psisicilia
15-08-02, 18:36
Recensione tratta dal bollettino della Domus Mazziniana del 1998
Leggi l'articolo sul sito della Domus Mazziniana (http://www.domusmazziniana.it/BollettinoCorrente/X0010_alosco.html)
ANTONIO ALOSCO, Radicali Repubblicani e Socialisti a Napoli e nel Mezzogiorno tra Otto e Novecento 1890-1902, Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 1996, pp.147.
@Bollettino della Domus Mazziniana, 1998
Il libro di Alosco autore che già in passato si è occupato a fondo dell'Estrema Sinistra meridionale e partenopea in particolare si presenta in aperta polemica con la storiografia politica tradizionale che si è occupata del medesimo argomento. Tuttavia -nonostante i toni polemici, talora sin troppo accesi- l'autore indica esplicitamente, sin dalle pagine introduttive, la propria scelta per un'impostazione storiografica tradizionale, di tipo narrativo. Così la vicenda dell'Estrema Sinistra napoletana dagli anni post-unitari, ed in particolare dagli anni '90, sino agli albori dell'età giolittiana, si snoda lungo sei capitoli narrativi dedicati alternativamente a socialisti e repubblicani (mentre del tutto assente è l'Estrema Sinistra legalitaria, i radicali propriamente detti, che pure furono tutt'altro che assenti dal panorama meridionale, da Giampietro a Francesco Saverio Nitti).
La scelta di scandire la narrazione secondo criteri partitici finisce per depotenziare la principale intuizione del libro: il recupero a livello storiografico dell'affermazione di Arturo Labriola per cui a Napoli <<essere repubblicano, socialista o anarchico era su per giù lo stesso affare>> (A. Labriola, Spiegazioni a me stesso, Centro Studi Sociali Problemi Dopoguerra, 1945, p.19). A partire da questa osservazione si snoda l'autentico filo rosso della narrazione, che è necessario seguire per non perdersi nel labirinto di nomi, date, organizzazioni e conflitti che occupa gran parte del libro.
Filo rosso costituito dalla compenetrazione più che dalla coesistenza delle varie anime dell'Estrema Sinistra napoletana e più generalmente meridionale. Una compenetrazione che avviene sia a livello organizzativo sia a livello teorico.
Per il livello organizzativo basti qui ricordare il <<Circolo Universitario Repubblicano Socialista>> nato per stimolo di Giovanni Bovio e De Marinis e cui aderirono alcuni tra i futuri maggiori leader dell'Estrema meridionale: da Arturo Labriola a Domenico Fioritto da Ettore Croce a Luigi Bevilacqua, o l'<<Associazione Collettivista>> che pur aderendo al Partito dei Lavoratori riteneva che esso fosse nato <<dall'incontro dei socialisti e dei repubblicani che accettavano il programma collettivista [...] il Partito dei Lavoratori più che un gruppo politico sorretto da una precisa ideologia era ritenuto una sorta di polo di attrazione di ideologie diverse convergenti in un programma comune>> (p.18), senza sostanziali differenze quindi rispetto alle precedenti esperienze dell'Estrema dalla Lega della Democrazia al Patto di Roma.
Per quanto riguarda il livello ideologico Alosco mette in luce -forse sin troppo sinteticamente- il ruolo centrale di Giovanni Bovio, del resto già ampiamente noto, che riesce a cementare insieme le varie anime dell'Estrema Sinistra grazie alle proprie teorie eclettiche che riuscivano a tenere insieme repubblicanesimo e istanze socialiste, dando al contempo di queste una lettura aclassista che consentiva di estendere il proselitismo anche ai gruppi avanzati della borghesia meridionale attratti da Bovio anche grazie al suo positivismo scientista, che ne faceva il riferimento politico delle istanze di rinnovamento del mondo culturale meridionale. E non a caso allievi di Bovio furono due dei politici che più cercarono di saldare repubblicanesimo e socialismo: Enrico De Marinis, leader dei repubblicani collettivisti (poi socialista ed infine ministro radicale) e Arturo Labriola, il cui socialismo era fortemente permeato di istanze tipiche del repubblicanesimo.
Dunque l'Estrema meridionale non appare attraversata da una forte conflittualità tra le sue varie anime, né di tipo organizzativo, come avveniva invece in Romagna tra le ben strutturate forze socialiste e repubblicane, né di tipo culturale come in Lombardia dove l'egemonia di Cavallotti subiva duri colpi sia da parte dei repubblicani legati a Ghisleri, sia soprattutto dei socialisti riuniti intorno a Turati.
Certo non si deve pensare che nell'Estrema Sinistra meridionale regnasse la più completa armonia, anzi, come emerge bene dal libro di Alosco, la sua è anche la storia dei tentativi delle varie componenti di affermare la propria autonomia e dunque di un alternarsi di periodi di collaborazione con altri di accesa competizione e tensione tra di esse.
In conclusione, tuttavia, credo che quando affermato dall'autore sul socialismo napoletano che fu cioè <<complessivamente riformista e praticò costantemente, tranne qualche limitata parentesi al di là di posizioni intransigenti e rivoluzionarie espresse in sede teorica una linea di collaborazione con altre forze politiche, anche liberali avanzate, tendenti sul piano locale al rinnovamento dall'interno delle istituzioni>> (p.104) possa essere esteso all'intera Estrema meridionale.
Tuttavia il rapporto tra istanze rivoluzionarie e azione riformista andrebbe più approfondito - e non solo nel caso napoletano - non appare possibile infatti ridurre il rivoluzionarismo a semplici affermazioni teoriche. E lo stesso Alosco conducendo una serie di sondaggi nell'ambito dell'associazionismo segreto, che portano a notare il riaffiorare di forme di propaganda ritenute superate come le vendite carbonare (p.25) o l'esistenza di un vero e proprio gruppo armato con funzioni di para-polizia come la 'Sciammèrie' (p.102), dà a questo rivoluzionarismo una consistenza che va ben oltre le semplici affermazioni teoriche, e che necessiterebbe di uno studio ben più approfondito ed esteso.
Venendo alle conclusioni non si può trascurare la pecca più grave del volume: l'aver trascurato il carattere accademico-universitario dell'Estrema partenopea ed in particolare dei gruppi legati a Bovio. Alosco infatti adotta in buona compagnia della maggior parte degli studiosi che si sono occupati del problema un'ottica, per cosi dire, Napoli-centrica. Egli ritiene quindi che il carattere universitario dell'Estrema boviana, indichi una sorta di ritirata legata alla propria incapacità di incidere nella realtà locale. Un'affermazione che da un lato meriterebbe una maggiore verifica sul campo (basti qui ricordare la sia pur ridotta presenza dell'Estrema e repubblicana in particolare in Consiglio Comunale e soprattutto la penetrazione nei gruppi artigiani e popolani testimoniata dai vari circoli 'Masaniello' ricordati anche nel libro) e che soprattutto trascura da un lato il carattere culturale oltre che politico dell'Estrema ottocentesca che finì per dare ai radicali meridionali un ruolo ben maggiore del loro peso numerico, proprio per il loro carattere accademico, ma soprattutto si dimentica del carattere particolare dell'Università di Napoli.
<<Qui l'università - ha recentemente notato Macry - resta una delle ultime istituzioni a perdere quel carattere interregionale che era tipico prima del 1860 della città nel suo complesso. Ancora a cinquant'anni di distanza dalla fine del Regno meridionale, la grande maggioranza dei suoi seimila studenti è formata da fuori sede [...] E questo significa anche che il nesso tra l'università e il tessuto sociale urbano è tenue. Che gli studenti sono destinati a far ritorno ai luoghi d'origine, una volta terminato il curriculum degli studi>> (P. Macry, La Napoli dei dotti. Lettori, libri e biblioteche di una ex-capitale, in <<Meridiana>> n. 4, 1988. pp. 131-161, pp. 136-137). Ed anche gli 'studenti' forgiati da Bovio e dagli altri 'docenti democratici' sono destinati a tornare alle proprie case. Si viene così meglio a precisare quel giudizio di distacco tra i democratici, arroccati nell'università, e Napoli, trasformato, forse con troppa fretta, in distacco tra i democratici e le masse popolari.
Ed è proprio in queste direzioni - la penetrazione tra le classi popolari, il carattere culturale oltre che politico dell'Estrema meridionale e il ruolo particolare dell'Università di Napoli come luogo di formazione delle élite meridionali - che la ricerca sull'Estrema Sinistra partenopea dovrebbe a nostro avviso svilupparsi per superare quei passati <<errori, omissioni, sviste>>, non di rado dovuti a carente documentazione, ma soprattutto proprio a <<sistemi di indagine preconcetta>> (p.7) denunciati dallo stesso Alosco nella sua Premessa e al cui superamento questo libro offre un utile contributo.
PIETRO FINELLI
Leggi l'articolo sul sito della Domus Mazziniana (http://www.domusmazziniana.it/BollettinoCorrente/X0010_alosco.html)
ANTONIO ALOSCO, Radicali Repubblicani e Socialisti a Napoli e nel Mezzogiorno tra Otto e Novecento 1890-1902, Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 1996, pp.147.
@Bollettino della Domus Mazziniana, 1998
Il libro di Alosco autore che già in passato si è occupato a fondo dell'Estrema Sinistra meridionale e partenopea in particolare si presenta in aperta polemica con la storiografia politica tradizionale che si è occupata del medesimo argomento. Tuttavia -nonostante i toni polemici, talora sin troppo accesi- l'autore indica esplicitamente, sin dalle pagine introduttive, la propria scelta per un'impostazione storiografica tradizionale, di tipo narrativo. Così la vicenda dell'Estrema Sinistra napoletana dagli anni post-unitari, ed in particolare dagli anni '90, sino agli albori dell'età giolittiana, si snoda lungo sei capitoli narrativi dedicati alternativamente a socialisti e repubblicani (mentre del tutto assente è l'Estrema Sinistra legalitaria, i radicali propriamente detti, che pure furono tutt'altro che assenti dal panorama meridionale, da Giampietro a Francesco Saverio Nitti).
La scelta di scandire la narrazione secondo criteri partitici finisce per depotenziare la principale intuizione del libro: il recupero a livello storiografico dell'affermazione di Arturo Labriola per cui a Napoli <<essere repubblicano, socialista o anarchico era su per giù lo stesso affare>> (A. Labriola, Spiegazioni a me stesso, Centro Studi Sociali Problemi Dopoguerra, 1945, p.19). A partire da questa osservazione si snoda l'autentico filo rosso della narrazione, che è necessario seguire per non perdersi nel labirinto di nomi, date, organizzazioni e conflitti che occupa gran parte del libro.
Filo rosso costituito dalla compenetrazione più che dalla coesistenza delle varie anime dell'Estrema Sinistra napoletana e più generalmente meridionale. Una compenetrazione che avviene sia a livello organizzativo sia a livello teorico.
Per il livello organizzativo basti qui ricordare il <<Circolo Universitario Repubblicano Socialista>> nato per stimolo di Giovanni Bovio e De Marinis e cui aderirono alcuni tra i futuri maggiori leader dell'Estrema meridionale: da Arturo Labriola a Domenico Fioritto da Ettore Croce a Luigi Bevilacqua, o l'<<Associazione Collettivista>> che pur aderendo al Partito dei Lavoratori riteneva che esso fosse nato <<dall'incontro dei socialisti e dei repubblicani che accettavano il programma collettivista [...] il Partito dei Lavoratori più che un gruppo politico sorretto da una precisa ideologia era ritenuto una sorta di polo di attrazione di ideologie diverse convergenti in un programma comune>> (p.18), senza sostanziali differenze quindi rispetto alle precedenti esperienze dell'Estrema dalla Lega della Democrazia al Patto di Roma.
Per quanto riguarda il livello ideologico Alosco mette in luce -forse sin troppo sinteticamente- il ruolo centrale di Giovanni Bovio, del resto già ampiamente noto, che riesce a cementare insieme le varie anime dell'Estrema Sinistra grazie alle proprie teorie eclettiche che riuscivano a tenere insieme repubblicanesimo e istanze socialiste, dando al contempo di queste una lettura aclassista che consentiva di estendere il proselitismo anche ai gruppi avanzati della borghesia meridionale attratti da Bovio anche grazie al suo positivismo scientista, che ne faceva il riferimento politico delle istanze di rinnovamento del mondo culturale meridionale. E non a caso allievi di Bovio furono due dei politici che più cercarono di saldare repubblicanesimo e socialismo: Enrico De Marinis, leader dei repubblicani collettivisti (poi socialista ed infine ministro radicale) e Arturo Labriola, il cui socialismo era fortemente permeato di istanze tipiche del repubblicanesimo.
Dunque l'Estrema meridionale non appare attraversata da una forte conflittualità tra le sue varie anime, né di tipo organizzativo, come avveniva invece in Romagna tra le ben strutturate forze socialiste e repubblicane, né di tipo culturale come in Lombardia dove l'egemonia di Cavallotti subiva duri colpi sia da parte dei repubblicani legati a Ghisleri, sia soprattutto dei socialisti riuniti intorno a Turati.
Certo non si deve pensare che nell'Estrema Sinistra meridionale regnasse la più completa armonia, anzi, come emerge bene dal libro di Alosco, la sua è anche la storia dei tentativi delle varie componenti di affermare la propria autonomia e dunque di un alternarsi di periodi di collaborazione con altri di accesa competizione e tensione tra di esse.
In conclusione, tuttavia, credo che quando affermato dall'autore sul socialismo napoletano che fu cioè <<complessivamente riformista e praticò costantemente, tranne qualche limitata parentesi al di là di posizioni intransigenti e rivoluzionarie espresse in sede teorica una linea di collaborazione con altre forze politiche, anche liberali avanzate, tendenti sul piano locale al rinnovamento dall'interno delle istituzioni>> (p.104) possa essere esteso all'intera Estrema meridionale.
Tuttavia il rapporto tra istanze rivoluzionarie e azione riformista andrebbe più approfondito - e non solo nel caso napoletano - non appare possibile infatti ridurre il rivoluzionarismo a semplici affermazioni teoriche. E lo stesso Alosco conducendo una serie di sondaggi nell'ambito dell'associazionismo segreto, che portano a notare il riaffiorare di forme di propaganda ritenute superate come le vendite carbonare (p.25) o l'esistenza di un vero e proprio gruppo armato con funzioni di para-polizia come la 'Sciammèrie' (p.102), dà a questo rivoluzionarismo una consistenza che va ben oltre le semplici affermazioni teoriche, e che necessiterebbe di uno studio ben più approfondito ed esteso.
Venendo alle conclusioni non si può trascurare la pecca più grave del volume: l'aver trascurato il carattere accademico-universitario dell'Estrema partenopea ed in particolare dei gruppi legati a Bovio. Alosco infatti adotta in buona compagnia della maggior parte degli studiosi che si sono occupati del problema un'ottica, per cosi dire, Napoli-centrica. Egli ritiene quindi che il carattere universitario dell'Estrema boviana, indichi una sorta di ritirata legata alla propria incapacità di incidere nella realtà locale. Un'affermazione che da un lato meriterebbe una maggiore verifica sul campo (basti qui ricordare la sia pur ridotta presenza dell'Estrema e repubblicana in particolare in Consiglio Comunale e soprattutto la penetrazione nei gruppi artigiani e popolani testimoniata dai vari circoli 'Masaniello' ricordati anche nel libro) e che soprattutto trascura da un lato il carattere culturale oltre che politico dell'Estrema ottocentesca che finì per dare ai radicali meridionali un ruolo ben maggiore del loro peso numerico, proprio per il loro carattere accademico, ma soprattutto si dimentica del carattere particolare dell'Università di Napoli.
<<Qui l'università - ha recentemente notato Macry - resta una delle ultime istituzioni a perdere quel carattere interregionale che era tipico prima del 1860 della città nel suo complesso. Ancora a cinquant'anni di distanza dalla fine del Regno meridionale, la grande maggioranza dei suoi seimila studenti è formata da fuori sede [...] E questo significa anche che il nesso tra l'università e il tessuto sociale urbano è tenue. Che gli studenti sono destinati a far ritorno ai luoghi d'origine, una volta terminato il curriculum degli studi>> (P. Macry, La Napoli dei dotti. Lettori, libri e biblioteche di una ex-capitale, in <<Meridiana>> n. 4, 1988. pp. 131-161, pp. 136-137). Ed anche gli 'studenti' forgiati da Bovio e dagli altri 'docenti democratici' sono destinati a tornare alle proprie case. Si viene così meglio a precisare quel giudizio di distacco tra i democratici, arroccati nell'università, e Napoli, trasformato, forse con troppa fretta, in distacco tra i democratici e le masse popolari.
Ed è proprio in queste direzioni - la penetrazione tra le classi popolari, il carattere culturale oltre che politico dell'Estrema meridionale e il ruolo particolare dell'Università di Napoli come luogo di formazione delle élite meridionali - che la ricerca sull'Estrema Sinistra partenopea dovrebbe a nostro avviso svilupparsi per superare quei passati <<errori, omissioni, sviste>>, non di rado dovuti a carente documentazione, ma soprattutto proprio a <<sistemi di indagine preconcetta>> (p.7) denunciati dallo stesso Alosco nella sua Premessa e al cui superamento questo libro offre un utile contributo.
PIETRO FINELLI