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Visualizza Versione Completa : 10 agosto - S. Lorenzo, diacono e martire



Colombo da Priverno
09-08-02, 19:54
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Nella Passio Polychronii (gli Atti del martirio di S. Lorenzo) si legge che il martire, prima di essere steso sulla graticola e messo a bruciare sui carboni ardenti, volle pregare per Roma. La città gli è stata grata di questo atto d'amore dedicandogli ben trentaquattro chiese, la prima delle quali è stata eretta, secondo la consuetudine, sul luogo del martirio, « in agro Verano », l'attuale cimitero romano. Tanto onore non hanno avuto gli stessi patroni principali di Roma, S. Pietro e S. Paolo. Come spiegare, dunque, l'incontestabile popolarità di questo martire (a Roma fino al secolo scorso la sua festa era di precetto) senza dar credito alle notizie forniteci dalla Passio e da scrittori del IV secolo, che a questi racconti attingono abbondantemente?
La sua immagine, aureolata di leggenda già negli scrittori molto vicini alla sua epoca (come Prudenzio), ci è familiare nel gesto, fissato dagli affreschi del B. Angelico nella cappella vaticana di papa Niccolò V, di distribuire ai poveri le collette dei cristiani di Roma. Questa era infatti una delle mansioni dei diaconi, e Lorenzo, creato arcidiacono da papa Sisto II, era stato preposto alla comunità dei diaconi romani. L comprensibile quindi che nell'incalzare della persecuzione di Valeriano, lo stesso papa, arrestato e condotto al martirio, abbia dato incarico al suo diacono di distribuire quanto aveva ai poveri. Quando l'imperatore - si legge sulla Passio - impose a Lorenzo di consegnargli i tesori di cui aveva sentito parlare, questi radunò davanti a Valeriano un gruppo di indigenti esclamando: « Eccoli i nostri tesori, che non diminuiscono mai, e fruttano sempre e li puoi trovare dappertutto! ».
A questa arguta e sapiente risposta fanno eco le ultime parole del martire, che posto ad arrostire sui carboni ardenti e già rosso come un tizzone, avrebbe trovato il modo di fare dello spirito: « Ecco, da questa parte sono cotto. Rivoltatemi». L'eroica testimonianza di fede resa dal martire è stata effìcacemente ricordata da papa Damaso: « Verbera, carnifices, fiammas, tormenta, catenas... »: le fruste, i carnefici, le fiamme, i tormenti, le catene nulla poterono contro la fede di Lorenzo. Il papa, che « ammirava le virtù del martire glorioso », gli eresse la seconda chiesa, sulle rovine del teatro di Pompeo, facendo per lui la prima eccezione: nessun martire aveva avuto, prima di lui, una chiesa in un luogo diverso da quello del martirio. Secondo la Depositio mar rum, il diacono Lorenzo subì il martirio il 10 agosto 258.

Colombo da Priverno
09-08-02, 19:58
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Lorenzo fu il primo diacono di Roma, con il compito di distribuire ai poveri quanto raccolto fra cristiane della città. La tradizione ci tramanda le vicende legate alla sua morte, di come abbia incontrato Papa Sisto II condotto al martirio, di come abbia rifiutato di consegnare i "tesori" della Chiesa a lui affidati e di come abbia subito il supplizio della graticola, che è divenuto il suo motivo iconografico peculiare unto in realtà, sulla base della rescritto che Valeriano mandò in senato e che ordinava l'esecuzione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi mediante decapitazione, è quasi certo che Lorenzo sia stato un martirizzato il 10 agosto come il suo vescovo, che secondo S. Damaso, venne decapitato in un cimitero insieme a sei diaconi.

Colombo da Priverno
09-08-02, 19:59
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« Eccoli i nostri tesori, che non diminuiscono mai, e fruttano sempre e li puoi trovare dappertutto!».

Colombo da Priverno
09-08-02, 20:02
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«Verbera, carnifices, fiammas, tormenta, catenas... »
Papa Damaso

le fruste, i carnefici, le fiamme, i tormenti, le catene nulla poterono contro la fede di Lorenzo

Colombo da Priverno
09-08-02, 20:06
Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397

Oggi la chiesa di Roma celebra il giorno del trionfo di Lorenzo, giorno in cui egli rigettò il mondo del male. Lo calpestò quando incrudeliva rabbiosamente contro di lui e lo disprezzò quando lo allettava con le sue lusinghe. In un caso e nell'altro sconfisse satana che gli suscitava contro la persecuzione. San Lorenzo era diacono della chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, verso il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: «Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L'ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambio quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte.
Anche noi, fratelli, se davvero amiamo, imitiamo. Non potremmo, infatti, dare in cambio un frutto più squisito del nostro amore di quello consistente nell'imitazione del Cristo, che «patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme» (1 Pt 2, 21). Con questa frase sembra quasi che l'apostolo Pietro abbia voluto dire che Cristo patì solamente per coloro che seguono le sue orme, e che la passione di Cristo giova solo a coloro che lo seguono. I santi martiri lo hanno seguito fino all'effusione del sangue, fino a rassomigliarli nella passione. Lo hanno seguito i martiri, ma non essi soli. Infatti, dopo che essi passarono, non fu interrotto il ponte; né si é inaridita la sorgente, dopo che essi hanno bevuto.
Il bel giardino del Signore, o fratelli, possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l'edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata: Cristo ha sofferto per tutti. Con tutta verità fu scritto di lui: «Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati, e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). Dunque cerchiamo di capire in che modo, oltre all'effusione del sangue, oltre alla prova della passione, il cristiano debba seguire il Maestro. L'Apostolo, parlando di Cristo Signore, dice: «Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio». Quale sublimità!
«Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso» (Fil 2, 7-8). Quale abbassamento! Cristo si é umiliato: eccoti, o cristiano l'esempio da imitare. Cristo si é fatto ubbidiente: perché tu ti insuperbisci? Dopo aver percorso tutti i gradi di questo abbassamento, dopo aver vinto la morte, Cristo ascese al cielo: seguiamolo. Ascoltiamo l'Apostolo che dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3, 1).

http://www.catholictradition.org/Saints/saints8-6.jpg

Colombo da Priverno
09-08-02, 20:21
E' l'inno scritto da Aurelio Prudenzio Clemente, nato a Calahorra (Spagna) nel 348.
L'inno è il testo più ampio, più ricco di particolari e più attendibile sul martirio di S. Lorenzo.

Antiqua fanorum parens,
iam Roma Christo dedita,
Laurentio victrix duce
ritum triumfas barbarum...

Così inizia l'inno
in testo latino:
segue traduzione
di Giuseppe Micunco

Madre antica di templi,
Roma già a Cristo sacra,
col trionfo di Lorenzo
hai vinto i culti barbari.

Re superbi vincesti
e popoli domasti,
ora mostruosi idoli
soggioghi col tuo impero.

Questa gloria mancava
alla Città togata:
che vinta ogni ferocia
domasse il sozzo Giove.

Ne vinser con la forza
Cosso, Camillo o Cesare,
ma il martire Lorenzo
con non incruenta guerra.

Lottò armata la Fede
del proprio sangue prodiga:
vinse morte con morte,
si immolò per se stessa.

Il pontefice Sisto
in croce lo predisse
al vedere Lorenzo
sotto la croce piangere:

"Smetti il dolore e il pianto
per la mia dipartita!
Ti precedo, fratello,
tu verrai fra tre giorni".

La parola del vescovo
gli preannunziò la gloria,
né si sbagliò: la palma
venne il giorno predetto.

Con che voce o che lodi
canterò la sua morte?
qual canto sarà degno
d'una tale passione?

Questi primo fra i sette
che servono all'altare,
levita d'alto grado
e degli altri più nobile,

di sacre porte a capo
della casa celeste,
le fide chiavi aveva,
dispensando le offerte.

Il prefetto di Roma
ha fame di denaro,
servo d'un folle capo,
d'oro e sangue esattore.

Vuol con forza strappare
il denaro nascosto:
nei luoghi sacri immagina
talenti e mucchi d'oro.

Fa arrestare Lorenzo,
cerca la cassa piena
di ricchi mucchi e i monti
di monete nascoste.

Dice: "Vi lamentate
che troppo atroci siamo,
se i corpi dei cristiani
nel sangue laceriamo.

Non giustizia severa
voglio con atti atroci;
dolce e calmo ti interrogo,
tu dovresti parlare.

E' nei vostri misteri
costume e usanza - dicono -,
che per il patto i presuli
libino in coppe d'oro.

Fuma in vasi d'argento
- dicono - il sacro sangue;
e nelle veglie i ceri
sono infissi nell'oro,

E devono i fratelli
- voci e fama la attestano -
vendere i campi e offrire
migliaia di sesterzi.

I poderi degli avi,
venduti a turpi patti,
rimpiange il figlio erede:
non santi ha i genitori!

Si occulta il frutto in angoli
nascosti delle chiese,
e gran pietà si crede
spogliare i dolci figli.

Tira fuori i tesori,
che con chiacchiere e imbrogli
tu conservi ammucchiati
e chiudi in antri bui.

Lo chiede il bene pubblico
ed il fisco e l'erario,
può col denaro il principe
stipendiare i soldati.

So che avete un precetto:
'rendi a ciascuno il suo'.
Riconosce, ecco, Cesare
sui soldi la sua immagine.

Ciò che tu sai di Cesare
rendi a Cesare: è giusto!
Se non sbaglio, il tuo Dio
non segna soldo alcuno.

Venendo non portò
con sé Filippi d'oro,
ma parole e precetti,
e con la borsa vuota.

Fate fede al messaggio,
vostro vanto nel mondo:
date i soldi con gioia,
siate ricchi in parole!".

Per nulla aspro Lorenzo
o irato a ciò risponde,
ma ottemperante annuisce,
come pronto a obbedire.

"E ricca, non lo nego
- dice - e ha la nostra Chiesa
molte ricchezze e oro,
né c'è più ricco al mondo.

Tanti scrigni d'argento non
ha neanche l'Augusto,
signore dell'impero,
su ogni moneta inciso.

Ma non sdegno tradire
del ricco Dio la cassa;
parlerò e mostrerò
quali tesori ha Cristo.

Solo questo ti chiedo,
un po' di dilazione,
per adempiere meglio
al dono che ho promesso,

finché tutti per ordine
scriva i beni di Cristo;
va cantata la somma,
e annotato il totale."

Lieto e gonfio di gioia
è il prefetto, e assapora
l'ora d'avere l'oro,
come se già l'avesse.

Tre giorni stabilirono;
con lodi è rilasciato
Lorenzo, e garantisce
per sé e per il tesoro.

Tre giorni la Città
percorre, e di malati
schiere e di mendicanti
raduna e mette insieme.

C'era chi cieco aveva
gli occhi entrambi cavati
e al bastone affidava
il passo vacillante.

C'era chi andava zoppo
per il ginocchio rotto
o la gamba troncata
o per piede più corto.

C'era chi aveva gli arti
d'ulcere putrefatte,
e chi arida la mano e il
braccio rattrappito.

Cerca in tutte le piazze
quelli cui provvedeva la
chiesa madre, noti
a lui, il dispensiere.

Registra uno per uno
e ne trascrive i nomi;
li invita a sistemarsi
davanti al tempio in ordine.

Venne il giorno prescritto;
fremeva avido il giudice,
era in ansia e chiedeva
di scioglier la promessa.

Ed il martire: "Vieni,
e i beni vedrai esposti,
che il nostro ricco Dio
ha nei suoi luoghi santi.

Il grande atrio vedrai
splender di vasi d'oro,
e nei portici aperti
ben schierati i talenti".

Spudorato lo segue.
Giunti alla sacra porta,
caterve, ecco, di poveri,
schiere turpi a vedersi.

Si alza un grido di suppliche:
s'atterrisce il prefetto,
e rivolto a Lorenzo
lo guarda minaccioso.

E quello: "Perché fremi
e minacci scontento?
sozza, vile e spregevole
ritieni questa gente?

L'oro che ardente brami
nasce in scavati ruderi,
e da miniere buie
col lavoro forzato.

Torrenti e fiumi torbidi
misto a sabbia lo portano;
pieno di terra e sporco,
va messo nel crogiolo.

E l'oro che corrompe
l'onestà ed il pudore,
che uccide pace e fede,
anche la legge uccide.

Avvelena ogni gloria:
perché lo stimi tanto?
Cerca un oro più vero:
oro è la Luce, gli uomini.

E' "figlio della Luce" chi ha
il corpo infermo e debole:
la salute del corpo gonfia
d'orgoglio l'animo.

Sloga il morbo le membra,
ma forza e vita ha l'animo;
invece in membra sane
è ferita la mente.

Se il sangue arde al peccato,
meno forze fornisce,
e un fervore fiaccato
è un veleno che snerva.

Se mai potessi scegliere,
vorrei grande dolore
nella membra patire,
ma dentro essere sano.

Metti insieme le pesti
e continui contagi:
e della carne un'ulcera
più turpe che dell'animo?

Questi, negli arti infermi,
dentro son sani e belli;
sono puri nei sensi
senza alcuna fatica.

I vostri corpi sani
hanno dentro una lebbra;
la colpa vi fa zoppi
e la frode vi acceca.

Chi tu vuoi dei tuoi nobili,
splendenti in volto e in vesti
dimostrerò più debole
di ognuno dei miei poveri.

Questi, in seta superbo,
tutto tronfio sul cocchio,
dentro ha un'idropisia
che la fa gonfio e pallido.

Questo avaro ha contratte
le mani curve e piega
nel palmo le unghie adunche,
e i nervi più non stende.

Questi il piacere fetido tra
meretrici pubbliche
di fango e fogna inquina,
e sozzi stupri cerca.

E quell'altro che si agita
e bolle e brama onori,
è in preda a febbre ed ansima:
ha il fuoco nelle vene.

Quello non sa tacere,
brama tradir segreti:
freme e si rode il fegato
e ha la scabbia nell'animo.

E non dirò le ghiandole
gonfie degli invidiosi?
le piaghe dei maligni
livide e purulente?

E tu, che Roma reggi
e Dio eterno disprezzi,
se adori i sozzi demoni,
hai il male regale.

E questi che superbo
disprezzi e stimi immondi,
pasta non avranno ulcere,
le membra avranno incolumi,

e dalla carne inferma
sciolti e liberi, infine,
splenderanno beati
nella casa del Padre,

non insozzati o deboli,
come ti appaiono ora,
ma con vesti di porpora
e con corone d'oro.

Vorrei esser capace
di mostrare costoro
davanti agli occhi tuoi
tra i signori del mondo.

Son coperti di cenci,
sporchi di moccio al naso,
di saliva sul mento,
hanno cisposi gli occhi.

Però d'un peccatore
niente è più sozzo e fetido;
brutta ferita è il crimine
e puzza come il Tartaro.

Sono afflitti nell'animo
da turpe corruzione
coloro che nel fisico
apparivano belli.

Ed ecco i soldi d'oro
che t'avevo promesso:
non può il fuoco distruggerli,
né un ladro può rubarli.

Vi aggiungo ora le gemme
(non è povero Cristo),
gemme di chiara luce,
che ornano questo tempio.

Le consacrate vergini vedi
e le caste vedove
(morto il primo marito,
non ebbero altro amore):

gioielli della chiesa!
di queste gemme è adorna;
dote che piace a Cristo,
così orna l'alto capo.

Ecco i talenti, prendili:
potrai ornarne Roma
ne arricchirai il principe;
sarai anche tu più ricco"

"Di noi si ride - esclama
il prefetto furioso -
con giochi di parole
(e questo folle è vivo.

Furfante, impunemente
pensi d'aver composto
queste strofe da mimi,
presentando la farsa?

Ti sembrò bello e a modo
trattarci con gli scherzi?
Fui io, ai lazzi esposto,
della festa il buffone?

Severità non hanno
né più giustizia i fasci?
Così si è rammollita
la scure dello Stato?

Dici: 'Morrò con gioia:
sacro e il sangue del martire,
- avete, lo sappiamo,
tale vana opinione -.

Vorresti; ma non ordino
che d'una morte rapida
ti si appresti la fine:
non morrai tanto presto.

Ti protrarrò la vita
tra estenuanti supplizi;
una morte difficile
prolungherà i dolori.

Stendete brace tiepida,
perché il troppo calore
non divori il ribelle
nel volto o nelle viscere.

Resti il fumo a languire,
e con soffio leggero
gli temperi i tormenti
del corpo abbruciacchiato.

E' bene che tra tutti,
lui addetto ai misteri,
lui solo dia l'esempio
di cosa è da temere.

Sali sul rogo pronto,
sul letto di te degno,
poi, se hai voglia, sostieni
che nulla è il mio Vulcano".

Cosi dice il prefetto
ed aguzzini truci
tolgon la veste al martire,
legan le membra tese.

Brillò di luce il volto,
splendette di fulgore;
tal tornando dal monte
mostrò Mosè il suo volto,

e i rei Giudei, pallidi
per il vitello d'oro,
temettero e si volsero,
vedere Dio non ressero

Tale volto di gloria
splendente mostrò Stefano,
vedendo i cieli aperti,
mentre lo lapidavano.

Questa luce ai fratelli
purificati splende,
che il battesimo ha resi
portatori di Cristo;

gli occhi ciechi degli empi,
avvolti dalla notte,
cinti da oscuro velo,
non vedono il chiarore.

Già la piaga d'Egitto
i barbari alle tenebre
condannava e agli Ebrei
mostrava giorno e luce.

L'odore, anche, che sale
dalla carne ustionata
sentono ben diverso:
chi il bruciato, e chi nettare.

Così alla percezione
l'aria appare diversa:
fa orrore e raccapriccio,
o accarezza piacevole.

E il Dio del fuoco eterno -
ché Cristo è vero fuoco -
riempie di luce i giusti,
mentre i malvagi brucia.

Poi che il calore lento
bruciò il fianco riarso,
egli dal rogo il giudice
brevemente interpella:

"Gira dall'altro lato
la parte ormai bruciata;
vedi di che è capace
il tuo ardente Vulcano".

Girar lo fa il prefetto,
e quello: "E cotto: mangia!
assaggia se è più dolce
la parte cruda o cotta".

Detto questo per scherno,
al cielo si rivolge,
geme e prega pietoso
per la Città di Romolo:

"O Cristo, unico nome,
luce e forza del Padre,
creator dell'universo
e autor di queste mura,

tu che del mondo intero
desti a Roma lo scettro,
e dei Quiriti a tutti
toga ed armi imponesti,

sì che di tante genti
costumi, usanze, lingue
ingegni e riti fossero
sotto un'unica legge:

sotto il regno di Remo
ridotta, ecco, è ogni gente,
hanno tutti una lingua,
tutti la stessa mente.

Fu questo destinato
perché il nome cristiano
ogni angolo del mondo
legasse a un solo vincolo.
Sia, Cristo, ai tuoi Romani
cristiana la Città:
per essa a tutti gli altri
desti un'unica fede.

Hanno un unico simbolo
di qui tutte le membra
cede suddito il mondo,
ceda il capo supremo!

Porta a terre lontane
Roma l'unica grazia;
abbia le fede Romolo
e sia credente Numa!

Troia fa errare ancora
la curia dei Catoni:
nel fuoco occulto venerano
frigi esuli Penati.

Giano bifronte e Sterculo
i senatori adorano:
temo a dire quei mostri
ed il vecchio Saturno.

Scaccia, o Cristo, lo sconcio!
manda il tuo Gabriele:
la cecità di Iulo
conosca il vero Dio!

Ed abbiamo i garanti
già di questa speranza:
qui già regnano i due
principi degli apostoli.

Uno chiamò i gentili,
l'altro la prima cattedra
tenendo apre le porte
eterne a lui affidate.

Va' via, Giove adultero,
che tua sorella stupri!
lascia libera Roma
e il popolo di Cristo!

Di qui ti scaccia Paolo
ed il sangue di Pietro
contro di lui Nerone
armasti, e ne hai condanna.

Vedo in futuro un principe,
che al servizio di Dio
non lascerà che Roma
serva infamanti dei;

che sbarrerà i templi
e le porte d'avorio,
chiuderà le empie spoglie
con chiavistelli bronzei.

Puri allora del sangue
risplenderanno i marmi;
staranno innocui i bronzi,
ora adorati idoli".

Finita la preghiera,
cessò d'esser nel corpo,
ed insieme alla voce
con gioia uscì la spirito.

Ne portarono il corpo
a spalle alcuni nobili,
che un uomo tanto libero
spinse a seguire Cristo.

Spirò nuova natura
nei cuori e per amore
costrinse del Dio altissimo,
a odiar le antiche favole.

Da quel giorno scemò
degli empi dèi il culto:
poca gente nei templi,
tanti al seggio di Cristo.

Lorenzo per combattere
non si cinse la spada,
ma ritorcendo il ferro
lo volse nel nemico.

Il demonio sfidò
il campione di Dio,
ma lui cadde trafitto,
e ora giace in eterno.

La morte del pio martire
fu dei templi la morte;
Vesta, vinta, i Palladii
si vide abbandonare.

Ed i Quiriti assidui
alla coppa di Numa,
agli atri di Cristo riempiono,
innni al martire cantano.

E i primi del senato
un dì luperci e flamini,
baciano ora le soglie
di apostoli e di martiri.

Vediamo case illustri,
nobili d'ambo i sessi,
d'amore in pegno
offrire i carissimi figli.

Le bende del pontefice
fanno posto alla croce,
e al tuo tempio, Lorenzo,
entra Claudia Vestale.

Tre, quattro, sette volte
beato chi a Roma abita,
che da vicino venera
e te e le tue ossa;

che può presso prostrarsi,
bagnar di pianto il luogo,
premere a terra il petto
e mormorare voti!

Da voi l'Ebro dei Baschi
e due Alpi ci separano:
siamo oltre le Alpi Cozie
e i Pirenei nevosi.

Si sa appena da noi
quanti santi abbia Roma,
quanti sacri sepolcri
nel ricco suol fioriscano.

Non tali beni abbiamo,
né è dato visitare
le vestigia dei martiri:
guardiamo allora al cielo.

E così, san Lorenzo,
la tua passione amiamo:
hai due templi: del corpo
qui, dell'anima in cielo.

E là, chiamato a capo
di una Città ineffabile,
hai in una curia eterna
la civica corona.

Vedo di chiare gemme
risplendere quell'uomo
che la Roma celeste
scelse a perenne console.

Quanto potere e onore
ti sia data, la prova
la gioia dei Romani
le cui preghiere ascolti.

Ciò che un supplice chiede
l'ottiene in abbondanza;
chiedono oranti, supplicano,
nessuno torna triste.

Sii sempre propizio,
e i tuoi figli di Roma
nutri di latte al seno
nel tuo paterno amore.

Odi, onore di Cristo,
anche il rozzo poeta,
che le colpe confessa
e ti offre ogni sua azione.

Riconosco che è indegno
che Cristo l'esaudisca,
ma i protettori martiri
gli ottengano il perdono.

Benigno odi le suppliche
del reo Prudenzio, o Cristo:
del corpo ancora è schiavo,
sciogli del mondo i vincoli.

In secoli tormentati che segnano a fine del mondo antico e preannunciano una nuova età, Prudenzio, questo grande poeta latino, definito dalla critica il Virgilio cristiano, prepara vie nuove.
Persuaso che anche la poesia abbia piena cittadinanza nella casa del Padre, l'autore delinea in versi mirabili il rapporto tra la cultura pagana e la cultura cristiana, l'amore per i poveri e la splendida figura di S. Lorenzo. Leggerli può servire ad operare con discernimento tra veri e falsi valori nelle attuali temperie culturali di fine millennio.

Augustinus
09-08-04, 22:53
http://www.wga.hu/art/s/strozzi/2/lawrence.jpg Bernardo Strozzi, La carità di S. Lorenzo, 1639-40, S. Niccolò da Tolentino, Venezia

http://img527.imageshack.us/img527/7619/av004604wk9.jpg Bernardo Strozzi, La carità di S. Lorenzo, XVII sec.

http://img527.imageshack.us/img527/7110/nc001919sx5.jpg Bernardo Strozzi, La carità di S. Lorenzo, 1625 circa, North Carolina Museum of Art, Raleigh

http://www.kressfoundation.org/kressorg/images/b341.jpg Bernardo Strozzi, S. Lorenzo distribuisce le ricchezze della Chiesa ai poveri, 1635-40, Portland Art Museum, Portland

http://stlouis.art.museum/emuseum/media/full/371944_H.jpg Bernardo Strozzi, S. Lorenzo distribuisce le ricchezze della Chiesa ai poveri, 1620 circa, Saint Louis Art Museum, Saint Louis

http://www.wga.hu/art/s/strozzi/1/charity.jpg Bernardo Strozzi, La carità di S. Lorenzo, 1615-20, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

http://www.menteantica.it/imagesIX/casamarisanlorenzo.jpg G. Serodine, S. Lorenzo distribuisce le ricchezze della Chiesa ai poveri, XVII sec., Pinacoteca. Abbazia di Casamari

Augustinus
10-08-04, 09:06
http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/1west/40west.jpg Beato Angelico, Ordinazione diaconale di S. Lorenzo da parte del Papa Sisto II, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/2north/50north.jpg http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/2north/51north.jpg Beato Angelico, S. Lorenzo riceve le ricchezze della Chiesa dal Papa Sisto II, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/2north/60north.jpg http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/2north/61north.jpg Beato Angelico, S. Lorenzo distribuisce le ricchezze della Chiesa ai poveri, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/3east/50east.jpg http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/3east/51east.jpg Beato Angelico, S. Lorenzo dinanzi all'imperatore Valeriano, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

http://www.wga.hu/art/a/angelico/10/3east/60east.jpg Beato Angelico, Martirio di S. Lorenzo, 1447-49, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

Augustinus
10-08-04, 09:25
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=21350):

San Lorenzo, Diacono e martire

10 agosto - Festa

Martire a Roma, 10 agosto 258

Fu il primo diacono di Roma, con il compito di distribuire ai poveri quanto raccolto fra cristiane della città. La tradizione ci tramanda le vicende legate alla sua morte, di come abbia incontrato Papa Sisto II condotto al martirio, di come abbia rifiutato di consegnare i "tesori" della Chiesa a lui affidati e di come abbia subito il supplizio della graticola, che è divenuto il suo motivo iconografico peculiare unto in realtà, sulla base della rescritto che Valeriano mandò in senato e che ordinava l'esecuzione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi mediante decapitazione, è quasi certo che Lorenzo sia stato un martirizzato il 10 agosto come il suo vescovo, che secondo S. Damaso, venne decapitato in un cimitero insieme a sei diaconi.

Fin dai primi secoli del cristianesimo, Lorenzo viene generalmente raffigurato come un giovane diacono rivestito della dalmatica, con il ricorrente attributo della graticola o, in tempi più recenti, della borsa del tesoro della Chiesa romana da lui distribuito, secondo i testi agiografici, ai poveri. Gli agiografi sono concordi nel riconoscere in Lorenzo il titolare della necropoli della via Tiburtina a Roma È certo che Lorenzo è morto per Cristo probabilmente sotto l'imperatore Valeriano, ma non è così certo il supplizio della graticola su cui sarebbe stato steso e bruciato. Il suo corpo è sepolto nella cripta della confessione di san Lorenzo insieme ai santi Stefano e Giustino. I resti furono rinvenuti nel corso dei restauri operati da papa Pelagio II. Numerose sono le chiese in Roma a lui dedicate, tra le tante è da annoverarsi quella di San Lorenzo in Palatio, ovvero l'oratorio privato del Papa nel Patriarchio lateranense, dove, fra le reliquie custodite, vi era il capo. (Avvenire)

Patronato: Diaconi, Cuochi, Pompieri

Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino

Emblema: Graticola, Palma

Martirologio Romano: Festa di san Lorenzo, diacono e martire, che, desideroso, come riferisce san Leone Magno, di condividere la sorte di papa Sisto anche nel martirio, avuto l’ordine di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò al tiranno, prendendosene gioco, i poveri, che aveva nutrito e sfamato con dei beni elemosinati. Tre giorni dopo vinse le fiamme per la fede in Cristo e in onore del suo trionfo migrarono in cielo anche gli strumenti del martirio. Il suo corpo fu deposto a Roma nel cimitero del Verano, poi insignito del suo nome.

Martirologio tradizionale (10 agosto): A Roma, sulla via Tiburtina, il natale del beato Lorenzo Arcidiacono, il quale, nella persecuzione di Valeriano, dopo moltissimi tormenti di prigionia, diverse verghe, bastoni, flagelli piombati e lastre infuocate, alla fine, arrostito su una graticola di ferro, compi il martirio; il suo corpo dal beato Ippolito e dal Prete Giustino fu sepolto nel cimitero di Ciriaca, al campo Verano.

(9 agosto): Vigilia di san Lorenzo Martire.

Forse da ragazzo ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana. Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251. L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo. E’ noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.
Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.
Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze. Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: "Ecco, i tesori della Chiesa sono questi".
Allora viene messo a morte. E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa: "Bruciato sopra una graticola": un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli. Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina. Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.

Autore: Domenico Agasso

http://www.wga.hu//art/b/bernini/gianlore/sculptur/1610/1martyrd.jpg http://img59.imageshack.us/img59/1142/92063261485538yz8.jpg Gian Lorenzo Bernini, Martirio di S. Lorenzo, 1614-15, Collezione Contini Bonacossi, Firenze

http://www.wga.hu//art/b/bronzino/3/stlawren.jpg Agnolo Bronzino, Martirio di S. Lorenzo, 1569, Chiesa di S. Lorenzo, Firenze

http://www.wga.hu//art/c/caravagg/11/68nativi.jpg Caravaggio, Natività con i SS. Lorenzo e Francesco d'Assisi, 1609, San Lorenzo, Palermo

http://www.wga.hu/art/a/antoniaz/nativity.jpg Antoniazzo Romano, Natività con i SS. Lorenzo ed Andrea, 1480-85, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

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Augustinus
11-08-04, 07:34
Sermo LXXXV, 1-4. PL 54, 435-437.

La perfezione di tutte le virtù e la pienezza di ogni giustizia scaturisce, miei cari, dall'amore che abbiamo verso Dio e verso il prossimo. Non ci può essere dubbio, perciò, che in nessun altro si trova e si rivela questo amore nella sua espressione più eccellente e più fulgida, come nei santi martiri. Sono costoro vicinissimi a nostro Signore Gesù Cristo, che è morto per tutti gli uomini, sia perché hanno imitato la sua carità sia perché hanno subito una passione simile alla sua.

Nessuno certo con tutta la sua bontà può raggiungere il grado di quell'amore con cui il Signore ci ha redento: ben diverso, infatti, è il caso di un uomo che, necessariamente mortale, muore per un giusto, dal caso di colui che, esente da ogni debito di morte, immola la sua vita per i peccatori. E tuttavia è davvero grande il contributo che i martiri hanno dato a tutta l'umanità: la loro fortezza è servita al Signore, che ne è la fonte, come mezzo per togliere agli occhi dei suoi figli l'aspetto terribile della pena di morte e della crudeltà della croce, e per renderla anzi a molti di loro desiderabile.

Non esiste persona buona che sia tale solo per se stessa, non c'è sapiente la cui sapienza giovi solo a lui stesso; anzi, la natura delle virtù autentiche è come una luce, per cui chi ne è illuminato può strappare anche altri dalle tenebre dell'errore. Ne segue che non c'è modello più valido di quello dei martiri per istruire e formare il popolo di Dio. Sarà quindi adatta l'eloquenza per commuovere, sarà efficace il ragionamento per persuadere; resta però che gli esempi sono sempre più forti delle parole, e vale di più insegnare coi fatti che con la lingua.

In questo genere di insegnamento superiore si distingue il santo martire Lorenzo, la cui passione dà splendore a questo giorno. Quale fosse in proposito il suo grande prestigio, poterono avvertirlo i suoi stessi persecutori: infatti, la sua forza d'animo meravigliosa, in lui essenzialmente derivata dall'amore di Cristo, non solo sfidò impavida tutti i tormenti, ma con l'esempio di resistenza che offriva diede vigore anche agli altri.

In quel tempo si scatenò il furore della autorità pagane contro le membra più nobili del corpo di Cristo, dando la caccia soprattutto a coloro che appartenevano all'ordine sacerdotale; e l'empio persecutore riversò il suo ardente odio contro il levita Lorenzo, in quanto svolgeva funzioni di primo piano non solo nell'amministrazione dei sacramenti ma anche nel gestire i beni della Chiesa. Dalla cattura di un solo uomo egli si riprometteva un doppio bottino: pensava infatti che, se fosse riuscito a farsi consegnare da lui il denaro sacro, sarebbe anche riuscito a staccarlo dalla vera religione.

Ecco dunque che l'uomo, avido di denaro e nemico della verità, trova le sue armi in queste due passioni che tutto lo infiammano: nella cupidigia per arraffare l'oro, e nell'empietà per eliminare Cristo. Pretende anzitutto dall'onestissimo custode del tesoro che gli siano consegnate le ricchezze della Chiesa, cioè l'oggetto primo della sua brama spasmodica. E il santo levita, per fargli vedere dove le teneva riposte, gli presentò le schiere innumerevoli dei cristiani poveri. Per sfamarli e vestirli — egli diceva — aveva impiegato quelle sostanze certo indistruttibili, perché tanto più integralmente le aveva salvate, quanto più santo era l'uso che dimostrava di averne fatto.

Quel ladrone, deluso nei suoi desideri, freme di rabbia, e in un impeto di odio contro la religione che aveva disposto un tale impiego delle ricchezze, passa al saccheggio dell'altro tesoro più prezioso, Tenta cioè di strappare a colui presso il quale non aveva trovato nessuna somma di denaro, il deposito della fede, di cui in un senso ben più elevato e santo era ricco.

Comanda quindi a Lorenzo di rinunziare a Cristo, e intanto si accinge ad attaccare con crudeli tormenti la forza solidissima della sua anima di levita. E poiché le prime prove non approdano a nulla, egli passa a torture ancora più violente. Quelle membra erano ormai orrendamente straziate per le molte mutilazioni provocate dai flagelli; ebbene egli dà ordine che siano messe sopra il fuoco per esservi abbrustolite: fa prendere un graticcio di ferro, che arroventato bruciava per l'ininterrotto calore, e vi fa ripetutamente voltare e rivoltare quel corpo, perché più violento ne sia lo strazio e più prolungata la pena.

Ma pure con questo nulla ottieni, a nulla riesci, o crudele aguzzino! Sfugge alla tua tecnica raffinata la materia del corpo e a un certo punto, mentre Lorenzo vola verso il cielo, non puoi più continuare. Le fiamme che preparasti non poterono vincere la fiamma della carità di Cristo, perché il fuoco che bruciava Lorenzo di fuori fu più fiacco di quello che internamente lo infiammava.

O persecutore, con le tue sevizie rendesti un gran servizio al martire e facesti più bella la sua vittoria raddoppiando le pene. Che cosa, infatti, tu non escogitasti per accrescere la gloria del vincitore, se anche gli strumenti del supplizio servirono ad abbellire il suo trionfo?

Apriamo dunque il cuore, o miei cari, a una grande gioia, e per la fine beata di questo nobilissimo eroe rallegriamoci nel Signore che è davvero mirabile nei suoi santi (Cf Sal 67,36 Volgata), perché di essi ha fatto a un tempo i nostri protettori e i nostri modelli. Egli ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo, che dall'oriente all'occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano, è toccata anche a Roma per merito di Lorenzo.

Mai noi cesseremo di confidare nella potenza della sua preghiera e del suo patrocinio. Potremo così, dato che — come afferma l'Apostolo — tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati (2 Tm 3,12), rafforzarci nello spirito di carità e premunirci con una fede ferma e perseverante capace di superare tutte le tentazioni.

Augustinus
11-08-04, 07:36
De Natali S. Laurentii levitæ et martyris. Sermo LXX, 4, 1-2. PL 57, 675-677.

Credo che voi conosciate il martirio del beatissimo martire Lorenzo, di cui oggi celebriamo la nascita al cielo; e non dubito che conoscerete quali atroci tormenti abbia sopportato nella persecuzione. Fu così grande la gloria del suo martirio, che illuminò tutto il mondo con le sue sofferenze. Sì, Lorenzo illuminò l'orbe intero con quel fuoco col quale egli stesso fu arso; e riscaldò i cuori di tutti i cristiani con le fiamme che egli sopportò.

Chi, infatti, di fronte a un tale esempio non vorrebbe bruciare per Cristo con Lorenzo per ricevere la corona di Cristo con Lorenzo? Chi non vorrebbe sopportare il fuoco di Lorenzo per un'ora, per non subire il fuoco eterno della geenna? Dall'esempio, dunque, del beato diacono siamo eccitati al martirio, siamo infiammati alla fede, siamo riscaldati alla devozione.

Anche se a noi manca la fiamma del persecutore, non ci manca la fiamma della fede. È vero che non ardiamo nel corpo per Cristo, ma ardiamo nell'affetto; il persecutore non mi sottopone al fuoco, ma mi procura fuoco il desiderio del Salvatore.

Leggiamo nel Vangelo che vi è un fuoco del Salvatore, perché il Signore stesso dice: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso (Lc 12,49). Infiammati da quel fuoco, i discepoli di Emmaus dissero: Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture (Lc 24,32)? Anche il beato Lorenzo, ardendo di tale fuoco, non sentì la vampa delle fiamme; e mentre ardeva per il desiderio di Cristo, non ardeva per il tormento del persecutore. Rovente era in lui l'ardore della fede al punto che la fiamma del supplizio si raffreddava. Lorenzo soffre per l'incendio che ne divora il corpo, ma l'ardore divino del Salvatore spegne l'ardore materiale del tiranno. Da una parte il nostro diacono è infiammato dall'amore di Cristo, dall'altra è tormentato dalla fiamma del persecutore. Sebbene le sue membra si dissolvano in cenere, non si dissolve l’intrepidezza della fede: sopporta il danno del corpo, ma acquista il guadagno della salvezza.

Non è un rapido e semplice martirio quello che annienta il beato Lorenzo. Chi è decapitato muore in una sola volta; chi è gettato tra le fiamme di una fornace, è liberato in un sol colpo. Egli invece è torturato da una lunga e macchinosa pensa, così che la morte, inevitabile per il supplizio non interviene a porvi fine. Si narra, infatti, che da quel crudelissimo persecutore gli fu inflitta questa pena: ammucchiata una massa di carboni ardenti, egli vi fu disteso sopra su una graticola di ferro e fu consumato da una lenta fiamma, perché non tanto questa con la sua vampa uccidesse l'uomo, quanto lo tormentasse bruciando a lungo; tant'è che quando il persecutore vedeva arso un fianco, esponeva al fuoco l'altro fianco.

Leggiamo che i santi fanciulli Anania, Azaria e Misaele, rinchiusi dal re in una fornace ardente, passeggiavano tra le fiamme del loro martirio e calpestavano con i piedi le vampe del fuoco (Cf Dn 3, 19-24). La gloria di Lorenzo non è minore: se quelli passeggiano tra le fiamme del loro martirio, questo giace sullo stesso fuoco del suo supplizio; quelli calpestano le fiamme con la pianta dei piedi, questo le spegne con la devota offerta dei suoi fianchi. Quelli, dico, ritti in mezzo al loro supplizio adoravano il Signore con le mani alzate, questi disteso nella sua sofferenza prega il Signore con tutto il corpo.

Augustinus
11-08-04, 07:39
In Joannem Homil. LXVI, 2; LXVII, 1. PG 59, 368. 369. 370-371.

Che cosa significa: Se il chicco di grano caduto in terra non muore? Gesù parla della sua croce. Per evitare che i suoi si turbino pensando che lo avrebbero ucciso, perché i Greci stavano venendo da lui, egli dice: Proprio la croce più che tutto li spinge a me, essa propagherà il mio annuncio.

Poi, siccome sono quelle parole non li hanno convinti, ricorre alla prova dei fatti, dicendo: Ecco che cosa accade nel grano: produce molto più frutto quando muore. Se ciò accade per i semi, tanto maggiormente accadrà per me.

I discepoli, però, non compresero il significato di quelle parole.

Dolce è la vita presente e piena di molte gioie: non per tutti, però, ma solo per quelli che entrano nel suo giro. Chi invece guarderà al cielo e ai beni di lassù, subito non farà alcun caso di questa vita. Anche la bellezza corporea desta la nostra ammirazione finché non se ne presenta un'altra più splendida: allora di fronte a una bellezza migliore, disprezziamo la prima.

Se vogliamo fissare la bellezza di Dio, contemplare lo splendore del regno di lassù, dobbiamo disfarci al più presto dei legami terreni. Affezionarsi alle realtà presenti vuol dire caderne schiavi. Per condurti a tale convinzione, Cristo ti dice: Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo.

Le lusinghe della vita terrena sono molto forti, per cui Cristo, ai fini di sciogliere queste catene, dice: Chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Poiché egli parla così per istruire i discepoli e liberarli dalla loro paura, ascolta il seguito: Se uno mi vuol servire, mi segua. Cristo parla qui della sua morte ed esige una sequela fattiva e concreta. È necessario, infatti, aderire totalmente a colui che si serve.

Considera anche che il Signore non parlava ai discepoli in un momento in cui essi erano perseguitati, ma allorché in un clima di serenità si credevano al sicuro, onorati e assistiti da molti. Quando dunque potevano esaltarsi, ascoltarono queste parole: Prenda la sua croce e mi segua (Mt 16,24): vale a dire: sii sempre preparato ad ogni pericolo, alla morte; sta pronto per emigrare da questa terra.

Dopo aver prospettato ai discepoli un futuro penoso, il Maestro parla anche della ricompensa. Quale è? Seguirlo e stare dove egli sta; al di là della morte egli fa loro intravedere la risurrezione. Infatti, dove sono io — egli dice — là sarà anche il mio servo. Dov'è Cristo se non nei cieli? Perciò anche prima della risurrezione, trasferiamoci lassù, con il cuore e la mente.

Se uno mi serve il Padre mio lo onorerà. Perché non ha detto: Io lo onorerò? Perché i discepoli non avevano ancora di Cristo un'opinione adeguata e consideravano il Padre più grande. Se ancora non sapevano che il Maestro sarebbe risorto, come avrebbero potuto formarsi di lui un concetto adeguato alla sua grandezza? Per questo egli disse ai figli di Zebedeo: Sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio (Mc 10,40). Eppure Gesù è giudice; qui si dichiara anche il vero Figlio. Perciò il Padre accoglierà i discepoli come servi di colui che è Figlio per natura.

Augustinus
11-08-04, 07:43
De officiis I, 205-207; II, 140-141. Opera omnia. Biblioteca Ambrosiana-Città Nuova, 1977, n. XIII, pp. 149. 263. 151.

San Lorenzo, vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere: non perché quello era condotto al martirio, ma perché egli doveva sopravvivere. Cominciò dunque a dirgli a gran voce: “Dove vai, padre, senza tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro. Che ti è spiaciuto dunque in me, o padre? Forse mi hai trovato indegno? Verifica almeno se hai scelto un ministro idoneo.

Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue del Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri? Sta’ attento che, mentre viene lodata la tua fortezza, il tuo discernimento non vacilli. Il disprezzo per il discepolo è danno per il maestro.

E’ necessario ricordare che gli uomini grandi e famosi vincono con le prove vittoriose dei loro discepoli più che con le proprie? Abramo offrì suo figlio, Pietro mandò innanzi Stefano. Anche tu, o padre, mostra in tuo figlio la tua virtù; offri chi hai educato, per giungere al premio eterno in gloriosa compagnia, sicuro del tuo giudizio”.

Sisto rispose a Lorenzo: “Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d’una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente che ci sia questo intervallo. Non sarebbe stato degno di te vincere sotto la guida del maestro, come se cercassi un aiuto. Perché chiedi di condividere il mio martirio? Te ne lascio l’intera eredità. Perché esigi la mia presenza? I discepoli ancor deboli precedano il maestro, quelli già forti, che non hanno più bisogno d’insegnamenti, lo seguano per vincere senza di lui. Così anche Elia lasciò Eliseo. Ti affido la successione della mia virtù”.

C’era fra loro una gara, veramente degna d’essere combattuta da un vescovo e da un diacono: chi per primo dovesse soffrire per Cristo.

A chi gli chiedeva i tesori della Chiesa, Lorenzo promise di mostrarli. Il giorno seguente condusse i poveri. Interrogato dove fossero i tesori promessi, indicò i poveri dicendo: “Questi sono i tesori della Chiesa”.

E sono veramente tesori quelli in cui c’è Cristo, in cui c’è la fede di Cristo. L’Apostolo dice: Abbiamo questo tesoro in vasi di creta (2 Cor 4,7). Quali tesori più preziosi ha Cristo di quelli nei quali ha detto di trovarsi? Così infatti sta scritto: Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato (Mt 25,35). E più sotto: Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me (Mt 25,40).

Quali tesori più preziosi ha Gesù di quelli nei quali ama mostrarsi? Tali tesori mostrò Lorenzo e vinse perché nemmeno il persecutore poté sottrarglieli.

Tre giorni dopo, avendo così beffato il tiranno, veniva bruciato su una graticola. “Questa parte è cotta — disse — volta e mangia”. Così con la sua forza d’animo vinceva l’ardore del fuoco.

Augustinus
11-08-04, 07:50
Expositio Psalmi CXVIII, XX, 47-48. 50-51; XXI, 8-9. Opera omnia. Biblioteca Ambrosiana-Città Nuova, 1987, n. X, 358-362. 374-376.

Quanto più sono le persecuzioni, tanto più sono i martìri. Ogni giorno sei chiamato ad essere testimone di Cristo. Sei stato tentato dallo spirito dell’impudicizia, ma il timore del futuro giudizio di Cristo ti ha vietato di violare la castità dello spirito e del corpo? Sei un martire di Cristo.

Sei stato dallo spirito di avidità tentato di occupare i beni di un orfano minorenne, di violare i diritti di una vedova indifesa; eppure la contemplazione della legge divina ti ha convinto a portare aiuto piuttosto che arrecare danno? Sei un testimone di Cristo.

Tant’è vero che è Cristo a desiderare la presenza di testimoni di questo tipo, secondo quanto sta scritto: Rendete giustizia all’orfano, difende te la causa della vedova. Su, venite e discutiamo, dice il Signore (Is 1,17-18).

Sei stato tentato dallo spirito di superbia; ma lo spettacolo del povero e del bisognoso ti ha mosso a misericordiosa compassione e hai amato più l’umiltà che la prepotenza? Sei un testimone di Cristo. Ancor di più: non hai dato testimonianza solo a parole, ma anche con l’opera.

Chi è testimone più attendibile di colui che professa la sua fede nell’incarnazione del Signore Gesù (Cf 1 Gv 4,2), osservando fedelmente le prescrizioni del Vangelo? Infatti chi ascolta e non fa, rinnega Cristo; anche se lo confessa a parole, lo rinnega nei fatti. Nel giorno del giudizio molti diranno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni e compiuto molti miracoli? Ma il Signore dichiarerà loro: Allontanatevi da me, voi operatori di iniquità (Mt 7,22-23). Vero testimone è l’uomo che testimonia confermando con i fatti l’adesione ai precetti del Signore Gesù.

Quanti sono, ogni giorno, i martiri occulti di Cristo, che confessano il Signore Gesù! L’Apostolo conosce questo tipo di martirio e questa fedele testimonianza di Cristo. Egli ha scritto: Questo è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza (2 Cor 1,12). Quanti hanno professato la loro fede all’esterno e l’hanno rinnegata all’interno!

Cerca dì essere fedele e forte nelle persecuzioni interiori, se vuoi essere confermato anche in quelle esterne. Anche le persecuzioni che si scatenano dentro di te hanno il loro re, i loro governatori, i loro giudici strapotenti.

Ne hai un esempio nella tentazione che ha dovuto subire fino in fondo il Signore. Gli sono stati mostrati tutti i reami e gli è stato detto: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai (Mt 4,9). Abbiamo letto anche in un altro passo: Non regni più il peccato nel vostro corpo mortale (Rm 6,12). Tu vedi, o uomo, davanti a che razza di re sei collocato, se ti trovi nel reame della colpa. Tanti peccati, tanti vizi, altrettanti re; e siamo trascinati alla loro presenza e stiamo ritti alloro cospetto.

Anche questi re possiedono un loro tribunale dentro l’anima di moltissime persone. Ma basta confessare Cristo che subito quel re diventa un prigioniero, viene scalzato dal trono dell’anima. Come potrà reggere il tribunale del diavolo nell’uomo in cui s’innalza il tribunale di Cristo?

Sono molti i persecutori che mi assalgono, ma io non abbandono le tue leggi (Sal 118,157). Forse a parlare così è Cristo; ed egli parla col discorso di ciascuno di noi, perché è lui che l’Avversario perseguita in noi. Se tu eviti i persecutori, rinunci a Cristo, che accetta la tentazione per vincerla. Dovunque lo vede, là il diavolo tende il suo agguato, là piazza le sue macchine di tentazione, là ordisce la tela del suo inganno, per tentare - se può - di metterlo fuori gioco.

Ma dove il diavolo dà battaglia, là Cristo è presente. Dove il diavolo pone l’assedio, là - chiuso tra gli assediati - sta Cristo a difendere la cerchia delle mura spirituali. Dunque chi scappa lontano dal persecutore, respinge via da sé anche il difensore.

Ma quando senti dire: Sono molti i persecutori che mi assalgono, 10 non impaurirti, perché puoi rispondere: Se Dio è per noi, chi sarò contro di noi (Rm 8,31)? 1n verità, questo lo può dire l’uomo che non devia dai segni della volontà del Signore e non sceglie la strada tortuosa del vizio.

Chi riceve un’ostilità immotivata deve essere forte e saldo. Come mai dunque il salmista soggiunge: Il mio cuore teme le tue parole (Sal 118,161)?Il timore, la trepidazione sono segno di debolezza e di vigliaccheria. Ma c’è anche una debolezza che porta alla salvezza, c’è il timore dei santi: Temete il Signore, suoi santi (Sal 33,10); e: Beato l’uomo che teme il Signore (Sal 111,1). Perché beato? Perché trova grande gioia nei suoi comandamenti.

Allora, non è forse possibile che questa trepidazione equivalga alla sicurezza d’un uomo saldo? La fiduciosa certezza dell’uomo che desidera l’eternità e dell’uomo che trepida per Dio vanno nella stessa direzione. Tuttavia dobbiamo ammettere che sarà più forte l’uomo che spera, sarà più forte l’uomo che dimostra piena sicurezza.

Se fossi capace anch’io, nel caso in cui mi investisse una persecuzione, di non fermarmi a considerare la durezza delle mie prove, a misurare il peso delle torture, le punizioni, di non pensare all’asprezza di alcun dolore, ma di considerarli tutti fardelli leggeri. Mi sta bene anche trepidare per la paura che Cristo mi rinneghi, per la paura che mi escluda, che mi respinga dal collegio dei sacerdoti, avendomene giudicato indegno.

Purché egli veda piuttosto che, anche se sono scosso dal terrore delle sofferenze fisiche, la mia trepidazione è ancora più grande per i giudizi che mi aspettano. Anche se mi dirà: Uomo di poca fede, perché hai dubitato (Mt 14,31)? mi porgerà pur sempre la sua destra; e il mio turbamento per questi marosi del mondo che si gonfiano troverà sicura fermezza nella fiduciosa stabilità dello spirito.

Augustinus
11-08-04, 07:55
Exhortatio ad martyriurn, 48-50. PG 11, 631-635.

Da molto tempo ascoltiamo la parola di Gesù; sono ormai molti anni che viviamo secondo i precetti del vangelo e lavoriamo per costruirci una dimora.

Ma abbiamo edificato sulla pietra, scavando in profondità per gettarvi le fondamenta, oppure sulla sabbia e senza basi? Lo dimostrerà il combattimento che ci attende, perché sovrasta una bufera gravida di piogge torrenziali e di venti o, come dice Luca (Lc 6,4), d'inondazione.

Allorché quegli elementi si abbatteranno contro la casa, non avranno la forza di scuoterla ed essa non cadrà, perché fondata sulla roccia che è Cristo. Oppure mostrerà quanto fu precaria la sua struttura, perché alla prima occasione si abbatterà al suolo.

Dio allontani una tale disgrazia dalla nostra casa! Il rinnegamento è davvero una caduta terribile; oppure, per usare le parole di Luca, grande è la rovina, giacché la mancanza di fondamenta causa la distruzione completa dell'edificio.

Preghiamo per diventare simili all'uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia (Mt 7,24). Su tale edificio cada pure la pioggia scatenata dagli spiriti perversi che abitano nell'aria; si rovescino le inondazioni provocate dai principi e dalle potestà, i gagliardi venti dei dominatori di questo mondo tenebroso, o il diluvio mandato dagli spiriti infernali. Tutte queste forze del nemico cozzeranno contro la nostra dimora fondata sulla roccia, per cui essa non cadrà, anzi nemmeno verrà scossa. Saranno gli spiriti del male a patire da noi offesa più che a provocarla. Ognuno di noi possa dire, colpendo il nemico Faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria (1 Cor 9,26).

Poiché il seminatore è uscito per seminare, mostriamo che la nostra anima ha ricevuto quel seme, non come l'orlo della strada, né come luogo sassoso, oppure come le spine, ma come la buona zolla.

L'Apostolo ci dice: Voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio (1 Cor 3,9). Questo campo è fertile, questa costruzione è piantata sulla roccia.

Come edificio uscito dalla mano di Dio, persistiamo irremovibili nella tempesta; come terreno reso fertile dal divino Agricoltore, non diamo retta al maligno né inquietiamoci della tribolazione o delle ostilità che devono sorgere contro la Parola. Non lasciamoci affliggere dagli affanni di questo mondo, dall'inganno delle ricchezze o dai piaceri della vita.

Disprezziamo tutte queste effimere cose e accogliamo lo Spirito di sapienza che bandisce ogni angoscia. Voliamo verso ricchezze che non hanno nulla di vano o di menzognero, verso i piaceri del cosiddetto "paradiso di delizie".

In ogni sfibrante afflizione ricordiamoci di questa parola: il momentaneo. leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili ma su quelle invisibili (2 Cor 4,17-18).

Ciò che la Scrittura dice su Abele, ucciso dall'omicida e ingiusto Caino, si riferisce a tutti quelli il cui sangue fu sparso ingiustamente. La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! (Gn 4,10). Penso che questa frase valga per qualsiasi martire, perché la voce del loro sangue grida verso Dio dalla terra.

Siamo stati riscattati dal sangue prezioso di Cristo, dopo ch'egli ebbe ricevuto il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9). In lui il sangue prezioso dei martiri potrà servire ugualmente al riscatto, poiché questi santi sono esaltati più di quanto lo sarebbero se fossero soltanto giusti e non martiri.

E' adeguato il termine di esaltazione gloriosa per la morte sofferta nel martirio. In tal senso vanno intese le parole: Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,32). Perciò, a nostra volta, rendiamo gloria a Dio, esaltandolo con la nostra morte.

Augustinus
11-08-04, 07:57
Alloquium Jesu Christi ad animam fidelem, in Alloquiorum, lib. I, p. IV, 26. Opera omnia, Monsterolii, 1890, t. IV, 363.

Se qualcuno ti rimprovera o t'insulta, rispondigli con volto sereno e benigno; taci e sorridi umilmente, dando un segno che non ti senti offesa, che non pensi a vendetta. In tali momenti non dire più di due o tre parole, e con modestia.

Sii cosi umile e mite che chiunque possa osare di rimproverarti; nessuno tema di accantonarti, nessuno di lanciarti un insulto. Impara a tacere in ogni contrasto, di fronte a rimproveri, insulti, oltraggi, e troverai la mia grazia.

Otterrai la grazia che desidero donarti soltanto tacendo e sopportando serenamente ciò che io ti chiedo di sopportare.

Tu hai, figlia e sposa mia, un esempio di umiltà e di pazienza nella mia vita. Non dissi a caso: Imparate da me, che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29).

Tra pene e atroci tormenti, tra derisioni e imprecazioni, tra minacce e pugni, quale lamento è uscito dalla mia bocca? Chi ho maledetto? Non ho forse pregato per tutti?

Così anche tu abbi pazienza, in silenzio e tranquillità, mite, senza mormorazione né lamenti.

Non combattere per te. Non rispondere in tua difesa; non ti scusare. Taci e affida a me te stessa e la tua causa. lo combatterò per te; e tu, in silenzio, senza scomporti, unisciti a me, pronta a subire qualsiasi umiliazione per amor mio, piuttosto che reagire minimamente, anche solo nel tuo interno.

Fino a quando credi di ricevere un torto, fino a quando ti sembra subire ingiustizie, ancora, figlia mia, non sei arrivata alla vera pazienza e alla conoscenza di te stessa.

Va incontro, con gioia e amore, all'avversità e offriti a me per sopportare e soffrire qualunque cosa io voglia.

Considera perduto quel giorno in cui non hai portato una croce particolare. Se sapessi quanto vale un atto di pazienza, avresti un gran rispetto e gratitudine per quelli che te ne danno l'occasione. Pensa alla dolcezza del mio cuore verso quelli che sputavano, flagellavano, crocifiggevano me, Agnello innocente; io li scusavo e pregavo per loro. Cosi tu non devi mai pensare che ti si faccia un torto; pensa solo a me e renditi conto che sono solo io a dirigere tutto per tuo amore (Mt 11,29).

Augustinus
11-08-04, 07:59
Sermo 331, 1‑2. Enarrationes in psalmos 102, 3. PL 38, 1459‑1460. PL 37, 1317.

Chi ama la sua vita la perde

e chi odia la sua vita in questo mondo,

la conserverà per la vita eterna.

Provocati da queste parole del Signore, come da squillo di tromba, i martiri si sentirono infiammare al combattimento; e vinsero, non contando sulle proprie forze, ma sul Signore. In due modi si può intendere la frase evangelica: Chi ama la sua vita la perde. Ciò può voler dire: Se la ami, la perdi. Oppure: Non amarla per non perderla. Il primo senso possibile ha questo significato: Se ami veramente la tua anima, se c'è in te amore, perdila. Seminala sulla terra, per mieterla in cielo. Se l'agricoltore non sacrifica il frumento seminandolo, non ha molto a cuore la messe. L'altro senso suona cosi:

Sta' attento a non amare la tua anima, per non perderla. Chi teme di morire crede di amarla, ma se i martiri avessero amato la vita cosi l'avrebbero senz'altro perduta. Che vantaggio sarebbe conservare la propria anima in questo mondo, se tu la perdessi nell'altro? Che gioverebbe conservarla sulla terra e perderla in cielo? Che valore ha conservare la vita quaggiù? E fino a quando potrai tenerla? Quel che possiedi ti lascia: se a lasciare sei tu, lo ritrovi in te. Ecco, i martiri hanno conservato la loro vita, ma sarebbero martiri se si fossero attaccati ad essa? Ammesso pure che l'avessero conservata, sarebbero forse vissuti fino ad oggi? Se avessero rinnegato Cristo per conservare l'esistenza in questo mondo, non avrebbero da un pezzo lasciato la terra e indubbiamente perduto l'anima? Al contrario, per non aver rinnegato Cristo, i martiri passarono da questo mondo al Padre. Cercarono Cristo confessandolo, lo raggiunsero morendo. Cosi si sono arricchiti enormemente, perdendo la vita mortale; con del fieno a cui rinunziarono si sono acquistati la corona. Proprio cosi: si sono meritati la corona, giungendo a possedere la vita che non finisce.

I martiri dettero compimento alla parola del Signore, meglio, la parola del Signore si compì in essi, perché: Chi avrà perduto la sua vita per causa .mia la troverà (Mt 10,39). Non si tratta di perderla in un qualsiasi modo, o per una ragione qualunque, ma per causa di Cristo. Infatti i martiri gli avevano attestato mediante una profezia: Per te ogni giorno siamo messi a morte (Sal 43,23). Ciò che costituisce il martirio non è il supplizio ma la motivazione. Sul Calvario, la passione dei tre crocifissi ebbe cause differenti. Il Signore era in croce tra due ladri, l'uno a destra e l'altro a sinistra. E come se quel legno fosse stato un tribunale, egli condannò colui che ingiuriava e salvò l'altro che lo riconobbe. Se già dalla croce il Signore emette tali giudizi, quale sarà la sentenza quando ritornerà come giudice? Infatti egli distingue tra le croci, non secondo il supplizio ma in ordine alla motivazione.

Se consideriamo il supplizio, Cristo non somiglia forse ai due malfattori? Ma se uno domanda alla croce, perché Gesù vi sia appeso, essa risponderà: "A causa vostra". I martiri dicano dunque al Signore: "Noi moriamo per te sdegnando la nostra vita quaggiù, per ritrovarla in cielo". Essi rimangono fedeli a questa parola del Signore: Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. I martiri vollero dunque donare. ma essi chi erano, che cosa avevano da donare e a chi? Erano uomini che resero a Dio il loro servizio, compiendolo fino alla morte. E che cos'era questo se non quanto era stato loro donato? Che cosa davano che non l'avessero già ricevuto? In realtà, a ricompensare con la vita eterna è Dio, cosi com'egli è il solo che tutto dona.

Augustinus
11-08-04, 16:35
Dal sito del VATICANO (http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cclergy/documents/rc_con_cclergy_doc_19022000_slor_it.html):

SAN LORENZO
PROTO DIACONO DELLA CHIESA ROMANA

Don Francesco Moraglia

Docente di teologia sistematica

Genova

La storia della Chiesa ci ha consegnato grandi figure di vescovi e presbiteri che hanno contribuito ad illustrare sul piano teologico e pastorale il significato profondo del ministero ordinato. Per l'episcopato spiccano, fra le altre, le figure di Ireneo, Agostino, Winfrìdo-Bonifacio, Bartolomeo Las Casas, Ildefonso Schuster; per il presbiterato assumono rilievo, in epoca moderna e contemporanea, Filippo Neri, Giovanni Maria Vianney, Giovarmi Bosco, Pietro Chanel, Massimiliano Kolbe. Anche il ministero diaconale prende contorni più chiari se lo si considera alla luce delle figure dei grandi diaconi; è il caso, ad esempio, del martire Lorenzo, proto diacono della chiesa romana che, con Stefano e Filippo, è certamente una dei più famosi dell'antichità.

Il diaconato considerato in se stesso, come ministero permanente, non finalizzato al presbiterato, viene meno in occidente dopo che, fino al V secolo, era stata un'istituzione fiorente; ad iniziare da tale epoca - sostanzialmente per il maggior coinvolgimento dei presbiteri nell'attività pastorale -, il primo grado del sacramento dell'ordine si riduce a semplice tappa d'accesso al grado successivo: il presbiterato. Si può allora facilmente comprendere come mai l'istituzione diaconale, sul piano della riflessione teologica e della prassi pastorale, sia rimasta inibita, quasi fossilizzata.

A tale situazione, già nel XVI secolo, tentò dì reagire il concilio di Trento ma senza successo; bisognerà attendere il concilio Vaticano II, nella seconda metà del XX secolo, per vedere ristabilito il diaconato "come un grado proprio e permanente della gerarchia ..."; il testo della costituzione dogmatica Lumen Gentium, ancora al n. 29, subito dopo l'affermazione, precedente specifica: "… col consenso del romano pontefice questo diaconato potrà essere conferito ad uomini di più matura età anche viventi nel matrimonio, e cosi pure a giovani idonei, per i quali, però, deve rimanere ferma la legge dei celibato" (EV. 1/360).

Paolo VI, nella Lettera apostolica. Sacrum diaconatus ordinem -18 giugno 1967-, ribadisce che l'ordine del diaconato "...non deve essere considerato come un puro e semplice grado di accesso a! sacerdozio; esso, insigne per l'indelebile carattere e la particolare sua grazia, di tanto si arricchisce che coloro i quali. vi sono chiamati possono in maniera stabile dedicarsi 'ai misteri di Cristo e della Chiesa' "(EV, 2/1369).

Già il solo fatto che nella Chiesa latina per un periodo cosi lungo - quindici secoli -, il diaconato non si sia attuato nella forma permanente, lascia intuire che sul piano della riflessione teologica e della prassi pastorale è necessario recuperare il tempo perduto attraverso una riflessione ampia da parte di tutta la comunità ecclesiale. Il diaconato permanente, infatti, costituisce un importante arricchimento per la missione della Chiesa.

Ovviamente il ripristino del diaconato permanente, autorevolmente richiesto dall'ultimo concilio, non può che avvenire in armonia e continuità con l'antica tradizione. Oltremodo significative le parole della Congregazione per l'Educazione Cattolica a della Congregazione per il Clero, nella recente dichiarazione congiunta - del 22 febbraio 1998 -, dichiarazione posta all'inizio delle: "Norme fondamentali per informazione dei diaconi permanenti" e del "Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri"; tali parole risultano chiarificatrici e in grado di orientare per il futuro; in esse si dice: "è l'intera realtà diaconale (visione dottrinale fondamentale, conseguente discernimento vocazionale e preparazione, vita, ministero, spiritualità e formazione permanente) che postula oggi una revisione del cammino dì formazione fin qui percorso, per giungere ad una chiarificazione globale, indispensabile per un nuovo impulso di questo grado dell'Ordine sacro, in corrispondenza con i voti e le intenzioni del Concilio Ecumenico Vaticano II" (Norme fondamentali per la formazione da diaconi permanenti, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti. Città del Vaticano l998, pag. 7).

Riprendendo quanto detto circa le grandi figure di vescovi, presbiteri e diaconi che hanno illustrato ed inciso sul ministero ordinato, determinandone una comprensione più vera ed approfondita, risulta del tutto coerente soffermarsi sulla figura del diacono Lorenzo che nella sua vicenda personale spinge a ripensare il pruno grado dei ministero ordinato che, per le vicende storiche sopramenzionate, attende ancora oggi d'essere pienamente colto e valorizzato. Si tratta di dare nuova linfa ad un ritrovato ministero diaconale inteso come ministero permanente in grado d'esprimersi con maggiore fecondità nella vita della Chiesa.

Le vicissitudini personali di san Lorenzo, arcidiacono della Chiesa di Roma, ci sono giunte attraverso un'antica tradizione già divulgata nel IV secolo; tale tradizione accolta dalla Chiesa è stata anche recepita dai testi liturgici.

Le vicende più note del martirio di Lorenzo sono descritte, con ricchezza di particolari, nella Passio Polychromì di cui abbiamo tre redazioni (V-V11 secolo); che in questo racconto siano contenuti elementi leggendari è un dato di fatto anche se talune notizie qui presentate sono note anche da testimonianze precedenti come quella di sant'Ambnogio nel De Officiis (Cfr. PL XVL 89-92).

Partiamo, con l'intento di ampliarla, dalle brevi note riportate per la festa del martire che - secondo la "Depositio martyrum" (anno 354) - cade il 10 agosto; ecco le espressioni del Messale Romano: "Lorenzo, famoso diacono della chiesa di Roma, confermò col martirio sotto Valeriano (258) il suo servizio di carità, quattro giorni dopo la decapitazione di papa Sisto II. Secondo una tradizione già divulgata nel IV secolo, sostenne intrepido un atroce martirio sulla graticola, dopo aver distribuito i beni della comunità ai poveri da lui qualificati come veri tesori della Chiesa...". Queste note si chiudono ricordando che il nome di Lorenzo è menzionato anche nel Canone Romano.

Così la Chiesa, nei suoi testi liturgici ufficiali, fa suo quanto riferisce l'antica tradizione che, pure, conosce al suo interno versioni diverse. Qui non intendiamo entrare in merito alle ipotesi recentemente avanzate dalla critica storiografica che inclinerebbe a spostare la data del martirio di Lorenzo all'inizio del IV secolo e a caratterizzarne la figura secondo linee diverse da quelle tradizionali; per esempio, Lorenzo non sarebbe spagnolo ma romano, a tale proposito il prefazio della mensa XII del Sacramniarìo leoniano lo presenta come civis romano. Ma, come annota Paolo Toschi, tutti questi nuovi studi: ''non tolgono a priori la possibilità che in Roma esistesse una vera e propria tradizione, esposta con evidenti abbellimenti retorici da sant'Ambrogio, circa la tragica cattura e la fine di san Lorenzo proprio per mezzo del fuoco, supplizio che si sa inflitto, sempre sotto Valeriano, a san Fruttuoso e ai diaconi Eulogio e Augurio a Tarragona. D'altronde il verbo animadvertere adoperato nel decreto dì persecuzione nella redazione ciprianea può riferirsi anche ad altre forme di esecuzioni capitali oltre la 'decollazione' "(Bibliotheca Sanctorum, vol. … 1539).

Recepiamo, qui, il dato tradizionale così come viene riportato dai testi liturgica, limitandoci a proporlo in modo più articolato.

Così Lorenzo sarebbe nato in Spagna, ad Osca cittadina dell'Aragona che sorge alle falde dei Pirenei. Ancora giovane, per completare gli studi umanistici e teologici fu mandato nella città di Saragozza, dove conobbe il futuro papa Sisto II. Questi - originario della Grecia -, svolgeva il suo ufficio d'insegnante in quello che era, all'epoca, uno dei più noti centri di studi e, tra quei maestri, il futuro papa era uno dei più conosciuti ed apprezzati.

Da parte sua Lorenzo, che un giorno sarebbe diventato il capo dei diaconi della Chiesa di Roma, si imponeva per le sue doti umane, per la delicatezza d'animo e l'ingegno. Tra il maestro e l'allievo iniziò, cosi, una comunione e una dimestichezza di vita che, col passare del tempo, crebbe e si cementò; intanto, l'amore per Roma, centro della cristianità e città sede del Vicario di Cristo si faceva, per entrambi, più forte, fino a quando, seguendo un flusso migratorio allora molto vivace, essi lasciarono la Spagna per la città dove l'apostolo Pietro aveva posto la sua cattedra e reso la suprema testimonianza. Così maestro e allievo proprio a Roma, nel cuore della cattolicità, potevano realizzare il loro ideale di evangelizzazione e missionarietà ... fino all'effusione del sangue. Quando il 30 agosto dell'anno 257, Sisto II salì il soglio di Pietro - per un pontificato che sarebbe duralo meno di un anno -, subito, senza esitare, volle accanto a sé, affidandogli il delicato incarico di proto diacono, l'antico discepolo e amico Lorenzo.

I due, infine, suggellarono la loro vita di comunione e amicizia morendo per mano dello stesso persecutore, separati solamente da pochi giorni.

Della fine di papa Sisto II abbiamo notizie in una lettera di san Cipriano, vescovo di Cartagine. Cipriano, parlando della situazione di grande incertezza e disagio in cui versavano le Chiese a causa della crescente ostilità verso i cristiani, annota: "L'imperatore Valeriano ha spedito al senato il suo rescritto col quale ha deciso che vescovi, sacerdoti e diaconi siano subito messi a morte ... - poi la testimonianza di Cipriano continua - ... vi comunico che Sisto ha subito il martirio con quattro diaconi il 6 agosto, mentre si trovava nella zona del cimitero. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali cristiani, debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell'erario imperiale" (Lettera 80; CSEL 3,839-840).

Il cimitero a. cui allude il santo vescovo di Cartagine è quello di Callisto, dove Sisto fu catturato mentre celebrava la sacra liturgia e dove fu sepolto dopo il martirio.

Invece, per il martirio del diacono Lorenzo, abbiamo la testimonianza particolarmente eloquente di sant'Ambrogio nel De Officiis (1 41,205-207), ripresa, in seguito, da Prudenzio e da sant'Agostino, poi ancora da san Massimo di Torino, san Pier Crisologo, san Leone Magno, infine da alcune formule liturgiche contenute nei Sacramentali romani, nel Missale Gothicum e nell'Ormionale Visigotico (Bibliotheca Sanctorum, vol. ..., 1538-1539).

Ambrogio si dilunga, dapprima, sull'incontro e sul dialogo fra Lorenzo e il Papa, poi allude alla distribuzione dei beni della Chiesa ai poveri, infine menziona la graticola, strumento del supplizio, rimarcando la frase con cui il proto diacono della Chiesa di Roma rivolgendosi ai suoi aguzzini dice: assum est, ... versa et manduca (Cfr. Bibfiotheca Sanctorum, vol. ..., col.1538-1539).

Ed è proprio il testo ambrosiano del De Officiis (cap. 41, nn.205-206-207), commovente nella sua intensità e forza espressiva, che prendiamo come riferimento; sant'Ambrogio così si esprime:

205. "... san Lorenzo, ... vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere non perché quello era condotto a morire, ma. perché egli doveva sopravvivergli. Comincia dunque a dirgli a gran voce: ''Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro. Che ti è spiaciuto dunque in me, o padre? Forse mi hai trovato indegno? Verifica almeno se hai scelto un ministro idoneo. Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue dei Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri? Sta' attento che, mentre viene lodata la tua fortezza, il tuo discernimento non vacilli. Il disprezzo per il discepolo è danno per il maestro. È necessario ricordare che gli uomini grandi e famosi vincono con le prove vittoriose dei loro discepoli più che con le proprie? Infine Abramo offrì suo figlio, Pietro mandò innanzi Stefano. Anche tu, o padre, mostra in tuo figlio la tua virtù; offri chi hai educato, per giungere al premio eterno in gloriosa compagnia, sicuro del tuo giudizio".

206. Allora Sisto gli rispose: "Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d'una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente ci sia questo intervallo. Non sarebbe stato degno di te vincere sotto la guida del maestro, come se cercassi un aiuto. Perché chiedi di condividere il mio martirio? Te ne lascio l'intera ereditò. Perché esigi la mia presenza? I discepoli ancor deboli precedano il maestro, quelli già forti, che non hanno più bisogno d'insegnamenti, lo seguano per vincere senza di lui. Cosi anche Elia lasciò Eliseo. Ti affido la successione della mia virtù".

207. Cera fra loro una gara, veramente degna d'essere combattuta da un vescovo e da un diacono: chi per primo dovesse soffrire per Cristo. (Dicono che nelle rappresentazioni tragiche gli spettatori scoppiassero in grandi applausi, quando Pilade diceva dì essere Oreste e Oreste, com'era di fatto, affermava d'essere Oreste, quello per essere ucciso al posto di Oreste, Oreste per impedire che Pilade fosse ucciso al suo posto. Ma essi non avrebbero dovuto vivere, perché entrambi erano rei di parricidio: l'uno perché l'aveva commesso, l'altro perché era stato suo complice. Nel nostro caso) nessun desiderio spingeva san Lorenzo se non quello d'immolarsi p«r il Signore. E anch'egli, tre giorni dopo, mentre, beffato il tiranno, veniva bruciato su una graticola: 'Questa parte è cotta, disse, volta e mangia'. Così con la sua forza d'animo vinceva l'ardore del fuoco'" (Sant'Anabrogio, De Officiis, libri tres, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Roma Città Nuova Editrice 1977, pp, 148-151).

Stando alla testimonianza di sant'Ambrogio, il diacono risulta caratterizzato:

1) come colui che, costituito sacramentalmente nel servizio della offerta (diaconia), vive il suo ministero diaconale esprimendo nella martyria suprema testimonianza per Cristo -, il senso teologico del servizio della carità, attraverso l'accoglienza di quell'amore-carità più grande che è il martirio.

2) come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, (primo grado dell'ordine), vive la "comunione ecclesiale", attraverso un servizio specifico all'episcopo, proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad esso.

3) come colui che, in forza del sacramento (cioè in quanto radicato nel primo grado dell'ordine), si dedica al servizio di una carità integrale a 360 gradi - quindi non solo solidarietà umana e sociale -, e così manifesta il carattere più tipico della diaconia.

Esaminiamo di seguito queste caratteristiche, incominciando dalla:

1) I1 diacono sì presenta come colui che, costituito sacramentalmente nel servizio della offerta (diaconia), vive il suo ministero diaconale esprimendo nella martyria suprema testimonianza per Cristo -, il senso teologico del servizio della carità, attraverso l'accoglienza di quell'amore-carità più grande che è il martirio.

Se la caratteristica principale che identifica il diacono, in sé, e nel suo ministero è: essere ordinato per il servizio della carità, allora la martyria - testimonianza fino all'effusione del sangue -, va considerata come espressione di un amore-carità più grande, ossia il servizio di una carità che non conosce limiti. Il ministero della carità a cui il diacono viene deputato attraverso l'ordinazione non si ferma, quindi, al servizio delle mense o, come si usava dire una volta con linguaggio catechistico» alle opere di misericordia corporali ma, neppure a quelle spirituali, piuttosto il servizio diaconale della carità deve pervenire, nell'incondizionata consegna di sé, fino all'imitazione di Cristo, il testimone fedele per antonomasia (Cfr, Ap 1,5; 3,14).

Nel caso di san Lorenzo - spiega Ambrogio "nessun desiderio lo spingeva se non quello d'immolarsi per il Signore (Cfr. Sant'Ambrogio, De Officiis, I, 41, n. 207); così, attraverso la testimonianza data innanzi ai suoi persecutori, si fa evidente che l'esercizio del ministero diaconale qui non si identifica col servizio del prossimo, ridotto alle sole necessità materiali; poiché proprio in quel gesto che esprime un amore più grande per Cristo e che porta a donare la vita, Lorenzo fa in modo che anche i suoi carnefici possano, in senso reale, fare "una qual certa" esperienza del Verbo incarnato che, alla fine, è il destino personale e comune di ogni uomo, questo è il servizio teologico della carità a cui ogni diacono deve tendere o, almeno, rimanere disponibile.

Ciò non significa che il diacono nel suo ministero esaurisca la testimonianza della carità che è, e rimane sempre, vocazione e missione di tutta la Chiesa; piuttosto si intende affermare che, in forza dell'ordinazione, il diacono porta in sé, in modo sacramentale-specifico, la "forma Christi'" per il servizio della carità; vale a dire un "esercizio ministeriale" della carità che si attua nei confronti di Cristo e dei fratelli e che può giungere a richiedere anche il dono di sé ... fino al sacrificio della vita. Chiare risuonano, allora, le parole che Lorenzo rivolge al vescovo Sisto: "infine Abramo offrì suo figlio, Pietro mandò innanzi Stefano. Anche tu, o padre, mostra in tuo figlio la virtù; orni chi hai educato, per giungere al premio eterno in gloriosa compagnia, sicuro del tuo giudizio" (Sant'Ambrogio, De Officiis, I, 41, n.205).

Giova ribadire, comunque, che la testimonianza di un "amore-carità" più grande, da parte di chi è ordinato proprio per il servizio della carità, non esimerà mai la Chiesa-Sposa dall'offrirsi a Cristo-Sposo, nel dono della "martyria" in cui, al di là di ogni reticenza e ambiguità, si manifesta il valore assoluto e l'unione inscindibile che "verità" e "carità" assumono nella vita del discepolo del Signore (Cfr. l Cor l3,4-5; Fil 4,15).

A tale proposito è utile rileggere il testo di Lumen Gentium 42, in cui si afferma: "... il martirio, col quale il discepolo è reso simile al maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e a lui si conforma nell'effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come il dono eccezionale e la suprema prova di carità ... se a pochi il martirio è concesso, devono però tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa" (EV, 1/398).

Ora - nonostante la chiamata universale alla carità anche eroica -, un fatto rimane incontrovertibile: nella Chiesa esiste uno specifico "ministero ordinato", quindi degli uomini sacramentalmente costituiti per il servizio della carità;

2) Il diacono si presenta come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, (primo grado dell'ordine), vive la "comunione ecclesiale", attraverso un servizio specifico all'episcopo, proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad essa:

Questa è l'altra caratteristica che si evince dal colloquio tra Sisto e Lorenzo presso il cimitero di Callisto; il dialogo pone in evidenza come proprio nel legame sacramentale che unisce il diacono all'episcopo, il diacono appaia "uomo della comunione" esattamente attraverso il servizio specifico a! vescovo; tale servizio, poi, si realizza, concretamente, nel fedele adempimento di ciò che l'episcopo, in virtù della pienezza del sacerdozio e del governo che ha sulla sua Chiesa - sempre nella comunione con il vescovo di Roma -, richiede al suo diacono secondo le necessità e le urgenze ecclesiali.

Nel ministero del diacono, infine, tutto ha come riferimento l'altare, in quanto nella Chiesa ogni cosa, ad iniziare dalla carità, ha la sua origine dalla SS. Eucaristia. Ecco il punto in cui la testimonianza di Ambrogio, a riguardo, si fa particolarmente significativa: "… Lorenzo ... vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò ... a dirgli a gran voce: 'Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro? ... Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue del Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri? "(Sant'Ambrogio, De Officiis, 1.41, n. 205 ....).

La comunione e l'affetto tra il vescovo e il diacono, che qui si manifestano nella comune dipendenza e nel comune legame all'Eucaristia, esprimono una visione ecclesiale profondamente teologica che va oltre le concezioni che abbassano e riducono la Chiesa-Sposa, alla mera dimensione politica e sociologica, equiparandola, di fatto, ad una tra le tante istituzioni umane; cosi è necessario liberarsi da ogni prospettiva secolarizzala e secolarizzante che ineluttabilmente porta a smarrire o a compromettere il senso e la forza rigeneratrice del Mistero; il rischio è quello di vedere tanto nel papa, quanto nei vescovi, nei presbiteri e nei diaconi, altrettanti gradini di una infinita burocrazia del tutto simile a quella della pubblica amministrazione e deputata, come questa, a vigilare su un non meglio precisato buon ordine dell'insieme.

L'incontro tra papa Sisto e il diacono Lorenzo ci invita, se mai fosse il caso, a ribaltare una tale visione e a riscoprire nel cuore della Istituzione-Chiesa, sempre indispensabile, e delle strutture ecclesiali, parimenti necessarie, la realtà viva e vivificante della grazia che le anima e, insieme, ci invita a riscoprire il legame teologico che le vincola a Cristo, unico, vero Episcopo, Presbitero e Diacono. D'altra parte già nel Nuovo testamento - nella lettera ai Filippesi (Cfr. Fil 1,1) e nella prima lettera a Timoteo (Cfr. 1 Tim 3,1-13) -, troviamo associati il vescovo e il diacono; in seguito è attestato il loro stretto legame nella "Traditio Apostolica" - inizio III secolo (Ippolito di Roma?) -, dove la grazia conferita al diacono col rito di ordinazione è definita dì "semplice servizio del vescovo", senza alcun sacerdozio; pochi anni dopo - a metà del III secolo, in Siria -, la "Didascalia degli Apostoli" presenta il diacono come il "servitore del vescovo e dei poveri".

Infine, il rapporto che lega strutturalmente il diacono al vescovo oggi viene espresso in maniera trasparente attraverso la liturgia dell'ordinazione; in questo cerimoniale, infatti, a differenza di quello dell'ordinazione dei vescovi e dei presbiteri, il gesto dell'imposizione delle mani viene compiuto unicamente dal vescovo ordinante per indicane appunto, il vincolo caratteristico e singolare che lega il diacono al vescovo.

3) II diacono si presenta come colui che, in forza del sacramento (cioè in quanto radicato nel primo grado dell'ordine), si dedica al servizio di una carità integrale a 360 gradi - quindi non solo solidarietà umana e sociale -, e così manifesta il carattere più tipico della diaconia.

Nella sua testimonianza, Ambrogio ci presenta ancora Lorenzo come colui che, m forza del sacramento ricevuto, è pienamente dedito al servizio della carità in una situazione concreta: la Roma imperiale del terzo secolo, mentre infuria la persecuzione; e in tale congiuntura, Lorenzo è chiamato a porre, dinanzi alla comunità ecclesiale e al mondo, gesti concreti destinati a trasformarsi in altrettanti segni dell'Amore-Carità di Dio, ossia di quella Carità da cui ogni cosa proviene e verso cui è incamminata; e proprio in tale servizio, il diacono esprime il ministero più tipico della sua diaconia che consiste, appunto, nel servizio della carità compiuto in forza del mandato sacramentale; insomma un'animazione che riguarda la Chiesa o settori della vita ecclesiale e che si presenta secondo i caratteri della cattolicità (kat'olon = secondo la totalità, senza escludere nulla); l'aspirazione di tale servizio è la totalità degli uomini senza eccezioni; il contenuto, un bene che risponda a tutte le attese dell'uomo - spirito, anima e corpo (Cfr. 1 Ts 5,23) - escludendo ogni parzialità e unilateralità.

Inoltre, nel testo ambrosiano si coglie un'allusione che aiuta la riflessione: Sisto, ormai prigioniero, affida a Lorenzo, il primo dei suoi diaconi, l'intera Chiesa e (gliela lascia per lo spazio di tre giorni: "… A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d'una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente ci sia questo intervallo..." (Sant'Ambrogio, De Officiis, n. 206). Lorenzo, in quei tre giorni, e come diacono, in spirito di servizio e obbedienza al suo vescovo - ormai strappato definitivamente al suo popolo -, dovrà avere cura della Chiesa, così per l'ultima volta amministrerà i beni della Sposa di Cristo e lo farà con un gesto che ha in sé la forza dì una definizione e che dice come nella Chiesa tutto sia finalizzato e assuma, valore a partire dal servizio della carità, realtà destinata a rimanere anche quando tutto sarà venuto meno e la scena di questo mondo sarà passata (Cfr. l Cor l3,8).

A chi guarda da lontano, in modo approssimativo - e, tutto sommato, superficiale -, questo gesto può sembrare legato esclusivamente alle necessità materiali e al tempo presente; si tratta, infatti, solamente della distribuzione di beni materiali a dei poveri; in realtà, l'atto che Lorenzo compie, m spirito di fedeltà alla consegna ricevuta dal vescovo e al ministero ecclesiale in cui è costituito, è un atto che lo proietta e con lui proietta tutta la Chiesa - affidatagli fino al momento del martirio -, oltre la storia, nell'escatologìa, ossia, nel "tempo" e nello "spazio" in cui Dio manifesta la pienezza della sua carità e del suo amore.

Così il diacono Lorenzo, ministro ordinato della carità, porta a termine il compito che aveva ricevuto, non solo in quanto segue il suo vescovo nel martirio ma perché attraverso il gesto col quale dona ai poveri tutte le risorse della comunità - qui espresse dai beni materiali -, manifesta come nella Chiesa, ogni cosa abbia valore se è orienta alla carità, se diventa servizio alla carità, se può trasformarsi in carità.

E tale servizio - come ricorda la prima lettera ai Tessalonicesi (Cfr. 1 Ts 5,23) -, si estende non solo al "corpo"' ma anche allo "spirito" e all'"anima'', cosa che sì palesa in tutta chiarezza in quella preghiera che - secondo la Passio Polychronii (gli atti del martirio di Lorenzo) -, il santo diacono volle recitare per la città di Roma prima di stendersi sulla graticola.

E la città, che gli attribuiva la definitiva vittoria sul paganesimo, lo ricambiò eleggendolo suo terzo patrono e celebrando la sua festa fin dal IV secolo, come seconda, per importanza, dopo quella dei beati apostoli Pietro e Paolo e innalzando, in onore del santo diacono, nell'antichità e nel medio evo, ben trentaquattro chiese e cappelle, segno tangibile di gratitudine verso colui che, fedele al suo ministero, era stato, in mezzo a lei, vero ministro e servitore della carità.

Ora, al termine di queste riflessioni sul ministero del "diaconato" inteso soprattutto nella sua forma "permanente", possiamo dire:

1) bisogna saper guardare con spirito critico a tutte quelle prospettive - ormai superate, in verità - che, di fatto, interpretano e presentano il diaconato come un ministero che conduce alla clericalizzazione dei laici e alla laicizzazione dei chierici, giungendo così ad indebolire l'identità d'entrambi.

2) il diacono, che si distingue dai vescovo e dal presbitero in quanto non è ordinato "ad sacerdotium, sed ad ministerium", è costituito in un grado autentico della gerarchia e non può essere compreso come puro accesso al sacerdozio.

3) il diacono è abilitato al servizio della carità in stretta dipendenza con l'Eucaristia e alla cura privilegiata dei poveri, tanto nel servizio delle mense (opere di misericordia corporali), quanto nel servizio della parola (opere di misericordia spirituali) e rimanendo aperto al servizio di un amore-carità più grande, il martirio.

Infine, l'istituto del "diaconato permanente", rappresenta e segna un importante arricchimento per la Chiesa e la sua missione anche in vista della nuova evangelizzazione che il Santo Padre continuamente richiama all'inizio del terzo millennio dell'era cristiana; ed è proprio la bellezza, la forza e l'eroicità dì figure di diaconi come san Lorenzo che aiutano a scoprire e a comprendere meglio la peculiarità del ministero diaconale.

Augustinus
11-08-04, 16:46
HYMNUS IN HONOREM PASSIONIS LAURENTII BEATISSIMI MARTYRIS

Antiqua fanorum parens,
iam Roma Christo dedita,
Laurentio uictrix duce
ritum triumfas barbarum.

Reges superbos uiceras
populosque frenis presseras,
nunc monstruosis idolis
inponis imperii iugum.

Haec sola derat gloria
urbis togatae insignibus,
feritate capta gentium
domaret ut spurcum Iouem,

non turbulentis uiribus
Cossi, Camilli aut Caesaris,
sed martyris Laurentii
non incruento proelio.

Armata pugnauit Fides
proprii cruoris prodiga;
nam morte mortem diruit
ac semet inpendit sibi.

Fore hoc sacerdos dixerat
iam Xystus adfixus cruci
Laurentium flentem uidens
crucis sub ipso stipite:

'Desiste discessu meo
fletum dolenter fundere!
praecedo, frater; tu quoque
post hoc sequeris triduum.'

Extrema uox episcopi,
praenuntiatrix gloriae,
nihil fefellit; nam dies
praedicta palmare praetulit.

Qua uoce, quantis laudibus
celebrabo mortis ordinem,
quo passionem carmine
digne retexens concinam?

hic primus e septem uiris,
qui stant ad aram proximi,
leuuita sublimis gradu
et ceteris praestantior,

claustris sacrorum praeerat
caelestis arcanum domus
fidis gubernans clauibus
uotasque dispensans opes.

Versat famem pecuniae
praefectus urbi regiae,
minister insani ducis,
exactor auri et sanguinis,


qua ui latentes eruat
nummos operta existimans
talenta sub sacrariis
cumulosque congestos tegi.

Laurentium sisti iubet,
exquirit arcam ditibus
massis refertam et fulgidae
montes monetae conditos.

'Soletis', inquit, 'conqueri
saeuire nos iusto amplius,
cum christiana corpora
plus quam cruente scindimus.

Abest atrocioribus
censura feruens motibus,
blande et quiete efflagito,
quod sponte obire debeas.

Hunc esse uestris orgiis
moremque et artem proditum est,
hanc disciplinam foederis,
libent ut auro antistites.

Argenteis scyfis ferunt
fumare sacrum sanguinem
auroque nocturnis sacris
adstare fixos cereos.

Tum summa cura est fratribus,
ut sermo testatur loquax,
offerre fundis uenditis.
sestertiorum milia.

Addicta auorum praedia
foedis sub auctionibus
successor exheres gemit
sanctis egens parentibus.

haec occuluntur abditis
ecclesiarum in angulis
et summa pietas creditur
nudare dulces liberos.

Deprome thensauros, malis
suadendo quos praestrigiis
exaggeratos obtines,
nigrante quos claudis specu.

hoc poscit usus publicus,
hoc fiscus, hoc aerarium,
ut dedita stipendiis
ducem iuuet pecunia.

Sic dogma uestrum est,
suum quibusque reddito.
en, Caesar agnoscit suum
nomisma nummis inditum.

Quod Caesaris scis, Caesari
da, nempe iustum postulo.
ni fallor, haud ullam tuus
signat deus pecuniam,

nec, cum ueniret aureos
secum Filippos detulit,
praecepta sed uerbis dedit
inanis a marsuppio.

Inplete dictorum fidem,
qua uos per orbem uenditis,
nummos libenter reddite,
estote uerbis diuites!'

Nil asperum Laurentius
refert ad ista aut turbidum,
sed ut paratus obsequi
obtemperanter adnuit.

'Est diues', inquit, 'non nego,
habetque nostra ecclesia
opumque et auri plurimum
nec quisquam in orbe est ditior.

Is ipse tantum non habet
argenteorum enigmatum
Augustus arcem possidens,
cui nummus omnis scribitur.

Sed nec recuso prodere
locupletis arcam numinis,
uulgabo cuncta et proferam,
pretiosa quae Christus tenet.

Vnum sed orans flagito:
indutiarum paululum,
quo fungat efficacius
promissionis munere,

dum tota digestim mihi
Christi supellex scribitur;
nam calculanda primitus,
tum subnotanda est summula'.

Laetus tumescit gaudio
praefectus ac spem deuorat
aurum, uelut iam conditum
domi maneret, gestiens.

Pepigere tempus tridui,
laudatus inde absoluitur
Laurentius, sponsor sui
et sponsor ingentis lucri.

Tribus per urbem cursitat
diebus infirma agmina
omnesque, qui poscunt stipem,
cogens in unum et congregans.

Illic utrisque obtutibus
orbes cauatos praeferens
baculo regebat praeuio
errore nutantem gradum

et claudus infracto genu
uel crure trunco semipes
breuiorue planta ex altera
gressum trahebat inparem.

Est, ulcerosis artubus
qui tabe corrupta fluat,
est, cuius arens dextera
neruos in ulnam contrahat.

Tales plateis omnibus
exquirit, adsuetos ali
ecclesiae matris penu,
quos ipse promus nouerat.

Recenset exim singulos
scribens uiritim nomina,
longo et locatos ordine
adstare pro templo iubet.

Praescriptus et iam fluxerat
dies: furebat feruidus
iudex auaro spiritu
promissa solui efflagitans.

Tum martyr: 'Adsistas uelim
coramque dispositas opes
mirere, quas noster deus
praediues in sanctis habet.

Videbis ingens atrium
fulgere uasis aureis
et per patentes porticus
structos talentis ordines.'

It ille nec pudet sequi.
uentum ad sacratam ianuam,
stabant cateruae pauperum
inculta uisu examina.

Fragor rogantum tollitur,
praefectus horrescit stupens,
conuersus in Laurentium
oculisque turbatis minax.

Contra ille: 'quid frendens', ait,
'minitaris aut quid displicet?
num sordida haec aut uilia,
num dispuenda existimas?

Aurum, quod ardenter sitis,
effossa gignunt rudera
et de metallis squalidis
poenalis excudit labor,

torrens uel amnis turbidis
uoluens harenis inplicat;
quod terrulentum ac sordidum
flammis necesse est decoqui.

Pudor per aurum soluitur,
uiolatur auro integritas,
pax occidit, fides petit,
leges et ipsae intercidunt.

Quid tu uenenum gloriae
extollis et magni putas?
si quaeris aurum uerius,
lux est et humanum genus.

Hi sunt alumni luminis,
quos corpus artat debile,
ne per salutem uiscerum
mens insolescat turgida.

Cum membra morbus dissicit,
animus uiget robustior,
membris uicissim fortibus
uis sauciatur sensuum.

Nam sanguis in culpam calens
minus ministrat uirium,
si feruor effetus malis
elumbe uirus contrahat.

Si forte detur optio,
malim dolore asperrimo
fragmenta membrorum pati
et pulcher intus uiuere.

Committe formas pestium
et confer alternas lues:
carnisne morbus foedior,
an mentis et morum ulcera?

Nostri per artus debiles
intus decoris integri
sensum uenusti innoxium
laboris expertes gerunt,

uestros ualentes corpore
interna corrumpit lepra
errorque mancum claudicat
et caeca fraus nihil uidet.

Quemuis tuorum principum,
qui ueste et ore praenitent,
magis probabo debilem,
quam quis meorum est pauperum.

Hunc, qui superbit serico,
quem currus inflatum uehit,
hydrops aquosus lucido
tendit ueneno intrinsecus.

Ast hic auarus contrahit
manus recuruas et uolam
plicans aduncis unguibus
laxare neruos non ualet.

Istum libido faetida
per scorta tractum publica
luto et cloacis inquinat,
dum spurca mendicat stupra.

Quid? ille feruens ambitu
sitimque honoris aestuans
mersisne anhelat febribus
atque igne uenarum furit?

Quisquis tacendi intemperans
silenda prurit prodere,
uexatur et scalpit iecur
scabiemque cordis sustinet.

Quid inuidorum pectorum
strumas retexam turgidas,
quid purulenta et liuida
malignitatum uulnera?

Tute ipse, qui Romam regis,
contemptor aeterni dei,
dum daemonum sordes colis,
morbo laboras regio.

Hi, quos superbus despicis,
quos execrandos iudicas,
breui ulcerosos exuent
artus et incolumes erunt,

cum carne corruptissima
tandem soluti ac liberi
pulcherrimo uitae statu
in arce lucebunt patris,

non sordidati aut debiles,
sicut uidentur interim,
sed purpurantibus stolis
clari et coronis aureis.

Tunc, si facultas subpetat,
coram tuis obtutibus
istos potentes saeculi
uelim recensendos dari.

Pannis uideres obsitos
et mucculentis naribus,
mentum saliuis uuidum
lipposque palfebra putri.

Peccante nil est taetrius,
nil tam leprosum aut putidum,
cruda est cicatrix criminum
oletque ut antrum tartari.

Animabus inuersa uice
corrupta forma infligitur,
quas pulcher aspectus prius
in corpore oblectauerat.

En ergo nummos aureos,
quos proxime spoponderam,
quos nec fauillis obruat
ruina nec fur subtrahat.

Nunc addo gemmas nobiles,
ne pauperem Christum putes,
gemmas corusci luminis,
ornatur hoc templum quibus.

Cernis sacratas uirgines,
miraris intactas anus
primique post damnum tori
ignis secundi nescias.

Hoc est monile ecclesiae,
his illa gemmis comitur,
dotata sic Christo placet,
sic ornat altum uerticem.

Eccum talenta, suscipe,
ornabis urbem Romulam,
ditabis et rem principis,
fies et ipse ditior.'

'Ridemur', exclamat furens
praefectus, 'et miris modis
per tot figuras ludimur,
et uiuit insanum caput!

Inpune tantas, furcifer.
strofas cauillo mimico
te nexuisse existimas,
dum scurra saltas fabulam?

Concinna uisa urbanitas
tractare nosmet ludicris,
egon cachinnis uenditus
acroma festiuum fui?

Adeone nulla austeritas,
censura nulla est fascibus,
adeon securem publicam
mollis retudit lenitas?

Dicis: 'libenter oppetam,
uotiua mors est martyri' --
est ista uobis, nouimus,
persuasionis uanitas --;

sed non uolenti inpertiam:
praestetur ut mortis citae
conpendiosus exitus,
petite raptim non dabo.

Vitam tenebo et differam
poenis morarum iugibus,
et mors inextricabilis
longos dolores protrahet.

Prunas tepentes sternite,
ne feruor ignitus nimis
os contumacis occupet
et cordis intret abdita.

Vapor senescens langueat,
qui fusus adflatu leui
tormenta sensim temperet
semustulati corporis.

Bene est, quod ipse ex omnibus
mysteriarches incidit,
hic solus exemplum dabit,
quid mox timere debeant.

Conscende constratum rogum,
decumbe digno lectulo,
tunc, si libebit, disputa
nil esse Vulcanum meum!'

Haec fante praefecto truces
hinc inde tortores parant
nudare amictu martyrem,
uincire membra et tendere.

Illi os decore splenduit
fulgorque circumfusus est;
talem reuertens legifer
de monte uultum detulit,

Iudaea quem plebs aureo
boue inquinata et decolor
expauit et faciem retro
detorsit inpatiens dei.

Talemque et ille praetulit
oris corusci gloriam
Stefanus per imbrem saxeum
caelos apertos intuens.

Inluminatum hoc eminus
recens piatis fratribus,
baptisma quos nuper datum
Christi capaces fecerat;

ast inpiorum caecitas,
os oblitum noctis situ
nigrante sub uelamine
obducta clarum non uidet,

Aegyptiae plagae in modum,
quae, cum tenebris barbaros
damnaret, Hebraeis diem
sudo exhibebat lumine.

Quin ipsa odoris qualitas,
adusta quam reddit cutis,
diuersa utrosque permouet:
his nidor, illis nectar est.

Idemque sensus dispari
uariatus aura aut adficit
horrore nares uindice
aut mulcet oblectamine.

Sic ignis aeternus deus,
nam Christus ignis uerus est;
is ipse conplet lumine
iustos et urit noxios.

Postquam uapor diutinus
decoxit exustum latus,
ultro e catasta iudicem
conpellat adfatu breui:

'Conuerte partem corporis
satis crematam iugiter
et fac periclum, quid tuus
Vulcanus ardens egerit.'

Praefectus inuerti iubet,
tunc ille: 'coctum est, deuora
et experimentum cape,
sit crudum an assum suauius!'

Haec ludibundus dixerat,
caelum deinde suspicit
et congemescens obsecrat
miseratus urbem Romulam:

'O Christe, nomen unicum,
O splendor, O uirtus patris,
O factor orbis et poli
atque auctor horum moenium,

qui sceptra Romae in uertice
rerum locasti, sanciens
mundum Quirinali togae
seruire et armis cedere,

ut discrepantum gentium
mores et obseruantiam
linguasque et ingenia et sacra
unis domares legibus!

En omne sub regnum Remi
mortale concessit genus,
idem loquuntur dissoni
ritus, id ipsum sentiunt.

Hoc destinatum, quo magis
ius christiani nominis,
quodcumque terrarum iacet,
uno inligaret uinculo.

Da, Christe, Romanis tuis,
sit christiana ut ciuitas,
per quam dedisti, ut ceteris
mens una sacrorum foret!

Confoederantur omnia
hinc inde membra in symbolum,
mansuescit orbis subditus,
mansuescat et summum caput.

Aduertat abiunctas plagas
coire in unam gratiam,
fiat fidelis Romulus
et ipse iam credat Numa.

Confundit error Troicus
adhuc Catonum curiam
ueneratus occultis focis
Frygum penates exules.

Ianum bifrontem et Sterculum
colit senatus, horreo
tot monstra patrum dicere
et festa Saturni senis.

Absterge, Christe, hoc dedecus!
emitte Gabriel tuum,
agnoscat ut uerum deum
errans Iuli caecitas!

Et iam tenemus obsides
fidissimos huius spei,
hic nempe iam regnant duo
apostolorum principes,

alter uocator gentium,
alter cathedram possidens
primam recludit creditas
aeternitatis ianuas.

Discede, adulter Iuppiter,
stupro sororis oblite,
relinque Romam liberam
plebemque iam Christi fuge!

Te Paulus hinc exterminat,
te sanguis exturbat Petri,
tibi id, quod ipse armaueras,
factum Neronis, officit.

Video futurum principem
quandoque, qui seruus dei
taetris sacrorum sordibus
seruire Romam non sinat,

qui templa claudat uectibus,
ualuas eburnas obstruat,
nefasta damnet limina
obdens aenos pessulos.

Tunc plura ab omni sanguine
tandem nitebunt marmora,
stabunt et aera innoxia,
quae nunc habentur idola.'

Hic finis orandi fuit
et finis idem uinculi
carnalis: erupit uolens
uocem secutus spiritus.

Vexere corpus subditis
ceruicibus quidam partes,
quos mira libertas uiri
ambire Christum suaserat.

Repens medullas indoles
adflarat et coegerat
amore sublimis dei
odisse nugas pristinas.

Refrixit ex illo die
cultus deorum turpium:
plebs in sacellis rarior,
Christi ad tribunal curritur.

Sic dimicans Laurentius
non ense praecinxit latus,
hostile sed ferrum retro
torquens in auctorem tulit.

Dum daemon inuictum dei
testem lacessit proelio,
perfossus ipse concidit
et stratus aeternum iacet.

Mors illa sancti martyris
mors uera templorum fuit,
tunc Vesta Palladios lares
inpune sensit deseri.

Quidquid Quiritum sueuerat
orare simpuuium Numae,
Christi frequentans atria,
hymnis resultat martyrem.

Ipsa et senatus lumina,
quondam luperci aut flamines,
apostolorum et martyrum
exosculantur limina.

Videmus inlustres domos,
sexu ex utroque nobiles,
offerre uotis pignera
clarissimorum liberum.

Vittatus olim pontifex
adscitur in signum crucis
acdemque, Laurenti, tuam
Vestalis intrat Claudia.

O ter quaterque et septies
beatus urbis incola,
qui te ac tuorum comminus
sedem celebrat ossuum,

cui propter aduolui licet,
qui fletibus spargit locum,
qui pectus in terram premit,
qui uota fundit murmure!

Nos Vasco Hiberus diuidit
binis remotos Alpibus
trans Cottianorum iuga
trans et Pyrenas ninguidos.

Vix fama nota est, abditis
quam plena sanctis Roma sit,
quam diues urbanum solum
sacris sepulcris floreat.

Sed qui caremus his bonis
nec sanguinis uestigia
uidere coram possumus,
caelum intuemur eminus.

Sic, sancte Laurenti, tuam
nos passionem quaerimus,
est aula nam duplex tibi,
hic corporis, rorentis polo.

Illic inenarrabili
allectus urbi municeps
aeternae in arce curiae
gestas coronam ciuicam.

Videor uidere inlustribus
gemmis coruscantem uirum,
quem Roma caelestis sibi
legit perennem consulem.

Quae sit potestas credita
et muneris quantum datum,
probant Quiritum gaudia,
quibus rogatus adnuis.

Quod quisque supplex postulat,
fert inpetratum prospero,
poscunt, iocantur, indicant,
et tristis haut ullus redit,

ceu praesto semper adsies
tuosque alumnos urbicos
lactante conplexus sinu
paterno amore nutrias.

Hos inter, o Christi decus,
audi poetam rusticum,
cordis fatentem crimina
et facta prodentem sua.

Indignus agnosco et scio,
quem Christus ipse exaudiat,
sed per patronos martyras
potest medellam consequi.

Audi benignus supplicem
Christi reum Prudentium
et seruientem corpori
absolue uinclis saeculi!

Augustinus
09-08-05, 16:44
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, 956-957

LO STESSO GIORNO
9 AGOSTO

VIGILIA DI SAN LORENZO, DIACONO E MARTIRE

Un protettore di Roma.

Nel sermone che sarà letto domani al Mattutino, san Leone esclama: "Godiamo, o diletti fratelli, d'un gaudio tutto spirituale; e della beatissima fine di quest'uomo, gloriamoci nel Signore che è mirabile nei suoi santi. In essi egli ci dà un aiuto e un esempio. Ed ha fatto risplendere a tal punto la sua gloria nel mondo intero che, dal sorgere del sole fino al suo tramonto, Roma è stata resa tanto celebre da san Lorenzo quanto Gerusalemme da santo Stefano".

Questo bel periodo, richiamandoci alla memoria la festa dell'Invenzione del Protomartire celebrata otto giorni fa, ci spiega insieme perché Roma ha spesso unito il ricordo dei due diaconi martiri nella sua liturgia e nei suoi monumenti. Il magnifico mosaico della basilica di san Lorenzo fuori le Mura [1], dove sarà solennemente celebrata la Messa di domani, ci rappresenta i due diaconi ai lati di Cristo: san Lorenzo tiene in mano il testo del Salmo 111 che la Chiesa gli applica nell'Introito e nel Graduale della Vigilia: "Dispersit, dedit pauperibus" - "A piene mani ha elargito ai poveri". Questo testo ci ricorda la liberalità e la carità dell'arcidiacono Lorenzo, amministratore dei beni temporali della Chiesa di Roma.

Ma Roma aveva ancora altri motivi di riconoscenza verso il grande martire di cui noi "anticipiamo la festa" (Colletta della Vigilia). La tradizione vuole che Roma si sia definitivamente rivolta verso Cristo a partire dal giorno glorioso in cui, prima di spirare, san Lorenzo pregò per essa. L'Offertorio della Vigilia fa eco alla sublime preghiera che il poeta Prudenzio pone sulle labbra del beato martire e che noi ripeteremo in questo giorno: "O Cristo, Verbo unico, splendore, virtù del Padre, creatore della terra e del cielo, tu la cui mano elevò queste mura. Tu che hai posto lo scettro di Roma al vertice delle cose: tu volesti che il mondo si sottomettesse alla toga, per radunare sotto uniche leggi le genti divise per costumi, usanze, lingua, ingegno e sacrifici. Ecco che tutto il genere umano si è raccolto sotto l'impero di Remo; dissensi e discordie si fondono nella sua unità: ricordati del tuo fine, che fu quello di stringere in uno stesso legame sotto l'impero del tuo nome l'immenso universo. O Cristo, per i tuoi Romani, fa' cristiana la città chiamata da te a ricondurre le altre alla sacra unità. Tutti i suoi membri in tutti i luoghi si uniscono nella tua fede; l'universo domato si fa docile: possa diventarlo anche il suo regale capo! Manda Gabriele, il tuo arcangelo, a guarire l'accecamento dei figli di Iulo, e che essi conoscano quale è il vero Dio. Io vedo venire un principe, un imperatore servo di Dio! Egli non sopporterà più che Roma sia schiava; chiuderà i templi, e li sigillerà con eterne catene".
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NOTE

[1] Distrutto insieme con parte della basilica nel bombardamento del 19 luglio 1943 (N.d.T.).

Augustinus
09-08-05, 16:47
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, 958-961

10 AGOSTO

SAN LORENZO, DIACONO E MARTIRE

La gloria di san Lorenzo.

La Chiesa romana, dice sant'Agostino, ci raccomanda questo giorno, veramente trionfale, in cui san Lorenzo schiacciò il mondo fremebondo. Roma intera è testimone di quella gloriosa e immensa moltitudine di virtù, varia come i fiori, di cui è cinta la corona di Lorenzo.

"Come voi già sapete, egli apparteneva, in questa chiesa, all'ordine dei diaconi. È là che egli amministrò il sangue prezioso di Cristo, è là che versò il proprio sangue per il nome di Cristo. Amò Cristo nella sua vita e lo imitò con la sua morte" (Discorso 304, n. 1).

Il santo Dottore ha riassunto in queste brevi parole l'essenziale della vita di san Lorenzo. A Roma, lui stesso aveva assistito per parecchie volte all'anniversario del santo Martire, celebrato sempre con splendore (Discorso 303, n. 1). Infatti, come i santi Apostoli, san Lorenzo aveva il privilegio di una Vigilia solenne, in ricordo di quella notte gloriosa in cui subì il martirio.

Durante l'Alto Medioevo, si celebrava, il 10 agosto, una messa sulla tomba e un'altra più solenne, nella basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, costruita da Costantino. In detta basilica figurava già una iscrizione che può essere considerata come la più antica testimonianza storica su san Lorenzo:

Sferze, ugne, fiamme, tormenti, catene,
Solo la fede di Lorenzo ha potuto vincerle.
Damaso supplicante colma questi altari di doni
Ammirando i meriti del glorioso martire [1].

Malgrado la sua brevità, questa iscrizione acquista un interesse particolare data la sua antichità: fu redatta da san Damaso un secolo circa dopo la morte di san Lorenzo. Ben presto una leggenda circondò questa morte straordinaria: sant'Ambrogio ne cita già alcuni episodi. Quanto a sant'Agostino, è sempre con alcune precauzioni oratorie che riferisce ai suoi fedeli le circostanze della vita o del martirio di san Lorenzo.

Il Diacono.

Al tempo di Papa Sisto II (m. 258), san Lorenzo era uno dei sette diaconi romani. A Roma, il numero dei diaconi restò per lungo tempo limitato a sette, uno per ogni regione ecclesiastica. Oltre al ministero dell'altare e dell'assistenza al Papa, i diaconi romani avevano la cura dell'amministrazione dei beni temporali della Chiesa romana. Tale funzione faceva di essi dei personaggi importanti e accadeva sovente che il Papa venisse scelto fra i diaconi, piuttosto che tra i sacerdoti.

Il Martire.

Poiché apparteneva alla gerarchia della Chiesa, san Lorenzo cadeva sotto il colpo del rescritto di Valeriano, datato nel 258. Questo atto ordinava l'esecuzione capitale di ogni vescovo, sacerdote o diacono su semplice costatazione della loro identità. San Sisto era stato colpito dalla persecuzione: nel corso di una cerimonia liturgica nel cimitero di Callisto era stato arrestato e decapitato. Più o meno nello stesso tempo erano stati uccisi sei diaconi.

San Lorenzo restò quindi solo. Ma anche lui non doveva tardare molto per rendere a Cristo la testimonianza del sangue.

I persecutori in questo caso avevano un motivo d'interesse: san Lorenzo infatti restava il solo depositario dei beni della Chiesa romana. Secondo sant'Ambrogio, fu intimato a san Lorenzo di consegnare i tesori della Chiesa. Dopo tre giorni di indugio, il diacono presentò al giudice, in oro e argento, i poveri soccorsi per le sue cure caritatevoli. E sant'Agostino concludeva: "Le grandi ricchezze dei cristiani sono i bisogni degli indigenti".

Basterebbe questo episodio per spiegare che san Lorenzo fu torturato tre giorni dopo san Sisto? Egli infatti fu consegnato ai carnefici nella notte dal 9 al 10 agosto. Con "grande ardore spirituale e un fermo coraggio" [2], san Lorenzo subì il terribile supplizio del fuoco. È vero che "il raffinamento della crudeltà consistente nel bruciare il paziente a fuoco lento su una graticola era contrario alla tradizione romana" [3]. Ma non c'è tradizione che tiene quando la passione delle ricchezze ha traviato la coscienza d'un giudice e non si saprebbe, in nome di un principio generale, rigettare un fatto particolarmente spiegabile con le circostanze riportate più in alto. Il supplizio del fuoco fu d'altronde adoperato a Lione nel 177. Noi abbiamo infine, per quanto riguarda san Lorenzo, la testimonianza di san Damaso riportata più sopra. Senza dubbio, si è minimizzata l'importanza di questo epigramma vedendovi "l'enumerazione delle torture classiche". Tuttavia, un'altra iscrizione di san Lorenzo in Damaso, che si voleva scartare perché "impossibile a datare", sarebbe, secondo un archeologo romano contemporaneo, antichissima e con molta probabilità dello stesso Papa Damaso [4].

È con la fede, dice il testo, che Lorenzo ha sormontato il tormento delle fiamme in mezzo alle quali passa la strada che conduce al cielo.

Sant'Agostino attribuisce la vittoria di san Lorenzo alla sua eminente carità: "Messo sulla graticola, egli fu bruciato in tutte le membra, fu tormentato dalle pene atrocissime delle fiamme, superando tuttavia tutte le sofferenze del corpo con la forza della carità".

D'altra parte, il santo Dottore ci lascia intravedere, in termini ammirabili, quelli che dovettero essere gli ultimi istanti del martirio: "La vita del tempo si spegne, ma la vita eterna ne prende il posto. Quale grande dignità e quale sicurezza nel partire gioioso di quaggiù, per raggiungere la gloria in mezzo ai tormenti e alle torture; di chiudere per un istante quegli occhi con i quali vedevamo gli uomini e il mondo e riaprirli subito dopo per vedere Dio... " (Discorso 303, n. 2).

Preghiera a san Lorenzo.

"Tre volte felice il Romano che ti onora nel luogo in cui riposano le tue ossa! Egli si prosterna nel tuo santuario; bocconi a terra, l'innaffia di lacrime e vi versa i suoi voti. O san Lorenzo è là che noi andiamo a cercare il ricordo delle tue sofferenze, perché tu hai due palazzi in cui dimori: quello del corpo sulla terra, quello dell'anima nel cielo. Il cielo, ineffabile città che ti fa membro del suo popolo, che, nelle file del suo eterno senato, pone sulla tua fronte la corona civica! Con le tue gemme risplendenti appari come l'uomo che la Roma celeste elesse a perpetuo console! Le tue funzioni, il tuo credito, la tua potenza si rivelano agli entusiasmi dei cittadini romani esauditi nelle suppliche che ti hanno presentato. Qualsiasi richiesta viene ascoltata; tutti pregano in libertà, formulano i loro voti; nessuno riporta con sé il suo dolore.

Sii sempre pronto a soccorrere i figli della città regina: che essi abbiano un fermo appoggio nel tuo amore di padre; che trovino in te la tenerezza e il latte del seno materno. Ma tra essi, tu l'onore di Cristo, ascolta anche l'umile postulante che confessa la sua miseria e rigetta le sue colpe. Io mi so indegno, lo riconosco, indegno di essere esaudito da Cristo; ma protetti dai Martiri, si può ottenere il rimedio ai propri mali. Ascolta uno che ti supplica: nella tua bontà, sciogli le mie catene, liberami dalla carne e dal mondo!" [5].
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NOTE

[1] A. Ferrua, Epigrammata damasiana (Città del Vaticano, 1942), p. 167.

[2] Sacram. Leon., Mense Aug., XXI.

[3] Anal. Bolland. (1933), p. 50.

[4] A. Ferrua, Epigrammata damasiana, p. 168. L'apostrofe di san Lorenzo al suo carnefice: "Rivolta e mangia" sembra improntata agli atti dei santi di Dorostorum martirizzati nell'epoca in cui, precisamente, furono redatti gli Atti di san Lorenzo.

[5] Prudent. ubi supra.

Augustinus
09-08-05, 17:11
http://www.wga.hu/art/g/ghirland/domenico/7panel/11pala2.jpg Domenico Ghirlandaio, SS. Caterina da Siena e Lorenzo, 1490-98, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/g/giotto/z_panel/3polypty/13polypt.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/QJF5VT/07-522383.jpg Giotto di Bondone, S. Lorenzo, 1320-25, Musée Jacquemart-André, Châalis

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/06/0606grec.jpg El Greco, Apparizione della Vergine a S. Lorenzo, 1578-80, Museo de Nosa Senore da Antiga, Monforte de Lemos

http://www.wga.hu/art/g/grunewal/1/05helle1.jpg Matthias Grünewald, SS. Lorenzo e Ciriaco, 1509-11, Städelsches Kunstinstitut, Francoforte

http://www.wga.hu/art/p/pacher/1lauren2.jpg Michael Pacher, S. Lorenzo distribuisce le elemosine, 1465-70, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/t/tibaldi/martyrdo.jpg Pellegrino Tibaldi, Martirio di S. Lorenzo, 1592, Basilica, El Escorial

Augustinus
09-08-05, 17:11
http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p02346a01nf2005.jpg http://www.wga.hu/art/v/valentin/martyrdo.jpg http://farm1.static.flickr.com/92/211687508_ea230a25cb_o.jpg Valentin de Boulogne, Martirio di S. Lorenzo, 1621-22, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/v/vivarini/bartolom/panel2.jpg Bartolomeo Vivarini, S. Lorenzo, Chiesa di S. Stefano, Venezia

http://www.wga.hu/art/v/vivarini/bartolom/saints.jpg Bartolomeo Vivarini, SS. Domenico, Agostino in trono e Lorenzo, 1473, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia

http://www.wga.hu/art/w/weyden/rogier/15podipt/3froimo3.jpg Rogier van der Weyden, S. Lorenzo, portella del Dittico di Laurent Froimont, 1460 ss., Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Antwerp

Augustinus
10-08-05, 23:18
Ad Amaseno, ogni anno, in occasione della ricorrenza annuale della festa di S. Lorenzo (10 agosto), il sangue del santo che vi si conserva nella Collegiata di S. Maria Assunta, dallo stato solido si liquefa, assumendo una colorazione rosso brillante:

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Augustinus
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Augustinus
10-08-05, 23:23
Il sangue di S. Lorenzo Martire

L'ampolla del sangue di S. Lorenzo, esistente in Amaseno, si conserva nella Collegiata di S. Maria. La reliquia consiste precisamente in una massa sanguigna, mista a grasso, a ceneri e ad un brano di pelle, nella quantità di c. 50 grammi. Questo sangue, che in tutto il corso dell'anno si mantiene normalmente rappreso, nell'annua ricorrenza del martirio invece e talora anche fuori tale data, come diremo appresso, diviene liquido, assumendo un colore rosso vivo e nettamente distinguendosi dagli altri elementi, frammisti ad esso. Tenendo conto di quanto è emerso dalle osservazioni, indagini ed analisi fatte fin qui da vari insigni studiosi, documenti alla mano, andremo illustrando la nostra reliquia sotto tre aspetti particolari: la natura della sostanza contenuta nell'ampolla, la provenienza della reliquia, il fenomeno della sua liquefazione.

Natura della sostanza contenuta nell'ampolla

Riguardo alla sostanza, contenuta nell'ampolla, che si tratti di vero sangue, appare così evidente al buon senso dal suo stato di perfetta conservazione, che non ci sarebbe affatto bisogno di altre prove. Purtuttavia abbiamo al riguardo anche la garanzia della scienza. Il Dott. Clinio Silvestri (1849 - 1900) nella sua «Monografia del Reliquiario di S. Lorenzo M. in Amaseno» dice di aver fatto in proposito analisi accurate, che ne confermano l'autenticità. Si tratta di ripetuti esami eseguiti principalmente nella fase di liquefazione, quando il sangue mostra più evidenti i vari elementi che lo compongono. Eccone la descrizione particolareggiata: « ... La massa sanguigna, prima nerastra ed informe, comincia a sciogliersi ed a prendere un aspetto di sangue naturale di denso spessore. In fondo all'ampolla apparisce chiaro un lieve deposito di cenere, frammista a piccoli pezzi di carbone. Al di sopra di questo deposito si osserva la massa liquida di sangue naturale e carico di corpuscoli rossi, come se fosse stato estratto da un'arteria e superiormente a quella un liquido siero sanguigno trasparente... Sfiora galleggiante in questo liquido un piccolo brano di pelle, in parte accartocciata lievemente ed arrostita ed in parte libera, naturale ed a bordi sfrangiati.

Addosso alle vitree pareti interne dell'ampolla... si osserva una notevole quantità di grasso umano, che diviso e suddiviso in moltissime gocciole trasparenti di varia grandezza, connesse tra loro da tessuto cellulare, si mostra di un colore giallo chiaro, talora opalino, a contorni più carichi ed a fondo crema: sono anch'esse in stato di semiliquefazione, come se il grasso si trovasse allora sotto l'azione del fuoco e del ferro rovente... Queste fedeli e pazienti, osservazioni, da me e da altri medici distinti costantemente fatte dinanzi alla reliquia per oltre un trentennio, confermano clero e cittadini, visitatori cattolici ed acattolici. » Che poi il sangue contenuto nell'ampolla sia autentico sangue di S. Lorenzo M. ne fanno fede i cataloghi più antichi e recenti, in cui la reliquia viene sempre espressamente detta di S. Lorenzo. Esistono invero più documenti, atti ed inventari antichi, che citano la reliquia di S. Lorenzo martire. Le descrizioni che si riscontrano in essi sono però cosi differenti nella terminologia, da lasciare sul principio l'impressione che non si tratti della stessa, ma di due reliquie con diverso contenuto. Difatti la reliquia, citata nei documenti anteriori al 1600, viene detta semplicemente « de pinguedine », « delle grassecze », « dell'onto », « dell'adipe », ossia del grasso di S. Lorenzo M. e nient'altro. In quelli posteriori invece la reliquia appare costituita di più elementi con il sangue al primo posto: Ampolla « cum sanguine et pinguedine », « contenente sangue, grasso et pelle »; Reliquia « sanguinis cum carbonibus et adipe et pelle », « ex sanguine S. Laurentii martyris ». Come spiegare la diversa terminologia nei due gruppi di documenti? Invero la loro discordanza, considerata al lume della storia e della fenomenologia della reliquia, si dimostra non sostanziale, ma solo apparente. L'oggetto, cioé, delle loro definizioni è sempre la stessa reliquia, vista però sotto due aspetti, o meglio, in due momenti diversi. I primi documenti infatti, redatti avanti che si verificasse il fenomeno della liquefazione, descrivono la reliquia come si presenta nello stato solido o rappreso, quando è il grasso che si evidenzia di più sul resto della massa opaca e indistinta. Al contrario, in quelli posteriori all'epoca della sua liquefazione, la reliquia ci viene descritta nella fase di scioglimento, quando appunto il sangue, con il suo colore rosso acceso, prende spicco su tutti gli altri elementi contenuti nell'ampolla: grasso, pelle e ceneri, pur essi ben visibili nella massa liquefatta. E' chiaro dunque che si tratta di un'unica reliquia, che assume diverso aspetto nel variare il suo stato di aggregazione fisica da solido a liquido. Ma c'è un altro punto oscuro da chiarire. Tutti i documenti sopra citati, compresi quelli anteriori al 1600, dicono che la reliquia contenuta nell'ampolla sia di S. Lorenzo martire. Come si concilia questo con quanto scrive l'Aringhi nella sua Memoria che il Martire era sconosciuto agli abitanti? « Non sapendosi di quale Martire fosse il sangue conservato nell'ampolla, per celebrarne la festa anniversaria col dovuto onore, mentre il Martire è nascosto ai ricercatori, eccoti, nella ricorrenza della festa di S. Lorenzo... il sangue prende a liquefarsi e da allora non smise di ripetersi ogni anno». I cittadini e il clero di Amaseno avrebbero ben dovuto sapere dagli antichi inventari e dalla tradizione che il sangue contenuto nell'ampolla era di S. Lorenzo. Probabilmente, pur avendone cognizione, essi non possedevano le lettere autentiche, che facessero fede in merito all'appartenenza della reliquia. D'altronde, neanche quei documenti, tutti posteriori al Mille, potevano dare una sicura garanzia di autenticità, quando si pensi alla veneranda età della reliquia! E il fenomeno della liquefazione prodottosi, come diremo appresso, in quella contingenza e rinnovantesi poi ogni anno, il 10 agosto, volle essere la chiara risposta e la prova lampante a tutti i possibili dubbi, presenti e futuri, sulla autenticità del sangue di S. Lorenzo martire. E' accaduto altre due volte nella storia della nostra reliquia che, o per trascuratezza degli uomini o per ingiuria del tempo, se ne siano perdute le lettere autentiche; e due liquefazioni estemporanee, avvenute nelle mani degli Ecc.mi Visitatori, come si dirà in seguito, tolsero ogni perplessità in merito e di nuovo provarono prodigiosamente l'autenticità del sangue di S. Lorenzo. Del resto, se le reliquie non sono autentiche, come possiamo ammettere che ogni anno e spesso anche altre volte durante l'anno l'Onnipotenza divina deroghi dalle leggi della natura, per farsi garante di una menzogna? Giustamente uno studioso ha scritto: « E' ben comprensibile e degno della sollecitudine divina, che Dio supplisca alle lacune dei nostri archivi e alle deficienze della nostra erudizione mediante prodigi che diano l'autenticità al sangue dei nostri martiri » (Dott. Enry Bon in Medicina e Religione, pag. 237).

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Provenienza della Reliquia

Circa la provenienza di questa insigne reliquia in Amaseno il Silvestri scrive: « Non si hanno notizie certe sulla scoperta del prezioso sangue di S. Lorenzo; ma è tradizione che fosse stato raccolto da alcuni paesani, appartenenti alle milizie dell'imperatore Valeriano, durante il martirio e portato in Amaseno, come si è verificato per il sangue raccolto e conservato nelle tante ampolle di vetro, che tuttodi si rinvengono nelle catacombe ». La veridicità di questa tradizione però è subordinata alla questione ancora insoluta: se Amaseno sia di origine romana o preromana o solo medievale. Il primo documento, che riveli l'esistenza della reliquia del sangue di S. Lorenzo in Amaseno è l'Atto della consacrazione della Chiesa di S. Maria, rinvenuto recentemente dal parroco D. Pietro Del Brocco. In esso è riportato l'elenco delle reliquie in quel tempo ivi esistenti, tra cui figura quella « De pinguedine S. Laurentii Martyris » o « Delle grassecze de santu Laurentiu martiru ».

Atto di consacrazione della Chiesa di S.Maria (anno 1177)

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Il documento è steso in latino e in volgare. Eccone la redazione volgare, importante anche dal lato letterario:

«Ad onore de Deu patre omnipotente e dillu Filii et dillo Spiritu santu et dilla beatissima vergine M. genetrice de Deu et de tucti quanti li Santi. All'annu della Incarnazione dellu Signore nostru Deu mille centu sectanta secte alla decima indictione allu pontificatu (dellu) Signore Alexandru papa terzu all'anny soy decenove nellu mese de septembre allu di octo consecrata è chesta ecclesia della gloriosa vergene Maria pelle mani dilli venerabili pontifici: de Redolfu Episcopo de Ferentino in nillu quale episcopatu essa ecclesia posta è, et perlle mani de Episcopo lanni Episcopo de Fundi et perlle mani de Episcopo Ugu Episcopo de Terracina; nella quale ecclesia so le reliquia delli santi infrascripti: In primo dello vestimento della nostra domna Vergene M. Delle reliquie de Sancto Andrea Apostolo... (seguono altri santi) Delle reliquie de santu Cornelii pp. et martiru ,delle grassecze de santu Laurentiu martiru, delle reliquie de sanctu Ambrosi martiru... Et de altri Santi delli quali le nomora (nomi) loru so connessute innanti alla presentia de Deu allu quale è lu honore et gloria et la virtute et la potestate et lu imperiu in secula seculorurn. Amen. Messer Redolfu Episcopo de Ferentino confidendose de tante meraville de santi et dillo patrocinio della parte de Deu omninipotente et della beatissima sempre Virgine Maria et de tucti li Santi si donao centu quaranta dì de perdonanza a tucti chilli che devotamente in tale dì como è hogi presente veneràno (verranno) a visitare la detta ecclesia santa et le reliquie innanti nominate dilli dicti santi pregando lu nostru Signore Deu che ipso Episcopo vello (ve lo) concesse in terra, ad ipsum Deu nostro Signore plaza de concedervelo in celu ». Occorre appena notare l'esattezza dei dati del documento: l'8 settembre era appunto il 1° giorno dell'anno XIX del pontificato di Alessandro III. Questi « sexto nonas octobris (dell'anno 1161) ordinavit Rudulphum presbyterum et consecravit eum episcopum in Ferentinensi Ecclesia » come riferisce I'Ughelli, citando la cronaca di Fossanova. Il vescovo Rodolfo morì poi il 25 febbraio 1191. I periti, Benedettini Cassinesi, che hanno esaminato le pergamene in questione, sono del parere che lo scritto sia stato redatto nella stessa data della consacrazione della Chiesa, e cioè nel 1177 o in tempo molto vicino ad essa. E' dunque storicamente accertato che la reliquia del sangue di S. Lorenzo si trova in Amaseno fin dal sec. XII e ciò concorda anche con la testimonianza, resa nel 1618 dall'Arciprete del tempo e riportata dai Bollantisti negli « Aeta Sanctorum »: « Da 500 anni ivi conservasi quel sacro pegno, secondo una memoria che asserisce trovarsi in antichi inventari della chiesa ». Cade così la leggenda secondo la quale la re liquia si conservasse prima nella cappella del Castello feudale del paese e fosse la regina Giovanna II di Napoli, nel tempo della sua dominazione, a donarla alla Chiesa di S. Maria. Come pure non ha alcun fondamento storico l'ipotesi affacciato da altri che la reliquia di Amaseno sia stata prelevata da quella di San Gregorio Armeno in Napoli.

FONTE (http://www.amasenoonline.com/reliquia.htm#)

Augustinus
10-08-05, 23:51
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FONTE (http://www.amasenoonline.com/slorenzo.htm)

Augustinus
10-08-05, 23:57
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Augustinus
10-08-05, 23:58
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FONTE (http://www.amasenoonline.com/slorenzo2005.htm)

Augustinus
11-08-05, 00:04
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FONTE (http://www.amasenoonline.com/slorenzo2004.htm)

Augustinus
11-08-05, 10:27
In Jo. evang. lib. VII et VlII, fragmenta, in PG 74, 86-87.

Il Signore non si limita a soffrire mentre preannunzia la passione che dovrà affrontare: ormai e giunta la sua ora. Egli espone anche il motivo che gli ha reso dolcissimo il soffrire e per cui ne sarebbe venuto tanto vantaggio. Altrimenti, non avrebbe scelto di soffrire, giacché non poteva esservi costretto.
Per il suo amore estremo e la sua incommensurabile premura verso di noi giunse a un punto tale da non temere di soffrire tutte le pene più crudeli. Il chicco di grano, seminato, produce molte spighe senza subire per questo nessuna diminuzione, poiché rimane presente con la sua forza in tutti i chicchi della spiga; così anche il Signore è morto, e, spalancate le profondità della terra, si è portato con sé le anime degli uomini, restando presente in tutti con il proprio modo di essere per mezzo della fede. E fece sì che tutto questo guadagno non toccasse soltanto ai morti, ma anche ai vivi. Poiché il frutto della passione di Cristo è la vita di tutti, e dei morti e dei vivi; la sua morte è stata seme di vita.

Come poté la natura divina del Verbo subire la morte? Non è da empi supporre una simile cosa? C’è una vita che il Verbo attinge dal Padre secondo la sua natura divina. Questa è piuttosto un tendere all’alto che un cadere in terra. Abolisce la morte invece di perire in preda alla corruzione. Dà la vita lui che non ha bisogno di riceverla ma la possiede per se stesso, essendo la fonte. Dove splende un lume non potrà mai esserci buio; così è impossibile che la vita non sia vivente.
Come può il Verbo andare soggetto a cambiamento? Si dice, infatti, che cade in terra come chicco di grano e in cambio risorge come Dio. È chiaro che Cristo sperimentò la morte perché si è fatto uomo; invece risorgere gli è connaturale come succede a chi è Dio.
Il vangelo odierno soggiunge: Chi ama la sua vita la perde. Non solo non vi è lecito scandalizzarvi della mia passione, rifiutare l’assenso di fede alle mie parole, ma conviene piuttosto che tendiate voi stessi a vivere in questo modo. Chi si mostra sollecito della sua vita e non vuole metterla a repentaglio per me, la perderà nel secolo futuro. Chi invece non teme di coinvolgere la sua vita in questo mondo, la riavrà immortale nell’eternità.
Questo amore di sé di cui il Signore parla qui, non concerne colui che attualmente soffre, ma colui che crede proteggersi rifiutando di esporsi al pericolo.

Se uno mi vuoi servire mi segua. Se io - dice il Signore - per il vostro bene mi consegno alla morte, non sarebbe somma ignavia da parte vostra non disprezzare a vostro vantaggio la vita temporale e pretendere, una volta morti, la vita incorruttibile? Coloro che si espongono alla morte in vista dei beni eterni sembrano, sì, odiare la propria vita, in quanto affrontano pene e dolori. E anche quelli che vivono nell’ascesi odiano in certo senso la propria vita; in realtà l’ascesi serve loro per vincere quella negatività che è il darsi ai piaceri.
Quello che Cristo fece soffrendo per la salvezza di tutti è un esempio di coraggio e un insegnamento per chiunque desidera quei beni, oggetto della nostra speranza. E’ un invito a praticare la virtù, senza cedimenti fuorvianti. Occorre - egli dice - che quanti mi vogliono seguire dimostrino una fortezza e una fiducia pari alla mia. Solo così otterranno il premio della vittoria.

Dove sono io, là sarà anche il mio servo. Colui che ci guida alla gloria non è passato per la gloria e i piaceri, ma attraverso l’ignominia e le fatiche. Lo stesso dobbiamo fare noi, con animo risoluto, se vogliamo arrivare a quello stesso traguardo e partecipare alla beatitudine eterna. Di quale onore saremo degni se non vogliamo soffrire ciò che ha sofferto il Signore?
Quando Cristo afferma: Dove sono io, là sarà anche il mio servo, non si riferisce a un luogo ma a un ideale di virtù. Coloro che lo seguono devono cimentarsi in quegli stessi esercizi in cui si è distinto lui, escluse le prerogative divine che trascendono la natura umana. Non è in potere dell’uomo imitare Dio in tutto, ma soltanto in quello in cui la natura umana può eccellere: non nel sedare le bufere o in altre prodezze del genere, ma nell’umiltà del cuore, nella mitezza e, ancora, nel sopportare le ingiurie.

Augustinus
10-08-06, 23:24
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Augustinus
10-08-06, 23:35
S. Sisto II, Papa e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=277351)

S. Romano, martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=453406)

S. Stefano, protomartire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=78573)

S. Pietro, apostolo e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=108019)

S. Paolo, apostolo e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=444471)

S. Tarcisio, martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=185504)

Beato Pio IX (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=321757)

L'anno laurenziano (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=395886)

Augustinus
10-08-06, 23:40
Due papi e san Lorenzo

«Pochi minuti fa il professor Argan, sindaco di Roma, mi ha rivolto un cortese indirizzo di saluto e di augurio. Alcune delle sue parole m’hanno fatto venire in mente una delle preghiere che, fanciullo, recitavo con la mamma. Suonava così: “I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio sono... opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai”. A sua volta, il parroco mi interrogava alla scuola di catechismo: “I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio perché sono dei più gravi e funesti?”. E io rispondevo col Catechismo di Pio X: “.. perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio” [Catechismo di Pio X, n. 154]. Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato non solo con l’affluenza dei fedeli alle chiese, non solo con la vita privata vissuta morigeratamente, ma anche con l’amore ai poveri. Questi – diceva il diacono romano Lorenzo – sono i veri tesori della Chiesa; vanno, pertanto, aiutati, da chi può, ad avere e a essere di più senza venire umiliati e offesi con ricchezze ostentate, con denaro sperperato in cose futili e non investito – quando possibile –in imprese di comune vantaggio».

Giovanni Paolo I, Dall’omelia a San Giovanni in Laterano, 23 settembre 1978

«Per Roma le diaconie sono documentate a partire dal VII e VIII secolo; ma naturalmente già prima, e fin dagli inizi, l’attività assistenziale per i poveri e i sofferenti, secondo i principi della vita cristiana esposti negli Atti degli Apostoli, era parte essenziale della Chiesa di Roma. Questo compito trova una sua vivace espressione nella figura del diacono Lorenzo († 258). La descrizione drammatica del suo martirio era nota già a sant’Ambrogio († 397) e ci mostra, nel suo nucleo, sicuramente l’autentica figura del santo. A lui, quale responsabile della cura dei poveri di Roma, era stato concesso qualche tempo, dopo la cattura dei suoi confratelli e del Papa, per raccogliere i tesori della Chiesa e consegnarli alle autorità civili. Lorenzo distribuì il denaro disponibile ai poveri e li presentò poi alle autorità come il vero tesoro della Chiesa [cfr. sant’Ambrogio, De officiis ministrorum II, 28, 140: PL 16, 141]. Comunque si valuti l’attendibilità storica di tali particolari, Lorenzo è rimasto presente nella memoria della Chiesa come grande esponente della carità ecclesiale».

Benedetto XVI, Dall’enciclica Deus caritas est, n. 23

FONTE (http://www.30giorni.it/it/articolo_stampa.asp?id=10252)

Augustinus
10-08-06, 23:47
SAN LORENZO

PROTO DIACONO DELLA CHIESA ROMANA

Don Francesco Moraglia

Docente di teologia sistematica

Genova

La storia della Chiesa ci ha consegnato grandi figure di vescovi e presbiteri che hanno contribuito ad illustrare sul piano teologico e pastorale il significato profondo del ministero ordinato. Per l'episcopato spiccano, fra le altre, le figure di Ireneo, Agostino, Winfrìdo-Bonifacio, Bartolomeo Las Casas, Ildefonso Schuster; per il presbiterato assumono rilievo, in epoca moderna e contemporanea, Filippo Neri, Giovanni Maria Vianney, Giovarmi Bosco, Pietro Chanel, Massimiliano Kolbe. Anche il ministero diaconale prende contorni più chiari se lo si considera alla luce delle figure dei grandi diaconi; è il caso, ad esempio, del martire Lorenzo, proto diacono della chiesa romana che, con Stefano e Filippo, è certamente una dei più famosi dell'antichità.

Il diaconato considerato in se stesso, come ministero permanente, non finalizzato al presbiterato, viene meno in occidente dopo che, fino al V secolo, era stata un'istituzione fiorente; ad iniziare da tale epoca - sostanzialmente per il maggior coinvolgimento dei presbiteri nell'attività pastorale -, il primo grado del sacramento dell'ordine si riduce a semplice tappa d'accesso al grado successivo: il presbiterato. Si può allora facilmente comprendere come mai l'istituzione diaconale, sul piano della riflessione teologica e della prassi pastorale, sia rimasta inibita, quasi fossilizzata.

A tale situazione, già nel XVI secolo, tentò dì reagire il concilio di Trento ma senza successo; bisognerà attendere il concilio Vaticano II, nella seconda metà del XX secolo, per vedere ristabilito il diaconato "come un grado proprio e permanente della gerarchia ..."; il testo della costituzione dogmatica Lumen Gentium, ancora al n. 29, subito dopo l'affermazione, precedente specifica: "… col consenso del romano pontefice questo diaconato potrà essere conferito ad uomini di più matura età anche viventi nel matrimonio, e cosi pure a giovani idonei, per i quali, però, deve rimanere ferma la legge dei celibato" (EV. 1/360).

Paolo VI, nella Lettera apostolica. Sacrum diaconatus ordinem -18 giugno 1967-, ribadisce che l'ordine del diaconato "...non deve essere considerato come un puro e semplice grado di accesso a! sacerdozio; esso, insigne per l'indelebile carattere e la particolare sua grazia, di tanto si arricchisce che coloro i quali. vi sono chiamati possono in maniera stabile dedicarsi 'ai misteri di Cristo e della Chiesa' "(EV, 2/1369).

Già il solo fatto che nella Chiesa latina per un periodo cosi lungo - quindici secoli -, il diaconato non si sia attuato nella forma permanente, lascia intuire che sul piano della riflessione teologica e della prassi pastorale è necessario recuperare il tempo perduto attraverso una riflessione ampia da parte di tutta la comunità ecclesiale. Il diaconato permanente, infatti, costituisce un importante arricchimento per la missione della Chiesa.

Ovviamente il ripristino del diaconato permanente, autorevolmente richiesto dall'ultimo concilio, non può che avvenire in armonia e continuità con l'antica tradizione. Oltremodo significative le parole della Congregazione per l'Educazione Cattolica a della Congregazione per il Clero, nella recente dichiarazione congiunta - del 22 febbraio 1998 -, dichiarazione posta all'inizio delle: "Norme fondamentali per informazione dei diaconi permanenti" e del "Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri"; tali parole risultano chiarificatrici e in grado di orientare per il futuro; in esse si dice: "è l'intera realtà diaconale (visione dottrinale fondamentale, conseguente discernimento vocazionale e preparazione, vita, ministero, spiritualità e formazione permanente) che postula oggi una revisione del cammino dì formazione fin qui percorso, per giungere ad una chiarificazione globale, indispensabile per un nuovo impulso di questo grado dell'Ordine sacro, in corrispondenza con i voti e le intenzioni del Concilio Ecumenico Vaticano II" (Norme fondamentali per la formazione da diaconi permanenti, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti. Città del Vaticano l998, pag. 7).

Riprendendo quanto detto circa le grandi figure di vescovi, presbiteri e diaconi che hanno illustrato ed inciso sul ministero ordinato, determinandone una comprensione più vera ed approfondita, risulta del tutto coerente soffermarsi sulla figura del diacono Lorenzo che nella sua vicenda personale spinge a ripensare il pruno grado dei ministero ordinato che, per le vicende storiche sopramenzionate, attende ancora oggi d'essere pienamente colto e valorizzato. Si tratta di dare nuova linfa ad un ritrovato ministero diaconale inteso come ministero permanente in grado d'esprimersi con maggiore fecondità nella vita della Chiesa.

Le vicissitudini personali di san Lorenzo, arcidiacono della Chiesa di Roma, ci sono giunte attraverso un'antica tradizione già divulgata nel IV secolo; tale tradizione accolta dalla Chiesa è stata anche recepita dai testi liturgici.

Le vicende più note del martirio di Lorenzo sono descritte, con ricchezza di particolari, nella Passio Polychromì di cui abbiamo tre redazioni (V-V11 secolo); che in questo racconto siano contenuti elementi leggendari è un dato di fatto anche se talune notizie qui presentate sono note anche da testimonianze precedenti come quella di sant'Ambnogio nel De Officiis (Cfr. PL XVL 89-92).

Partiamo, con l'intento di ampliarla, dalle brevi note riportate per la festa del martire che - secondo la "Depositio martyrum" (anno 354) - cade il 10 agosto; ecco le espressioni del Messale Romano: "Lorenzo, famoso diacono della chiesa di Roma, confermò col martirio sotto Valeriano (258) il suo servizio di carità, quattro giorni dopo la decapitazione di papa Sisto II. Secondo una tradizione già divulgata nel IV secolo, sostenne intrepido un atroce martirio sulla graticola, dopo aver distribuito i beni della comunità ai poveri da lui qualificati come veri tesori della Chiesa...". Queste note si chiudono ricordando che il nome di Lorenzo è menzionato anche nel Canone Romano.

Così la Chiesa, nei suoi testi liturgici ufficiali, fa suo quanto riferisce l'antica tradizione che, pure, conosce al suo interno versioni diverse. Qui non intendiamo entrare in merito alle ipotesi recentemente avanzate dalla critica storiografica che inclinerebbe a spostare la data del martirio di Lorenzo all'inizio del IV secolo e a caratterizzarne la figura secondo linee diverse da quelle tradizionali; per esempio, Lorenzo non sarebbe spagnolo ma romano, a tale proposito il prefazio della mensa XII del Sacramniarìo leoniano lo presenta come civis romano. Ma, come annota Paolo Toschi, tutti questi nuovi studi: ''non tolgono a priori la possibilità che in Roma esistesse una vera e propria tradizione, esposta con evidenti abbellimenti retorici da sant'Ambrogio, circa la tragica cattura e la fine di san Lorenzo proprio per mezzo del fuoco, supplizio che si sa inflitto, sempre sotto Valeriano, a san Fruttuoso e ai diaconi Eulogio e Augurio a Tarragona. D'altronde il verbo animadvertere adoperato nel decreto dì persecuzione nella redazione ciprianea può riferirsi anche ad altre forme di esecuzioni capitali oltre la 'decollazione' "(Bibliotheca Sanctorum, vol. … 1539).

Recepiamo, qui, il dato tradizionale così come viene riportato dai testi liturgica, limitandoci a proporlo in modo più articolato.

Così Lorenzo sarebbe nato in Spagna, ad Osca cittadina dell'Aragona che sorge alle falde dei Pirenei. Ancora giovane, per completare gli studi umanistici e teologici fu mandato nella città di Saragozza, dove conobbe il futuro papa Sisto II. Questi - originario della Grecia -, svolgeva il suo ufficio d'insegnante in quello che era, all'epoca, uno dei più noti centri di studi e, tra quei maestri, il futuro papa era uno dei più conosciuti ed apprezzati.

Da parte sua Lorenzo, che un giorno sarebbe diventato il capo dei diaconi della Chiesa di Roma, si imponeva per le sue doti umane, per la delicatezza d'animo e l'ingegno. Tra il maestro e l'allievo iniziò, cosi, una comunione e una dimestichezza di vita che, col passare del tempo, crebbe e si cementò; intanto, l'amore per Roma, centro della cristianità e città sede del Vicario di Cristo si faceva, per entrambi, più forte, fino a quando, seguendo un flusso migratorio allora molto vivace, essi lasciarono la Spagna per la città dove l'apostolo Pietro aveva posto la sua cattedra e reso la suprema testimonianza. Così maestro e allievo proprio a Roma, nel cuore della cattolicità, potevano realizzare il loro ideale di evangelizzazione e missionarietà ... fino all'effusione del sangue. Quando il 30 agosto dell'anno 257, Sisto II salì il soglio di Pietro - per un pontificato che sarebbe duralo meno di un anno -, subito, senza esitare, volle accanto a sé, affidandogli il delicato incarico di proto diacono, l'antico discepolo e amico Lorenzo.

I due, infine, suggellarono la loro vita di comunione e amicizia morendo per mano dello stesso persecutore, separati solamente da pochi giorni.

Della fine di papa Sisto II abbiamo notizie in una lettera di san Cipriano, vescovo di Cartagine. Cipriano, parlando della situazione di grande incertezza e disagio in cui versavano le Chiese a causa della crescente ostilità verso i cristiani, annota: "L'imperatore Valeriano ha spedito al senato il suo rescritto col quale ha deciso che vescovi, sacerdoti e diaconi siano subito messi a morte ... - poi la testimonianza di Cipriano continua - ... vi comunico che Sisto ha subito il martirio con quattro diaconi il 6 agosto, mentre si trovava nella zona del cimitero. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali cristiani, debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell'erario imperiale" (Lettera 80; CSEL 3,839-840).

Il cimitero a. cui allude il santo vescovo di Cartagine è quello di Callisto, dove Sisto fu catturato mentre celebrava la sacra liturgia e dove fu sepolto dopo il martirio.

Invece, per il martirio del diacono Lorenzo, abbiamo la testimonianza particolarmente eloquente di sant'Ambrogio nel De Officiis (1 41,205-207), ripresa, in seguito, da Prudenzio e da sant'Agostino, poi ancora da san Massimo di Torino, san Pier Crisologo, san Leone Magno, infine da alcune formule liturgiche contenute nei Sacramentali romani, nel Missale Gothicum e nell'Ormionale Visigotico (Bibliotheca Sanctorum, vol. ..., 1538-1539).

Ambrogio si dilunga, dapprima, sull'incontro e sul dialogo fra Lorenzo e il Papa, poi allude alla distribuzione dei beni della Chiesa ai poveri, infine menziona la graticola, strumento del supplizio, rimarcando la frase con cui il proto diacono della Chiesa di Roma rivolgendosi ai suoi aguzzini dice: assum est, ... versa et manduca (Cfr. Bibfiotheca Sanctorum, vol. ..., col.1538-1539).

Ed è proprio il testo ambrosiano del De Officiis (cap. 41, nn.205-206-207), commovente nella sua intensità e forza espressiva, che prendiamo come riferimento; sant'Ambrogio così si esprime:

205. "... san Lorenzo, ... vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere non perché quello era condotto a morire, ma. perché egli doveva sopravvivergli. Comincia dunque a dirgli a gran voce: ''Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro. Che ti è spiaciuto dunque in me, o padre? Forse mi hai trovato indegno? Verifica almeno se hai scelto un ministro idoneo. Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue dei Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri? Sta' attento che, mentre viene lodata la tua fortezza, il tuo discernimento non vacilli. Il disprezzo per il discepolo è danno per il maestro. È necessario ricordare che gli uomini grandi e famosi vincono con le prove vittoriose dei loro discepoli più che con le proprie? Infine Abramo offrì suo figlio, Pietro mandò innanzi Stefano. Anche tu, o padre, mostra in tuo figlio la tua virtù; offri chi hai educato, per giungere al premio eterno in gloriosa compagnia, sicuro del tuo giudizio".

206. Allora Sisto gli rispose: "Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d'una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente ci sia questo intervallo. Non sarebbe stato degno di te vincere sotto la guida del maestro, come se cercassi un aiuto. Perché chiedi di condividere il mio martirio? Te ne lascio l'intera ereditò. Perché esigi la mia presenza? I discepoli ancor deboli precedano il maestro, quelli già forti, che non hanno più bisogno d'insegnamenti, lo seguano per vincere senza di lui. Cosi anche Elia lasciò Eliseo. Ti affido la successione della mia virtù".

207. Cera fra loro una gara, veramente degna d'essere combattuta da un vescovo e da un diacono: chi per primo dovesse soffrire per Cristo. (Dicono che nelle rappresentazioni tragiche gli spettatori scoppiassero in grandi applausi, quando Pilade diceva dì essere Oreste e Oreste, com'era di fatto, affermava d'essere Oreste, quello per essere ucciso al posto di Oreste, Oreste per impedire che Pilade fosse ucciso al suo posto. Ma essi non avrebbero dovuto vivere, perché entrambi erano rei di parricidio: l'uno perché l'aveva commesso, l'altro perché era stato suo complice. Nel nostro caso) nessun desiderio spingeva san Lorenzo se non quello d'immolarsi p«r il Signore. E anch'egli, tre giorni dopo, mentre, beffato il tiranno, veniva bruciato su una graticola: 'Questa parte è cotta, disse, volta e mangia'. Così con la sua forza d'animo vinceva l'ardore del fuoco'" (Sant'Anabrogio, De Officiis, libri tres, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Roma Città Nuova Editrice 1977, pp, 148-151).

Stando alla testimonianza di sant'Ambrogio, il diacono risulta caratterizzato:

1) come colui che, costituito sacramentalmente nel servizio della offerta (diaconia), vive il suo ministero diaconale esprimendo nella martyria suprema testimonianza per Cristo -, il senso teologico del servizio della carità, attraverso l'accoglienza di quell'amore-carità più grande che è il martirio.

2) come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, (primo grado dell'ordine), vive la "comunione ecclesiale", attraverso un servizio specifico all'episcopo, proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad esso.

3) come colui che, in forza del sacramento (cioè in quanto radicato nel primo grado dell'ordine), si dedica al servizio di una carità integrale a 360 gradi - quindi non solo solidarietà umana e sociale -, e così manifesta il carattere più tipico della diaconia.

Esaminiamo di seguito queste caratteristiche, incominciando dalla:

1) I1 diacono sì presenta come colui che, costituito sacramentalmente nel servizio della offerta (diaconia), vive il suo ministero diaconale esprimendo nella martyria suprema testimonianza per Cristo -, il senso teologico del servizio della carità, attraverso l'accoglienza di quell'amore-carità più grande che è il martirio.

Se la caratteristica principale che identifica il diacono, in sé, e nel suo ministero è: essere ordinato per il servizio della carità, allora la martyria - testimonianza fino all'effusione del sangue -, va considerata come espressione di un amore-carità più grande, ossia il servizio di una carità che non conosce limiti. Il ministero della carità a cui il diacono viene deputato attraverso l'ordinazione non si ferma, quindi, al servizio delle mense o, come si usava dire una volta con linguaggio catechistico» alle opere di misericordia corporali ma, neppure a quelle spirituali, piuttosto il servizio diaconale della carità deve pervenire, nell'incondizionata consegna di sé, fino all'imitazione di Cristo, il testimone fedele per antonomasia (Cfr, Ap 1,5; 3,14).

Nel caso di san Lorenzo - spiega Ambrogio "nessun desiderio lo spingeva se non quello d'immolarsi per il Signore (Cfr. Sant'Ambrogio, De Officiis, I, 41, n. 207); così, attraverso la testimonianza data innanzi ai suoi persecutori, si fa evidente che l'esercizio del ministero diaconale qui non si identifica col servizio del prossimo, ridotto alle sole necessità materiali; poiché proprio in quel gesto che esprime un amore più grande per Cristo e che porta a donare la vita, Lorenzo fa in modo che anche i suoi carnefici possano, in senso reale, fare "una qual certa" esperienza del Verbo incarnato che, alla fine, è il destino personale e comune di ogni uomo, questo è il servizio teologico della carità a cui ogni diacono deve tendere o, almeno, rimanere disponibile.

Ciò non significa che il diacono nel suo ministero esaurisca la testimonianza della carità che è, e rimane sempre, vocazione e missione di tutta la Chiesa; piuttosto si intende affermare che, in forza dell'ordinazione, il diacono porta in sé, in modo sacramentale-specifico, la "forma Christi'" per il servizio della carità; vale a dire un "esercizio ministeriale" della carità che si attua nei confronti di Cristo e dei fratelli e che può giungere a richiedere anche il dono di sé ... fino al sacrificio della vita. Chiare risuonano, allora, le parole che Lorenzo rivolge al vescovo Sisto: "infine Abramo offrì suo figlio, Pietro mandò innanzi Stefano. Anche tu, o padre, mostra in tuo figlio la virtù; orni chi hai educato, per giungere al premio eterno in gloriosa compagnia, sicuro del tuo giudizio" (Sant'Ambrogio, De Officiis, I, 41, n.205).

Giova ribadire, comunque, che la testimonianza di un "amore-carità" più grande, da parte di chi è ordinato proprio per il servizio della carità, non esimerà mai la Chiesa-Sposa dall'offrirsi a Cristo-Sposo, nel dono della "martyria" in cui, al di là di ogni reticenza e ambiguità, si manifesta il valore assoluto e l'unione inscindibile che "verità" e "carità" assumono nella vita del discepolo del Signore (Cfr. l Cor l3,4-5; Fil 4,15).

A tale proposito è utile rileggere il testo di Lumen Gentium 42, in cui si afferma: "... il martirio, col quale il discepolo è reso simile al maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e a lui si conforma nell'effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come il dono eccezionale e la suprema prova di carità ... se a pochi il martirio è concesso, devono però tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa" (EV, 1/398).

Ora - nonostante la chiamata universale alla carità anche eroica -, un fatto rimane incontrovertibile: nella Chiesa esiste uno specifico "ministero ordinato", quindi degli uomini sacramentalmente costituiti per il servizio della carità;

2) Il diacono si presenta come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, (primo grado dell'ordine), vive la "comunione ecclesiale", attraverso un servizio specifico all'episcopo, proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad essa:

Questa è l'altra caratteristica che si evince dal colloquio tra Sisto e Lorenzo presso il cimitero di Callisto; il dialogo pone in evidenza come proprio nel legame sacramentale che unisce il diacono all'episcopo, il diacono appaia "uomo della comunione" esattamente attraverso il servizio specifico a! vescovo; tale servizio, poi, si realizza, concretamente, nel fedele adempimento di ciò che l'episcopo, in virtù della pienezza del sacerdozio e del governo che ha sulla sua Chiesa - sempre nella comunione con il vescovo di Roma -, richiede al suo diacono secondo le necessità e le urgenze ecclesiali.

Nel ministero del diacono, infine, tutto ha come riferimento l'altare, in quanto nella Chiesa ogni cosa, ad iniziare dalla carità, ha la sua origine dalla SS. Eucaristia. Ecco il punto in cui la testimonianza di Ambrogio, a riguardo, si fa particolarmente significativa: "… Lorenzo ... vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò ... a dirgli a gran voce: 'Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro? ... Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue del Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri? "(Sant'Ambrogio, De Officiis, 1.41, n. 205 ....).

La comunione e l'affetto tra il vescovo e il diacono, che qui si manifestano nella comune dipendenza e nel comune legame all'Eucaristia, esprimono una visione ecclesiale profondamente teologica che va oltre le concezioni che abbassano e riducono la Chiesa-Sposa, alla mera dimensione politica e sociologica, equiparandola, di fatto, ad una tra le tante istituzioni umane; cosi è necessario liberarsi da ogni prospettiva secolarizzala e secolarizzante che ineluttabilmente porta a smarrire o a compromettere il senso e la forza rigeneratrice del Mistero; il rischio è quello di vedere tanto nel papa, quanto nei vescovi, nei presbiteri e nei diaconi, altrettanti gradini di una infinita burocrazia del tutto simile a quella della pubblica amministrazione e deputata, come questa, a vigilare su un non meglio precisato buon ordine dell'insieme.

L'incontro tra papa Sisto e il diacono Lorenzo ci invita, se mai fosse il caso, a ribaltare una tale visione e a riscoprire nel cuore della Istituzione-Chiesa, sempre indispensabile, e delle strutture ecclesiali, parimenti necessarie, la realtà viva e vivificante della grazia che le anima e, insieme, ci invita a riscoprire il legame teologico che le vincola a Cristo, unico, vero Episcopo, Presbitero e Diacono. D'altra parte già nel Nuovo testamento - nella lettera ai Filippesi (Cfr. Fil 1,1) e nella prima lettera a Timoteo (Cfr. 1 Tim 3,1-13) -, troviamo associati il vescovo e il diacono; in seguito è attestato il loro stretto legame nella "Traditio Apostolica" - inizio III secolo (Ippolito di Roma?) -, dove la grazia conferita al diacono col rito di ordinazione è definita dì "semplice servizio del vescovo", senza alcun sacerdozio; pochi anni dopo - a metà del III secolo, in Siria -, la "Didascalia degli Apostoli" presenta il diacono come il "servitore del vescovo e dei poveri".

Infine, il rapporto che lega strutturalmente il diacono al vescovo oggi viene espresso in maniera trasparente attraverso la liturgia dell'ordinazione; in questo cerimoniale, infatti, a differenza di quello dell'ordinazione dei vescovi e dei presbiteri, il gesto dell'imposizione delle mani viene compiuto unicamente dal vescovo ordinante per indicane appunto, il vincolo caratteristico e singolare che lega il diacono al vescovo.

3) II diacono si presenta come colui che, in forza del sacramento (cioè in quanto radicato nel primo grado dell'ordine), si dedica al servizio di una carità integrale a 360 gradi - quindi non solo solidarietà umana e sociale -, e così manifesta il carattere più tipico della diaconia.

Nella sua testimonianza, Ambrogio ci presenta ancora Lorenzo come colui che, m forza del sacramento ricevuto, è pienamente dedito al servizio della carità in una situazione concreta: la Roma imperiale del terzo secolo, mentre infuria la persecuzione; e in tale congiuntura, Lorenzo è chiamato a porre, dinanzi alla comunità ecclesiale e al mondo, gesti concreti destinati a trasformarsi in altrettanti segni dell'Amore-Carità di Dio, ossia di quella Carità da cui ogni cosa proviene e verso cui è incamminata; e proprio in tale servizio, il diacono esprime il ministero più tipico della sua diaconia che consiste, appunto, nel servizio della carità compiuto in forza del mandato sacramentale; insomma un'animazione che riguarda la Chiesa o settori della vita ecclesiale e che si presenta secondo i caratteri della cattolicità (kat'olon = secondo la totalità, senza escludere nulla); l'aspirazione di tale servizio è la totalità degli uomini senza eccezioni; il contenuto, un bene che risponda a tutte le attese dell'uomo - spirito, anima e corpo (Cfr. 1 Ts 5,23) - escludendo ogni parzialità e unilateralità.

Inoltre, nel testo ambrosiano si coglie un'allusione che aiuta la riflessione: Sisto, ormai prigioniero, affida a Lorenzo, il primo dei suoi diaconi, l'intera Chiesa e (gliela lascia per lo spazio di tre giorni: "… A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d'una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente ci sia questo intervallo..." (Sant'Ambrogio, De Officiis, n. 206). Lorenzo, in quei tre giorni, e come diacono, in spirito di servizio e obbedienza al suo vescovo - ormai strappato definitivamente al suo popolo -, dovrà avere cura della Chiesa, così per l'ultima volta amministrerà i beni della Sposa di Cristo e lo farà con un gesto che ha in sé la forza dì una definizione e che dice come nella Chiesa tutto sia finalizzato e assuma, valore a partire dal servizio della carità, realtà destinata a rimanere anche quando tutto sarà venuto meno e la scena di questo mondo sarà passata (Cfr. l Cor l3,8).

A chi guarda da lontano, in modo approssimativo - e, tutto sommato, superficiale -, questo gesto può sembrare legato esclusivamente alle necessità materiali e al tempo presente; si tratta, infatti, solamente della distribuzione di beni materiali a dei poveri; in realtà, l'atto che Lorenzo compie, m spirito di fedeltà alla consegna ricevuta dal vescovo e al ministero ecclesiale in cui è costituito, è un atto che lo proietta e con lui proietta tutta la Chiesa - affidatagli fino al momento del martirio -, oltre la storia, nell'escatologìa, ossia, nel "tempo" e nello "spazio" in cui Dio manifesta la pienezza della sua carità e del suo amore.

Così il diacono Lorenzo, ministro ordinato della carità, porta a termine il compito che aveva ricevuto, non solo in quanto segue il suo vescovo nel martirio ma perché attraverso il gesto col quale dona ai poveri tutte le risorse della comunità - qui espresse dai beni materiali -, manifesta come nella Chiesa, ogni cosa abbia valore se è orienta alla carità, se diventa servizio alla carità, se può trasformarsi in carità.

E tale servizio - come ricorda la prima lettera ai Tessalonicesi (Cfr. 1 Ts 5,23) -, si estende non solo al "corpo"' ma anche allo "spirito" e all'"anima'', cosa che sì palesa in tutta chiarezza in quella preghiera che - secondo la Passio Polychronii (gli atti del martirio di Lorenzo) -, il santo diacono volle recitare per la città di Roma prima di stendersi sulla graticola.

E la città, che gli attribuiva la definitiva vittoria sul paganesimo, lo ricambiò eleggendolo suo terzo patrono e celebrando la sua festa fin dal IV secolo, come seconda, per importanza, dopo quella dei beati apostoli Pietro e Paolo e innalzando, in onore del santo diacono, nell'antichità e nel medio evo, ben trentaquattro chiese e cappelle, segno tangibile di gratitudine verso colui che, fedele al suo ministero, era stato, in mezzo a lei, vero ministro e servitore della carità.

Ora, al termine di queste riflessioni sul ministero del "diaconato" inteso soprattutto nella sua forma "permanente", possiamo dire:

1) bisogna saper guardare con spirito critico a tutte quelle prospettive - ormai superate, in verità - che, di fatto, interpretano e presentano il diaconato come un ministero che conduce alla clericalizzazione dei laici e alla laicizzazione dei chierici, giungendo così ad indebolire l'identità d'entrambi.

2) il diacono, che si distingue dai vescovo e dal presbitero in quanto non è ordinato "ad sacerdotium, sed ad ministerium", è costituito in un grado autentico della gerarchia e non può essere compreso come puro accesso al sacerdozio.

3) il diacono è abilitato al servizio della carità in stretta dipendenza con l'Eucaristia e alla cura privilegiata dei poveri, tanto nel servizio delle mense (opere di misericordia corporali), quanto nel servizio della parola (opere di misericordia spirituali) e rimanendo aperto al servizio di un amore-carità più grande, il martirio.

Infine, l'istituto del "diaconato permanente", rappresenta e segna un importante arricchimento per la Chiesa e la sua missione anche in vista della nuova evangelizzazione che il Santo Padre continuamente richiama all'inizio del terzo millennio dell'era cristiana; ed è proprio la bellezza, la forza e l'eroicità dì figure di diaconi come san Lorenzo che aiutano a scoprire e a comprendere meglio la peculiarità del ministero diaconale.

FONTE (http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cclergy/documents/rc_con_cclergy_doc_19022000_slor_it.html)

Augustinus
09-08-07, 20:16
http://www.wga.hu/art/c/carlone/giovbatt/virgin_c.jpg Giovanni Battista Carlone, Vergine con Bambino in gloria con Santi (SS. Giorgio, Giovanni Battista, Bernardo e Lorenzo), 1655, collezione privata

http://www.wga.hu/art/g/granacci/assumpti.jpg Francesco Granacci, Assunzione della Vergine con i SS. Tommaso, Giovanni Battista, Giacomo, Lorenzo e Bartolomeo, 1517-19, Ringling Museum of Art, Sarasota

http://www.artchive.com/artchive/d/donatello/donatello_lawrence.jpg http://www.wga.hu/art/d/donatell/3_late/lorenzo/pulpit11.jpg Donatello, Martirio di S. Lorenzo, 1460 circa, Chiesa di S. Lorenzo, Firenze

http://img158.imageshack.us/img158/3922/ylp3f5o7kjbsmu8y3lk1.jpg Marcantonio Raimondi, Martirio di S. Lorenzo, 1525 circa, Hermitage, San Pietroburgo

http://img267.imageshack.us/img267/8053/themartyrdomofsaintlawrwf8.jpg Jacopo Vignali, Martirio di S. Lorenzo, XVII sec., collezione privata

http://www.nga.gov.au/TheItalians/Images/LRG/161248.jpg Guercino, Martirio di S. Lorenzo, XVII sec., collezione privata

http://cgfa.sunsite.dk/c/caporali1.jpg Bartolomeo Caporali, SS. Nicola, Lorenzo, Pietro martire ed Antonio abate, XV sec., Hermitage, San Pietroburgo

Augustinus
09-08-07, 20:17
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c2/Francisco_de_Zurbar%C3%A1n_044.jpg Francisco de Zurbarán, S. Lorenzo, 1636-39, Museo Provincial de Bellas Artes, Cádiz

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/58/Francisco_de_Zurbar%C3%A1n_051.jpg Francisco de Zurbarán, S. Lorenzo, 1638 circa, Museo Provincial de Bellas Artes, Cádiz

http://img59.imageshack.us/img59/963/lorenzoqw5.jpg http://img409.imageshack.us/img409/7637/wucxxx9e40dulahu3or0.jpg Francisco de Zurbarán, S. Lorenzo, 1636, Hermitage, San Pietroburgo

http://img267.imageshack.us/img267/1082/iuk1c692jgwa4tky3pn9.jpg Francesco Francia, Madonna con Bambino tra i SS. Lorenzo e Girolamo e due angeli musicanti, 1500 circa, Hermitage, San Pietroburgo

http://www.metmuseum.org/toah/images/hb/hb_51.501.7125.jpg Lucas Vorsterman il Vecchio, Martirio di S. Lorenzo (stampa da un'opera del Rubens), XVII sec., Metropolitan Museum of Art, New York

http://www.insecula.com/PhotosNew/00/00/07/08/ME0000070849_3.JPG Petrus Paulus Rubens, Martirio di S. Lorenzo, XVII sec., Alte Pinakothek, Monaco

http://www.nationalgalleryimages.co.uk/upload/image%20database/ng/0/0/0/1000/0/N-1014-00-000018-pp_550.jpg Adam Elsheimer, S. Lorenzo preparato per il martirio, 1600-01, National Gallery, Londra

Augustinus
09-08-07, 20:42
S. ALFONSO MARIA DE' LIGUORI

Vittorie dei martiri ovvero le vite dei più celebri martiri della Chiesa

Napoli, 1775, ora in OPERE ASCETICHE, in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, a cura di Pier Giacinto Marietti, Vol. IV, Torino 1880, pp. 453 ss., partic. 517-573

PARTE PRIMA

§. 52. Di s. Lorenzo.

1. San Lorenzo nacque cittadino romano, come si raccoglie dal sacramentario di s. Leone Magno; ma probabilmente fu originario spagnuolo. Altri poi vogliono che sia nato nella Spagna, ma che da giovine fosse venuto in Roma. Scrive s. Pier Grisologo che quanto egli fu povero di beni terreni, tanto fu ricco de' celesti. Onde s. Sisto papa gli prese molto affetto per le di lui virtù; e dopo averlo fatto uno de' più cari suoi discepoli l'innalzò, benché giovine, al diaconato e a capo de' sette diaconi, ed a lui diede la cura de' sacri vasi e delle limosine ai poveri.

2. L'imperator Valeriano a principio fu più presto favorevole a' cristiani, ma nell'anno 258. egli mosse contro di loro una fiera persecuzione e specialmente contro i vescovi e gli altri ministri della chiesa. Perciò il papa s. Sisto fu tra' primi arrestato, mentre stava per dir messa nel cimiterio di Calisto, e carico di catene fu posto in prigionie. S. Lorenzo avendo ciò saputo, presto andò a trovarlo, e vedendolo gli disse, come scrive s. Ambrogio: Ah Padre, e dove andate senza il vostro ministro? Che cosa vi è dispiaciuta in me, che vi muova ad abbandonarmi? Diffidate forse di me? Provatemi prima e poi discacciatemi. Gli rispose s. Sisto: No, figliuol mio, io non ti abbandono; a te son riserbati maggiori combattimenti per la gloria di Gesù Cristo. Dopo tre giorni mi seguirai. Iddio per la debolezza di mia età non mi espone che a deboli tormenti, ma a te riserba tormenti e vittorie più grandi. Distribuisci tu subito tutt'i tesori della chiesa a' poveri e preparati al martirio. Consolato s. Lorenzo da queste parole, mentr'egli anelava di dar la vita per Gesù Cristo, presto dispensò ai poveri tutti i vasi, vesti, ornamenti della chiesa e danari che conservava. Indi ritornò alla carcere per rivedere il suo santo Padre, e trovando che allora appunto era condotto al luogo del supplicio, dov'era stato già condannato a perder la testa, si gettò a' suoi piedi; ed avvisandolo della distribuzione dei beni già fatta, gli domandò la sua benedizione colla speranza di presto seguirlo al cielo.

3. Il prefetto di Roma, avendo inteso che s. Lorenzo teneva in custodia gli averi della chiesa, mandò a chiamarlo, e gli ordinò che consegnasse il tutto, perché bisognava al principe per il mantenimento dell'esercito. Il santo senza turbarsi rispose che gli avesse dato un poco di tempo che gli avrebbe fatto vedere quanto era ricca la chiesa. Fra otto giorni radunò tutti i poveri che dalla chiesa erano alimentati, ed in un giorno determinato, avendoli fatti schierare in un gran largo, andò a trovare il prefetto, e gli disse: Venite a vedere i tesori del nostro Dio. Voi vedrete un gran cumulo di vasi e gemme preziose. Andò il prefetto, e non vedendo che quella moltitudine di poveri, si rivolse con occhi furibondi al santo diacono, il quale, vedendolo così turbato, gli disse: Signore, perché vi sturbate? L'oro, l'argento e le gemme non sono che terra, cavate dalla terra; i poveri in cui colle limosine son depositati i tesori della chiesa, sono le ricchezze de' cristiani. Il prefetto, vedendosi deluso dal santo, subito gli comandò che rinunziasse a Gesù Cristo, e vedendolo forte nella sua fede, comandò che fosse flagellato colle sferze come schiavo; e poi gli minacciò pene più grandi, se egli non si riduceva ad onorare gli dei. Rispose il santo ch'egli era pronto a patire ogni supplicio, prima che onorare gli dei, che non erano degni di alcuno onore. Il prefetto lo fece di nuovo condurre in prigione, e ne diede la cura ad Ippolito, uno degli officiali della sua guardia. Ippolito, considerando l'intrepidezza, le gesta e le parole modeste di s. Lorenzo, avea cominciato già a venerarlo; ma i miracoli che di poi il santo operò nel carcere terminarono la sua conversione. Poiché, entrando il santo nella prigione, venne un cieco chiamato Lucillo, al quale avendo posta sugli occhi la mano, quegli ricuperò la vista, ed allora Ippolito si fece battezzare.

4. Nel giorno seguente il prefetto si fece chiamare il santo diacono, e procurò con molte promesse e minacce di tirarlo a rinnegar Gesù Cristo; ma nulla ottenne, onde gli fece sul cavalletto slogare tutte le ossa, e lacerar le carni colle sferze armate di punte di ferro. Il santo credette di spirare in quel tormento, per lo che pregò il Signore a ricevere l'anima sua; ma udì una voce la quale gli disse che la sua vittoria non era ancora compita, e che gli erano serbati più tormenti. Si scrive che questa voce fu intesa da tutti, ed anche dal prefetto, che allora disse: Non udite i demonj che soccorrono questo mago? Ma allora un soldato nomato Romano vide un angelo che in figura di un giovane di gran bellezza astergeva il sangue che scorreva dalle piaghe del santo martire; ed a questa visione Romano si convertì, ed accostandosi a s. Lorenzo gli domandò il battesimo. Ma il santo ritrovandosi legato le mani e i piedi sul cavalletto, non poté allora consolarlo. Nondimeno intendendo poi l'imperatore che il santo martire persisteva costante in quel tormento, ordinò che fosse sciolto e ricondotto in prigione, riserbandolo a maggiori strazj. Rientrato che fu s. Lorenzo nella carcere, subito Romano prese un vaso d'acqua e si chiuse col santo, il quale trovandolo abbastanza istruito, lo battezzò e l'esortò a prepararsi al martirio, che Romano ricevette con allegrezza ai 9. di agosto, nel giorno precedente a quello in cui fu martirizzato s. Lorenzo.

5. Indi di nuovo il prefetto si fece presentare s. Lorenzo, e gli disse: Perché tu con tanta insolenza disprezzi gli dei? Rispose il santo: Perché questi dei sono tutti falsi, mentre la stessa ragione dimostra che non vi può essere che un solo Dio. Il tiranno dopo queste parole gli fece spezzar le mascelle colle pietre, e finalmente ordinò che fosse steso il santo sopra una graticola di ferro infuocata, sotto la quale vi erano carboni mezzo accesi, acciocché il tormento riuscisse più lungo e più penoso. Ma il santo, fatto più intrepido da quel supplicio, e vedendo che una parte del suo corpo abbastanza era cotta, disse al prefetto: Se vuoi cibarti delle mie carni, questa parte è già cotta; volta e mangia. Indi alzando gli occhi al cielo, e manifestando l'allegrezza con cui moriva, rendette placidamente lo spirito a Dio ai 10. del mese di agosto nell'anno 258. Ippolito con un altro sacerdote nomato Giustino presero il suo corpo, e lo sotterrarono in una grotta del campo Verano, nel quale luogo fu poi fabbricata una famosa chiesa. Ma il numero delle chiese edificate in onore di s. Lorenzo è troppo grande in tutto il mondo cristiano. Quasi tutti i santi padri hanno celebrate le glorie di s. Lorenzo, e Prudenzio attribuisce la conversione di Roma principalmente al martirio di questo gran santo.

Augustinus
09-08-07, 22:24
http://img338.imageshack.us/img338/399/lorenzo2cu9.jpg Jerónimo Jacinto de Espinosa, S. Lorenzo martire, Parrocchia di S. Tommaso, Valencia

http://img159.imageshack.us/img159/5929/lorenzomartirio2it5.jpg Luis Tristán El Divino, Martirio di S. Lorenzo, XVI sec., Monastero di Guadalupe, Caceres

http://img258.imageshack.us/img258/4053/lorenzo3ir2.jpg Juan de Miranda, S. Lorenzo martire, 1785 circa, Chiesa di Nostra Signora della Concezione, Santa Cruz de Tenerife

http://www.istitutopontevaltellina.it/sentiero/images/immagine_s_lorenzo.jpg Giovanni Gavazzeni, S. Lorenzo, 1901, Chiesa di S. Lorenzo, località Piaz, Ponte (Sondrio)

http://img515.imageshack.us/img515/1764/mgb06barocklanfrancoin8.jpg http://img402.imageshack.us/img402/9951/fmlac1066009bnw7.jpg Giovanni Lanfranco, La Vergine col Bambino appare a S. Lorenzo, Palazzo del Quirinale, Roma

Augustinus
09-08-07, 22:32
St. Lawrence

Martyr; died 10 August, 258.

St. Lawrence, one of the deacons of the Roman Church, was one of the victims of the persecution of Valerian in 258, like Pope Sixtus II and many other members of the Roman clergy. At the beginning of the month of August, 258, the emperor issued an edict, commanding that all bishops, priests, and deacons should immediately be put to death ("episcopi et presbyteriet diacones incontinenti animadvertantur" -- Cyprian, Epist. lxxx, 1). This imperial command was immediately carried out in Rome. On 6 August Pope Sixtus II was apprehended in one of the catacombs, and executed forthwith ("Xistum in cimiterio animadversum sciatis VIII id. Augusti et cum eo diacones quattuor." Cyprian, ep. lxxx, 1). Two other deacons, Felicissimus and Agapitus, were put to death the same day. In the Roman Calendar of feasts of the fourth century their feast day is on the same date. Four days later, on the 10th of August of that same year, Lawrence, the last of the seven deacons, also suffered a martyr's death. The anniversary of this holy martyr falls on that day, according to the Almanac of Philocalus for the year 354, the inventory of which contains the principal feasts of the Roman martyrs of the middle of the fourth century; it also mentions the street where his grave is to be found, the Via Tiburtina ("III id. Aug. Laurentii in Tibertina"; Ruinart, "Acta sincera", Ratisbon, 1859, 632). The itineraries of the graves of the Roman martyrs, as given in the seventh century, mention the burial-place of this celebrated martyr in the Catacomb of Cyriaca in agro Verano (De Rossi, "Roma Sott.", I, 178).

Since the fourth century St. Lawrence has been one of the most honoured martyrs of the Roman Church. Constantine the Great was the first to erect a little oratory over his burial-place, which was enlarged and beautified by Pope Pelagius II (579-90). Pope Sixtus III (432-40) built a large basilica with three naves, the apse leaning against the older church, on the summit of the hill where he was buried. In the thirteenth century Honorius III made the two buildings into one, and so the basilica of San Lorenzo remains to this day. Pope St. Damasus (366-84) wrote a panegyric in verse, which was engraved in marble and placed over his tomb. Two contemporaries of the last-named pope, St. Ambrose of Milan and the poet Prudentius, give particular details about St. Lawrence's death. Ambrose relates (De officiis min. xxviii) that when St. Lawrence was asked for the treasures of the Church he brought forward the poor, among whom he had divided the treasure, in place of alms; also that when Pope Sixtus II was led away to his death he comforted Lawrence, who wished to share his martyrdom, by saying that he would follow him in three days. The saintly Bishop of Milan also states that St. Lawrence was burned to death on a grid-iron (De offic., xli). In like manner, but with more poetical detail, Prudentius describes the martyrdom of the Roman deacon in his hymn on St. Lawrence ("Peristephanon", Hymnus II).

The meeting between St. Lawrence and Pope Sixtus II, when the latter was being led to execution, related by St. Ambrose, is not compatible with the contemporaneous reports about the persecution of Velarian. The manner of his execution--burning on a red-hot gridiron--also gives rise to grave doubts. The narrations of Ambrose and Prudentius are founded rather on oral tradition than on written accounts. It is quite possible that between the year 258 and the end of the fourth century popular legends may have grown up about this highly venerated Roman deacon, and some of these legends have been preserved by these two authors. We have, in any case, no means of verifying from earlier sources the details derived from St. Ambrose and Prudentius, or of ascertaining to what extent such details are supported by earlier historical tradition. Fuller accounts of the martyrdom of St. Lawrence were composed, probably, early in the sixth century, and in these narratives a number of the martyrs of the Via Tiburtina and of the two Catacombs of St. Cyriaca in agro Verano and St. Hippolytius were connected in a romantic and wholly legendary fashion. The details given in these Acts concerning the martyrdom of St. Lawrence and his activity before his death cannot claim any credibility. However, in spite of this criticism of the later accounts of the martyrdom, there can be no question that St. Lawrence was a real historical personage, nor any doubt as to the martyrdom of that venerated Roman deacon, the place of its occurrence, and the date of his burial. Pope Damasus built a basilica in Rome which he dedicated to St. Lawrence; this is the church now known as that of San Lorenzo in Damaso. The church of San Lorenzo in Lucina, also dedicated to this saint, still exists. The feast day of St. Lawrence is kept on 10 August. He is pictured in art with the gridiron on which he is supposed to have been roasted to death.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. IX, New York, 1910 (http://www.newadvent.org/cathen/09089a.htm)

Augustinus
09-08-07, 22:44
In Jo. evang. lib. VII et VlII, fragmenta, in PG 74, 86-87

Il Signore non si limita a soffrire mentre preannunzia la passione che dovrà affrontare: ormai e giunta la sua ora. Egli espone anche il motivo che gli ha reso dolcissimo il soffrire e per cui ne sarebbe venuto tanto vantaggio. Altrimenti, non avrebbe scelto di soffrire, giacché non poteva esservi costretto.
Per il suo amore estremo e la sua incommensurabile premura verso di noi giunse a un punto tale da non temere di soffrire tutte le pene più crudeli.
Il chicco di grano, seminato, produce molte spighe senza subire per questo nessuna diminuzione, poiché rimane presente con la sua forza in tutti i chicchi della spiga; così anche il Signore è morto, e, spalancate le profondità della terra, si è portato con sé le anime degli uomini, restando presente in tutti con il proprio modo di essere per mezzo della fede. E fece sì che tutto questo guadagno non toccasse soltanto ai morti, ma anche ai vivi. Poiché il frutto della passione di Cristo è la vita di tutti, e dei morti e dei vivi; la sua morte è stata seme di vita.

Come poté la natura divina del Verbo subire la morte? Non è da empi supporre una simile cosa? C’è una vita che il Verbo attinge dal Padre secondo la sua natura divina. Questa è piuttosto un tendere all’alto che un cadere in terra. Abolisce la morte invece di perire in preda alla corruzione. Dà la vita lui che non ha bisogno di riceverla ma la possiede per se stesso, essendo la fonte. Dove splende un lume non potrà mai esserci buio; così è impossibile che la vita non sia vivente.
Come può il Verbo andare soggetto a cambiamento? Si dice, infatti, che cade in terra come chicco di grano e in cambio risorge come Dio. È chiaro che Cristo sperimentò la morte perché si è fatto uomo; invece risorgere gli è connaturale come succede a chi è Dio.
Il vangelo odierno soggiunge: Chi ama la sua vita la perde. Non solo non vi è lecito scandalizzarvi della mia passione, rifiutare l’assenso di fede alle mie parole, ma conviene piuttosto che tendiate voi stessi a vivere in questo modo. Chi si mostra sollecito della sua vita e non vuole metterla a repentaglio per me, la perderà nel secolo futuro. Chi invece non teme di coinvolgere la sua vita in questo mondo, la riavrà immortale nell’eternità.
Questo amore di sé di cui il Signore parla qui, non concerne colui che attualmente soffre, ma colui che crede proteggersi rifiutando di esporsi al pericolo.

Se uno mi vuoi servire mi segua. Se io — dice il Signore — per il vostro bene mi consegno alla morte, non sarebbe somma ignavia da parte vostra non disprezzare a vostro vantaggio la vita temporale e pretendere, una volta morti, la vita incorruttibile? Coloro che si espongono alla morte in vista dei beni eterni sembrano, sì, odiare la propria vita, in quanto affrontano pene e dolori. E anche quelli che vivono nell’ascesi odiano in certo senso la propria vita; in realtà l’ascesi serve loro per vincere quella negatività che è il darsi ai piaceri.
Quello che Cristo fece soffrendo per la salvezza di tutti è un esempio di coraggio e un insegnamento per chiunque desidera quei beni, oggetto della nostra speranza. E’ un invito a praticare la virtù, senza cedimenti fuorvianti. Occorre — egli dice — che quanti mi vogliono seguire dimostrino una fortezza e una fiducia pari alla mia. Solo così otterranno il premio della vittoria.

Dove sono io, là sarà anche il mio servo. Colui che ci guida alla gloria non è passato per la gloria e i piaceri, ma attraverso l’ignominia e le fatiche. Lo stesso dobbiamo fare noi, con animo risoluto, se vogliamo arrivare a quello stesso traguardo e partecipare alla beatitudine eterna. Di quale onore saremo degni se non vogliamo soffrire ciò che ha sofferto il Signore?
Quando Cristo afferma: Dove sono io, là sarà anche il mio servo, non si riferisce a un luogo ma a un ideale di virtù. Coloro che lo seguono devono cimentarsi in quegli stessi esercizi in cui si è distinto lui, escluse le prerogative divine che trascendono la natura umana. Non è in potere dell’uomo imitare Dio in tutto, ma soltanto in quello in cui la natura umana può eccellere: non nel sedare le bufere o in altre prodezze del genere, ma nell’umiltà del cuore, nella mitezza e, ancora, nel sopportare le ingiurie.

Augustinus
10-08-07, 13:22
http://collectionsonline.lacma.org/MWEBimages/eps02_mm/full/M2003_4.jpg http://www.insecula.com/PhotosNew/00/00/10/34/ME0000103433_3.jpg Salomon de Bray, Martirio di S. Lorenzo, 1652, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

http://img266.imageshack.us/img266/6629/lorenzo4kv8.jpg http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01300a01nf2003.jpg Juan Correa de Vivar, S. Lorenzo, 1559, Museo del Prado, Madrid

http://img126.imageshack.us/img126/5240/lorenzo5rp7.jpg Luis Fernández, S. Lorenzo, 1632, Museo del Prado, Madrid

http://img440.imageshack.us/img440/6416/lorenzo6zl1.jpg Juan de Valdés Leal, S. Lorenzo, 1663, Cattedrale, Cappella di S. Giacomo, Siviglia

http://www.humanitiesweb.org/gallery/79/5.jpg Corrado Giaquinto, Martirio di S. Lorenzo, XVIII sec., collezione privata

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/71UMQ8/04-513122.jpg Luca Giordano, Martirio di S. Lorenzo, XVII sec., Musée des beaux-arts, Rennes

Augustinus
10-08-07, 17:52
http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00020.JPG

http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00023.JPG Il Sangue comincia a liquefarsi

http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00034.JPG

http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00074.JPG

http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00079.JPG

http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00107.JPG

http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00122.JPG

http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2007/DSC00125.JPG

Augustinus
10-08-07, 17:55
http://www.amasenoonline.com/foto/smaria/slorenzo.jpg Francesco Fasolilli, S. Lorenzo condannato a morte, 1778, Chiesa collegiale di S. Maria, Amaseno

Augustinus
17-08-07, 08:50
Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecôte, Paris-Poitiers, 1901, VI ediz., t. IV, p. 528-533

LE XVII AOUT.

L'OCTAVE DE SAINT LAURENT, DIACRE ET MARTYR.

Étienne veillait, à Noël, près de la crèche où l'Enfant-Dieu venait ravir nos cœurs; Laurent escorte aujourd'hui la Reine dont l'éclat fait pâlir la beauté des cieux. De part et d'autre, il fallait un Diacre au triomphe de l'amour se révélant, à Bethléhem, dans la faiblesse du nouveau-né, au ciel dans la gloire dont le Fils se complaît à combler la Mère. Dans les pérégrinations du désert de ce monde, les Diacres en effet gardent l'Epouse, l'Eglise de Dieu, signifiée par l'ancien tabernacle où l'arche de l'alliance figurait Marie.

«Fils bien-aimés, leur dit le Pontife au jour de la consécration qui les élève au-dessus de leurs frères, considérez par quel grand privilège, héritant de la tribu lévitique son office et son nom, vous entourez le tabernacle du témoignage, qui est l'Eglise toujours en défense contre un ennemi sans fin. Comme vos pères faisaient pour le tabernacle, vous devez la porter cette Eglise; parez-la de sainteté, fortifiez-la de la divine parole, soutenez-la de la perfection de vos exemples. Et puisque Lévi signifie mis à part, soyez séparés des terrestres concupiscences; brillez de l'éclat d'une pureté sans nulle tache, comme il convient à l'aimable tribu du Seigneur (1)».

Par ce dégagement de la terre qui constitue la vraie liberté, l'Eglise, libre elle aussi devant la synagogue esclave (2), revêt son lévite d'une grâce que ne connut pas le lévite ancien. De Laurent, comme il est écrit d'Etienne, il fut vrai de dire que son visage sembla celui d'un Ange parmi les hommes (3): tant la Sagesse, qui résidait en eux (4), illuminait leurs fronts de sa divine lumière; tant l'Esprit-Saint, qui parlait par leurs bouches (5), mettait d'attraits sur leurs lèvres. C'est dans le sang d'autrui que le lévite du Sinaï, brandissant le glaive, consacre à Jéhovah ses mains redoutées (6); toujours prêt à donner le sien, le Diacre manifeste sa force par une fidélité d'amour et non plus de servitude, alimentant d'oubli de soi et de droiture son énergie, les pieds sur terre où il combat, les yeux au ciel où il aspire, le cœur à l'Eglise qui s'est à lui confiée.

De quel dévouement il l'entoure, elle et ses trésors: depuis la perle sans prix du Corps de l'Epoux, jusqu'à ces joyaux de la Mère qui sont ses fils souffrants et pauvres; depuis les richesses toutes spirituelles relevant du baptême et de la parole de Dieu, jusqu'aux biens matériels dont la possession atteste le droit de cité de l'Epouse ici-bas! Leçon opportune à rappeler dans nos temps: Dieu a voulu que le plus grand des martyrs de la ville reine dût sa couronne au refus de livrer les deniers de l'Eglise; et certes pourtant l’exigence du fisc était légale dans la circonstance, autant du moins qu'un édit de César peut légaliser l'injustice. Laurent ne crut point que cette fausse légalité lui permit de se rendre à la demande de l'agent du pouvoir; il n'eut de réponse que le dédain pour ce profane qui ne savait pas que, la terre étant au Seigneur (7), l'Epouse du Seigneur ne relève que de lui dans l'administration de ses biens.

Croit-on qu'il eût agi différemment, si l'Etat, joignant comme il s'est vu depuis l'hypocrisie à l'arbitraire, eût prétendu couvrir sa spoliation d'artifices de langage que ne connaît pas la franchise du voleur de grands chemins?

Où sont maintenant l'Etat d'alors et son César? Ce n'est pas d'aujourd'hui que les persécuteurs finissent dans la honte; il attendit peu pour le savoir, l'impérial meurtrier du grand Diacre, ce Valérien devenu moins de deux ans après le marchepied de Sapor, en attendant que sa peau teinte en rouge allât se balancer aux voûtes d'un temple persan.

Laurent cependant recueille plus d'hommages que n'en connurent jamais césars et rois. Quel triomphateur de la Rome antique atteignit à sa gloire? Rome même est devenue sa conquête; vingt-quatre sanctuaires dédiés au Christ sous son nom dans la Ville éternelle éclipsent tous les palais des Augustes. Et par l'univers entier, que d'autres églises insignes, que de monastères s'honorent de son puissant patronage! A la suite de l'ancien monde, le nouveau nous présente sous l'appellation glorieuse de Saint-Laurent ses villes et ses provinces, et jusqu'à ses îles, ses baies, ses fleuves, ses caps et ses montagnes. Mais entre tous les royaumes chrétiens se distingue comme il était juste, dans les honneurs rendus à l'illustre archidiacre, l'Espagne sa patrie: elle célèbre le Ier mai la fête de ses saints parents, Orentius et Patience, qui lui donnèrent naissance au territoire d'Huesca; elle lui a consacré le plus noble monument de son plus grand siècle, Saint-Laurent de l'Escurial, à la fois église, monastère et palais, rappelant dans les lignes de son plan gigantesque le gril du Martyr.

Pour nous, terminons cette Octave avec la prière que formule aujourd'hui la Mère commune: «Excitez dans votre Eglise, ô Dieu, l'esprit dont le bienheureux Diacre Laurent fut animé dans votre service, afin qu'en étant remplis nous-mêmes, nous fassions en sorte d'aimer ce qu'il a aimé et de pratiquer ce qu'il a enseigné (8)».

Nous venons de citer la Collecte de l'Octave du saint Martyr; comme l'Introït et les autres Oraisons de ce même jour, elle est empruntée à l'ancienne Messe de nuit du 10 août.

C'est une occasion de rappeler que des prodiges surnaturels ont manifesté en divers temps cette nuit glorieuse comme ayant mérité au valeureux Diacre un privilège spécial, pour délivrer les âmes souffrantes des feux du purgatoire par la vertu de ses propres flammes. La piété romaine prit la coutume de prier pour les morts dans la basilique élevée par le premier empereur chrétien sur le tombeau de l'athlète qui, du gril embrasé, avait salué son arrivée libératrice. Saint-Laurent in agro Verano voit les fidèles de la Ville éternelle dormir leur dernier sommeil à l'ombre de ses murs, et c'est dans son enceinte que Pie IX a voulu de même attendre la résurrection.

Notker nous donnera cette belle Séquence, après laquelle une Oraison du Sacramentaire léonien conclura ces pages.

SÉQUENCE.

Laurent, martyr et courageux soldat du vrai et grand David,

Le tribunal d'un empereur,

Les mains sanglantes des bourreaux,

N'obtiennent de toi que le mépris; tu suis le prince rempli d'attraits, à la main puissante,

Qui seul à pu mettre en déroute l'armée du cruel tyran,

Qui par son saint amour rend ses soldats prodigues de leur sang;

Pour mériter de le voir, ils font bon marché de la vie présente.

Ainsi méprises-tu les faisceaux du juge, et te moques-tu de ses menaces;

Le bourreau use en vain ses ongles de fer, le rôtisseur son gril.

L'impie préfet de Rome est dans la douleur; il est vaincu par ce poisson rôti qui nourrit le Christ,

Tandis que lui-même, convive du Seigneur, se rassasie avec lui du rayon de miel qui est l'espoir de la résurrection (9).

O Laurent, le plus invincible des soldats de notre David roi éternel,

Implore de lui grâce toujours pour ses petits serviteurs,

Toi son martyr et son soldat courageux.

Amen.

ORAISON.

Nous vous en prions, Seigneur, augmentez en votre peuple la foi qu'il a conçue en la fête du saint Martyr Laurent: afin que rien ne puisse par terreur ou souffrance nous détourner de confesser votre Nom, mais que l'exemple d'un si grand courage nous stimule bien plutôt. Par Jésus-Christ.

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NOTE

1. Pontificale rom. in Ordinat. Diaconi.

2. Gal. IV, 22-31.

3. Act. VI, 15.

4. Ibid. 3, 10.

5. Ibid.

6. Exod. XXXII, 26-29.

7. Psalm. XXIII. I.

8. Collecte du jour de l'Octave.

9. Allusion à la scène mystérieuse du soir de Pâques, où le Seigneur ressuscité mangea devant ses disciples d'un morceau de poisson rôti et d'un rayon de miel qu'ils lui présentèrent, et leur donna les restes (Luc. XXIV, 41-43).

Artorius
31-03-08, 18:22
Segnalo un articolo (http://www.papanews.it/dettaglio_approfondimenti.asp?IdNews=5369#a)di Enrico Baccarini sul Santo Calice di Valencia, consegnato da San Lorenzo Martire a un soldato perché lo portasse in salvo a Huesca (Spagna). Diversi papi hanno riconosciuto l'importanza e la validità di questa reliquia. Davvero interessante!!!


http://www.papanews.it/Public/calix.JPG (http://www.papanews.it/Public/calix.JPG)
Benedetto XVI nel 2006


http://photoblog.eztools.com/f/0/0/0/2491000/24.jpg (http://photoblog.eztools.com/f/0/0/0/2491000/24.jpg)
Giovanni Paolo II nel 1982

Augustinus
09-08-08, 17:42
http://www.askart.com/AskART/photos/COL20061207_4198/62.jpg http://images.artnet.com/picture.asp?date=20061207&catalog=110705&gallery=110884&lot=00062&filetype=2 http://img123.imageshack.us/img123/2640/ribera2largeki4.jpg Jusepe de Ribera, Martirio di S. Lorenzo, 1613-20 circa, National Gallery of Victoria's, Londra

http://img166.imageshack.us/img166/2446/lorenzomartiriouu5.jpg Jusepe de Ribera, Martirio di S. Lorenzo, 1628-30, Banco Sanpaolo, Napoli

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/24/Pietro_da_cortona,_martirio_di_san_lorenzo.jpg Pietro da Cortona, S. Lorenzo trascinato sulla graticola, chiesa dei Santi Michele e Gaetano, Firenze

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/ee/Tizian_047.jpg http://www.wga.hu/art/t/tiziano/05_1550s/07lawren.jpg Tiziano Vecellio, Martirio di S. Lorenzo, 1557-59, Chiesa dei Gesuiti, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tiziano/06_1560s/12lawren.jpg Tiziano Vecellio, Martirio di S. Lorenzo, 1567, Monasterio de San Lorenzo, El Escorial

Augustinus
09-08-08, 18:26
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/39/SanLorenzoPoveri_CattedraleSanLorenzoGenova.jpg Lazzaro Tavarone, S. Lorenzo presenta i poveri all'imperatore, XVII sec., Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo, Genova

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/72/SanLorenzoGraticola_CattedraleSanLorenzo.jpg Lazzaro Tavarone, S. Lorenzo è bruciato sulla graticola, 1622, Cattedrale di San Lorenzo, Genova

http://www.homolaicus.com/storia/antica/cristianesimo_primitivo/images/lorenzo.jpg Bartolomeo della Gatta, S. Lorenzo, 1476, Chiesa di Badia, Arezzo

http://www.marconidelpino.it/artigullio/3_beni%20architettonici/architetture%20religiose/Sestri%20Lev.%20S.%20Maria%20di%20Nazareth_file/image040.jpg Francesco Merano, Madonna del Carmine e i SS. Lorenzo e Giovanni Battista, XVII sec., S. Maria di Nazareth, Sestri Levante

http://www.wga.hu/art/b/buoncons/sebastia.jpg Giovanni Buonconsiglio, S. Sebastiano tra i SS. Lorenzo e Rocco, 1500, Chiesa di S. Giacomo dall'Orio, Venezia

http://www.wga.hu/art/p/palma/giovane/1/3orio1.jpg Palma il Giovane, S. Lorenzo mostra all'imperatore i tesori della Chiesa, 1581-82, Chiesa di S. Giacomo dall'Orio, Venezia

http://www.wga.hu/art/p/palma/giovane/1/3orio2.jpg Palma il Giovane, Martirio di S. Lorenzo, 1581-82, Chiesa di S. Giacomo dall'Orio, Venezia

Augustinus
10-08-08, 07:36
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/CHNWFJ/99-005887.jpg Corrado Giaquinto, Il martirio di S. Lorenzo, XVIII sec., musée Fesch, Ajaccio

http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/cesena/pincese/81933272/1158/img0092.jpg Ambito bolognese, S. Lorenzo, 1650-99, Pinacoteca Comunale, Cesena

http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/MUSEIL20/FAENZA/PinFa/RA051_06/PICT2712.JPG Giovan Battista Bertucci il Vecchio detto Giovan Battista da Faenza, SS. Lorenzo e Romualdo, 1506, Pinacoteca Comunale, Faenza

http://farm4.static.flickr.com/3135/2580568585_b68eb42c45_b.jpg Guercino, Martirio di S. Lorenzo, 1628, Cattedrale, Ferrara

http://img503.imageshack.us/img503/3813/cuad9tc8.jpg Guercino, Martirio di S. Lorenzo, XVII sec., Escuelas Pías de España Tercera Demarcación, Madrid

http://img515.imageshack.us/img515/151/obr02ob8.jpg Artista sconosciuto, Martirio di S. Lorenzo, XVI sec.

http://www.catholictradition.org/Saints/saints8-12.jpg Pietro Perugino, Madonna con Bambino tra i SS. Ludovico di Tolosa, Lorenzo martire, Ercolano di Brescia e Costanzo di Perugia, 1497

Augustinus
10-08-08, 09:07
http://img151.imageshack.us/img151/3613/relique4jp.jpg Reliquia del capo di S. Lorenzo. Il 10 agosto di ogni anno essa è esposta alla venerazione dei fedeli nella chiesa di S. Anna in Vaticano

http://farm2.static.flickr.com/1267/1069919680_1ee4807538_b.jpg http://farm2.static.flickr.com/1422/930462681_669f19028f_b.jpg http://farm2.static.flickr.com/1433/930447135_aca3b5bdde_b.jpg http://farm2.static.flickr.com/1245/931048928_59ead1a019_b.jpg Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura o al Verano con la colonna di S. Lorenzo, Roma

Augustinus
10-08-08, 09:11
http://farm4.static.flickr.com/3053/2568195306_b9efeb7dcf_b.jpg http://farm4.static.flickr.com/3103/2568217226_a24ca3a497_b.jpg http://farm4.static.flickr.com/3029/2568222350_9078e63b35_b.jpg http://farm4.static.flickr.com/3188/2567386059_5af2c1fedc_b.jpg http://farm4.static.flickr.com/3186/2568221094_959580f649_b.jpg Interno della Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura o al Verano, Roma

http://farm2.static.flickr.com/1294/1069920154_4198915f77_b.jpg http://farm4.static.flickr.com/3098/2568206992_e381a48326_b.jpg http://farm2.static.flickr.com/1409/930759573_b86d65aee7_b.jpg Tomba dei SS. Lorenzo, Stefano e Giustino, Cripta della Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura o al Verano, Roma

Augustinus
10-08-08, 09:12
http://farm2.static.flickr.com/1026/930772871_ff7685c6e1_b.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/8a/Saint_Lawrence_stone.jpg http://farm4.static.flickr.com/3046/2567380187_439885fa2b_b.jpg http://farm3.static.flickr.com/2291/2288606982_5c83e86783_b.jpg http://img59.imageshack.us/img59/4096/lorenzo28gn3.jpg http://farm2.static.flickr.com/1361/931627830_3ace7ba240_b.jpg Lastra di marmo sulla quale fu adagiato il corpo di S. Lorenzo dopo il martirio, Cripta della Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura o al Verano, Roma. Le macchie che vi si vedono sono le chiazze lasciate dal corpo sanguinolento del Martire

http://farm4.static.flickr.com/3113/2571977847_e60101e761_b.jpg Reliquia della graticola di S. Lorenzo, Chiesa di S. Lorenzo in Lucina, Roma

Augustinus
10-08-08, 09:13
http://farm4.static.flickr.com/3238/2624273034_b95b9d81b9_b.jpg S. Lorenzo, Chiesa di S. Lorenzo, Chicheley

Augustinus
10-08-08, 13:24
http://www.amasenoonline.com/foto/slorenzo2008/DSC00918.JPG

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