psisicilia
16-08-02, 22:00
Il Partito Socialista e democrazia laica. Un dibattito alle origini del PSI
Liberalsocialisti, Liberaldemocratici (1)
da "Critica Sociale" (http://www.kore.it/critica/sociale.htm)
Una divisione da ricomporre
di GIOVANNI SABATUCCI
Il rapporto tra socialismo e democrazia laica sta all'inizio della storia del Partito socialista, e in qualche modo precede la sua fondazione. E' cosa largamente nota che il Partito socialista italiano - più esattamente il Partito dei lavoratori italiani, poi Partito socialista dei lavoratori italiani e poi Partito socialista - nasce a Genova nell'agosto del 1892 nella Sala dei Carabinieri genovesi. Il partito nasce grazie a un'operazione di separazione, a una scissione con la componente anarchica, scissione che era già avvenuta peraltro a livello internazionale, all'atto della fondazione dell'Internazionale socialista nell''89 e che si consuma al congresso di Genova.
Meno noto è il fatto che il Partito socialista nasce anche da un ulteriore e più complicato processo di separazione. Il PSI si individua come tale separandosi da un lato dall'operaismo corporativo ed "esclusivista" di una componente che aveva già dato vita dieci anni prima al Partito operaio, partito di lavoratori manuali; dall'altro, simmetrica a questa, c'è la separazione, o quanto meno la più netta distinzione, dalle formazioni di democrazia laica, radicale e repubblicana con cui i socialisti avevano fino allora condiviso battaglie, lotte non solo elettorali, riviste, organi di stampa, circoli, in un rapporto che era stato non sempre tranquillo e pacifico ma purtuttavia molto intenso, stretto e per certi aspetti simbiotico. Tanto da far pensare a chi si ponga nell'ottica di quegli anni - gli anni '80 dell''800 - che l'esito che noi conosciamo e che siamo portati a considerare scontato, così scontato non fosse.
Il problema del rapporto tra socialisti e formazioni democratiche, radicali, repubblicane è un problema che non c'è solo in Italia, riguarda tutto il movimento socialista europeo. A cominciare dalla Francia, dove i primi socialisti e i democratico-repubblicani combattono insieme, almeno fino a un certo punto, le rivoluzioni del '48. Esiste una corrente che si chiama demo-socialista (demosoc), che attraversa tutta la Francia del Secondo Impero. Nella Comune parigina ritroviamo democratico-giacobini di varie scuole, libertari, federalisti, anarchici e socialisti. C'è poi in Francia un processo piuttosto travagliato di convivenza tra diverse correnti socialiste, ma c'è sempre, e rimane anche dopo che molti anni più tardi, all'inizio del '900, si forma il Partito socialista francese (la Sfio), un collegamento stretto con la democrazia laica. Ci sono figure di confine - lo stesso Jaurès - che hanno collegamenti molto stretti con il mondo delle formazioni politiche democratico-radicali.
La Gran Bretagna se vogliamo è il caso limite in questo senso. Un Partito laburista nasce soltanto nel 1906: prima di allora era del tutto normale che le organizzazioni dei lavoratori si orientassero, quando dovevano fare le loro scelte elettorali, verso i liberali che erano il loro partito di riferimento. I liberali intesi all'inglese, in quanto polo progressista del sistema che vedeva sull'altro versante i conservatori. E anche dopo la formazione del Partito laburista per parecchio tempo continuano le alleanze tra liberali e laburisti: il termine "lib-lab" nasce allora, e l'alleanza si rompe soltanto negli anni '20 quando il Partito laburista diventa il sostituto dei liberali nella rappresentanza dell'altro polo del sistema.
Il caso opposto è invece quello tedesco, perché la Germania è il paese in cui un partito socialista nasce prima che altrove. E' il primo paese in cui nasce un grande partito socialista: la Socialdemocrazia, Spd. Però attenzione: si chiama "socialdemocrazia" non a caso, perché nasce dall'incontro tra la componente più specificamente socialista, marxista (i cosiddetti eisenachiani), e la componente che invece si rifaceva all'Associazione generale dei lavoratori tedeschi fondata da Ferdinand Lassalle, personaggio interessantissimo che coniugava socialismo e democrazia e che soprattutto aveva incentrato le sue battaglie sulla lotta per il suffragio universale (ci si potrebbe anche domandare come sarebbe stata la storia del socialismo se Lassalle non fosse morto in duello a meno di quarant'anni: era un personaggio forte e probabilmente avrebbe conteso a Marx la leadership sul movimento operaio tedesco). Solo più tardi, con il congresso di Erfurt del '91, la socialdemocrazia fa una scelta chiaramente marxista. Ma questa denominazione indica che i socialisti tedeschi inglobano in qualche modo le istanze e la rappresentanza della democrazia tedesca. Possono farlo perché in Germania non c'è un partito democratico, ci sono dei liberali di sinistra (liberali progressisti come in Gran Bretagna), e questo forse facilita in qualche modo il fatto che la socialdemocrazia si faccia carico, almeno in parte, delle istanze democratiche, pur nella sua scelta classista.
Opposto da questo punto di vista è il caso dell'Italia, dove invece le formazioni di democrazia laica sono numerose, forti e ben radicate nella società. Anche nella tradizione risorgimentale questo rapporto tra socialismo e democrazia è assai più stretto e, per altri versi, più complicato che altrove.
Tanto per cominciare dobbiamo ricordare che tutti i padri fondatori del socialismo italiano sono passati da lì, attraverso la militanza nelle file garibaldine, mazziniane, radicali. I più anziani, i Bignami, gli Gnocchi Viani, erano stati loro stessi garibaldini. Gli altri, i più giovani, quelli della generazione di Turati o i più giovani ancora, che non avevano fatto in tempo a fare le spedizioni garibaldine, venivano da quella rete associazionistica diffusa soprattutto nel Nord, da quell'ambiente, da quella temperie culturale che è stata definita la "scapigliatura democratica".
Ma non solo. Le prime organizzazioni largamente rappresentative, della classe operaia italiana, almeno di quel poco di classe operaia che c'era in Italia già negli anni '60, '70, '80 dell''800, non erano organizzazioni socialiste, ma erano le cosiddette società operaie di mutuo soccorso legate dal mazziniano Patto di fratellanza, erano essenzialmente repubblicane. Poi arriva in Italia, negli anni '70 la svolta del socialismo anarchico, del bakuninismo, che però, nonostante le forti rotture ideologiche che introduce, non rompe la rete di collegamenti che esisteva tra mondo socialista e "internazionalista" e mondo dell'associazionismo democratico-repubblicano e radicale. Un caso tipico è quello di Andrea Costa, prima anarchico, poi, a partire dal '79, dalla famosa "svolta", socialista: Costa viene eletto in Parlamento nell''82 con i voti dei democratici e dei repubblicani romagnoli.
Questo collegamento continua, anche quando Costa fonda il suo partito, che si chiama Partito socialista rivoluzionario di Romagna e poi Partito socialista rivoluzionario italiano, Psri (ma italiano, in realtà, non lo sarà mai, resterà una formazione locale).
Ancora, nel 1883 si forma un'organizzazione che si chiama "Fascio della Democrazia" - dove "fascio" voleva dire semplicemente "lega, "unione" - che era un po' l'erede di quella Lega della Democrazia a cui ha accennato prima Stefano Carluccio. I leader del Fascio sono tre: Cavallotti per la democrazia radicale, Bovio per i repubblicani, e Andrea Costa in rappresentanza di quelli che già si chiamavano socialisti.
Quando si cominciano a formare anche in Italia le prime organizzazioni operaie su base essenzialmente classista, qualcosa di diverso quindi dalle società di mutuo soccorso mazziniane che già esistevano, queste nuove associazioni hanno dirigenti radicali e democratici. Per esempio il Consolato operaio milanese, una delle prime di queste organizzazioni, era guidato da Romussi, che poi sarebbe diventato il direttore del "Secolo", e da Antonio Maffi che è un po' la figura cruciale dell'incontro fra socialismo e democrazia laica. Maffi era un radicale ed era deputato in Parlamento, dove era stato eletto nell''82 insieme a Costa; era un operaio, un fonditore di caratteri, ed era uno dei leader di questo associazionismo che faceva riferimento alla democrazia.
Il legame, come ho detto, non è sempre pacifico, ci sono momenti di rottura: uno era stato la nascita del bakuninismo in Italia. Un altro, proprio in reazione a questo legame così stretto tra socialismo e democrazia laica, è la formazione di quello che un po' impropriamente viene chiamato il Partito Operaio Italiano (Poi) nell''82. Dico "impropriamente" perché non era un partito, erano leghe di mestiere che si organizzavano tra loro per sostenere una concezione operaista, "esclusivista" e corporativa. Gli operai prendevano alla lettera il motto che era stato già della Prima Internazionale per cui i lavoratori devono loro stessi prendere in mano i loro destini. Erano i lavoratori che dovevano fare il partito e non potevano essere ammessi in quelle formazioni altri che i lavoratori del braccio. Anche i dirigenti erano degli operai o comunque degli artigiani, dei lavoratori veri: Giuseppe Croce era un guantaio, Alfredo Casati era un bronzista e così via (Croce e Casati sono dei nomi che ci fanno pensare alle grandi famiglie liberali: invece erano operai autodidatti). Sono gli stessi lavoratori innalzano la bandiera del classismo intransigente e cercano di staccarsi, di emanciparsi dalla democrazia radicale.
C'è anche un momento di scontro piuttosto drammatico nelle elezioni dell''86, quando gli operaisti presentano proprie candidature e i radicali perdono a Milano il seggio che avevano. Cavallotti si arrabbia e accusa gli operaisti di avere praticamente fatto il gioco delle forze della conservazione, di essere quasi degli agenti provocatori. La cosa è molto antipatica perché poi arriva la repressione poliziesca contro gli operaisti, che vengono arrestati, e Cavallotti deve in qualche modo pentirsi di quello che ha detto. E' una rottura abbastanza seria e drammatica, ma non irreversibile. Tanto più che la corrente operaista in buona parte verrà riassorbita nell'alveo del socialismo.
Comunque, per tutti gli anni '80, nonostante gli scontri e le fratture, l'interscambio fra componenti socialiste e democratico-repubblicane continua strettissimo, nei circoli, nelle associazioni, nelle riviste. Una di queste per esempio è "Cuore e Critica" diretta da Arcangelo Ghisleri, di cui Turati è redattore. Turati poi la rileva e la trasforma nel '91 in "Critica Sociale": che è appunto la rivista che ha organizzato questo seminario.
Frattanto si continua a parlare di un "partito grande", un partito che tenga insieme le diverse componenti della democrazia e del nascente socialismo. Ad esempio nel 1890, quando il processo di enucleazione del socialismo dalla democrazia è già abbastanza avanzato, Filippo Turati, che poi sarà il protagonista di questa operazione, è ancora membro dell'Unione Democratico-sociale di Milano; Antonio Labriola - lo stesso che al momento della formazione del partito socialista assumerà la posizione più intransigente e criticherà Turati per la sua eccessiva disposizione al compromesso - fa ancora parte del Circolo Radicale di Roma. Questa era la situazione all'inizio degli anni '90! L'ipotesi del "partito grande", che tenesse insieme socialismo e democrazia laica, era ancora viva: e un personaggio come il succitato Antonio Maffi, operaio, radicale ma cofondatore poi del Partito Socialista, ne era portavoce.
Perché questo progetto a un certo punto declina e viene poi scartato? Perché in Italia e soprattutto in Europa le cose prendono un'altra direzione: la tendenza è quella della formazione di partiti che si chiamino "socialisti" e che abbiano una base essenzialmente - anche se non esclusivamente - classista. Questa tendenza si afferma a livello internazionale già con la fondazione, nei due congressi di Parigi dell''89, dell'Internazionale Socialista. Ma decisivo è soprattutto un altro evento: la grande vittoria elettorale dei socialdemocratici tedeschi nel febbraio 1890. I socialdemocratici tedeschi, che venivano da quasi un decennio di leggi eccezionali, di repressioni che ne avevano in qualche modo frenato anche la possibilità di manifestarsi liberamente, organizzati nel loro partito - che di lì a un anno si sarebbe dato un programma marxista destinato a diventare il modello per tutti gli altri partiti socialisti - riportano una vittoria elettorale clamorosa con un quarto circa dei voti. Una vittoria che ha delle conseguenze epocali e provoca (o contribuisce a provocare) niente meno che la caduta di Bismarck. Insomma il modello della socialdemocrazia tedesca si afferma come vincente. Segue poi il congresso di Erfurt e nell'agosto del '91 c'è il congresso di Bruxelles, il vero primo congresso dell'Internazionale Socialista, da cui gli anarchici sono cacciati, anche con maniere un po' brutali.
Insomma questo modello si afferma in Europa, si propone come un modello vincente; ed è la forza di questo modello che porta Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Prampolini, Bissolati e alcuni ex operaisti a forzare i tempi per l'operazione che porterà alla formazione del Partito dei lavoratori, poi Partito socialista dei lavoratori e poi (dal congresso di Parma del '95) Partito socialista.
Le tappe sono note: la fondazione, nell'89, della Lega socialista milanese, che si distingue chiaramente sul terreno ideologico dalle organizzazioni della democrazia radicale repubblicana; la fondazione di "Critica Sociale" sul tronco della vecchia "Cuore e Critica"; la fondazione l'anno dopo (nel '92) di un settimanale che si chiama Lotta di Classe, che sarà diretto da Prampolini, per sottolineare questa opzione che è socialista su base classista, anche se non in maniera esclusiva e corporativa come inteso dai vecchi operaisti.
Così ci si avvicina, per varie tappe. C'è il congresso del maggio '90 del Partito Operaio che comincia ad avvicinarsi alle tematiche socialiste. C'è la formazione di altri partiti: quello repubblicano nasce in questo periodo, mentre i radicali danno vita, nel '90, al Patto di Roma, che in realtà è un manifesto programmatico, aperto sì al contributo dei socialisti del movimento operaio, ma che in realtà traccia le linee di un partito democratico; gli stessi anarchici, con il congresso di Capolago del '91, danno vita a una propria formazione. Ancora: nelle società operaie di matrice repubblicana mazziniana emerge una corrente collettivista, che finirà col confluire nel Psi. Insomma tutto cospira, nonostante le numerose resistenze, a quello che sarà l'esito del congresso di Genova e prima ancora di quella sorta di congresso preparatorio che era stato il Congresso operaio di Milano del '91: dove il povero Maffi aveva cercato di tenere ancora insieme le varie componenti, e aveva preparato uno statuto che poi sarebbe stato radicalmente emendato da Turati: sarà lui il vero vincitore, il deus ex machina della scelta socialista del congresso di Genova, dove Maffi risulterà sconfitto. Per inciso: Maffi è un personaggio poco conosciuto e anche misconosciuto, nel senso che la storiografia sulle origini del movimento operaio parla di lui come di un personaggio modesto, un eclettico, un politicante di seconda linea, un po' un pasticcione. Invece era una figura-chiave, che aveva un collegamento stretto da un lato col mondo della democrazia radicale e dall'altro con quello dell'associazionismo operaio. Comunque viene sconfitto ed entrerà poi ugualmente nel Partito Socialista, non avendo però alcun ruolo di rilievo, e finirà per occuparsi per il resto della sua vita di cooperazione più che di politica. Vince invece la linea di Turati, Prampolini, Kuliscioff. La linea della formazione di un Partito Socialista che fondi la sua azione su due pilastri: da un lato la "lotta dei mestieri" e dall'altro la lotta per la conquista dei pubblici poteri. E' un partito non esclusivista ma con una connotazione socialista netta e con la scelta di un referente sociale privilegiato che è appunto la classe operaia.
Questa è la vicenda riassunta proprio nei suoi termini essenziali. A conclusione della quale bisogna porsi due domande. La prima è se questo esito fosse fatale, posto che nella politica non c'è mai nulla di necessitato. O se avesse invece un'alternativa reale e plausibile. La risposta è che probabilmente era inevitabile, nei limiti in cui un evento politico può essere giudicato inevitabile. Le linee di tendenza a livello italiano ed europeo erano quelle, il modello della socialdemocrazia tedesca era forte e vincente, era il modello non solo di una scelta ideologica o di classe ma di una forma-partito, era l'archetipo di quello che sarebbe stato il moderno partito di massa, basato sull'adesione individuale, sulla struttura territoriale, le sezioni ecc.. Anche per questo era un modello vincente.
Non solo: l'ancoraggio alla classe e alle organizzazioni che si cominciavano a fondare - c'erano le camere del lavoro e le prime federazioni di mestiere, le società di "resistenza" (ossia finalizzate agli scioperi) e le leghe contadine - era assolutamente imprescindibile per un partito che volesse dirsi socialista o che comunque volesse organizzarsi su quella base. Ed era non solo una necessità di tipo politico, ma una sorta di ancoraggio, l'antidoto alle tentazioni di tipo giacobino. E' l'idea di appoggiare la propria azione politica su qualcosa di reale, che sta nella società. E' l'idea di un radicamento sociale come la migliore garanzia contro le fughe in avanti che invece spesso la democrazia giacobina si consente. E' la sostanza di quello che poi si chiamerà (ma già è) il socialismo riformista.
Quindi alla domanda "era evitabile questo esito socialista?" io risponderei, "Tutto sommato, no".
C'è però una seconda domanda: "Con questa scelta si perde qualche cosa?", alla quale risponderei "Sicuramente sì". Forse non si poteva fare altrimenti ma qualche cosa si perde. Quello che si perde o quanto meno si attenua, in parte impallidisce, è il carattere forte, interno, necessitato, sostanziale e non solo tattico-strumentale del legame fra socialismo e democrazia.
Intendiamoci: con Genova '92 (o con Erfurt '91 o con Parigi '89), il socialismo italiano non si separa dalla democrazia. Nel programma di Genova del partito c'è la formula per cui uno dei compiti del Partito socialista è quello di lottare per la conquista democratica dei pubblici poteri. Formula che, tra l'altro, rimarrà negli anni e sarà abolita solo dallo sciagurato congresso di Bologna del 1919, congresso - altro che Livorno! - della vergogna nella storia del socialismo italiano, in cui si dice che, in sostanza, i pubblici poteri non vanno conquistati ma abbattuti (insomma, "lo stato borghese si abbatte ma non si cambia"). Ma fino al '19 rimane l'idea che il socialismo deve lottare per la conquista dei pubblici poteri: un riconoscimento implicito dell'istituto della democrazia rappresentativa, il che significa non solo partecipare alle elezioni, ma anche fare politica delle alleanze per vincerle. Quindi c'è una specie di varco attraverso cui la pratica del socialismo democratico e riformista può entrare.
Si potrebbe aggiungere che, subito dopo essersi separato dalla democrazia laica il Partito socialista italiano, anche per forza di cose, deve riprendere questo contatto, deve riallearsi con la democrazia. Nel '94, in piena repressione crispina, abbiamo la Lega per la Difesa della Libertà che di nuovo riunisce socialisti, radicali e repubblicani. Non solo: le alleanze a livello elettorale continuano per tutta la fine del secolo. C'è la lotta per la difesa delle garanzie statutarie, la crisi di fine secolo che vede i socialisti ancora alleati alle formazioni di democrazia laica; c'è l'apertura di Giolitti ai socialisti e dei socialisti a Giolitti; c'è, alla fine del primo decennio del '900, la pratica dei "blocchi popolari", delle alleanze amministrative e anche politiche con le forze di democrazia laica. In generale si può dire che tutti i momenti migliori della storia del socialismo italiano sono stati segnati dall'alleanza tra Psi e formazioni della democrazia laica; e si può dire per converso che i momenti bui del socialismo italiano nascono dalla scissione tra socialismo e democrazia.
Tutto vero, ma è anche vero che, a partire da questo snodo cruciale dei primi anni '90 di cui ho parlato, il rapporto tra socialismo e democrazia, che rimane spesso vivo e operante, si definisce come un rapporto tra due entità distinte. I socialisti si alleano con i democratici, più che "essere" democratici in prima persona: la democrazia politica è uno sfondo, una cornice, è la condizione nella quale il movimento operaio può trovare il modo di svilupparsi e poi, inevitabilmente - com'era nella mentalità dell'epoca - di vincere. La democrazia è il quadro, se vogliamo forzare un po' il discorso, è un mezzo più che un fine.
Nel momento in cui il movimento operaio europeo respinge quella che era la proposta migliore per reinserire il socialismo nella democrazia e la democrazia nel socialismo (è la proposta di Bernstein, la proposta di abbandonare il finalismo della concezione socialista, di esaurire la dottrina e la pratica del socialismo nel movimento per i miglioramenti economici e nella democrazia politica): nel momento dunque in cui il movimento operaio respinge questa proposta e mantiene così un impianto finalistico e per certi versi catastrofistico, mantiene però ancora aperto il varco attraverso cui entrano e possono continuare a vivere dentro la casa dei socialisti europei tutte le correnti, tutte le tentazioni massimaliste, rivoluzionarie, utopistiche, millenaristiche. Ed è qui, secondo me, la radice di tante aporie teoriche e di tanti errori pratici del socialismo riformista. E anche la causa di tante catastrofi della democrazia nel secolo ventesimo.
Liberalsocialisti, Liberaldemocratici (1)
da "Critica Sociale" (http://www.kore.it/critica/sociale.htm)
Una divisione da ricomporre
di GIOVANNI SABATUCCI
Il rapporto tra socialismo e democrazia laica sta all'inizio della storia del Partito socialista, e in qualche modo precede la sua fondazione. E' cosa largamente nota che il Partito socialista italiano - più esattamente il Partito dei lavoratori italiani, poi Partito socialista dei lavoratori italiani e poi Partito socialista - nasce a Genova nell'agosto del 1892 nella Sala dei Carabinieri genovesi. Il partito nasce grazie a un'operazione di separazione, a una scissione con la componente anarchica, scissione che era già avvenuta peraltro a livello internazionale, all'atto della fondazione dell'Internazionale socialista nell''89 e che si consuma al congresso di Genova.
Meno noto è il fatto che il Partito socialista nasce anche da un ulteriore e più complicato processo di separazione. Il PSI si individua come tale separandosi da un lato dall'operaismo corporativo ed "esclusivista" di una componente che aveva già dato vita dieci anni prima al Partito operaio, partito di lavoratori manuali; dall'altro, simmetrica a questa, c'è la separazione, o quanto meno la più netta distinzione, dalle formazioni di democrazia laica, radicale e repubblicana con cui i socialisti avevano fino allora condiviso battaglie, lotte non solo elettorali, riviste, organi di stampa, circoli, in un rapporto che era stato non sempre tranquillo e pacifico ma purtuttavia molto intenso, stretto e per certi aspetti simbiotico. Tanto da far pensare a chi si ponga nell'ottica di quegli anni - gli anni '80 dell''800 - che l'esito che noi conosciamo e che siamo portati a considerare scontato, così scontato non fosse.
Il problema del rapporto tra socialisti e formazioni democratiche, radicali, repubblicane è un problema che non c'è solo in Italia, riguarda tutto il movimento socialista europeo. A cominciare dalla Francia, dove i primi socialisti e i democratico-repubblicani combattono insieme, almeno fino a un certo punto, le rivoluzioni del '48. Esiste una corrente che si chiama demo-socialista (demosoc), che attraversa tutta la Francia del Secondo Impero. Nella Comune parigina ritroviamo democratico-giacobini di varie scuole, libertari, federalisti, anarchici e socialisti. C'è poi in Francia un processo piuttosto travagliato di convivenza tra diverse correnti socialiste, ma c'è sempre, e rimane anche dopo che molti anni più tardi, all'inizio del '900, si forma il Partito socialista francese (la Sfio), un collegamento stretto con la democrazia laica. Ci sono figure di confine - lo stesso Jaurès - che hanno collegamenti molto stretti con il mondo delle formazioni politiche democratico-radicali.
La Gran Bretagna se vogliamo è il caso limite in questo senso. Un Partito laburista nasce soltanto nel 1906: prima di allora era del tutto normale che le organizzazioni dei lavoratori si orientassero, quando dovevano fare le loro scelte elettorali, verso i liberali che erano il loro partito di riferimento. I liberali intesi all'inglese, in quanto polo progressista del sistema che vedeva sull'altro versante i conservatori. E anche dopo la formazione del Partito laburista per parecchio tempo continuano le alleanze tra liberali e laburisti: il termine "lib-lab" nasce allora, e l'alleanza si rompe soltanto negli anni '20 quando il Partito laburista diventa il sostituto dei liberali nella rappresentanza dell'altro polo del sistema.
Il caso opposto è invece quello tedesco, perché la Germania è il paese in cui un partito socialista nasce prima che altrove. E' il primo paese in cui nasce un grande partito socialista: la Socialdemocrazia, Spd. Però attenzione: si chiama "socialdemocrazia" non a caso, perché nasce dall'incontro tra la componente più specificamente socialista, marxista (i cosiddetti eisenachiani), e la componente che invece si rifaceva all'Associazione generale dei lavoratori tedeschi fondata da Ferdinand Lassalle, personaggio interessantissimo che coniugava socialismo e democrazia e che soprattutto aveva incentrato le sue battaglie sulla lotta per il suffragio universale (ci si potrebbe anche domandare come sarebbe stata la storia del socialismo se Lassalle non fosse morto in duello a meno di quarant'anni: era un personaggio forte e probabilmente avrebbe conteso a Marx la leadership sul movimento operaio tedesco). Solo più tardi, con il congresso di Erfurt del '91, la socialdemocrazia fa una scelta chiaramente marxista. Ma questa denominazione indica che i socialisti tedeschi inglobano in qualche modo le istanze e la rappresentanza della democrazia tedesca. Possono farlo perché in Germania non c'è un partito democratico, ci sono dei liberali di sinistra (liberali progressisti come in Gran Bretagna), e questo forse facilita in qualche modo il fatto che la socialdemocrazia si faccia carico, almeno in parte, delle istanze democratiche, pur nella sua scelta classista.
Opposto da questo punto di vista è il caso dell'Italia, dove invece le formazioni di democrazia laica sono numerose, forti e ben radicate nella società. Anche nella tradizione risorgimentale questo rapporto tra socialismo e democrazia è assai più stretto e, per altri versi, più complicato che altrove.
Tanto per cominciare dobbiamo ricordare che tutti i padri fondatori del socialismo italiano sono passati da lì, attraverso la militanza nelle file garibaldine, mazziniane, radicali. I più anziani, i Bignami, gli Gnocchi Viani, erano stati loro stessi garibaldini. Gli altri, i più giovani, quelli della generazione di Turati o i più giovani ancora, che non avevano fatto in tempo a fare le spedizioni garibaldine, venivano da quella rete associazionistica diffusa soprattutto nel Nord, da quell'ambiente, da quella temperie culturale che è stata definita la "scapigliatura democratica".
Ma non solo. Le prime organizzazioni largamente rappresentative, della classe operaia italiana, almeno di quel poco di classe operaia che c'era in Italia già negli anni '60, '70, '80 dell''800, non erano organizzazioni socialiste, ma erano le cosiddette società operaie di mutuo soccorso legate dal mazziniano Patto di fratellanza, erano essenzialmente repubblicane. Poi arriva in Italia, negli anni '70 la svolta del socialismo anarchico, del bakuninismo, che però, nonostante le forti rotture ideologiche che introduce, non rompe la rete di collegamenti che esisteva tra mondo socialista e "internazionalista" e mondo dell'associazionismo democratico-repubblicano e radicale. Un caso tipico è quello di Andrea Costa, prima anarchico, poi, a partire dal '79, dalla famosa "svolta", socialista: Costa viene eletto in Parlamento nell''82 con i voti dei democratici e dei repubblicani romagnoli.
Questo collegamento continua, anche quando Costa fonda il suo partito, che si chiama Partito socialista rivoluzionario di Romagna e poi Partito socialista rivoluzionario italiano, Psri (ma italiano, in realtà, non lo sarà mai, resterà una formazione locale).
Ancora, nel 1883 si forma un'organizzazione che si chiama "Fascio della Democrazia" - dove "fascio" voleva dire semplicemente "lega, "unione" - che era un po' l'erede di quella Lega della Democrazia a cui ha accennato prima Stefano Carluccio. I leader del Fascio sono tre: Cavallotti per la democrazia radicale, Bovio per i repubblicani, e Andrea Costa in rappresentanza di quelli che già si chiamavano socialisti.
Quando si cominciano a formare anche in Italia le prime organizzazioni operaie su base essenzialmente classista, qualcosa di diverso quindi dalle società di mutuo soccorso mazziniane che già esistevano, queste nuove associazioni hanno dirigenti radicali e democratici. Per esempio il Consolato operaio milanese, una delle prime di queste organizzazioni, era guidato da Romussi, che poi sarebbe diventato il direttore del "Secolo", e da Antonio Maffi che è un po' la figura cruciale dell'incontro fra socialismo e democrazia laica. Maffi era un radicale ed era deputato in Parlamento, dove era stato eletto nell''82 insieme a Costa; era un operaio, un fonditore di caratteri, ed era uno dei leader di questo associazionismo che faceva riferimento alla democrazia.
Il legame, come ho detto, non è sempre pacifico, ci sono momenti di rottura: uno era stato la nascita del bakuninismo in Italia. Un altro, proprio in reazione a questo legame così stretto tra socialismo e democrazia laica, è la formazione di quello che un po' impropriamente viene chiamato il Partito Operaio Italiano (Poi) nell''82. Dico "impropriamente" perché non era un partito, erano leghe di mestiere che si organizzavano tra loro per sostenere una concezione operaista, "esclusivista" e corporativa. Gli operai prendevano alla lettera il motto che era stato già della Prima Internazionale per cui i lavoratori devono loro stessi prendere in mano i loro destini. Erano i lavoratori che dovevano fare il partito e non potevano essere ammessi in quelle formazioni altri che i lavoratori del braccio. Anche i dirigenti erano degli operai o comunque degli artigiani, dei lavoratori veri: Giuseppe Croce era un guantaio, Alfredo Casati era un bronzista e così via (Croce e Casati sono dei nomi che ci fanno pensare alle grandi famiglie liberali: invece erano operai autodidatti). Sono gli stessi lavoratori innalzano la bandiera del classismo intransigente e cercano di staccarsi, di emanciparsi dalla democrazia radicale.
C'è anche un momento di scontro piuttosto drammatico nelle elezioni dell''86, quando gli operaisti presentano proprie candidature e i radicali perdono a Milano il seggio che avevano. Cavallotti si arrabbia e accusa gli operaisti di avere praticamente fatto il gioco delle forze della conservazione, di essere quasi degli agenti provocatori. La cosa è molto antipatica perché poi arriva la repressione poliziesca contro gli operaisti, che vengono arrestati, e Cavallotti deve in qualche modo pentirsi di quello che ha detto. E' una rottura abbastanza seria e drammatica, ma non irreversibile. Tanto più che la corrente operaista in buona parte verrà riassorbita nell'alveo del socialismo.
Comunque, per tutti gli anni '80, nonostante gli scontri e le fratture, l'interscambio fra componenti socialiste e democratico-repubblicane continua strettissimo, nei circoli, nelle associazioni, nelle riviste. Una di queste per esempio è "Cuore e Critica" diretta da Arcangelo Ghisleri, di cui Turati è redattore. Turati poi la rileva e la trasforma nel '91 in "Critica Sociale": che è appunto la rivista che ha organizzato questo seminario.
Frattanto si continua a parlare di un "partito grande", un partito che tenga insieme le diverse componenti della democrazia e del nascente socialismo. Ad esempio nel 1890, quando il processo di enucleazione del socialismo dalla democrazia è già abbastanza avanzato, Filippo Turati, che poi sarà il protagonista di questa operazione, è ancora membro dell'Unione Democratico-sociale di Milano; Antonio Labriola - lo stesso che al momento della formazione del partito socialista assumerà la posizione più intransigente e criticherà Turati per la sua eccessiva disposizione al compromesso - fa ancora parte del Circolo Radicale di Roma. Questa era la situazione all'inizio degli anni '90! L'ipotesi del "partito grande", che tenesse insieme socialismo e democrazia laica, era ancora viva: e un personaggio come il succitato Antonio Maffi, operaio, radicale ma cofondatore poi del Partito Socialista, ne era portavoce.
Perché questo progetto a un certo punto declina e viene poi scartato? Perché in Italia e soprattutto in Europa le cose prendono un'altra direzione: la tendenza è quella della formazione di partiti che si chiamino "socialisti" e che abbiano una base essenzialmente - anche se non esclusivamente - classista. Questa tendenza si afferma a livello internazionale già con la fondazione, nei due congressi di Parigi dell''89, dell'Internazionale Socialista. Ma decisivo è soprattutto un altro evento: la grande vittoria elettorale dei socialdemocratici tedeschi nel febbraio 1890. I socialdemocratici tedeschi, che venivano da quasi un decennio di leggi eccezionali, di repressioni che ne avevano in qualche modo frenato anche la possibilità di manifestarsi liberamente, organizzati nel loro partito - che di lì a un anno si sarebbe dato un programma marxista destinato a diventare il modello per tutti gli altri partiti socialisti - riportano una vittoria elettorale clamorosa con un quarto circa dei voti. Una vittoria che ha delle conseguenze epocali e provoca (o contribuisce a provocare) niente meno che la caduta di Bismarck. Insomma il modello della socialdemocrazia tedesca si afferma come vincente. Segue poi il congresso di Erfurt e nell'agosto del '91 c'è il congresso di Bruxelles, il vero primo congresso dell'Internazionale Socialista, da cui gli anarchici sono cacciati, anche con maniere un po' brutali.
Insomma questo modello si afferma in Europa, si propone come un modello vincente; ed è la forza di questo modello che porta Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Prampolini, Bissolati e alcuni ex operaisti a forzare i tempi per l'operazione che porterà alla formazione del Partito dei lavoratori, poi Partito socialista dei lavoratori e poi (dal congresso di Parma del '95) Partito socialista.
Le tappe sono note: la fondazione, nell'89, della Lega socialista milanese, che si distingue chiaramente sul terreno ideologico dalle organizzazioni della democrazia radicale repubblicana; la fondazione di "Critica Sociale" sul tronco della vecchia "Cuore e Critica"; la fondazione l'anno dopo (nel '92) di un settimanale che si chiama Lotta di Classe, che sarà diretto da Prampolini, per sottolineare questa opzione che è socialista su base classista, anche se non in maniera esclusiva e corporativa come inteso dai vecchi operaisti.
Così ci si avvicina, per varie tappe. C'è il congresso del maggio '90 del Partito Operaio che comincia ad avvicinarsi alle tematiche socialiste. C'è la formazione di altri partiti: quello repubblicano nasce in questo periodo, mentre i radicali danno vita, nel '90, al Patto di Roma, che in realtà è un manifesto programmatico, aperto sì al contributo dei socialisti del movimento operaio, ma che in realtà traccia le linee di un partito democratico; gli stessi anarchici, con il congresso di Capolago del '91, danno vita a una propria formazione. Ancora: nelle società operaie di matrice repubblicana mazziniana emerge una corrente collettivista, che finirà col confluire nel Psi. Insomma tutto cospira, nonostante le numerose resistenze, a quello che sarà l'esito del congresso di Genova e prima ancora di quella sorta di congresso preparatorio che era stato il Congresso operaio di Milano del '91: dove il povero Maffi aveva cercato di tenere ancora insieme le varie componenti, e aveva preparato uno statuto che poi sarebbe stato radicalmente emendato da Turati: sarà lui il vero vincitore, il deus ex machina della scelta socialista del congresso di Genova, dove Maffi risulterà sconfitto. Per inciso: Maffi è un personaggio poco conosciuto e anche misconosciuto, nel senso che la storiografia sulle origini del movimento operaio parla di lui come di un personaggio modesto, un eclettico, un politicante di seconda linea, un po' un pasticcione. Invece era una figura-chiave, che aveva un collegamento stretto da un lato col mondo della democrazia radicale e dall'altro con quello dell'associazionismo operaio. Comunque viene sconfitto ed entrerà poi ugualmente nel Partito Socialista, non avendo però alcun ruolo di rilievo, e finirà per occuparsi per il resto della sua vita di cooperazione più che di politica. Vince invece la linea di Turati, Prampolini, Kuliscioff. La linea della formazione di un Partito Socialista che fondi la sua azione su due pilastri: da un lato la "lotta dei mestieri" e dall'altro la lotta per la conquista dei pubblici poteri. E' un partito non esclusivista ma con una connotazione socialista netta e con la scelta di un referente sociale privilegiato che è appunto la classe operaia.
Questa è la vicenda riassunta proprio nei suoi termini essenziali. A conclusione della quale bisogna porsi due domande. La prima è se questo esito fosse fatale, posto che nella politica non c'è mai nulla di necessitato. O se avesse invece un'alternativa reale e plausibile. La risposta è che probabilmente era inevitabile, nei limiti in cui un evento politico può essere giudicato inevitabile. Le linee di tendenza a livello italiano ed europeo erano quelle, il modello della socialdemocrazia tedesca era forte e vincente, era il modello non solo di una scelta ideologica o di classe ma di una forma-partito, era l'archetipo di quello che sarebbe stato il moderno partito di massa, basato sull'adesione individuale, sulla struttura territoriale, le sezioni ecc.. Anche per questo era un modello vincente.
Non solo: l'ancoraggio alla classe e alle organizzazioni che si cominciavano a fondare - c'erano le camere del lavoro e le prime federazioni di mestiere, le società di "resistenza" (ossia finalizzate agli scioperi) e le leghe contadine - era assolutamente imprescindibile per un partito che volesse dirsi socialista o che comunque volesse organizzarsi su quella base. Ed era non solo una necessità di tipo politico, ma una sorta di ancoraggio, l'antidoto alle tentazioni di tipo giacobino. E' l'idea di appoggiare la propria azione politica su qualcosa di reale, che sta nella società. E' l'idea di un radicamento sociale come la migliore garanzia contro le fughe in avanti che invece spesso la democrazia giacobina si consente. E' la sostanza di quello che poi si chiamerà (ma già è) il socialismo riformista.
Quindi alla domanda "era evitabile questo esito socialista?" io risponderei, "Tutto sommato, no".
C'è però una seconda domanda: "Con questa scelta si perde qualche cosa?", alla quale risponderei "Sicuramente sì". Forse non si poteva fare altrimenti ma qualche cosa si perde. Quello che si perde o quanto meno si attenua, in parte impallidisce, è il carattere forte, interno, necessitato, sostanziale e non solo tattico-strumentale del legame fra socialismo e democrazia.
Intendiamoci: con Genova '92 (o con Erfurt '91 o con Parigi '89), il socialismo italiano non si separa dalla democrazia. Nel programma di Genova del partito c'è la formula per cui uno dei compiti del Partito socialista è quello di lottare per la conquista democratica dei pubblici poteri. Formula che, tra l'altro, rimarrà negli anni e sarà abolita solo dallo sciagurato congresso di Bologna del 1919, congresso - altro che Livorno! - della vergogna nella storia del socialismo italiano, in cui si dice che, in sostanza, i pubblici poteri non vanno conquistati ma abbattuti (insomma, "lo stato borghese si abbatte ma non si cambia"). Ma fino al '19 rimane l'idea che il socialismo deve lottare per la conquista dei pubblici poteri: un riconoscimento implicito dell'istituto della democrazia rappresentativa, il che significa non solo partecipare alle elezioni, ma anche fare politica delle alleanze per vincerle. Quindi c'è una specie di varco attraverso cui la pratica del socialismo democratico e riformista può entrare.
Si potrebbe aggiungere che, subito dopo essersi separato dalla democrazia laica il Partito socialista italiano, anche per forza di cose, deve riprendere questo contatto, deve riallearsi con la democrazia. Nel '94, in piena repressione crispina, abbiamo la Lega per la Difesa della Libertà che di nuovo riunisce socialisti, radicali e repubblicani. Non solo: le alleanze a livello elettorale continuano per tutta la fine del secolo. C'è la lotta per la difesa delle garanzie statutarie, la crisi di fine secolo che vede i socialisti ancora alleati alle formazioni di democrazia laica; c'è l'apertura di Giolitti ai socialisti e dei socialisti a Giolitti; c'è, alla fine del primo decennio del '900, la pratica dei "blocchi popolari", delle alleanze amministrative e anche politiche con le forze di democrazia laica. In generale si può dire che tutti i momenti migliori della storia del socialismo italiano sono stati segnati dall'alleanza tra Psi e formazioni della democrazia laica; e si può dire per converso che i momenti bui del socialismo italiano nascono dalla scissione tra socialismo e democrazia.
Tutto vero, ma è anche vero che, a partire da questo snodo cruciale dei primi anni '90 di cui ho parlato, il rapporto tra socialismo e democrazia, che rimane spesso vivo e operante, si definisce come un rapporto tra due entità distinte. I socialisti si alleano con i democratici, più che "essere" democratici in prima persona: la democrazia politica è uno sfondo, una cornice, è la condizione nella quale il movimento operaio può trovare il modo di svilupparsi e poi, inevitabilmente - com'era nella mentalità dell'epoca - di vincere. La democrazia è il quadro, se vogliamo forzare un po' il discorso, è un mezzo più che un fine.
Nel momento in cui il movimento operaio europeo respinge quella che era la proposta migliore per reinserire il socialismo nella democrazia e la democrazia nel socialismo (è la proposta di Bernstein, la proposta di abbandonare il finalismo della concezione socialista, di esaurire la dottrina e la pratica del socialismo nel movimento per i miglioramenti economici e nella democrazia politica): nel momento dunque in cui il movimento operaio respinge questa proposta e mantiene così un impianto finalistico e per certi versi catastrofistico, mantiene però ancora aperto il varco attraverso cui entrano e possono continuare a vivere dentro la casa dei socialisti europei tutte le correnti, tutte le tentazioni massimaliste, rivoluzionarie, utopistiche, millenaristiche. Ed è qui, secondo me, la radice di tante aporie teoriche e di tanti errori pratici del socialismo riformista. E anche la causa di tante catastrofi della democrazia nel secolo ventesimo.