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31-08-02, 22:22
12 marzo 2002 - Ezio Bassani: “L’Africa, terra di capolavori”
Il collezionista e studioso parla dell’arte africana e del collezionismo di ‘africanerie’ dal ‘500 al ‘700 in occasione della mostra al Museo civico archeologico di Bologna

BOLOGNA - I volumi della maschera Bambara sono perfetti, la stilizzazione di un copricapo richiama le antilopi e con raffinato processo di astrazione, di sintesi. Il collezionista e studioso varesino Ezio Bassani presenta da sabato 16 marzo al Museo civico archeologico di Bologna 83 pezzi della sua raccolta dell’Africa nera. Ricordando il principio fondamentale: opere d’arte e non testimonianze etnografiche. Ma se Bassani ha già esposto queste sculture in legno a Milano, nel 2000 a Palazzo Reale (destinate al costituendo Museo delle culture extraeuropee insieme all’intera raccolta), nel capoluogo dell’Emilia-Romagna offre pezzi collezionati in territorio emiliano e romagnolo dal Cinquecento al Settecento. Non si tratta di raccontare la presenza di arti cosiddette “primitive” in Europa, quanto di ricordare un fenomeno piuttosto diffuso che vide, oltre all’importazione di sculture da luoghi esotici destinate alle “Camere delle meraviglie” (le Wunderkammer), la commissione per il mercato nobiliare di pezzi pregiati in avorio come saliere, cucchiai, impugnature di coltelli. La mostra, “Africa nera. Arte e cultura”, è curata dallo stesso Bassani con Cristiana Morigi Govi, direttrice del museo, ed è dedicata a Léopold Sédar Sénghor, poeta e presidente del Senegal (premio Nobel per la letteratura ndr) vissuto dal 1906 al 2001. Bassani ha pubblicato presso il British Museum un grande catalogo, African art and artefacts in European collections 1400-1800, uscito alla fine del 2000.

Cosa differenzia questa mostra bolognese da quella di Milano?
C’è una nuova sezione – risponde Bassani – sul collezionismo di opere d’arte e manufatti africani dal Cinquecento a tutto il Settecento in Emilia Romagna.

Quali pezzi presenta?
Sono particolarmente belle due saliere di Bologna e Modena, tessuti dal Congo conservati al Museo Pigorini di Roma, i due olifanti, trombe in avorio dal Museo nazionale di Ravenna, oltre a libri e carte geografiche. Si pensava che i rapporti con l’Africa allora fossero solo per avere schiavi e prodotti, invece nel Cinquecento i portoghesi commissionavano opere in avorio per le corti d’Europa e consideravano gli artisti africani come dei Benvenuto Cellini.

Quegli avori e quelle sculture erano destinati alle ’camere delle meraviglie’?
Sì, finivano nelle raccolte di curiosità scientifiche e artistiche, a Bologna nella collezione del Cospi, che comunque era ricca di arte.

Lei da tempo dice: dobbiamo guardare queste opere non con occhio etnografico ma come a opere d’arte. Trova che in occidente ora questo stia accadendo?
Sì, si sta verificando. Intanto perché grandi musei del mondo ormai hanno sezioni africane. Ce l’ha ad esempio il Metropolitan di New York, a Washington c’è un grande museo di arte africana. L’ultima grande operazione l’ha compiuta il Louvre istituendo la sezione arte extraeuropea e africana. Anche il Pigorini di Roma ha cambiato alcuni criteri espositivi. Si avverte la consapevolezza che si parla di opere d’arte, non di lavori di popolazioni inferiori, che richiedono dedizione, criteri e canoni per essere guardarte come tali.

Il concetto di autore caro all’arte occidentale è ancora asssente?
Comincia ora a prendere piede. Ma non sono opere anonime, sono di autori che anche gli africani hanno dimenticato. A Bruxelles c’è stata mostra “Mani di maestri” con sculture attribuite a un determinato artista. L’arte africana inizia a essere studiata come tale da pochi decenni per cui si pone anche il problema dell’antichità, delle datazioni. Si presumeva che le sculture, soprattutto quelle in legno, non fossero anteriori all‘800, ma tramite le analisi al carbonio 14 la datazione ha stabilito che alcune opere lignee risalgono fino al X-XII secolo. È in atto un cambiamento, siamo all’inizio di fase di studi.

Com’è nato questo suo interesse?
All’inizio per curiosità. Poi mi sono reso conto che c’erano problemi aperti, tutto era legato all’etnografia e nessuno diceva quanto sono belle queste sculture. Studiavo al British Museum per la tesi su un poeta inglese ho visto opere africane, ho conosciuto il direttore del dipartimento, William Fagg, un grande studioso di cui sono diventato amico, e così mi sono appassionato.

A Lugano si tiene una mostra sulla collezione d’arte africana di Han Coray. Lei lo ha conosciuto? E che differenze ci sono tra la sua raccolta e la sua?
Sì, quando era vecchio. Quanto alle differenze, ognuno crea la sua collezione. Comunque la differenza principale è che abbiamo cercato in tempi diversi. Sono comunque due percorsi paralleli: anche lui voleva d’arte, non era interessato all’etnografia, tanto è vero che i suoi amici erano gli artisti.

Il fatto che oggi in Europa, e in Italia, ci sia una forte immigrazione anche dall’Africa incide su questo mutamento nei confronti di questa arte?
No, non credo incida.

(Stefano Miliani)

Notizie utili - “Africa nera. Arte e cultura”. Bologna, Museo civico archeologico (via dell’Archiginnasio 2). A cura di Ezio Bassani e Cristiana Morigi Govi. Catalogo Artificio Skira. Dal 16 marzo, prorogata al 29 settembre. Orario: 9-18,30; chiuso lunedì non festivi e 1° maggio. Ingresso: 6 Euro, ridotti 4 Euro, gratuito sino ai 6 anni. Per informazioni e prenotazioni: 051 235204, e-mail: ArteAfricaNera@comune.bologna.it