IL 28 GENNAIO, COME TALUNI PENSANO, è LA FESTA DI SAN TOMMASO D'AQUINO, GLORIA DELL'ORDINE DOMENICANO, DOTTORE ANGELICO, DOTTORE COMUNE DELLA CHIESA CATTOLICA (DURANTE LE SESSIONI DEL CONCILIO DI TRENTO SACRA BIBBIA E "SUMMA THOEOLOGICA" DI SAN TOMMASO ERANO INTRONIZZATE L'UNA ACCANTO ALL'ALTRA)

http://santiebeati.it/immagini/Original/22550/22550E.JPG

San Tommaso, nato verso la fine del 1225 dal conte d'Aquino, nel castello di Roccasecca, all'età di 18 anni, contro la volontà del padre e addirittura inseguito dai fratelli che avrebbero voluto sequestrarlo, entrò nell'ordine dei Predicatori di S. Domenico. Completò la sua formazione a Colonia, alla scuola di S. Alberto Magno, e poi a Parigi. Nello studio parigino da studente divenne docente di filosofia e teologia. Tenne cattedra anche ad Orvieto, Roma e Napoli.
Mite e silenzioso, contemplativo e devoto, rispettoso di tutti e da tutti amato, San Tommaso era soprattutto un intellettuale. Costantemente immerso negli studi, perdeva facilmente la nozione del tempo e del luogo: durante una traversata in mare non avvertì neppure la terribile burrasca e il forte rollio della nave sbattuta dai flutti, tant'era immerso nella lettura. Ma le sue non furono letture sterili né fine a se stesse. Il suo motto, "contemplata aliis tradere", partecipare agli altri i frutti della propria riflessione, si tradusse in una mole di libri che hanno del prodigioso, se si tiene presente che la morte lo colse all'ancor giovane età di 48 anni.
Morì infatti all'alba del 7 marzo 1274, nel monastero cistercense di Fossanova, mentre si recava al concilio di Lione, convocato dal B. Gregorio X. L'opera sua più celebre è la Summa Theologiae, dallo stile semplice e preciso, di una chiarezza cristallina, unita a una straordinaria capacità di sintesi. Quando Giovanni XXII lo iscrisse nell'albo dei santi, nel 1323, a quanti obiettavano che Tommaso non aveva compiuto grandi prodigi nè in vita nè dopo morte, il papa rispose con una frase famosa: "Quante proposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece".
Il primato dell'intelligenza, la chiave di volta di tutta l'opera teologica e filosofica del Dottore angelico (come venne denominato dopo il XV secolo), non si risolveva in un astratto intellettualismo, fine a se stesso. L'intelligenza è condizionata e condizionante l'amore. "Luce intellettual piena d'amore amor di vero ben pien di letizia...", così Dante, uno dei primi tomisti, traduce in poesia il concetto tomistico di intelligenza-beatitudine... Il pensiero di S. Tommaso è stato per secoli la base degli studi filosofici e teologici dei seminaristi, ed ha conosciuto una singolare rifioritura proprio nei nostri tempi ad opera di Papa Leone XIII.

Sancte Thoma, ora pro nobis

Fra Tommaso
07-03-03, 12:38
La ringrazio cordiale Guelfo Nero, per la sollecitudine con la quale ha reso pubblica questa data così importante.
La grandezza del Dottore della Chiesa San Tommaso non conosce pari: eppure da notare con quale armonia Dio abbia posto accanto sant'Agostino e san Tommaso, San Francesco di Sales e sant'Alfonso de Liguori.
Certo, la Stein stona un po', non crede? Comunque, Dio voglia concederci l'onore di capire.... però è brutta, brutta davvero: questo secolo ci ha dato come teologo Kung e come mistico Chiara Lubich.

Se mi permette la battuta: mi aspetto da Dio un posto più comodo all'altro mondo. ;) :) :D

Guelfo Nero
12-04-03, 20:25
CARO FRA' TOMMASO,

SUOR EDITH STEIN O.M.C. NON è DOTTORE DELLA CHIESA: ALLA DONNA NELLA CHIESA NON è ASSEGNATA UNA FUNZIONE MAGISTERIALE PUBBLICA.

ANCHE LA SUA "CANONIZZAZIONE" DOVRà ESSERE RIVISTA CON ESTREMA ATTENZIONE E SOTTOPOSTA AL GIUDIZIO DELLA SANTA SEDE.
LE CIRCOSTANZE TRAGICHE IN CUI TROVò LA MORTE SUGGERISCONO UN SILENZIOSO RISPETTO.

GUELFO NERO

Guelfo Nero
12-03-04, 10:36
Monsignor Giuseppe Ballerini - conosciuto per alcune opere contro il socialismo ed in difesa del Dogma Eucaristico, pubblicò nel 1904 "Il principio di causalita e l'esistenza di Dio di fronte alla scienza moderna".

Padre J.J. Berthier, O.P. - neoscolastico svizzero, professore della Università Cattolica di Friburgo. Tabulae systematicae et synopticae totius Summae Theologicae justa ipsammet Doctoris Angelici methodum strctius et clarius exactae (Friburgo, 1893), Tabulae systematicae et synopticae totius Summae contra Gentiles (Paris, 1900), L'étude de la Somme Théologique de saint Thomas d'Aquin (Paris, 2. ed., 1906).

Monsignor Andrea Cappellazzi - neotomista italiano dell'inizio del Novecento. Autore de:
Gli elementi del pensiero: Studio di psicologia e ideologia secondo la dottrina di S. Tommaso d'Aquino (Crema, 1888), Le moderne libertà esaminate secondo i principii della filosofia scolastica (Crema, 1890), L'Ultima Critica di Ausonio Franchi compendiata (Crema, 1891), La dottrina di S. Tommaso sulla conoscenza che Dio ha delle cose (Parma, 1893), Il principio etico e il principio giuridico considerati nel concetto scienziale e nella manifestazione storica (Lodi, 1894), San Tommaso e la schiavitù (Crema, 1900), La persona nella dottrina di San Tommaso d'Aquino e l'odierno movimento intellettuale (Siena, 1900), Filosofia sociale: Quale sede occupa la sociologia nella gerarchia scientifica (Siena, 1902), La dottrina di San Tommaso nella sociologia moderna (Bitonto, 1902), Le questioni moderne (Siena, 1903), Sociologia civile (Siena, 1903), La superiorità e l'immanenza del Sacerdozio cattolico (Siena, 1903), Qui est: Studio comparativo tra la 2. questione della Somma Teologica di San Tommaso e le conclusioni di sistemi filosifici (Crema, 1903).

Padre Giovanni Maria Cornoldi s.j. (1822-1892) Autore della celeberrima opera "Institutiones Philosophitae Speculativae" e di "La Filosofia Scolastica di San Tommaso e di Dante". Sctrittore della "Civiltà cattolica", definì con molta lungimiranza la filosofia moderna da Cartesio in poi "patologia della ragione umana".
Altre opera: I sistemi meccanico e dinamico circa la costituzione della sostanza corporea rispetto alle scienze fisiche (Verona, 1864), Thesaurus philosophorum (Brixen, 1871), Die antikatholische Philosophie und die gegenwärtige Uebel der Gesellschaft. Aus dem Italien (Brixen, 1871), Lezioni di filosofia, ordinate allo studio delle altre scienze (Firenze, 1872 - con traduzioni in castigliano, inglese e francese), Viribus unitis. Prolusione al periodico "La scienza italiana." (Bologna, 1876), La Sintesi chimica secondo i principii filosofici di S. Tommaso d'Aquino (Bologna, 1876), Francisci Suarezii doctoris eximii: De corporum natura Tractatus (Bolonia, 1877), Prolegomeni sopra la filosofia italiana o Trattato della esistenza di Dio (Bologna, 1877), Della pluralità delle forme secondo i principii filosofici di San Tommaso d'Aquino (Bologna, 1877), La conciliazione della fede cattolica con la vera scienza; ossia Accademia filosofico-medica di S. Tommaso d'Aquino (Bologna, 1877; 2. ed. con appendice, 1878; al castellano por J. F. Montaña; Madrid, 1878), Institutiones philosophiae speculativae ad mentem S. Thomae Aquinatis, auctore J. M. Cornoldi S. J. in latinum versae ab Exemo. et Revmo. Dominico Agostini Venetiarum Patriarcha et ab auctore recognitae et auctae (Bononiae, 1878), Nozione elementare dell'Ontologismo (Bologna, 1878), Il Panteismo ontologico e le nozioni di Ontologia del M. R. G. Buroni (Bologna, 1878), La storia del conflitto tra la religione e la scienza di G. Draper, prof. nell-Univ. di Nuova York (Bologna, 1879; en castellano, 1879), La riforma della filosofia promossa dall-Enciclica AEterni Patris di S. S. Leon Papa XIII (Bologna,1879), Il sette Marzo 1880, ossia i filosofi ai piedi di Leone XIII, ristoratore della filosofia (Bologna, 1880), La filosofia scolastica speculativa di San Tommaso d'Aquino (Bologna, 1881), Dei principii fisico-razionali secondo S. Tommaso d'Aquino. Commentario dell'Opusculo "De principiis naturae." (Bologna, 1881), Il Rosminianismo sintesi dell-Ontologismo e del Panteismo (Rome,1881-83), Antitesi della dottrina di S. Tommaso con quella del Rosmini (Prato, 1882), Dell'unione dell'anima umana col corpo (Roma, 1882), Del senso comune e del senso fondamentale del Rosmini (Roma, 1882), La lotta del pensiero (Roma, 1882), L'intelletto agente (Roma, 1883), Della libertà umana. Dissertazione. (Roma, 1883), La cognizione umana dei futuri (Roma, 1885), La filosofia di S. Tommaso e l'epoca presente (Prato, 1886), Esordio del concetto di Dio (Roma, 1887), La Creazione (Roma, 1888), La Divina Commedia di Dante Alighieri, col commento di G. M. Cornoldi (Roma, 1888), La filosofia scolastica di San Tommaso e di Dante (Bologna, 1889), Esame critico del traducianismo (Roma, 1889), La visione dell'essenza divina (Roma, 1889), Quale secondo S. Tommaso sia la concordia della mozione divina colla libertà umana (3. ed., Roma, 1890), Sistema fisico di San Tommaso (Roma, 1891; traducción al inglés de E. H. Dering, 1893), Partenio. La creazione e la inmacolata. Conversazioni scolastiche (Roma, 1891).


Padre Reginald Garrigou Lagrange O.P. (1877-1964) "IL MARTELLO DEL NEO-MODERNISMO", la sua bibliografia conta più di 770 titoli, tra saggi, articoli e scritti minori. Morì prima di vedere trionfare (TEMPORANEAMENTE) quelle idee e quelle posizioni erronee ed ereticali contro cui aveva combattuto tutta la vita.


Padre Matteo Liberatore s.j. (1810-1892) - critico, tra gli altri, dell'erronea filosofia rosminiana. Autore di Dialoghi filosofici (Napoli, 1840; 2. ed., 1851), Institutiones logicae et metaphysicae (Napoli, 1840-42; Mediolani, 1846), Theses ex metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus Pirenzio in collegio neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto Idus Septembris anno MDCCCXLII (Neapoli, 1842), Dialogo sopra l'origine delle idee (Napoli, 1843), Il Panteismo transcendentale, dialogo (Napoli, 1844), Il Progresso. Dialogo filosofico di M. Liberatore (2. ed., Genova, 1846), Ethicae et juris naturae elementa. (Neapoli, 1846; Romae, 1857; Ital., Roma, 1863), Elementi di filosofia (Napoli, 1848; 2. ed., 1850; Livorno, 1852), Institutiones philosophicae (Neapoli, 1851; 5. ed., Romae, 1872), Della conoscenza intellettuale (Napoli, 1855; Roma, 1857; al alemán por E. Franz, Mainz, 1861; al francés por E. Sudre, Tournai, 1863), Compendium logicae et metaphysicae (Romae, 1858), Sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi (Roma, 1861), Risposta ad una lettera anonima sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi (Roma, 1861), Dell'uomo (2 vols., Roma, 1862; al castellano, Barcelona, 1882; al francés Paris, 1885), La Filosofia della Divina Commedia di Dante Alighieri. (In Omaggio a Dante Aligh. dei Cattolici ital.) (Roma, 1865), Della composizione sostanziale dei corpi (Napoli, 1878), L'autocrazia dell'ente: Commedia in tre atti (Napoli, 1880),Degli universali. Confutazione della filosofia Rosminiana difesa da Mons. Ferre (Roma, 1883-4; en castellano por F. de P. Ribas y Servet, Barcelona, 1888; en inglés por E. H. Dering, London,1889), Principes d'Économie Politique (1894).

Padre Pio de Mandato, S.I. - neotomista italiano Autore di: Institutiones philosophicae ad normam doctrinae Aristotelis et S. Thomae (Romae, 1894), Le specie organiche secondo la dottrina di San Tommaso e la moderna teoria degli evoluzionisti (Roma, 1895), Dissertazioni filosofiche. Esistenza di Dio, Teosofismo moderno, Evoluzionismo, Cause e rimedi di materialismo, Importanza della religione (Roma, 1907)

Padre Michele de Maria, S.I. -"Philosophia Peripatetica - Scholastica" (3 vol., Roma, 1892). Come Padre Cornoldi fu critico spietato e rigoroso del pensiero moderno. Fu autore anche di:
Opuscula philosophica et theologica Sti. Thomae Aq. Editio accurate recognita et nonnullis quaestionibus ac scholiis aucta. (Città di Castello, 1886), Compendium logicae et metaphysicae (Romae, 1897; ed. 2., 1900). Membro della Pontificia Accademia Romana di San Tommaso d'Aquino

Padre Guido Mattiussi, S.I. - (1852-1925). Professore della Gregoriana. Lavorò all'elaborazione delle 24 Tesi Tomiste del 1917. Autore de Les Points Fondamentaux de la Philosophie Thomiste: Etude sur les 24 thèses thomistes (Turin: 1926) e de "Il veleno kantiano".
Alfiere della crociata antimodernistica negli anni '10, critico veemente e ferreo del modernismo politico-sociale

Padre Thomas M. Pègues, O.P. - (1868-1936). Nemico mortale del modernismo di cui denuncià apertamente, dimostrandoli, gli errori dogmatici
Opere: Commentaire Française Littéral de la Somme Théologique de St. Thomas d'Aquin (21 vols., Toulouse, 1907-1932), un Dictionnaire de la Somme Théologique de St. Thomas d'Aquin (2 vold., 1935), Initiation Thomiste, rieditò con Caslas Paban l'opera dide Juan Capréolo "Defensiones Theologicae divi Thomae Aquinatis" (7 vols. 1900-1908).

S.E.R. Tommaso Zigliara o.p. Collaboratore della Scienza Italiana. Autore del Saggio sui Principii del Tradizionalismo (1865); Osservazione sopra Alcune Interpretazioni della Dottrina Ideologica di S. Tommaso d'Aquino, dal Professore G. C. Ubaghs (Viterbo, 1870); Della Luce Intellettuale e dell'Ontologismo, secondo le Dottrine dei ss. Agostino, Bonaventura e Tomaso (Roma, 2 vols.1871); Summa Philosophica in usum Scholarum (3 vols., 1876); De Mente Concilii Viennensis in Definitione Unionis Animae cum Corpore (1878), Theses philosophicae (1881-83). La sua "Summa Philosophica" fu testo obbligatorio in tutti i seminari. La sua opera "Della Luce Intellettuale" fu la confutazione serrata e definitiva del tradizionalismo filosofico francese e dell'Ontologismo, due esiziali errori filosofici.

Guelfo Nero
12-03-04, 10:40
Quest'anno la festa di san Tommaso d'Aquino cadeva di domenica, per l'esattezza nella seconda domenica di quaresima. é stato bello ricordarlo nelle orazioni della Messa domenicale, è bello anche poterlo ricordare qui, anche se con qualche colpevole giorno di ritardo.

con affetto

Guelfo nero :) :) :)

Guelfo Nero
03-08-04, 16:41
CARI AMICI,

NON POTEVA MANCARE PER IL MESE D'AGOSTO LA SEGNALAZIONE DEGLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO CHE SONO CERTAMENTE UNA DELLE CIFRE DISTINTIVE DELL'ESSERE CATTOLICO OGGI.
POSTO QUESTO MESSAGGIO PROPRIO OGGI, NELLA STRAORDINARIA FESTA DI SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, PER RENDERE UN OMAGGIO A CHI NE HA COMPOSTO, TEMI E TESTI SU DIRETTA ISPIRAZIONE DELLA VERGINE MARIA.

http://santiebeati.it/immagini/Original/23800/23800A.JPG


GLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO SONO UN INSIEME DI PRATICHE DEVOTE E DI TEMI SACRI DA MEDITARE CHE VENGONO DATI A CHI FA GLI ESERCIZI PERCHè POI NON CESSI MAI DI FARNE PRATICAD.
IN FONDO SONO UNA SPECIE DI "PALESTRA DELLO SPIRITO" DOVE INIZIARE AD IRROBUSTIRSI, VINCERE PASSIONI DISORDINATE, STACCARSI DA PECCATI INVETERATI, COMPRENDERE APPIENO IL SENSO DELLA VITA E DELLA PRATICA CATTOLICA.
PER CHI LI FA, OGNI ANNO SONO IL MOMENTO DI RICAPITOLAZIONE, DI RIFLESSIONE, DI CORREZIONE PER POI RIPARTIRE NELLA MILIZIA CRISTIANA DI OGNI GIORNO.
NELLA LORO STRUTTURA ORIGINARIA DURANO TRENTA GIORNI MA IN QUESTO SECOLO UN GRANDE CULTORE DEGLI ESERCIZI E PREDICATORE, PADRE FRANCESCO DI PAOLA VALLET (1883-1944) NE CREATO UNA VERSIONE PIù BREVE, CON TOTALE ADERENZA AL TESTO IGNAZIANO DELLA DURATA DI 5 GIORNI. IL PIO PADRE BARRIELLE (1897-1983) DURANTE GLI ANNI SETTANTA HA AGGIUNTO QUALCHE RITOCCO, ADEGUANDOLI ALLA SITUAZIONE ATTUALE DELLA CHIESA.
SONO CINQUE GIORNI INTENSISSIMI CON MEDITAZIONI QUOTIDIANE SUI NOVISSIMI (MORTE, GIUDIZIO, INFERNO E PARADISO), SULLO SCONTRO MILLENARIO TRA I DUE ESERCITI (I DUE STENDARDI DI DIO E DI SATANA), SULLA NECESSITà DEL MILITARE SOTTO LE BANDIERE DI DIO, SULLA PASSIONE, MORTE E RESURREZIONE DI NOSTRO SIGNORE GESù CRISTO.
OGNI GIORNO UNA CONFERENZA APOLOGETICA SULLA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO, SULL'IMMORTALITà DELL'ANIMA, SULLA DIMOSTRAZIONE CHE LA CHIESA CATTOLICA è L'UNICA CHIESA FONDATA DA CRISTO, SULL'ATTUALE SITUAZIONE DELLA CHIESA DOPO IL "VATICANO II".
OGNI GIORNO SANTO ROSARIO, OGNI GIORNO ALTERNATI VISITA AL SANTISSIMO SACRAMENTO E VIA CRUCIS.
IL TUTTO IN UN SILENZIO PROFONDO CHE INVITA A LASCIARE FUORI DALLA PORTA PER QUALCHE GIORNO GLI AFFANNI MONDANI E A RIMANERE SOLI DI FRONTE ALLE PROPRIE MANCANZE, ALLE PROPRIE VILTà E AL PROPRIO DOVERE.
"LA VITA è MILIZIA SULLA TERRA", ANZI "LA VITA SULLA TERRA è UN TURNO DI GUARDIA" COME DICEVA MONSIGNOR LUIGI NICORA, POI VESCOVO DI COMO NEL 1888 ("VITA EST FACTIO"): BISOGNA RISPETTARE LE CONSEGNE ED ESSERE PRONTI A CEDERLE, QUANDO CI VERRANNO RICHIESTE.
QUESTI ESERCIZI SERVONO ANCHE A RICORDARCI QUESTA SAGGIA VISIONE DI ANTROPOLOGIA CATTOLICA.
OVVIAMENTE I SACERDOTI SONO SEMPRE A DISPOSIZIONE DEGLI ESERCITANTI PER DARE BUONI CONSIGLI, PER RACCOGLIERNE DUBBI, TRISTEZZE E GIOIE.
A VERRUA SAVOIA PRESSO L'ISTITUTO "MATER BONI CONSILII" GLI ESERCIZI PER GLI UOMINI SI TERRANNO DALLE 12.00 DEL 23 AGOSTO ALLE 12.00 DEL 28 AGOSTO, PER LE DONNE DAL 16 AL 21 AGOSTO.
GLI ESERCIZI SARANNO DATI DA DON FRANCESCO RICOSSA E DA DON CURZIO NITOGLIA. (PER INFORMAZIONI TEL. 0161-839335)

UN CARO SALUTO

GUELFO NERO

Guelfo Nero
05-08-04, 15:41
Qualcuno dei forumisti o delle gentilissime forumiste viene agli esercizi quest'anno?

Guelfo Nero :) :) :)

Guelfo Nero
14-08-04, 18:03
Ritmo sul giorno della morte di San Pier Damiani

Con funesto terrore mi agiti, estremo giorno della vita.
Il cuore si contrista, s'indeboliscono le reni, tremano, ferite, le viscere
Quando la mente angosciata va raffigurandosi il tuo aspetto.

Giacchè chi potrà descrivere quello spaventoso spettacolo,
quando, misurato sino in fondo il corso della vita umana,
approssimandosi alla fine, lotta per sciogliersi dai vincoli della carne malata?

Il senso vien meno, s'irrigidisce la lingua, si stravolgono gli occhi,
palpita il petta, rauca ansa la gola, si paralizzano gli arti,
il volto impallidisce, dal corpo svanisce ogni grazia.

Ecco, affluiscono ora le fazioni dei diversi spiriti,
da questa parte le potenze angeliche, dall'altra la torma dei demoni,
e più si avvicinano al morente coloro che il suo merito richiama.

Compaiono anche i pensieri, le parole, le aspirazioni, le opere,
e tutto si affolla innanzi agli occhi che non vorrebbero vedere,
Ovunque egli tenda, ovunque egli volga, li vede presenti davanti a sè.

La coscienza tormentosa tortura se stessa per il suo peccato,
e rimpiange che sia trascorso il tempo atto a correggersi:
Piena di dolore, la penitenza tardiva non porta alcun frutto.

Allora in amaro si muta la falsa dolcezza della carne,
quando una pena senza fine succede a una breve voluttà,
e si vede che era nulla ciò che si credeva grande.

Ma lo spirito che viene innalzato nella gloria della somma luce,
disprezza il fango della carne in cui, sommerso, si rivolta,
e lieto se ne scioglie, come dai vincoli di un carcere.

L'anima tuttavia uscita dal corpo, sperimenta un duro viaggio:
contro di lei si avventano le schiere infernali
che appressano, nelle loro sedi, numerose prove.

Qui sono infatti coloro che incitano alla gola, là all'avarizia,
in un luogo i fautori dell'ira, in un altro quelli della superbia,
tutto lo stuolo dei vizi appronta le proprie schiere.

E se appena una torma indietreggia, ecco che un'altra si avanza:
ad ogni arte militare si da ricorso, ad ogni ordigno guerresco,
affinchè l'anima non possa sfuggire, a vergogna dei suoi nemici.

Ah! Quanto crudeli sono i mostri di quei ferali guerrieri!
Tetri, selvaggi e truci, soffiano fiamme dalle nari,
drizzano teste di draghi, e le loro fauci stillano veleno.

Con serpentine spire armano le mani, esperte di battaglie,
e con esse assalgono, come con ferrei strali, quanti sopraggiungono,
assoggettando alla fiamme eterne coloro che trascinano via.

Ti supplico, Cristo, invitto Re, vieni in soccorso al misero
nell'ora della sorte suprema, quando mi recherò dove mi si comanda: che l'empio tiranno non abbia su di me diritto alcuno.

Soccomba il principe delle tenebre, sia vinta la fazione del tartaro:
tu Pastore riconduci in patria la pecora già redenta,
dove possa gioire di te, per vivere nei secoli.

Agape
15-08-04, 14:30
non so bene cosa mi aspetta ma al solito dubito di me... sono quasi di partenza per verrua e saluto tutti i cari amici del forum, con una piccola richiesta, che dedichiate un piccolo pensiero a me durante l vostre èreghiere affinchè sappia cogliere tutto il bene possibile dagli esercizi spirituali che mi appresto a fare, affinchè sappia liberarmi dalle mie nostalgie e abbia cuore e mente sgombre, affinchè sia degna del dono che mi è fatto di vivere questa esperienza...
un caro abbraccio:)

Guelfo Nero
15-08-04, 14:32
Agape, sarà bellissimo, impegnativo e bellissimo.

con affetto

Guelfo nero :)

Bellarmino
15-08-04, 16:29
Originally posted by Agape
non so bene cosa mi aspetta ma al solito dubito di me... sono quasi di partenza per verrua e saluto tutti i cari amici del forum, con una piccola richiesta, che dedichiate un piccolo pensiero a me durante l vostre èreghiere affinchè sappia cogliere tutto il bene possibile dagli esercizi spirituali che mi appresto a fare, affinchè sappia liberarmi dalle mie nostalgie e abbia cuore e mente sgombre, affinchè sia degna del dono che mi è fatto di vivere questa esperienza...
un caro abbraccio:)
Brava Agape, non mancherò di pregare per te, per asceta e gli altri esercitandi.
Che i santi esercizi vi colmino di gioie celesti.
Bellarmino :)

Agape
21-08-04, 17:37
Originally posted by guelfo nero
Agape, sarà bellissimo, impegnativo e bellissimo.

con affetto

Guelfo nero :)

davvero impegnativo, non c'è che dire..
e davvero bellissimo.. tra tutte le faccine non ce n'è una che valga la mia sensazione attuale..
alla mia prima caduta sentirete un gran tonfo ma non credo di essermi mai sentita così tanto bene come ora!!!
Deo gratias!!!

Guelfo Nero
21-08-04, 17:41
;) ;) ;) Evviva Agape! e soprattutto Evviva Cristo Re!

Guelfo nero :)

Agape
21-08-04, 17:48
Originally posted by guelfo nero
;) ;) ;) Evviva Agape! e soprattutto Evviva Cristo Re!

Guelfo nero :)

sbagliato!! Agape ha fatto solo una piccola parte dei suoi doveri nei confronti di Cristo Re!!! togli "evviva agape" e lascia il giusto:

Evviva Cristo Re!!!!!!!

^asceta^
23-08-04, 09:54
cara e dolce Sophia Theresa,
sono così felice di aver vissuto questa esperienza con te!
nelle cadute sapremo come aiutarci l'un l'altra, con la preghiera e la meditazione, confidando nel sicuro ausilio della nostra SS. Madre e Regina B. V. Maria.
Presto sarai mia madrina, spero con tutto il mio umile cuore che Iddio lo voglia per le nostre anime.

Ringrazio Bellarmino per le sue preghiere, ricordandolo sempre nelle mie, raccomandandolo alla dolce mediatrice del Potentissimo suo Figlio, nostro Re.

con umiltà e coraggio
Ancilla Domini


CHRISTUS VINCIT! CHRISTUS REGNAT! CHRISTUS IMPERAT!

Guelfo Nero
23-08-04, 11:52
Iniziano gli esercizi per gli uomini a Verrua. Numerosi partecipanti (la "fortezza" di Verrua è al completo), quasi tutti nuovi.
Auguri a tutti di grazie, buone confessioni, gran fervore che non venga meno: Cristo Re vi aspetta sotto i suoi stendardi.

Guelfo nero :) :) :)

http://sanlorenzo.dataport.it/Classici/Esercizi/elmo.JPEG

Sùrsum corda! (POL)
23-08-04, 12:19
http://web.rossoalice.it/daniele78/Marchio.jpg

Guelfo Nero
12-12-04, 00:52
Metafisica aristotelica
di don Curzio Nitoglia

«Aristotele rifiuta il dualismo esagerato di Platone (mihi carus est Plato sed magis cara veritas), sia dal punto di vista gnoseologico che fisico. Egli corregge la filosofia platonica soprattutto quanto al problema della conoscenza: (idealismo platonico/ realismo moderato aristotelico) e quanto alla filosofia naturale: (separazione del mondo delle idee da quello sensibile, in Platone/ unione di materia e forma, nello Stagirita).


a) Gnoseologicamente:

Lo Stagirita rifiuta la separazione ed esclusione tra idea universale e sensazione o cosa sensibile particolare (realismo della conoscenza).
Il concetto universale, secondo Aristotele, esprime l’essenza della cosa che in essendo è particolare ma in cognoscendo è universale e astratta, es. il concetto universale (uomo) esprime l’essenza (animale razionale) di Antonio che è particolare o individua in Antonio (Antoneitas) ma è universalizzata (Humanitas) dal mio intelletto tramite l’astrazione a partire dal dato sensibile; ma se l’universale (uomo), come dice Platone, è completamente disgiunto dalla cosa sensibile e individuale (Antonio), si sottrae alla cosa sensibile ogni realtà (Antonio è un’ombra, non è reale). Ora l’esperienza mi dice che Antonio, Marco, Giovanni sono enti reali, mentre il concetto universale “uomo” è un ente logico o di ragione (che esiste nel mio intelletto, grazie all’astrazione) ma esso ha un fondamento nella realtà, ossia negli enti concreti sensibili e singolari (Antonio...) dai quali l’intelletto agente ha astratto psicologicamente l’idea di uomo, lasciando da parte le note individuanti dei vari e singoli uomini; per cui l’universale esprime la realtà non identicamente (in quanto il concetto universale è distinto da realtà singolare), ma è una somiglianza di essa che la rappresenta (la rende presente psicologicamente nell’intelletto) e non la deforma.
La metafisica di Aristotele guarda il mondo sensibile, la natura delle cose che è la realtà ossia la res concreta, sensibile, individua, questo uomo qui, ossia l’individuo. Quindi la metafisica di Aristotele è un’analisi della res individua e studia la res sensibilis per renderla intelligibile, ossia non la descrive o l’immagina ma tramite l’astrazione educe un concetto o idea intelligibile dalla cosa sensibile, che esprime l’essenza della cosa (o genere e differenza specifica), es. uomo = animale + razionale. Non esiste l’uomo in genere o astratto ma questo uomo qui, che è sensibile e può essere conosciuto dai sensi (lo vedo, lo tocco) e poi dall’intelletto che se ne forma un’idea universale e astratta dalle note individuanti, ma che lo rappresenta o lo rende presente psicologicamente nella mente, poiché il concetto ha un fondamento nella realtà singolare, dalla quale l’intelletto agente lo ha astratto e universalizzato. L’atteggiamento di Aristotele è realista moderato (studia la realtà e ne penetra l’essenza intelligibile e i principi intrinseci per darne una spiegazione), mentre Platone studia l’idea pura fuori della realtà (atteggiamento idealistico o realismo esagerato).


b) dal punto di vista fisico o cosmologico:

Aristotele concepisce l’uomo come unione di materia (corpo) e forma (anima); l’uomo è una sostanza completa, costituita da due coprincipi sostanziali, che presi separatamente non formano tutto l’uomo ma solo messi assieme. Per Platone l’uomo è l’anima che è prigioniera del corpo il quale è la sua tomba, la loro unione è solo accidentale e non sostanziale come invece lo è per Aristotele.

1°) sostanza e accidenti:
La sostanza è ciò che esiste in sé e non inerisce in un altro soggetto, es. l’albero.
Gli accidenti ineriscono nella sostanza (es., qualità, quantità, azione, passione, relazione, tempo, luogo, sito, abito o vestito).
Ogni realtà è una sostanza perfezionata da alcuni accidenti, es. l’albero è una sostanza, pesante una tonnellata (quantità), linfoso o secco (qualità), cresce o deperisce (azione e passione), è piantato e potato dal contadino e genera un alberello (relazione), esiste ora oppure esisteva cento anni fa o tra dieci anni (tempo), a Roma (luogo), sta diritto (sito) ed è ricoperto di èdera (vestito).

2°) materia e forma:
Quanto alla forma (o essenza) gli uomini sarebbero tutti eguali tra loro, quindi vi sarebbero non tanti uomini, ma l’uomo astratto come voleva Platone. La moltiplicazione (o individuazione) della forma (o specie) è dovuta ad un principio passivo capace di ricevere una perfezione e di limitarla ed individuarla; essa è la materia (forma limitatur et individuatur per materiam). Per cui la forma è principio attivo, determinante e perfezionante, la materia è principio passivo indeterminato e perfezionabile. La dottrina secondo cui la sostanza o corpo naturale è composto di materia e forma è detta ilemorfismo (hyle = materia; morfé = forma).
Ad esempio: la materia di marmo riceve la forma di statua o di sfera. In questo caso si tratta di materia seconda indeterminata solo per rapporto ad una forma accidentale (sferica o di statua); ma bisogna approfondire la ricerca e chiedersi quale è la la forma sostanziale e la materia prima della sostanza marmorea o corpo naturale (materia seconda): la forma sostanziale è quella che dà l’essere primo e fa che il marmo sia marmo (forma sostanziale marmorea), la materia prima è pura potenza senza alcun atto quindi non è ancora nessuna sostanza o corpo fisico, ma può diventare questo o quello o quell’altro a seconda della forma sostanziale che riceve, es. materia prima più forma sostanziale aurea = oro in genere o materia seconda, tale materia seconda ha l’l’esse simpliciter o assoluto, ma le manca la forma accidentale che la fa diventare questo pezzo di marmo (o oro) qui, dandole l’esse tale.

La mutazione sostanziale:
(Passaggio da una vecchia sostanza ad una nuova) non si può spiegare senza il concetto di materia prima che è il soggetto o il ponte che resta sotto le mutazioni delle forme sostanziali, es. il vino che diventa aceto si spiega mediante una materia prima, che è pura capacità o potenza passiva di ricevere qualsiasi forma sostanziale, che fa da soggetto (o ponte) al passaggio (o trasformazione) dalla forma sostanziale di vino a quella di aceto, il vino comincia per evaporare e diventare acidulo (alterazione o mutazione accidentale) e poi man mano perde completamente la forma sostanziale di vino alla quale subentra quella di aceto (corruptio unius, generatio alterius), tutto ciò avviene su un soggetto o ponte (permanente) di passaggio da una forma all’altra, se non vi fosse questo ponte (o soggetto permanente) si avrebbe sostituzione di una forma ad un’altra e non mutazione di forma o trans-“forma”tione.

3°) atto e potenza:
La potenza è l’elemento determinabile, l’atto quello determinante. Ogni divenire è un passaggio dalla potenza in quanto potenza all’atto. L’atto perfetto viene dalla potenza o capacità di ricevere perfezione. Se si rifiuta il concetto di potenza non si può spiegare il divenire, come passaggio o sviluppo, ma o lo si nega (Parmenide) oppure lo si assolutizza come evoluzione continua e creatrice (Eraclito). Per spiegare il divenire A. oltre il concetto di potenza/atto, analogo a quello di materia/forma, introduce quello di privazione come carenza di una perfezione dovuta (es., l’uomo cieco è privo di vista), il legno che sta diventando statua è privo dell’atto perfetto di statua, ne ha soltanto l’atto imperfetto ossia tende alla statua in atto perfetto; ma come? Da sé? No, ecco la necessità di una causa efficiente (o agente) in atto, che faccia passare l’ente in potenza all’atto (ens in potentia non reducitur ad actum nisi per ens actu. Omne quod movetur ab alio movetur), l’agente trasforma il legno in statua lavorandolo ed educendo la forma di statua dalla potenzialità del legno, tuttavia la statua che è materialmente di legno è sempre tendente ad un atto perfetto ulteriore, sia per decomposizione intrinseca, diventa segatura; sia per trasformazione estrinseca: l’artista ne fa una sedia; in ambedue i casi si tratta di mutazioni sostanziali ossia passaggio da una sostanza (statua di legno) ad un’altra (segatura di legno / sedia di legno).
Aristotele, considerando il movimento incessante e perpetuo nel mondo (il sole che sorge e tramonta da migliaia di anni ad Atene, Sparta, Roma, Alessandria, ogni dì puntualmente. Così come la luna, il moto dei fiumi, dei mari, di chi nasce e muore: uomo, animale, fiore), risale ad una Causa prima del moto universale e perpetuo, che fa passare dappertutto, continuamente e perpetuamente la potenza all’atto, esso non può essere un uomo che non è universale e perpetuo (es. Aristotele sta solo ad Atene in un certo momento, ed è nato e morto, ma prima e dopo di lui vi era e vi sarà dappertutto un moto incessante universale e perpetuo, il quale richiede un agente o Causa prima universale e perpetua, Causa incausata e causante, Motore immobile ma movente ogni cosa, non composto di materia o potenzialità (altrimenti sarebbe soggetto a movimento e causazione) che quindi è Atto puro (non misto di nessuna potenza, ma solo e solamente Atto).
Ma il Dio aristotelico non è creatore, né provvidenza (poiché il pensare e prendersi cura delle cose sensibili inquinerebbe la purezza del conoscere puro divino ponendo in Dio una potenzialità di occuparsi delle cose sensibili che verrebbe attuata dalle cose conosciute, perciò Dio deve essere remoto, separato assolutamente dal mondo, chiuso in sé, pensiero di se stesso ossia “pensiero del Pensiero”), infatti per Aristotele la materia Gli è coeterna, non causata da Lui; anche se sottoposta a Lui, restiamo nel concetto di demiurgo ordinatore di Platone, con qualche passo avanti, ma la concezione perfetta di Dio sarà data filosoficamente solo da S. Tommaso d’Aquino.

4°) le quattro cause:
Aristotele ha già parlato di causa materiale (id ex quo aliquid fit, ciò con cui si fa qualcosa, es. il legno con cui si fa la statua) e formale (id quo aliquid fit, ciò che costituisce qualcosa o ciò tramite cui si fa qualcosa, es. la forma di statua “applicata” al legno produce la statua di legno), ha aggiunto la causa efficiente (id a quo aliquid producitur, ciò da cui qualcosa è fatto, es. l’artista che fà la statua educendo la forma di statua dal legno), per spiegare il divenire, e completa la nozione di causalità con il fine (id cujus gratia aliquid fit, ciò in vista di cui si fa qualcosa, es. il guadagno in vista del quale l’artista fa la statua), infatti Dio non muove solo come causa agente o efficiente fisica (che fa passare fisicamente dalla potenza all’atto) ma anche moralmente, come fine che attira - essendo desiderato - a sé.
Inoltre A., negando la creazione dal nulla, esclude anche ogni tipo di causalità efficiente in Dio e Gli attribuisce solo quella finale.



Realismo della conoscenza

Secondo la filosofia realista, che eleva il buon senso a scienza filosofica, esiste una realtà oggettiva indipendente dall’uomo, che ha delle facoltà conoscitive (sensi e intelletto) che non lo ingannano ma colgono il loro oggetto senza deformarlo, anche se non lo conoscono totalmente e perfettamente. Per cui vi è una verità, ossia l’adeguarsi dell’intelletto alla realtà che l’uomo può conoscere anche con certezza (2+2=4). Coloro che criticano la capacità della ragione umana con quale “buona ragione” hanno scoperto che essa è falsa e ingannevole? Mi sembra che essi critichino la ragione umana con la loro stessa ragione, ed allora perché si servono della loro ragione per criticare la fallacia della ragione umana? Forse che la ragione in sé è fallace mentre solo la loro propria ragione è verace?
A differenza dell’idealismo “creazionista”, la filosofia dell’essere sa di conoscere la realtà oggettiva in quanto esiste ed è posta di fronte all’uomo, indipendentemente dall’uomo; mentre l’idealismo delira e sostiene che la realtà esiste perché l’uomo la pensa (quasi l’uomo fosse Dio).
Onde per il buon senso elevato a scienza l’uomo ha la capacità di conoscere la verità, non tutta e non perfettamente, ma con certezza e senza deformarla.
L’errore è possibile per l’intervento della cattiva volontà schiava delle passioni, dei pregiudizi, della fretta, del proprio comodo, della maldicenza, della bocca larga, della lingua lunga e della vanità.
La filosofia di S. Tommaso resterà sempre attuale, perché, nell’odierno disordine e sbandamento intellettuale e morale, conserva quelle verità immutabili senza le quali è impossibile farsi una giusta idea della realtà fenomenica e ultra-fenomenica, essendo una difesa razionale del reale valore dei primi principi del senso comune ( ).
I princìpi del tomismo sorpassano quelli dell’aristotelismo e sono originali, essi sono la filosofia dell’essere nel senso forte del termine, in quanto ultima attualità di tutti gli atti e suprema perfezione di tutte le perfezioni. Perciò solo il tomismo può portare rimedio al disordine intellettuale e morale e alla instabilità dello spirito che caratterizza l’epoca post-moderna.
Lo scetticismo e il relativismo soggettivista assoluto sono il segno di una gravissima malattia dell’intelletto e della volontà, occorre uscire dal soggettivismo in cui ci ha precipitato la contro-filosofia moderna (vera droga dell’intelligenza), se non vogliamo finire nel nichilismo e nell’angoscia esistenzialista che porta alla distruzione dell’individuo (come la droga chimica porta alla decomposizione dell’organismo umano). S. Pio X ha detto che il male del quale soffre il mondo moderno è anzitutto un male intellettuale: l’agnosticismo, quindi il rimedio è di restaurare l’intelligenza ricorrendo al tomismo che ci permette di confutare il dubbio metodico cartesiano e il criticismo kantiano, che sopprimono la relazione dell’intelletto con la reatà extra-mentale ed oggettiva e ci fanno vivere in un mondo di sogni, di incubi o di allucinazioni, proprio come la droga, in cui l’intelletto si ripiega su se stesso e non è più capace di risalire dagli enti all’Essere per essenza, il quale non esisterebbe realmente ma diverrebbe in noi. Così dal kantismo si passa al panteismo fichtiano e all’evoluzinismo assoluto e “creatore” (di castelli in aria) di Hegel. L’uomo non vive più di Dio, suo unico fine, ma di se stesso e si avvia verso la morte, l’angoscia e la disperazione esistenzialista, vera esperienza anticipata dell’inferno.
Il tomismo invece sovviene ai bisogni del mondo odierno, poiché ridà l’amore per la verità senza il quale la vita diventa insopportabile. Esso inoltre sa assimilare, accettando tutto ciò che vi è di positivo e di reale nelle altre dottrine, ma rigetta ciò che esse negano indebitamente (nulla di meno tomista di un’intelligenza ristretta, con i paraocchi, immobile, mummificata ed inacapace di confrontarsi con le altre scuole, affrontandole e sorpassandole, ritenendo quel che vi è di vero, e lasciando ciò che è falso, poiché il male e l’errore assoluto non esistono).
Secondo Marcel De Corte «l’idealismo antirealista, di cui muore l’intelligenza moderna, è senza dubbio il più grande peccato dello spirito.(...) Eritis sicut dii è il motto di queste filosofie sataniche.(...) lo scopo ultimo della filosofia postmoderna non è di costruire l’uomo, ma di dissolverlo» ( ). Inoltre «In questo nostro tempo e strano mondo, dire che il bianco è bianco, e che il nero è nero, è un atto che suscita la disapprovazione, se non l’ira, dei nostri contemporanei, e che pone l’autore al bando della società...impossibile ottenere l’attenzione degli uomini del nostro tempo, se non si volta la schiena al vero, al bello, al buono» ( ).
Secondo Carmelo Ottaviano la filosofia antirealista o idealista presenta tre carenze fondamentali:
1°) manca di originalità:
i filosofi attuali ripetono e divulgano, volgarizzandoli, i filosofi anteriori (Kant, Hegel), spingendoli all’estreme conclusioni.
2°) fanno letteratura più che filosofia teoretica:
asseriscono delle tesi senza sforzarsi di dimostrarle, le descrivono sentimentalmente, il che è patetico, ma non filosofico.
3°) esaltano l’assurdo e il contraddittorio:
poiché sono incapaci di speculare senza cader in contraddizione, allora asseriscono che la verità è contraddittoria e si esimono dal dover ricominciare il ragionamento ove si scorge l’assurdo ( ).
Gabriele Roschini insegna che «L’idealismo da Kant a Gentile, è uno sforzo titanico, continuo, mostruoso e contraddittorio, per instaurare un monismo immanentistico, che assorba l’oggetto nel soggetto, l’infinito nel finito, Dio nell’uomo... Il suo principio fondamentale, l’immanentismo assoluto, è l’identificazione tra soggetto e oggetto, scivolando così verso il vuoto filosofico o nichilismo» ( ).
L’Aristomismo regna al disopra :
a) dell’immobilismo monista di Parmenide e dell’evoluzionismo di Eraclito, grazie alla dottrina della potenza ed atto;
b) del meccanicismo e del dinamismo, grazie all’ilemorfismo (materia e forma), e soprattutto grazie alla nozione di ente come sinolo di essere partecipato (atto ultimo o supremo) e di essenza (atto primo in sé, mentre per rapporto all’essere è potenza);
c) del materialismo e dell’idealismo, grazie alla dottrina dell’anima forma del corpo;
d) al di sopra dell’occasionalismo di Malebranche (che annulla le cause seconde) e del neo-semipelagianesimo mitigato di Suarez e Molina che sottraggono la causa seconda all’influsso (o premozione fisica) della Causa prima;
e) al di sopra del social-comunismo, che assorbe l’individuo nello stato e dell’individualismo liberale, libertario e libertino i quali misconoscono le esigenze del bene comune, oggetto della giustizia sociale. Per il tomismo l’individuo è una parte subordinata della società, ma la società non deve assorbire (e assordire) la persona nello Stato assoluto, impedendole di tendere verso l’Atto puro.


La metafisica tomistica

È soprattutto nella metafisica che risplende il genio originale e costruttivo di S. Tommaso che scavalca Aristotele, lo perfeziona e ove occorre lo corregge; se l’Angelico chiamava Aristotele “il Filosofo” (per antonomasia) penso che Aristotele e S. Tommaso possano e debbano essere chiamati “i due Filosofi” (per antonomasia).
Infatti la metafisica dello Stagirita è studio della sostanza, essenza, forma; quella dell’Angelico è filosofia dell’essere, inteso come atto ultimo o supremo, che attua e perfeziona l’essenza la quale è solo capacità di essere (id quod potest esse), l’essere è l’atto ultimo (actus essendi) grazie al quale le essenze (atto primo) vengono all’essere, escono dal nulla e dalla loro causa; perciò l’l’actus essendi è l’essere che realizza l’essenza (atto primo, in potenza rispetto all’essere o atto ultimo) e la rende reale (essenza che ha l’essere ed esiste di fatto) distinto dal nulla o non-essere. L’essere è il principio e fondamento del reale, l’esistenza è il risultato dell’essere attuante un’essenza, l’esistenza è una presenza reale o fatto di esistere che deriva dall’atto di essere all’essenza e la rende realmente esistente o presente o fatto di esistere. L’essere è più nobile dell’esistenza (suo risultato) e dell’essenza che è potenza riguardo all’essere (atto ultimo). Per cui Tommaso aggiunge alla nozione analogica dello Stagirita (forma/materia; atto/potenza) quella di essenza/essere = ente costituito dal suo essere partecipato-creato e dalla sua essenza che sono due principi realmente distinti.
La metafisica tomistica supera quella aristotelica come l’essere supera e attua la sostanza o essenza. Oltre l’essere vi è il nulla quindi niente e nessuno potrà sorpassare l’intuizione metafisica di Tommaso come filosofia dell’essere (atto ultimo di tutti gli atti, ultima perfezione di tutte le perfezioni, ultima forma di tutte le forme), oltre il tomismo c’è il nichilismo ossia il nulla. Ex nihilo nihil fit. Nel mare del nulla tutto naufraga ed affonda. »

Guelfo Nero
06-03-05, 01:50
Dichiarazione contro gli incontri "pancristiani" (voluti in seguito da Giovanni Paolo II)

Padre Garrigou Lagrange O.P. Teologo

« [...] Esiste, infatti, una falsa carità, fatta d'indulgenza colpevole, di debolezza, come la dolcezza riprovevole di quelli che non urtano alcuno perché hanno paura di tutti. V'è anche una pretesa carità, fatta di sentimentalismo umanitario che cerca di farsi approvare da quella vera, e che spesso contamina con il suo contatto.

Uno dei principali conflitti dell'ora presente è quello che sorge tra la vera e la falsa carità. Questa fa pensare ai falsi cristi di cui parla il Vangelo; essi sono assai più pericolosi quando si occultano che quando si levano la maschera e si fanno conoscere per veri nemici della Chiesa. Optimi corruptio pessima, la peggiore corruzione è quella che intacca in noi ciò che v'è di migliore, la più elevata delle virtù teologiche. Il bene apparente che attira il peccatore è difatti tento più pericoloso quanto più è elevato il bene di cui è un simulacro. Tale è l'ideale dei pancristiani i quali cercano l'unione delle chiese a detrimento della fede che una tale unione suppone.

Se dunque per stoltezza o per viltà più o meno cosciente, quelli che dovrebbero rappresentare la vera carità approvano qua e là quello che contiene la falsa, ne può risultare un male incalcolabile, più grande talvolta di quello che farebbero dei persecutori dichiarati, coi quali è manifesto che non possiamo più avere niente in comune. [...] ».

un caro saluto a tutti

da

Guelfo Nero :)

Sùrsum corda! (POL)
06-03-05, 17:00
Originally posted by guelfo nero
Dichiarazione contro gli incontri "pancristiani" (voluti in seguito da Giovanni Paolo II)

Padre Garrigou Lagrange O.P. Teologo

« [...] Esiste, infatti, una falsa carità, fatta d'indulgenza colpevole, di debolezza, come la dolcezza riprovevole di quelli che non urtano alcuno perché hanno paura di tutti. V'è anche una pretesa carità, fatta di sentimentalismo umanitario che cerca di farsi approvare da quella vera, e che spesso contamina con il suo contatto.

Uno dei principali conflitti dell'ora presente è quello che sorge tra la vera e la falsa carità. Questa fa pensare ai falsi cristi di cui parla il Vangelo; essi sono assai più pericolosi quando si occultano che quando si levano la maschera e si fanno conoscere per veri nemici della Chiesa. Optimi corruptio pessima, la peggiore corruzione è quella che intacca in noi ciò che v'è di migliore, la più elevata delle virtù teologiche. Il bene apparente che attira il peccatore è difatti tento più pericoloso quanto più è elevato il bene di cui è un simulacro. Tale è l'ideale dei pancristiani i quali cercano l'unione delle chiese a detrimento della fede che una tale unione suppone.

Se dunque per stoltezza o per viltà più o meno cosciente, quelli che dovrebbero rappresentare la vera carità approvano qua e là quello che contiene la falsa, ne può risultare un male incalcolabile, più grande talvolta di quello che farebbero dei persecutori dichiarati, coi quali è manifesto che non possiamo più avere niente in comune. [...] ».

un caro saluto a tutti

da

Guelfo Nero :)

http://www.webalice.it/daniele78/immagine.jpg

Stemma episcopale di S.E.Mons. G e e r t S t u y v e r

Guelfo Nero
06-03-05, 17:01
Evviva l'Eccellenza Stuyver! Evviva i vescovi cattolici!

Guelfo Nero :) :) :) :) :)

Guelfo Nero
21-08-05, 17:06
Originally posted by guelfo nero
Ritmo sul giorno della morte di San Pier Damiani

Con funesto terrore mi agiti, estremo giorno della vita.
Il cuore si contrista, s'indeboliscono le reni, tremano, ferite, le viscere
Quando la mente angosciata va raffigurandosi il tuo aspetto.

Giacchè chi potrà descrivere quello spaventoso spettacolo,
quando, misurato sino in fondo il corso della vita umana,
approssimandosi alla fine, lotta per sciogliersi dai vincoli della carne malata?

Il senso vien meno, s'irrigidisce la lingua, si stravolgono gli occhi,
palpita il petta, rauca ansa la gola, si paralizzano gli arti,
il volto impallidisce, dal corpo svanisce ogni grazia.

Ecco, affluiscono ora le fazioni dei diversi spiriti,
da questa parte le potenze angeliche, dall'altra la torma dei demoni,
e più si avvicinano al morente coloro che il suo merito richiama.

Compaiono anche i pensieri, le parole, le aspirazioni, le opere,
e tutto si affolla innanzi agli occhi che non vorrebbero vedere,
Ovunque egli tenda, ovunque egli volga, li vede presenti davanti a sè.

La coscienza tormentosa tortura se stessa per il suo peccato,
e rimpiange che sia trascorso il tempo atto a correggersi:
Piena di dolore, la penitenza tardiva non porta alcun frutto.

Allora in amaro si muta la falsa dolcezza della carne,
quando una pena senza fine succede a una breve voluttà,
e si vede che era nulla ciò che si credeva grande.

Ma lo spirito che viene innalzato nella gloria della somma luce,
disprezza il fango della carne in cui, sommerso, si rivolta,
e lieto se ne scioglie, come dai vincoli di un carcere.

L'anima tuttavia uscita dal corpo, sperimenta un duro viaggio:
contro di lei si avventano le schiere infernali
che appressano, nelle loro sedi, numerose prove.

Qui sono infatti coloro che incitano alla gola, là all'avarizia,
in un luogo i fautori dell'ira, in un altro quelli della superbia,
tutto lo stuolo dei vizi appronta le proprie schiere.

E se appena una torma indietreggia, ecco che un'altra si avanza:
ad ogni arte militare si da ricorso, ad ogni ordigno guerresco,
affinchè l'anima non possa sfuggire, a vergogna dei suoi nemici.

Ah! Quanto crudeli sono i mostri di quei ferali guerrieri!
Tetri, selvaggi e truci, soffiano fiamme dalle nari,
drizzano teste di draghi, e le loro fauci stillano veleno.

Con serpentine spire armano le mani, esperte di battaglie,
e con esse assalgono, come con ferrei strali, quanti sopraggiungono,
assoggettando alla fiamme eterne coloro che trascinano via.

Ti supplico, Cristo, invitto Re, vieni in soccorso al misero
nell'ora della sorte suprema, quando mi recherò dove mi si comanda: che l'empio tiranno non abbia su di me diritto alcuno.

Soccomba il principe delle tenebre, sia vinta la fazione del tartaro:
tu Pastore riconduci in patria la pecora già redenta,
dove possa gioire di te, per vivere nei secoli.

Il turno delle dame comincia domani, quello degli uomini lunedì prossimo: auguri a tutti!

Guelfo Nero :) :) :)

Guelfo Nero
21-08-05, 17:12
Originally posted by guelfo nero
Monsignor Giuseppe Ballerini - conosciuto per alcune opere contro il socialismo ed in difesa del Dogma Eucaristico, pubblicò nel 1904 "Il principio di causalita e l'esistenza di Dio di fronte alla scienza moderna".

Padre J.J. Berthier, O.P. - neoscolastico svizzero, professore della Università Cattolica di Friburgo. Tabulae systematicae et synopticae totius Summae Theologicae justa ipsammet Doctoris Angelici methodum strctius et clarius exactae (Friburgo, 1893), Tabulae systematicae et synopticae totius Summae contra Gentiles (Paris, 1900), L'étude de la Somme Théologique de saint Thomas d'Aquin (Paris, 2. ed., 1906).

Monsignor Andrea Cappellazzi - neotomista italiano dell'inizio del Novecento. Autore de:
Gli elementi del pensiero: Studio di psicologia e ideologia secondo la dottrina di S. Tommaso d'Aquino (Crema, 1888), Le moderne libertà esaminate secondo i principii della filosofia scolastica (Crema, 1890), L'Ultima Critica di Ausonio Franchi compendiata (Crema, 1891), La dottrina di S. Tommaso sulla conoscenza che Dio ha delle cose (Parma, 1893), Il principio etico e il principio giuridico considerati nel concetto scienziale e nella manifestazione storica (Lodi, 1894), San Tommaso e la schiavitù (Crema, 1900), La persona nella dottrina di San Tommaso d'Aquino e l'odierno movimento intellettuale (Siena, 1900), Filosofia sociale: Quale sede occupa la sociologia nella gerarchia scientifica (Siena, 1902), La dottrina di San Tommaso nella sociologia moderna (Bitonto, 1902), Le questioni moderne (Siena, 1903), Sociologia civile (Siena, 1903), La superiorità e l'immanenza del Sacerdozio cattolico (Siena, 1903), Qui est: Studio comparativo tra la 2. questione della Somma Teologica di San Tommaso e le conclusioni di sistemi filosifici (Crema, 1903).

Padre Giovanni Maria Cornoldi s.j. (1822-1892) Autore della celeberrima opera "Institutiones Philosophitae Speculativae" e di "La Filosofia Scolastica di San Tommaso e di Dante". Sctrittore della "Civiltà cattolica", definì con molta lungimiranza la filosofia moderna da Cartesio in poi "patologia della ragione umana".
Altre opera: I sistemi meccanico e dinamico circa la costituzione della sostanza corporea rispetto alle scienze fisiche (Verona, 1864), Thesaurus philosophorum (Brixen, 1871), Die antikatholische Philosophie und die gegenwärtige Uebel der Gesellschaft. Aus dem Italien (Brixen, 1871), Lezioni di filosofia, ordinate allo studio delle altre scienze (Firenze, 1872 - con traduzioni in castigliano, inglese e francese), Viribus unitis. Prolusione al periodico "La scienza italiana." (Bologna, 1876), La Sintesi chimica secondo i principii filosofici di S. Tommaso d'Aquino (Bologna, 1876), Francisci Suarezii doctoris eximii: De corporum natura Tractatus (Bolonia, 1877), Prolegomeni sopra la filosofia italiana o Trattato della esistenza di Dio (Bologna, 1877), Della pluralità delle forme secondo i principii filosofici di San Tommaso d'Aquino (Bologna, 1877), La conciliazione della fede cattolica con la vera scienza; ossia Accademia filosofico-medica di S. Tommaso d'Aquino (Bologna, 1877; 2. ed. con appendice, 1878; al castellano por J. F. Montaña; Madrid, 1878), Institutiones philosophiae speculativae ad mentem S. Thomae Aquinatis, auctore J. M. Cornoldi S. J. in latinum versae ab Exemo. et Revmo. Dominico Agostini Venetiarum Patriarcha et ab auctore recognitae et auctae (Bononiae, 1878), Nozione elementare dell'Ontologismo (Bologna, 1878), Il Panteismo ontologico e le nozioni di Ontologia del M. R. G. Buroni (Bologna, 1878), La storia del conflitto tra la religione e la scienza di G. Draper, prof. nell-Univ. di Nuova York (Bologna, 1879; en castellano, 1879), La riforma della filosofia promossa dall-Enciclica AEterni Patris di S. S. Leon Papa XIII (Bologna,1879), Il sette Marzo 1880, ossia i filosofi ai piedi di Leone XIII, ristoratore della filosofia (Bologna, 1880), La filosofia scolastica speculativa di San Tommaso d'Aquino (Bologna, 1881), Dei principii fisico-razionali secondo S. Tommaso d'Aquino. Commentario dell'Opusculo "De principiis naturae." (Bologna, 1881), Il Rosminianismo sintesi dell-Ontologismo e del Panteismo (Rome,1881-83), Antitesi della dottrina di S. Tommaso con quella del Rosmini (Prato, 1882), Dell'unione dell'anima umana col corpo (Roma, 1882), Del senso comune e del senso fondamentale del Rosmini (Roma, 1882), La lotta del pensiero (Roma, 1882), L'intelletto agente (Roma, 1883), Della libertà umana. Dissertazione. (Roma, 1883), La cognizione umana dei futuri (Roma, 1885), La filosofia di S. Tommaso e l'epoca presente (Prato, 1886), Esordio del concetto di Dio (Roma, 1887), La Creazione (Roma, 1888), La Divina Commedia di Dante Alighieri, col commento di G. M. Cornoldi (Roma, 1888), La filosofia scolastica di San Tommaso e di Dante (Bologna, 1889), Esame critico del traducianismo (Roma, 1889), La visione dell'essenza divina (Roma, 1889), Quale secondo S. Tommaso sia la concordia della mozione divina colla libertà umana (3. ed., Roma, 1890), Sistema fisico di San Tommaso (Roma, 1891; traducción al inglés de E. H. Dering, 1893), Partenio. La creazione e la inmacolata. Conversazioni scolastiche (Roma, 1891).


Padre Reginald Garrigou Lagrange O.P. (1877-1964) "IL MARTELLO DEL NEO-MODERNISMO", la sua bibliografia conta più di 770 titoli, tra saggi, articoli e scritti minori. Morì prima di vedere trionfare (TEMPORANEAMENTE) quelle idee e quelle posizioni erronee ed ereticali contro cui aveva combattuto tutta la vita.


Padre Matteo Liberatore s.j. (1810-1892) - critico, tra gli altri, dell'erronea filosofia rosminiana. Autore di Dialoghi filosofici (Napoli, 1840; 2. ed., 1851), Institutiones logicae et metaphysicae (Napoli, 1840-42; Mediolani, 1846), Theses ex metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus Pirenzio in collegio neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto Idus Septembris anno MDCCCXLII (Neapoli, 1842), Dialogo sopra l'origine delle idee (Napoli, 1843), Il Panteismo transcendentale, dialogo (Napoli, 1844), Il Progresso. Dialogo filosofico di M. Liberatore (2. ed., Genova, 1846), Ethicae et juris naturae elementa. (Neapoli, 1846; Romae, 1857; Ital., Roma, 1863), Elementi di filosofia (Napoli, 1848; 2. ed., 1850; Livorno, 1852), Institutiones philosophicae (Neapoli, 1851; 5. ed., Romae, 1872), Della conoscenza intellettuale (Napoli, 1855; Roma, 1857; al alemán por E. Franz, Mainz, 1861; al francés por E. Sudre, Tournai, 1863), Compendium logicae et metaphysicae (Romae, 1858), Sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi (Roma, 1861), Risposta ad una lettera anonima sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi (Roma, 1861), Dell'uomo (2 vols., Roma, 1862; al castellano, Barcelona, 1882; al francés Paris, 1885), La Filosofia della Divina Commedia di Dante Alighieri. (In Omaggio a Dante Aligh. dei Cattolici ital.) (Roma, 1865), Della composizione sostanziale dei corpi (Napoli, 1878), L'autocrazia dell'ente: Commedia in tre atti (Napoli, 1880),Degli universali. Confutazione della filosofia Rosminiana difesa da Mons. Ferre (Roma, 1883-4; en castellano por F. de P. Ribas y Servet, Barcelona, 1888; en inglés por E. H. Dering, London,1889), Principes d'Économie Politique (1894).

Padre Pio de Mandato, S.I. - neotomista italiano Autore di: Institutiones philosophicae ad normam doctrinae Aristotelis et S. Thomae (Romae, 1894), Le specie organiche secondo la dottrina di San Tommaso e la moderna teoria degli evoluzionisti (Roma, 1895), Dissertazioni filosofiche. Esistenza di Dio, Teosofismo moderno, Evoluzionismo, Cause e rimedi di materialismo, Importanza della religione (Roma, 1907)

Padre Michele de Maria, S.I. -"Philosophia Peripatetica - Scholastica" (3 vol., Roma, 1892). Come Padre Cornoldi fu critico spietato e rigoroso del pensiero moderno. Fu autore anche di:
Opuscula philosophica et theologica Sti. Thomae Aq. Editio accurate recognita et nonnullis quaestionibus ac scholiis aucta. (Città di Castello, 1886), Compendium logicae et metaphysicae (Romae, 1897; ed. 2., 1900). Membro della Pontificia Accademia Romana di San Tommaso d'Aquino

Padre Guido Mattiussi, S.I. - (1852-1925). Professore della Gregoriana. Lavorò all'elaborazione delle 24 Tesi Tomiste del 1917. Autore de Les Points Fondamentaux de la Philosophie Thomiste: Etude sur les 24 thèses thomistes (Turin: 1926) e de "Il veleno kantiano".
Alfiere della crociata antimodernistica negli anni '10, critico veemente e ferreo del modernismo politico-sociale

Padre Thomas M. Pègues, O.P. - (1868-1936). Nemico mortale del modernismo di cui denuncià apertamente, dimostrandoli, gli errori dogmatici
Opere: Commentaire Française Littéral de la Somme Théologique de St. Thomas d'Aquin (21 vols., Toulouse, 1907-1932), un Dictionnaire de la Somme Théologique de St. Thomas d'Aquin (2 vold., 1935), Initiation Thomiste, rieditò con Caslas Paban l'opera dide Juan Capréolo "Defensiones Theologicae divi Thomae Aquinatis" (7 vols. 1900-1908).

S.E.R. Tommaso Zigliara o.p. Collaboratore della Scienza Italiana. Autore del Saggio sui Principii del Tradizionalismo (1865); Osservazione sopra Alcune Interpretazioni della Dottrina Ideologica di S. Tommaso d'Aquino, dal Professore G. C. Ubaghs (Viterbo, 1870); Della Luce Intellettuale e dell'Ontologismo, secondo le Dottrine dei ss. Agostino, Bonaventura e Tomaso (Roma, 2 vols.1871); Summa Philosophica in usum Scholarum (3 vols., 1876); De Mente Concilii Viennensis in Definitione Unionis Animae cum Corpore (1878), Theses philosophicae (1881-83). La sua "Summa Philosophica" fu testo obbligatorio in tutti i seminari. La sua opera "Della Luce Intellettuale" fu la confutazione serrata e definitiva del tradizionalismo filosofico francese e dell'Ontologismo, due esiziali errori filosofici.

Per non dimenticare i grandi del passato... ;)

Guelfo Nero
09-08-06, 14:04
CARI AMICI,

ACCANTO AGLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO PROPRIAMENTE DETTI, SANT'IGNAZIO DI LOYOLA DETTò ANCHE LE REGOLE "PER SENTIRE NELLA CHIESA" CIò PER PER AVERE ATTEGGIAMENTO, POSIZIONE, FORMA MENTIS CATTOLICA SEMPRE ADERENTI AL MAGISTERO E AGLI ORDINI DELLA CHIESA CATTOLICA.
IN QUESTI ANNI DEL "POST-CONCILIO" IN CUI PERSINO IL CONCETTO DI AUTORITà NELLA CHIESA SEMBRA ESSERSI ECLISSATO, RICHIAMARE QUESTE REGOLE è DOVEROSO.
SI TRATTA POI DI UNA BUONA INTRODUZIONE ALLO SPIRITO DEGLI ESERCIZI IGNAZIANI DI VERRUA SAVOIA CUI QUESTO THREAD è STATO DEDICATO.
NON SI POTRà NON NOTARE QUANTO SIA LONTANO IL CONCETTO CHE DELLA CHIESA HANNO I NEO-MODERNISTI, DALLO SCHIETTO SENTIRE CATTOLICO DI SANT'IGNAZIO E DI PADRE MESCHLER.

UN CARO SALUTO A TUTTI

GUELFO NERO

Commento alle "Regole per sentire nella Chiesa" degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola
di Padre Maurizio Meschler S.J.

PARTE PRIMA

Principii fondamentali riguardanti la fede - I


1. Rispetto alla fede S. Ignazio scrive: «Messo da parte ogni proprio giudizio dobbiamo tenere l'animo preparato e pronto ad obbedire in tutte le cose alla vera sposa di Cristo Signore nostro, che è la nostra santa Madre, la Chiesa gerarchica» (Reg. 1). E più innanzi: «Per raggiungere in ogni cosa la verità, dobbiamo tenere sempre fermo, che il bianco che vedo, io creda essere nero, se così lo definisca la Chiesa gerarchica: credendo che tra lo sposo, Cristo signore nostro e la Chiesa sposa sua vi sia il medesimo spirito che ci governa e regge nelle cose che spettano alla salute dell'anima nostra; perocché quel medesimo spirito e quel medesimo Signore che diede i dieci comandamenti regge e governa la santa nostra Madre Chiesa» (Reg. 13).
Con queste parole anzitutto viene rimosso e condannato il principio fondamentale del protestantesimo e del razionalismo e di ogni altra setta contraria alla fede, che cioè l'opinione privata ed il sentimento privato ovvero la propria ragione siano l'unica norma valevole nelle cose della fede; per lo contrario viene riconosciuto ed affermato il principio fondamentale del cattolicismo, che in tutto ciò che riguarda la fede decide la sola autorità della Chiesa. In verità noi non crediamo immediatamente alla Chiesa, ma a Dio. Non possiamo credere, se non quel che Dio ha rivelato e perché Dio lo ha rivelato. Il motivo della nostra fede altro non è che Dio: cioè l'autorità, l'onniscienza, la veracità di un Dio rivelante. Or quel che Dio ha rivelato non sappiamo altrimenti con certezza, se non per mezzo della Chiesa. Essa attinge il contenuto della rivelazione dalla S. Scrittura e dalla Tradizione, che sono le fonti della nostra fede; ma la regola unica immediata della fede è per noi la Chiesa in virtù del suo magistero infallibile. Or questo appunto ci distingue da tutte le sètte, le quali in conseguenza del loro sistema, se Dio pietosamente non intervenga col lume e con la forza della sua grazia, non sono neppur capaci di fare rettamente un atto di fede: prima perché non possiedono l'intero deposito della fede; poi perché non accettano il fondamento storico della fede; in fine perché il motivo della loro fede non è l'autorità di Dio, ma il loro proprio modo di vedere.
Ma come credere che il bianco ch'io vedo, si nero, se la Chiesa così definisce? Non è questo un opprimere l'intelletto umano? Non è una pretensione insopportabile della Chiesa, una scandalosa esagerazione dei suoi diritti?
Dalle stesse parole di S. Ignazio si deduce che la nostra sommessione alla Chiesa in cose di fede deve avere un suo termine proprio, perché del tutto cieca non può mai essere, particolarmente rispetto ai motivi di credibilità. Noi sappiamo assai bene, per qual ragione diamo alla Chiesa la nostra adesione, quand'essa ci propone a credere alcuna cosa come rivelata da Dio, se pure la nostra fede è retta ed illuminata. È officio proprio della Chiesa di trasmetterci ed annunciarci infallibilmente non solo quel che Dio ha rivelato, ma anche il modo come la verità rivelata dev'essere da noi intesa. Nella Chiesa ci soggettiamo a Dio, anche quando non si giunge a vedere, se la verità rivelata proposta è in se stessa così ovvero altrimenti. E però l'oscurità non riguarda i motivi fondamentali della fede, ma solo la naturale evidenza dell'oggetto rivelato. Or questo è proprio, anzi sostanziale di ogni atto di fede. Non crediamo, perché vediamo e sappiamo, ma perché Dio lo dice e ci dà guarentigia della verità del suo detto. L'atto cieco dell'accogliere tocca adunque l'evidenza della cosa rivelata, non il fatto della rivelazione, né l'autorità della Chiesa che ci presenta con certezza la cosa rivelata.

Inoltre le parole alquanto singolari del Santo sono solamente un modo di dire, quasi a maniera di esempio e di similitudine. Null'altro intendono di fatto, se non di insistere sulla prontezza nostra nelle cose di fede; null'altro in sostanza significano, se non che dobbiamo avere animo grande verso Dio e verso la Chiesa, facendo della nostra sommessione incondizionata il nostro punto di onore. La Chiesa sa molto bene a che si estendano i suoi diritti rispetto le cose della fede, né quei diritti adopera a caso, ma con riguardo e prudenza: per lo meno finora non ci ha mai imposto cosa alcuna fuor di ragione. Se dunque ci comanda di credere questo o quello, essa è nel suo diritto, e noi nulla possiamo fare di meglio, che ubbidirle.

Del resto nelle parole di S. Ignazio, per quanto a prima vista possano apparire singolari, si nasconde una verità profonda. Il Signore ha concesso l'infallibilità alla Chiesa soltanto, non all'occhio mio, non al mio intelletto, non all'intelletto di qualsivoglia altro mio pari al mondo. Come dunque ardiremo affermare contro Dio e contro la Chiesa, che quanto a noi sembra retto, sia poi retto veramente? Quanti al mondo patiscono d'occhi e non distinguono l'un colore dall'altro! Che possono far di meglio costoro, se non credere a quel che dicono gli altri, sebbene essi veggano il contrario? Similmente avviene dell'intelletto. Quante volte gli occhi dell'intelletto ci hanno ingannato! È verità irrepugnabile, che il motivo, onde noi aderiamo alla verità rivelata, cioè la veracità di Dio e l'impossibilità di un inganno da parte sua, è molto più sodo e sicuro che non qualsivoglia altra cognizione o persuasione naturale; esso ci offre una sicurezza di tal natura, quale non ci può essere data da nessun'altra dimostrazione degli scienziati. Ben pesato ogni cosa, le parole del Santo rimangono nel loro valore e nella loro verità.
Però queste parole non solo richiedono la più ampia prontezza di volontà rispetto alla fede, ma suggeriscono inoltre i migliori e più appropriati motivi a tal fine. S. Ignazio chiama la Chiesa la sposa di Cristo. Ed essa tale di fatto, e fin che rimane sposa di Cristo e non é da lui ripudiata, non può errare in cose di fede. Ora Cristo non è sposo infedele, ed il primo indispensabile vincolo che lo unisce alla Chiesa, che anzi è il fondamento di tutti gli altri, è la fede vera ed immutabile. Senza ciò la Chiesa non potrebbe essere sposa di Cristo.
Più ancora. Quel medesimo Spirito, Spirito di verità che procede dal Padre e dal Figliuolo (1), che vive ed inabita nel vero e reale corpo di Cristo, vive pure ed inabita nel corpo mistico di lui, la Chiesa. Le fu dato da Cristo e rimane in lei e le insegna ogni verità (2). Questo Spirito adunque, che al medesimo tempo è in Cristo e nella Chiesa, non può contraddirsi, né essere nell'uno verità, nell'altra errore. Ciò che la Chiesa insegna, insegna lo Spirito Santo e chi resiste alla Chiesa, resiste allo Spirito Santo; come fu detto degli Ebrei: Voi resistete sempre allo Spirito Santo (3).
Inoltre la Chiesa è madre nostra, madre buona, fedele e santa, la quale vuole seriamente il bene dei suoi figliuoli.
Come può dunque sottrarre ai suoi figliuoli l'unico bene che è la verità ed offrir loro, non la verità santificante della fede, ma il pane della bugia? La madre pel suo figliuolo fa le veci del catechista, del parroco, quasi dissi del Papa; ed il bambino le si affida senza riserva e la segue, perché è persuaso, ch'essa è premurosa per lui, che vuole unicamente il suo bene, e che quanto fa, fa per ordine e disposizione di Dio. Come dunque il Signore, verità e bontà eterna, può permettere, che il fedele sia ingannato nella sua fiducia e dalla sua stessa madre sia spinto all'errore e perda il bene di quella fede che sola può salvare?
Finalmente la Chiesa nostra è la Chiesa gerarchica, come S. Ignazio si esprime, e questo è un nuovo motivo che ci i spinge alla sommessione verso lei ed alla prontezza di volontà nelle cose della fede. La nostra Chiesa non è, come le sètte, un composto d'individui pari nel diritto, senza consecrazione, senza missione; non è una mostra permanente di mode religiose sempre cangianti e di novità sempre diverse: non è una babele in confusione e rovina, dove l'uno non intende più l'altro. La nostra Chiesa è un organismo mirabile, potente e vario insieme, di poteri istituiti da Dio; la sua origine va fino a Cristo, e le sue doti divine dell'unità, dell'infallibilità, dell'immutabilità, della perennità empiono di riverenza ogni spirito serio e riflessivo e lo determinano alla sommessione della fede. Tutto questo è racchiuso in quelle parole tanto semplici e tanto dolci di S. Ignazio che la nostra Chiesa è la Chiesa gerarchica.
Ora il primo e più importante dovere del cattolicismo è credere. La fede è la prima cosa che Iddio domanda dall'uomo (4), è il primo passo dell'uomo verso Dio, e Dio non permette regresso. La fede è la radice della giustificazione, il principio e la fonte di tutta la vita spirituale, il fondamento indispensabile di ogni virtù, perfino della speranza e della carità (5); dalla fede sgorga tutta la vita soprannaturale (6). Dobbiamo dunque stimare la fede sopra ogni altra cosa.
Nell'esercizio della fede dobbiamo mettere la gioia nostra, perché la fede torna di tanto onore a Dio; perché Dio tanto la raccomanda e la ricompensa; perché essa è il più santo bisogno e il massimo bene dell'anima nostra; perché innalza il nostro intelletto, lo estende e lo introduce in un mondo di verità, delle quali naturalmente non abbiamo sentore alcuno; perché infine corrobora il tesoro delle nostre cognizioni naturali e le conferma con nuova guarentigia e con maggior sicurezza. Dobbiamo dunque credere volentieri e con allegrezza d'animo e non punto ammettere il principio di credere il meno che torni possibile. Non dobbiamo accontentarci di accettare esplicitamente soltanto le verità definite; il così fare andrebbe contro l'insegnamento del Concilio Vaticano (7). Dobbiamo accogliere le verità di fede nel complesso di quelle presupposizioni o conseguenze, che necessariamente vi sono congiunte. E come si pratica in ogni altra virtù, così pure nella fede, e massimamente nella fede, dobbiamo procedere con generosità. E perché no? Forse perché siamo uomini istruiti? Ma la fede del dotto e dell'ignorante non è sostanzialmente diversa. I professori e gli scienziati non hanno particolari privilegi rispetto alla fede. Per lo contrario in forza dei loro studi e della loro maggiore penetrazione in cose di scienza dovrebbero credere più alacremente di ogni altro, e non già sentirsi quasi impacciati da non si sa qual peso, appena la Chiesa in materia di fede fa loro qualche ingiunzione. Perché tanta prudenza, tanta riservatezza, tanti dubbi rispetto alla Chiesa ed a Dio, mentre siamo si facili a prestar fede agli uomini? Si chiede consiglio a profeti, ai quali Dio non ha parlato, e si trasanda la Madre in Israello (8), mentre pure essa sola dev'essere consultata su tutto ciò che appartiene alla fede.
Da professori increduli, da scribacchiatori di romanzi e di articoli da giornale, da avventurieri delle scienze naturali ci lasciamo imporre ogni sorta di enormità e viviamo contenti; ma la Chiesa infallibile bisogna proprio toccarla, palparla, maneggiarla con le dita, e come si fa delle monete, bisogna voltare e rivoltare l'articolo di fede due e tre volte ed esaminarlo col microscopio e metterlo perfino nel crogiuolo, nel dubbio non forse sia moneta falsa. È il giudizio toccato ai Giudei. Essi sprezzavano il vero Messia; ai falsi Messia correvano dietro. E furono tratti in errore e spinti a rovina.

NOTE

1 Giov. XV, 26.
2 Giov. XIV, 16, 17, 26.
3 Att. VII, 51.
4 Hebr. XI, 6.
5 Hebr. XI, 1.
6 Gal. III, 11.
7 Constit. de Fide Cath. «Quoniam vero satis non est, haereticam pravitatem devitare, nisi ii quoque errores diligenter fugiantur, qui ad illam plus minusve accedunt; omnes officii monemus, servandi etiam Constitutiones et Decreta, quibus pravae eiusmodi opiniones, quae isthic diserte non enumerantur, ab hac Sancta Sede proscriptae et prohibitae sunt.» (Denz. Schön. 3045; «Ma poiché non è sufficiente evitare la perversità dell'eresia, se non si pone molta attenzione a fuggire anche quegli errori che le sono più o meno prossimi, ricordiamo a tutti il dovere di osservare anche le costituzioni e i decreti, con i quali la Santa Sede ha prescritto e proibito quelle opinioni perverse, che qui non sono espressamente elencate.»
8 2 Sam. XX, 19.

gn

Guelfo Nero
09-08-06, 14:05
CARI AMICI,

CONTINUA LA TRASCRIZIONE DI QUESTE BELLE PAGINE DI PADRE MESCHLER, PAGINE TUTTE DA GUSTARE.

BUONA LETTURA

GUELFO NERO


PARTE PRIMA

Principii fondamentali riguardanti la fede - II


2. Hanno relazione con la fede eziandio quelle regole, nelle quali S. Ignazio raccomanda in via ordinaria di non parlare senza riflessione e prudenza della predestinazione alla vita eterna e della potenza della fede e della grazia in modo da indurre questo pericolo, che cioè ne soffra la persuasione della realtà e necessità del libero arbitrio e della cooperazione alla grazia e s'indebolisca lo zelo per le opere buone, a Dio gradite (Reg. 14-18). Si tratta evidentemente di avvisi, assai opportuni nei tempi andati contro le dottrine di Lutero, di Calvino e poi di Giansenio. Certo è che la determinazione e la preparazione della volontà alla grazia non sono argomenti da trattarsi innanzi ad ogni sorta di uditori, a cagione del pericolo di dar negli equivoci e di recar danno allo spirito.
Del resto tali questioni hanno oggi perduto in parte la loro viva attualità. I tempi nostri, troppo leggeri di solito, non si rompono il capo per le cose eterne e per la predeterminazione alla salute. Per quel che riguarda l'esagerazione intempestiva in cose di fede, quasi la fede bastasse da sola alla salute, che, com'è noto era uno dei principii fondamentali del vecchio luteranesimo, i protestanti hanno del tutto cambiato posizione. Oggi essi affermano: Poco importa la fede, purché si conduca vita onesta; su per giù quello stesso che in altri tempi si gittava da loro in faccia ai cattolici. Essi non vogliono più professioni di fede: e se oramai è caduta la stupida dottrina che la sola fede basta per la salute, senza le opere, chi la metterà di nuovo in onore?

Ed il medesimo si dica delle dottrine esagerate intorno la grazia stessa. Come la fede non può stare senza le opere, così la grazia non esclude punto la libera cooperazione della volontà umana. La grazia ci è necessaria ad ogni opera buona, appunto perché siam noi messi in grado di determinarvici. Un istrumento cieco e privo di volontà non ha davvero bisogno di grazia alcuna.

Certo è per ultimo che nessuno si salva, se non è predestinato da Dio; ma non è meno certo, che nessuno è predestinato da Dio, senza la sua cooperazione alla salute, in quella misura che gli è possibile.

Con tutto questo S. Ignazio ci vuol mettere innanzi una massima fondamentale per la vita pratica cattolica: ed è che in tutte le circostanze nostre, siano personali o private o pubbliche, non ci restringiamo a gemere, a lamentarci, a fantasticare, aspettando miracoli dal cielo e rimanendoci in tanto con le mani in mano. L'uomo ha attività sua propria. È da confidare in Dio, come se tutto dipendesse da lui; ma insieme è da lavorare così, come se tutto dipendesse da noi soli;. Confidenza in Dio, alacrità, energia e costanza -ecco l'uomo cattolico!

3. S. Ignazio conchiude le sue regole intorno la fede con una osservazione sul modo onde suole la Chiesa insegnare e difendere la fede cattolica (Reg. 11). Due sono i metodi del suo insegnamento: il cosiddetto positivo e lo scolastico. Il primo, il positivo è usato particolarmente dai Padri e dottori ecclesiastici dei primi secoli. Esso non tanto si occupa sistematicamente nel consolidare e difendere la fede, sì piuttosto nell'applicarla alla vita pratica del cristiano, a lode ed onore di Dio e ad edificazione dei fedeli, studiandosi di mettere in rilievo la praticità, la bellezza, l'elevatezza e la consolazione della nostra religione.

Il secondo metodo, lo scolastico, usato più tardi dai dottori e scrittori ecclesiastici, consiste nel precisare e definire il concetto ed il senso dei dogmi, nel dichiararli e nell'accostarli il meglio che torni possibile all'intelligenza umana per mezzo di una illustrazione razionale; come pure nel ridurre i risultati ottenuti ad un sistema logico insieme e compatto. Il nobile fine della scolastica è di accostare insieme i due ordini della natura e della grazia, della fede e della scienza, e di dimostrare come non solo non si contraddicono mai l'un l'altro, ma per contrario si illustrano e si compiono a vicenda, innalzando la dottrina cattolica ad un grandioso, solenne e sistematico concetto della dottrina rivelata. In altri termini, la scolastica vuol far cristiano l'uomo fin dal suo primo fondamento che è la natura. Se vogliamo pensare e giudicare cattolicamente, dobbiamo con la Chiesa approvare ambedue questi metodi e ritenerli per buoni ed acconci al loro intento. Il metodo positivo non incontra così grandi difficoltà, come lo scolastico. Or riguardo a questo secondo metodo dice S. Ignazio, che non si può ammettere, che lo Spirito Santo, il quale sempre assiste alla Chiesa e la regge, le venga mai meno; ma anzi è da tener per fermo che la guidi col suo lume e la provveda di sempre nuovi mezzi a seconda dei bisogni dei tempi ed in aiuto di quel progresso, che le ha promesso (1) . Ed in vero la Chiesa deve in particolare ai dottori scolastici quel grandioso edificio delle verità, che ora ci sta innanzi. Essi hanno a loro disposizione, non solo la S. Scrittura e le opere dei SS. Padri, ma anche le decisioni dei Concilii e del diritto canonico e la ricca esperienza, che la Chiesa andò facendo nel corso dei secoli, particolarmente nella lotta contro le eresie, a fine di definire con sempre maggiore chiarezza e precisione le verità della fede, mostrarne maggiormente la convenienza con la ragione e difenderle con forza maggiore contro gli assalti. E questa è pure la ragione, per la quale specialmente gli eretici ed i nemici della Chiesa hanno sempre manifestato un odio istintivo contro questo metodo d'insegnamento. Innanzi la scolastica non reggono ne le incertezze, ne le esagerazioni, ne i sistemi personali; ne lo sragionare senza costrutto e senza logica; neppure vi regge la sola erudizione. Tutti gli eretici si studiarono di provare le loro opinioni coi soli testi dei Padri e della S. Scrittura, perché così più facilmente stimavano di potersi trarre d'impaccio.
Per tale motivo Leone XIII dichiarò S. Tommaso patrono della filosofia ecclesiastica e della teologia, sanzionando con questo il metodo scolastico. E già prima di Leone, era stata condannata la sentenza, che il metodo ed i principii degli scolastici non fossero più appropriati ai bisogni dei tempi ed al progresso della scienza (2) . Eppure nessun altro metodo quanto lo scolastico risponde ai bisogni dell'uomo, dimostrando la fede come naturalmente possibile e conforme alla ragione ed alla scienza ed offrendo ad ognuno il mezzo di formarsi col proprio ragionamento un tal concetto del mondo, che sia fondato ad un tempo e sulla natura e sulla fede. Come il metodo scolastico risponda allo spirito umano ed entri spontaneo nella sua natura, ne è prova che il mondo vi ritorna sempre. Già due volte questo ritorno alla scolastica ha fatto indietreggiare il mondo scientifico dai suoi errori, nel secolo XVI ed ai nostri giorni. Non giova punto il gridare che la scolastica è un'eredità del monachismo del medio evo. Anche essa non ha dubbio, come tutte le cose quaggiù, ebbe i suoi giorni oscuri ed uscì fuori di strada. Ma questa è cosa secondaria. Si tratta soltanto del sistema e del metodo. Un metodo che si fa innanzi con principii solidi ed accertati, con disciplina di studio già da lungo provata, col debito conto di ciò che è antico e tradizionale, che tutti i rami della scienza mantiene subordinati fra loro e subordinati alla prima verità, è da considerare come un beneficio speciale del cielo in un tempo, quando sono in voga i metodi d'insegnamento più corruttori e si rigettano tutti i principii direttivi fondamentali, quando si sta paghi della semplice affermazione del fatto, senza vagliarlo e provarlo alla stregua della filosofia, quando senza alcun principio direttivo e di proprio capriccio si determina in antecedenza la conclusione, si proclama la libertà assoluta della coscienza, l'autonomia della ragione, la piena libertà delle dottrine da insegnare e da imparare e si lascia aperto il campo a tutti i seminatori del dubbio. Di fronte a questa triste condizione di cose non vi ha altro di meglio, se non affidarsi all'antico e provato metodo d'insegnamento ed adoperarsi in ogni miglior modo, perché esso sia conservato e rimesso in onore.
Così, secondo S. Ignazio, deve pensare e giudicare il cattolico in cose di fede. Come si vede, il Santo abbraccia la questione in modo fermo, profondo e pratico. Egli considera il cristianesimo nella Chiesa cattolica e la Chiesa cattolica nel Papa. Egli chiama la Chiesa col suo termine prediletto la Chiesa gerarchica, cioè la Chiesa organata da Dio, che si svolge con potenza divina e che monta su fino alla vetta sua propria. Questa vetta è il capo della Chiesa il Pontefice romano. Dobbiamo a lui quella stessa prontezza ed alacrità di volere in cose di fede, onde siamo obbligati verso la Chiesa. Con questo S. Ignazio condanna tutto ciò che è setta ed ogni soggettivismo. La nostra condotta rispetto alla fede è esattamente la condotta nostra rispetto al Papa. L'attaccamento pieno ed intero al Papa in cose di fede è la pietra di paragone della sincerità della nostra fede e del nostro sentire cristiano. I molti bei discorsi intorno al cristianesimo e alla Chiesa, perfino le più splendide dissertazioni intorno a Nostro Signore Gesù Cristo a nulla approdano. Tutto si riduce al Papa. Il Papa è il governo visibile della Chiesa; il Papa è il Vicario di Cristo qui sulla terra. Niuno in cose di fede ha contatto quaggiù immediato con Dio, e noi intanto siamo credenti, cristiani e cattolici, in quanto in cose di fede pensiamo e parliamo col Papa.

NOTE

1 Giov. XVI, 13.
2 Syllabus 13: «Methodus et principia, quibus antiqui Doctores scholastici Theologiam excoluerunt, temporum nostrorum necessitatibus scientiarumque progressui minime congruunt» («I metodi e i principi, con i quali gli antichi dottori scolastici hanno coltivato lo studio della teologia, non sono per nulla adatti alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.» Nostra traduzione) PROPOSIZIONE CONDANNATA DA S.S. PIO IX

GN

Guelfo Nero
09-08-06, 14:06
Commento alle "Regole per sentire nella Chiesa" degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola
di Padre Maurizio Meschler S.J.

PARTE SECONDA.

Esercizio pratico della vita cristiana - I

Passiamo ora a dire dello spirito cattolico e del sentire con la Chiesa rispetto all'esercizio ed all'attuazione pratica del cattolicismo nella vita quotidiana. S. Ignazio pone questo principio fondamentale: «Sono da lodare tutti i precetti della Chiesa con animo disposto e pronto a trovare sempre ragioni per difenderli e non mai per impugnarli» (Reg. 9). Il diritto della Chiesa d'imporre leggi e precetti altro non è che una parte del triplice potere conferitole da Cristo, a fine di condurre gli uomini all'eterna salute. In forza del suo magistero annunzia agli uomini la verità, la fede; pel suo sacerdozio ci comunica la grazia e per la sua podestà pastorale determina le leggi, secondo le quali dev'essere regolato l'uso dei mezzi di salute e particolarmente l'esercizio e l'attuazione della vita cristiana (1) . Or siccome quest'attuazione si riferisce principalmente ad un triplice oggetto: agli atti del culto, ai doveri personali circa la disciplina e all'obbedienza verso la legittima autorità, così illustrando brevemente questi tre punti, vedremo insieme quanto ragionevole, quanto sapiente sia la regola anzidetta, per cui il vero cattolico dev'essere disposto a difendere sempre le prescrizioni della Chiesa e non mai ad impugnarle.

1. Per quanto riguarda gli atti del culto, secondo S. Ignazio, il vero cattolico deve approvare e lodare, stimare grandemente e difendere tutto ciò che a Dio si riferisce, come l'assistere con frequenza alla santa messa, il canto sacro, la salmodia e le lunghe orazioni nel tempio e fuori del tempio, le ore canoniche ai tempi debiti ed il tempo speso, in qualsivoglia altra preghiera o privata o pubblica (Reg. 3).
Con ciò non si vuol punto dire, che per essere buoni e schietti cattolici, dobbiam correre di qua e di là ad assistere a tutti gli atti ed a tutte le funzioni del culto. La Chiesa stessa procede con molto riserbo nelle sue prescrizioni sostanziali e nella misura del culto pubblico a tutti imposta; richiede anzi assai poco, così che niuno può ragionevolmente menarne lamento. Se altri manchi di discrezione, ovvero se in questo o in quel luogo si passino per avventura i debiti limiti, non è da farne carico alla Chiesa; ma anche in questi casi nulla è mai da condannare in pubblico come abuso. Per certa gente tutto è lungo, tutto è soverchio, anche la funzione liturgica più discreta, mentre, se ben si guarda. il popolo cattolico vi trova per lo più il suo gusto e volentieri passa in chiesa le lunghe ore. Come noi ci prendiamo la libertà di determinare la misura delle nostre devozioni entro i limiti autorevolmente assegnati dalla Chiesa, così dobbiamo lasciare negli altri la medesima libertà. Né altro intende S. Ignazio con le sue parole, -se non questo appunto, che se vogliamo sentire da veri e schietti cattolici, dobbiamo rispettare, stimare ed amare la preghiera per se stessa, qualunque ne sia la forma, purché riconosciuta e permessa dalla Chiesa. Però più particolarmente è da stimare e da lodare la preghiera in quanto è attuazione del culto pubblico. Quest'è la preghiera solenne della Chiesa in nome suo, dei fedeli, del mondo intero; è la preghiera da lei officialmente istituita e disposta, il punto culminante della vita pubblica cristiana, il punto del contatto visibile tra cielo e terra ed il pubblico riconoscimento del supremo dominio di Dio sopra di noi.
Trattasi adunque di quella parte del nostro tempo e del nostro cuore, che spetta a Dio, e dobbiamo dargliela volentieri, anzi con gioia, sapendo che non va mai perduta, perché sempre ridonda in nostro vantaggio. Senza la benedizione della preghiera non è punto possibile concepire prosperità nella vita cristiana. Gli affari materiali e terreni assorbono la massima parte del nostro tempo, ci distraggono dalle cose celesti ed a poco a poco tendono ad estinguere in noi il soprannaturale. Come mai potrà la fede signoreggiare nelle anime nostre, se non ci raccogliamo ai tempi debiti nella preghiera, trascurando per giunta l'aiuto potente che viene allo spirito dalle ceremonie auguste del culto liturgico? È grettezza d'animo trovare il tempo per tutto, anche per le cose più frivole della vita mondana, e non trovarlo per Dio o trovarlo solo nella più scarsa misura possibile.


Qui pure appartiene l'altra regola del Santo, che è lodare la sontuosità dei sacri edificii e la ricchezza e gli ornamenti tutti delle chiese e lo splendore delle solennità e delle luminarie (Reg. 8, 6). La chiesa è il luogo del sacrificio, che è l'atto pubblico più solenne ed augusto della religione; la chiesa è l'abitazione di Dio vivo e reale sotto le specie eucaristiche; la chiesa è il luogo, dove insieme convengono Dio ed il genere umano, dove Dio fino all'uomo si abbassa, dove l'uomo s'innalza fino a Dio. Quivi, è bene spesa la più sontuosa magnificenza, per l'onore di Dio, per l'onore nostro. Quanto tempo, quanta fatica, quali somme non si gittano specialmente ai nostri tempi per albergare come si conviene chi regge i destini della nazione e per le feste ed onoranze puramente mondane e politiche! Eppure quanto spesso, a proposito della ricchezza delle nostre chiese e delle spese pel culto, tornano sul labbro di certi cattolici le vergognose parole di Giuda, il traditore: Ut quid perditio haec? (2)

Al culto divino appartengono pure i sacramenti. S. Ignazio dice su questo punto, che convien lodare ed approvare l'accostarsi ai sacramenti della confessione e della comunione almeno una volta l'anno, come prescrive la Chiesa; meglio, se questo si faccia ogni mese; meglio ancora, se con le debite condizioni si faccia ogni settimana (Reg. 2). Ora ci viene l'invito dalla stessa suprema autorità di accostarci alla comunione anche ogni giorno: tanto è lodevole questa pratica e tanto conforme al vero spirito della Chiesa.
Invero, i santi sacramenti non sono soltanto l'attuazione più insigne del culto divino, ma sono altresì i canali principali della grazia ed i mezzi efficaci per ricuperare, conservare e promuovere la vita di grazia. Nelle difficoltà della vita, in mezzo alle mille distrazioni ed ai pericoli che ci circondano, quanto è facile uscir fuori di strada, battere malamente e cadere! Ma il ricevere i santi sacramenti rimedia ogni cosa. La primavera dell'anima ritorna, e però con ogni buon diritto venne sempre considerata la frequenza ai santi sacramenti come un segno infallibile dello spirito e della vita schiettamente cattolica, così nell'individuo, come nelle società particolari e nelle intere popolazioni.
Un altro elemento del culto divino è la venerazione dei santi, secondo la dottrina e la pratica della Chiesa: quindi invocarne l'intercessione e celebrarne la festa, esporre pubblicamente le loro statue ed immagini e farvi innanzi orazione. Parimente appartiene al culto o pubblico o privato quanto è fomento della pietà cristiana, come dire la visita delle stazioni, i pii pellegrinaggi ai santuarii, le indulgenze, i giubilei e le altre pratiche di devozione. Il cattolico se vuol sentir con la Chiesa, deve tutto ciò stimare, approvare e farne uso secondo il suo potere (Reg. 6, 8).
Il culto dei santi non solo termina a Dio, modello supremo e fonte d'ogni santità, ma onora grandemente l'umana natura. Esso infatti riconosce, premia e glorifica la generosità del cuore umano nel servizio divino e nell'esercizio della virtù. Non vi ha mezzo più efficace per eccitare il fedele all'amore delle virtù e alla costanza del praticarla quanto l'esempio dei santi, che gli vengono proposti ad esempio.
E poiché S. Ignazio accenna pure alle devozioni in genere, diremo anzitutto, che queste devono essere riconosciute ed approvate dalla Chiesa. Il solo permesso dell'autorità ecclesiastica dà loro l'esistenza legale. Inoltre è da notar bene il loro valore e significato. Le divozioni sono esercizii di culto e di pietà, per lo più non prescritti dalla Chiesa, e quindi generalmente lasciati all'arbitrio dei fedeli, piuttosto come mezzi secondarii pel loro profitto spirituale. È dunque errore il considerare le devozioni e l'adoperarle come fine, fondandovi sopra l'intera vita spirituale. Fine della vita spirituale è la carità e la perfezione, ed i mezzi sostanziali per ottenerlo sono l'esercizio della virtù e della vittoria di se stesso, la preghiera ed i sacramenti. Tutto il resto è mezzo subordinato per giungere alla perfezione. Il fare a rovescio è cadere nel cosiddetto sacramentalismo, di cui talvolta ci accusano noi cattolici, per renderci ridicoli. Chi opera altrimenti dà ragione all'accusa, che noi siamo buoni cattolici, ma cattivi cristiani. Questo non è il concetto delle divozioni, quale ci è dato dalla Chiesa, ma è confusione e malinteso. Si avverta infine che non proviene da buono spirito quella certa inquietezza e quella tendenza di andar sempre in cerca di nuove divozioni, con l'intenzione di volere o di dovere appropriarsele tutte. Potrebbe avvenire come a colui che in un sontuoso convito vuol prendere ogni cosa. Invece ognuno deve prendere quel che meglio gli conviene e gli piace.
Intese così, le devozioni devono apparire commendevoli e venerande. Sono i fiori sempre freschi ed olezzanti ed i dolci frutti sull'albero vitale della Chiesa. Considerate nel loro oggetto, anch'esse sono verità, fondate nella fede e dalla fede derivanti, le quali prese dalle dottrine della Chiesa, passano sotto la guida dello Spirito Santo nell'uso pratico e nella venerazione del popolo cristiano, diventando canali di grazia, che spargono in ogni dove freschezza e pienezza nella vita cattolica. Sono l'ornamento variopinto della Sposa di Cristo, il soffio vitale dello Spirito Santo, che veste i giardini della sua Chiesa di fiori sempre novelli. E chi non sa che oltre i Santi e gli Ordini religiosi, le grandi devozioni popolari sono state sempre tra' mezzi più importanti e più efficaci delle riforme ecclesiastiche ?

Per conseguenza il non vedere nelle devozioni, cosi spiegate, se non escrescenze inutili e piante cosiddette parassitarie, è opinione erronea ed al tutto contraria al sentir con la Chiesa. Ciò non dà a divedere né spirito illuminato, né sano zelo, né lodevole sovrabbondanza di vita spirituale. Se noi ci contentiamo della nostra pietà, digiuna, smilza, povera, lasciamo almeno agli altri la gioia di camminare nella via di Dio cantando e giubilando e di ornarsi dei fiori che per la bontà di Dio sbocciano loro intorno a dritta ed a sinistra. Perché mai dovrà ridursi ogni cosa al puro e stretto necessario? Nella vita pratica non adoperiamo così, né quanto al cibo, né quanto all'abitazione ed al vestito. Oh quanto difficilmente ci priviamo spesso di piccolezze, divenute care alla vita! Perché tanta grettezza nella vita spirituale? Si danno certamente abusi in codeste devozioni. Ma l'errore non istà nella cosa, non nella Chiesa, ma negli uomini. Oh di quante cose non abusiamo noi uomini! Dovrebbe dunque il Signore sottrarre gli stessi sacramenti, perché molti ne abusano? Il far guerra in genere e senza distinzione a tutte le devozioni, senza punto distinguere è indizio di zelo imprudente e non punto degno di Dio. Nel pietoso disegno di Dio le devozioni sono mezzi e guida alla nostra salute. Così dispone il Signore, che ciascuno secondo il suo modo di vedere, secondo il suo carattere, la sua naturale inclinazione e disposizione d'animo, in mezzo al gran numero delle varie devozioni, trovi quella che meglio gli piace e lo attrae. Una devozione preferita, che tocca il cuore, per molti diviene l'unico legame che anco a li stringe a Dio; senz'esso si perderebbero. Anche nell'ordinamento della natura spesso la vita dipende da un nonnulla. Il togliere alle anime le devozioni è in certi casi il medesimo che toglier loro la vita e la salute. Né l'ordine della natura, né quello della grazia vogliono improntarsi alla stregua del nostro piccolo intelletto.

Tornando al culto dei Santi è da ricordare un'altra regola di S. Ignazio, dove si ammonisce di non fare comparazioni tra i santi e le persone viventi, come sarebbe il dire che questi o quegli è più dotto di S. Agostino, che eguaglia od è anche più grande di un S. Francesco, che è un S. Paolo per potenza e vigore apostolico (Reg. 12). Quest'è per lo meno un'imprudenza, un'esagerazione, e può essere anche un'ingiustizia verso i santi ed un grande errore. Come non si deve lodare il giorno prima di sera, così non si deve lodare nessuno qual santo prima di conoscere la sua fine.
Inoltre in tale avvertimento s'asconde una regola pratica molto sapiente, e noi cattolici dobbiamo prenderne nota. In certi tempi, in certi luoghi e presso certi uomini erompe di tanto in tanto una tendenza e una farne per lo straordinario nel campo della mistica, una vera mania di miracoli. Appena qualche fenomeno sembra passare i limiti della natura, vi si corre appresso, ammirando e credendo. Quest'è imprevidenza ed imprudenza, e si dimentica che in ogni tempo sorsero impostori e gabbamondi a danno de' creduli. La Chiesa non adopera così. S. Giovanni ha ordinato di non credere ad ogni spirito, ma di esaminare se esso venga da Dio (3) , e però la Chiesa procede adagio, con precauzione e seriamente. Cosi adopera anche S. Ignazio. Egli era senza dubbio un grande mistico e nella sua vita ebbe a passare per tutti i gradi delle grazie e doni straordinarii. Ma forse non vi ha alcun maestro della vita spirituale, che nell'educare e promuovere gli altri nella via della virtù abbia adoperato così parcamente i mezzi mistici e siasi dimostrato così freddo rispetto ai fenomeni di questa specie. Aveva egli, per mo' di dire, un fiuto veramente cattolico, e dichiarava di preferire un grado inferiore di virtù, purché congiunto a prudenza, ad una virtù superiore ma senza prudenza.

1 Matt. XXVIII, 19 segg.
2 Marc. XIV, 4.
3 Giov. IV, 2.


http://www.vatican.va/roman_curia/img/foto4_b.jpg

MODELLO PER L'INTELLETTUALE CATTOLICO NELLA SOCIETà.
L'ATTACCAMENTO AL MAGISTERO PONTIFICIO E ALLA SANTA SEDE NON VIENE MAI MENO, ANCHE DI FRONTE AD UN GRAN VUOTO D'AUTORITà, COME QUELLO CHE STIAMO VIVENDO.

GN

Guelfo Nero
09-08-06, 14:07
CARI AMICI FORUMISTI,

CON QUESTO POST SI CONCLUDE LA RIPRODUZIONE DEL BEL TESTO DI PADRE MESCHLER SULLE REGOLE PER SENTIRE NELLA CHIESA ANNESSE AGLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO.
CHI HA AVUTO LA PAZIENZA DI LEGGERLE IN QUESTI GIORNI, AVRà VISTO CHE SI TRATTA DI CIBO PER GIOVANI LEONI CATTOLICI, NON PER "mEZZE CALZETTE" AGNOSTICHE, LIBERALI, PER "CATTOLICIFAIDATE" O PER SUPERUOMINI RIDICOLI.
è CIBO PER UOMINI VERI: CONTRO OGNI RETORICA SUL DEBOLISMO, SOLO IL CATTOLICESIMO RENDE VERAMENTE UOMINI, SOLO IL CATTOLICESIMO RENDE VERI, PERCHè SOLO IL CATTOLICESIMO è LA VERITà NEL SENSO PIENO ED INTEGRALE DEL TERMINE.
IL RESTO è, NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI, UN DIVERSIVO.
DIO SOLO SA, QUANTO BISOGNO CI SIA DI UOMINI VERI E NON DI MOCCIOSI: DI MOCCIOSI DI TUTTE LE ETà TRABOCCANO LE NOSTRE CONTRADE.
SONO TRACOTANTI, ARROGANTI, INSULSI NEL VOLER ESSERE "AUTONOMI", FRENETICI NEL LORO VOLER ESSERE "VIVI".
PULITISSIMI, PROMANANO UN LEZZO INSOPPORTABILE: IL LEZZO DEL NULLA.
CRISTO RE, INVECE, TRAMITE IL SUO FEDELE SANT'IGNAZIO, CHIAMA A RACCOLTA I CATTOLICI.
NON RISPONDERE SAREBBE UNA VERGOGNA, RIMANDARE SAREBBE UNA VILTà.

UN CARO SALUTO A TUTTI

GUELFO NERO


Commento alle "Regole per sentire nella Chiesa" degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola
di P. Maurizio Meschler S. I.

PARTE SECONDA.

Esercizio pratico della vita cristiana - II


2. Il secondo punto della vita pratica cattolica riguarda l'esercizio dell'ascetica cristiana, la vita religiosa e la penitenza. Sotto questo rispetto afferma S. Ignazio, che secondo lo spirito cattolico si devono lodare i varii Ordini religiosi e monastici e lo stato di verginità e continenza, preferendolo in genere al matrimonio; così pure si devono lodare i voti religiosi di povertà, castità ed obbedienza ed ogni altra opera di perfezione e di supererogazione; poi i digiuni e le astinenze, particolarmente ne' tempi e ne' giorni prescritti dalla Chiesa, ed infine ogni altra penitenza non solo interna, ma esterna altresì (Reg. 4, 5, 7).
Il protestantesimo per principio si era levato contro tutte queste cose e le aveva coperte di disprezzo e di odio. Ed anche ai nostri giorni il cosiddetto Americanismo, sebbene per altri motivi, si è pronunciato contro i voti e contro la vita religiosa. Si capisce; all'uomo terreno tutte queste cose vanno attraverso. Ma il cristiano cattolico le accoglie come veneranda e cara eredità della Chiesa, come genuine fioriture dello spirito di Cristo e del Vangelo e come il più nobile frutto della legge morale cristiana.
È evidente che la eccellenza della legge morale non si manifesta soltanto per ciò che soffoca nel cuore dell'uomo i germi del male, ma piuttosto per ciò, che additando quanto v'ha di grande e di nobile, eleva l'umana volontà, la fortifica e le infonde energia e slancio verso i più alti beni celesti e verso la perfezione. Quest'è la vittoria immacolata della legge divina. Or questo si ottiene col proporre all'uomo officii e fini supererogatorii, come sono i voti, che non sono oggetto di comandamento, ma di libera volontà, a fine di rendere a Dio un servigio gradito ed onorevole E però S. Ignazio osserva che oggetto del voto dev'essere per solito, non ciò che è comune e meno buono, come ad esempio il matrimonio ovvero la mercatura, ma ciò che promuove la perfezione evangelica (Reg. 5). I voti invero sono anzitutto mezzi per raggiungere la perfezione che consiste in un più alto grado di carità verso Dio, non contentandosi l'uomo della sola osservanza dei comandamenti, ma spingendosi innanzi ad opere, a Dio molte care, sebbene semplicemente proposte come consiglio. Tra questi voti tengono il primo posto i tre voti religiosi, che costituiscono la sostanza della vita religiosa e lo stato della perfezione spirituale, perché con la loro osservanza il religioso in virtù del suo stato si obbliga a tendere alla perfezione. In questo senso lo stato religioso è nella Chiesa stato di perfezione cristiana.
Se dunque nella società civile a buon diritto si danno varii stati che si propongono per fine loro proprio il promovimento dei beni temporali, perché non si dovrà dare uno stato speciale che si consacri al conseguimento e promovimento dei più grandi beni dell'uomo, della perfezione cristiana? Lo stato religioso è il più sodo disciplinamento dell'anima, la più intima educazione di se stesso, il più nobile ed il più elevato slancio del cuore a Dio, il più efficace ammonitore e predicatore dei beni eterni in questa vita ed il dono più generoso pel bene e per la salute del mondo. Lo stato religioso ha seguito l'umanità anelante al bene e le ha offerto la sua parte di lavoro in tutti i rami di cultura e di svolgimento conveniente. Che cosa non hanno fatto gli ordini religiosi per la scienza e per l'arte, perfino nell'industria e nell'agricoltura, senza nulla dire delle opere in pro della missione della Chiesa ed in quelle di carità e beneficenza? Solo non hanno inventato mostri divoratori d'uomini, ma in quella vece hanno creato eserciti di angeli della misericordia, che hanno curato, sanato, consolato le vittime della discordia. Lo stato religioso è una delle glorie più belle della nostra Chiesa. Come non dovrà il cattolico stimarlo ed onorarlo?

Ancora una parola intorno alla mortificazione ed alla penitenza, contro la quale il protestantesimo ebbe sempre ed ha tuttavia una repugnanza insormontabile. Anche il mondo moderno de' cattolici annacquati rifugge da ogni austerità esterna. L'ascetica antica era piuttosto ispida e dura. Essa cominciava dal purificare seriamente il cuore dal peccato e dalle passioni disordinate per mezzo della vera vittoria di se stesso, e riteneva a lungo il suo alunno nell'esercizio della cosiddetta via purgativa, mettendogli innanzi le massime eterne ed incutendo nell'anima del peccatore un salutare spavento dei castighi eterni. «Non solo il timore figliale, scrive S. Ignazio (Reg. 18) è cosa pia e santissima, ma anche il timore servile (non però servilmente servile), perché anch'esso esclude il peccato ed inchiude il principio dell'amore». In questa osservazione del Santo si scorge quasi un presentimento del futuro giansenismo e quietismo e dei danni gravissimi recati da questi sistemi nella direzione delle anime.
Una certa ascetica moderna, per iscansare la noia o per sfuggire ogni cosa triste, va abbandonando quest'antica e sicura via purgativa e si rivolge ad altri metodi di vita spirituale più graditi e più attrattivi. Se ciò avvenga con maggiore profitto è un'altra questione. È vero. Noi non siamo più l'antica generazione, adusata alle intemperie. I figliuoli del tempo nostro sono anemici e nervosi. Ma da ciò segue soltanto che noi non possiamo più far tutto quello che facevano gli antichi, e non già che. si debba ammettere soltanto la penitenza interna, rifiutando con disprezzo l'esterna. Anche la penitenza esterna è un germoglio del Vangelo di Cristo e dello spirito cattolico, anzi aggiungiamo, dell'istinto nativo del peccatore, se pure è uomo leale. Egli ha peccato e vuol riparare ed anzitutto con la penitenza esterna, ad imitazione del Redentore, che per amor nostro sostenne i tormenti e la croce. È: questo l'A B C della vita spirituale.

3. Il terzo punto della vita pratica cattolica, toccato da S. Ignazio nelle sue regole ad sentiendum cum Ecclesia, riguarda la riverenza e la sommessione alle autorità tanto spirituali che temporali. Egli dice, che non dobbiamo essere corrivi nel biasimare le ordinazioni e la vita personale dei superiori, sì piuttosto dobbiamo essere inclinati ad approvarle e lodarle. Anche nel caso che le loro ordinazioni e le loro persone non siano tali che meritino lode, certo il biasimo pubblico di chi non è chiamato per ufficio ad esercitarlo porge, più che altro, occasione di mormorazione e di scandalo e può degenerare in eccitamento alla rivolta. Per lo contrario torna utile il rappresentare tali abusi a coloro che possono recarvi rimedio (Reg. 10). È chiaro poi che, trattandosi del potere civile, questa regola va interpretata in conformità del diritto costituzionale di sindacato che hanno i corpi rappresentativi dello Stato sul potere esecutivo.

Quel che il Santo qui raccomanda è un principio conservativo di grande importanza. Esso comprende nientemeno che tutta l'educazione e tutta la disciplina del popolo cristiano come tale; esso riguarda l'osservanza del quarto comandamento di Dio rispetto a tutti coloro che ci sono preposti; esso è il fondamento della pace e dell'ordine nel popolo cristiano e costituisce il primo e più importante dovere di coscienza di ciascuno in particolare. Questo spirito di riverenza e di sommessione verso l'autorità costituita è sempre stato il contrassegno del genuino sentire cristiano e cattolico. La nostra Chiesa è stata in ogni tempo banditrice e custode della debita obbedienza; essa stessa non può sussistere, senza la sommessione al potere costituito da Dio. È quindi più sicuro eseguire un comando meno prudente e meno acconcio, piuttosto che scuotere il fondamento dell'ordine. Neppure la personale indegnità del superiore ci dispensa dal debito della sommessione, salvo ch'egli non comandi cosa contraria a Dio. I superiori nostri sono uomini e possono come noi errare; quest'è saputo. Sono però luogotenenti della giustizia e santità di Dio nel mondo. Importa assai che essi siano pure nella realtà quello che rappresentano, e però chi nel debito modo sappia avvisarli o farli avvisare dei loro errori, è grandemente benemerito della società e della Chiesa.
Se mai in altri tempi, questa regola è di suprema importanza nei nostri, dove tutti i vincoli della dipendenza e della sommessione sono in pericolo e minacciano di sciogliersi, dove tutti vogliono insegnare e nessuno imparare, dove ognuno vuol comandare e. nessuno obbedire, dove oramai gli iniqui pongono in cielo la bocca loro ed i loro discorsi si trascinano per tutta la, terra (1) ; disprezzano l'autorità e la maestà bestemmiano (2) .
Insomma il tempo nostro è il tempo dell'indipendenza personale, del volersi aiutare da sé, del farsi eguali a Dio, ricusando di riconoscere sopra di se altro maestro. Il mezzo contro questi mali gravissimi è la norma di S. Ignazio sull'obbedienza cristiana. Seguendo tale regola ogni rivolta, ecclesiastica o politica, è impossibile, com'è impossibile il dispotismo per l'autorità che s'informi ai principii evangelici.


CONCLUSIONE


Questi adunque sono i contrassegni del vero e schietto cattolicismo in cose di fede e di pratica cristiana. Le norme dateci da S. Ignazio sono lo specchio vivente dell'uomo cattolico, che nulla lascia a desiderare quanto a solidità nella virtù e compitezza nei suoi doveri. Il Santo tien dietro di passo in passo a tutti i pericoli, a tutte le aberrazioni, a tutte le falsificazioni del cattolicismo, che da secoli sbucarono fuori; egli colpisce gli errori di Lutero, di Calvino, di Giansenio, gli errori dei quietisti, e le sue regole potrebbonsi dire una requisitoria contro tutti i devastatori della vera vita cattolica; si potrebbero chiamare un compendio della storia ecclesiastica fino ai nostri giorni, anzi fino al più recente cattolicismo di moda secondo il modello del riformismo. Esso non è altro che una nuova edizione del vecchio liberalismo religioso, che è il sistema delle cose fatte a metà, della debolezza, dell'inconseguenza; è il frutto necessario del rispetto umano, dell'adulare e del piaggiare nomi e tendenze che non sono favorevoli alla Chiesa; è la propagine genuina di quel liberalismo che non si nutre se non a scapito della fede e della solida vita cristiana. Contro tale cattolicismo riformatore le regole di S. Ignazio sono un rimedio radicale. Sarebbe quindi opera quanto mai appropriata al bisogno il fare stampare una copia di queste regole alla fine di certi libri che trattano di riforme religiose; varrebbe per Errata Corrige, non degli errori di stampa, ma delle aberrazioni dell'autore.
Sappiamo bene che tutte queste sono massime sconcertanti pe' figliuoli del nostro tempo; ma esse sono attinte proprio dal cuore del cattolicismo per modo, che chi vuol essere vero cattolico, non può fare a meno dal prenderle come norma della propria vita. È ben vero che la loro osservanza chiede per se tutto l'uomo, il suo intelletto e la sua volontà, e presuppone una piena ed incondizionata adesione al concetto cristiano della vita e del dovere fino alle ultime sue applicazioni. Ma pur troppo tali energie cattoliche spuntano piuttosto raramente tanto nella vita privata che nella pubblica.

Or donde questo? Anzitutto, il male viene dall'intelletto, poiché manca la soda e debita conoscenza della religione. La stessa istruzione religiosa elementare, spesso alla prima soglia della vita, non incontra, se non malvage alterazioni e dileggi, perfino da parte di maestri che pur si dicono cattolici; poi il diluvio della stampa e della letteratura irreligiosa e disonesta s'impossessa degli animi giovanili e non solo ne rovina lo spirito, ma ne avvelena il cuore; si va estendendo spaventosamente l'esempio corruttore dei compagni di scuola o di lavoro; quindi le esigenze degli studii speciali a cui conviene dedicarsi per la vita, e più innanzi la stretta delle occupazioni giornaliere ed anche la poca voglia impediscono l'applicazione allo studio privato della religione; prediche, appena appena se ne sentono; divozioni private, nulla; frequenza alle funzioni del culto, rara assai; si aggiungono infine altri peggiori disordini che guastano ogni cosa, ed è però quasi un miracolo, se fin dalla fresca età non si gitta via lo scudo della fede, passando nel campo dell'indifferenza e della formale incredulità. Così si entra nella vita pubblica. L'uomo maturo dovrebbe attuare nella pratica della vita quel che non ha mai imparato; dovrebbe stimare ed amare quel che non conosce e che forse odia; dovrebbe difendere quel che non può giudicare. Spesso prende parte alla legislazione del suo paese e si erige a giudice intorno a questioni religiose della più. alta importanza; spesso ancora si dedica all'officio di maestro o di pubblico scrittore, e si propone a trattare argomenti strettamente religiosi. Eppure non conosce né le dottrine, né le leggi, né i misteri del culto, né la costituzione della Chiesa cattolica! È e rimane vero che uno dei cancri del nostro tempo è la confusione, l'intorbidarnento. l'oscurità degli spiriti.
Più deplorabile è l'altra causa del male, quando cioè il cattolico conosce bensì i suoi doveri religiosi, ma non ha il coraggio di praticarli pubblicamente. L'ignoranza è spesso degna di compatimento; ma il non praticare il dovere conosciuto è una mancanza personale, anzi un peccato, un delitto, non solo contro Dio e contro la Chiesa alla quale si appartiene, ma anche contro se stesso e contro la propria umana dignità personale.
Trattasi di una vera e formale schiavitù -spaventevole parola nel secolo della libertà e dell'eguaglianza- anzi della più rovinosa e più disonorante tra le schiavitù!. È infatti una schiavitù che nessuno c'impone, che c'imponiamo da noi stessi. La forza della nostra volontà è tanto debole che si fabbrica catene, sottomettendosi non solo ad un unico padrone, ma a quanti si danno la briga di scagliarsi contro la nostra libertà di coscienza, siano essi pure i più miserabili ed i più dispregevoli tra gli uomini. Il timore e la debolezza ce li dipinge come una grande potenza e come nostri sovrani onnipotenti, purtroppo pel conseguimento non già del bene, ma del male. Chi si lascia vincere dal rispetto umano è come una piuma, senza peso, senza solidità; è una banderuola; è una canna agitata dal vento, come dice il Salvatore (3) , che ogni soffio fa piegare. Tale uomo ha già con se il passaporto per la via dell'iniquità. Noi non ci vergogniamo di essere al cospetto del mondo figliuoli riconoscenti, sposi fedeli, impiegati coscienziosi, sudditi intemerati; e poi, quali cattolici, ci vergogniamo di Dio e del suo servizio, come se al mondo nulla vi fosse di più meschino e di più rovinoso della nostra fede, della nostra Chiesa!
Il terzo motivo che ritrae gli uomini dal mostrarsi veramente cattolici di sentimento e di fatto, è la cura delle cose terrene, dell'avere e delle ricchezze. Si vuol vivere, si vuol vivere senza fastidii, si vuol godere della vita e per questo occorre denaro. Se il denaro non si ha, bisogna metterlo insieme, oh quanto spesso, a spese del cattolicismo. Si nega il cattolicismo e si prende l'irreligione dei più, che possono aiutarci nell'acquisto dei beni terreni. Così fa l'uomo di affari coi suoi corrispondenti, così il mercante coi suoi clienti, il servo coi suoi padroni, il giornaliero con chi lo paga, il deputato coi suoi elettori, l'impiegato con gli uomini di governo, perfino il soldato col suo superiore d'armi. Non si vuol avere altra religione se non quella del proprio santo aiutatore.
Nessuno vuole che si trascuri il proprio benessere ed il progresso anche materiale dell'individuo e della famiglia. Dio stesso ne suggerisce i mezzi opportuni: la fiducia nella provvidenza, la preghiera, il lavoro onorato. Ma rinnegare la religione non è un mezzo. Questo non è confidare in Dio, ma chiedere consiglio ed aiuto dai falsi idoli; questo non è preghiera, ma provocazione del castigo di Dio; questo non è lavoro onorato, ma latrocinio dell'onore e della padronanza di Dio, a cui appartiene la nostra anima, il nostro corpo, ed il nostro servizio; non è neppure commercio onorato, ma commercio da Giuda, che vende Dio per quattro miseri quattrini e compra per se la corda; questo è sangue dell'anima, troppo caro di prezzo, quando pure dovesse costare il mondo intero.

NOTE

1 Ps. LXXII, 8, 9.
2 2 Petr. II, 10; Iud. 8.
3 Matt. XI, 7.



http://www.vatican.va/roman_curia/img/foto3_b.jpg

GN

Luca
30-07-07, 00:26
CARI AMICI,

NON POTEVA MANCARE PER IL MESE D'AGOSTO LA SEGNALAZIONE DEGLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO CHE SONO CERTAMENTE UNA DELLE CIFRE DISTINTIVE DELL'ESSERE CATTOLICO OGGI.
POSTO QUESTO MESSAGGIO PROPRIO OGGI, NELLA STRAORDINARIA FESTA DI SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, PER RENDERE UN OMAGGIO A CHI NE HA COMPOSTO, TEMI E TESTI SU DIRETTA ISPIRAZIONE DELLA VERGINE MARIA.

http://santiebeati.it/immagini/Original/23800/23800A.JPG


GLI ESERCIZI DI SANT'IGNAZIO SONO UN INSIEME DI PRATICHE DEVOTE E DI TEMI SACRI DA MEDITARE CHE VENGONO DATI A CHI FA GLI ESERCIZI PERCHè POI NON CESSI MAI DI FARNE PRATICA.
IN FONDO SONO UNA SPECIE DI "PALESTRA DELLO SPIRITO" DOVE INIZIARE AD IRROBUSTIRSI, VINCERE PASSIONI DISORDINATE, STACCARSI DA PECCATI INVETERATI, COMPRENDERE APPIENO IL SENSO DELLA VITA E DELLA PRATICA CATTOLICA.
PER CHI LI FA, OGNI ANNO SONO IL MOMENTO DI RICAPITOLAZIONE, DI RIFLESSIONE, DI CORREZIONE PER POI RIPARTIRE NELLA MILIZIA CRISTIANA DI OGNI GIORNO.
NELLA LORO STRUTTURA ORIGINARIA DURANO TRENTA GIORNI MA IN QUESTO SECOLO UN GRANDE CULTORE DEGLI ESERCIZI E PREDICATORE, PADRE FRANCESCO DI PAOLA VALLET (1883-1944) NE CREATO UNA VERSIONE PIù BREVE, CON TOTALE ADERENZA AL TESTO IGNAZIANO DELLA DURATA DI 5 GIORNI. IL PIO PADRE BARRIELLE (1897-1983) DURANTE GLI ANNI SETTANTA HA AGGIUNTO QUALCHE RITOCCO, ADEGUANDOLI ALLA SITUAZIONE ATTUALE DELLA CHIESA.
SONO CINQUE GIORNI INTENSISSIMI CON MEDITAZIONI QUOTIDIANE SUI NOVISSIMI (MORTE, GIUDIZIO, INFERNO E PARADISO), SULLO SCONTRO MILLENARIO TRA I DUE ESERCITI (I DUE STENDARDI DI DIO E DI SATANA), SULLA NECESSITà DEL MILITARE SOTTO LE BANDIERE DI DIO, SULLA PASSIONE, MORTE E RESURREZIONE DI NOSTRO SIGNORE GESù CRISTO.
OGNI GIORNO UNA CONFERENZA APOLOGETICA SULLA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO, SULL'IMMORTALITà DELL'ANIMA, SULLA DIMOSTRAZIONE CHE LA CHIESA CATTOLICA è L'UNICA CHIESA FONDATA DA CRISTO, SULL'ATTUALE SITUAZIONE DELLA CHIESA DOPO IL "VATICANO II".
OGNI GIORNO SANTO ROSARIO, OGNI GIORNO ALTERNATI VISITA AL SANTISSIMO SACRAMENTO E VIA CRUCIS.
IL TUTTO IN UN SILENZIO PROFONDO CHE INVITA A LASCIARE FUORI DALLA PORTA PER QUALCHE GIORNO GLI AFFANNI MONDANI E A RIMANERE SOLI DI FRONTE ALLE PROPRIE MANCANZE, ALLE PROPRIE VILTà E AL PROPRIO DOVERE.
"LA VITA è MILIZIA SULLA TERRA", ANZI "LA VITA SULLA TERRA è UN TURNO DI GUARDIA" COME DICEVA MONSIGNOR LUIGI NICORA, POI VESCOVO DI COMO NEL 1888 ("VITA EST FACTIO"): BISOGNA RISPETTARE LE CONSEGNE ED ESSERE PRONTI A CEDERLE, QUANDO CI VERRANNO RICHIESTE.
QUESTI ESERCIZI SERVONO ANCHE A RICORDARCI QUESTA SAGGIA VISIONE DI ANTROPOLOGIA CATTOLICA.
OVVIAMENTE I SACERDOTI SONO SEMPRE A DISPOSIZIONE DEGLI ESERCITANTI PER DARE BUONI CONSIGLI, PER RACCOGLIERNE DUBBI, TRISTEZZE E GIOIE.
A VERRUA SAVOIA PRESSO L'ISTITUTO "MATER BONI CONSILII" GLI ESERCIZI PER LE DONNE SI TERRANNO DALLE 12.00 DEL 20 AGOSTO ALLE 12.00 DEL 25 AGOSTO, PER GLI UOMINI DAL 27 AGOSTO AL 1 SETTEMBRE.
(PER INFORMAZIONI TEL. 0161-839335)

UN CARO SALUTO

GUELFO NERO

http://www.veoh.com/videos/v878010TrR6Ngr8

Trasmissione di don Ugo Carandino a Radio Padania Libera del 29 luglio 2007 sugli esercizi di Sant'Ignazio.

Luca
29-08-07, 18:06
http://www.cattolicesimo.eu/forum/viewtopic.php?t=1224

Belle immagini dal primo turno di esercizi a Verrua (20-25 agosto 2007)

Guelfo Nero
01-09-07, 19:33
Oggi è finito anche il turno maschile. Buon ritorno a casa a tutti gli esercitanti!
E se la memoria non mi inganna, faccio mie le parole che di solito vengono dette al sabato mattina dopo l'esposizione del Santissimo: "Perseverate, ritornate, reclutate!"

Luca
12-07-08, 15:37
Cosa serve all’uomo guadagnare il mondo intero...se poi perde l’anima sua?
(Parole di Gesù nel Vangelo)


5 giorni per preparare l’eternità felice… cosa sono in confronto ai 360 giorni che ogni anno dedichiamo a questo mondo di tenebra?…

Gli Esercizi Spirituali avranno luogo:

Per le donne:

> dal lunedì 18 agosto (ore 12) al sabato 23 agosto 2008

Per gli uomini:

> dal lunedì 25 agosto (ore 12) al sabato 30 agosto 2008



Gli esercizi sono predicati dai Sacerdoti dell'Istituto Mater Boni Consilii



Avvisi pratici



Per partecipare agli esercizi bisogna aver compiuto 17 anni.

Vi preghiamo di portare con voi lenzuola ed asciugamani, mentre le coperte saranno fornite sul posto.

L'offerta per la pensione degli esercizi è di € 70.

Nessuno deve astenersi dal fare gli esercizi per motivi finanziari. Se ci sono delle difficoltà siete pregati di farcelo sapere. La salvezza della vostra anima deve passare prima di ogni altra considerazione.

Poiché il numero dei posti disponibili è limitato vi preghiamo di spedire la vostra iscrizione al più presto.



Per informazioni e prenotazioni telefonare o scrivere a:

Istituto Mater Boni Consilii

Loc. Carbignano, 36

10020 VERRUA SAVOIA (TO)
Tel. 0161.839335 - Fax 0161.839334

E-mail: info@sodalitium.it

Filotea
17-08-08, 09:47
la mia valigia è pronta
io parto oggi così prendo la messa stasera a verrua e domattina anche...
quello che mi rimane è di preparare il cuore ma qualcosa mi spinge a non voler partire ed è una lotta serrata...ma credo che tornerò con tante fatche e tanti dolori sopportati e superati perchè poi lo so che quando sarò la non potrò non aprire il mio cuore...
pregate per me e per le mie compagne di questo turno
Guelfo, seguici giorno per giorno, tanto sai a memoria cosa faremo...ci seguirete tra i dolori e le sofferenze dei primi giorni, fino alla confessione del mercoledì, e poi la gioia della comunone al giovedì mattina e poi la contemplazione della passione e l'ultimo giorno e so già, come lo sa chi ben mi conosce, che piangerò come una fontana!!
pregate anche per mia nonna, perchpio possa rivederla ad esercizi finiti e perchè stia bene e accetti di mangiare...
grazie
ciao

Guelfo Nero
17-08-08, 10:13
Filotea, con tutto il cuore buoni esercizi e preghiere secondo le tue intenzioni. Hai ragione: mentalmente seguo tutte le istruzioni. Vedrai, andrà tutto bene. ;)

Filotea
27-08-08, 15:10
..a Verrua Savoia gli esercitanti maschi stanno per iniziare le confessioni generali.. preghiamo per tutti loro perchè il lavoro dei primi tre giorni sia proficuo per una buona confessione e per la successiva perseveranza e preghiamo per i sacerdoti che tanto si danno da fare per assicurarci la possibilità appunto di fare gli esercizi, facendo così un gran bene a tante anime..
:)

Luca
27-08-08, 15:16
Il Mercoledì è un giorno decisivo per gli Esercizi. ;)

Filotea
27-08-08, 21:18
Il Mercoledì è un giorno decisivo per gli Esercizi. ;)

certo il mercoledì è una giornata molto importante ma consentimi Luca, ogni istante degli esercizi è fondamentale e poi se vogliamo scendere nel personale per me ogni istante è anche occasione per piangere...persino alla cerimonia finale della benedizione col Santissimo piango, piango quando le mie compagne esercitanti si avvicinano alla balaustra per l'imposiione dello scapolare (quest'anno 3, di cui una vado particolarmente "fiera" essendo una delle mie figliocce di cresima, più precissamente Irene a cui mando virtualmente un abbraccio:)) e soprattutto piango come una fontana al canto finale di "Immacolata Vergine Bella"..... :ue.... è davvero "troppo tanto" per me...di certo il Signore non mi ha fatto mancare il dono delle lacrime.....

ma pensiamo ai nostri amici che domattina faranno la loro prima comunione... ah, ovviamente quest'anno sono riuscita a piangere anche al momento della prima comunione del giovedì...ma avevamo le suore che cantavano e due bellissimi bimbi francesi con talarina rossa e cottina a servir messa, e poi, sopra tutto, Gesù Sacramentato...come potevo trattenremi? :ue

Guelfo Nero
30-08-08, 12:49
Da pochissimo gli esercitanti maschi hanno finito il loro turno a Verrua: perseverare, reclutare, ritornare! :) :) :)

codino
01-09-08, 11:34
sono rientrato a casa ieri sera!!!

:) :) :)

Davvero tutti dovrebbero fare gli esercizi!

IsidroDeSevilla
12-09-08, 23:54
Sono lieto di trovare entusiasmo per gli ES. Chi li ha predicati?

Luca
13-09-08, 11:11
Don Francesco Ricossa I.M.B.C e Don Ugo Carandino I.M.B.C.

Filotea
23-09-08, 08:11
ieri hanno iniziato il loro turno i sacerdoti, quindi preghiamo per loro!
:)

Filotea
05-01-09, 20:20
oggi a Verrua Savoia ha avuto inizio il turno straordinario invernale degli esercizi spirituali, eccezionalmente misti.
Preghiamo perchè l'ardore della fede riscaldi i nostri amici impegnati in un'attività così importante (certo ottimo modo per iniziare l'anno!) e per i sacerdoti impegnati nella predicazione di questo turno e, diuturnamente, nella cura delle anime, a costo spesso di sacrifici e fatiche!!

:)