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Tomás de Torquemada
23-09-02, 23:24
Il Miracolo
di Vittorio Messori
Rizzoli, 1999

Un miracolo che va al di là di qualsiasi "spiegazione razionale": un uomo recupera la gamba che gli era stata amputata.
L'indagine di Messori tra dubbi, documenti notarili, migliaia di testimoni.
E persino il Re di Spagna...

Lo scrittore attua una ricerca su:
“ El Gran Milagro, il grande Miracolo, o El milagro de los milagros o più semplicemente, e più solennemente,Il Milagro, Il Miracolo per eccellenza, il solo con l’articolo determinativo, perché senza paragoni.
Così, la tradizione spagnola aveva indicato quello che, per me, allora era un evento solo presunto.
Al quale, anzi, avevo guardato (e paradossalmente, proprio perché credente), con immediata cauta prudenza. Corre se, pur considerandomi ovviamente disponibile ad accettate il mistero del Soprannaturale, avessi io pure stabilito, d’istinto, ciò che per Dio era opportuno fare o non fare.

L’Evento, il Fatto, in sintesi può essere condensato cosi:

“Tra le dieci e le dieci e trenta della sera del 29 marzo del 1640, mentre dormiva nella sua casa di Calanda, nella Bassa Aragona, a Miguel Juan Pellicer, contadino di 23 anni, fu “riattaccata” — subitamente e definitivamente — la gamba destra.
Questa, spezzata dalla ruota di un carro e poi interamente incancrenita, gli era stata tagliata, quattro dita sotto il ginocchio, alla fine di ottobre del 1637 (dunque, due anni e cinque mesi prima della sconvolgente “restituzione”), all’ospedale pubblico di Saragozza. Chirurghi e infermieri avevano poi provveduto alla cauterizzazione del moncone con il ferro rovente.
Dalla inchiesta e dal processo (apertosi a distanza di solo 68 giorni e durato molti mesi, presieduto dall’arcivescovo assistito da nove giudici, con decine di testimoni e con il rispetto rigoroso di tutte le norme prescritte dal diritto canonico dal processo, dunque, risultò che la gamba di colpo reimpiantata era quella stessa che era stata tagliata e poi sepolta nel cimitero dell’ospedale di Saragozza, a più di cento chilometri da Calanda.


http://hetilap.hetek.hu/images/10.006/hit/vittorio_messori2.jpg
Vittorio Messori - Immagine tratta dal sito http://hetilap.hetek.hu/

Oltre che dal processo, la realtà dell’evento fu certificata, a soli tre giorni di distanza, e sui luoghi stessi, da un Notaio Reale (estraneo al paese e, dunque, non coinvolto dai fatti), con regolare strumento legale, garantito sotto giuramento da molti testimoni oculari, tra i quali i genitori e il parroco del miracolato.
Risultò pure, dall’andamento dei fatti e dalle testimonianze del protagonista e degli altri testimoni, che il prodigio fu dovuto all’intercessione di Nostra Signora del Pilar, di cui il giovane era sempre stato particolarmente devoto, cui si era raccomandato prima e dopo l’amputazione, e nel cui santuario di Saragozza aveva chiesto l’elemosina per oltre due anni come mendicante autorizzato.
Da quando aveva potuto lasciare l’ospedale con una gamba di legno e due stampelle, ogni giorno aveva unto il moncone con l’olio delle lampade accese nella Santa Cappella del Pilar e così sognava di star facendo, a Calanda, la sera del 29 marzo 1640, allorché si addormentò con una gamba sola e fu risvegliato dai genitori pochi minuti dopo, avendone nuovamente due.
Sulla verità dei fatti non si levò mai alcuna voce di dubbio e di dissenso, né allora né poi : né nel villaggio, né in alcun altro luogo dove Miguel Juan era ben conosciuto prima e dopo l’incidente che l’aveva portato all’amputazione. Lo stesso re di Spagna, Filippo IV, terminato con esito positivo il processo, volle convocare il miracolato nel suo palazzo di Madrid, inginocchiandosi davanti lui per baciare la gamba prodigiosamente “restituita “.
Diciamolo subito: davanti a un racconto del genere, la prima reazione di incredulità potrebbe essere non soltanto del tutto comprensibile, ma forse, addirittura, in qualche modo doverosa. E non solo da parte di atei, agnostici, increduli, deisti o quant’altro. Ma anche per un cristiano, per un cattolico stesso. Anch’egli potrebbe dire, come i francesi in casi simili: «Trop, c’est trop!»…

http://web.tiscali.it/catechesionline/milagro.html

Dal sito http://web.tiscali.it/catechesionline/

Tomás de Torquemada
23-09-02, 23:42
La gamba ricresciuta!

Tutto il materiale riportato su questo episodio è stato tratto dal libro di Vittorio Messori: "IL MIRACOLO", edito nella collana Saggi Superbur della Rizzoli; e da quello di Andrè Deroo : "IL MIRACOLO DELLA GAMBA AMPUTATA" , edito dalla Piemme, titolo originale: "L'homme à la jambe coupèe".

Per inciso: i libri di Messori e di Deroo hanno riportato all'attenzione dell'umanità, credente e non credente, un fatto straordinario non soltanto per la eccezionalità dell'evento accaduto, ma per lo strano e misterioso silenzio calato come una cortina impenetrabile, per più di tre secoli, sul più grande e sconvolgente prodigio mariano.

Non accontentatevi, fratelli miei, dei pochi stralci da me ripresi dai libri citati. Un evento di questa straordinarietà va gustato nella sua totalità. Il mio scopo è, come sempre, quello di indurvi alla lettura dell'opera originale.


Sommario

" Nessun credente avrebbe l'ingenuità di sollecitare l'intervento divino perchè rispunti una gamba tagliata. Un miracolo del genere, che pur sarebbe decisivo, non è mai stato constatato. E, possiamo tranquillamente prevederlo, non lo sarà mai".

Félix Michaud


" Perciò, considerate queste e altre cose, con il consiglio degli infrascritti illustri Dottori sia di Sacra Teologia, sia di Diritto Pontificio, affermiamo, pronunciamo e dichiariamo che a Miguel Juan Pellicer, nativo di Calanda, di cui si è trattato in questo processo, fu restituita miracolosamente la gamba destra che in precedenza gli era stata amputata; e che non è stato un fatto operato dalla natura, ma opera mirabile e miracolosa; e che si deve giudicare e tenere per miracolo, concorrendo tutte le condizioni richieste dal Diritto perchè si possa parlare di un vero prodigio nel caso qui in esame. Pertanto lo ascriviamo tra i miracoli8, e come tale lo approviamo, dichiariamo e autorizziamo e così diciamo".

Don Pedro de Apaolaza, Arcivescovo di Saragozza, 27 Aprile 1641


Negli archivi della parrocchia di Calanda, una piccola cittadina a un centinaio di chilometri da Saragozza, figura che il 25 marzo del 1617, festa dell'Annunciazione, il piccolo nato da Maria Blasco e da Miguel Pellicer Bielsa, è stato battezzato con il nome di Miguel-Juan Pellicer. Una piccola famiglia di contadini, questa dei Pellicer, che con il passare del tempo si arricchì di altri sei figli.

Fu così che nel 1636... "Miguel-Juan decise di lasciare la famiglia, animato dal pensiero che la sua partenza avrebbe alleggerito il pesante carico di suo padre e di sua madre. Anzi, egli sperava di guadagnare altrove un pò di denaro e di fornire ai genitori un qualche sostegno".

Durante il suo viaggio alla ricerca di un pò di fortuna, Miguel-Juan cadde dalla groppa di un mulo che stava trainando un carretto carico di grano, e finì con la gamba destra sotto una delle ruote, che gli spezzò la tibia.

"La frattura era grave e non tardò ad infettarsi."

Il povero Miguel-Juan fu trasportato all'ospedale di Castellon de la Plata, da dove il fratello di sua madre, Jaime Blasco, per il quale stava effettuando quel trasporto di grano, "...lo fece trasferire all'ospedale generale di Valencia...", nella speranza che potesse avere cure migliori.

Il libro di Vittorio Messori è ricchissimo di particolari documentati, sia riguardo ai fatti dell'incidente (epoca, luogo, peso del carico del carro, caratteristiche del carro, ecc.), sia a quelli accaduti successivamente; a dimostrazione che della vicenda non si conoscono soltanto i "si dice", o i "pare che..." ma i fatti reali così come sono accaduti.

In quell'ospedale però Miguel-Juan ci resta solo cinque giorni, senza che le cure sortissero alcun effetto: non dimentichiamo che siamo nella prima metà del diciassettesimo secolo. Egli vuole mettersi sotto la protezione della Madre celeste, la Vergine del Pilar: ottiene un salvacondotto per trasferirsi ed inizia il suo penosissimo cammino. La gamba fratturata ed infettata e lo sforzo immane del viaggio, lungo trecento chilometri e durante i quali deve oltrepassare una catena di monti, sono una prova tremenda; ma la fede indomita nella Vergine del Pilar non lascia spegnere quella scintilla di vitalità che lo spinge a proseguire il suo cammino. E finalmente, nell'ottobre del 1637, Miguel-Juan raggiunge Saragozza: "Si è aiutato con le stampelle e, pare, con una gamba di legno su cui poggia il ginocchio: la parte fratturata è piegata e assicurata alla coscia con una cinghia".

"Malgrado lo sfinimento e la febbre alta, appena arrivato nella capitale dell'Aragona si trascina sino al santuario del Pilar, dove si confessa e riceve l'eucaristia. Subito dopo ottiene il ricovero al Real Hospital de Gracia."

"I medici stabiliscono che, data la cancrena avanzata e l'inefficacia dei rimedi applicati durante i primi giorni di ricovero, il solo modo per tentare di salvargli la vita è l'amputazione della gamba. Testimoniando davanti ai giudici, quei sanitari la definiranno <muy flemorizada y gangrenada>, tanto da apparire <negra>".

Verso la metà di ottobre la gamba viene amputata "quattro dita sotto il ginocchio", con sega e scalpello e, quindi, cauterizzata con ferri roventi: etere e cloroformio saranno applicati alla chirurgia solo due secoli più tardi.


http://www.conferenciaepiscopal.es/actividades/2004/coronapilar.jpg
La Virgen del Pilar - Immagine tratta dal sito http://www.conferenciaepiscopal.es/

"I chirurghi sono assistiti dal giovane praticante Juan Lorenzo Garcia, il quale raccoglie da terra l'arto segato e lo deposita nella cappella dove si compongono i cadaveri. Testimonierà di aver mostrato il sanguinoso reperto ad alcuni infermieri ed anche al cappellano e amministratore, don Pascual del Cacho, egli pure convocato al processo. Questo sacerdote dirà di "aver visto sul pavimento la detta gamba tagliata" e di aver poi saputo che "era stata interrata", nonchè di essersi "avvicinato al letto del paziente, per consolarlo e animarlo con esempi adatti al suo stato".

"Aiutato da un collega, il praticante Garcia seppellisce la gamba nel cimitero dell'ospedale, in un settore apposito".

"Il praticante Garcia deporrà, ovviamente, al processo: testimonierà che il pezzo di gamba fu da lui sepolto orizzontalmente, "in una buca profonda un palmo", cioè ventun centimetri, secondo la misura aragonese. E' quella stessa buca che, quasi due anni e mezzo dopo, sarà trovata vuota".
....................

(Più avanti nel libro...)
.....................

"La mutilazione del giovane è ancora più evidente a tutti perchè - secondo l'uso dei pordioseros Miguel Juan tiene scoperta la piaga. Tutte le mattine, prima di mettersi al suo posto di questua, assiste devotamente alla messa nnella Santa Capilla, dove la piccola immagine in legno (meno di 40 centimetri) della Madonna con il Bambino sta nella sua colonna, el Pilar, il pilastro, coperto dagli splendidi <manti> ricamati, cambiati ogni giorno".
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...segue...
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"Finalmente, dopo più di tre anni di assenza, dopo quasi una settimana per un viaggio lungo 118 chilometri (e nell'imminenza del suo ventitreesimo compleanno), Miguel Juan rivarca la soglia della casa paterna, dove è accolto con affetto, malgrado i suoi timori".
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<<Un profumo di Paradiso>>

"Dopo la parca cena, passate le dieci, Miguel Juan si congeda dai genitori, dal soldato, dal piccolo servo e dai due vicini di casa, Miguel Barrachina e sua moglie, Ursula Means, venuti a passare la veglia (come di consueto) con gli amici Pellicer. I due saranno i primi estranei alla famiglia (escludendo il cavalleggero, di certo subito svegliato), a constatare, sconvolti, quanto era successo.

"Durante la vela, la veglia dei contadini, il giovane si è lagnato più del solito dei dolori che il moncone gli provoca, soprattutto dopo uno sforzo come quello di quel giorno.

"Tiene allo scoperto la ferita cicatrizzata, che tutti vedono e che qualcuno palpa. Al processo, ci saràchi tenterà di descrivere la sensazione <tattile> provata nel toccare quella che chiamano la cisura, il taglio della amputazione, ormai coperto da una spessa crosta. Pare che la presenza del soldato (pratico di cadute e di ferite per la sua esperienza di combattente a cavallo) abbia richiamato l'attenzione e la conversazione sull'arto, proprio quella sera.

"Sul seggiolone della cucina, Miguel Juan lascia la gamba di legno e gli stracci di lana che usa per appoggiare sopra di essa il moncone. Nello stesso posto, depone la stampella. Appoggiandosi al muro per reggersi in piedi, raggiunge, saltellando sul piede sinistro, la camera dei genitori, contigua alla cucina. Poco dopo, anche i coniugi Barrachina, Miguel e Ursula (entrambi cinquantenni), si congedano e ritornano alla loro casa, prossima, se non addossata, a quella dei Pellicer.

"Tra le dieci e mezza e le undici, la madre di Miguel Juan entra, con in mano un candil, una lampada a olio, nella stanza matrimoniale. Subito avverte, come testimonierà, <<una fragranza e un odore soavi e mai sentiti prima>>.
........

"Comunque sia, Maria Pellicer, nata Blasco, 45 anni, sorpresa da quegli effluvi profumati, alza la lampada e si avvicina al giaciglio improvvisato, per vedere come si è sistemato il figlio. Constata che sta dormendo profondamente. Ma vede anche, pensando di sbagliarsi a quella luce incerta che fuori dal mantello, usato come coperta troppo corta, non spunta un solo piede, bensì due: <<uno sull'altro, cruzados, messi in croce>>, come dirà al processo.

"Lì per lì, avvicinatasi e appurato che non ha visto male, la donna pensa che il posto riservato al figlio sia stato occupato, per un equivoco, dal soldato. Chiama, dunque, il marito, attardatosi in cucina, perchè venga a chiarire la situazione. L'uomo, accorso, sposta la cappa, scoprendo l'impossibile: il dormiente è davvero il figlio. Buttato di lato, con affanno, quel mantello, entrambi hanno conferma che proprio del loro Miguel Juan sono quei due piedi cruzados. E constatano che ad ognuno di essi è unita una gamba, come quando, più di tre anni prima, quel loro secondogenito era partito in cerca di fortuna, pieno di forza e di speranza, verso Castellòn de la Plata".

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Incredibile?

Fratelli, procuratevi il libro di Vittorio Messori, della Superbur: sono 270 pagine di notizie, dati storici, documenti e fotografie. Ogni dubbio residuo e ostinato sparirà. L'intera Europa, a quell'epoca, rimase stupefatta, sbigottita e se ne fece un gran parlare. E dopo, il silenzio, l'oblio dei secoli.

"Chi" lo decretò? Lo possiamo intuire fin troppo bene...

Dal sito http://www.preghiamo.it/

Tomás de Torquemada
08-06-03, 07:40
Il grande chirurgo
Un microchirurgo rilegge gli atti del miracolo di Calanda del 1640. Tutti i sintomi del decorso postoperatorio dopo il reimpianto di un arto descritti con un occhio clinico allora inimmaginabile

di Stefano Zurlo

Quante strade ci sono per arrivare a credere in un miracolo? C'è la via classica della fede, ma c'è anche quella, sorprendente, della microchirurgia. Calanda, Aragona, 29 marzo 1640: Miguel Pellicer, un giovane contadino, "recupera", per intercessione della Virgen del Pilar, la gamba che gli era stata amputata due anni e mezzo prima, dopo un grave incidente. Per gli spagnoli quello di Calanda è el milagro de los milagros, il prodigio per eccellenza. Verona, Policlinico universitario, estate del 1999: Landino Cugola, primario dell'Unità operativa di chirurgia della mano e dell'arto superiore, legge le testimonianze oculari raccolte 359 anni prima dall'Inquisizione. E resta sbalordito: quelle narrazioni, così antiche, sono straordinariamente moderne e descrivono con occhio clinico quel che allora era semplicemente inimmaginabile: tutti i sintomi che accompagnano il decorso postoperatorio dopo il reimpianto di un arto. Il gonfiore della caviglia, le macchie bluastre sulla pelle, le dita del piede chiuse a pugno.
Era scettico, lo specialista, ora ci crede: i verbali delle 24 persone che sfilarono davanti al tribunale dell'Inquisizione di Saragozza sembrano presi di peso da un odierno trattato di letteratura medica. Ma nel Seicento gli ortopedici non si sognavano nemmeno un'operazione del genere, il primo tentativo riuscito di riattaccare un braccio è del 1962. Cugola legge e rilegge quelle carte, poi si arrende all'evidenza: "È impossibile che tutte quelle persone abbiano bluffato, non potevano simulare una cosa che allora non era nemmeno pensabile". Così il professore, che ha sessant'anni e per mestiere riattacca braccia e piedi (in Italia non sono più di dieci i centri in grado di fare operazioni del genere) è diventato, quasi involontariamente, il miglior testimonial del libro che sull'argomento ha scritto Vittorio Messori: Il miracolo; sottotitolo: Spagna, 1640: indagine sul più sconvolgente prodigio mariano.


Lettore di eccezione

Merito di Messori se quell'evento, dimenticato o sconosciuto ai più, è tornato d'attualità. La Rizzoli ha appena sfornato la decima edizione, le copie vendute in meno di due anni sono già cinquantamila, la Rai e la tv svizzera sono andate in Aragona a girare un film. Ora però arriva questo lettore d'eccezione a rendere ancora più intrigante la storia e a benedire il più politicamente scorretto dei matrimoni: quello fra la scienza più avanzata e il milagro più barocco, consegnatoci direttamente dalla Spagna del Seicento. "Un giorno - spiega Messori - sono andato a presentare il libro in una parrocchia dell'hinterland veronese. A un certo punto un signore ha alzato la mano e si è presentato. Era Cugola. Aveva letto il libro per scrupolo professionale, ma ne era rimasto impressionato". Racconta il professore: "Conoscevo già il prodigio di Calanda: a casa ho una raccolta di foto e diapositive che spiegano tutti i miracoli presenti nell'iconografia tradizionale che in qualche modo mi possono interessare. Letto il testo, ho chiesto a Messori la documentazione del processo tenuto a Saragozza per ordine dell'Inquisizione e lui mi ha inviato le fotocopie: circa settanta pagine in spagnolo".
Cugola si è sobbarcato questa fatica supplementare e riga per riga si è lasciato conquistare da quelle narrazioni: "È tutto vero, troppo vero per essere falso". Più che nell'Aragona del Seicento gli è parso di essere fra la camera operatoria e il centro di riabilitazione del suo ospedale.


La storia

Che cosa successe a Calanda? Apparentemente la storia descritta dal giornalista e scrittore è così strepitosa da far sorridere. La sera del 29 marzo 1640 Miguel Pellicer, un giovane contadino, va a dormire. Due anni e mezzo prima è finito sotto un carro e ha perso la gamba sinistra: gliel'ha dovuta amputare, quattro dita sotto il ginocchio, il chirurgo di Saragozza. Quella notte a Calanda ci sono i soldati e il ragazzo deve accontentarsi di un giaciglio di fortuna, per lui particolarmente scomodo: saranno le ultime ore di sofferenza. Quando si sveglia non crede ai propri occhi: al posto del moncone c'è la sua gamba, sepolta due anni e mezzo prima nel cimitero dell'ospedale di Saragozza. Non ci sono dubbi; è proprio quella che gli avevano tolta: ci sono perfino i segni del morso che un cane gli aveva dato quando era bambino.
Sembra fiction, ma a confermare lo strabiliante episodio ci sono i testimoni. Numerosi, numerosissimi: i genitori, gli amici, gli abitanti di Calanda, i canonici del Pilar, il chirurgo, i soldati accampati quella notte in casa Pellicer. È credibile che si siano accordati imbastendo una gigantesca truffa? Oppure, sono stati, essi stessi, "truffati" da un'abile messinscena? Per Messori, che è andato a Calanda e poi a Saragozza, dove ha frugato fra le carte dell'archivio del Pilar e ha allineato le diverse testimonianze, è impossibile. Il giornalista si ferma qui.


http://usuarios.lycos.es/caballerosNSdelPilar/calanda.jpg
Immagine tratta dal sito http://usuarios.lycos.es/

Particolari convincenti

Cugola va oltre. E si sofferma sulle ore immediatamente successive al risveglio: "Pellicer aveva recuperato l'arto, ma ci volle del tempo perché riprendesse a camminare correttamente. I testimoni dicono che la gamba era mortecina, smorta. Esattamente come capita oggi. Tanto per cominciare il sangue ristagnava e la caviglia si era gonfiata". Dettaglio notato dai calandini. Non solo: la folla dei curiosi coglie altri sintomi che sembrano presi di peso dalle riviste scientifiche degli ultimi trent'anni: la gamba è più corta e il giovane zoppica, sulla pelle ci sono macchie di colore scuro, marbrures, le dita del piede sono poco sensibili, il polpaccio più piccolo. Tutti particolari che rafforzano i convincimenti di Cugola: "Durante l'intervento avvenuto a Saragozza l'equivalente di quattro dita di lunghezza andò perduto per lo spappolamento della frattura. Così, almeno inizialmente, Miguel si ritrovò con la sua gamba, ma più corta. Succede anche a noi nel 95% dei casi. E anche noi, nella fase di riabilitazione, provochiamo l'allungamento dell'osso con uno strumento detto fissatore esterno". E gli altri particolari? "Non mi sorprendono. Il polpaccio si era ristretto perché il muscolo si era mummificato. Con il ritorno del sangue si è reinnervato e ha riassunto la grandezza naturale. Le chiazze invece sono facilmente spiegabili perché, nelle prime ore dopo il reimpianto, il sangue ha ripreso gradualmente a circolare, ma in modo non uniforme. In certe zone è arrivato prima, in altre dopo. E anche le terminazioni nervose ci hanno messo del tempo, come da copione, a riattivarsi".

C'è di più. Ai calandini non sfugge nemmeno la posizione innaturale, a pugno, in cui teneva le dita del piede: corbadas hacia bajo, ricurve verso il basso. "È un classico", risponde tranquillamente Cugola, "le dita erano flesse perché dopo il reimpianto i tendini flessori prevalgono su quelli estensori. Un fatto normalissimo". Insomma, tutto trova se non una spiegazione esauriente almeno una giustificazione in linea con la logica e la conoscenza. Resta il quesito di fondo. Come era possibile ricreare una gamba perduta due anni e mezzo prima? "Secondo me - spiega il primario - la gamba non andò distrutta come si potrebbe ritenere. Si verificò invece un processo di mummificazione, frequente anche oggi. Per intenderci, dopo la caduta e la lesione, non ci fu un blocco repentino della circolazione, i tessuti non andarono in necrosi umida o gangrena, ma la gamba si mummificò lentamente. Questo spiega fra l'altro perché Pellicer non sia morto di setticemia in quei giorni. La gamba assunse un color ambra, un po' come le reliquie che veneriamo nelle nostre chiese".


Oltre la ragione

Cugola sorride e previene l'obiezione, scontata: "Con questo non voglio sminuire il miracolo, noi oggi riattacchiamo una gamba solo se ce la portano entro un tempo brevissimo, 8-10 ore al massimo. Un intervento su un pezzo di arto dimenticato da due anni e mezzo va ben al di là delle nostre capacità. Ma in un certo senso - è la conclusione di Cugola - non le contraddice. La nostra razionalità, almeno la mia, non viene mortificata dal chirurgo divino. Il miracolo va oltre la mia ragione, ma non la ridicolizza. Tutti i tasselli del mosaico che ho pazientemente ricostruito vanno al loro posto e i miei colleghi che sghignazzano dovrebbero studiare più attentamente la vicenda prima di emettere giudizi frettolosi".
Un milagro oltre, ma non contro la scienza. Messori, da sempre in prima linea nella guerra contro il Gesù caramelloso e assorto di certi santini, è soddisfatto: "La liturgia approvata da Roma per la festa del 29 marzo recita così: "Non fecit taliter omni natione", Dio non ha fatto nulla di simile per nessun'altra nazione, né prima né dopo". El milagro de los milagros. "Un fatto di carne e di sangue per ricordarci che il cristianesimo non è un'ideologia, ma un avvenimento. Tener presente questo oggi può essere molto utile: il grande nemico del cristianesimo non è il materialismo, ma lo spiritualismo".
Il dialogo Messori-Cugola è già stato inserito nell'edizione spagnola del Milagro. La Rizzoli lo metterà in coda al testo italiano nei prossimi mesi, quando Il miracolo verrà riproposto nei tascabili della Bur.

pcosta
08-06-03, 14:03
L'opinione degli scettici del CICAP
http://www.cicap.org/articoli/at100006.htm

http://www.cicap.org/articoli/at100115.htm

Alessandra
08-06-03, 14:42
Originally posted by pcosta
L'opinione degli scettici del CICAP
http://www.cicap.org/articoli/at100006.htm

http://www.cicap.org/articoli/at100115.htm

Questi qui mi stanno sulle balòn a prescindere. Chi ha visto Porta a Porta la scorsa settimana quando trattava del Dott. Roll? Tra chi crede a tutti i costi e chi non crede costi quel che costi preferisco la prima categoria.

Alessandra
08-06-03, 14:49
Arrampicamento sugli specchi del CICAP:

Ma ora abbiamo Messori che, confortato da alcuni mistici di tutto rispetto(da Pascal a Guitton), ci informa che quello stesso Dio, così riluttante a "giuocare ai dadi", è invece propenso a "giuocare a rimpiattino" (sic). E' infatti Lui che, deciso a "non strafare", si rifiuta di rendere evidenti i propri interventi per lasciare all'uomo la libertà di non credere. Per questo, prosegue Messori, è assurda e ridicola la pretesa dello scettico di trovare nel miracolo il segno inequivocabile di una violazione delle leggi di natura: che Dio - ci viene assicurato - ha evitato di imprimere proprio per evitare dimetterlo in imbarazzo.

Salvo un caso, evidentemente: quello della "restituzione" della gamba amputata a Miguel Juan Pellicer nel 1640. Ed è a questo punto che la vicenda narrata da Messori s'ammanta di mistero su almeno tre punti.

A parte il fatto che la spiegazione di Messori, che poi è di tanti altri, la ritengo condivisibile, credere in Dio significa prima di tutto avere fede, questi cel CICAP che mai l'hanno condivisa, adesso rovesciano il ragionamento dandola per buona e quindi smentibile a causa del miracolo dei miracoli.

pcosta
08-06-03, 14:57
http://www.corriere.it/speciali/gallerie/marchi/galleria/jpg/image9.jpg




Tra chi crede a tutti i costi e chi non crede costi quel che costi preferisco la prima categoria


io no

Alessandra
08-06-03, 15:00
Originally posted by pcosta


io no

Non mi riferivo mica a queste pagliacciate:(

pcosta
08-06-03, 15:05
Se uno crede nella macumba brasiliana del Mago Do Nascimento, non sono pagliacciate.
E' fede anche quella. :D

Silvia
08-06-03, 16:44
Il problema dei cicappini è che sono del tutto refrattari all'elementare concetto di "dubbio"... Un vero peccato, perché tentare di spiegare razionalmente anche l'inspiegabile spesso comporta contorsionismi così arditi da risultare stupefacenti. :D

E' già tanto che, nell'articolo linkato da pcosta, Garlaschelli ammetta che il motto "fatti straordinari richiedono prove straordinarie" (abusatissimo cavallo di battaglia del Cicap… :ronf ) in questo caso sia intrinsecamente difficile da applicare.

Tomás de Torquemada
02-10-07, 14:21
Il Miracolo di Calanda: osservazioni di ortopedico
di Landino Cugola

http://www.giot.it/Articoli/2000/vol3-00/122art.pdf

Dal sito http://www.giot.it/