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Visualizza Versione Completa : Parliamo di Federalismo e di Riforme varie



nuvolarossa
20-07-02, 21:28
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

nuvolarossa
22-11-02, 14:49
Devolution/La Malfa:
il centrodestra non sia frettoloso

Decidere solo dopo piena considerazione posizioni parlamentari

''Le proposte di attribuzione alle regioni di poteri esclusivi in materia di polizia e istruzione, investono questioni fondamentali, che riguardano la sicurezza di tutti i cittadini e l'identita' culturale dell'Italia''. E' quanto afferma il presidente del Pri Giorgio La Malfa, secondo il quale ''decisioni di tale rilevanza devono aver luogo solo dopo una piena considerazione delle posizioni parlamentari''. ''Il centrodestra - sottolinea La Malfa - non puo' giustificare la frettolosita' su queste materie con la pessima riforma costituzionale voluta dal centrosinistra nella precedente legislatura e dalla stretta maggioranza con cui incautamente quella norma fu decisa''.

nuvolarossa
24-11-02, 12:27
sull'argomento Federalismo visita anche ---->
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=33249

nuvolarossa
24-11-02, 23:37
Le cinque parole chiave del federalismo

L'intero dibattito sul federalismo ruota intorno a cinque concetti-chiave.

Devolution. Il termine si riferisce al trasferimento di alcuni poteri voluto in Gran Bretagna dal premier Blair a favore della Scozia. In Italia, invece, vuol dire dare a tutte le Regioni la piena ed esclusiva potestà di far leggi su assistenza e organizzazione sanitaria, organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, definizione dei programmi scolastici e formativi d'interesse specifico della Regione, polizia locale.

Articolo 117. Il testo costituzionale è stato modificato nel marzo '01 con il voto dell'Ulivo e confermato con il referendum popolare dell'ottobre successivo. La normativa attuale trasferisce poteri dal centro alla periferia. Fino al '01 l'articolo 117 era una lista di diciotto materie sulle quali le Regioni potevano legiferare «in concorrenza» con lo Stato, ma oggi il criterio è rovesciato.

Regionalismo differenziato. In Italia esiste già: le Regioni a statuto speciale hanno potestà legislativa più ampia delle altre a statuto ordinario. Con la riforma del '01 alcune Regioni possono avere più poteri (articolo 116) se lo Stato li attribuisce loro con un'apposita legge votata a maggioranza assoluta del Parlamento. Il progetto Bossi - su scuola, sanità, ordine pubblico - di fatto «salta» questa procedura e «svuota» in gran parte le stesse competenze dei ministeri della Salute e dell'Istruzione.

Perequazione. Più poteri, più funzioni, più fondi. E' questo il principio sia del federalismo, sia della «devolution». Oggi l'articolo 119 della Costituzione stabilisce che gli enti locali hanno risorse autonome, tributi ed entrate propri, compartecipazione al gettito di tributi erariali. Con la «devolution» ogni Regione dovrà far fronte al fabbisogno per assicurare sanità, scuola e ordine pubblico.

Fiducia. Il premier non esclude d'impegnare il governo al punto da porre la fiducia sul testo Bossi. Sarebbe di una novità assoluta nella storia repubblicana.
Luca Tentoni

giorgio1000
25-11-02, 00:08
Il Federalismo non lo vuole nessuno ...

Secondo quanto riportato da “ Il Gazzettino “ del 20 /11 , secondo una indagine a proposito dell’indice di gradimento del federalismo si sono avuti i seguenti risultati :

il 35 % ritiene che l’attuale struttura dello Stato va bene , si deve solo farla funzionare meglio
il 26 % ritiene che bisogna dare maggiori potere ai comuni ( non alle regioni )
il 23 % ritiene che bisogna dare maggiori poteri alle regioni
il 12 % ritiene che bisognarebbe attuare una confederazione .

Rispetto alle precedenti indagini è sceso ulteriormnente il numero di chi vorrebbe un fderalismo spinto . Questo per quanto riguarda il Nord Est dove i movimenti autonomisti mantengono una certa forza . E’ da supporre che in Lombardia o in Piemonte i Federelasti “ spinti “ siano marcatamente al di sotto dei numeri ripostati nel citato sondaggio.

Garibaldi
26-11-02, 10:13
Non capisco perche' si parla sempre in modo pomposo di FEDERALISMO ?!!?!?
Parlare di decentramento amministrativo non e' la stessa cosa ????
Probabilmente non sara' di moda !!!!!!

nuvolarossa
27-11-02, 22:50
tratto da
la nota politica
dal sito web
http://www.pri.it
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Devolution: il muro contro muro non serve

Il progetto di legge sulla devolution, che Bossi e la Lega chiedono di discutere in Parlamento in via prioritaria, anziché aprire una pacata discussione e un civile confronto su un tema molto delicato per il futuro del nostro Paese, ha provocato, come di consueto e senza un attimo di riflessione, la solita chiamata alle armi del centro-sinistra, con la rituale programmazione di oceanici girotondi.

Vogliamo fare alcune osservazioni che riteniamo prioritarie e perciò ineludibili.

Le riforme costituzionali, per l'importanza che rivestono, non possono mai essere affrontate in un clima di rissosità, nè attraverso polemiche giornalistiche, né possono essere risolte a colpi di maggioranza. Non vi è dubbio che, purtroppo, proprio su questa materia (è bene ricordarlo) si sia aperto un vulnus nella prassi legislativa con la decisione che il centro-sinistra avventatamente prese alla fine della passata legislatura di modificare frettolosamente e a maggioranza il titolo V della Carta costituzionale.

Anche allora i repubblicani denunciarono con preoccupazione una decisione sbagliata nel metodo, oltre che nei contenuti. Non possiamo non dimenticare che in prima fila tra coloro che sostennero quella scelta demagogica fu proprio l'allora leader dell'ulivo Francesco Rutelli, oggi impegnato con uguale foga a condannare una mostruosità che gli errori del centro-sinistra hanno messo in moto.

Non siamo preveggenti, né abbiamo virtù divinatorie, ma sappiamo valutare le conseguenze di decisioni sconsiderate. Per questo ci sentiamo in dovere di avvertire tutti, maggioranza e minoranza.

Se i temi della riforma costituzionale si affrontano con il metodo del muro contro muro il risultato è certo: il disastro.

Roma, 27 novembre 2002
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tratto da
la nota politica
dal sito web
http://www.pri.it

nuvolarossa
28-11-02, 23:11
http://www.legnostorto.com/misc/scintilla/images/berlusca_bacia_bossi_1_500x400.jpg

nuvolarossa
03-12-02, 16:15
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI73.jpg

tratto da
http://www.frangipane.it/archiviox.gif (http://www.frangipane.it/index.html)

mcandry
03-12-02, 18:01
mio dio, quella foto è veramente terribile, quasi quasi era meglio un primo piano di remo gaspari ...

kid
03-12-02, 18:07
Roma, 3 dic. - (Adnkronos) - ''Il dibattito sulla devolution si
e' finora sviluppato in modo confuso e contraddittorio ed e' stato
caratterizzato da una polemica strumentale dell'opposizione che non
ha consentito un approfondimento di merito''. Lo dice in una nota il
Pri che rende noto che non partecipera' alla votazione del
provvedimento al Senato. Nella convinzione che ''l'intera materia
dovra' essere oggetto di riflessione da parte della camera dei
deputati''.
(Pol-Cor/Rs/Adnkronos)
03-DIC-02 16:44

nuvolarossa
05-12-02, 20:43
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI75.jpg

nuvolarossa
06-12-02, 00:07
Devolution: perché il sen. Del Pennino non ha partecipato al voto finale al Senato

Come preannunciato dal comunicato della Segreteria Nazionale del P.R.I. di martedì scorso, i repubblicani non hanno partecipato al voto finale sulla "devolution" al Senato.

Nella sua dichiarazione di voto, il senatore Antonio Del Pennino ha rilevato che "il tema del cosiddetto federalismo è stato affrontato in questi anni in modo contraddittorio e improvvisato e la principale responsabilità ricade sul centro sinistra che ha introdotto nella passata legislatura una riforma del Titolo V che ha eliminato ogni gerarchia fra i diversi soggetti dello Stato-ordinamento, stabilendo una equiparazione fra Stato, Regioni, Provincie, Città metropolitane e Comuni che non trova riscontro in nessun altro ordinamento costituzionale. Le stesse incongruenze e imprecisioni che vi sono nel testo discusso oggi dal Senato sono figlie della non meditata riforma approvata nella scorsa legislatura".

"Ai repubblicani - ha proseguito Del Pennino - non appare fondata l'evocazione di un pericolo per l'unità nazionale che deriverebbe dall'approvazione della riforma costituzionale che introduce la devolution. Questo è un argomento propagandistico. Il problema vero è rappresentato dalla genericità delle formulazioni contenute nel testo del disegno di legge, che si prestano a contrapposte interpretazioni e saranno quindi motivo di ulteriori conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni".

"Per questo - ha concluso Del Pennino - i repubblicani, mentre non intendono associarsi all'atteggiamento strumentale dell'opposizione e confermano la loro fiducia al Governo, nell'attesa che la maggioranza introduca, nei successivi passaggi parlamentari, le necessarie correzioni rispetto sia alla attuale formulazione del Titolo V, sia al disegno di legge sulla devolution, correzioni cui il P.R.I. non farà mancare il suo contributo propositivo, non partecipano oggi al voto".

Roma, 5 dicembre 2002
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tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/imgs/pri.gif (http://www.pri.it)

nuvolarossa
06-12-02, 00:24
....Sulle polemiche nate dalle dichiarazioni di Bossi...in questi giorni....ecco un documento della Segreteria Repubblicana inviato al Capo dello Stato, Azeglio Ciampi
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La solidarietà del Pri al Capo dello Stato

Caro Presidente,

desidero esprimerLe la solidarietà mia personale e del Partito Repubblicano Italiano per le pretestuose polemiche che sono insorte in questi giorni da parte di qualche Ministro del Governo in carica.

La Sua costante difesa dei valori dell'unità nazionale, ai quali i repubblicani sono particolarmente sensibili, non può che riscuotere il consenso e il plauso dell'intero Paese.
La stessa democrazia italiana è figlia ideale del Risorgimento, delle grandi figure storiche che la caratterizzarono, delle forze politiche che ad esso si ispirarono e continuano ad ispirarsi.

Nel rinnovarLe la nostra solidarietà, riceva il più caloroso saluto.

Francesco Nucara

Roma, 4 dicembre 2002
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lucifero
10-12-02, 11:11
Del Pennino 5 dicembre
Il problema vero è rappresentato dalla genericità delle formulazioni contenute nel testo del disegno di legge, che si prestano a contrapposte interpretazioni e saranno quindi motivo di ulteriori conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni.


Nucara 7 dicembre
«Le forze dell'Ulivo [..] hanno varato [..] una legge confusa che ha introdotto una vastissima legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni e che ha generato grande confusione istituzionale ed una conflittualità permanente».
[..]
E con la devolution invece? «Bossi intende attuare una riforma federale che trasferisca alle Regioni poteri legislativi esclusivi, senza quindi nessun ulteriore via libera da parte delle Camere, in queste tre materie: istruzione, organizzazione e gestione della sanità, polizia locale. Questo consentirà di far funzionare la macchina organizzativa con maggiori responsabilità rispetto alle aspettative del territorio, e ovviamente nel quadro imprescindibile dell'unità dello Stato».

Ma insomma, qual'è la posizione del PRI?
La nuova proposta di legge aumenterà o diminuirà i conflitti centro-periferia?

Forse Del Pennino non è riuscito a capirlo bene in Senato (per colpa dell'opposizione), mentre magari Nucara, non essendo parlamentare, avrà avuto la possibilità di capirlo meglio...

Garibaldi
10-12-02, 11:41
Mettere sull'avvisato dai rischi di una devoluzione , fatta a rapa !!!! come ha timore che succeda il buon Del Pennino ,
non esclude, secondo me, che il Pri non auspichi una buon decentramento regionakle !!!!! fatto a pippa di cocco, cioe' fatto bene ?!?!?!!? e funzionale ad un miglioramento della macchina burocratica statale, come mi sembra voglia dire il Segretario ?!??!!?
Le due cose non mi sembrano in contrasto, anzi, la seconda e' il perfezionamento della prima. !!!
La naturale conclusione per una forza che vuole dare maggiore forza e potere alle realta' regionali !!?!?!? era il pallino UGO assieme alla abolizione delle pROVINCIE ?!?!!?!?

nuvolarossa
10-12-02, 15:36
Questo e' l'articolo, a cui si riferisce lucifero, tratto da LA GAZZETTA DEL SUD dell' 8 dicembre 2002
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L'intervista Il riconfermato segretario nazionale del Pri contro le “previsioni catastrofiche dell'opposizione”
La devolution? Può essere una risorsa
Francesco Nucara: «Potrà consentire alla Calabria di uscire dallo stallo»

Teresa Munari

Ieri il Consiglio Nazionale del Pri ha riconfermato Segretario nazionale Francesco Nucara. Reggino, due lauree, giornalista, parlamentare dal 1983 al 1994, per il successore di Giorgio La Malfa alla guida dello storico Partito Repubblicano Italiano, continua dunque il trend di consenso dopo aver vinto con una ampia maggioranza il congresso nazionale di Fiuggi. Il leader del Pri, dopo l'esperienza di sottosegretario ai Lavori pubblici con Andreotti, è al Governo per la seconda volta, chiamato da Berlusconi come sottosegretario al ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio. Caro amico del meridionalista Compagna, Francesco Nucara è stato per anni responsabile nazionale dell'Ufficio del Mezzogiorno e Aree Depresse del centro Nord e dunque conosce a fondo le problematiche che le regioni meridionali stanno affrontando per superare il gap dello sviluppo, ma non è contrario alla devolution. Anzi. Ed ecco cosa ha detto a “Gazzetta del Sud”.
Il Pri al Senato non ha preso parte al voto sulla devolution. Vuol dire che i repubblicani hanno iniziato ad assumere una posizione di distacco dal Governo? «Assolutamente no. Il Pri aveva anticipato ufficialmente, e quindi sottolineando anche la piena lealtà del Pri al Governo, la decisione di non partecipare al voto in Senato perché la polemica strumentale dell'Ulivo aveva impedito in quella sede un approfondimento di merito».
Neanche per un attimo, dunque, avete condiviso le posizioni dell'Ulivo? «Le previsioni catastrofiche della sinistra sono il frutto avvelenato della linea del muro contro muro che l'opposizione sta portando avanti da tempo su qualsiasi iniziativa del Governo. Prevedere tra gli effetti della devolution addirittura l'instaurarsi di una condizione coloniale di un Mezzogiorno, suddito delle regioni più ricche del resto dell'Italia, come ha fatto di recente l'ex ministro per le Regioni Loiero, mi sembra solo propaganda».
Parola di meridionalista? Guardi che ho appena ricordato la sua militanza con Compagna. «Ma le pare che un partito come il Pri che affonda le sue radici nella storia stessa dell'Unità d'Italia e che ha combattuto una durissima battaglia per mantenere intatto il suo nome ed il suo simbolo avrebbe approvato senza fiatare una operazione di scardinamento dell'unità nazionale?»
Infatti potrebbe essere stato il pudore ad impedirvi di votare al Senato. «Le dico che se avessimo avuto un solo dubbio sulle conseguenze che l'approvazione della “devolution” può produrre nel tessuto unitario del Paese, non avremmo esitato un momento a rinunciare all'alleanza con la maggioranza di Governo, alla quale partecipiamo sì con lealtà, ma anche con spirito critico. La verità è che molte affermazioni degli esponenti dell'Ulivo sono figlie della loro cattiva coscienza sul federalismo».
Cioè? «Le forze dell'Ulivo sul finire della precedente legislatura, dopo aver corteggiato senza successo Bossi e la Lega per i loro calcoli elettorali, hanno varato con l'opposizione della Casa delle Libertà e con soli quattro voti di maggioranza, e a pochi giorni dallo scioglimento delle Camere, una legge di riforma del Titolo V della Costituzione che mirava a catturare, attraverso l'introduzione di una quota di federalismo, il voto leghista. Le alleanze sono andate diversamente ma quell'errore di valutazione ha fatto lasciare sul campo una legge confusa che ha introdotto una vastissima legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni e che ha generato grande confusione istituzionale ed una conflittualità permanente».
Discutendo di devolution tutti fanno riferimento alla legislazione “concorrente”, ma cosa vuol dire esattamente? «Significa che in diverse materie sia lo Stato, sia le Regioni possono legiferare, solo che alle Regioni serve, secondo la riforma varata dal Governo Amato e che il disegno di legge di Bossi cambierebbe, un via libera finale da parte del Parlamento».
E con la devolution invece? «Bossi intende attuare una riforma federale che trasferisca alle Regioni poteri legislativi esclusivi, senza quindi nessun ulteriore via libera da parte delle Camere, in queste tre materie: istruzione, organizzazione e gestione della sanità, polizia locale. Questo consentirà di far funzionare la macchina organizzativa con maggiori responsabilità rispetto alle aspettative del territorio, e ovviamente nel quadro imprescindibile dell'unità dello Stato».
E ai calabresi allarmati cosa dice? «Dico che possono stare tranquilli e che ogni ipotesi catastrofica sulla “devolution” è fuori da ogni ragionevole previsione. Niente di questa riforma potrà mettere in discussione la struttura portante dell'unità tra Nord e Sud e della Calabria con il resto del Paese, né potrà mai pregiudicare quella solidarietà sociale su cui si basa una equa ridistribuzione del reddito tra le diverse Regioni. Per risolvere i problemi del Mezzogiorno serve una volontà politica, la devolution non c'entra niente sotto questo aspetto. Purtroppo la Calabria si distacca via via dall'Italia non per problemi di ordine costituzionale bensì per la pochezza della propria classe dirigente e per l'attuale guida politica regionale, del tutto inadeguata».
Si riferisce alle dichiarazioni dei vertici regionali in occasione del dibattito sulla devolution? «La posizione espressa ufficialmente dal Presidente della Giunta in occasione della discussione sulla devolution mi sembra difensiva, rituale e preoccupata soltanto del calcolo delle quote di accesso al Fondo perequativo da destinare ad alcune Regioni deboli e tra queste la Calabria».
La Calabria però non potrà mai farcela da sola, almeno non subito. «Il problema della nostra regione non è solo quello di acquisire nuove quote di risorse finanziarie, che è in se un aspetto importante, anche se spesso inutile come si vede dal livello che questa Giunta regionale ha fatto raggiungere alla spesa dei fondi strutturali. L'ossessione dovrebbe esser invece quella di riuscire a creare meccanismi di spesa rapidi che favoriscano i processi produttivi e la nascita di nuova occupazione. Ma né la Giunta Chiaravalloti, né quelle precedenti del centrosinistra ci sono mai riuscite, mentre hanno saputo far “nascere” un numero spropositato di Gruppi consiliari, e assumere così tutti i parenti disoccupati dei consiglieri».
Raccontata in questo modo, tutto sembra allo sbando. «Invece no. In Calabria ci sono pure energie e forze sane, capaci di guardare in avanti senza ricorrere all'antica strada dell'assistenzialismo. Basta pensare all'organizzazione dei giovani industriali calabresi guidati da Maurizio Mauro: guardano ad un futuro senza assistenza, ad un futuro manageriale e proprio per questo fa scandalo che il sistema istituzionale non riesca a favorire i processi produttivi e che anzi li intralci come ho visto succedere in molti casi».
Che rapporto immagina fra una Calabria che deve crescere e la devoluzione? «Sono convinto che la devolution rafforzata dà adeguati approfondimenti nei diversi passaggi che una riforma costituzionale comporta, potrà essere un'occasione per la Calabria per uscire dall'attuale situazione di stallo e di stagnazione economica e per realizzare concretamente un salto di qualità nell'istituto regionale e in tutto il sistema delle autonomie locali. Purché gli elettori, considerata l'investitura inamovibile che concedono con il loro voto, capiscano dove c'è improvvisazione. Se non altro per indurre i partiti della maggioranza a rendersi conto che per poter governare dovranno, per le prossime candidature, smetterla con questo ricorso smodato alla società civile».

mcandry
11-12-02, 02:03
ancora una volta la nostra dirigenza può gridare con orgoglio: "ABBIAMO POCHE IDEE, MA CONFUSE!" :p

kid
11-12-02, 12:49
La dirigenza del Pri sul federalismo e la devolution ha idee maturate e chiarissime. Sono state testimoniate dalle prese di posizioni della segreteria e dal presidente ed espresse articolatamente e ufficialmente nell'intervento del sanatore Del Pennino al Senato. L'intervista di Nucara al Gazzettino (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=327028#post327028) espone semplicemente il concetto che non vi è nessuna contrarietà al federalismo in quanto tale - difficile che lo possa essere un partito erede di anche di Cattaneo - ma più di una perplessità su questo disegno di Legge, che, mi pare chiaro, verrà modificato nei prossimi passaggi parlamentari. In generale io credo che l'idea di una riforma dello Stato su base federale è più che auspicale se sono individuate le linee di cordinamento nazionale con la sufficiente chiarezza. Personalmente io sono contrario ad una devolution con (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=33249&highlight=devolution) una struttura politico istituzionale parcellizzata come l'attuale, ma non ho nessuna ragione di contrarietà ad un modello federale che si accompagna ad una riforma istituzionale dello Stato, con una definizione di elezione diretta del suo vertice. Faccio presente che nel '92 a Carrara il congresso del Pri si fece latore di una proposta di elezione diretta del capo del governo, che io sottoscrissi e che questo consentirebbe di mentenere l'attuale assetto della presidente della repubblica ma verrebbe incontro alla necessità di eguagliare i diversi livelli elettorali di responsabilità, regioni, comuni e governo nazionale. Comunque nel movimento repubblicano vi furono anche tese più estreme, con il presidenzialismo di Pacciardi e Valiani. (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=21492&highlight=pacciardi)
Il Problema è che invece è la maggioranza ad avere a proposito le idee confuse e più di tutti le ha Berlusconi, che propone l'attuale semipresidenzialismo francese, illustrandolo come se fosse la repubblica di De Gaulle e dimenticando che questo modello non si fonda sul proporzionale, che vorrebbe riintrodurre, ma sul maggioritario. Da qui anche una ragione in più per le nostre riserve.

Vassilij
11-12-02, 12:53
Originally posted by Garibaldi
Non capisco perche' si parla sempre in modo pomposo di FEDERALISMO ?!!?!?
Parlare di decentramento amministrativo non e' la stessa cosa ????
Probabilmente non sara' di moda !!!!!!
Non è affatto la stessa cosa...col federalismo si attribuiscono poteri legislativi..col decentramento solo poteri amministrativi

mcandry
11-12-02, 18:14
calvin ma un po' di sense of humor? la mia era solo una presa in giro piuttosto banaria! :p

kid
11-12-02, 18:45
ed infatti non avevo assunto toni polemici nei confronti del tuo post, ma ritenevo opportuno di fare chiarezza su una questione che comunque era apparsa controversa. Poi è vero che sul pri e d'intorni io scherzo poco.

lucifero
11-12-02, 19:23
Originally posted by calvin
[..] espresse articolatamente e ufficialmente nell'intervento del sanatore Del Pennino al Senato. L'intervista di Nucara (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=327028#post327028) al Gazzettino espone semplicemente il concetto che non vi è nessuna contrarietà al federalismo in quanto tale
Sarò (sono) troppo puntiglioso, ma:
- mentre Nucara (correttamente) esprime tra le altre cose il fatto che la legislazione concorrente dell'Ulivo generava conflittualità, e quella nuova risolverà questo problema,
- Del Pennino dice che questa legge genererà più conflittualità.

Lungi però da me il tentativo di generare conflittualità tra Nucara (http://www.minambiente.it/Wai/ministro/deleghe_sottosegretario_b.asp) e Del Pennino (http://www.parlamento.it/leg/14/Bgt/Schede/Attsen/00000829.htm). Onestamente, preferirei si generasse tra Nucara (http://www.minambiente.it/Sito/ministro/sottosegretario_b.asp) e La Malfa (http://www.grandinotizie.it/dossier/010/protagonisti/310.htm). :rolleyes:

kid
11-12-02, 19:48
Nucara dice che serve una nuova legge che risolva questo problema non sta parlando della legge in questione alla Camera e non c'è nessuna contraddizione con quanto detto da Del Pennino.
"Bossi intende", dice Nucara e si riferisce alle intenzioni di Bossi che considera positive, proprio perchè sa delle garanzie date dal leader della Lega a proposito della salvaguardia dell'unità nazionale.
La riserva del P.R.I. è sul testo di legge non sulle intenzioni di Bossi e infatti abbiamo ragione di ritenere che questo testo di legge verrà modificato, perchè Bossi l'ha capito che non va bene.

Ha detto al Corriere della Sera che non è blindato.

lucifero
12-12-02, 01:50
Originally posted by calvin
abbiamo ragione di ritenere che questo testo di legge verrà modificato, perchè Bossi l'ha capito che non va bene.
Mi aveva sfiorato questo dubbio; ma un qualcosa mi impediva di fdarmi delle intenzioni di Bossi.
;) Speriamo comunque che si sia d'accordo sulla direzione in cui non va bene.
Se così non dovesse essere, speriamo che l'Ulivo continui la sua polemica strumentale anche alla Camera, cosicché si possa non partecipare al voto.

kid
12-12-02, 11:54
il segretario ha riferito quali sono le intenzioni di Bossi, non ha detto di fidarsi di quelle intenzioni. Comunque resto dell'idea che il testo verrà rivisto dalla maggioranza e a me ha personalmente colpito la particolare sciatteria, quando non autentica scempiaggine, dello specifico disegno di legge.

nuvolarossa
18-12-02, 23:33
Il ringraziamento del Presidente della Repubblica per la solidarietà dei repubblicani

Lettera del segretario generale della presidenza dr. Gaetano Gifuni

Il Presidente Ciampi mi incarica di esprimerLe un sincero ringraziamento per la cortese lettera (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=324762#post324762) con la quale Ella ha voluto manifestargli l'apprezzamento Suo personale e del Partito da Lei rappresentato, per la costante difesa del valore dell'Unità nazionale, di cui il Capo dello Stato è supremo garante.

Colgo l'occasione per inviarLe i miei più cordiali saluti
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tratto dal sito
http://www.pri.it/immagini/da%20inserire%20pri/logosinistra.jpg (http://www.pri.it)

mcandry
21-12-02, 15:59
caro matteoli, tutte le cose se non gestite bene portano alla confusione, quindi secondo me questo è un falso problema, il nocciolo del discorso sta nel fatto che i problemi odierni dell'economia del paese e della carenza infrastrutturale di certo non avrebbero risposta con la devoluzione o con il federalismo spinto perchè comunque senza una programmazione centrale del territorio non si sblocca ne l'economia ne l'opera di infrastrutturazione seria e veicolata del territorio, indispensabile più che propedeutica alla ripresa industriale e terzializzata di 2/3 (due terzi) del nostro territorio.

nuvolarossa
22-01-03, 21:50
Disegno di legge costituzionale d'iniziativa dei senatori Del Pennino e Compagna

Norme sulla forma di governo basata sull'elezione diretta del Primo Ministro. Modifica degli articoli 49, 72, 88, 92, 93 e 94 della Costituzione.

ONOREVOLI SENATORI! _ Il presente disegno di legge costituzionale intende introdurre nel nostro ordinamento una nuova forma di governo, basata sull'elezione diretta del Primo Ministro, che tenga conto anche del ruolo dei partiti politici, in una rinnovata concezione costituzionale dell'art.49, nonché di un rafforzamento delle minoranze politiche, attribuendo loro la possibilità di impugnare preventivamente davanti alla Corte Costituzionale le leggi.

Riteniamo, infatti, che il problema della forma di governo non si risolva soltanto con la modifica degli articoli della Costituzione riferiti alla formazione dell'esecutivo ed ai rapporti di questo con gli altri poteri (in particolare, il legislativo), ma che vada piuttosto inquadrato nel contesto di un'organizzazione politica strutturata sui partiti, specialmente quando, come nella proposta qui presentata, si prevede un'elezione popolare diretta di una carica monocratica. E' chiaro che, laddove vi è un rafforzamento dell'esecutivo, legittimato direttamente dagli elettori, occorre un sistema partitico ben strutturato e rispondente a criteri di disciplina legislativa e ci deve essere, altresì, un contrappeso garantistico a favore delle minoranze, che noi abbiamo individuato nel ricorso avverso le leggi, ma che potrà poi ulteriormente svilupparsi nei regolamenti parlamentari.

L'idea di far eleggere a suffragio universale il Primo Ministro ha origini lontane e solide basi scientifiche. Alla fine degli anni Cinquanta in Francia era diventata la proposta istituzionale del club Jean Moulin, animato da giovani costituzionalisti, come Duverger, e da giovani politici socialisti, come Mitterand. Verso la metà degli anni Sessanta la proposta di elezione del Primo Ministro venne lanciata anche in Italia da Serio Galeotti dapprima nel "Gruppo di Milano" diretto da Gianfranco Miglio e poi, in sede istituzionale, nell'ambito del "Comitato Speroni" istituito presso il Ministero per le Riforme Costituzionali del primo governo Berlusconi. Il progetto di elezione diretta del primo ministro ebbe sostenitori tra le forze politiche: primo fra tutti il Partito Repubblicano Italiano, che lo presentò nel suo congresso del 1992, e poi Mario Segni e il gruppo dei riformatori, che lo sponsorizzò con la formula de "il Sindaco d'Italia", simulando su scala nazionale il meccanismo già previsto per i Comuni e per le Province con la riforma introdotta con la legge n.81 del 1993, (e che vale ora, sia pure transitoriamente, anche per le Regioni a statuto ordinario).

Il progetto di elezione diretta del Primo Ministro va nel verso di completare l'evoluzione istituzionale italiana, così come si è venuta a determinare a seguito della modifica del sistema elettorale in senso maggioritario. Si ritiene, cioè, che l'elezione diretta del Primo Ministro trasformi in diritto ciò che c'è già in fatto, laddove la nomina a capo del governo del leader della coalizione vincente - il cui nome è presente sulla scheda elettorale - altro non è che una forma politicamente molto forte, sia pure ancora non giuridicamente vincolante, di investitura popolare.

Con la nostra proposta intendiamo costituzionalizzare quanto già esiste in via consuetudinaria: affermando in modo chiaro e netto che il Primo Ministro non è soltanto indicato dai cittadini ma piuttosto eletto dagli stessi, in ossequio al principio fondante la nostra Repubblica, che è il principio di sovranità popolare.

La forma di governo che proponiamo è definibile come "neo-parlamentare" (ovvero, "governo di legislatura"), perché mantiene le caratteristiche tipiche del parlamentarismo, e in specie il rapporto fiduciario fra esecutivo e legislativo, sia pure in una rinnovata concezione di democrazia immediata, dove cioè il corpo elettorale è messo in condizione di votare ed eleggere il capo dell'esecutivo. In particolare, nel presente disegno di legge si prevede la simultaneità nell'elezione e nella cessazione dell'esecutivo e del legislativo (simul stabunt-simul cadent): governo e parlamento nascono insieme col voto elettorale e cadono insieme col voto di sfiducia dell'uno, il Parlamento, nei confronti dell'altro, il Governo, tornando così entrambi di fronte al corpo elettorale.

Si è detto della avvertita esigenza di porre mano anche alla modifica dell'art.49 della Costituzione, in ragione di una forma di governo che prevede l'elezione popolare del Primo Ministro. Il radicamento dei partiti sul territorio, ed una loro regolamentazione giuridica rispondente ai criteri di democrazia interna, tende, infatti, non solo a scoraggiare le c.d. frivolous candidatures per l'elezione a Primo Ministro,ma a rafforzare anche il ruolo dei parlamentari. Questi, infatti, anche se collegati per l'identità dei contrassegni al Primo Ministro, forti del consenso raccolto nel partito attraverso una designazione di base , conserveranno , pur nel rispetto degli impegni programmatici del partito e della coalizione, autonomia di giudizio e capacità di esercitare il loro ruolo di controllo.

Altro fattore che nel disegno di legge proposto pone a riparo dal pericolo di ogni deriva plebiscitaria, che taluni paventano dietro le ipotesi di elezione diretta del Primo Ministro, è rappresentato dal mantenimento della figura di un arbitro superiore, guardiano della Costituzione e simbolo dell'equilibrio organizzato , quale quella di un Presidente della Repubblica senza responsabilità diretta , il cui ruolo è mantenuto ben distinto da quello del capo del governo.

Infine, alcune brevissime considerazioni sulle altre ragioni, oltre a quelle già illustrate, che ci hanno indotto a presentare un progetto di modifica dell'art.49 della Costituzione (che si ricollega al disegno di legge ordinario da noi già presentato: Atto Senato n.1540). L'articolo 49, così come voluto dal Costituente, ci appare oggi fin troppo essenziale nella sua formulazione , perché si limita ad affermare che: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

E non è certo casuale la stessa collocazione dell'art.49 nella parte relativa ai diritti dei cittadini piuttosto che in quella relativa all'organizzazione costituzionale dello Stato, in cui i partiti, pur riconosciuti, non sono inclusi. Il loro operare non dipende da norme scritte, ma esclusivamente dalla costituzione materiale: incide peraltro in maniera rilevante sulla dinamica della forma di governo e pertanto ad essa deve essere collegato. Ecco perché abbiamo ritenuto di associare la proposta di modifica-integrazione dell'art.49 della Costituzione nell'ambito di un progetto sulla nuova forma di governo.

Una democrazia senza partiti è un non senso, è come un liberalismo senza libertà. La funzionalità democratica e la stessa democraticità di un sistema politico sono garantite dall'esistenza di un pluralismo di partiti e dalla loro competizione. Bisogna uscire dalla situazione di forte incertezza che si è venuta a determinare nell'ultimo decennio. Oggi, dopo le numerose vicende che hanno e che stanno ancora accompagnando la storia dei partiti politici nell'Italia repubblicana, occorre tornare ad affrontare il problema di una loro regolamentazione giuridica. Per restituire ai partiti quel ruolo di raccordo fra i cittadini e le istituzioni, che è fondamentale in una democrazia pluralista, e che, proprio per questo, non può più essere sottratto ad una regolazione in forme autenticamente democratiche ed aperte al controllo dell'opinione pubblica. Rivitalizzare il patto fra cittadini e partiti, vuol dire indurre questi ultimi a rinunciare ad una parte del loro arbitrio, subordinandosi a regole certe e trasparenti, rendendo pubblici i loro statuti oltre che i loro bilanci e dando più potere ai loro iscritti ed elettori.

Passando all'illustrazione degli articoli, l'articolo1 sostituisce al dettato dell'articolo 49 della Costituzione un esplicito riferimento all'ordinamento interno dei partiti, che deve corrispondere ai principi fondamentali della democrazia : affermazione costituzionale necessaria per poterne disciplinare da parte del legislatore ordinario forme, procedure, controlli delle fonti di finanziamento, nonché per poter definire per legge la partecipazione democratica alla designazione dei candidati alle elezioni, anche per quanto concerne l'elezione del Primo Ministro.

L'articolo 2 prevede di inserire, dopo l'articolo 72 della Costituzione, a garanzia delle minoranze parlamentari, la possibilità di deferire una legge, entro quindici giorni dalla sua approvazione , all'esame della Corte Costituzionale su iniziativa di almeno un quarto di componenti di una Camera, senza che ne venga, peraltro , sospesa la pubblicazione.

L'articolo 3 sostituisce l'attuale articolo 88 della Costituzione, prevedendo oltre i casi di scioglimento di cui al nuovo testo dell'articolo 94, la previsione di uno scioglimento deciso dal Presidente della Repubblica su proposta del Primo Ministro, del quale produrrebbe la contestuale decadenza .

L'articolo 4 sostituisce l'articolo 92 della Costituzione, introducendo l'elezione a suffragio universale e diretto del Primo Ministro contestualmente all'elezione delle Camere e stabilendo come collegare le candidature alla carica di Primo Ministro con i candidati dei partiti, o delle coalizioni ,alle Camere.

L'articolo 5 e l'articolo 6 riscrivono gli articolo 93 e 94 della Costituzione, attribuendo il potere di nomina e di revoca dei membri del governo al Primo Ministro, e prevedendo che l'approvazione, anche da parte di una sola Camera, di una mozione motivata di sfiducia comporti le dimissioni del Primo Ministro. In entrambe le innovazioni si è badato a conservare intatta - tramite il giuramento nella prima e tramite la dichiarazione di decadenza nella seconda _ l'alta garanzia del potere neutro del Capo dello Stato.

L'articolo 7 introduce i necessari coordinamenti lessicali

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art.1
L'articolo 49 della Costituzione è sostituito dal seguente:

"Articolo 49.
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale.

L'ordinamento interno dei partiti, che disciplina la loro struttura ed il loro funzionamento, deve corrispondere ai principi fondamentali della democrazia.

La legge disciplina il finanziamento dei partiti e prevede le forme e le procedure atte ad assicurare la trasparenza ed il pubblico controllo del loro stato patrimoniale e delle loro fonti di finanziamento.

La legge definisce altresì il contenuto minimo degli statuti dei partiti stabilendo le disposizioni dirette a garantire la partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione della volontà dei partiti, compresa la designazione dei candidati alle elezioni, ivi incluse le candidature per l'elezione del Primo Ministro."

Art.2
All 'articolo 72 della Costituzione sono aggiunti i seguenti commi :

"Entro quindici giorni dalla sua approvazione una legge può essere deferita all'esame della Corte Costituzionale, per motivi di legittimità costituzionale, su iniziativa di almeno un quarto dei componenti di una Camera.

Il ricorso non sospende la promulgazione."

Art.3
L'articolo 88 della costituzione è sostituito dal seguente:

"Articolo 88
Il Presidente della Repubblica, oltre ai casi di scioglimento necessario previsti dall'articolo 94, può, su proposta del Primo Ministro, sentiti i Presidenti delle Camere, sciogliere le Camere. Il decreto di scioglimento produce la contestuale decadenza del Primo Ministro."

Art.4
1. L'articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:

" Articolo 92
Il Governo della Repubblica è composto dal Primo Ministro, dal Vice Primo Ministro e dai Ministri, che insieme costituiscono il Consiglio dei Ministri.

Il Primo Ministro è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente con l'elezione delle Camere.

Le candidature alla carica di Primo Ministro possono essere proposte dai partiti che presentino con il medesimo contrassegno, o i medesimi contrassegni, in caso di coalizione, propri candidati per l'elezione delle Camere in almeno due terzi dei collegi, distribuiti almeno in quindici Regioni.

La legge definisce le modalità di applicazione del presente articolo."

Art.5
L'articolo 93 della Costituzione è sostituito dal seguente:

"Articolo 93
Il Primo Ministro presta giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica entro tre giorni dall'elezione. Dopo il giuramento il Primo Ministro entra nell'esercizio delle sue funzioni.

Il Primo Ministro nomina con proprio decreto il Vice Primo Ministro, i Ministri e i Vice Ministri. Allo stesso modo può revocarli.

Prima di assumere le funzioni, il Vice Primo Ministro e i Ministri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica, i Vice Ministri nelle mani del Primo Ministro.

Nei casi di dimissioni volontarie, di morte o impedimento permanente del Primo Ministro, il Presidente della Repubblica procede all'insediamento nell'ufficio del Primo Ministro il Vice Primo Ministro, che ne eserciterà le funzioni fino al termine della legislatura".

Art.6
L'articolo 94 della Costituzione è sostituito dal seguente.

"Articolo 94
Entro dieci giorni dal giuramento il Primo Ministro presenta alle Camere gli indirizzi programmatici del Governo.

Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non comporta obbligo di dimissioni.

Le Camere possono esprimere la sfiducia al Governo soltanto mediante mozione motivata votata per appello nominale a maggioranza assoluta dei loro membri.

La mozione deve essere presentata da almeno un quarto dei componenti di una Camera e non può essere messa in discussione prima di cinque giorni dalla sua presentazione. Nei primi due giorni di tale periodo possono essere presentate mozioni alternative.

Se la mozione è approvata, anche da una sola Camera, il Presidente della Repubblica riceve le dimissioni del Primo Ministro e ne dichiara in ogni caso la decadenza. Contestualmente procede allo scioglimento delle Camere, indicendo nuove elezioni per il Primo Ministro e per le Camere".

Art.7
Nel testo della Costituzione e delle leggi le espressioni: Presidente del Consiglio dei Ministri" e "Presidente del Consiglio", ovunque ricorrano, sono sostituite dalla seguente: "Primo Ministro".
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tratto dal sito
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nuvolarossa
22-01-03, 22:01
Intervento del Sen. Antonio Del Pennino nel dibattito sulle riforme istituzionali

Signor Presidente, Colleghi Senatori,

intervenendo, 15 anni or sono, alla Camera, nel corso del dibattito che si svolgeva in allora contestualmente nei due rami del Parlamento sulle riforme istituzionali, ebbi a rilevare come quel dibattito giungesse al termine di una lunga fase di riflessione e di confronto, che aveva coinvolto partiti, dottrina e pubblicistica, sul funzionamento del nostro sistema politico, al punto da far sorgere il dubbio sulla possibilità di avanzare proposte che non fossero già state formulate.

Espressi, altresì, la preoccupazione dei repubblicani pel fatto che, se non si fosse riusciti a concludere alcunché di concreto, si rischiava di delegittimare ulteriormente le istituzioni, accrescendo la diffidenza e il distacco dei cittadini rispetto al sistema politico.

Dal maggio 1988 non poche e non irrilevanti modifiche sono intervenute nel nostro quadro istituzionale: si è posto mano a radicali riforme dei regolamenti parlamentari (basti pensare alla drastica riduzione delle possibilità di ricorso allo scrutinio segreto); si è passati da un sistema proporzionale ad uno maggioritario per l'elezione di Camera e Senato; si è approvata la riforma dell'ordinamento degli enti locali e si è introdotta l'elezione diretta dei Sindaci, dei Presidenti delle Province e delle Regioni, adottando il criterio maggioritario per la nomina dei relativi consigli. Da ultimo, con la legge 3 del 2001, si è radicalmente modificato il Titolo V della Costituzione, passando da un sistema basato sulla primazia gerarchica dello Stato ad uno in cui Stato, Regioni ed enti locali sono equiordinati.

Ciò non di meno dopo 15 anni si ripropone ancora il problema di rivedere le nostre regole istituzionali, perché inadeguata continua a mostrarsi la risposta della politica alle attese della società.

Le principali forze politiche sembrano concordi nell'individuarne le ragioni nell'incompiuta transizione verso il sistema maggioritario e nel fatto che non si sono create le condizioni per il pieno dispiegarsi della democrazia dell'alternanza.

Ma, nella ricerca delle concrete soluzioni, le posizioni restano tra loro assai distanti e le proposte, più vecchie che nuove, di cui si discute: semipresidenzialismo, premierato, cancellierato, riforme del bicameralismo, federalismo, statuto dell'opposizione, appaiono talvolta più bandierine che si vogliono piantare sul campo, che non meditate soluzioni per i problemi del paese.

E la diffidenza e il distacco dei cittadini dal sistema politico, che già paventavo nel lontano 1988, tornano a crescere. Un intelligente, anche se non imparziale, commentatore degli accadimenti politici come Vittorio Feltri, ha recentemente osservato, con riferimento alle riforme istituzionali, "...non succederà niente, non cambierà nulla…. non c'è un minimo di interesse nei cittadini alla questione…. la gente davanti all'ipotesi del presidenzialismo, del premierato o del cancellierato non si emoziona… legge i titoli sui quotidiani, e volta pagina…. ascolta tre minuti di dibattito in Tv e si sintonizza su un altro canale"……

Non è un giudizio che dobbiamo liquidare con la facile accusa di qualunquismo. E' un giudizio di cui non possiamo non tener conto se non vogliamo compiere un esercizio illuministico privo di concreto riferimento con la realtà del paese.

Ora un sistema politico non può prescindere dalla considerazione del rapporto tra società e partiti, partiti e istituzioni, se si vuole creare un effettivo canale di comunicazione tra società e istituzioni.

Perché, come ebbe a dire Ugo la Malfa, …"L'assetto istituzionale di un paese non cade dal cielo".

E nel nostro assetto istituzionale, che non cade dal cielo, non si può in alcun modo prescindere dai partiti.

Ha scritto recentemente uno dei più autorevoli politologi italiani, Ernesto Galli Della Loggia…:"stanno venendo meno tre dimensioni decisive intorno alle quali si è formata la società italiana…lo Stato, l'industria, i partiti…I partiti: sempre più tocchiamo con mano che quelli che per mezzo secolo hanno rappresentato l'ossatura della nostra vita pubblica, gli organizzatori della nostra democrazia, sono ormai ridotti a involucri vuoti e senza vita. Come un involucro vuoto ci appare la politica….

"Ma con il loro venir meno," al pari del venir meno dello Stato e della fabbrica, proseguiva Galli Della Loggia, è venuta meno "una fonte decisiva di unità e di comunicazione culturale tra le diverse parti del paese, e insieme un fattore primario di inquadramento e di disciplina sociale…… grandi agenzie di aggregazione e di normatività diffusa ma anche di pluralismo ideologico che hanno funzionato come un indispensabile correttivo storico rispetto all'Italia antica delle masse amorfe, delle oligarchie ereditarie e dell'individualismo vacuo e riottoso. Che hanno svolto un ruolo decisivo nel fare della Penisola un grande Paese moderno, ancora oggi capace di esprimere momenti alti di solidarietà e di passione civica. E' precisamente questo traguardo che invece oggi quella scomparsa sembra quasi rimettere in discussione."

Eppure la riflessione sul ruolo dei partiti, come è stata assente nel dibattito parlamentare del 1988, sembra rimanere terreno inesplorato anche nella fase attuale di discussione sulle riforme istituzionali.

La stessa dottrina ha affrontato solo marginalmente il problema, ed invece questo tema può rappresentare davvero il "nuovo" rispetto alle indicazioni di riforma elaborate in questi anni.

Basta pensare al fatto che proprio la mancanza di un'organica disciplina del soggetto partito ha portato all'inizio degli anni 90 alla crisi di quel sistema politico che pure, per usare una frase di Giorgio Amendola, sempre richiamata da Giovanni Spadolini, aveva "fatto raggiungere al popolo italiano un benessere che non aveva mai conosciuto nei suoi 2000 anni di storia."

Per questo, onorevole Presidente, il collega Compagna ed io Le abbiamo chiesto con una lettera, iniviataLe il 27 dicembre, di voler inserire tra le grandi questioni di parlamentarismo, di costituzionalismo e di liberalismo che sono nell'agenda del Senato, anche il tema relativo al riconoscimento giuridico e al finanziamento dei partiti ed alle elezioni primarie.

In quella lettera sottolineavamo come "la stessa meritoria attenzione ai rami nobili dell'ordinamento (maggioranza e opposizione, forma di governo e dello Stato, elezioni e rappresentanza) non si avvantaggerebbe affatto di una colpevole disattenzione a quel ramo prosaico, eppure tanto delicato ed importante, costituito dai partiti."

Siamo infatti convinti che senza fare del partito, regolamentato e riconosciuto, la sede in cui i cittadini si ritrovano per concorrere a determinare le scelte della collettività, nessuna riforma istituzionale riuscirà a ricreare quella fiducia nella politica che è indispensabile perché l'Italia resti _ per dirla ancora con Galli Della Loggia _ "una moderna compagine nazionale, all'altezza del nostro continente".

E ciò non solo perché ricordiamo l'insegnamento di Mario D'Antonio che, rapportando il problema del ruolo dei partiti a quello della riforma elettorale, sottolineava come: "certamente sui partiti si può intervenire con azioni indirette, con la riforma delle leggi elettorali e con la revisione della forma di governo in senso maggioritario o presidenziale; ma…..se il partito è guasto in sé stesso rimarrà guasto anche nel più raffinato sistema maggioritario."

Ma soprattutto perché, se il vero problema del confronto politico in atto è quello di come garantire un rafforzamento dell'esecutivo senza sminuire il ruolo del Parlamento, non è possibile risolverlo senza affrontare il tema dei partiti e delle forme attraverso le quali selezionare la rappresentanza.

Il punto su cui sembra esserci oggi più distanza tra le posizioni della maggioranza e quelle dell'opposizione è rappresentato dal potere di proposta di scioglimento delle Camere affidato al Primo Ministro.

I colleghi del centro sinistra esprimono la preoccupazione che, dando al premier questa facoltà, di fatto gli si consegnerebbe uno strumento di pressione nei confronti della sua maggioranza che trasformerebbe il Parlamento in mera cassa di registrazione delle volontà dell'esecutivo.

Vorrei ricordare che un grande uomo politico, che ha onorato la sinistra francese, Pierre Mendés France, nel libro "La Republique moderne" scriveva:

"Io non sono di quelli che misconoscono il ruolo fruttuoso o disastroso che un uomo può giocare nella vita pubblica"…Ma, "di fronte a un Parlamento le cui attribuzioni e la cui dignità siano assicurate il governo deve disporre, da parte sua, dei mezzi e del tempo necessari all'esecuzione dei termini del contratto di maggioranza….Il mezzo di evitare la precarietà, l'instabilità governativa senza cadere nel potere personale, risiede in una soluzione che associa strettamente l'azione, il compito e la durata dell'assemblea, all'azione, al compito e alla durata del governo…..Allorché un governo definisce una politica, annuncia esattamente dove vuole andare, fa appello alla maggioranza che gli ha dato vita, il Parlamento deve seguire e di fatto lo segue. Se nondimeno sopravviene un conflitto, il governo deve avere il diritto di procedere allo scioglimento dell'assemblea affinché il paese possa esprimere il suo giudizio".

Il problema di evitare distorsioni del sistema e l'esercizio di un "potere di ricatto" dell'esecutivo nei confronti del Parlamento, non si risolve negando al Premier il potere di scioglimento delle Camere:

si risolve, piuttosto, dando rappresentatività ed autorevolezza ai parlamentari, legandone la scelta a un procedimento di selezione democratica.

Il parlamentare espressione di una designazione di base, forte del consenso autonomamente raccolto, conserva, pur nel rispetto degli impegni programmatici del partito o della coalizione cui appartiene, autonomia di giudizio e capacità di esercitare un ruolo di proposta e di controllo.

Invece in un quadro come quello esistente oggi da noi, in cui manca ogni regolamentazione della vita interna dei partiti e vige un sistema elettorale basato su collegi uninominali _ nella maggior parte dei quali già si conosce quale sarà la coalizione vincente _ e su liste bloccate, la scelta dei parlamentari dipende esclusivamente dalla volontà di ristretti gruppi dirigenti e nessun eletto dispone di reale autonomia rispetto alla leadership che lo ha designato.

Senza por mano alla regolamentazione giuridica dei partiti e senza la contestuale introduzione di un sistema di elezioni primarie non solo non si risolve il problema di come garantire l'equilibrio tra l'esecutivo e il legislativo, ma si aggrava sempre più quel distacco tra i cittadini e la politica di cui parlavo all'inizio, perché la politica, i partiti, gli eletti verranno sempre più sentiti come qualcosa di "altri", qualcosa che riguarda solo una ristretta cerchia di addetti ai lavori.

Ha scritto Maurice Duverger in "Démain la république": "con i candidati imposti dall'alto dalle ristrette oligarchie dei partiti si spoglia l'elettore del suo diritto di scegliere, provocando così la sua "alienazione". Le elezioni diventano un rito meccanico celebrato senza fede, un atto coniugale consumato senza passione, un colpo di spada nell'acqua dato senza illusioni".

In forza di queste considerazioni, ho presentato ieri, insieme al sen. Compagna, un disegno di legge che riguarda sia la riforma dell'art. 49 della Costituzione, per affermare l'obbligo di una disciplina giuridica dei partiti e di una regolamentazione dei criteri di scelta dei candidati, comprese le candidature per l'elezione del Primo Ministro, sia la modifica degli articoli relativi alla forma di governo, prevedendo l'elezione diretta del Primo Ministro, cui viene riconosciuta la facoltà di proporre al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere.

Nella soluzione proposta in cui anche la scelta del primo Ministro, da parte del partito o della coalizione, dovrebbe passare attraverso un sistema di elezioni primarie, si riporta il partito giuridicamente riconosciuto al centro del confronto politico, facendone la sede di decisioni garantite e trasparenti in cui ognuno potrà vedere valorizzato il proprio contributo, evitando il pericolo di ogni deriva plebiscitaria.

In questo quadro il potere di scioglimento non diverrebbe strumento per spaventare un parlamento "riottoso", perché i parlamentari, forti del consenso che direttamente raccolgono nel partito, non vedrebbero la loro riconferma posta alla mercè del primo ministro o dei leaders della coalizione.

Imboccare la diversa strada di un Primo ministro non eletto e privo del potere di scioglimento e di parlamentari non designati attraverso un regolare sistema di elezioni primarie, ma scelti dall'alto, rischierebbe di portarci ad avere insieme un premier dimezzato e un parlamento esautorato.

Signor Presidente, Colleghi Senatori,

so bene che le considerazioni che ho svolto e le soluzioni che ho prospettato si discostano per diversi aspetti sia dalle indicazioni della maggioranza, di cui pure faccio parte, sia da quelle del centro sinistra.

La maggioranza non sembra propensa a prevedere riconoscimento giuridico dei partiti ed elezioni primarie.

Il centro sinistra che pure oggi ipotizza le elezioni primarie, lo fa più come strumento per superare le sue difficoltà interne, che come soluzione "istituzionale". E l'on. D'Alema, che ha fatto in queste settimane un'orgogliosa rivendicazione del ruolo dei partiti rispetto ai movimenti, che abbiamo apprezzato, non ne ha tratto però le logiche conseguenze in quanto non ha proposto di disciplinarli, togliendoli dall'attuale condizione di associazioni non riconosciute.

Ma soprattutto i colleghi del centro sinistra vedono nell'ipotesi di elezione diretta del Primo Ministro e nell'attribuzione allo stesso del potere di proposta di scioglimento delle Camere un pericolo di cesarismo.

Sinceramente non vedo questo pericolo nel modello che ho delineato, tanto più in presenza della figura di un arbitro superiore, guardiano della Costituzione e simbolo dell'equilibrio organizzato, quale quella di un Presidente della Repubblica senza responsabilità politica diretta, il cui ruolo viene mantenuto ben distinto da quello del capo del governo.

Comunque quel che mi sembra chiaro è che le nostre proposte appaiono oggi eterodosse ad entrambi gli schieramenti.

Ma proprio perché si collocano fuori dal "coro" chiedo alla cortesia dei colleghi di volerle valutare con qualche attenzione.

Negli scorsi giorni, lei, signor Presidente, come pure il Presidente Berlusconi, avete sollecitato uno sforzo comune per trovare un terreno di incontro.

Non ho certo la pretesa di averlo indicato.

Ma, come diceva Eraclito, (http://www.skuola.net/filosofia/eraclito.asp)
occorre: "Cercare sempre l'inaspettato
per trovare la verità".
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tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/imgs/pri.gif (http://www.pri.it)

nuvolarossa
22-01-03, 22:16
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Riforme: Del Pennino e Compagna, elezione diretta Premier

Intervenendo nel dibattito in corso al Senato sulle riforme istituzionali a nome del PRI, il sen. Antonio Del Pennino ha sottolineato come "la riflessione sul ruolo dei partiti non possa restare assente nel momento in cui si affronta il problema della modifica della forma di governo".

Illustrando il disegno di legge costituzionale presentato insieme con il sen. Compagna, in cui si prevede contestualmente il riconoscimento giuridico dei partiti, l'istituzione delle primarie e l'elezione diretta del Primo Ministro, al quale verrebbe affidata la possibilità di proporre lo scioglimento delle Camere, nonché, quale contrappeso, la facoltà per la minoranza parlamentare di impugnare direttamente le leggi di fronte alla Corte Costituzionale, Del Pennino ha affermato: "nella soluzione da noi proposta in cui anche la scelta del Primo Ministro dovrebbe passare attraverso un sistema di elezioni primarie, si riporta il partito giuridicamente riconosciuto al centro del confronto politico, facendone la sede di decisioni garantite e trasparenti in cui ognuno potrà vedere valorizzato il proprio contributo evitando il pericolo di ogni deriva plebiscitaria. In questo quadro il potere di scioglimento non diverrebbe strumento per spaventare un Parlamento riottoso in quanto i parlamentari, pur nel rispetto degli impegni programmatici del partito e della coalizione, sarebbero forti di un consenso autonomamente raccolto attraverso la designazione delle primarie".

nuvolarossa
28-01-03, 20:48
Dichiarazione di voto del sen. Del Pennino sul disegno di legge "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale

Signor Presidente, esprimerò un voto favorevole al disegno di legge al nostro esame, ma non posso esimermi da alcune riflessioni, anche critiche. La prima riguarda la natura di questo stesso disegno di legge.

Certo, siamo in presenza di un testo articolato e ben scritto, ma che mantiene il limite di una legge di procedure, resa necessaria per disciplinare la fase transitoria e consentire la messa a regime del nuovo assetto istituzionale. Il disegno rappresenta un passo avanti rispetto alla legge costituzionale n. 3 del 2001, la cui diretta ed immediata applicazione aveva creato non pochi problemi, ma io non posso non ribadire la convinzione, già espressa in sede di udienze conoscitive e di dibattito in 1a Commissione, che la legge costituzionale sopracitata meriti più correzioni che non attuazione. È una legge che presenta forti elementi di confusione e di contrasto, a partire dalla cosiddetta legislazione concorrente, sulla quale apprendo con piacere che il Ministro intende introdurre elementi correttivi.

Proprio in materia di legislazione concorrente non posso non richiamare l'attenzione del Ministro su un punto che a mio avviso rappresenta, uno degli aspetti più delicati e più complessi. Tra le materie di legislazione concorrente figura oggi anche la protezione civile. Tecnicamente la cosa lascerebbe quasi increduli, giacché le calamità naturali sono ormai occasione di solidarietà addirittura internazionale. Di fronte alla possibile enormità di un disastro naturale è letteralmente un non senso attribuirne prevenzione e gestione ad una struttura intermedia qual è la Regione. Oltretutto, la competenza regionale in materia creerebbe inaccettabili disparità di trattamento tra i cittadini in emergenze attinenti agli interessi primari dell'uomo. Avevamo presentato su questo punto un emendamento, che è stato giudicato inammissibile dalla Presidenza, perché non rientrava nella materia. Ci premeva però sottolineare questo aspetto e ci preme ribadirlo in questa dichiarazione di voto, perché siamo convinti che è materia su cui il Governo ed il Parlamento dovranno intervenire in fase di revisione della legislazione concorrente.

La seconda ed ultima considerazione che vorrei fare è relativa all'andamento di questo dibattito e alle correzioni che sono state apportate al testo del disegno di legge, così come era stato presentato dal Governo.

Gli emendamenti che noi avevamo presentato andavano esattamente nella direzione opposta a quella degli emendamenti che sono stati approvati. Da questo punto di vista, non possiamo non giudicare il testo che uscirà dal voto del Senato come un testo peggiorativo rispetto a quello iniziale del Governo, e ne attribuiamo la responsabilità ai colleghi dell'opposizione: ancora una volta, la deriva pararegionalista ha travolto alcuni paletti che erano stati messi nel disegno di legge originario.

Ebbene, io credo che questo sia un argomento.

Ieri, intervenendo nel dibattito sulle questioni istituzionali, citavo un recente articolo di un autorevole politologo, Ernesto Galli Della Loggia, il quale aveva detto che sono venuti meno tre punti centrali che avevano garantito l'equilibrio e lo sviluppo della società italiana in questi anni : lo Stato, l'industria e i partiti.

Ieri mi sono dilungato nell'analisi del problema dei partiti.

Vorrei oggi toccare, sia pure brevemente, il tema dello Stato, per riproporre un interrogativo posto da Galli Della Loggia che, anche per il modo in cui è stato corretto questo disegno di legge dal voto che il Senato ha espresso sugli emendamenti, è reso più pressante.

Affermava Galli Della Loggia : "Con le Regioni siamo ora consegnati ad un'autorità divisa e diversa da luogo a luogo, che avvertiamo, ed è, perlopiù inesperta, senza neppure quel po' di tradizione e di prestigio che aveva il vecchio Stato", e si chiedeva:"riusciranno le Regioni ad assolvere ai loro nuovi compiti?". Ecco, credo che emendamenti e correzioni al disegno di legge come quelli che sono stati fatti introdurre dai colleghi dell'opposizione non aiutino a dare una risposta positiva a questo interrogativo.
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tratto dal sito
http://www.pri.it/immagini/da%20inserire%20pri/logosinistra.jpg (http://www.pri.it)

nuvolarossa
07-02-03, 18:39
http://www.frangipane.it/archivio/gennaio2003/20030111.jpg

tratto da
http://www.frangipane.it/archiviox.gif (http://www.frangipane.it/index.html)

Libertarian
28-03-03, 19:56
Federalismo: una questione di Libertà

Di Giovanni Nicodemo


Una questione di fondamentale importanza, nonché punto di svolta per i governi democratici dell’occidente, è senza dubbio quella federalista. Con la fine dei mostri totalitari del xx secolo, che hanno rappresentato le forme di statolatria e statalismo più violente e repressive, il xxi secolo prospetta la svolta federalista. Con il federalismo possiamo parlare di svolta perché tutta l’attenzione è rivolta non più ai giganteschi e coercitivi apparati burocratici, ma finalmente all’individuo, alla persona umana. E tale persona è titolare di dirittie va rispettata proprio in quanto persona. Essa nell’ottica federalista è un fine e non un mezzo. Proprio per questa ragione, possiamo dire che il federalismo fonda i diritti inviolabili degli individui e, dunque pone le basi per il reciproco rispetto e per una civile convivenza. Parte importante del federalismo, inoltre, è il concetto di autonomia, che riconosce il diritto degli enti locali , ad esempio le regioni, ad autogovernarsi in quanto maggiormente coscienti delle diverse realtà territoriali, e perciò più vicini alle esigenze dei cittadini. Ma il federalismo va anche oltre; infatti non attiene solo alla forma dello stato, ma riguarda la forma della società civile nel suo complesso. Il rispetto delle autonomie implica il rispetto delle comunità locali costituitesi attraverso un patto volontario, e tutto ciò conduce all’esistenza di una società civile forte, articolata e ricca, capace di produrre autorganizzazione, buona amministrazione dal basso, democrazia diffusa. Di grande importanza in questo discorso è il federalismo fiscale, che va a concretizzare in buona parte gli ideali di autogoverno delle libere comunità locali. Senza una riforma del fisco in senso federalista non può esistere, infatti, una piena indipendenza rispettosa delle diverse culture , tradizione e caratteristiche territoriali, in quantogli enti locali rimarrebbero ancora intrappolati nelle pastoie liberticide ed iperburocratiche del potere centrale. Con estrema precisione e lucidità a tal proposito , già più di 50 anni fa scriveva Luigi Einaudi, uno dei padri nobili della cultura federalista italiana:
“La questione dei contributi è delicatissima e forse nessun paese è mai riuscito a risolverla. Quando lo stato dà contributi agli enti minori, tutti gli enti minori finiscono per chiedere sempre contributi all’ente centrale, e in questa situazione non vale stabilire in qualsiasi modo l’autonomia: gli enti locali dipenderanno dall’ente centrale che li sovvenziona.”
Lo strumento della sovvenzione è, più di ogni altra cosa, fonte di irresponsabilità, di corruzione, di inefficienza, in particolare nel Mezzogiorno. La vera autonomia ed il vero federalismo, allora, non possono non essere anche autonomia e federalismo fiscale. Una reale e concreta politica federalista per il Mezzogiorno è quella volta ad innescare i processi autopropulsivi di sviluppo attraverso una profonda trasformazione culturale che veda finalmente l’impresa come motore primo, e la cultura di mercato come suo ambiente naturale. In altre parole è necessario, per lo sviluppo del Sud, creare sempre più mercati aperti, e soprattutto è necessario porre le basi per una forte e radicata cultura della libera iniziativa, l’unica che vede come protagonista gli individui liberi e le autonomie locali. L’idea federalista è oggi, dunque, il miglior antidoto contro ogni forma di autoritarismo perché tende alla divisione radicale del potere (proveniente dal basso), al rispetto delle diversità, al policentrismo che valorizza tutte le comunità. Insomma, il federalismo è l’applicazione più coerente del principio di libertà e di rispetto dell’individuo.

nuvolarossa
28-03-03, 20:31
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI65.gif

a Libertarian sul Forum dei Repubblicani Italiani

nuvolarossa
13-04-03, 14:59
Defensio 'Rei Publicae'

Nell'autunno scorso l'A.M.I. ha indetto una manifestazione "in difesa della Repubblica" nella sala della Protomoteca in Campidoglio a Roma.
Nel corso di essa, con diversi "accenti", abbiamo registrato preoccupazione per lo "stato" della Repubblica, riferita al rispetto delle stesse norme istituzionali.
I Mazziniani non sono "manichei" che si dedichino a discernere il "bene" ed il "male" per trarne delle "categorie" da assimilare alle singole parti politiche, ben consci che, tra quelle che accettino i principi della democrazia rappresentativa, della libertà e fratellanza degli individui e dei Popoli, non debbano farsi aprioristiche classifiche. E poiché non siamo conservatori sciocchi, non possiamo attestarci sulla carta fondamentale, considerandola intangibile nel tempo.
Dobbiamo, però, riaffermare "idee", che ci derivano da Mazzini, per il corretto sviluppo della dialettica democratica e tanto più dobbiamo farlo in vista del congresso triennale (previsto nel corrente anno), nel quale i soci individueranno l'azione che l'Associazione si appresterà a svolgere.
Di fronte alle divagazioni federaliste, dobbiamo - innanzi tutto - riaffermare l'intangibile Unità d'Italia, per sottolineare che tutte le riforme sono accettabili, se, alla base di esse non vengano sottintese intenzioni (non tanto secessionistiche, quanto) disgregatrici della stessa forma repubblicana, che, invece, "non può essere oggetto di revisione costituzionale", in base all'art. 139 della medesima Costituzione.
Se (ed in quanto vi sia) accordo su tale principio, le materie di competenza esclusiva dei governi locali debbono trovare la loro collocazione in quadri predeterminati in sede nazionale, con norme -che possono essere di rango sub - costituzionale-, espressione di "principi" comuni e non derogabili.
In proposito giova osservare che, per tal ragione, le (eventuali) riforme costituzionali possono soltanto adottarsi in una visione organica, non in una serie di frammentari provvedimenti, ciascuno dei quali determinerebbe solo equivoci interpretativi e soprattutto "fughe" di alcune, rispetto ad altre, porzioni del territorio nazionale.
Inoltre, ferme le regole formali proprie per le modifiche, pensiamo che se taluno ritenga di apportarne alcune anche alla parte prima della Costituzione, riguardante i rapporti civili, etico sociali, economici e politici, abbia il dovere di verificare – prima - nella società cui le innovazioni dovrebbero applicarsi, lo "stato" di quei rapporti, al fine di individuare nuove "regole" adeguate alla condizione della società stessa.
Inoltre, crediamo che i principi fondamentali della Costituzione (anche se essa, nel suo insieme, rappresenta il "patto" intervenuto tra gli italiani) non possano essere oggetto di revisione se non ad opera di uomini a ciò espressamente eletti dal Popolo, e cioè da parte di nuovi costituenti.
Quei "principi" rappresentano l'Italia del Risorgimento e della Resistenza, che ha scosso da sé (è il caso di usare l'espressione retorica) le "catene della dipendenza dagli stranieri e delle dittature"; di essi siamo convinti sostenitori. Se taluno intendesse intervenire anche su tali "principi", dovrebbe a ciò essere espressamente chiamato.
Mazzini ha insegnato che la politica deve essere, innanzi tutto, morale ed il rispetto di questa implica comportamenti che trascendono le singole disposizioni, poiché riguardano l'Uomo ed il Cittadino in quanto tale.
Il "patrimonio" di valori acquisito con la Costituente certamente non deve considerarsi immutabile, ma coloro che -in ipotesi- avessero tale volontà, dovrebbero rivolgersi al Popolo, il quale, almeno per tale funzione, dovrebbe conservare la propria sovranità.
Renzo Brunetti

Libertarian
13-04-03, 22:49
Grazie del benvenuto;)

Garibaldi
15-04-03, 10:58
Il decentramento del potere in periferia ed anche quello delle risorse e delle tasse non e' poi quella cattiva erba che si vuol far dipingere !!!!!
Il leader della Lega sara' anche rude a proporre queste cose !!!
Pero' se ben fatte e studiate in modo armonico sono elementi libertari che portano stimoli locali alla crescita civile ed economia !!!!
Anche il fatto di liberarsi in periferia dall'autoritarismo centrale sia di governo che delle segreterie ministeriali e' un fatto di democrazia che spinge dal basso !!!
quindi in sintonia con la democrazia repubblicana che e' fatta di volonta' popolare !!!!
Certo non si deve parlare di secessionismo !! questo mai !!
Ma un sano allargamenro e decentramento amministrativo puo' essere l'antidoto al pauroso burocratismo che ammorba il paese !!!!
Quelli della lega saranno grezzi come la cartavetra e poi fanno gli americani con quella DEVOLUTION !!!
ma parlate come mangiate !!! e poi lo abbiamo piu' duro noi repubblicani !!!!

nuvolarossa
15-04-03, 14:01
http://www.ilpiccolo.quotidianiespresso.it/giornalilocali/images/piccolo/logo.gif
Una fetta della Cdl indignata
Fiori: «È un insulto all’Italia»

ROMA - Fiori e Bontempo, La Malfa, Sterpa e Bobo Craxi: tutti con il mal di pancia per la devolution di Bossi e annuncio pubblico di un voto in dissenso, di una fuga dall’aula o di un’astensione. La maggioranza è vulnerata in tutte le sue componenti. An si espone con un vice-presidente della Camera e un deputato che si è fatto un nome nelle periferie romane. La Malfa, presidente della commissione finanze, si porta appresso i suoi amici repubblicani. Bobo Craxi rende nota l’astensione dei socialisti del nuovo Psi. Sterpa, il liberale di Forza Italia, dà voce al malumore laico del gruppo. Sarebbe per il no, ma decide di astenersi. Un percorso parlamentare «inelegante»; e dire inelegante, fa Sterpa, «è decisamente un eufemismo». Il carico da undici lo ha calato Bossi, tornando sul ritornello di Roma ladrona, convinto gli porti voti nel profondo Nord.
Ma crea guai a un partito come An, che alle prossime elezioni si gioca la presidenza della provincia di Roma. Fiori era incerto, ma è scattato sul no davanti a «frasi ingiuriose», perché «chi insulta Roma, insulta l’intera Italia». Ma le obiezioni a Bossi investono la sostanza della legge costituzionale, «avulsa» - dice Fiori - dalla riforma dell’intero titolo quinto della Carta, e concessa solo come «un manifesto elettorale a uso e consumo della Lega».
Bontempo si astiene perché nella legge non ci sono limiti alle materie (scuola, sanità, polizia locale) sottratte alle competenze dello Stato, e fa suo un argomento dell’opposizione: si discute di Bossi e non si conosce il testo della legge di governo che dovrebbe assorbirlo. La Malfa esce dall’aula dopo che cinque suoi emendamenti sono andati in fumo e protesta per non essere stato consultato dalla Cdl, né informato sul testo governativo. Sterpa condivide La Malfa sulle riserve alle «materia devolute»: cita scuola, formazione e polizia locale, ma non accenna, come fa invece La Malfa, alla sanità. L’Udc Baccini, sottosegretario agli esteri, ha dato luogo a un caso parallelo. Due dei suoi, Barbieri e Di Giandomenico, gli hanno chiesto di dimettersi perché in sede di partito ha detto che il governo «non ha una politica estera chiara» e che per l’Iraq la Farnesina «sta lavorando in maniera occulta».
Renato Venditti

nuvolarossa
22-04-03, 19:08
http://ilgiorno.quotidiano.net/imgtestata/titolo_giorno3.gif
"La bizzarra idea delle vice capitali"

Articolo di
Antonio Del Pennino
Senatore, Segretario regionale lombardo
Partito Repubblicano Italiano

Il dibattito sulla cosiddetta "devolution" e sulla riforma del Titolo V della Costituzione si sta sviluppando in modo confuso ed approssimato. Rispetto ad un'attenta riflessione, prevalgono gli slogan e le posizioni di bandiera. Ciò è particolarmente evidente nella polemica sul ruolo di Roma capitale e sulla proposta "compensativa", avanzata dall'on. Bossi, di istituzione di alcune "vice capitali".

Certo, se appare bizzarra l'ipotesi di istituire delle vice capitali, non possiamo considerare immotivate le critiche di Bossi alle norme contenute nel disegno di legge varato, sia pure come testo aperto, dal Consiglio dei Ministri su Roma capitale. La formulazione attualmente vigente stabilisce: "Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato stabilisce il suo ordinamento". La nuova formulazione prevede, invece, che "Roma è la capitale della Repubblica e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia anche normativa nelle materie di competenza regionale".

È una formulazione davvero curiosa. Se trovasse attuazione saremmo in presenza di due Regioni, quella di Roma e quella del Lazio: un fatto che potrebbe esaltare i tifosi delle due squadre, ma che difficilmente si inquadrerebbe in un corretto disegno istituzionale. Cosa sarebbe, infatti, la Regione Lazio senza Roma? Una mini Regione in cui non sarebbero possibili interventi coordinati con quelli previsti per Roma, intorno alla quale continuerebbero a gravitare le altre province.

Assai più logico mi appare mantenere la previsione che Roma è la capitale della Repubblica e che il suo ordinamento viene disciplinato da una legge ordinaria dello Stato, che in concreto non potrà non fare riferimento alla previsione costituzionale sulle Città metropolitane. Se è vero, che la Costituzione non deve mai essere considerata alla stregua di un foglio di carta su cui operare strappi e rammendi improvvisati, anche per la definizione dei compiti di Roma capitale occorre partire dalla previsione introdotta nell'art.114 Cost. sulle Città metropolitane.

Solo nell'ambito di una disciplina complessiva, magari differenziata, per le Città metropolitane, si può trovare una corretta risposta alle esigenze proprie della Capitale e alla valorizzazione delle altre grandi città italiane, di cui vanno esaltate le specifiche peculiarità economiche, storiche e culturali, senza umiliarle ad un ruolo di vice capitali e senza aprire una provincialistica querelle sulla rivendicazione delle risorse.

Antonio Del Pennino
Senatore, Segretario regionale lombardo
Partito Repubblicano Italiano

nuvolarossa
16-08-03, 21:11
Sofia Ventura, Il federalismo, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 139, euro 8,00

Le forme e i processi del federalismo. L’analisi del prototipo dello stato federale (Gli Stati Uniti d’America) e di altri modelli: Canada, Germania, Svizzera, Belgio, Spagna. Un’indagine scorrevole, a tappeto, per “chiudere” sull’ipotesi di costruzione dell’Europa federale.

tratto dal sito web del
PENSIERO MAZZINIANO (http://www.domusmazziniana.it/ami/)

la_pergola2000
19-08-03, 15:52
Se qualcuno ha letto per caso l'articolo di fondo sul Corriere di lunedi 18 agosto a firma del professor Giavazzi avrà colto gli accenti di molte battaglie che la maggioranza dei repubblicani da sempre vogliono e propongono all'Italia, chi non ricorda la storica frase di Ugo La Malfa sull'Italia che deve tenere la testa in Europa e non sprofondare con i piedi nel fango del Mediterraneo, intendendo per Mediterraneo il passato con tutto quello che ne consegue per uno stato che non si autoriforma per progredire.
Inizio con la conclusione di Giavazzi che " si resta attoniti di fronte all'incapacità del Governo di far prevalere l'interesse comune".
E' un chiaro richiamo al governo che è impantanato nelle polemiche giudiziarie che isteriliscono il dibattito sulle vere riforme.
Giavazzi ne elenca alcune che riguardano la inefficienza della macchina burocratica dello stato:
Inizia con l'assistenza agli anziani alle prese con le loro quotidiane vicissitudini di mobilità e di poter accedere facilmente alle esigienze minime come aquisti di medicinali e conforti di prima necessità, come medicine e spesa quotidiana, la lobby dei farmacisti si oppone a qualsiasi vendita di medicinali all'esterno della farmacia.
Non a caso in America, tutti abbiamo visto l'esistenza dei drugs store dove la vendita dei medicinali è più libera ed anche meno costosa, nonostante che negli States ci siano le più alte concentrazioni monopolitiche di fabbricanti di medicine.
Giavazzi propone anche una più adeguata assistenza con i taxi per gli anziani, l'aumento di lavoro dei taxi porterebbe sicuramente ad un abbassamento della tariffa anche per tutti gli altri, ma le potenti lobby dei tassisti permetterebbero ciò?
Tutti ricordano il prontuario farmaceutico del ministro Garavaglia, stilato anche con il professor Garattini, che fece risparmaire centinaia di miliardi allo stato, con le conseguenti proteste degli industriali farmaceutici in testa Menarini di Bologna che su una inserzione a pagamento minacciò addirittura di chiudere le sue fabbriche, e da lì iniziò la vigliaccheria dei governi ad affrontare il problema con conseguente aumento della spesa farmaceutica.
Giavazzi non si può mettere in un pulpito in quanto come consulente del governo D'Alema ci dovrebbe dire che cosa ha fatto per questo.
Ma la potentissima lobby dei farmacisti, e questo Giavazzi non lo ha detto, non si ferma solo alla vendita dei medicinali nei supermercati, c'è fin dal '92 una legge che aspetta solo la firma di non so chi, che propone l'apertura di una farmacia ogni tremila abitanti al posto di 5000, nelle sole Marche si avrebbero, stimate, circa 70 farmacie in più con tutto quello che ne consegue, tutti ci guadagnerebbero, solo quelle già esistenti dovrebbero cedere un pò di guadagni, e non si ferma qui la lobby, hanno fatto varare una legge tempo fà che congela le vendite delle farmacie e le eredità ai figli ai parenti stretti, insomma siamo al terzo e al quarto mondo.
Nell'articolo di Giavazzi in merito all'Acquedotto Pugliese, oggi il presidente della Regione Puglia risponde allo stesso Giavazzi sul Corriere, e notizia interessante ci riferisce che la regione Puglia va al pareggio con la spesa sanitaria, riferimento lodato da Giavazzi in quanto la Puglia ha avuto il coraggio di chiudere 20 ospedali.
Cosa che non ha fatto la regione Marche ed ora si trova ad avere il deficit più alto d'Italia.
Ciao a tutti.

Ci sarebbero altre proposte?
Spesa giudiziaria - Professioni intellettuali - professori universitari - metodo retributivo o contributivo?
Non potrebbero essere proposte del PRI per il prossimo veritice di maggioranza?

la_pergola2000
20-08-03, 15:19
mi dispiace di non poter intervenire anocra sull'articolo di Giavazzi di lundi sul corriere.
Se red cloud ritiene che non debba iniziare delle nuove discussioni fa bene a scegliere questa via, perchè lui è il moderatore ed io mi allineo ai suoi voleri.
Però mi sembrava interessante quel discorso sulel riforme che ha illustrato Giavazzi, tanto è vero che ha suscitato un intervento del presidente della Regione Puglia per un verso, ed oggi sul corriere, 'è una intervista nientepopodimeno che al presidente dell'ordine dei farmacisti italiani l'on. Leopardi, che senza vergona dice che i farmacisti sono indipensabili e la vendita di alcune specialità nei supermercati, come l'aspirina, è pericolosa in quanto i bambini contraggono il morbo di Reynod, una malattia gravissima, qualcuno mi deve dire chi è che da l'aspirina ai bambini se non i genitori, non credo che un genitore dia l'aspirina al proprio bambino se non dietro il consiglio del pediatra.
Quindi argomento improprio, contestualizzandolo su una specifica malattia che fa paura ai grandi e ai piccini.
Non ha citato per niente la nuova legge già approvata che giace non si sa dove, questo dimostra che il problema è grave, fra un pò usciranno gli avvocati, i notai e via discorrendo, il futuro dell'italia non è proprio roseo, vista la vigliaccheria dei governi.
L'attuale governo dovrebbe prender qualche decisione impopolare, se si togliessero alcuni privilegi a delle categorie che hanno usufruito da tanto tempo della copertura degli ordini, nonc redo che il grado di impopolarità sia tanto alto.
Se nuvola rossa ritiene che questi interventi sulle riforme siano improponibili dal sottoscritto, cerchi lui un luogo dove discutere, ne sarò ben felice.
Desidererei avere il pezzo scritto ieri , se possibile, in quanto non ho un brogliaccio personale.
Ciao a tutti.

la_pergola2000
21-08-03, 01:20
La giustizia civile in Italia perchè è lenta?

La parcella degli avvocati è calcolata sulle operazioni che un avvocato svolge, ne consegue che più sono le udienze e più l'avvocato guadagna, quindi non ci dobbiamo meravigliare se la durata media di una causa civile va dai tre ai cinque anni.
Secondo Giavazzi sarebbe un settore in cui il governo potrebbe metterr le mani. se ne avrebbe un forte beneficio sullo snellimento delle procedure civili, con un conseguente guadagno dello Stato.
Aggiungo, intervenire nel settore degli avvocati potrebbe essere un segno della forza del Governo, in quanto la maggioranza degli avvocati civilisti e non costituisce una base elettorale del centrodestra, il governo potrebbe trovare degli incentivi per i primi tempi della riforma.
Ma ci informa Giavazzi che l'ordine degli avvocati già si è opposto alla Commissione Vaccarella che ha già pronta la legge.
Così per la riforma degli ordini degli avvocati, architetti , ingegneri e soprattutto notai.
Ironizza Giavazzi "speravamo che un governo liberista ci arrivasse da solo"

Le osservazioni del professor Giavazzi, anche se vengono da un consulente del governo D'Alema, hanno un fondo di verità e speriamo che la maggioranza nelle prossime riunioni affronti questi problemi, tali problemi potrebbero benissimo essere oggetto di proposta da parte del PRI.
Sono inerenti al nostro pensare uno stato democratico moderno, alcune sono in uso da tempo in alcune repubbliche molto più vecchie della nostra (USA), hanno uno slancio riformista, se accettate e poi trasformate in legge non sarebbero preda del cs, in quanto materia che potrebbe essere sia nel programma di cs che di cd, come il professor Giavazzi insegna.
Il governo, come si legge in questi giorni, ha preso coscienza che la spinta riformista si stà impantanando nei meandri della giustizia, e dichiara che vuol ridare slancio alla alleanza.
La posizione del PRI dovrebbe essere più chiara netta.
Se qualcuno del forum ha altre idee sarebbe interessante confrontarle.
Ciao a tutti.

nuvolarossa
22-08-03, 10:34
Proposta dei “saggi”: cambiare metà Costituzione
Senato delle Regioni e maggiori poteri al Presidente della Repubblica. Apertura all'opposizione

LORENZAGO DI CADORE (BELLUNO)Senato delle Regioni e maggiori poteri di garanzia al presidente della Repubblica: questa la formula dell'armonia ritrovata dai quattro «saggi» del Cadore, dopo mesi di manifeste divergenze nella maggioranza sui temi del rinnovamento istituzionale. Il portavoce dei “saggi”, il sottosegretario per le Riforme Aldo Brancher (Fi), può così estrarre dal cilindro l'avvio di una soluzione al conflitto tra la devoluzione, invocata con forza dalla Lega, e l'interesse nazionale, condizione irrinunciabile per Alleanza nazionale, mentre il centrista D'Onofrio annuncia che l'obiettivo è quello di riscrivere tutta la seconda parte della Costituzione. Deus ex machina, forse, il ministro per le Riforme Umberto Bossi - giunto nel corso della notte a Lorenzago e rimasto tutto il giorno in albergo - il quale ieri mattina ha reso noto di aver fornito al consesso dei “saggi” «una bozza, uno schema» su cui lavorare. Top secret sul contenuto dello schema, ma è certo che contiene l'anima istituzionale e quella politica della Lega: quella rappresentata dal ministero delle Riforme, e quella della base. Anime che troveranno corpo, all'interno della proposta di rinnovamento istituzionale che la maggioranza porterà avanti nei prossimi giorni, proprio con il Senato delle Regioni, «luogo di rappresentanza nazionale delle entità locali», che dovrebbe sancire anche la fine del bicameralismo perfetto. E' sostanziale che a controbilanciarne la devoluzione si prevedano maggiori poteri di garanzia al presidente della Repubblica, che sono certamente graditi ad altri partner della coalizione di centrodestra, Alleanza nazionale in testa. E chissà se, con la scusa di una pennichella pomeridiana nello stesso albergo in cui stava Bossi, il senatore Domenico Nania (An) non abbia trovato modo di precisare qualche dettaglio con lo stesso Senatur. Un punto complesso, quello relativo alla presidenza della Repubblica, non ancora tradotto in articolato dai «saggi», che lavorano coadiuvati da tecnici ministeriali. La questione dei maggiori poteri di garanzia presidenziali, infatti, si interseca con il tema della forma di governo, che - riferisce Brancher - sarà affrontata oggi, e con quello della Corte costituzionale. A Lorenzago dunque, dopo mesi di lavoro difficile, si studia la riscrittura di tutta la seconda parte della Costituzione italiana, dall'art.55 al 138. Escluso, precisa il costituzionalista Francesco D'Onofrio (Udc), l'art.139 che recita: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». Se i «saggi» arriveranno fino in fondo la proposta di riforma avrà poi il suo iter politico e istituzionale.
La bozza dei sarà sottoposta anche agli altri alleati della Cdl, socialisti e repubblicani.
Ma soprattutto verrà consegnata a Silvio Berlusconi, il quale - come ha affermato Brancher - dovrebbe convocare entro fine agosto un vertice della Cdl per il via libera politico alla maxi-riforma. Se tutto andrà liscio la palla passerà al Consiglio dei ministri, al confronto Stato-Regioni, per poi affrontare il doppio passaggio alle Camere e «forse anche un referendum confermativo - aveva detto il leghista Roberto Calderoli - per arrivare a realizzare tutto sul finale della legislatura». E' un fatto, però, che «se non trova accordo con l'opposizione - annuncia Brancher, rispondendo alle domande dei giornalisti - e se trova intesa al suo interno, la Cdl va avanti anche da sola».

Antonella Barina

la_pergola2000
22-08-03, 15:21
L'articolo di Giavazzi comincia a creare i suoi frutti.
Ieri sul Corriere la rappresentante dei farmacisti di Roma, è intervenuta sul numero delle farmacie in italia,
Proprio l'altro ieri dicevamo che il numero degli abitanti per ogni licenza farmaceutica dovrebbe essere ridotto e citavamo numeri come 5000 e 3000, la dottoressa diceva 4500/2000, anche se i numeri sono leggermenti diversi il concetto non cambia.
Le 70 farmacie (stimate) in più nelle Marche fanno il paio con le 16000 in più in Italia, come citava la rappresentante dei farmacisti di Roma, non bisogna dimenticare che un numero di farmacie simili comporta un aumento di personale di quasi 50.000 unità, verificando anche una diffusa redistribuzione di reddito, questo aumento di reddito diffuso entrerebbe anche nel moltiplicatore di keynes, in quanto non costituirebbe accumulo, ma reddito fresco da nuovi soggetti.
Come i repubblicani possono vedere l'articolo di Giavazzi, anche se è stato il consulente economico di D'Alema, dimostra che è un articolo importante a cui molti liberaldemocratici e centristi possono attingere, non ci dovremmo più attardare come fa l'uomo nel pavimento a seminare zizzania fine a se stessa, ma iniziare un discorso e un dibattito che riguardi le realtà del paese.
Ciaoa tutti.

la_pergola2000
22-08-03, 15:43
Anche oggi sul Corriere l'articolo di Giavazzi ha prodotto un riferimento nell'intervento che ha fatto Spaventa ( anche lui ministro nel cs).
La direzione di Folli anche se inizialmente contrastata con un sciopero stupido dai cosiddetti giornalisti allineati e coperti, in realtà continua ad ospitare i più autorevoli economisti compresi nel cs e propriamente di area diessina.
Il forte spirito politico di Folli ha compreso ed ha avvertito il disagio che c'è nel cd sullo stallo nelle riforme, e le dichiarazioni di Berlusconi in proposito ai suoi ministri sono chiare, in settembnre ci dovrebbero essere in discussione alcune decisioni sulle grandi opere, e sulle riforme istituzionali, ma le riforme nel campo amministrativo e sull'efficienza dello stato non sembrano essere sull'agenda del governo.
Alcune delle riforme sono in apparenza impopolari tanto che anche i governi di cs, sia quello di Prodi che quello di D'Alema, non le hanno affrontate minimamente.
D'altra parte questo continuo incaponirsi sulle riforme istituzionali, mi sembra solo un tentativo di coprire alcune mancanze politiche sia da parte del cd che del cs.
Secondo me chi ha in mano il pallino, solida maggioranza centrale e nella maggioranza delle regioni, non dovrebbe smuovere tanti equilibri.
Ci sono state esperienze in Francia e in Inghilterra, anche Chirac ultimamente ha cambiato, ma il suo successo è derivato dalla inettitudine dei socialisti e dalla paura della destra.
D'altra parte stare sotto ricatto di un Bossi qualsiasi, mi sembra proprio dimostrare un debolezza politica.
Ultimamente, anche Spaventa lo fa, il cs sembra che faccia la corte al Bossi e questo è un segnale, appoggiare il ricattatore per far cadere il ricattato.
Quindi il PRI dovrebbe stare più attento ai programmi, infondere lo spirito della programmazione nell'attuale alleanza, elaborare continuamente nuove strategie, non attardarsi su argomenti diventati oramai obsoleti anche nella opposizione, così facendo rischia di rimanere con il cerino in mano.
Speriamo.
Ciao a tutti.

nuvolarossa
24-08-03, 09:58
http://www.corriere.it/images/newlogo.gif
Per il 28 e 29 agosto invitati anche i leader di Nuovo Psi e Partito Repubblicano Italiano. La maggioranza: sulle riforme si farà un referendum

Patto dei «saggi», Berlusconi convoca un vertice del Polo

L’intesa si fonda sul Senato delle Regioni. Previste due leggi elettorali diverse per le Camere


LORENZAGO DI CADORE (Belluno) - È tutto in due pagine, sottoscritte dai quattro saggi in ordine alfabetico, il documento finale del «patto di Lorenzago». Premessa: «Senato federale, devoluzione, premierato e Corte Costituzionale sono i quattro capitoli di una riforma costituzionale prevista dal programma della Cdl». Quattro capitoli in cui è scritta «la filosofia» che trasformerà l'Italia in una Repubblica federale. Compromesso «nobile» quello della baita del Cervo, che sposa il federalismo leghista con l’interesse nazionale caro ad An.
Il testo consegnato alla stampa non è che una sintesi a grandi linee del progetto di legge che il 28 e il 29 agosto Silvio Berlusconi presenterà ai leader del Polo, Partito Repubblicano Italiano e Nuovo Psi compresi: «Non è un testo che cade dal cielo - conferma il premier da Verona - ma nasce da un approfondimento che doveva essere messo a punto negli ultimi dettagli proprio da quelli che abbiamo forse impropriamente chiamato "quattro saggi"». Alla silenziosa presenza di Giulio Tremonti, i saggi in partenza tirano le somme: «Lo schema che proponiamo ci pare sistematico e coerente tanto con il testo della Costituzione vigente quanto con la dinamica costituzionale in atto in Europa». Firmato: Roberto Calderoli, Francesco D'Onofrio, Domenico Nania, Andrea Pastore.
La chiave di volta del sistema, che potrebbe diventare realtà nel 2005, è il Senato federale della Repubblica in virtù del quale Umberto Bossi ha chiuso nel cassetto la bandiera dell'indipendentismo: i componenti di Palazzo Madama saranno espressione dei rispettivi territori. E saranno gli elettori a scegliere «un programma, una maggioranza, un leader». Con due distinte leggi elettorali. In caso di dimissioni del premier, il Senato non verrà sciolto. Sulla Corte Costituzionale i senatori hanno cambiato idea: niente membri eletti dalle Regioni, saranno nominati dal Senato federale. I saggi auspicano «un consenso molto ampio», e non per aggirare lo scoglio del referendum confermativo: «Lo faremo, qualunque sia la maggioranza - promette D’Onofrio -. Ma il 138 si potrebbe anche abrogare...».

M.Gu. (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
24-08-03, 23:23
http://www.giornaledibrescia.it/giornale/img/banner/bannerbdb.gif
La Casa delle Libertà soddisfatta per il lavoro dei 4 saggi.
C’è stata la quadratura del cerchio.
Il 28 vertice di maggioranza per il varo
Riforme: in vista anche quella elettorale

ROMA - Ultimi scampoli di vacanza per la politica: la prossima settimana si riapriranno le porte dei «Palazzi» e riprenderà l’attività politica e di governo. Il 28 agosto, giovedì, si riunirà il Consiglio dei ministri che segnerà la ripresa. È in fase di elaborazione l’ordine del giorno che, comunque, si preannuncia piuttosto nutrito. Tra l’altro, come di consueto, nella prima riunione del governo di fine agosto si comincerà a delineare la prossima legge Finanziaria. Tra i temi più spinosi al centro della prossima manovra economica, l’ipotesi del ricorso ad un condono edilizio, ma anche la questione legata alla riforma delle pensioni che vede Tremonti e Maroni su opposte sponde, con il ministro del Welfare che ha rilanciato la palla al premier Berlusconi. Sempre per il 28, come ha annunciato ieri Berlusconi, è previsto un vertice tra i leader della maggioranza che, con tutta probabilità, si incontreranno nel pomeriggio in via del Plebiscito. I leader della Cdl passeranno al vaglio la «bozza» di riforma istituzionale messa a punto a Lorenzago in Cadore, a tempo di record, dai cosiddetti 4 saggi: Pastore per Forza Italia, Nania per An, Calderoli per la Lega e D’Onofrio per l’Udc, con la supervisione del ministro delle Riforme Bossi, mentre Tremonti, per il suo feeling con il leader leghista, avrebbe svolto un ruolo di mediazione. Secondo quanto annunciato da Berlusconi il vertice della Cdl sulle riforme istituzionali sarà allargato ai socialisti di De Michelis e ai repubblicani. L’incontro a sei (Fi-An-Lega-Udc-Nuovo Psi e Partito Repubblicano Italiano) servirà a portare sul «tavolo politico» il lavoro «tecnico» svolto dagli sherpa della maggioranza in Cadore. Ma, secondo quanto si è appreso, nella Cdl circola già «molta soddisfazione» per il canovaccio predisposto nella baita di Lorenzago. Il capitolo delle riforme istituzionali è quello che più sta a cuore al premier, perchè, come egli stesso ha più volte sottolineato riguarda «l’ammodernamento del Paese». La bozza di riforma, poggia su quattro cardini: rafforzamento dei poteri del premier (con norme antiribaltone) e maggiori poteri di garanzia per il capo dello Stato; Consulta regionale; Senato federale (che sancirà la fine del bicameralismo perfetto) e devolution (proprio l’altro ieri Bossi ha messo in soffitta il federalismo fiscale e con esso la secessione). L’intesa è apparsa subito a portata di mano quando è stato sciolto il nodo dell’«interesse nazionale» che troverà concreta applicazione proprio nella realizzazione del Senato federale. I «quattro saggi» sarebbero dunque riusciti a trovare la quadratura del cerchio («la quadra», dice Bossi) eliminando dalla strada delle riforme i due macigni, quello relativo ad una devolution di tipo secessionistico, e quello sul principio dell’interesse nazionale garantito dalla presenza di un Senato federale. Intenzione della maggioranza è far confluire il pacchetto delle riforme in un unico Ddl «omnibus» e immetterlo rapidamente nel binario parlamentare.
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La strada delle riforme istituzionali, nel disegno immaginato dalla maggioranza, prevede comunque una seconda tappa: al termine del lavoro sulle riforme istituzionali, la Cdl ha intenzione di mettere mano a quelle elettorali, sia per il voto europeo sia per quello nazionale. Per quanto riguarda Strasburgo, secondo quanto ha ribadito anche Claudio Scajola, l’ipotesi è quella di ridurre le dimensioni dei collegi e fissare liste bloccate senza preferenze. Per quanto riguarda la legge elettorale nazionale, l’attuale ministro per l’Attuazione del programma ha rilanciato una soluzione che trova il favore dello stesso Berlusconi e che si avvicina al cancellierato tedesco, quindi di stampo proporzionale. Unico problema, il coinvolgimento dell’opposizione intenzionata a voltare le spalle a ipotesi di dialogo per un lavoro comune su questo tipo di riforme.
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nuvolarossa
26-08-03, 22:43
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Riforme/Pri: analisi Vittadini in sintonia con la nostra

La dichiarazione del presidente della Compagnia delle opere, Giorgio Vittadini, stando alla quale occorrerebbe "un patto tra i riformisti dei due schieramenti" per chiudere "questo clima di guerra frontale", appare "omologa all'analisi che il presidente del Pri, Giorgio La Malfa, ha tracciato sul Riformista due settimane fa". Lo afferma una nota del quotidiano del Pri.

"Il fatto che ambienti culturali così distanti come possono essere quelli di La Malfa e quelli di CL, forniscano riflessioni similari, consente di pensare - prosegue la nota - che si sta formando di punti di vista affatto diversi un'idea comune sullo stato delle cose nel nostro paese. Fondamentalmente si ritiene che l'attuale sistema istituzionale ormai sperimentato da circa dieci anni, non aiuta la governabilità italiana".

"Non sappiamo poi se la politica come arte del compromesso, come sembrano suggerire gli esponenti di Cl, significhi una loro espressa volontà a favore di una nuova edizione di larghe intese, o altro. Ci sembra però un dato certo che questo tipo di spirito presente nel meeting, sia il primo segno concreto e tangibile della crisi del bipolarismo così come è stato concepito in questi ultimi dieci anni. Il meeting di Rimini - conclude la nota - pone dunque il problema di trovare una soluzione politica nuova all'attuale situazione di stallo che penalizza la maggioranza, senza avvantaggiare l'opposizione. E questa analisi, che e' la stessa nostra, non possiamo non valutarla con il giusto ed inevitabile interesse".
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nuvolarossa
27-08-03, 21:27
La creazione del Senato delle Regioni/Luisa Babini sulla riforma dell'assetto istituzionale del Paese

Competenze e risorse finanziarie

L'assetto istituzionale che si sta delineando, seppure con lentezza, ci presenta un quadro di Repubblica federale. Dopo l'introduzione delle modifiche costituzionali, infatti, l'organizzazione dello Stato presenta forme di federalismo assai marcato. A seguito della riforma dell'articolo 117 le Regioni hanno assunto nuove e diverse competenze, alcune in via esclusiva, altre invece in concorrenza con lo Stato. Occorre dunque quanto prima dare corso al completamento della riforma con l'approvazione innanzitutto del disegno di legge La Loggia attuativo delle modifiche del Titolo V della Costituzione e risolutivo di molti contenziosi aperti tra Stato e Regioni sull'attribuzione delle competenze.

Ma il problema principale che ora si presenta è quello dell'istituzione del Senato delle Regioni, in ordine al quale si è aperto effettivamente un inizio di dibattito che non deve avere né carattere astratto né dilazionatorio. Penso infatti sia oramai necessario superare l'attuale bicameralismo perfetto che vige nel nostro Paese dal 1948 ed approdare ad una Camera dove ricomporre tra tutte le regioni una unitarietà nazionale e affrontare gli argomenti di interesse nazionale in capo alle regioni, una Camera nella quale siano rappresentati gli interessi propri delle istituzioni locali. La costituzione di questo nuovo organismo pone però alcuni dubbi sui quali sarà necessario prevedere opportuni spazi di dibattito. Ad esempio, se il Senato delle Regioni sarà un organo parlamentare, su quali leggi dovrebbe legiferare? Soltanto su quelle che interessano le regioni o anche su altre tematiche e in altri ambiti? E poi, avremo due Camere ognuna delle quali con competenze diverse?

A questo proposito vorrei soffermarmi su tre punti.

1. In pieno accordo con il documento uscito dalla Conferenza dei Presiedenti dell'Assemblea dei Consiglieri Regionali e delle Province Autonome, ritengo che il Senato delle Regioni dovrebbe svolgere un'attività completamente paritaria rispetto all'altra Camera in relazione alle leggi che coinvolgono i pilastri del nostro ordinamento e l'assetto istituzionale dello Stato ed avere pari dignità in materia di garanzie di diritti e libertà. Anche in merito all'approvazione dei documenti di programmazione finanziaria e del bilancio dello Stato, andrebbero attribuite pari funzioni ai due organi. Anzi, il Senato delle regioni, proprio per le sue caratteristiche di rappresentanza territoriale, dovrebbe rivestire una competenza privilegiata e prevalente rispetto all'altra Camera sulle leggi che vanno ad incidere sui poteri e sulle competenze regionali. Su alcune materie, invece, si potrebbe prevedere il diritto di "veto sospensivo", consistente nel poter richiedere il riesame di progetti già approvati, eventualmente a maggioranza qualificata, da parte della Camera dei Deputati.

2. Quale sarà la modalità di elezione di questa camera? Ossia, in questo organismo prenderanno posto Consiglieri eletti nelle Assemblee regionali o eletti ad hoc? Sarebbe importante a mio parere che gli eletti si dedicassero a tempo pieno a questo incarico.

3. Quanto alla composizione numerica, infine, auspico che si vada verso una forte riduzione del numero di senatori anche in considerazione del fatto che negli Stati Uniti d'America il numero dei senatori che compongono il Senato sono fissati a cento e l'America è un paese che conta oltre quattro volte la popolazione italiana. Un numero tendenzialmente inferiore rispetto all'attuale (costituito da 315 Senatori) stimolerebbe poi una riduzione dei componenti dell'altra Camera. Questi senatori naturalmente dovranno poi essere rappresentativi di tutte e venti e le regioni italiane e potrebbero essere eletti in modo leggermente diversificato in base alla popolazione residente in ciascun territorio regionale. Si dovranno poi stabilire i meccanismi di compensazione affinché le differenze non siano troppo grandi.

Ovviamente queste sono soltanto alcune proposte, volte a stimolare un dibattito sulle prospettive della riforma dell'attuale assetto istituzionale del nostro Paese. Importante in quest'ottica sarà definire in modo chiaro i ruoli che fanno capo alle Regioni tenendo conto che al trasferimento delle competenze in seno alle stesse deve corrispondere un sufficiente trasferimento di risorse finanziarie per rendere attuabile il loro adeguamento alle nuove funzioni. L'attuale situazione di incertezza infatti non fa altro che alimentare nuovi conflitti tra Stato e Regioni e diminuire la credibilità dei cittadini nell'efficienza delle pubbliche amministrazioni e delle autonomie locali le quali spesso si ritrovano senza i fondi necessari per rendere attive le competenze acquisite.

Luisa Babini
Consigliere regionale Pri
Emilia Romagna

tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/

nuvolarossa
28-08-03, 21:38
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CdL/P.R.I.: Nucara incontra i quattro "saggi" di Lorenzago

Ci saranno anche i quattro "saggi" al vertice dei leader della Casa delle libertà di questa sera.

Lo afferma uno di loro, il presidente dei senatori dell'Udc Francesco D'Onofrio: "Certo che partecipiamo - dice - visto che si parla di riforme lo ritengo perfino ovvio".

Subito dopo il Consiglio dei ministri, convocato alle 17, il sottosegretario per le riforme Aldo Brancher (Forza Italia) e i quattro di Lorenzago (D'Onofrio, Pastore, Calderoli e Nania) vedranno a Palazzo Chigi i rappresentanti del Pri, Francesco Nucara e del Nuovo Psi, Chiara Moroni.

Successivamente i "saggi" - spiega sempre D'Onofrio - prenderanno parte al vertice con i leader della Casa delle libertà, che potrebbe svolgersi a Palazzo Chigi. Il senatore centrista è sicuro che non sarà una riunione breve: "Mi hanno detto di non prendere impegni per tutta la serata".
(http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
29-08-03, 10:42
Schiarita nella riunione della Cdl a Palazzo Chigi. Tra i punti principali devolution, Senato federale, premierato e Corte Costituzionale
Riforme, accordo sulle proposte dei “saggi”
Berlusconi assicura che sulla previdenza il governo farà in fretta

Roma - L'accordo sulla bozza delle riforme predisposto dai quattro “saggi” è stato raggiunto ieri sera a Palazzo Chigi al termine del vertice della Casa delle libertà. Il documento politico è stato approvato da tutte forze della coalizione e anche da Pri e Nuovo Psi.
«Abbiamo terminato la riunione con un accordo generale su devolution, senato federale, premierato e corte costituzionale», ha detto in una conferenza stampa il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «I sei rappresentanti delle forze della Cdl - ha aggiunto il premier - incontreranno i rappresentanti delle Regioni e i capigruppo parlamentari e quindi conto di portare l'articolato della riforma se non nel prossimo Consiglio dei ministri in quello successivo».
«Abbiamo trovato l'accordo generale sul Senato federale, sulla devolution, sul premierato e sulla Corte costituzionale. Sono molto soddisfatto». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al termine del vertice della Casa delle libertà, mostrandosi molto ottimista sull'iter del testo di riforma.
Il premier, sereno e disteso, ha aggiunto che sull'articolato c'è il consenso di tutte le forze della Cdl: «Un testo sistematico e coerente non solo con il testo costituzionale, ma anche con la dinamica in atto in Europa». Berlusconi spiega che «si passerà da un bicameralismo perfetto a un sistema parlamentare in cui ci sarà un distinzione tra le funzioni legislative solo delle Regioni, quelle di competenza solo dello Stato, e quelle invece che interessano sia lo Stato sia le Regioni».
«Il Senato federale - ha spiegato - sarà il luogo idoneo per una compiuta riforma federalista che comprenda anche l'interesse nazionale della Repubblica. La nuova forma di governo garantirà al Paese esecutivi stabili: con il premierato non ci saranno più possibilità di ribaltoni. Saranno accentuate le funzioni di governo del primo ministro e le funzioni di garanzia del Quirinale».
Il premier ha fatto sapere che il testo sarà presentato ai presidenti delle Regioni e ai capigruppo parlamentari del centrodestra, e quindi potrà cominciare l'iter legislativo: «Conto di portare la riforma, se non nel prossimo Consiglio dei ministri, almeno in quello successivo. E di presentare, come governo, il testo di modifica al Senato entro metà settembre».
Al termine della conferenza stampa Berlusconi ha anche parlato di previdenza e ha garantito «una proposta e una riforma strutturale delle pensioni, non una “una tantum”». Il premier ha quindi aggiunto: «Credo che presenteremo al riforma entro la prossima Finanziaria, anche se la tempistica non è una necessità, perché ce lo chiedono l'Europa e i conti pubblici».
Infine una bacchettata agli alleati: «Tutto il lavoro fatto da questa maggioranza - ha affermato - è stato nei mesi scorsi cancellato da dichiarazioni contrapposte, forse per il caldo o per voglia di visibilità. Sono stato tollerante e indulgente, ma ora su tutto questo dico la parola fine». Berlusconi ha detto che ha dovuto forzare la sua «natura liberale e moderata» e che ha preso una decisione: «Annuncio che terrò la contabilità e chi farà dichiarazioni dannose per la Cdl alle prossime elezioni non sarà ricandidato». A un giornalista che chiedeva se nella categoria delle dichiarazioni dannose possano rientrare anche i comizi rivolti soprattutto ai propri sostenitori, Berlusconi ha aggiunto: «Considererò tutto ciò che potrà oscurare il grande lavoro fatto. Non è giusto che ci sia chi lavora e chi distrugge il lavoro degli altri».
Prima dell'inizio del vertice di maggioranza il leader della Lega Umberto Bossi aveva dichiarato: «Sulle riforme l'accordo c'è già».

R.P.

nuvolarossa
29-08-03, 10:46
Riforme, Berlusconi annuncia l'accordo

"Abbiamo terminato la riunione con un accordo generale su devolution, senato federale, premierato e corte costituzionale". Così Silvio Berlusconi ha annunciato l'accordo nella casa delle libertà sulle riforme, a partire dal testo elaborato dai "saggi" in Cadore.

"Il senato federale della Repubblica si configura come luogo idoneo per armonizzare il federalismo con l'interesse nazionale", ha spiegato, mentre ha asserito la necessità di una riforma strutturale delle pensioni."Credo che presenteremo la riforma delle pensioni entro la prossima Finanziaria", ha specificato.

Sui tempi: "I sei rappresentanti delle forze della Cdl incontreranno i rappresentanti delle Regioni e i capigruppo parlamentari e quindi conto di portare l'articolato della riforma se non nel prossimo Consiglio dei ministri in quello successivo".

Il presidente del consiglio è intervenuto anche sui frequenti litigi all'interno della Cdl, ammonendo che chi nella maggioranza rilascerà dichiarazioni e farà polemiche "dannose" per la coalizione "non verrà ricandidato". (Red)

nuvolarossa
29-08-03, 11:02
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Previdenza e riforme, Berlusconi annuncia l’accordo

...... E infatti sarà questo l’esito dell’incontro di poco più di due ore, a cena, presenti oltre a Berlusconi, Letta e Bonaiuti, Fini, Bossi, Follini e Buttiglione, i quattro saggi che a Lorenzago hanno scritto il testo di riforma istituzionale, ovvero D’Onofrio, Pastore, Calderoli e Nania, e il ministro Tremonti, il sottosegretario Brancher, il leghista Speroni, i rappresentanti di Nuovo Psi e Pri De Michelis e Del Pennino. Ed è Berlusconi, carico di dossier e cartellette con «i miei compiti delle vacanze», a confermare in una conferenza stampa improvvisata che «sono molto soddisfatto: c’è l’accordo generale su devolution, Senato federale, premierato e Corte costituzionale........ (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
01-09-03, 22:09
Dibattito sulle riforme

Premier più forte e nuova legge elettorale:
un vincolo indispensabile

La bozza del programma di riforme messa a punto dalla maggioranza - che abbiamo pubblicato sul numero di sabato della Voce Repubblicana ed alla cui stesura definitiva ha contribuito anche la delegazione repubblicana composta dal Segretario Nazionale Francesco Nucara e dal senatore Antonio Del Pennino - rappresenta, come è ovvio, solo un punto di partenza.

Ha scritto Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, invitando anche l'opposizione ad assicurare un suo contributo costruttivo, che "il progetto in sé non è malvagio". Il documento è abbastanza equilibrato e delinea con sufficiente precisione il nuovo quadro istituzionale: rafforzamento delle regioni, nell'ambito di una ferma tutela dell'interesse nazionale; di conseguenza - e anche a questo scopo - parallelo rafforzamento del ruolo del premier, attraverso il potere di scioglimento delle Camere; istituzione del Senato delle Regioni, al quale viene conferito tra l'altro il compito di eleggere la Corte Costituzionale. Questi, in sintesi, i punti più significativi che - sempre per citare ancora Panebianco - "delineano un cambiamento al tempo stesso incisivo e ragionevole del nostro assetto costituzionale".

Su tali argomenti - e più in generale sul tema delle riforme - il dibattito è quindi aperto. Il nostro è un consenso di massima, alcuni miglioramenti sono possibili e vanno introdotti. C'è un punto però sul quale noi repubblicani intendiamo intervenire subito, rivolgendoci in primo luogo alle forze di maggioranza ma - se saranno disposte a dare un contributo costruttivo - anche a quelle di opposizione.

Aspetto qualificante della proposta di riforma è il rafforzamento del ruolo del premier, su cui il PRI consente, tanto da aver presentato, proprio in questa legislatura, un apposito disegno di legge. Ma non può essere indifferente - se la riforma dovesse andare avanti, come noi auspichiamo - né il contenuto dei nuovi poteri che al premier verranno attribuiti né la legge elettorale con cui votare per il nuovo Parlamento e che evidentemente non può essere quella attuale.

Sulla prima questione, rimandiamo alla nostra proposta sul premierato, pubblicata in questa pagina in taglio basso. Quanto alla seconda, che in base alle intese dovrebbe essere materia di un successivo intervento, l'obiettivo deve essere quello di salvaguardare tre principi fondamentali: la rappresentatività delle forze politiche; l'alternanza tra schieramenti diversi; la governabilità del paese, intesa come capacità di adottare i provvedimenti che la maggioranza uscita vincente dalle elezioni ritiene omogenei all'interesse generale. La legge attualmente in vigore tutela il principio dell'alternanza, sacrifica quello della rappresentatività, non garantisce - come l'esperienza degli anni novanta ha dimostrato - quello della governabilità.

E invece esistono già nel nostro ordinamento - e hanno dato buona prova nei fatti - un sistema istituzionale ed una legge elettorale che a questi tre principi si ispirano e ne realizzano un mix equilibrato. E sono il sistema e la legge regionali, che si fondano su alcuni aspetti tra loro collegati: premio di maggioranza, attribuzione proporzionale degli altri seggi, contemporanea decadenza del presidente e dell'assemblea.

A questo modello concreto - che tra l'altro è implicito nel disegno di legge sul premierato presentato dal PRI - sarebbe bene richiamarsi anche per rendere più omogenei i diversi sistemi elettorali. E' un modello che salvaguarda l'autonomia dei partiti ma li costringe ad alleanze di legislatura, che tutela il ruolo delle assemblee legislative ma le vincola - attraverso il meccanismo della decadenza contestuale - alle scelte espresse dagli elettori ed alle esigenze programmatiche dell'esecutivo, che è pur sempre espressione della maggioranza.

Osserva però Sartori, che liquida il premierato definendolo - comunque e in tutte le sue versioni - "robaccia" (senza spiegare perché, se non attraverso le discutibili osservazioni di un meno noto Stefano Passigli), che "togliere il potere di scioglimento delle Camere al Capo dello Stato per passarlo al capo del governo squilibra pericolosamente gli equilibri costituzionali, e cioé il costituzionalismo come sistema di freni e contrappesi". Non sappiamo se il ruolo del Capo dello Stato uscirà alla fine, da queste riforme, indebolito o rafforzato. Noi ci auguriamo che esca rafforzato e ci impegneremo

per questo. Ma ci chiediamo - e chiediamo allo studioso fiorentino - di quali ampi e concreti poteri disponga il Capo dello Stato in Gran Bretagna, in Germania o in Austria, per parlare solo di alcuni paesi; per i quali - Gran Bretagna esclusa, per ovvie ragioni - è difficile ricordare anche il nome dei presidenti.

Quanto all'eventuale rafforzamento del potere legislativo e della sua autonomia, se un problema di tal fatta esiste è in primo luogo nei confronti della magistratura e lo si affronta e risolve reintroducendo - sia pure in forme nuove - l'istituto dell'immunità, problema questo che neppure sfiora il meno noto Passigli. Il quale trascura del tutto l'equilibrio che proprio i costituenti - pur attentissimi a salvaguardare l'indipendenza della magistratura - vollero introdurre per evitare che, venendo meno i necessari contrappesi, l' "ordine giudiziario" prevalesse sui "poteri" dello Stato.

E allora, avanti con le riforme. Con giudizio, certo, ma senza lo spirito conservatore che caratterizza il nostro Parlamento, e soprattutto il centrosinistra, ogni volta che si tratta di mettere mano alla Costituzione. E, purtroppo, non solo in quei casi.

Roma, 2 settembre 2003

tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/

nuvolarossa
03-09-03, 23:26
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Riforme/Pri: confronto istituzionale in Conferenza Stato-Regioni

Nucara, saggi CdL ci hanno assicurato testo aperto

''A meta' settembre il Consiglio dei ministri dovra' approvare il testo complessivo sulle riforme istituzionali e poi si andra' alla conferenza Stato Regioni, dove ci sara' un vero e proprio confronto istituzionale, anche con la presenza dei presidenti delle Regioni del centrosinistra. In quella sede si capira' che cosa ha intenzione di fare l'opposizione parlamentare''. Lo ha detto Francesco Nucara, segretario del Pri lasciando la riunione sulle riforme istituzionali tra i saggi della Cdl e i governatori del centrodestra, in corso da circa due ore al palazzo dei gruppi della Camera.
(http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
05-09-03, 19:14
Barbera e riforme

Nel ‘92 non ci furono le condizioni per passare al maggioritario

Con la cortesia ed il garbo che gli sono propri, il professor Barbera, intervistato dal nostro giornale, ha espresso la sua posizione, contraria alla nostra, sulla riforma istituzionale, cosa più che legittima. Inoltre ha distinto la posizione della "Voce Repubblicana" da quella del presidente del partito Giorgio La Malfa, così come è apparsa in un articolo per il "Riformista" dei primi di agosto.

In verità, il voler cogliere una contraddizione fra la "Voce" e La Malfa ci sembra, ci perdoni il professore, un po' cosa semplicistica, in quanto entrambi sosteniamo che occorre una riforma dell'attuale sistema, distinguendo la vita repubblicana del dopoguerra in diverse fasi. Ad esempio, noi tutti riteniamo che l'Italia di De Gasperi funzionasse, eccome, e Giorgio La Malfa, che abbandonò il governo Andreotti nel '91, ritenne che quella stessa formula politica non funzionasse più e che occorresse crearne una nuova, così come Ugo La Malfa, a suo tempo, cercò di guadagnare l'apertura del centrismo di matrice degasperiana per lo meno alle forze socialiste.

Dal che si ricava che i repubblicani tendono a guardare più ai prodotti della politica che alle formule istituzionali, le quali si logorano quando la politica ottiene risultati scadenti. Allora, anche il sistema nel quale esse si svolgono può essere cambiato.

Il nostro punto di vista, di La Malfa, del Pri, della "Voce", è che non ci fossero le condizioni per passare nel ‘92 da un sistema proporzionale ad uno maggioritario. Il processo avvenne con molto disordine e con le inchieste giudiziarie che premevano sui partiti. Il prodotto ottenuto è stato insoddisfacente sotto tanti, troppi, aspetti. Allora La Malfa si interroga, con noi, su quali soluzioni cercare, analizzando realisticamente, riteniamo, le contraddizioni dell'attuale sistema e avanzando ipotesi originali, suggestive, che potrebbero essere in futuro sperimentate, soprattutto se le cose continuassero a procedere così malamente.

In questo ambito, ricordare che ci fu un'Italia politicamente felice con il sistema proporzionale, che assicurò la ricostruzione ed il benessere, non è un reato, anzi è una verità, che forse non piace alla sinistra, visto che essa in quegli anni, lo ricordiamo, era all'opposizione in nome di un credo ideologico che oggi non ha più punti di riferimento.

Roma, 5 settembre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
09-09-03, 20:19
Vertice sulle riforme istituzionali con Pri e Nuovo Psi

Domani vertice dei "quattro saggi" di Lorenzago, Nania, Calderoli, D'Onofrio e Pastore, con Francesco Nucara, segretario nazionale del Pri, e Chiara Moroni, in rappresentanza del Nuovo Psi. Secondo D'Onofrio dell'Udc, il testo sulle riforme istituzionali sarà consegnato a Berlusconi nella giornata di domani. E' questa la settimana che viene indicata come decisiva per l'elaborazione dell'articolato definitivo.

tratto dal sito
http://www.pri.it/immagini/da%20inserire%20pri/logosinistra.jpg (http://www.pri.it)

Cilento Nazione
10-09-03, 17:23
ahahahahahaha e voi sareste federalisti?

MA CHE FEDERALISMO, CHE NAZIONE? UNICA VIA, SECESSIONE!

NAZIONE MERIDIONALE!
SUD LIBERO

nuvolarossa
10-09-03, 18:59
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

a Cilento Nazione sulle pagine del
Forum del Repubblicani Italiani

Cilento Nazione
10-09-03, 20:10
minchia ma voi siete filo-amerikani? io me ne vado!:eek:

G. Oberdan
11-09-03, 11:00
... chiarendo che sono filoamericano e che per me oggi è un giorno di lutto.
Vedo la bandiera che aventola sotto il tuo nick. L'hai scelta a caso oppure ci sono ragioni storiche per la quale dovrebbe essere la bandiera del cilento?
Perchè mi sa un pò di americano...

nuvolarossa
11-09-03, 21:34
Nucara su Roma Capitale

Nella riunione della maggioranza sulle riforme istituzionali sono state messe a punto alcune situazioni non ancora definite e sono stati recepiti suggerimenti provenienti dalle forze politiche, tra cui quelli dei repubblicani, esternati dal sen. Del Pennino nel vertice dello scorso 28 agosto. Non è stato invece affrontato il problema di Roma Capitale, con l'assunto che non era materia indicata dalle forze politiche.

Il sen. Nania e Francesco Nucara, pur non entrando ovviamente nel merito, hanno sostenuto che il problema esiste e va affrontato. Nucara ha anche dichiarato che sull'argomento delle città metropolitane la posizione del Pri è già ben definita.

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
18-09-03, 10:44
Suggerimenti al premier

Appunti repubblicani per una politica di riforme possibili

Che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi abbia rilanciato, con la ripresa autunnale, il programma di riforme su cui aveva impostato e vinto la campagna elettorale, lo aveva già osservato, alcuni giorni fa, il direttore del "Corriere della Sera" sul suo giornale. La novità, come emerge anche dai risultati del Consiglio dei ministri di martedì scorso, è che finalmente il premier riesce a convincere e trascinarsi dietro quella che sembrava una maggioranza riottosa.

La novità non può che farci piacere. In primo luogo per ragioni politiche di ordine generale. E' apparso chiaro che, appena la maggioranza si è ricompattata, l'opposizione - costretta ad uscire allo scoperto - è apparsa di nuovo in angolo. Divisa al suo interno, quando è costretta ad abbandonare le risse e a discutere dei problemi finisce per rifugiarsi nelle formule generiche, quelle in cui eccelle l'acume politico di Francesco Rutelli.

Ma la novità ci fa piacere soprattutto perché è questo il terreno a noi più congeniale, quello sul quale abbiamo stipulato l'intesa con la Casa delle Libertà e sul quale siamo interessati ad assicurare la nostra collaborazione costruttiva al governo. E in questa ottica ci sembra che alcune questioni vadano riprese e sottolineate.

Prima questione, le riforme costituzionali. Il disegno complessivo è realistico ed equilibrato, come aveva già sottolineato Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera" e come avevamo ricordato alcune settimane or sono su questo giornale. Tra l'altro, il rafforzamento del premier non avviene sacrificando il ruolo di arbitro del Presidente della Repubblica, il modello adottato è quello già sperimentato - e con successo - nelle Regioni. Proprio per questo ci sembra che vada integrato - una volta messo a punto l'impianto costituzionale - con una legge elettorale analoga a quella in vigore per le Regioni: premio di maggioranza e ripartizione proporzionale dei seggi.

Seconda questione, la riforma della previdenza. Su questo argomento, si è molto pasticciato nelle scorse settimane, troppi ministri hanno parlato a ruota libera. Quella che sta ora delineandosi non è più una "riformicchia", come ha polemicamente dichiarato il segretario della Cisl Savino Pezzotta. Non è la riforma che noi avremmo voluto, una riforma che operasse da subito; ma è certamente una riforma strutturale, che riguarda circa dieci milioni di persone. Non è poco. E soprattutto è tanto se si pensa alle posizioni che sulla previdenza hanno i sindacati e la sinistra. Un governo Prodi o un governo D'Alema avrebbero mai messo a punto una riforma simile? Di certo non l'hanno fatta quando governavano e abbiamo forti dubbi che l'avrebbero fatta oggi.

Terza questione, il condono edilizio. Sull'argomento è già intervenuto il Segretario del Pri Francesco Nucara, nell'intervista rilasciata al quotidiano "Il Tempo", sottolineando tre punti: che il provvedimento deve riguardare solo gli abusi minori e non certo gli alberghi costruiti sulle spiagge; che "non è possibile demolire la casa di un emigrante che ha lavorato tanti anni all'estero e che riesce a costruirsi un'abitazione dove non c'è un piano regolatore"; che "sono gli enti locali i veri responsabili degli abusi edilizi" e senza il condono "gli abusi non vengono sanati e non vengono abbattute le case costruite abusivamente".

Ultima ma decisiva questione, la ricerca scientifica e l'innovazione. Sono gli strumenti principali per modernizzare il Paese, per rilanciare la nostra economia sui mercati internazionali e debbono essere perciò collocati al centro dell'intera politica economica. Alla ricerca scientifica e all'innovazione servono certamente risorse, ma non solo. E' necessario che queste risorse non vadano disperse in mille rivoli, non siano disseminate a pioggia ma siano il "cuore" di una politica.

Questi sono i nostri appunti al governo per il prossimo futuro. E' su questi che ne valuteremo l'operato, nella convinzione che una politica di riforme è possibile e che il presidente del Consiglio può esserne il protagonista.

Roma, 16 settembre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
06-10-03, 21:51
Roma 6 ottobre h. 16,00
Camera dei Deputati
Sala del Cenacolo-Vicolo Valdini

Presentazione del libro di Nicola Lupo

"Dalla legge al regolamento"
Lo sviluppo della potestà normativa del Governo nella disciplina delle pubbliche amministrazioni

Interverrà Giorgio La Malfa

nuvolarossa
08-10-03, 19:50
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Immigrati/Pri: no al voto per gli stranieri

Meglio parlare dei criteri di cittadinanza

''Il voto si deve dare ai cittadini italiani e non a quelli stranieri''. Lo scrive la 'Voce repubblicana', in un editoriale dedicato al tema dell'immigrazione. Per il quotidiano del Pri, si può al limite discutere di rendere più agevoli le norme che consentono la cittadinanza a coloro i quali avendo un posto di lavoro e pagando le tasse avessero anche maturato i criteri per possederla. In ogni caso non si distingue fra voto amministrativo e voto politico, nel senso che chi ha il diritto di voto lo esercita in ogni frangente in cui il popolo italiano e' tenuto ad esprimerlo''. (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
08-10-03, 19:56
La Nota Politica
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La sortita di Fini

Ma quel diritto di voto non può prescindere dallo status di cittadino

La doppia proposta di Gianfranco Fini sull'immigrazione - voto agli immigrati regolari per le elezioni amministrative e soppressione delle quote - ha lasciato disorientate le forze del centrodestra (con la sola eccezione dell'Udc) e ha suscitato il plauso del centrosinistra, a sua volta sorpreso dall'inattesa sortita del vicepresidente del Consiglio.

In questo modo Fini tende ad accreditarsi sempre più come uomo politico moderato e non possiamo non esprimere apprezzamento per il coraggio con cui il leader di Alleanza nazionale sta cercando di guidare il suo partito verso il centro dello schieramento politico. L'approdo nel Ppe diventa, a questo punto, il naturale obiettivo delle prossime elezioni europee.

Abbiamo però molte riserve nei confronti del terreno scelto per accelerare questo processo, e in particolare sulla proposta di accordare il diritto di voto, sia pure per le sole tornate amministrative, agli immigrati che lavorano regolarmente in Italia. Il diritto di voto è un fondamentale requisito della cittadinanza. Come tale, può essere dato solo ai cittadini italiani, non a chiunque si trovi a lavorare sul nostro territorio. Ed è un diritto che, una volta accordato, va riconosciuto integralmente, per le elezioni amministrative come per quelle politiche.

Si può discutere, con ragionevole disponibilità, circa il periodo necessario per acquisire la cittadinanza italiana. Che deve essere comunque un periodo congruo. Ma è fin troppo evidente che è il diritto di voto a dover discendere dallo status di cittadino e non viceversa. Altrimenti si genera una confusione inaccettabile, che non è utile né agli italiani né agli immigrati.

Non vorremmo, insomma, che nella sua marcia verso la moderazione Fini abbia voluto compiacere quella parte del mondo cattolico che fa del dovere di accoglienza la propria bandiera politica. E magari sia andato oltre, trasformando il dovere di accoglienza - già di per se opinabile - in diritto di voto. In questo caso vorremmo ricordargli che un leader cattolico e moderato, il premier spagnolo Aznar, ha sempre precisato, nelle sue interviste, come un conto sia la sfera religiosa, che appartiene alla sua coscienza, e un'altra gli interessi dello Stato, che vanno serviti senza subire influenze o richiami esterni.

Roma, 8 ottobre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
09-10-03, 10:34
http://www.affaritaliani.it/Upload/ai_test_logo.gif
Retroscena/ Fini attacca sull'immigrazione per bloccare la manovra Bossi-Berlusconi, finalizzata a portare Maroni alla guida della Lombardia


Potrebbe avere radici lombarde la bufera politica che sta spaccando la Casa delle Libertà, dopo le polemiche successive alla proposta di Gianfranco Fini di attribuire il diritto di voto agli immigrati e la conseguente replica della Lega Nord..
La Regione Lombardia è infatti il cuore pulsante, politicamente parlando, sia del Carroccio, sia di Forza Italia. Ed è la Regione più importante, insieme al Lazio, per An.Un serbatoio di voti, ma anche di potere, decisionale ed economico, cui nessuno può e vuole rinunciare.
Da qui, una serie di contrasti, tensioni e bracci di ferro che hanno spesso riprecussioni a Ro,a, a livello di governo e in Parlamento. E viceversa, ovviamente.

Negli ultimi tempi le tensioni si sono acuite, come dimostrano anche le scintille tra Gabriele Albertini, sindaco di Milano, e Ombretta Colli, presidente della Provincia di Milano. Senza contare i tanti dissidi dei mesi scorsi fra Paolo Romani, coordinatore regionale di Forza Italia, e Roberto Formigoni, governatore azzurro della Lombardia.
Le problematiche spesso sono interne a Forza Italia, vedi il caso i duelli Albertini-Colli e Romani-Formigoni, mentre altre volte coinvolgono anche gli alleati, come sta accadendo dentro Aem, Sea, Serravalle e Fiera di Milano.
Indiscrezioni, boatos, uscite pubbliche rissose,mosse di potere che vanno a creare l'irritazione dei partiti o delle correnti di turno.
Fino ad arrivare a Roma.

Secondo un'indiscrezione, raccolta da Affari,per esempio, dietro l'idea di Fini di estendere il diritto di voto agli immigrati, una proposta chiaramente provocatoria nei confronti della Lega Nord, ci sarebbe stata la volontà di colpire frontalmente Umberto Bossi, che starebbe avanzando pretese sulla Regione Lombardia.
I vertici del Pirellone verranno rinnovati fra meno di due anni, nel 2005: Formigoni aveva più volte manifestato l'intenzione di candidarsi per un terzo mandato consecutivo, ma il suo progretto potrebbe andare in fumo a causa di un banale emendamento, che prevede l'impossibilità per i governatori regionali ad effettuare tre mandati consecutivi, inserito nella proposta di legge dal titolo "Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione".
Questa proposta dovrà passare al Senato per la terza e definitiva lettura: se verrà approvata, per Formigoni si chiuderanno le porte per un terzo mandato.
E si riapriranno i giochi per la corsa al Pirellone: Forza Italia sarebbe intenzionata a puntare proprio su Paolo Romani, mentre la componente ciellina del partito vorrebbe un suo uomo, ma non dispone di un candidato che abbia il carisma necessario.
Così, Bossi avrebbe avanzato la candidatura di uno dei suoi fedelissimi, Roberto Maroni: un'idea che non dispiace a Silvio Berlusconi.
Maroni sta facendo un buon lavoro al Welfare, ma un suo passaggio al Pirellone consentirebbe di accontentare le pretese leghiste, mettendo a tacere Bossi, e, al tempo stesso, impedirebbe all'area ciellina di mettere le mani sulla Regione.
Formigoni, che non ha mai fatto mistero di ambire ad un ministero importante, potrebbe essere accontentato: un piccolo rimpastino potrebbe portarlo alla Farnesina, con spostamento di Franco Frattini al Welfare.
In questo modo, sarebbero soddisfatti sia Bossi, sia Formigoni, due alleati a cui Berlusconi tiene moltissimo.
Mentre Romani potrebbe essere il candidato sindaco per il Comune di Milano.

Fuori dai giochi importanti rimarrebbe Ombretta Colli, "costretta" dal partito a ricandidarsi alla Provincia, dove, secondo le previsioni, il Centrosinistra è destinato a vincere (probabilmente, con l'esponente della Margherita Patrizia Toia). La Colli verrebbe "risarcita" con una poltrona di secondo piano: vice ministro per le Pari Opportunità. Sempre che, nel frattempo, la vicenda della Serravalle non abbia code giudiziarie e penali: un'ipotesi di cui si vocifera.

Il quadro sopra delineato, ovviamente, non piace ad An: da qui, l'attacco di Fini a Bossi.
Fantapolitica? Forse. Fra qualche settimana, la riposta definitiva. (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
21-11-03, 15:13
VERTICE DELLA CDL

Sulle riforme apertura del Cavaliere «Pronti a collaborare con l'opposizione»

ROMA – Riunione di oltre quattro ore della maggioranza, a Palazzo Chigi,con il premier Silvio Berlusconi, per fare il punto sulle riforme. Secondo quanto riferito da alcuni partecipanti l'incontro sarebbe stato interlocutorio, quindi senza una decisione definitiva in merito agli emendamenti da presentare. L'Esecutivo, tramite il ministro Bossi, presenterà («per garbo istituzionale», come ha riferito Francesco Nucara, Segretario del Pri) in Parlamento le proposte di modifica delle regioni. Per tutte le altre modifiche si dovrà arrivare in aula con un «testo condiviso interamente dalla maggioranza». Fermo restando, come ha riferito il capogruppo di Fi al Senato, Renato Schifani, che l'impianto dei testi rimarrà al 99% quello attuale. Nel corso del lungo vertice, sempre in base a quanto riferito da alcuni partecipanti, tra cui Schifani, non si sarebbe parlato di lista unica per le elezioni europee. Berlusconi non ha escluso intese con l'opposizione sulle riforme anche se queste non dovranno in nessun caso essere sottoposte a veti o essere stravolte rispetto al loro impianto originario. «Sono abbastanza insoddisfatto per come vanno avanti le riforme della giustizia». Lo ha detto il ministro Roberto Castelli parlando con i giornalisti dopo la visita al carcere di Bollate. «Non ho nessuna imputazione da fare all'opposizione - ha detto Castelli - se le riforme non vanno avanti. L'opposizione fa solo il suo mestiere e anzi devo dire che in Commissione Giustizia si registra un clima di confronto civile. Se le riforme non vanno avanti la colpa è della maggioranza». (Ansa)

(venerdì 21 novembre 2003)

nuvolarossa
21-11-03, 15:20
Vertice di maggioranza ieri a tarda sera a palazzo Chigi sulle riforme istituzionale per definire l'iter ...

... e i tempi di approvazione da qui a Natale. I leader della Casa delle Libertà, accompagnati dai rispettivi capigruppo e dai 4 saggi di Lorenzago hanno discusso di devolution e federalismo. Sul tappeto anche la riforma della legge elettorale, a cominciare da quella per le europee, tema legato alla questione della lista unica. Tra i presenti, oltre a Berlusconi a fare gli onori di casa, Fini, Follini, Bossi, Buttiglione, gli esperti della CdL. Gli emendamenti chiesti dalle Regioni sul Senato federale saranno presentati da Bossi, ha riferito il segretario del Pri Francesco Nucara e saranno approvati gli emendamenti condivisi dalla maggioranza.

nuvolarossa
30-12-03, 19:43
La Nota Politica
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Addio al "lungo" 2003

Quelle riforme incisive che aspettiamo da tempo

Ci sono due motivi per cui noi italiani ricorderemo il "lungo" anno che ci lascia. Il primo riguarda tutti, non solo noi. Ed è costituito dai nuovi equilibri internazionali che la guerra al terrorismo va ridisegnando. Lo scontro con Saddam Hussein e con il "suo" Iraq ha rappresentato la cartina di tornasole. Intorno agli Stati Uniti, che dopo l'11 settembre hanno fatto di questa guerra la priorità della loro politica, si è venuta formando una coalizione molto ampia. Comprende paesi europei, sia di tradizione atlantica che ex-comunisti, paesi asiatici, stati come la Turchia a larga maggioranza di religione islamica, perfino qualche paese arabo. Di fatto ora anche Mohammed Gheddafi, dopo la sua decisione di riaprire il dialogo con Stati Uniti e Gran Bretagna.

Di questa coalizione ha deciso di far parte, a pieno titolo e senza tentennamenti, anche l'Italia. A nostro avviso giustamente, malgrado le resistenze e le critiche che la scelta del governo Berlusconi ha incontrato da parte dell'opposizione di sinistra.

L'Unione Europea non ha retto alla prova. Quando l'amministrazione Bush l'ha posta di fronte ad una scelta secca si è spaccata. Il tardogollismo del francese Chirac e il neopacifismo della socialdemocrazia tedesca si sono saldati nell'opposizione agli Stati Uniti. E hanno provocato una frattura profonda nel Vecchio Continente. Una frattura che non sarà facile ricomporre e che si è in qualche modo riproposta a Bruxelles, durante la riunione dei capi di Governo dedicata al tema della Costituzione europea.

Né ha senso far ricorso, per rimettere in moto il processo di unificazione del Vecchio Continente, alla retorica dei "paesi pionieri". E' puro volontarismo fuori dalla realtà politica di oggi. Su quali scelte, su quale politica estera, dovrebbe saldarsi l'intesa fra questi paesi? Su una politica estera antiamericana, com'è nella tradizione gollista? O su una politica estera che veda l'Europa come una delle due sponde dell'unica comunità atlantica, com'era nella tradizione di Italia e Germania (e in una certa misura della stessa Francia durante la Quarta Repubblica)?

La verità, molto cruda, è un'altra. Se gli Stati Uniti e i loro alleati dovessero fallire nella guerra intrapresa contro l'estremismo islamico, proprio l'Europa - tutta l'Europa - verrebbe travolta per prima dalla spinta fondamentalista. Se, come noi speriamo e riteniamo probabile, anche questa guerra sarà vinta dalla democrazia americana e dai suoi alleati, il ruolo internazionale di Francia e Germania ne uscirà ridimensionato. E l'unità europea rinviata a tempi migliori. Che è poi quanto sta già avvenendo.

Il solo modo per allontanare questo scenario è rappresentato allora da un rapido mutamento di rotta del cosiddetto asse franco-tedesco. Da una immediata ricollocazione dei due paesi al fianco degli Stati Uniti nel processo di ricostruzione e di stabilizzazione democratica dell'Iraq, e più in generale nella guerra al terrorismo. Un mutamento di rotta che per ora non si intravede, mentre i problemi incalzano e non consentono di aspettare - come ha scritto Angelo Panebianco sul Corriere della Sera - "i tempi necessari per il ricambio di governo a Berlino o per il pensionamento di Chirac".

Il secondo motivo per cui ricorderemo l'anno che oggi si chiude è rappresentato dalle tante manifestazioni di un preoccupante declino industriale del nostro paese. Prima c'è stata la crisi della Fiat, poi il caso Alitalia, infine il crack di Cirio e Parmalat. Sono - al di là dei reati anche gravi che in alcuni casi sono stati commessi e dei controlli che non sono stati esercitati - la spia di un malessere più generale. Non a caso il ministro dell'Economia ha parlato di "sistema" a rischio, di pericolo di insolvenza che grava sulle imprese.

E' una febbre che viene da lontano, anche se le sue manifestazioni "acute" sono emerse solo quest'anno. E' una crisi che si è radicata negli anni novanta, quando si è dispersa la cultura industriale del paese e le imprese hanno inseguito il miraggio della scorciatoia finanziaria. Con la complicità, certo, delle banche. Ma anche perché costrette da un sistema di regole che ne rendono difficile l'adeguamento produttivo alle esigenze del mercato e le spingono a cercare altrove i propri equilibri di bilancio.E così l'Italia chiude il 2003 in una strana situazione. Una politica estera di grande respiro internazionale e una condizione interna, economico-produttiva, di grande debolezza. Una situazione contraddittoria che può essere rimessa in equilibrio solo da quella politica di incisive riforme che il paese attende da tempo.

Roma, 30 dicembre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
26-01-04, 21:39
La Nota Politica
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Da oggi al Senato

Riforme: parte il dibattito, le modifiche al testo proposte dai repubblicani

Con la presentazione di un corpus normativo riguardante la riforma complessiva dell'ordinamento della Repubblica - e con il dibattito che si apre in questa settimana al Senato - si entra nel vivo della discussione sulle riforme istituzionali.

Diciamo subito che giudichiamo positivamente questa assunzione di responsabilità da parte del Governo. Il testo del disegno di legge all'esame del Senato ha il merito di orientare finalmente verso uno sbocco concreto il dibattito su temi dei quali si è finora discusso senza alcun costrutto da oltre un ventennio. Aggiungiamo anche, peraltro, che il testo presentato può rappresentare a nostro avviso solo un punto di partenza e che molte sono le modifiche di cui ha bisogno.

Ci soffermiamo solo sulle principali, su cui intendiamo proporre emendamenti ed entrare nel merito. Cominciamo dalla forma di governo. Se da una parte risultano eccessive le preoccupazioni relative ai nuovi poteri del Primo Ministro, ed in particolare al potere di scioglimento della Camera dei Deputati, è pur vero che non viene risolto in maniera soddisfacente il vero problema, cioè quello relativo alla fragilità delle maggioranze politiche e all'equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo. Per affrontare seriamente questi problemi sono necessarie due modifiche importanti. In primo luogo, l'introduzione di un meccanismo di garanzie e di equilibri tra il ruolo del leader della coalizione e quello dei parlamentari, legato al procedimento elettorale; e quindi una nuova legge elettorale. In secondo luogo, è necessario sciogliere il nodo della disciplina giuridica dei partiti. Solo attraverso una regolamentazione che garantisca concretamente la partecipazione di tutti gli iscritti alle fasi di formazione della volontà del partito, compresa quella fondamentale della scelta dei candidati alle elezioni, si tutelerà l'autonomia decisionale dei componenti del potere legislativo dall'influenza esercitata dal premier.

Per quanto riguarda poi l'introduzione del Senato Federale, che pure condividiamo, il nuovo assetto previsto abbisogna di due correttivi. Il primo riguarda la composizione stessa del Senato Federale, che deve essere integrato dai Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano, così evitando la creazione delle Assemblee di coordinamento delle autonomie che potrebbero trasformarsi, prima o poi, in una sorta di parlamenti sub-nazionali o interregionali, a nostro avviso inaccettabili. Il secondo, la ripartizione delle materie tra le due Camere, incrementando quelle da destinare alla competenza bicamerale, soprattutto con riferimento alle leggi tributarie, data la rilevanza nel nuovo ordinamento del cosiddetto federalismo fiscale.

E infine vanno riviste le competenze legislative Stato-Regioni, anche attraverso una riscrittura dell'articolo 117 della Costituzione, al fine di ridurre la potestà legislativa concorrente. Rispetto al testo in vigore, allo Stato andrebbero attribuite, almeno, la competenza legislativa in materia di ricerca scientifica, reti di trasporto, di navigazione e di comunicazione di interesse nazionale e relative opere, produzione, trasporto e distribuzione di energia, protezione civile, commercio con l'estero, ordinamento delle professioni e ordinamento sportivo, tutte materie attualmente di legislazione concorrente. Mentre alle Regioni dovrebbe spettare la potestà su ogni altra materia da esercitarsi in armonia con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica e nel rispetto dell'interesse nazionale.

Queste considerazioni rappresentano, come è ovvio, un contributo al dibattito. Data la rilevanza della materia, è auspicabile che si apra un dialogo scevro dai pregiudizi e che si giunga a soluzioni che raccolgano il più vasto consenso possibile. Le istituzioni repubblicane non appartengono a questa o quella contingente maggioranza. Sono, come è noto, patrimonio di tutti.

Roma, 26 gennaio 2004

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
30-01-04, 23:14
Devolution, intervista a Tommaso Frosini/Il referendum non è uno spauracchio

Occorre una maggioranza fortemente determinata

Il progetto della "devolution" è attuato nel rispetto della Costituzione e dell'ordinamento Comunitario. Lo spiega alla "Voce" il professor Tommaso Edoardo Frosini, docente di diritto pubblico comparato all'Università di Sassari, commentando le critiche del professor Giovanni Sartori.

Prof. Frosini, come giudica l'intervento di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera di giovedì che attacca il progetto di riforma della Casa delle Libertà?

"Lo giudico brillante come nello stile di Sartori e nel suo eccesso polemico. Da sempre, lo studioso ha criticato qualsiasi progetto di riforma della Costituzione che non fosse coincidente con le sue idee. Ai tempi della Bicamerale di D'Alema, sulle colonne del giornale di Via Solferino avviò una campagna di forte critica. Alcune considerazioni di Sartori sono giuste e possiamo ritenerle condivisibili, ma nello stesso tempo non apre alcuno spiraglio al dialogo. Questo lo trovo eccessivo".

Parlare di "dittatura della maggioranza" da parte di Sartori è stato ingeneroso?

"Prima di Sartori lo aveva detto Giuliano Amato in una conferenza stampa. Amato aveva citato la formula della "dittatura della maggioranza" risalente a Tocqueville. Ma lo scrittore parlava di questo termine in tutt'altro contesto. E' una di quelle espressioni forti che agitano il cittadino. Nessuno di noi vorrebbe trovarsi in una situazione dove vige la dittatura della maggioranza. Le critiche devono essere contestualizzate. Dov'è la dittatura della maggioranza? Va sciolto l'equivoco sul potere del Premier di sciogliere le Camere. E' il caso di evitare ogni dubbio. Più volte si prende come esempio, in modo equivoco, il modello Westminster del sistema britannico. E' vero che nel Regno Unito non esiste una costituzione scritta e non c'è una norma scritta che prevede lo scioglimento anticipato delle Camere, ma è indiscutibile che questo è un potere che spetta al Primo ministro. Tutta la dottrina britannica è concorde nello stabilire che lo scioglimento della Camera spetta al Primo ministro e la Regina firma il decreto di scioglimento e non si rende partecipe di questa decisione".

Nel progetto di riforma cosa è previsto?

"La riforma va in questa direzione. Il progetto originario, che peraltro ho contestato, accentua i poteri del premier. Mi pare però che il nuovo testo approvato venerdì dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, abbia reso più elastico il procedimento di scioglimento, prevedendo che la maggioranza possa scegliere un altro Primo ministro a condizione che questo sia un suo esponente. In pratica, il modello britannico".

Sulla devolution Sartori è allarmato e dice che ci stiamo spingendo più in là di altri sistemi federali. E' una considerazione giusta?

"Purtroppo Sartori deve fare i conti con la rapidità di un articolo di giornale. Il testo uscito dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, migliorativo di quello originale del Governo, ha previsto all'articolo 117 della Costituzione, quello sulla potestà legislativa esclusiva delle regioni anche in materia di sanità, un comma che recita: ‘La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario'. Questo impedisce alle Regioni di fare quello che vogliono. La nuova norma indica chiaramente il rispetto della legge suprema e dell'ordinamento comunitario. Sartori invece è allarmato. Nel testo licenziato dal Senato è vero che l'assistenza sanitaria sarebbe di esclusiva competenza delle Regioni, ma nel rispetto della Costituzione e dell'ordinamento comunitario. Il principio costituzionale di eguaglianza dovrebbe valere anche quindi nell'applicazione della legislazione regionale in materia sanitaria. E perciò la Consulta casserà le leggi regionali che violeranno il rispetto della Costituzione. Non è il caso di allarmarsi".

All'inizio dell'articolo Sartori ironizza sulle riforme che "continuano a marciare" per poi "marcire". L'inizio al Senato è stato positivo. Crede che l'iter non sarà difficile solo perché l'opposizione pensa già al referendum confermativo?

"Le riforme potranno andare avanti e se ci sarà il referendum sarà tanto meglio. Vorrà dire che ci sarà anche un pronunciamento popolare. Non vedrei il referendum come uno spauracchio. Il referendum è nella Costituzione come salvaguardia e strumento di garanzia. Il referendum confermativo è stato pensato proprio per permettere al corpo elettorale di pronunciarsi contro una legge di revisione costituzionale. Se la maggioranza vuole modificare la Costituzione ed è determinata a farlo deve andare avanti nel suo progetto e portarlo a compimento. E' in gioco la credibilità della maggioranza, la quale aveva messo nel programma della legislatura le riforme al primo posto. Mi auguro che si arriverà ad un progetto più organico e mi auguro che l'opposizione possa contribuire nel modo più pluralistico possibile".

(Intervista a cura di Lanfranco Palazzolo)

tratto da http://www.pri.it/html/interventi.html

nuvolarossa
11-02-04, 21:35
Riforma della Costituzione: le critiche dei repubblicani

La Segreteria Nazionale del PRI, preso in esame l'andamento del dibattito al Senato sul disegno di legge di riforma della II parte della Costituzione,

considerato che la maggioranza ha già respinto alcuni emendamenti predisposti dal PRI e non ha indicato alcuna disponibilità a sostenere gli altri emendamenti da noi elaborati;

giudica negativamente, pur convenendo sulle linee generali del progetto di revisione, alcune delle disposizioni che la maggioranza ha introdotto ed in particolare la norma che prevede che ogni deputato e ogni senatore rappresentino la nazione e la Repubblica, visti come soggetti diversi. Tale previsione, infatti, aggrava la disposizione contenuta nell'attuale articolo 114 della Costituzione che stabilisce una inaccettabile distinzione tra Repubblica e Stato equiparando i diversi livelli di governo del territorio;

considera inaccettabile che l'impianto proposto trascuri di affrontare il tema della legislazione concorrente che rappresenta il punto di maggiore confusione dell'attuale titolo V e fattore di conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni;

ritiene che la norma sulla cosiddetta devolution nella parte relativa all'ordine pubblico contraddice la previsione dell'art. 117 che parla di polizia locale con compiti amministrativi e che su queste materie sia indispensabile la chiarezza;

osserva altresì che anche la parte relativa alla sanità nella presente formulazione presenti dei rischi in quanto essa potrebbe creare una differenziazione del grado di tutela della salute nelle diverse realtà regionali.

Qualora non venissero accolte le indicazioni e i suggerimenti del PRI i parlamentari repubblicani esprimeranno un voto di astensione sul disegno di legge nel suo complesso.

nuvolarossa
13-02-04, 20:13
DEVOLUTION, LE CRITICHE DEL PRI AL DDL DI RIFORMA COSTITUZIONALE

ROMA - 13 febbraio 2004 - La Segreteria Nazionale del PRI, preso in esame l'andamento del dibattito al Senato sul disegno di legge di riforma della II parte della Costituzione, considerato che la maggioranza ha già respinto alcuni emendamenti predisposti dal PRI e non ha indicato alcuna disponibilità a sostenere gli altri emendamenti da noi elaborati; giudica negativamente, pur convenendo sulle linee generali del progetto di revisione, alcune delle disposizioni che la maggioranza ha introdotto ed in particolare la norma che prevede che ogni deputato e ogni senatore rappresentino la nazione e la Repubblica, visti come soggetti diversi. Tale previsione, infatti, aggrava la disposizione contenuta nell'attuale articolo 114 della Costituzione che stabilisce una inaccettabile distinzione tra Repubblica e Stato equiparando i diversi livelli di governo del territorio; considera inaccettabile che l'impianto proposto trascuri di affrontare il tema della legislazione concorrente che rappresenta il punto di maggiore confusione dell'attuale titolo V e fattore di conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni; ritiene che la norma sulla cosiddetta devolution nella parte relativa all'ordine pubblico contraddice la previsione dell'art. 117 che parla di polizia locale con compiti amministrativi e che su queste materie sia indispensabile la chiarezza;
osserva altresì che anche la parte relativa alla sanità nella presente formulazione presenti dei rischi in quanto essa potrebbe creare una differenziazione del grado di tutela della salute nelle diverse realtà regionali. Qualora non venissero accolte le indicazioni e i suggerimenti del PRI i parlamentari repubblicani esprimeranno un voto di astensione sul disegno di legge nel suo complesso.

wilcock
21-02-04, 15:51
desidero rendere noto il testo di una letterache ho inviato all'amico Nucara. E credo che questo sia il posto giusto.
Caro Segretario, ho letto con sollievo la dichiarazione di voto del sen. Del Pennino in merito alla modifica dell'art.10 della Costituzione ed apprezzo l'intera posizionedel PRI sulla questione del Senato federale. Evidentemente qualcosa del senso dello Stato che ha tradizionalmente contraddistinto il nostro essere cittadini italiani ed il comune sentire nei confronti delle istituzioni è ancora vivo in molti dirigenti del PRI:
Quello però che mi lascia del tutto perplesso e, francamente, disorientato è altra cosa. Ho sentito infatti più volte ripetere che tra i motivi imprescindibili che hanno motivato il nostro allontanamento dalle alleanze con i partiti del centrosinistra c'è un discrimine invalicabile su quella che è la collocazione del nostro Paese nell'ambito internazionale, le scelte insomma della politica estera che costituiscono una base non solo politica ma culturale e storica fondamentale. Posso anceh condividere questa affermazione, senza peraltro accettare che essa si riduca ad una subordinazione passiva e acritica alle alleanze di cui si è partecipi esenza peraltro che essa venga considerata come un dato immutabile di fronte al convulso mutare del quadro politico internazionale.
Quello che invece non riesco ad accettare è che, mentre questo dato riguardante la politica estera viene assunto come discriminante nei confronti di certe forze politiche (alle quali peraltro ci lega una buona parte della nostra storia), non viene sentita come altrettanto (e a mio avviso ancor più) inaccettabile la collaborazione con forze che non hanno la nostra sensibilità nei confronti dei princìpi fondanti del nostro essere Stato nazionale.
Questo rappresenta per me, che ho dedicato qualche attività alla vita politica all'interno del PRI da più di quarant'anni, a volte con entusiasmo, a volte soltanto con fiducia e affetto per il Partito, un dato che va aldilà dell'accettazione o meno di contingenti scelte politiche, ma che mi costringe a riflettere sull'essere o meno aderente ad una formazione politica, che non è una Chiesa, ma uno strumento per il raggiungimento di certi fini. Mi par di capire che i valori di riferimento sono profondamente mutati all'interno del PRI, almeno per quanto riguarda la sua dirigenza nazionale.
Per questo ti prego di considerarmi dimissionario dal Consiglio Nazionale e di darne comunicazione agli altri membri nella prima occasione che si presenterà.
Mentre ti rinnovo la mia personale stima e, se me lo concedi, anche la mia amicizia, ti saluto fraternamente.
Rodolfo Polazzi

P.S. Ti chiedo la cortesia di passare tu questa mia lettera alla "Voce" perché sia posta a conoscneza degli amici repubblicani. E per favore evitami il commento di Pino Vita o di Riccardo Bruno.

lucifero
21-02-04, 19:07
Originally posted by wilcock
E per favore evitami il commento di Pino Vita o di Riccardo Bruno.
Io li leggerei volentieri: uno con divertimento, l'altro con interesse.

nuvolarossa
21-02-04, 22:07
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI59.gif
a wilcock sulle pagine del Forum dei Repubblicani Italiani

wilcock
22-02-04, 11:34
Grazie del saluto. Ciao agli amici antichi.

wilcock
22-02-04, 11:38
Scusami Nuvola, ma mi sai spiegare come cavolo ho fatto a far arrivare questo messaggio in questo thread, dove mi pare che non ciazzecchi molto?
Se fosse possibile spostarlo, mi farebbe piacere. Me, come sai, sono un analfabeta di pc.... quindi ... abbi compassione...
Ciao e grazie

nuvolarossa
22-02-04, 11:48
Caro wilcock,
pensavo che fosse attinente all'argomento sulle Riforme Istituzionali .. ma poi, ripensandoci, credo che sia piu' opportuno inserirlo nel Thread dove si parla della Direzione Nazionale ... (clicca sotto) ... se sei d'accordo lo metto li'.
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=1644
Dammi un OK

wilcock
22-02-04, 17:38
OK. Scusami, ma pensavo di essere stato io a sbagliare nel trasmetterlo. Mi sembra che stia meglio dove dici tu. Grazie e buon lavoro!

nuvolarossa
02-03-04, 21:05
la nota politica
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Puntare sullo sviluppo

Dai dati sull'economia emerge con forza la necessità delle riforme

Gli ultimi dati forniti dall'Istat non contengono grandi novità rispetto a quanto già si sapeva. Di positivo ci sono i dati sul debito pubblico. Il deficit è fermo al 2,4 per cento, il disavanzo consolidato si è ridotto - tra il 2002 e il 2003 - dal 108 al 106,2 per cento. L'aumento della pressione fiscale è dovuto ai condoni: che, se sono misure temporanee ai fini del risanamento, lo sono anche ai fini dell'impatto sui contribuenti.

La crescita è stata bassa, ma comunque superiore a quella di Francia e Germania. Tra i grandi paesi europei, solo Spagna e Gran Bretagna registrano tassi di sviluppo sostenuti (più del triplo rispetto alla media) e in aumento. Anche questo era già noto e bisognerebbe riflettere sulle politiche riformatrici e sostanzialmente convergenti praticate sia dal laburista Blair che dal popolare Aznar.

Commentando i dati, il premier Silvio Berlusconi ha detto che bisogna "puntare con decisione al rilancio dell'economia", riducendo le tasse e rilanciando consumi e investimenti. Ricetta di per sé ineccepibile. Ma la riduzione delle tasse e il rilancio degli investimenti, a cominciare da quelli pubblici, passano per una contemporanea riduzione della spesa pubblica corrente e per la rimozione di molti dei vincoli che bloccano la crescita delle imprese. In altre parole, attraverso una politica di riforme.

E qui vorremmo fare due considerazioni. La prima è che intanto c'é una riforma, quella del sistema previdenziale, annunciata da tempo e che sembra ormai in frigorifero. Una riforma, a nostro giudizio, troppo blanda e quindi inadeguata. Ma ogni giorno che passa, diventa sempre più blanda e sempre meno adeguata. Cominciamo a nutrire il sospetto che stia per essere riposta definitivamente nel cassetto, con il rischio di deprimere ulteriormente la credibilità del paese sui mercati internazionali. Perché, allora non cominciare subito di qui, approvando una riforma che sembrava già fatta?

La seconda considerazione riguarda la politica economica di cui il paese ha bisogno. Forse è il caso di dirlo con chiarezza. L'Italia - come in genere l'Europa continentale - non ha bisogno di "più welfare", ha bisogno di "più sviluppo". E quindi di ridurre le tasse e le spese correnti, non di aumentare le une e le altre. Il contrario - lo ha fatto notare con efficacia il senatore diessino Franco Debenedetti sul Corriere della Sera di domenica scorsa - di quanto ha proposto Fassino e di quanto accade nei paesi ai quali il segretario dei Democratici di sinistra ha fatto riferimento. Bisogna praticare, insomma, le politiche che da tempo perseguono Spagna e Gran Bretagna, dove non a caso si registrano alti tassi di sviluppo. E che, sempre non a caso, sono ostili ad una armonizzazione europea delle politiche fiscali: temono, appunto, di essere imbrigliati in quel modello renano che pesa ormai come un macigno sullo sviluppo dei principali paesi dell'Europa continentale. Paesi dove invece il welfare è insostenibile, la crescita inesistente, la disoccupazione in aumento. E le riforme, quando ci sono, sono troppo blande.

Il premier italiano ha trovato spesso motivi di sintonia con i governi di Spagna e Gran Bretagna. Li ha trovati sulla politica estera e su molte scelte di politica europea. Sicuramente ne condivide lo spirito liberale che ha animato e continua ad animare le loro riforme, spesso attuate anche a costo di sfidare l'impopolarità. Di iniziative analoghe ha bisogno il nostro paese ed è venuto il momento di avviarle con decisione, anche forzando una maggioranza riottosa e accettando lo scontro con le corporazioni che oggi frenano lo sviluppo della nostra economia. Come ha fatto Blair, come ha fatto Aznar.

Non c'é più tempo da perdere. Altrimenti finirebbe per avere ragione il professor Francesco Giavazzi, che in un'intervista radiofonica ha sostenuto la necessità di riforme liberali, ma anche che di queste riforme il governo sembra aver smarrito le tracce dopo la prima settimana di vita. Cerchiamo, presidente, di non dargli ragione. Per assicurare una speranza al paese.

Roma, 2 marzo 2004

nuvolarossa
04-03-04, 20:40
Intervento sen. Del Pennino sull' articolo 12 ddl riforma dell'ordinamento dello Stato

E' iniziata la discussione in Senato, nell'ambito del disegno di legge di riforma dell'ordinamento dello Stato, dell'articolo 12 che regola la ripartizione delle competenze tra la Camera dei Deputati e il nuovo cosiddetto Senato Federale, prevedendo che al Senato venga assegnata la definizione dei principi fondamentali nelle materie oggetto di legislazione concorrente far Stato e Regioni. La legislazione concorrente è sempre stata oggetto di critiche da parte dei repubblicani che hanno sottolineato come la stessa rappresenti motivo di conflitto di attribuzione fra lo Stato e le Regioni, come rilevato anche dal comunicato della Segreteria dei giorni scorsi.

Riportiamo l'intervento del Senatore Del Pennino, reso in discussione generale sull'articolo:

"Signor Presidente, desidero esprimere le forti perplessità che mi indurranno a non votare l'articolo 12 che viene proposto dal relatore e che, se rimanesse nel testo che c'è stato proposto, comporterà una ripartizione delle competenze tra Camera e Senato federale che di fatto presuppone il mantenimento in vita integrale dell'attuale Titolo V della Costituzione.

In questo senso, sul piano procedurale concordo con l'obiezione avanzata ieri dal senatore Villone che sarebbe stato opportuno limitare la discussione sull'articolo 12 al mero procedimento di formazione delle leggi, mettendo da parte gli emendamenti che possono incidere sulla definizione delle competenze in modo da non pregiudicare le successive decisioni. Poiché questa scelta procedurale non è stata fatta, dobbiamo valutare nel merito questo articolo 12 così come ci viene sottoposto.

Esso conferma in modo credo irreversibile la scelta di mantenere nel nostro ordinamento costituzionale la cosiddetta legislazione concorrente.

Ho già avuto modo di dire, nel corso della discussione generale sul disegno di legge in esame, che i repubblicani giudicano la legislazione concorrente come l'elemento che determina il maggiore conflitto di attribuzioni e la maggiore confusione nei rapporti tra Stato e Regioni. Credo che questo dato sia confermato anche dalla pregevole pubblicazione del Servizio studi del Senato, che ha illustrato la giurisprudenza costituzionale dopo la riforma del Titolo V e che evidenzia come più della metà dei casi su cui si è dovuta pronunciare la Corte derivino dalle norme relative alla legislazione concorrente. Il fatto quindi di basare sulla legislazione concorrente, sulla competenza, cioè, nella definizione dei princìpi generali a cui dovrebbero ispirarsi poi le Regioni, la diversità di competenze tra Camera e Senato rappresenta una scelta che noi non possiamo in alcun modo condividere.

Ciò detto, desidero sottolineare come comunque, anche entrando nella logica di mantenere la legislazione concorrente e di fare di questo il punto cardine per la distinzione delle competenze tra Camera e Senato federale, vi sono, nel testo che viene presentato, alcune incongruenze per cui ho proposto degli emendamenti che non toccano, purtroppo, l'impianto, ma tendono quanto meno a correggere alcune distorsioni che derivano da questa scelta.

Mi riferisco, in particolare, al fatto che tutte le competenze relative al secondo comma dell'articolo 117 sono attribuite alla Camera, compresa quelle della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che sono materia su cui invece l'intervento da parte delle Regioni e dei poteri locali è essenziale. Vi è quindi la necessità che su questo vi sia, quanto meno, una competenza bicamerale, se non quella prevalente del Senato federale.

L'altra considerazione è quella relativa alle norme tributarie, che vengono qui affidate alla competenza della Camera. Ora, noi sappiamo benissimo che, anche con l'avvio del cosiddetto federalismo fiscale, per molti anni manterremo un sistema in cui la finanza delle Regioni e degli enti locali sarà basata su una compartecipazione ai tributi statali: sarà difficile sul breve termine l'introduzione prevalente di tributi propri delle Regioni e degli enti locali. E allora, non fare di questa materia relativa alle norme tributarie qualcosa di competenza comune dei due rami del Parlamento significa contraddire quella stessa logica federale cui ci si vuole, in teoria, ispirare.

Infine, credo vada precisato in modo chiaro che è competenza bicamerale tutta la materia elettorale, compresa quindi quella relativa ai referendum e alla legislazione per il Parlamento europeo, non solo quella relativa all'elezione di Camera e Senato.

Queste sono alcune indicazioni che noi diamo per cercare di correggere alcune storture che a nostro avviso vi sono nell'articolo che stiamo esaminando, ma non tolgono, anche se fossero accolte, il motivo di fondo del dissenso che io debbo esprimere su questa scelta, cioè la decisione di mantenere in vita un sistema in cui la legislazione concorrente - di cui tra l'altro non si propone nemmeno un ridimensionamento, come pure era stato nelle prime indicazioni venute dal ministro La Loggia - rimane il cardine della costruzione costituzionale.

Io credo che in questo modo non solo non abbiamo la capacità di correggere le incongruenze della riforma del centro-sinistra adottata nella passata legislatura, ma rischiamo per alcuni aspetti addirittura di aggravarle".

Roma, 3 marzo 2004

wilcock
05-03-04, 23:12
Pongo una domanda: è ammissibile che un partito dia sostegno ad un governo che attua una riforma della Costituzione su cui si esprimono "forti perplessità" ? ma cosa c'è di più fondamentale, per verificare l'aderenza o meno ad un progetto politico, della concezione delle istituzioni basilari dello Stato?

barney (POL)
06-03-04, 01:24
Risposta: no, non è ammissibile credo che lo dobbiamo dire molto forte.
barney

kid
09-03-04, 12:13
nel senso che non è ammissibile per i tre quarti della maggioranza, non solo per il senatore del pennino che lo dice. e tiene presente che noi repubblicani in principio non siamo antifederalisti, siamo solo preoccupati per il disegno unitario dello Stato, ossia se il federalismo è una forma per migliorare il funzionamento dell'unità nazionale, non abbiamo nulla da opporre sul piano teorico. Il punto è che quando visto la prima stesura del disegno di legge in proposito ho informato la dirigenza del partito se si era matti, perchè la bozza era scritta con i piedi e senza alcun senso. Poi qualcosa deve essere arrivato perchè hanno riunito i saggi, ma noi repubblicani stavamo fuori. Ma lo scontro è ovvio che è rimasto, noi esclusi, altrimenti non ci sarebbe Bossi ogni giorno a dire che è pronto ad andarsene. Io credo che abbia ragione Amato, e cioè che la cdl sa che non ne farà nulla, il problema è capire se Bossi sa che cosa fare a questo punto. Per cui la posizione di del pennino è la posizione della maggioranza. A differenza del resto della maggioranza, noi siamo più disponibili ad una proposta federale. Ma su questo io prevedo, anche se non i sondaggi, che finirà il governo, o per lo meno che qui c'è in nuce l'elemento che fa saltare il governo e l'attuale maggioranza.

wilcock
09-03-04, 17:23
Ammetto volentieri che non ho capito molto bene la risposta di Calvin; ma per un quisque de populo come me, portato a semplificare, traduco male se dico che la maggioranza la pensa come noi, solo che loro votano sì e approvano, mentre noi "esprimiano forti perplessità" e ci asteniamo?
Mi sembra una maggioranza con un chiaro disegno politico e che sa bene dove vuol arrivare! Altro che quel branco di sbandati del c.s.! D'altra parte, direbbe Jannacci, trattasi di canzonette... mica si sta facendo la CostituzionedellaRepubblica! Eppoi, tranquilli... si sta scherzando, tanto poi non se ne fa nulla... e aspettiamo con fidducia che qui poi ci casca il governo:
Bah... mi sembra proprio che si stia diventando tutti matti.

kid
09-03-04, 17:46
vale l'ultima che hai detto:eek:

nuvolarossa
09-03-04, 23:39
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

nuvolarossa
11-03-04, 23:34
La sospensione del passaggio delle funzioni del catasto ai Comuni/Le richieste dell'Anci e l'opposizione della Confedilizia e Confagricoltura

Dal Governo un orientamento equilibrato

Una nota dell'Anci dei giorni scorsi chiedeva al Governo di non rinviare gli adempimenti per il passaggio delle funzioni del Catasto ai Comuni, per come era stato ventilato. I motivi a sostegno della richiesta erano che " un eventuale rinvio del termine del conferimento a carico dei comuni delle risorse umane , finanziarie e strumentali avrebbe rappresentato una lesione del principio di sussidiarietà e si sarebbe posto in contraddizione con le norme del Parlamento, approvate sei anni fa."

Dietro questa "messa in mora" non si nasconde una questione di principio sul decentramento ma un problema sostanziale che riguarda la riforma del Catasto: della struttura che non solo elenca i beni immobili (terreni e costruzioni) esistenti sul territorio nazionale ma li classifica, secondo determinati indici, con lo scopo di accertarne la consistenza, il valore e il reddito e le relative imposte fiscali.

La riforma del catasto viene da lontano ed ha sempre avuto effetti rilevanti come dimostrano due esempi geograficamente distanti: in Lombardia la riforma aveva avuto inizio sotto il dominio degli Asburgo e si era conclusa nel 1760 con il cosiddetto catasto di Maria Teresa, un esempio di grande rigore e qualità che aveva portato all'eliminazione dei privilegi tributari ; nel regno di Napoli (1741) la riforma fu caratterizzata dall'introduzione di una imposta reale sulle proprietà ma si scelse, invece, di esentare i beni degli ecclesiastici.Per tornare a tempi più recenti fu una legge del 1939 ad introdurre il catasto edilizio urbano, dal quale discendono molte delle attuali disposizioni..

Il problema odierno riguarda, quindi, possibilità concreta per i comuni di poter gestire l'elenco dei beni immobili esistenti sul territorio comunale, di poterne revisionare gli estimi, determinandone il valore e il reddito e le relative imposte.

La questione, oggi sul tappeto, ha avuto inizio con la legge Bassanini n.59 del 97 , che delegava al Governo l'individuazione dei beni e delle risorse da trasferire ai comuni ai fini del decentramento. Il decreto legislativo n112 del '98 che elencava le funzioni mantenute dalla Stato in materia di catasto e quelle da trasferire agli enti locali, stabilì che le "Conservatorie " restassero allo Stato mentre le funzioni catastali passassero ai Comuni, compresa la revisione degli estimi e il classamento. Successivamente sono stati emanati il Dpcm (decreto della presidenza consiglio ministri) del 19 dicembre 2000 che individuava le risorse necessarie e fissava al 26 febbraio 2004 il termine per la conclusione delle operazioni e il Dpcm del 21 marzo 2001 che definiva la distribuzione delle risorse a livello provinciale. Per chiudere queste operazioni sarebbero stati necessari altri due decreti attuativi per il passaggio graduale delle funzioni e il trasferimento del personale.

Rispetto a questa conclusione l'Anci sosteneva che il trasferimento ai comuni avrebbe consentito un recupero di 354 milioni di euro evasi ogni anno, mentre le organizzazioni Confedilizia, Uppi, Appi affermavano, con forza, che questa decisione avrebbe portato a un aumento delle tariffe, in base alle quali si calcola l'imponibile Ici, con conseguenze ancora più penalizzanti per i proprietari degli immobili.

Ci sembra una preoccupazione più che fondata anche alla luce dell'esperienza dell'Ici che i comuni stanno utilizzando con l'applicazione della aliquota massima ( è prevista una gradazione dal 4 al 7 per mille). A proposito la "Voce" ha dato notizia, nei giorni scorsi, del quadro delle entrate fiscali degli Enti locali e delle Regioni, diffuso dal Dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell'Economia, dal quale si evidenziava che nei primi undici mesi del 2003 c'è stato un vero e proprio boom.

Le forti perplessità sorte intorno al decentramento appaiono quindi condivisibili, anche per la dimensione degli 8000 e più comuni italiani, tra cui solo quelli maggiori avrebbero la possibilità di gestire logisticamente tutte le attività catastali. Questo, peraltro, è emerso con evidenza nel sondaggio attivato a suo tempo dall'Agenzia del Territorio presso gli enti locali, le cui risposte pervenute risultavano limitate a 2.885 comuni, che rappresentano soltanto il 37% del totale.

In particolare, molti comuni, temendo gli alti costi di gestione, hanno scelto la strada dell'aggregazione nelle Comunità Montane.

C'è poi il problema del personale, che il DPCM del 19 dicembre 2000 ha individuato nella misura complessiva di 4000 unità, che fa nascere timori per gli eventuali esuberi e per i disagi connessi agli spostamenti.

Ma a parte questi problemi, c'è un fatto sostanziale che rende più che problematica la riforma degli estimi catastali ed è l'impossibilità di riuscire a rendere omogenee le basi imponibili nel momento in cui 8000 comuni dovessero deliberare in autonomia.

Occorre, pertanto, riconoscere che una seria riforma degli estimi può essere condotta organicamente solo da una struttura organizzata ed "esperta" come l'Agenzia del Territorio.

Aveva quindi ragione la Confragricoltura quando sottolineava che " il trasferimento del catasto ai comuni avverrebbe in uno stato di confusione normativa e nel disordine istituzionale".

Ha fatto bene il Governo a fermarsi e come dice il presidente della Confedilizia " il ripensamento del trasferimento del catasto ai comuni è un atto di responsabilità che l'attuale Governo compie , a fronte di decisioni dei precedenti esecutivi ( di centro-sinistra) non sufficientemente pensate."

Pino Vita

wilcock
12-03-04, 14:40
Fa piacere vedere che quando si passa al "federalismo pratico" ci si scontra con problemi che, con tutta evidenza, contraddicono chi continua a correre dietro alle "mode" politiche vigenti. La miope acquiescenza al verbo di Bossi (N.B. Ministro per le riforme del goevrno di centro-destra e pilastro del governo Berlusconi) rischia di compromettere non solo l'unità nazionale, ma anche il funzionamento dello stato. C'è da augurarsi che analoghi provvedimenti vengano adottati anche per quanto riguarda i Beni Culturali, dove, ahimé, non ci sono interessi economici che si fanno valere. Bisognerebbe che esistesse anche una Confopered'arte o una Confpalazzimonumentali... Forse esprimerebbero inm maniera convincente la loro preoccupazione per la svendita di qualche gioiello di famiglia.

Texwiller (POL)
12-03-04, 18:11
MI sono permesso di dissentire dalle tesi di Pino Vita con una lettera alla Voce che qui allego:


Mi spiace dover dire che non condivido il parere di Pino Vita nel merito della sospensione del passaggio delle competenze sul catasto dagli Uffici Tecnici Erariali ai Comuni.
Avendo lavorato a stretto contatto col settore Tributi degli enti locali, trovo assolutamente sbagliato da parte di un governo che fa dell’innovazione uno dei principali fattori di sviluppo, bloccare gli sforzi fatti dalle amministrazioni locali per ammodernare le strutture informatiche per il recupero del pregresso delle amministrazioni statali (incluso l’U.T.E.) per assecondare associazioni che vedono come il fumo negli occhi controlli pubblici o per giustificare ritardi in amministrazioni inammissibili.
Lo stesso riferimento al fatto che i piccoli comuni si siano organizzati per unioni di comuni o nelle comunità montane nella gestione di questo tributo, mi pare sia nella linea del contenimento dei costi pubblici che abbiamo sempre predicato come repubblicani.
E’ chiaro che se non si tiene conto dell’emergere di nuovi cespiti censiti per nuove costruzioni, o recuperati all’evasione, o per l’assegnazione dopo anni di rendite catastali a cespiti contabilizzati a costo di costruzione per le imprese, emerge un incremento delle entrate dei Comuni su questo fronte superiore all’incremento del costo della vita.
Una riflessione va fatta anche sul fatto che quest’imposta, nei fatti, è uno dei pochi metri di misura sul quale vengono misurate le amministrazioni locali e vengono giudicate nel momento del voto.
Non si può da un lato fermare la partecipazione al gettito della finanza locale indotto dai trasferimenti derivati dalla finanza nazionale e impedire una reale autonomia fiscale almeno dal punto di vista patrimoniale, visto che il Governo Nazionale ha rinunciato, con la totale abolizione delle imposte sulle successioni e donazioni, ad un intervento in questo campo.
Non dimentichiamoci inoltre che, con banche date aggiornate a livello comunale, è di più semplice applicazione il meccanismo per l’accesso a tariffe ridotte sui servizi pubblici a domanda individuale (rette scolastiche, affitti nelle case popolari, esenzioni dal pagamento di prestazioni sanitarie ecc.)
A meno che non si vogliano abolire anche tutte queste forme di verifica.
Non so se si tratta di un giudizio maturato all’interno del Partito o è solo un appoggio all’atteggiamento di prudenza del Governo quando su altri settori si auspica il massimo di celerità possibile.
Personalmente, e credo di poter dare un contributo positivo sull’argomento, avrei imposto alle amministrazioni locali da un lato l’invio annuale dei bollettini ICI precompilati, anche nell’importo come avviene già in alcune parti d’Italia, con il riepilogo degli immobili censiti a livello comunale, da utilizzare qualora non siano intervenute variazioni.
Per eliminare il rischio di incrementi abnormi del gettito, basterebbe eliminare le aliquote minime previste dalla normativa attuale, per non giustificare, addossando la colpa allo Stato, le maggiori imposte
Per ultimo, una riflessione: l’estensore dell’articolo ha mai provato a verificare l’importo dell’ICI che viene pagato dagli agricoltori, comprensivo anche dell’ICI sulla casa di abitazione?

Tex Willer

kid
12-03-04, 18:18
davvero Tex Willer?!?

Texwiller (POL)
12-03-04, 18:24
Evidentemente l'ho firmata col mio nome da segretario provinciale.
Ciao.
Alberto Fuzzi/Tex Willer

kid
12-03-04, 18:37
se no al povero Vita gli veniva un colpo ad essere contraddetto dal grande Tex e magari ti finiva con Mephisto!

mcandry
12-03-04, 20:30
Originally posted by Texwiller
avrei imposto alle amministrazioni locali da un lato l’invio annuale dei bollettini ICI precompilati, anche nell’importo come avviene già in alcune parti d’Italia, con il riepilogo degli immobili censiti a livello comunale, da utilizzare qualora non siano intervenute variazioni... che dirti tex, si vede che sei fortunato, perchè dalle mie parti il comune li manda a casa i bollettini ICI precompilati, peccato che a noi poveri commercialisti tocchi correggerli tutti e contestare la cifra presente...

con che percentuale? almeno nel 30% dei casi.

quindi andiamoci piano...

Texwiller (POL)
15-03-04, 13:08
Risposta a McAndry

Come avrai capito il mio intento, in occasione dell’intervento contro quanto pubblicato da Pino Vita sulla Voce repubblicana, col suo plauso alla marcia indietro del governo Berlusconi sul decentramento ai Comuni del Catasto dei fabbricati, era quello di segnalare l’esigenza morale del PRI di dissentire dall’operato del governo quando necessario e di non esserne, molto spesso, solo uno dei megafoni.
E’ una critica di merito che faccio: non credo che sia utile, almeno al nostro interno, diffondere prese di posizione solo in funzione degli schieramenti filo o antigovernativi.
In questo senso mi piacerebbe che la componente di Riscossa intervenisse ANCHE sulle scelte che non sono in linea con le battaglie effettuate dal PRI negli anni per affermare nei cittadini il senso del dovere e NON SOLO sulle questioni delle alleanze.
Dovere che si estrinseca anche nel rispettare il dettato costituzionale laddove si afferma che ognuno è tenuto a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (e mi sembra che ciò sia in netto contrasto con quanto affermato da Berlusconi di pagare le tasse in funzione di quanto ritenuto personalmente giusto).
Mentre non ho mai bevuto le tesi della sinistra pagare tutti per pagare meno, figurati se bevo quelle di pagare di meno per pagare tutti (mi sembra che gli unici a guadagnarci siano quelli che già guadagnano di più con scarico dei problemi sullo Stato con la necessità di destinare sempre più risorse a politiche di supporto alle famiglie indigenti).
Come ha affermato, ritengo giustamente, Gianni Ravaglia ormai alcuni anni fa, siamo pieni di esempi non proprio concordanti con l’equazione meno tasse più crescita economica: quest’ipotesi (vedi crack finanziario di regimi sud americani o esplosione del debito pubblico negli USA di Bush, con crescita economica ma non dell’occupazione).
E mentre siamo nel tema delle politiche fiscali, un altro intervento sul quale tutti hanno potuto registrare la totale assenza di un contributo critico del PRI è stato quello dell’eliminazione dell’imposta di successione e donazione (quando era già prevista un’esenzione fino all’equivalente di 750.000.000 di lire ed un’imposta del 4% sulla parte eccedente = se ereditavo un miliardo pagavo 10milioni di lire).
Ora, se sono vere le cifre di Forbes, e non ho dubbi se le ritiene vere Giacalone, il nostro Premier ha fatto uno sconto ai suoi famigliari, di 800 miliardi di lire, ed il tutto nell’accondiscendenza di tutte le forze di maggioranza.
Ma per tornare nel merito del rischio da te paventato di errori da parte dei Comuni nel recupero dell’ICI, ti faccio notare come:
dalle tue cifre locali, risulterebbe come un 70% dei recuperi siano validi,
solo dopo che le competenze per il controllo sull’ICI sono passate ai Comuni sono cominciati gli effettivi controlli ed i recuperi tributari (e si tratta di un tributo locale, non nazionale),
che c’era una convinzione diffusa, da parte di tecnici e liberi professionisti in genere, che non ci sarebbe stata possibilità di controllo, con i ritardi ultradecennali degli UTE nel classamento e nel recepire i passaggi di proprietà, con assegnazione di valori alla classe più bassa per gli immobili non accatastati e lo sfruttamento della formula del silenzio assenso per definire i valori definitivi…., senza dimenticare le perdite per l’Erario sul fronte del gettito IRPEF.
Vogliamo tornare indietro?
Io ho proposto, come contributo ad un corretto rapporto fra contribuente e ente impositore, l’invio dei bollettini ICI precompilati qualora non sussistano variazioni rispetto all’anno precedente.
Al fine di ovviare ai problemi da te riscontrati, si potrebbe dare la possibilità ai singoli o ai loro commercialisti o alle loro associazioni, di controllare anche via internet, la formazione del conteggio del bollettino.
Tutto in un’ottica di ammodernamento del Paese, non in un’ottica che ci riporta indietro.
Ciao.
Tex Willer

nuvolarossa
26-03-04, 21:09
La Nota Politica
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Devolution e premierato

Il testo della riforma non può avere il nostro sostegno

Il senatore Del Pennino si è astenuto sul testo di riforma federalista voluto dalla Lega (l'astensione al Senato equivale ad un voto contrario) nella speranza che il governo e la maggioranza accolgono le modifiche che il Pri ha proposto, e soprattutto si accorgano come l'impianto di riforma (come ormai molti studiosi ritengono, cominciando da Giovanni Sartori e finendo con il senatore Fisichella) comporti solo gravi difetti e inaccettabili contraddizioni. Le procedure di riforma federale che sono state varate recano sufficienti elementi per creare una confusione di cui non si sente nessun bisogno, complicando il sistema legislativo del paese e duplicando la struttura pubblica per ciò che concerne il fisco, la scuola, la polizia. Capitoli fondamentali in cui si esercita il dei diritto cittadini nell'essere tutelati dallo Stato democratico.

Gli effetti di un tale turbamento della vita amministrativa dello Stato possono essere effettivamente devastanti e di questo siamo ovviamente preoccupati.

E non si può accettare per nessuna ragione la connessione fra l'elezione diretta del capo del governo e la sua base parlamentare così come voluta dalla riforma. Tale connessione di fatto è in grado si svuotare le funzioni del Parlamento e di creare un problema alla stessa democraticità del paese, facendo saltare ogni possibile contrappeso fra potere legislativo e potere esecutivo.

Se si vuole l'elezione diretta del capo del governo, è fondamentale distinguerla e separarla dall'elezione del Parlamento, soprattutto nel momento in cui si ritiene di dovergli affidare poteri che non erano tradizionalmente associati alla sua figura.

E' chiaro che la contrarietà della segreteria repubblicana alla riforma è netta ed assoluta e che il voto di astensione del senatore Del Pennino va letto come nostro sommesso appello alla forze della coalizione, Lega inclusa, per valutare più a fondo ciò che a noi è parso costruito sotto il segno dell'improvvisazione e senza la necessaria previsione degli scompensi che si sarebbero potuti creare. Nonostante l'evidenza. Se poi questo nostro appello non fosse recepito nei sentimenti di collaborazione con cui lo rivolgiamo, i nostri passi successivi sarebbero obbligati.

Roma, 26 marzo 2004

SU QUESTO ARGOMENTO
VEDERE ANCHE :
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=90147

mcandry
26-03-04, 21:19
Originally posted by Texwiller
Risposta a McAndry

Ma per tornare nel merito del rischio da te paventato di errori da parte dei Comuni nel recupero dell’ICI, ti faccio notare come:
dalle tue cifre locali, risulterebbe come un 70% dei recuperi siano validi, solo dopo che le competenze per il controllo sull’ICI sono passate ai Comuni sono cominciati gli effettivi controlli ed i recuperi tributari ...

no amico mio... non mi sono effettivamente spiegato, il 70% delle cartelle esatte non è sul recupero, ma sul consolidato e per di più visto l'alto aggio (il 30%) proprio sul consolidato, la Nettuno Servzi, società privata, non opera nessun recupero perchè i costi che dovrebbe sostenere attuando il rischio d'impresa non è necessario viste le regalie sul consolidato...

ps. ovviamente il nostro consigliere comunale e meno il nostro assessore, l'hanno fatto notare, ma non con la forza che avrei richiesto io, e anche per questo motivo, dall'anno scorso non sono più segretario di sezione...

ps. scusami se ho letto solo ora il tuo post... un abbraccio.

barney (POL)
28-03-04, 00:18
Originally posted by mcandry

....ovviamente il nostro consigliere comunale e meno il nostro assessore, l'hanno fatto notare, ma non con la forza che avrei richiesto io, e anche per questo motivo, dall'anno scorso non sono più segretario di sezione...



No qui c'è un salto logico...perchè avrebbe dovuto essere : "...e per questo motivo ecc ecc non è più assessore"

ovvero c'è "omissione di scazzo" non è cioè narrato cosa sia intercorso fra la mancata (o insufficente) presa di posizione e la remissione dell'incarico. Integrare prego.

mcandry
28-03-04, 03:29
Originally posted by barney
Integrare prego.

ok ok...

mi spiego meglio...

sono stato segretario di un partito che si è candidato alle ultime elezioni da solo, alleato del nuovo psi, e di due liste civiche, che in totale hanno preso il 15%, eleggendo il candidato sindaco (del pri) e un consigliere del nuovo PSI...

bene dopo tutto ciò, autonomomante e in accordo con la segreteria provonciale, questo consigliere del PRI e quello del nuovo PSI hanno trovato un accordo con la cdl, ottendendo l'assessorato al commercio e alle attività produttive, occupato dal primo dei non eletti del PRI...

fin qui tutto bene direte...

ma nemmeno per sogno dico io...

questa maggioranza sta portando il comune allo sfascio economico e per tappare qualche falla (debiti fuori bilancio pari a 5 mln di euro) ha aumentato tutte le tasse, senza fare riforme strutturali...

io non sono daccordo e mi dimetto... resto come sempre nella minoranza del partito e continuo la mia battaglia terzaforzista...

ora sono stato più chiaro?

barney (POL)
28-03-04, 10:39
Originally posted by mcandry
....
questa maggioranza sta portando il comune allo sfascio economico e per tappare qualche falla (debiti fuori bilancio pari a 5 mln di euro) ha aumentato tutte le tasse, senza fare riforme strutturali...

......


Come si dice?: CHI VA CON LA CIDIELLE IMPARA A ...CIDIELLARE.

mcandry
29-03-04, 00:56
Originally posted by barney
CHI VA CON LA CIDIELLE IMPARA A ...CIDIELLARE.

che dirti... che ci restino, ma senza di me che seguito a fare la minoranza...

chissà se un giorno diverrò maggioranza...

nuvolarossa
30-03-04, 02:44
"Se la riforma è ibrida e pericolosa"

"E' un modello ibrido e pericoloso". Questo il commento di Giorgio La Malfa alla forma di governo delineata nel progetto di legge costituzionale approvato dal Senato. In una lettera inviata a "La Stampa" di Torino (27 marzo 2004), il presidente del Pri scrive che nel progetto si "prevede che nelle elezioni politiche i cittadini eleggano contemporaneamente il capo dell'esecutivo e la maggioranza parlamentare. Questa impostazione colpisce al cuore il principio costituzionale della separazione dei poteri. Se con lo stesso voto si nominano il capo dell'esecutivo, cui si dà il diritto di scegliere e revocare i ministri e la maggioranza del Parlamento, l'esecutivo prevale sul Parlamento e diviene una semplice camera di registrazione della volontà del vincitore delle elezioni". Per La Malfa "esistono due soli modelli possibili che rispettano il requisito costituzionale della separazione dei poteri. Si può scegliere il modello americano, nel quale gli elettori scelgono il capo dell'esecutivo, ma in cui le Camere vengono elette su base temporale diversa ed hanno poteri dialettici rispetto all'esecutivo stesso. Questo è il modello classico della divisione dei poteri di Montesquieu, con il pregio della stabilità del governo e della scelta diretta di esso da parte dei cittadini e con il difetto che possono determinarsi situazioni nelle quali il Parlamento abbia un orientamento politico opposto al capo dell'esecutivo ed è in grado di paralizzarne l'azione".

Ma c'è un altro modello possibile, quello di un "governo parlamentare, cioè un esecutivo che nasce in seno al Parlamento e che deve sempre godere della sua fiducia. Il pregio di questo sistema è la valorizzazione del Parlamento come sede della volontà dei cittadini; il difetto è il rischio della instabilità dei governi di cui l'Italia ha fatto ampia esperienza nei primi cinquanta anni di storia repubblicana".

"Al rischio di instabilità del modello parlamentare - continua La Malfa - si può ovviare prevedendo, come nella Costituzione tedesca, che il governo possa essere sostituito solo in presenza di una mozione costruttiva di fiducia sottoscritta dalla maggioranza assoluta dei parlamentari. Il confronto fra l'esperienza tedesca e quella italiana conferma l'efficacia di questo correttivo". Secondo il presidente della Commissione finanze della Camera "si può scegliere l'una soluzione o l'altra: l'investitura popolare dell'esecutivo con il contrappeso di un Parlamento indipendente, oppure un governo parlamentare con gli opportuni accorgimenti perché esso non cambi ogni cinque, sei mesi. Vi è invece un vero e proprio rischio democratico in una soluzione che faccia uscire dalle urne, votato dalla maggioranza dei cittadini, magari da una minoranza, come può avvenire se gli schieramenti sono tre o più, un uomo politico nelle cui mani uniche si collochi integralmente il potere esecutivo e legislativo".

"Su questa materia - conclude - non è lecito commettere errori perché i fondamenti di un sistema democratico debbono poggiare su basi solide. Per questo la scelta del Senato è, per quello che mi riguarda, completamente sbagliata ed il problema va riconsiderato nella sua integrità".

nuvolarossa
23-04-04, 09:54
Al via stasera a Lissone (Mi) un seminario sul padre del Federalismo

Il pensiero di Cattaneo? E' sempre più attuale

Stasera alle 21 alla Biblioteca Civica di Lissone (Mi), in piazza IV Novembre, prenderà il via il seminario "Carlo Cattaneo, un Progetto sempre attuale". Relatore sarà l'assessore regionale alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia, Ettore Albertoni, che inaugura il ciclo di conferenze con una relazione sul tema: "Cattaneo e le linee culturali e politiche del Federalismo lombardo". Seguiranno Romano Bracalini ("La vita, i luoghi e la politica del Gran Lombardo" - 29 aprile), Robertino Ghiringhelli ("Attualità del pensiero politico di Carlo Cattaneo" - 6 maggio), Andrea Rognoni ("Cattaneo Etnografo" - 13 maggio).
ETTORE A. ALBERTONI*
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La figura e l'opera intellettuale di Carlo Cattaneo (1801-1869) sono state per un periodo lungo (davvero troppo lungo!) più note per generica e confusa nomea che per conoscenza diretta del Grande Milanese e del suo pensiero. Per fortuna, con il formarsi, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, di una cultura politica ed istituzionale di accentuato e consapevole carattere federalista, questo importante quanto originale pensatore ha cominciato ad uscire dalle nebbie nelle quali l'ideologia retorica ed ingannatrice del centralismo statuale-unitarista e romanocentrico l'aveva iniquamente relegato, per assumere il ruolo che doverosamente gli va attribuito nell'ambito degli studi politici nel senso più alto del termine. Ma anche entro il complesso perimetro della moralità civile di un Paese come il nostro che, da sempre, cerca invano di elaborare e vivere fuori da retoriche d'occasione e da mistificazioni ideologiche e partitiche una propria non artificiosa identità comunitaria e nazionale. Cattaneo - ad onta, infatti, di tutte le elucubrazioni meno credibili e di tutte le chiacchiere assordanti che hanno cercato dal secondo Ottocento ad oggi di dare una risposta ed una soluzione all'irrisolto "problema italiano" - è diventato e resta sempre più una figura centrale e non prescindibile per quanti ritengono che per risolvere questa ormai secolare questione occorra, secondo le sue anticipatrici visioni, un'adesione costante e tenace ai valori delle libertà e, soprattutto, a quella concezione potenziata e realistica della democrazia che è il federalismo.
La legittimazione piena di questa perdurante presenza di Carlo Cattaneo nasce dall'attualità delle sue stesse riflessioni sulle storie plurali di un Paese che, con le sue molteplici, non cancellabili diversità culturali ed esperienze storiche - che si collocano con grande impatto entro i maggiori processi storici delle civiltà umane - è senz'altro più antico e significativo dello Stato burocratico ed invasivo che si è formato solo poco più di 130 anni fa quale prima conclusione del processo di formazione dello Stato attraverso l'unificazione risorgimentale. Uno Stato che è passato di crisi in crisi proprio perché nella ricerca di velleitarie "missioni" e di fittizie "identità" si era gettato subito alle spalle ed aveva quasi dimenticato, per l'incoscienza delle sue diverse classi dirigenti, le grandi storie di cui furono impareggiabili protagoniste le sue più autentiche ed originarie Comunità politiche e culturali: la Serenissima Repubblica di Venezia e Roma cattolica, Firenze e Genova, Milano e Palermo, Napoli e Mantova, nonché i cento e cento Comuni (grandi e piccoli). Esse, proprio grazie alle loro profonde differenze territoriali, hanno dato vita ad una poliedrica quanto originalissima "Comunità italiana", che esiste solo grazie al suo pluralismo perché non appiattibile ed omologabile entro i meschini quanto tirannici (e sempre centralisti) schemi amministrativi ed istituzionali.
In realtà lo schema centralizzatore dominante, in molteplici forme e storicamente compiuto, non fu istituzionale e "politico" nel senso costruttivo e duraturo del termine. Ebbe, invece, significato pragmatico e di non piccola durata rispetto alla breve vita dello Stato centralista italiano (oltre mezzo secolo dal 1945) quando diede vita ad una "unità" politica su base partitica e di spartizione del potere con il consolidarsi dello "Stato dei partiti" nella sua più lunga e più blanda pratica democratico-cristiana, che fruiva del modesto collante ideologico-giuridico - anch'esso "unitario" - della Costituzione repubblicana del 1948. Di quest'ultima da decenni stiamo costatando non solo l'obsolescenza culturale ed istituzionale ma anche gli effetti conservatori e retrogradi rispetto ai problemi posti dallo sviluppo e dalla trasformazione dell'intera Comunità italiana.
Lo Stato uniformatore, non certo amato ed apprezzato da Cattaneo, volendo sempre perseguire astratte ideologie e giacobinismi d'accatto sfuggì, quindi, nella sua mediocre e contraddittoria vita alla sfida cruciale e definitiva che da tempo si era posta in termini perentori. Ha volutamente rifiutato di affrontare e risolvere il nodo essenziale e condizionante del "problema italiano" e, perciò, non è riuscito mai a trovare per i suoi cittadini e le loro Comunità gli equilibri dovuti e doverosi tra la forza delle fondamentali e durature realtà "locali", con i diritti-doveri dei territori e delle città, e le sfide sempre più frequenti e dure dei diversi "globalismi" che si sono succeduti nel mondo moderno e che sempre più si succedono nella nostra tormentata contemporaneità. Da qui nasce ancora oggi il perdurante interesse per Cattaneo, pensatore a noi più che mai vicino per coraggio intellettuale e morale e per disincanto e positivo realismo nell'affrontare gli annosi ed irrisolti problemi della società civile e dell'ordinamento politico.
Morto da 135 anni, Carlo Cattaneo è oggi più presente che mai tra noi. Sono, infatti, ormai molte e qualificate le iniziative organizzate un po' a tutti i livelli - di ricerca, studio, approfondimento e riferimento ideale e culturale - che si richiamano a lui ed al suo pensiero. Esse sono sorte e sono state fortemente stimolate dalla nascita e dal notevole sviluppo negli anni Ottanta del secolo scorso di un significativo e combattivo Federalismo politico, sociale e culturale che, per la prima volta nella storia dell'Italia unita, ha dato vita, con la Lega Nord, ad un vasto ed articolato Movimento presente nella società, nei Comuni, nelle Province e Regioni, in Parlamento e nel Governo del Paese. Un Movimento che vede in Cattaneo un simbolo ed una garanzia di serietà e coerenza in un universo politico italiano dominato sempre più dalla politica politicante dei retori e degli imbonitori.
* Assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia

nuvolarossa
27-05-04, 19:52
La Provincia: storia, territorio e nuovi compiti/Dopo le leggi di riforma

Un'istituzione rinnovata che può servire al Paese

di Pino Vita

La campagna per le elezioni provinciali è in pieno svolgimento, ma la maggioranza dei cittadini, mentre conosce, sia pure approssimativamente, le funzioni e i compiti dei Comuni e dei sindaci ignora quelli delle Province e dei suoi presidenti.

Eppure, partendo dalla legge 142/90 che realizzò la prima riforma dell'ordinamento degli enti locali, una serie di norme successive ha fissato anche i compiti della Provincia, sino ad arrivare al Testo Unico delle leggi contenute nel Dls 267/2000 che rappresenta un corpo organico di norme che regolano la vita dei Comuni e delle Province. In precedenza la legge n.81 del 25.3.93 aveva fissato le nuove modalità per l'elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia e degli altri organi, una riforma che innovò in maniera profonda il sistema elettorale e i metodi di selezione della classe politica. A seguire, una serie di leggi statali e regionali hanno assegnato alla Provincia nuove importantissime funzioni in materia di governo del territorio e di programmazione dei servizi fondamentali, quali la gestione del servizio idrico, la progettazione della rete dei trasporti e l'integrazione tra le diverse modalità di trasporto, l'assetto del territorio e la realizzazione delle infrastrutture di interesse sovracomunale. Spettano, inoltre, alla Provincia, la manutenzione delle strade e degli edifici scolastici e la programmazione della rete scolastica ed alcuni compiti relativi alla programmazione delle attività economiche di area vasta. Si tratta, in sostanza, di funzioni di programmazione, di organizzazione e di coordinamento che, anche se non hanno un rapporto diretto con i cittadini, hanno grande incidenza per la soluzione dei loro problemi.

Alla fine degli anni Sessanta, il Pri, con Ugo La Malfa, aveva chiesto, in vista dell'attuazione dell'ordinamento regionale, l'abolizione della Provincia come livello istituzionale intermedio, ma la proposta non fu accolta e l'istituzione di nuove Province diventò una costante della vita italiana che portò alla loro proliferazione (unico esempio negativo delle democrazie occidentali).

Ai tempi di Giolitti le Province, anche se con funzioni diverse, erano 69, mentre oggi in Italia se ne contano 106 (tre delle quali sono "autonome": Aosta, Trento e Bolzano). Dal 2005 è prevista , dopo il recente varo di Monza e di Barletta-Andria-Trani che comunque dovranno aspettare il 2009 per eleggere i loro organi, l'istituzione di altre 4 province, tutte in Sardegna: Olbia-Tempio, Ogliastra, Carbonia-Iglesias e Medio Campidano. Inoltre, sotto forma di disegni di legge presentati in Parlamento - ci sono almeno altre 30 comunità locali - che chiedono, anche in vista degli effetti economici sperati, di costituirsi in Provincia.

Tra quelle esistenti Trieste è la più piccola. Torino invece la più grande e Sassari la più estesa. La provincia giuliana conta appena 6 comuni e si sviluppa su 21.182 ettari. Torino raggruppa qualcosa come 315 comuni. Sassari invece ha il territorio più grande con 751.993 ettari.

Le province maggiormente popolate sono quelle di Milano (3.705.323 abitanti), Roma (3.704.396), Napoli (3.060.124) e Torino (2.165.299). Solo in queste province la popolazione supera i 2 milioni di abitanti mentre in 14 province la popolazione non raggiunge la soglia del 200.000 abitanti che, in base al decreto legislativo 267 del 2000, è stato il limite per la costituzione delle nuove province di Lodi, Massa-Carrara, Biella, Enna, Sondrio, Vercelli, Crotone, Vibo Valentia, Verbano-Cusio-Ossola, Oristano, Rieti, Gorizia, Aosta, Isernia.

L'istituzione "Provincia" e' stata disegnata la prima volta nell'ottobre 1859, con la legge Rattazzi-La Marmora. Fu il regio decreto n. 3702 del 23 ottobre (la cosiddetta Legge Rattazzi) a predisporre nuove circoscrizioni amministrative. Il Regno venne diviso in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni, e si emanò un nuovo ordinamento dell'amministrazione comunale e provinciale.

In ogni Provincia vi era un governatore in rappresentanza del potere esecutivo, con compiti di soprintendenza alla sicurezza pubblica, dipendente dal ministero dell'Interno; un vice governatore ed un Consiglio di Governo, composto da un massimo di 5 consiglieri. In ogni Circondario vi era un intendente agli ordini del governatore.

Oggi, la Provincia, dopo la riforma del Titolo quinto della Costituzione e l'approvazione della parificazione delle istituzioni territoriali della Repubblica, ha assunto nuova dignità costituzionale per come stabilito dall'articolo 114 della Costituzione, che recita : "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dalla Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane sono enti autonomi con propri statuti e poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione".

Sabato 12 e domenica 13 giugno i 30 milioni e mezzo di elettori delle 63 Province saranno chiamati a scegliere i rappresentanti elettivi che dovranno svolgere i nuovi compiti istituzionali.

Ci auguriamo che dal voto escano premiati i candidati delle numerose liste che il Pri ha presentato in molte delle Province interessate al voto.

nuvolarossa
04-06-04, 00:06
Regioni Ue e Conferenza intergovernativa/Affermare il principio di sussidiarità

Il ruolo rilevante degli Enti locali nella Comunità

di Pino Vita

A poco più di una settimana dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo le Regioni dell'Ue sono intervenute sulla Conferenza Intergovernativa perchè nella nuova Costutuzione europea venga riconosciuto, a tutti gli effetti, il principio di sussidiarietà. In Italia, in applicazione a tale principio, la legge di riforma "Bassanini" n.57/97 ha effettuato un "conferimento generalizzato" alle Regioni e agli Enti locali di tutte le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi ed alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità e di tutte quelle attività che, localizzabili nei rispettivi territori, erano in precedenza svolte dalle amministrazioni statali. Inoltre, sempre per effetto di tali criteri, la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative è attribuita all'ente più vicino al cittadino, quindi a quello locale, e solo in seconda battuta e in misura residuale allo Stato, che continua ad esercitare le funzioni proprie.

Si comprende, pertanto, l'iniziativa assunta dalle Regioni della Ue che vogliono rendere più chiara la ripartizione delle competenze fra l'Unione e gli Stati membri, con la specificazione del livello dove queste vengono esercitate. Per dare più forza alla loro richiesta, i membri della commissione Affari costituzionali del Comitato delle Regioni, l'organismo consultivo che riunisce i rappresentanti di Regioni ed Enti locali di tutti i Paesi dell'Ue, hanno tenuto a Berlino la prima assise sulla "sussidiarietà". La riunione, che ha avuto luogo nella sede del Bundersat, è caduta alla viglia di due appuntamenti chiave per la politica europea: le elezioni europee del 12 e 13 giugno e la riunione del Consiglio Europeo del 17 giugno che potrebbe segnare un momento decisivo per l'adozione della Costituzione europea elaborata dalla presidenza di Giscard d'Estaing.

Per le Regioni la scelta del Bundesrat non è stata casuale, in quanto la Costituzione tedesca contiene un implicito riferimento al principio di sussidiarietà, che è alla base dell'organizzazione della Repubblica federale e viene applicato nella ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni (Laender). Sono stati proprio i Laender - sottolinea l'assemblea delle Regioni e degli Enti locali europei - a mobilitarsi per fare accogliere nel processo di riforma della Ue il rispetto di tale principio. Su tali premesse il Comitato ha concluso facendo appello ai capi di Stato e di Governo, ad adoperarsi facendo riferimento al Trattato uscito dalla Convenzione, "un documento che rappresenta - dicono le Regioni- un incontastabile passo in avanti soprattutto sotto il profilo delle competenze e del principio di sussidiarietà." In questo spirito è stato anche chiesto ai candidati alle elezioni europee di promuovere il progetto di Costituzione, ribadendo individulamente il valore del principio di sussidarietà.

Mentre le Regioni della Ue sottolineavano questi impegni, si sono concluse le operazioni di voto degli alunni di 120 scuole di cinque regioni europee per le elezioni 2004 del Parlamento europeo. Si tratta di una simulazione di voto che interessa 120 scuole europee e si concentra due settimane prima delle elezioni effettive del 12 e 13 giugno e i cui risultati verrano resi noti il prossimo 15 giugno.

Il progetto, denominato "Youth voting Europe" rientra nell'ambito del programma Socrates e riguarda le regioni di Leizig in Sassonia (Germania), Dom Europy Bratislava ( Repubblica Slovacca), Provincia del Luxemburg (Belgio), Regione Abruzzo e Emilia Romagna. Il progetto ha come obiettivo di stimolare l'interesse dei giovani al processo d'integrazione europea e di migliorare la loro conoscenza dei metodi di elezione degli organi rappresentativi. Una tappa importante della realizzazione del Progetto si è avuta il mese scorso all'Aquila, dove nel cosiddetto "seminario di primavera" alcuni giovani si sono preparati alla fase finale del progetto che ha coinciso con l'apertura dei seggi nelle cinque Regioni e con l'inizio delle votazioni.

A questa operazione di simulazione ha fatto riscontro l'entrata in vigore della nuova Carta di assicurazione sanitaria, destinata a semplificare le procedure per l'accesso alle cure e all'assistenza medica in tutti gli Stati membri Ue. La carta sostituisce i vecchi formulari che, anche nelle regioni italiane, a partire dal primo gennaio 2005, sono destinati ad uscire di scena. L'entrata in funzione della Carta in tutti gli Stati membri, così come stabilito in sede europea, dovrebbe infatti avvenire gradualmente e andare a regime entro la fine del prossimo anno. Tutti i cittadini dei Paesi membri coperti da un sistema di sicurezza sociale, ne potranno beneficiare entro la fine del 2005. Grazie alla carta, chi per studio, lavoro o turismo si recherà in uno Stato membro diverso da quello di residenza potrà ottenere cure urgenti con la copertura del servizio sanitario. La carta assicurativa non coprirà invece le spese per chi scegliesse di recarsi in uno Stato membro per la cura di malattie che è possibile affrontare nelle strutture saniatarie italiane.

Tre iniziative diverse, ma che dimostrano come le Regioni e gli Enti locali siano avviati ad esercitare un ruolo rilevante per la realizzazione dei compiti crescenti della Ue, il cui processo di allargamento, iniziato sin dagli anni '50, sta andando gradulamente, ma costantemente, avanti.

nuvolarossa
05-06-04, 21:16
Mezzogiorno: La Malfa, Istituire Ministero Per Lo Sviluppo

(Prs/Pe/Adnkronos)

Reggio Calabria, 5 giu. (Adnkronos) - Istituire il ministero per lo Svilupo del Mezzogiorno. E' la proposta di legge presentata dal presidente del Partito repubblicano Giorgio La Malfa e illustrata questo pomeriggio a Palazzo San Giorgio a Reggio Calabria. Per La Malfa, ci vuole un ministero che abbia il compito di programmare ed attuare gli interventi di politica economica volti al sostegno dello sviluppo delle regioni meridionali, nonche' al coordinamento dell'attivita' delle amministrazioni pubbliche che operano in questo settore.

nuvolarossa
06-06-04, 19:25
La proposta di Giorgio La Malfa

«Il Mezzogiorno ha urgenza del proprio ministero»

Giorgio La Malfa*

La differenza fra il reddito pro capite delle regioni del Mezzogiorno e le regioni dell'Italia del Centro Nord è del 40%: 15.000 euro al Sud rispetto a 25.000 euro al Centro-Nord. Il divario medio non tende a diminuire. Anzi. Se teniamo conto dei grandi trasferimenti di capitale operati dallo Stato, dobbiamo temere che, in assenza di tali interventi, questo divario aumenti ancora.
Le persone in cerca di occupazione raggiungono il 64% al Sud, mentre la popolazione del Mezzogiorno è soltanto poco più di un terzo della popolazione di tutta l'Italia.
Il tasso di disoccupazione al Sud è al 18%, contro il 4,5% del Nord. Il tasso di disoccupazione dei giovani del Sud è al 49%, contro il 14% del Centro-Nord.
Famiglie povere al Sud
Le famiglie del Mezzogiorno che vivono in condizioni gravemente disagiate e in cui nessun membro del nucleo famigliare ha una occupazione sono il 10%; mentre nell'Italia settentrionale accade soltanto per il 2%.
Tre quarti delle famiglie povere italiane vivono al Sud. 17 punti in percentuale segnano la differenza di produttività fra il Nord e il Sud.
Questi dati sono la dimostrazione che il divario fra Nord e Sud continua a essere fortissimo, nonostante gli sforzi compiuti dal 1946 ad oggi.
Nei primi anni del dopoguerra, infatti, fu grande l'impegno per lo sviluppo del Sud, per stimolarne una crescita forte e duratura. Ma recentemente si è pensato che gli interventi straordinari non fossero più necessari, passando così a una politica ordinaria: si è sciolta la Cassa per il Mezzogiorno e si è abolito il Ministero per il Coordinamento degli interventi nel Mezzogiorno. Insomma, si è pensato che per l'Italia meridionale fossero sufficienti le leggi a favore delle zone meno sviluppate e i finanziamenti dell'Unione Europea per le regioni più povere.
Così, oggi non esiste un ente di riferimento per il nostro Sud. Alcune risorse sono distribuite dal ministero dell'Economia, altre dal ministero delle Attività produttive, oppure dal ministero dell'istruzione. Anche il ministero delle Infrastrutture o dell'Ambiente si occupano di iniziative per il Mezzogiorno, e altre risorse sono gestite dalle singole Regioni. Ma senza un coordinamento. E, d'altra parte, sappiamo bene che le risorse messe a disposizione dalla Comunità Europea non sono sempre facilmente utilizzabili.
Dunque, manca uno strumento che consenta di intervenire in maniera programmata, provvedendo alla crescita complessiva di tutta l'area meridionale, e che sia giustificato dalle difficoltà economiche del Sud. Voglio dire che questo strumento dovrebbe funzionare fin tanto che tali difficoltà esisteranno, per poi essere sciolto una volta che il Mezzogiorno abbia raggiunto un livello di sviluppo adeguato.
Amministrare le risorse
Da qui nasce la nostra proposta per il Sud: perché lo strumento di cui ho detto può essere soltanto un ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno. Un ministero che amministri le risorse destinate al Sud: quelle risorse che oggi sono gestite da vari ministeri in modo non ordinato e, quindi, irrazionale.
Al ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno andrebbero trasferite:
- le funzioni in materia di politica delle aree depresse, che sono ora attribuite al Ministero dell'Economia;
- le funzioni in materia di agevolazioni alle attività produttive e di promozione degli investimenti esteri nelle aree depresse, attribuite oggi al Ministero delle attività produttive;
- le funzioni di promozione e sostegno della ricerca, attualmente di competenza del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.
Il ministero dovrebbe occuparsi anche di coordinare le varie iniziative che riguardano il territorio del Sud. Strade, ferrovie, scuole, ospedali: sono progetti che non possono essere affrontati seriamente senza coordinamento fra le Regioni interessate. Ma il ministero dovrebbe svolgere anche un compito di vigilanza sulle società a partecipazione pubblica che hanno responsabilità per il Mezzogiorno.
Ecco perché ritengo indispensabile questa proposta: per dare all'Italia uno strumento con cui risolvere i problemi del Sud e perché, in un arco di tempo ragionevole, il Mezzogiorno, non sia più assimilabile soltanto alla “questione meridionale”.

* presidente del Partito repubblicano italiano

nuvolarossa
07-06-04, 21:35
Un problema non ancora risolto/Le differenze strutturali che dividono il nostro Paese

Concentrare i fondi, coordinare tutti gli interventi

Riproduciamo l'intervento integrale del presidente del Pri Giorgio La Malfa, riguardante l'istituzione di un Ministero per lo Sviluppo per il Mezzogiorno, presentato a Reggio Calabria il 5 giugno durante la conferenza stampa sul tema "Una proposta per il Mezzogiorno".

di Giorgio La Malfa

1. Il Mezzogiorno continua a rappresentare un problema, ancora largamente irrisolto, dell'economia italiana. Indiscutibili sono alcuni successi registrati dall'area meridionale dalla seconda metà degli anni novanta ad oggi tra cui, in particolare, i più elevati tassi di crescita del PIL rispetto al resto del paese (1,7% in media negli anni 1996-2003 rispetto all'1,4%), alimentati soprattutto dalla dinamica degli investimenti fissi lordi. Particolarmente sostenuta è stata anche la crescita dei tassi demografici di impresa, a dimostrazione di una vitalità imprenditoriale che si è rivelata particolarmente vivace nel Mezzogiorno.

Il divario "strutturale" tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord non si è, tuttavia, attenuato nell'ultimo decennio. Al riguardo, vi sono vari indicatori preoccupanti:

il prodotto interno lordo per abitante nel Mezzogiorno in percentuale di quello del Centro-Nord è risultato ancora pari al 58,7% nel 2002 (55,7% nel 1995). Tale incidenza va da un massimo del 67% del Molise ad un minimo del 53,7% per la Calabria (che è la regione più povera del paese);

la dinamica relativa al mercato del lavoro meridionale, pur registrando un discreto recupero, non è riuscita ad attenuare le distanze con il resto del paese: ad esempio, il tasso di disoccupazione nel 2003 è stato pari al 17,7% nel Mezzogiorno contro il 4,5% del Centro- Nord, quindi superiore di 13 punti percentuali, gli stessi del 1995 (20,4% contro il 7,6%);

la disoccupazione giovanile è pari al 49% nel Sud rispetto al 14% del Centro-Nord;

mentre la popolazione del Mezzogiorno è poco più del 35% della popolazione complessiva in Italia, appartiene all'area meridionale circa il 64% delle persone in cerca di occupazione; il tasso di occupazione (pur in crescita dalla metà degli anni novanta) è modesto: 44,1% nel 2003 (41,8% in Sicilia e 42,3% in Calabria) contro il 62,6% nel Centro-Nord (68,3% in Emilia Romagna). Vi sono inoltre, all'interno dell'area meridionale, circa 450 mila nuclei familiari - il 10% del totale - nei quali nessun membro della famiglia ha un'occupazione; nel Centro-Nord solo il 2% delle famiglie si trova in questa drammatica situazione;

a fronte di un miglioramento del tasso di occupazione, sono risultati crescenti dalla seconda metà degli anni novanta i tassi di irregolarità nel Mezzogiorno, pari nel 2001 al 22,9%, rispetto al 12,3% del Centro-Nord. La Calabria e la Campania sono le regioni caratterizzate dai più elevati tassi di irregolarità (rispettivamente del 29,1% e del 25,2%);

per quanto riguarda le infrastrutture, l'indice generale rivela un livello di dotazione pari appena al 78% rispetto ad una media di 100 per l'Italia nel suo complesso. In alcuni campi il confronto è particolarmente sfavorevole. Nel settore idrico, siamo appena alla metà dei valori medi nazionali; nelle comunicazioni, ai tre quinti, nell'energia non si raggiungono i tre quarti. Riguardo all'estensione della rete ferroviaria - Ferrovie dello Stato più ferrovie in concessione - il Sud rappresenta solo il 40,4% del totale italiano;

il valore delle esportazioni per abitante risulta modesto nel Mezzogiorno: 1.371 euro (137 euro in Calabria) contro 6.474 euro del Centro-Nord;

il tasso di industrializzazione conferma la modesta rilevanza del settore industriale nell'area meridionale a confronto con quella del resto del paese: nel 2001, sulla base dei recenti risultati del Censimento ISTAT sulle imprese e sui servizi, tale tasso è risultato pari a 41,5 (115,3 nel Centro-Nord). Rispetto al 1991 tale divario non sembra essersi attenuato (43,3 nel Mezzogiorno contro 125,3 del Centro-Nord);

nel 2001 la dimensione media delle unità locali nel Mezzogiorno è modesta e minore rispetto a quella del Centro-Nord (2,9 addetti contro 3,9). La dimensione media risulta in flessione, per entrambe le aree, rispetto al 1991, a conferma della frammentazione della struttura produttiva del Mezzogiorno e del resto del paese verificatasi negli anni novanta;

l'incidenza della povertà nel 2002, cioè la percentuale di famiglie che hanno una spesa mensile per consumi equivalente al di sotto della soglia della povertà, a livello nazionale è pari all'11% e corrisponde a circa 2 milioni e 456mila famiglie. Nel Mezzogiorno tale incidenza sale al 22,4% rispetto a quote del 5% e del 6,7% registrate nel Nord e nel Centro del paese. Poco più del 66% delle famiglie povere è concentrato nel Sud;

la spesa per la ricerca è localizzata per il 93,4% nel Centro-Nord e per il 6,6% nel Mezzogiorno, così come lo era diversi anni fa. Il personale di ricerca è localizzato per il 92,4% nel Centro-Nord e per il 7,6% nel Mezzogiorno. Vi è poi uno squilibrio interno allo stesso Mezzogiorno; se in fatto di Personale di Ricerca il rapporto Centro-Nord e Mezzogiorno è di 7:1, tra Campania e Calabria è di 6:1 e tra Centro-Nord e Calabria, di 24:1. La ricerca privata (non universitaria) è ancora più squilibrata: assorbe solo il 3% della spesa complessiva ed il 4% del personale, percentuali, queste, inferiori a quelle della ricerca pubblica che sono dell'8.7% e del 9%, rispettivamente.

2. Da questo insieme di dati, non ignoti, ma che talvolta si tende a dimenticare guardando alle medie nazionali, emergono con chiarezza due conclusioni.

La prima è che, nonostante gli sforzi compiuti nel corso del dopoguerra per promuovere lo sviluppo economico del Mezzogiorno, il divario con il Centro-Nord permane elevatissimo. Da tutto questo non si può certo trarre la conclusione che questi sforzi siano stati inutili, poiché in assenza di essi il Mezzogiorno si troverebbe oggi in condizioni assai più precarie di quelle che pure emergono dai dati esposti sopra.

La seconda conclusione è che il persistere di questi divari è un fattore permanente di crisi del tessuto sociale del Paese. E' dunque indispensabile farsi carico del problema e aggredire con politiche appropriate questi problemi.

In realtà, mentre nei primi anni del dopoguerra la scelta che venne operata fu di dedicare un impegno straordinario per cercare di colmare il divario Nord-Sud, in tempi più recenti si è ritenuto che la fase degli interventi straordinari dovesse lasciare il posto a una politica ordinaria. Così è stata posta in liquidazione la Cassa per il Mezzogiorno, è stato abolito il ministero senza portafoglio per il Coordinamento degli interventi nel Mezzogiorno e si è ritenuto che bastassero le leggi specifiche a favore delle zone meno sviluppate, nonché i finanziamenti predisposti dall'Unione europea per le regioni meno favorite.

Ma tutto ciò non basta. Il persistere dei divari, così come la conseguente concentrazione del malessere sociale nel Mezzogiorno, impone oggi una nuova svolta ed il ritorno ad una politica che abbia di mira il Mezzogiorno nel suo complesso e che fissi un traguardo concreto di superamento del divario come specifico obiettivo dell'azione di governo.

3. Un esame della situazione attuale porta inevitabilmente alla conclusione che oggi non vi è più una sede nella quale le varie iniziative per il Mezzogiorno trovino una loro compiuta definizione. Alcune risorse sono distribuite dal ministero dell'Economia; altre, dal ministero delle Attività Produttive; altre dal Ministero dell'Istruzione; altre ancora con un forte impatto sul Mezzogiorno, sono concentrate in ministeri come quello delle Infrastrutture e dell'Ambiente; altre, infine, vengono gestite dalle Regioni individualmente, anche quando sarebbe necessario un coordinamento tra le diverse Regioni meridionali. La stessa utilizzazione delle risorse che l'Unione Europea mette a disposizione delle Regioni più svantaggiate è soggetta ad una serie di difficoltà ben note.

La conclusione alla quale una riflessione attenta sul problema meridionale conduce, è che è indispensabile disporre di uno strumento di intervento destinato a prefigurare lo sviluppo complessivo delle aree meridionali. Si può anche immaginare che si tratti di uno strumento la cui validità è legata alla persistenza delle difficoltà di sviluppo del Mezzogiorno e il cui orizzonte possa essere quindi stabilito in rapporto al superamento di questa condizione differenziale. Si potrebbe, da questo punto di vista, immaginare che questo strumento abbia termine quando tutte le Regioni meridionali abbiano raggiunto condizioni di sviluppo tale da consentire di uscire dal cosiddetto Obiettivo Uno dell'Unione Europea.

Lo strumento non può che consistere nella creazione di un ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno che abbia la responsabilità diretta dell'amministrazione delle risorse specifiche che la legislazione attuale destina alle aree del Sud e il potere di coordinare gli interventi dei vari ministeri destinati alle aree del Mezzogiorno.

In particolare, al ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno verrebbero trasferite le funzioni statali in materia di Politiche di coesione nelle aree depresse attribuite attualmente al ministero dell'Economia ai sensi dell'art. 24 co. 1 lett. C del decreto legislativo 30/07/1999 n. 300.

Inoltre, sarebbero trasferite le funzioni statali in materia di agevolazioni, contributi, sovvenzioni e benefici alle attività produttive dirette ad attuare politiche di coesione, nonché di promozione degli investimenti esteri nelle aree depresse attribuite ora al Ministero delle Attività produttive ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto legislativo n. 300 del 1999.

Sarebbero trasferite infine all'istituendo ministero le funzioni di Promozione e sostegno della ricerca attribuite oggi al ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi dell'art. 50, co. 1, lett. B, del decreto legislativo n. 300 del 1999.

Questo per quanto riguarda l'importante mole di risorse che oggi vengono gestite da strutture ministeriali diverse, in totale assenza di coordinamento, risorse che in tal modo non possono determinare una massa critica di interventi concernenti nelle zone più suscettibili o più bisognose di sviluppo. Vi sono poi una serie di problemi di coordinamento delle iniziative che riguardano l'insieme delle Regioni meridionali, dalle infrastrutture stradali a quelle dell'acqua a quelle ferroviarie e cosi via, che debbono essere affrontati in un quadro unitario, così come deve essere perseguito il coordinamento delle iniziative delle Regioni in tutte le materie che attengono allo sviluppo del Mezzogiorno nel suo complesso.

Per queste ragioni, con il disegno di legge qui presentato, viene modificata la struttura del Cipe ed è istituita una commissione in seno al Cipe, presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal ministro per lo Sviluppo del Mezzogiorno, che comprenda tutti i ministeri interessati a queste problematiche.

Infine, al ministero è affidato il compito di Indirizzo, Coordinamento e Vigilanza sulle società a partecipazione pubblica che operano nel Mezzogiorno o su problemi che attengono al Mezzogiorno.

Il problema dunque è quello di togliere agli interventi, pur lodevoli, che il governo fa e intende fare nel Mezzogiorno e a favore del Mezzogiorno, il carattere di episodicità e frammentarietà che sostanzialmente ne limita l'efficacia complessiva.

L'esempio di quanto si sta qui affermando è il progetto del Ponte dello Stretto, un'opera certamente significativa per mole di investimenti richiesti e quindi per il possibile diretto impatto economico, ma che avrebbe scarsissimo effetto sui processi di sviluppo del Mezzogiorno se non costituisse parte organica di un progetto di attrezzatura infrastrutturale, almeno della Calabria e della Sicilia, se non di tutte le Regioni meridionali. Progetto per il quale è necessaria una considerazione unitaria sotto il profilo economico e finanziario: ma per tale considerazione unitaria oggi non vi è una sede all'interno del governo.

Queste sono in sintesi le ragioni per le quali appare assolutamente urgente e indispensabile, alla luce anche del progressivo venire meno dei finanziamenti europei per la Coesione, che l'Italia si doti di uno strumento specifico mirato a dare vigore e impostazione unitaria alle politiche volte alla soluzione della nostra storica questione meridionale.

La proposta di istituzione del ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno è concretizzata nel progetto di legge che si allega. Esso verrà inviato al Presidente del Consiglio, ai partiti della maggioranza e dell'opposizione, così come alle organizzazioni aziendali e sindacali. Esso sarà oggetto di una iniziativa del Partito repubblicano italiano a tutti i livelli.

nuvolarossa
07-06-04, 21:49
Mezzogiorno: nuova proposta/L'impegno dei repubblicani per lo sviluppo del Sud

Un ministero per colmare quel vecchio divario fra le due Italie

La questione meridionale? Questione irrisolta e dunque attuale, visto che la distanza dal Nord resta così marcata da indicare la presenza di un'Italia del Centro-Nord e di un Mezzogiorno, finendo col riproporre il sistema delle "due Italie". I dati mostrano un divario che è stato esposto durante una conferenza stampa, come annunciato dalla "Voce", svoltasi sabato scorso a Reggio Calabria a Palazzo S. Giorgio, promossa dal Partito repubblicano, per illustrare la proposta di legge d'iniziativa del presidente del partito Giorgio La Malfa per l'istituzione di un Ministero per lo sviluppo del Mezzogiorno. Insieme a La Malfa il segretario nazionale del Pri Francesco Nucara, sottosegretario all'Ambiente.

La parola "Mezzogiorno" era già scomparsa dall'ultima finanziaria, sostituita dall'indicazione "zone disagiate", mettendo, ad esempio, allo stesso livello le zone più arretrate e sottosviluppate dell'entroterra ionico e tirrenico con quelle un po' meno floride dello stesso Nordest. La proposta repubblicana intende coprire un gap socio-economico rimasto immutato nel corso di oltre cinquant'anni.

"La differenza permane _ ha spiegato il presidente del Pri dopo l'introduzione del vicesindaco Giovanni Rizzica _ ed è aggravata dallo smantellamento di tutti gli strumenti _ Cassa per il Mezzogiorno, ministero per il coordinamento degli interventi nel Mezzogiorno _ e le attività dei vari ministeri, come se il problema non esistesse più". I numeri sono stati esposti da La Malfa anche in articoli pubblicati da vari quotidiani: 40% è lo scarto in meno del reddito pro capite delle regioni del Mezzogiorno rispetto all'Italia del Centro Nord: 15.000 euro il Sud rispetto a 25.000 euro del Centro-Nord. Il divario medio non tende a diminuire. Se teniamo conto dei grandi trasferimenti di capitale operati dallo Stato, dobbiamo temere che, in assenza di tali interventi, questo divario aumenterebbe ancora. Inoltre il 64% delle persone in cerca di occupazione appartiene al Sud, mentre la popolazione del Mezzogiorno è soltanto poco più di un terzo della popolazione complessiva dell'Italia. 18% è il tasso di disoccupazione al Sud, contro il 4,5% del Nord. 49% è il tasso di disoccupazione dei giovani del Sud, contro il 14% del Centro-Nord. 10% sono le famiglie del Mezzogiorno che vivono in condizioni di grave disagio, in cui nessun membro del nucleo famigliare ha una occupazione; nell'Italia settentrionale accade soltanto per il 2%. Inoltre i 3/4 delle famiglie povere italiane vivono al Sud, mentre 17 punti percentuali segnano il divario di produttività fra Nord e Sud. "Nei primi anni del dopoguerra - ha sottolineato La Malfa - fu dedicato un grandissimo impegno allo sviluppo del Sud, alla sua potenziale crescita. Ma recentemente si è pensato che, ormai, gli interventi straordinari non fossero più necessari. Insomma si è pensato che per l'Italia meridionale fossero sufficienti le leggi a favore delle zone meno sviluppate e i finanziamenti dell'Unione Europea per le regioni più povere". Oggi, in sostanza, non esiste più un ente di riferimento per il Sud. Alcune risorse sono distribuite dal ministero dell'Economia, altre dal Ministero delle Attività produttive, altre ancora dal Ministero dell'Istruzione. Iniziative per il mezzogiorno sono comprese nelle attività del Ministero delle Infrastrutture o dell'Ambiente, altre infine sono gestite dalle singole Regioni. "Senza un coordinamento - prosegue il presidente del Pri - E anche le risorse messe a disposizione dalla Comunità Europea non sono facilmente utilizzabili". Ciò che manca è uno strumento che consenta di intervenire in maniera programmata, e che sappia provvedere alla crescita complessiva di tutta l'area meridionale, uno strumento giustificato dalle difficoltà economiche del Sud. Che duri finché tali difficoltà esisteranno e che venga sciolto una volta che il Mezzogiorno abbia raggiunto un livello di sviluppo adeguato. Questo strumento può essere soltanto un ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno. Un ministero che amministri le risorse destinate al Sud: quelle risorse che oggi sono gestite disordinatamente da vari Ministeri. Al Ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno andrebbero trasferite: le funzioni in materia di politica delle aree depresse, ora attribuite al Ministero dell'Economia; le funzioni in materia di agevolazioni alle attività produttive e di promozione degli investimenti esteri nelle aree depresse, oggi attribuite al Ministero delle attività produttive; le funzioni di promozione e sostegno della ricerca, oggi attribuite al Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca. Il Ministero dovrebbe occuparsi anche di coordinare la varie iniziative che riguardano il territorio del Sud: strade, ferrovie, scuole, ospedali. Perché non si possono affrontare grandi progetti senza coordinamento fra le Regioni interessate; e di svolgere un compito di vigilanza sulle società a partecipazione pubblica che hanno responsabilità per il Mezzogiorno. Gli interventi pensati dal governo per il Mezzogiorno sono molto spesso frammentari, slegati e per questo motivo probabilmente essi costano più di quanto non rendano: la riconduzione della politica per il Mezzogiorno in un unico centro consentirebbe di razionalizzare gli interventi e renderli più efficaci. Anche rispetto al ponte sullo Stretto La Malfa ha ribadito che si tratta di "una buona idea, ma nel quadro di un insieme di interventi, preso da solo è poco più di un monumento". Il segretario del Pri Francesco Nucara ha posto l'accento sulla mancanza d'attenzione non soltanto politica, ma soprattutto culturale. "Bisogna pensare al Mezzogiorno come risorsa per lo sviluppo del Paese", ha detto Nucara, sottolineando gli interventi più urgenti per un abbassamento del tasso di disoccupazione ed indicando prioritariamente interventi nelle infrastrutture idriche, nelle comunicazioni, nel settore dell'energia, nelle ferrovie dello Stato, nella Ricerca, nel territorio e nella sua valorizzazione. "Obiettivi raggiungibili grazie ad uno strumento efficace, come appunto il Ministero per il Mezzogiorno".

nuvolarossa
07-06-04, 21:52
La Nota Politica
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Future sfide economiche

Le risorse che devono essere valorizzate nella competizione globale

di Francesco Nucara

L'Italia deve affrontare nei prossimi anni la sfida della sua permanenza nel club dei primi Paesi in un contesto europeo e globale caratterizzato da formidabili dinamiche della distribuzione internazionale del lavoro, con la presenza di competitori agguerriti e dotati di grandi potenzialità.

La ricetta, a livello nazionale, per affrontare questa sfida è ormai nota: recuperare la capacità di fare sistema puntando sull'innovazione, sulla conoscenza, sulla produttività globale, sulla valorizzazione della cultura e dello stile italiano sia come valore aggiunto dei suoi prodotti e dei suoi servizi, sia come fattore di attrazione dei flussi turistici. Il tutto da sviluppare con uno spirito di cooperazione fra le parti sociali e di collaborazione fra tutte le aree del Paese, simile a quello degli anni del "miracolo economico".

In questo contesto riemerge in modo imperioso la questione del Meridione, un'area grande e popolosa più di molte delle nuove Nazioni che sono entrate a tutti gli effetti nell'Europa Unita dal 1° maggio 2004, caratterizzata dalla presenza di ingenti potenziali risorse che non possiamo più permetterci di tenere sotto utilizzate.

Il problema del Mezzogiorno si conferma problema dell'Italia, perché ne condiziona la sopravvivenza nella storia. Problema italiano, dunque, e proprio per questo problema europeo. Verso la sua soluzione devono confluire le migliori energie del Paese e i molti capitali in giro per il mondo in cerca di impieghi produttivi.

Il riposizionamento del Mezzogiorno nei programmi di investimento nazionali e internazionali richiede una forte ed esplicita volontà politica volta ad incidere profondamente sui fattori che hanno sinora scoraggiato o addirittura punito le localizzazioni produttive nel Sud.

Le principali risorse del Meridione da valorizzare sono il fattore umano e il territorio.

Oggi i giovani del Mezzogiorno rappresentano quasi la metà dei giovani italiani per una popolazione che supera di poco 1/3 del totale: basta questo semplice dato demografico a dare un quadro delle enormi potenzialità sotto utilizzate del meridione.

E' necessaria l'immediata attivazione di un programma di consolidamento e ampliamento della base produttiva in grado di avvicinare il tasso di disoccupazione del Sud ai valori del Centro-Nord, il che richiede la creazione di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Bisogna assicurare le condizioni perché le risorse siano inserite in un contesto ad elevata produttività globale, assicurata dalle infrastrutture materiali ed immateriali.

Il Mezzogiorno presenta forti squilibri nella dotazione infrastrutturale, tanto al suo interno quanto verso l'Italia in generale e il Centro-Nord in particolare.

Se l'indice generale rivela un livello di dotazione pari appena al 78% rispetto ad una media di 100 per l'Italia nel suo complesso, le note si fanno assai più dolenti passando ad esaminare le singole infrastrutture: per quelle idriche, siamo appena alla metà dei valori medi nazionali; per le comunicazioni, siamo ai tre quinti e per l'energia non si raggiungono i tre quarti. Se poi si ha riguardo all'estensione della rete ferroviaria - Ferrovie dello Stato più ferrovie in concessione - il Sud rappresenta solo il 40,4% del totale italiano.

Sono problemi che hanno duramente penalizzato il Mezzogiorno in passato, quando i principali mercati di sbocco dei prodotti industriali erano i Paesi forti dell'Europa Settentrionale e delle Americhe, così lontani e così poco raggiungibili.

Sono problemi che, se non adeguatamente compensati, rischiano di penalizzarlo ancor più in futuro rispetto ai mercati emergenti del bacino Mediterraneo, dell'Europa orientale e dell'Asia, verso i quali il Mezzogiorno potrebbe rappresentare un ponte naturale a disposizione dell'intera Unione europea.

Naturalmente, non si tratta solo di ripianare il deficit pregresso di infrastrutture fisiche: occorre anche puntare sul rapido sviluppo delle nuove infrastrutture immateriali come le reti telematiche, le strutture educative e di ricerca, le tecnologie per la salvaguardia ambientale.

Un fattore di squilibrio è legato alla ricerca. Sono noti i preoccupanti dati nazionali a confronto con quelli dei paesi con cui dobbiamo competere. La situazione del Mezzogiorno risulta a dir poco catastrofica se evidenziamo lo squilibrio di spese, Centri ed Istituti e Personale di Ricerca tra Mezzogiorno e resto del Paese.

Secondo dati recenti, la spesa per la Ricerca è localizzata per il 93,4% nel Centro-Nord e per il 6,6% nel Mezzogiorno così come lo era diversi anni fa. Il Personale di Ricerca è localizzato per il 92,4% nel Centro-Nord e per il 7,6% nel Mezzogiorno. Per ogni 100.000 abitanti vi sono 243 Ricercatori nel Centro-Nord e 35 nel Sud. Vi è poi uno squilibrio interno allo stesso Mezzogiorno; se in fatto di Personale di Ricerca il rapporto Centro-Nord e Mezzogiorno è di 7:1, tra Campania e Calabria è di 6:1 e tra Centro-Nord e Calabria, di 24:1. Nell'ambito della Ricerca non universitaria, la Ricerca privata è ancora più squilibrata: assorbe solo il 3% della spesa complessiva ed il 4% del personale, percentuali, queste, inferiori a quelle della Ricerca pubblica che sono dell'8.7% e del 9%, rispettivamente.

La tutela e la valorizzazione del territorio è l'altra grande opportunità del Meridione. La situazione attuale dell'ambiente nel meridione è variegata e richiede l'utilizzo di forme di intervento diverse che possono essere di tutela, di valorizzazione, di infrastrutturazione, ecc. quali:

- difesa del suolo, sistemazione idrogeologica, forestazioni protettive;

- salvaguardia delle coste, infrastrutturazione portuale mirata ed efficiente;

- razionalizzazione dei sistemi urbani e recupero dei centri storici;

- valorizzazione delle aree interne nei loro multiformi aspetti di potenzialità inespresse e di marginalità;

- salvaguardia dei beni culturali ed ambientali.

Questi obiettivi sono perseguibili con il rilancio della Programmazione democratica e con uno strumento operativo autorevole che coordini in modo efficiente le risorse necessarie e raccordi le azioni dei Soggetti locali che devono essere i protagonisti del nuovo rilancio del Mezzogiorno.

Il Ministero per il Mezzogiorno risponde a questa esigenza.

Roma, 7 giugno 2004


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L'Mre queste proposte se le sogna .... sanno solo dire : noi siamo piu' bravi ... noi siamo piu' di sinistra ... voi siete di destra ... noi siamo piu' mazziniani di voi ... l'unico che ragiona un po' e' un certo Paolo Arsena ... che pero', a corto di argomenti, con scuse fanciullesche, del tipo maestro ... Nuvola mi tira gli elastici, ha abbandonato il Forum per andare su quello dei socialisti-siciliani dove, per manifesta inferiorita' dei partecipanti, riesce a far passare come elucubrazione intelligente anche ogni aria di poppa !

N.R.

nuvolarossa
09-06-04, 21:14
L'articolato inviato al presidente del Consiglio/Abbandonare l'obiettivo 1

La Malfa: una proposta di legge per lo sviluppo del Mezzogiorno

Il presidente del Pri Giorgio La Malfa ha presentato la proposta di un Ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno "a vita limitata", fino a che l'ultima Regione del Sud uscirà dall'"obiettivo 1". La proposta di legge di cui oggi pubblichiamo l'articolato è stata inviata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, accompagnata dagli attuali numeri del divario sulla disoccupazione, che va dal 18% registrato nel Sud, al 4,5% del Nord. La Malfa ha dichiarato, durante i suoi recenti impegni, proprio alla "Gazzetta del Mezzogiorno", che il grande sostegno del nostro Sud a Berlusconi era stato dato per la promessa di un rilancio economico del meridione. Le difficoltà incontrate dal governo, La Malfa le ha riconosciute come oggettive. Ciò non toglie che "una politica di sviluppo economico siamo ancora qui ad aspettarla". A chi può poi ritenere questa iniziativa come un ritorno al passato, il presidente del Pri ha risposto: "Per contestare questa proposta bisognerebbe ritenere che qui al Sud le cose vanno bene. O almeno proporre qualcosa di diverso". Quanto all'idea che l'asse dell'attuale governo sia troppo spostata verso il Nord, La Malfa ha confermato il suo "no" al disegno di legge federalista, aggiungendo che non voterà mai "una riforma costituzionale che veda la divisione del Paese sui terreni dell'ordine interno della sanità e della scuola, delegando tutto alle Regioni".

Ecco il testo dell'articolato.

Istituzione del Ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno

Art. 1

(Istituzione del Ministero per lo sviluppo del Mezzogiorno)

1. E' istituito il Ministero per lo sviluppo del Mezzogiorno, di seguito denominato "Ministero", con il compito di programmare ed attuare gli interventi di politica economica volti al sostegno dello sviluppo delle regioni meridionali, nonché al coordinamento dell'attività delle amministrazioni pubbliche e delle società a partecipazione pubblica operanti in tale settore.

2. Con regolamento adottato ai sensi del comma 4-bis dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, si provvede, entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge, alla definizione dell'assetto organizzativo del Ministero ed alle riorganizzazioni degli altri Ministeri che si rendano necessarie a seguito dell'istituzione del Ministero.

Art. 2

(Competenze e finalità)

1. Al Ministero sono attribuite le funzioni ed i compiti spettanti allo Stato in materia di programmazione ed attuazione degli investimenti pubblici, di coordinamento della spesa pubblica, di programmazione, coordinamento, attuazione e verifica degli interventi, anche infrastrutturali, per lo sviluppo economico delle aree depresse del Mezzogiorno, nonché di politiche di coesione.

2. Il Ministero esercita le funzioni previste dalla legge in materia di strumenti di programmazione negoziata e di programmazione dell'utilizzo dei fondi strutturali comunitari con riferimento alle aree depresse del Mezzogiorno.

3. Il Ministero svolge compiti di indirizzo, coordinamento e vigilanza sugli enti pubblici statali e sulle società a partecipazione pubblica operanti nel settore delle politiche di coesione con riferimento alle aree depresse del Mezzogiorno, esercitando inoltre i diritti di azionista dello Stato nelle predette società.

4. Il Ministero esercita le funzioni di promozione e sostegno della ricerca delle imprese situate nelle aree depresse del Mezzogiorno nonché di promozione degli investimenti esteri nelle imprese situate nelle medesime aree.

Art. 3

(Trasferimento di funzioni)

1. Al Ministero sono trasferite le funzioni statali in materia di politiche di coesione nelle aree depresse attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 24, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

2. Sono trasferite al Ministero le funzioni statali in materia di agevolazioni, contributi, sovvenzioni e benefici alle attività produttive dirette ad attuare politiche di coesione, nonché di promozione degli investimenti esteri nelle aree depresse attribuite al Ministero delle attività produttive ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto legislativo n. 300 del 1999.

3. Sono trasferite al Ministero le funzioni in materia di promozione e sostegno della ricerca delle imprese con riferimento alle aree depresse, attribuite al Ministero dell'istruzione, dell'Università e della ricerca ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 300 del 1999.

Art. 4

(Modifiche alla struttura del CIPE)

1. Presso il Comitato interministeriale per la programmazione economica è istituita la Commissione per il sostegno allo sviluppo nelle aree depresse del Mezzogiorno.

2. La Commissione è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su delega, dal Ministro per lo sviluppo del Mezzogiorno ed è composta dal Ministro economia e finanze, dal Ministero per le attività produttive, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministro per le politiche agricole e forestali.

3. Il coordinamento delle attività della Commissione è attribuita al Ministero per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Art. 5

(Disposizioni di attuazione)

1. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sono definite le modalità di trasferimento al Ministero delle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero per le Attività produttive alle quali sono attribuiti compiti nelle materie assegnate alla competenza del Ministero medesimo.

2. Con i decreti di cui al comma 1 sono altresì definite le modalità di trasferimento al Ministero delle relative risorse umane e strumentali.

nuvolarossa
24-06-04, 11:54
Polemiche sui brogli, silenzio sulle pensioni

La sinistra si aggrappa alle battute di Silvio Berlusconi sulla riconosciuta “esperienza” degli scrutatori dei partiti di sinistra per scatenare l’ennesima furibonda polemica fondata sul nulla e che serve a nascondere i reali problemi del paese. La questione da passare sotto silenzio è quella della riforma delle pensioni. Che il governo intende varare anche ricorrendo al voto di fiducia per piegare una sinistra sempre più attestata su posizioni immobiliste e conservatrici.

http://www.opinione.it/files/copertine/berlusconi-23-06-2004.jpg

Le elezioni taroccate

di Biagio Marzo

Silvio Berlusconi non è stato originale nel dire che nei seggi sono state, nell’ultima tornata elettorale del 13 giugno, cancellate schede elettorali a suo svantaggio e a vantaggio dell’opposizione. Già nel 1996 aveva accusato che un milione e seicentomila voti risultarono annullati di cui la stragrande maggioranza, a suo parere, erano del Polo delle Libertà. Precisamente in due campagne elettorali in cui il centrodestra ha perso, lui parla di brogli elettorali. Non usò la medesima parola nel ’94 quando vinse per la prima volta e non la usò nemmeno il 13 maggio del 2001, quando ritornò a Palazzo Chigi.
Secondo lui, tutta colpa dei “fessi” di Forza Italia, dilettanti allo sbaraglio, rispetto alle volpi della sinistra, veri professionisti della politica.

Quando Forza Italia vince è lui che la porta alla vittoria, quando perde sono i suoi dirigenti, nella fattispecie i rappresentanti di lista, a portarla alla sconfitta. A ben vedere, Forza Italia è in campo da dieci anni pieni e non è più un partito di primo pelo. In un decennio o ha imparato a fare politica oppure è meglio che sia sciolta. Il partito del Presidente non ha alcuna ragion d’essere se è fatto di “fessi”, per dirla con le parole del premier. Ammesso e non concesso che sia così, Berlusconi non fa una bella figura tirarandosi fuori dalle responsabilità del flop elettorale e, nello stesso tempo, vestire i panni del cavaliere senza macchia, addossando le colpe ai rappresentanti di lista di Forza Italia, incompetenti di leggi e regolamenti elettorali. Un vero leader si assume le sue colpe in prima persona. Neanche per sogno si permette il lusso di giocare allo scaricabarile.

Come si può pretendere che dei rappresentanti di lista facciano il loro dovere, quando Forza Italia è un partito di iscritti e non di militanti? Mentre il rappresentante di lista arruolato a suon di euro partecipa senza passione e preparazione allo scrutinio delle schede, il rappresentante di lista militante non lo fa per l’euro, ma per spirito di appartenenza. Il che è una bella differenza. Non sarà la prima e nemmeno l’ultima volta che si parlerà di brogli elettorali. In Italia, c’è una lunga casistica di brogli elettorali che risalgono a Giovanni Giolitti, definito il “Ministro della malavita” da Gaetano Salvemini per come manovrava a suo vantaggio i voti attraverso la Prefetture e capibastone clientelari del Sud Italia. Anche Benito Mussolini andò al potere attraverso la manipolazione violenta del voto. Dopo la caduta del fascismo, attraverso il referendum vinse la repubblica e la monarchia perse. Anche allora si parlò di brogli elettorali della sinistra. Il ministro degli Interni, il socialista Giuseppe Romita, fu messo sotto accusa dai monarchici, perché aveva letto dati falsi, favorendo la cacciata dei Sabaudi dall’Italia. Di conseguenza, si passò dalla monarchia alla repubblica.

Perché, Berlusconi parla di elezioni taroccate? Perché siamo alla vigilia dei ballottaggi e facendo la vittima pensa di galvanizzare il suo elettorato per mandarlo a votare e che gli possa assicurare la vittoria, dopo il tornado elettorale abbattutasi sulla Casa delle Libertà.
Tuttavia, il terreno scelto da Berlusconi non è quello migliore per far cambiare parere agli elettori. A dire il vero, si è chiuso un ciclo, quello degli anni Novanta, fatto di comunicazione e di slogan ed è iniziato uno nuovo di politica e di partito. Gli italiani ritornano in piazza per sentire i comizi e c’è voglia di organizzazione partitica. Dal partito che non c’è si è tornati alla ricerca del partito che c’era, luogo di partecipazione di dibattito. Anzi, si diceva che fosse una scuola di vita. Silvio Berlusconi, in verità, fu il primo a capire gli anni Novanta, ma è l’ultimo a capire gli anni del Ventunesimo secolo.

Biagio Marzo

nuvolarossa
28-06-04, 22:59
Le richieste delle Regioni e degli Enti locali al Governo in vista del Dpef/Temi in primo piano: Federalismo, Tributi, Servizio sanitario, Politiche sociali e del Welfare

Dopo i ballottaggi i problemi sono diventati più difficili

Mentre Berlusconi sta cercando negli incontri con i responsabili delle forze politiche di maggioranza (a proposito c'è stato la scorsa settimana un incontro interlocutorio con il segretario e il presidente del Pri) il rilancio e il riassetto dell'azione di governo con la definizione di una serie di provvedimenti economici, la Confindustria, le Regioni e gli Enti locali hanno avanzato le loro proposte.

Le Regioni sostengono che il Dpef 2005-2008 deve ripristinare la loro autonomia fiscale e finanziaria, deve mantenere le attuali regole del Patto di stabilità interno ma, soprattutto, il governo dovrà evitare di scaricare sugli equilibri finanziari locali ogni eventuale riduzione del prelievo fiscale nazionale. I governatori regionali sono stati impegnati a mettere a punto un documento circostanziato la cui prima bozza è stata esaminata nei giorni scorsi in una riunione riservata e nel quale chiedono che sia ripristinata l'autonomia fiscale e finanziaria, modificando le norme che hanno bloccato l'autonomia impositiva e quelle che hanno limitato il ricorso all'indebitamento per gli investimenti. Vogliono inoltre il mantenimento delle attuali regole del Patto di Stabilità interno, in maniera che nessuna conseguenza negativa possa ricadere sugli equilibri della finanza regionale per effetto di eventuali manovre di riduzione della pressione fiscale. Infine i Governatori premono per la definizione di un metodo concreto di confronto tra Stato e Regioni in maniera da risolvere le questioni finanziarie che restano aperte.

Sul piano specifico per quanto concerne il federalismo le Regioni chiedono che l'Alta Commissione rispetti i tempi previsti per la conclusione dei suoi lavori e assuma come posizione delle Regioni e degli Enti Locali il documento sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale predisposto già nel 2003.

Per la questione dei tributi le Regioni, a partire dal 2001, hanno approvato manovre basate sull'aumento delle aliquote dell'addizionale regionale all'Irpef e all'Irap. Sottolineano però, come a quasi tre anni di distanza, nessuna Regione si è vista accreditare dal governo i gettiti aggiuntivi derivanti da queste manovre, sebbene si siano registrati aumenti in linea con le previsioni di maggiori introiti effettuate dalle Regioni al momento del varo delle manovre. Le Regioni chiedono pertanto l'immediato accreditamento dei gettiti aggiuntivi delle loro manovre tributarie e si dichiarano immediatamente disponibili a verificarli con il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Per quanto concerne il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale le Regioni evidenziano che dal 2005 il livello di partenza del finanziamento di tale servizio dovrà comprendere i maggiori oneri per i Livelli Essenziali di Assistenza, per l'assistenza agli immigrati regolarizzati e per il rinnovo dei contratti di lavoro e delle convenzioni. Su questa base il fabbisogno si attesta attorno ad un importo complessivo di 89 miliardi, mentre sostengono che un ulteriore apposito finanziamento (una tantum) dovrà essere reperito a copertura delle convenzioni e degli arretrati contrattuali per gli anni 2002-2003-2004 per complessivi 4,6 miliardi di euro .

Per le politiche sociali e del welfare le Regioni ritengono irrinunciabili le garanzie relative alla stabilità del Fondo per le Politiche Sociali, al finanziamento dei Livelli Essenziali di Assistenza Sociale (Liveas), nonché l'adozione di specifiche misure (un fondo) per risolvere il problema della non autosufficienza; inoltre in materia di previdenza integrativa va accelerato l'iter normativo che consenta alle stesse la possibilità di istituire appositi fondi.

Per le politiche abitative le regioni chiedono al Governo l'impegno di finanziare le politiche della casa attraverso un apposito Fondo con una contribuzione alla spesa pari almeno alla media della spesa storica assicurata dallo Stato nel triennio 1995-1997 pari a circa 1.100 milioni.

Per le risorse per le Aree Sottoutilizzate la strategia passa attraverso la cooperazione tra le Regioni del Mezzogiorno, lo Stato centrale e le Regioni del Centro Nord.

Per la Neutralità fiscale il conferimento di beni del patrimonio disponibile a società S.p.a. è soggetto a tassazione (imposta di registro, ecc. e tassazione delle plusvalenze) mentre per il Demanio Idrico oltre alle competenze delegate in materia di canoni è opportuno che alle Regioni siano trasferiti tutti i beni del demanio per dare coerenza alla materia.

Da parte loro le Autonomie locali si sono dichiarate pronte al confronto preventivo con il governo sul prossimo Dpef, prima del 5 luglio, giorno in cui il governo presenterà i conti pubblici. Lo hanno affermato, in una nota congiunta, i presidenti dell'Anci e dell'Upi. "I comuni e le province - ribadiscono - sono fin da subito disponibili all'incontro con il governo per la verifica delle rispettive posizioni in materia di predisposizione del Dpef e per costruire insieme un percorso che porti ad una manovra finanziaria che non penalizzi ulteriormente le autonomie locali".

"Non siamo più disponibili sul territorio". "E questo perché – ribadiscono - siamo certi che, dopo il contributo fino ad oggi dato al risanamento della finanza pubblica, non ci siano più spazi per manovre a danno di enti di governo territoriale".

Una soluzione su questi temi dovrà avvenire dalla verifica in corso, ma dopo i risultati dei ballottaggi, i problemi e i rapporti all'interno della stessa maggioranza sono diventati più difficili.

Pino Vita

nuvolarossa
19-07-04, 10:38
Stretta finale su pensioni e devolution Settimana decisiva per il governo che si presenterà alle Camere Tra gli altri appuntamenti pure la riforma della giustizia e il Dpef

Debutto Il nuovo ministro dell'Economia, Domenico Siniscalco

Roma Inizia per il governo la settimana decisiva. Tre sono gli appuntamenti importanti che attendono l'attuale maggioranza di governo finita in una quasi-crisi dopo l'uscita di Tremonti dal ministero dell'economia e i malumori all'interno di Lega e Udc. Gli argomenti all'ordine del giorno sono la riforma delle pensioni, il federalismo e la manovra economica. Un vero e proprio banco di prova attende dunque la casa delle Libertà che nei giorni scorsi ha nominato il nuovo ministro dell'economia Domenico Siniscalco. Si comincia proprio dalla riforma delle pensioni, che oggi approda in aula alla Camera. Il voto di fiducia, però - annunciato a suo tempo dal premier Silvio Berlusconi e che il Governo potrebbe chiedere già per domani - non sembra più così scontato. Anzi, anche alla luce della difficile situazione all'interno della maggioranza, l'ipotesi fiducia sembrerebbe, almeno al momento, accantonata. Probabile, quindi, che da domani nell'aula di Montecitorio si tenterà il rush finale, per approvare definitivamente il provvedimento nel giro di pochi giorni, forse già nella prima metà della settimana. Le polemiche non sembrano tuttavia cessate. Cgil, Cisl e Uil dopo le proteste dei mesi scorsi sono più che mai sul sentiero di guerra e già da domani in tutti i luoghi di lavoro ci saranno fermate, presidi e assemblee. Dopo oltre due anni di iter parlamentare, la delega previdenziale sembrerebbe quindi in dirittura d'arrivo. Il testo che approda in aula alla Camera è lo stesso approvato in Senato, visto che la Commissione lavoro di Montecitorio non ha apportato modifiche al provvedimento, votando (praticamente a titolo simbolico) solo pochissimi emendamenti e respingendoli. Un fatto quest'ultimo che è stato duramente criticato proprio dalle tre sigle sindacali confederali. Questo per evitare che potesse slittare l'inizio dell'esame in aula. Oggi sarà quindi il giorno del relatore, Luigi Maninetti (Udc), che esporrà i contenuti del provvedimento. Poi, da martedì le votazioni. Lo scorso 8 giugno il presidente del consiglio aveva annunciato la fiducia («per evitare - aveva detto - le migliaia di emendamenti delle sinistre ed approvare la riforma subito»). Ma nei giorni scorsi è stato lo stesso ministro del Welfare, Roberto Maroni, a frenare. E in casa Lega c'è chi ha assicurato (è il caso di Giancarlo Giorgetti, presidente della Commissione Bilancio della Camera) che fino a quando non si sarà definitivamente sbloccata la situazione nella maggioranza, la Lega non voterà il provvedimento. Oltre alla delega delle pensioni l'altro tema è il decreto della manovra correttiva dei conti pubblici per il 2004, che comincia il suo cammino in commissione bilancio. Saranno quelle le prime occasioni per vedere se l'accordo nella maggioranza tiene. Le commissioni Finanze e attività produttive sono sempre alle prese con il provvedimento per la tutela del risparmio. Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha convocato proprio per stasera alle 19 una riunione con i presidenti delle commissioni finanze Giorgio La Malfa e Bruno Tabacci e i relatori del provvedimento. Un incontro al quale parteciperà anche il nuovo ministro Domenico Siniscalco. Un'altra cartina di tornasole sarà la discussione sulle riforme che tiene banco alla commissione affari costituzionali di Montecitorio: la Lega preme per l'approvazione della devolution, frenata da An e Udc. La votazione degli emendamenti è già cominciata. L'Udc ha ritirato 14 emendamenti. Ma restano altre 10 modifiche che Follini ha inserito nella lettera al premier. Nei prossimi giorni il governo dovrà mandare in parlamento il documento di programmazione economica e finanziaria. E da ultimo la riforma dell'ordinamento giudiziario. Durante il precedente passaggio parlamentare a palazzo Madama l'Udc puntò i piedi fino a sfiorare la rottura con il ministro Roberto Castelli. È probabile che la questione non si chiuda prima delle vacanze. Meno problematico è il discorso sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero anch'esso all'esame in senato. La Casa delle Libertà è infatti compatto a favore della prosecuzione delle missioni, compresa quella in Iraq.

nuvolarossa
28-07-04, 11:16
Il governo pone la fiducia sulla riforma delle pensioni, segnalando così la ferma determinazione in una riforma strutturale. Dopo gli annunci di ³manovra², dopo i tagli e le tasse di Siniscalco, dopo la tardiva e colpevole presa d¹atto della reale situazione delle casse pubbliche, questo, almeno, è un fatto positivo.

Berlusconi ha sottolineato che la riforma delle pensioni è indifferibile, perché lui stesso l¹ha promessa ai colleghi europei, durante la riunione dell¹Ecofin. Ed ancora una volta, quindi, torna l¹idea dell¹Europa come vincolo. E¹ come se dicessimo a noi stessi: certi sacrifici ce li risparmieremmo volentieri, ma visto che è l¹Europa ad imporceli, dobbiamo anche sorbirceli. Il guaio è che l¹idea del vincolo europeo è un¹idea da perdenti, un¹idea che ci portiamo dietro da molti anni, che ha permeato di sé governi d¹opposto colore politico.

Male, perché se si vuole che un Paese, ed i suoi cittadini, guardino positivamente all¹Europa si deve anche viverla come opportunità e conquista, si deve essere capaci di coglierne i vantaggi del grande mercato e adottarne le maggiori tutele dei diritti individuali. Se, invece, come si continua a fare, la si spaccia per amara medicina, si otterrà solo la crescita della protesta e del rifiuto, già presenti, del resto, nelle tasche di tutti noi.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

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tratto dal Gruppo "I Repubblicani"
http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/799

nuvolarossa
28-07-04, 17:54
... finalmente siamo sulla linea d'arrivo della riforma delle pensioni ... sono passati tre anni circa da quando il Governo ha fatto agli italiani la promessa di arrivare in porto con questa riforma .... e dopo decine di tentennamenti finalmente ci siamo ... anche se con il metodo della "fiducia".
I sindacati, per contratto, devono far finta di brontolare e contestare ... magari anche con toni ruvidi e plateali .... ma voglio vedere come faranno a convincere e portare i lavoratori in piazza quando, fra questi lavoratori che saranno investiti dalla riforma, ci sono lavoratori che andranno a "lucrare" il 30% e piu' in busta paga semplicemente scegliendo di rimanere a lavorare ....
La maggior forza sindacale di oggi non e' piu' il sindacato dei metalmeccanici ... e' risaputo che e' il sindacato dei "pensionati" ... e quindi la riforma ... convincendo con metodi abbastanza pragmatici (cioe' con tanto di moneta ... e tanta anche) i lavoratori a non andare in pensione ... creera' un decremento pluriennale nella consistenza numerica di questa categoria .... obbligando quindi i sindacati ... se vogliono continuare ad essere una organizzazione seria e convincente ... a ritornare a fare proseliti tra i lavoratori .... tra quelli cioe' che in pensione ancora non ci sono ... ed a fare battaglie normative e salariali convincenti e fattibili di concerto con le esigenze dei lavoratori che sono stati lasciati da anni ... da troppi anni ... soli con se stessi ... narcotizzati ed addormentati dai governi precedenti che vedevano nei posti chiave della controparte di Stato le stesse forze amiche della burocrazia e del funzionariato sindacale ...
Le tre Confederazioni dovranno .. giocoforza ... sospendere, nei prossimi anni, le trasmigrazioni in su ed in giu' ... in lungo e in largo nella penisola .... a sbafo delle contribuzioni della categoria dei "pensionati".... era ora ... non se ne poteva piu' di vedere centinaia di funzionari all'Hotel Hilton di Monte Mario o al Negresco di Nizza ... o alle Terme di Montecatini .... a sperperare il denaro dei lavoratori colpevoli soli di dare troppa ... eccessiva fiducia a chi dovrebbe tutelare i loro interessi.

nuvolarossa
04-08-04, 20:10
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Federalismo e Costituzione

Giusti punti di equilibrio evitando il cortocircuito fra Stato e Regioni

Il governo ha fatto bene ad impugnare lo Statuto della Regione Toscana davanti alla Corte Costituzionale per ciò che concerne le coppie di fatto, e altrettanto bene a diffidare il Comune di Genova per l'annunciato voto agli immigrati extracomunitari.

Fintanto che c'è una legge dello Stato, occorre rispettarla, quali che siano i margini di autonomia federale che pure si vogliano dare a proposito. Per cui nella decisione del governo non c'è nessuna incoerenza con un eventuale disegno federalista. C'è l'adempimento, invece, delle leggi correnti che non vanno disattese finché sono in vigore.

Il problema piuttosto è che, in base alle modifiche costituzionali già approvate nella passata legislatura - ci riferiamo all'articolo 127 per come è stato sostituito dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001 - anche la Toscana e magari la Regione Liguria, in difesa delle scelte di Genova, potranno impugnare a loro volta la diffida del governo davanti alla Corte costituzionale.

Perché ormai il conflitto fra Regione e Stato, grazie all'intervento del centrosinistra, è la prassi comune della vita repubblicana.

Sotto questo profilo noi non siamo mai stati assertori ideologizzati della forma federale o centralizzata dello Stato unitario. Noi siamo assertori dello Stato unitario che funzioni e che abbia dei punti di equilibrio certi, e capaci di fronteggiare qualsiasi istanza. Questo può dunque essere benissimo anche federale. Ma si badi bene a non perdere di vista la coesione dello Stato stesso e creare una conflittualità latente fra i suoi organismi, come è successo con le modifiche costituzionali nella passata legislatura. Il fatto che si sia riaperto un tavolo tecnico sulle riforme nel centrodestra dopo quello di Lorenzago, ci fa pensare che evidentemente non si è ritenuta sufficiente quella prima ricognizione avvenuta su questa materia - come ha confermato un partito presente a Lorenzago - con gli emendamenti al testo di riforma che pure quella stessa formazione aveva contribuito a elaborare.

In casi di questo genere è meglio una aggiunta di riflessione. La nostra idea resta quella che, prima di toccare la Carta costituzionale, sarebbe stato meglio pensarci duemila volte, visti anche i risultati finora prodotti, non certo incoraggianti.

nuvolarossa
05-08-04, 11:19
Dal 2 al 10 del mese prossimo il «tavolo tecnico» della maggioranza: si parlerà di devolution, premierato e Senato federale e sarà avviata la discussione sul sistema elettorale proporzionale

Riforme rinviate a settembre

Calderoli: aperti al confronto. Ma l'Ulivo non si fida

ROMA La Casa delle libertà affronterà a fine estate i nodi delle riforme costituzionali. Dal 2 al 10 settembre è convocato il tavolo tecnico della maggioranza: si parlerà di devolution, premierato, Senato federale e sarà anche avviata, dice l'Udc, «un'approfondita riflessione» sulla riforma della legge elettorale. La decisione arriva dopo una riunione di due ore e mezza al ministero delle Riforme. Nelle prima giornata romana senza lavori d'Aula e senza parlamentari, si sono presentati il ministro Roberto Calderoli, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Donato Bruno, Domenico Nania (An), Luca Volontè (Udc) e il leghista Federico Bricolo.
Il comunicato diffuso al termine dell'incontro parla esplicitamente di dialogo ad ampio raggio con il centrosinistra, gli enti locali e le parti sociali. «Desideriamo aprire il confronto e raccogliere ulteriori contributi - spiega Calderoli - sia dei rappresentanti istituzionali degli enti locali, sia delle forze sociali, sia dei partiti dell'opposizione». Più esplicito il capogruppo dell'Udc alla Camera Volontè, il quale annuncia che il ministro delle Riforme inviterà i rappresentanti del centrosinistra «ad occasioni di confronto», nelle prime settimane di settembre, con l'obiettivo di trovare «un compromesso alto in Parlamento».
Difficile non avvertire in queste parole un'eco dell'intervento di Pier Ferdinando Casini ieri nell'Aula di Montecitorio. Il presidente della Camera anche oggi torna a parlare del dialogo e della mediazione come di valori fondamentali della politica e «delle funzioni istituzionali da esercitare nel rispetto delle diverse posizioni».
Il centrodestra dunque chiama, ma l'opposizione per ora non sembra fidarsi più di tanto. La sinistra più radicale sbatte la porta: il leader Verde Pecoraro Scanio invita il centrosinistra a rifiutare «ogni inciucio», mentre Pino Sgobio (Pdci), avverte: «Nessun tavolo con Calderoli e con chi attenta all'unità nazionale e sociale del Paese». Più morbido l'atteggiamento dei partiti della Lista Prodi, che comunque sono chiarissimi: se confronto deve esserci, le uniche sedi riconosciute sono le aule parlamentari. «Verificheremo se quella della Cdl è una vera apertura», spiega Pier Luigi Castagnetti (Margherita). Gli fa eco il coordinatore della segreteria Ds Vannino Chiti: se non è un bluff siamo pronti. «Le riforme non si fanno a maggioranza - avverte - altrimenti sarà scontro durissimo in Parlamento e nel Paese». E Luciano Violante taglia corto: «Il confronto sulle riforme si fa solo in Parlamento».
Nel centrosinistra c'è anche la consapevolezza che la delicata partita di settembre potrebbe spaccare la maggioranza e allora tornano a farsi sentire i 'tifosì dell'Udc. «Confido nei centristi - dice sempre Chiti - e mi auguro che, dopo gli interventi di Casini e di Follini, in autunno il partito non voglia congelare se stesso». Incalza il socialista Ugo Intini, per il quale «se l'Udc vuole resistere alla Lega, l'opposizione è pronta a dare il proprio contributo».
E chi poteva essere se non Bruno Tabacci (Udc), autentica spina nel fianco degli alleati, ad anticipare le schermaglie di fine estate? Il presidente della commissione Attività produttive della Camera non molla e annuncia altri emendamenti al testo sulle riforme: «Aspettatevi qualcosa, non me ne starò con le mani in mano». Tabacci inoltre, assieme a un gruppo di esponenti del centrodestra critici sui contenuti del Ddl approdato alla Camera (Biondi di Forza Italia, Malgieri di An e il repubblicano La Malfa), organizza un incontro, il 13 settembre, proprio con la finalità di presentare proposte di modifica.
Altro tema che potrebbe turbare il tavolo tecnico di maggioranza sarà la questione della riforma della legge elettorale, con l'Udc che vorrebbe un ritorno al proporzionale. Calderoli esclude che il tema possa essere oggetto di discussione nei lavori dei primi di settembre. «Certamente - precisa invece Volontè - il tavolo tecnico avvierà un'approfondita riflessione sulla questione».

nuvolarossa
06-08-04, 20:36
Ritorno al proporzionale

Appare inarrestabile il tramonto della seconda Repubblica
Ad una discussione che si è aperta nella CdL sul proporzionale, si aggiunge come richiesta della sinistra radicale il ritorno a questo sistema, avvertito come garanzia della propria autentica fisionomia politica. Lo aveva scritto Cesare Salvi e lo ha sostenuto Gianni Vattimo sulla "Stampa" del 5 agosto. Questa proposta è stata giudicata da Gian Enrico Rusconi, sulla "Stampa" del 6, "un modo per azzerare" l'Ulivo. Nel merito, secondo Rusconi, il ritorno al proporzionale "non sarebbe altro che la speranza di guadagnare qualche punto percentuale in più per la propria formazione, anche a costo di rendere più difficile ogni futura coalizione o federazione di centrosinistra". E' un'analisi corretta, ma che dipende dal rifiuto di contribuire alla nascita di un soggetto unitario riformista nella sinistra, proprio nel momento in cui vi è l'urgenza di un programma comune dell'opposizione. Perché se il programma deve essere comune tra forze moderate e di sinistra, se occorre ricercare un utile compromesso di governo, allora la sinistra vuole salvaguardare la propria fisionomia per assicurarsi un margine utile ad ogni strappo o passo indietro.

In fondo si potrebbe interpretare anche in questa maniera la richiesta di Follini: il proporzionale legittimerebbe le proprie posizioni specifiche di partito, rappresenterebbe una salvaguardia nei confronti della coalizione che tende ad assimilarle e a mutarle.

In altre parole, lascia le mani libere, perché gli eletti devono rendere conto al loro partito prima che alle ragioni della coalizione. Ci è difficile dire come si evolverà questo dibattito, ma rispetto a diversi anni addietro notiamo che esso si è intensificato ed i proporzionalisti, a destra, a sinistra e al centro, sono aumentati considerevolmente. Ciò significa, innanzitutto, che l'illusione bipartitica è destinata a sparire in breve, a causa di identità irriducibili. Poi, che il bipolarismo attuale si è scoperto imperfetto, perché se offre stabilità, non assicura capacità di governo. E questo lo vedremo quando si tratterà di comporre i dissidi interni alla maggioranza sulla riforma federale dello Stato ed il premierato. A conti fatti ci sembrerebbe di poter dire che si sta andando diritti alla fine della Seconda Repubblica, soffocata nelle sue stesse confusioni. Da parte nostra non avremmo ragione di molti rimpianti.

Roma, 6 agosto 2004

nuvolarossa
24-08-04, 11:00
Quale riforma liberale

DON BENEDETTO

di GIUSEPPE GALASSO

È proprio così brutta la Costituzione italiana come dice Piero Ostellino? Così illiberale che perfino quel poco di liberalismo che è in essa (peraltro, tradotto dal tedesco da Benedetto Croce) è permeato di un profondo antindividualismo? Davvero la sua redazione è stata monopolio di marxisti, gentiliani e crociani, in una comune, teologica e teleologica avversione al liberalismo? Se è così, si è avuto poco modo di accorgersene. La Costituzione ha bene assecondato sessant'anni di un progresso senza precedenti nella storia dell'Italia moderna e con pochi eguali al di fuori. Un progresso per nulla limitato al campo economico, in cui, pure, ha rovesciato la precedente condizione dell'Italia in quella di Paese fra i primi del mondo per struttura dell'economia e per prodotto nazionale e redditi individuali. Un progresso che ha visto un rapido passaggio dai costumi di una società tradizionalista, ancora molto immersa nella ruralità, a quelli di una società allineata alle più libere di oggi, con un formidabile incremento degli spazi di libertà individuale (figli, giovani, donne, gay…).
Prevedo una risposta: quel che si è fatto, lo si è fatto malgrado la Costituzione, che lo ha subìto, non agevolato. Spiegazione che, per noi, spiega male. Un quadro istituzionale davvero avverso al movimento delle cose e della società ne viene travolto in modo che, per la Costituzione italiana, solo per paradosso o per polemica o per altri motivi strumentali si può dire che sia accaduto.
Che lo si riconosca o no, alcune piccole osservazioni vanno comunque fatte ai giudizi di Ostellino.
1) Nel redigere la Costituzione non operò affatto, da solo, ammesso che se ne possa parlare, un odioso trio marx-gentilian-crociano. Come si può dimenticare, ad esempio, il ruolo avuto in quella redazione, in positivo e in negativo, dai cattolici, che, tra l'altro, avevano il 40% dei seggi della Costituente? Succubi, i cattolici, del trio? Via!
2) Il contenuto di socialità lamentato come limitativo dei diritti individuali in quel testo non fu affatto un anormale caso italiano. Nacquero allora anche altre Costituzioni europee, e in tutte vi fu la tendenza ad ampliare sul piano sociale il quadro tradizionale dei diritti, senza voler affatto derogare dall'individualismo e dal liberalismo.
3) Questo ampliamento non era, a sua volta, una fisima europea. La liberal-democrazia americana lo aveva già precorso nel New Deal del grande F. D. Roosevelt (che si dové fare perciò una Corte costituzionale conforme a tale esigenza) e lo avrebbe poi proseguito col Fair Deal di Truman; anzi, lo sta ancora facendo, dalla presidenza Clinton allo sforzo programmatico di Kerry.
4) Non si può credere che socialità e individualismo si escludano a vicenda. È vero che nella Costituzione vi sono relitti corporativi e d'altro genere, eredità del passato (ve ne sono anche nella liberalissima Inghilterra); ma non sono essi a dare il tono all'insieme e sono stati e possono essere via via eliminati con le procedure familiari dei regimi liberi, a cominciare dal referendum, che la stessa Costituzione prevede.
5) Le istituzioni italiane sono quelle di un regime di larghe garanzie: libertà più ampie delle quattro di Roosevelt, bicameralismo, Corte costituzionale, habeas corpus, triplice grado di giustizia sia penale e civile che amministrativa e tributaria, ampio diritto del lavoro, pubblicità delle procedure, referendum… Insomma, lo schema canonico, in questo campo, nell'Occidente contemporaneo.
6) Ci si chieda, però, se il liberalismo, o altro regime, possa mai riposare solo sul suo quadro istituzionale: Mussolini in Italia e Hitler in Germania hanno detto qualcosa al riguardo. Le istituzioni liberali e le loro garanzie non sono nulla se entro di esse non vive e vigila e opera lo spirito etico e politico della libertà (si diceva un tempo che la monarchia inglese era più repubblicana di molte repubbliche; e questo, non altro, è il senso della posizione di Croce, che non era un mero scoliasta di Hegel e non traduceva, come liberale, dal tedesco, bensì dal piemontese di Cavour e dal francese dei Constant, Guizot, Tocqueville). Ed è perciò che le istituzioni sono innocenti quando sembrano aprire alla loro negazione una via, che è invece responsabilità della loro gestione e del loro vissuto.
Lungi dal pensare che l'ordinamento italiano sia il meglio del meglio o che esso non ponga problemi e mali da affrontare, e anche gravi, o che rispetto ad altri Paesi non vi siano differenze apprezzabili, io prendo, però in buona parte le ragioni di Ostellino. Le prendo, cioè, come un ammonimento (brusco, ma valido) alla vigilanza e allo sviluppo liberale della costituzione e come un'esortazione (rude, ma sensata) a eliminarne i residui passatistici.

Giuseppe Galasso

nuvolarossa
24-08-04, 11:06
La Costituzione è illiberale o la libertà ha un limite?

RICCARDO BARENGHI

Caro Barenghi, Piero Ostellino, in un suo editoriale apparso domenica sul Corsera, ritiene ormai anacronistico celebrare la Costituzione italiana, che, a suo dire, presenta «tendenze illiberali» in campo socio-economico, frutti di un retaggio comunista e fascista. Io mi chiedo in che modo e in che misura vorrebbe modificare la nostra Costituzione. Credo che egli miri ad un cambiamento volto ad una connotazione maggiormente liberista della nostra economia e quindi ad una società in cui impera l'individualismo. Ma questa soluzione sarebbe davvero la più auspicabile? Quali risultati ha prodotto in paesi, Stati uniti in primis, dove è stata applicata? Penso, al contrario, che bisognerebbe valorizzare un ruolo forte dello Stato in campo socio-economico, evitando, ad esempio, quelle privatizzazioni selvagge che hanno caratterizzato non solo i governi di centrodestra. L'interesse della collettività dovrebbe, infatti, essere anteposto a quello individuale., in ogni occasione. Concludendo, a mio parere, la Costituzione italiana non è affatto da considerarsi - mi perdoni il termine - «fuori moda», pure in un momento come questo in cui sembra si voglia cambiare tutto, spesso cancellando le cose migliori. Suo affezionato lettore. Jacopo Carbonari, Trento

Diciamo che un riassunto così efficace dell'ideologia neoliberista io non l'avevo mai letto. Complimenti dunque a Ostellino per le sue capacità di ideologo (e di sintesi). Detto questo, è ovvio che io sono d'accordo con lei e non con lui. Credo anche che l'estremizzazione alla quale l'editorialista del Corriere si lascia andare sia fatta apposta per provocare qualche reazione, aprire una discussione, scatenare una polemica (quel che noi stiamo facendo esattamente in questo momento). Tuttavia, quel che è scritto è scritto, dunque oggi sappiamo che la corrente di pensiero di cui Ostellino è un alfiere sostiene che la nostra Costituzione mescoli assieme fascismo e comunismo, in un minestrone statalista e corporativista che deprime l'individuo, la sua libertà, la sua iniziativa. Non in economia ma in tutti i campi della vita civile. Secondo il commentatore, insomma, la storia dell'Italia repubblicana sarebbe stata determinata dall'associazione (ovviamente a delinquere) tra l'autoritarismo fascista e il totalitarismo comunista, «i due estremi si sono incontrati in una concezione organicistica della società». Concezione che prevede un controllo dello stato su tutto e tutti, il che dimostra che abbiamo vissuto finora in un regime illiberale (l'aggettivo ricorre spesso): «...Così, la Costituente, monopolio di marxisti, gentiliani, crociani, ha prodotto, ieri, la Costituzione che continuiamo anacronisticamente a celebrare, e alla cui riforma si oppongono, oggi, i postmarxisti e i postogentiliani. Accomunati nella teologica (e teleologica) avversione per il liberalismo». Fosse solo Ostellino a pensarla così (ma poi chissà da quando, non mi pare che durante gli anni della sua direzione del Corriere scrivesse queste cose della nostra Costituzione, avrà cambiato idea), comunque fosse solo lui non ci sarebbe da preoccuparsi. Purtroppo l'ondata ideologica che lui cavalca è ben più potente e non si è formata oggi. Viene dagli anni ottanta, da quella premessa del berlusconismo che fu il craxismo con le sue velleità di cambiamento radicale della costituzione, quella materiale e quella formale. A Craxi l'operazione non riuscì, grazie a tangentopoli (a proposito di libertà di iniziativa) e a una certa reattività dell'opinione pubblica contro quella deriva di modernismo tanto spregiudicato quanto insopportabile. Oggi però potrebbe riuscire, e non pochi passi in questa direzione sono stati compiuti sia ovviamente dal governo attuale che, meno ovviamente, da quelli che lo hanno preceduto. Tuttavia, almeno per ora, la cultura politica della Costituzione resta quella originaria. Che può anche essere stata utilizzata per altri fini (lo statalismo clientelare della Dc, che le ha consentito di mantenere ben saldo il suo potere per decenni, altro che comunismo o fascismo), oppure anche per dare poco spazio alle libertà individuali (e qui l'incontro tra la religione cattolica e quella comunista qualche danno l'ha prodotto), ma che porta in sé un valore fondamentale che non dovrebbe mai esser messo in discussione. L'interesse generale insomma, che si può anche riassumere con il concetto che dice: la mia libertà finisce dove comincia la tua. Anche la libertà di Ostellino ha un limite.

nuvolarossa
04-09-04, 11:17
Carlo Fusaro, Il presidente della Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 141, euro 8,00

Può essere molto utile, specie in questi tempi di aspre polemiche, (si pensi alla questione della “grazia a Sofri”) conoscere le funzioni e le prerogative del presidente della Repubblica italiana. Il volume, attraverso un percorso agile ed essenziale, esamina questa importante figura istituzionale alla luce della storia italiana senza trascurare le prospettive, le possibilità di una futura riforma costituzionale nell’ambito della cosiddetta “transizione italiana”.

tratto dal PENSIERO MAZZINIANO
n.1 anno 2004

nuvolarossa
19-09-04, 11:01
RIFORME/ LA MALFA: SENATO FEDERALE E' UN PASTICCIO (CORRIERE)


Si mette a rischio l'equilibrio tra Governo e Parlamento

Milano, 19 set. (Apcom) - La proposta di riforma per un "Senato federale e il nuovo iter di formazione delle leggi sono un vero pasticcio, che mette a rischio l'equilibrio tra Parlamento e Governo". Ne parla così il presidente del Pri, Giorgio La Malfa, per il quale "in Italia si continua a pensare di cambiare la Costituzione anche per motivi puramente politici".

Non piace a La Malfa la parola "federale", che considera una "formula ibrida che può risultare ingestibile" anche il rafforzamento dei poteri del premier. Secondo La Malfa, sul Senato federale, "c'è il rischio di fare un misto fra il sistema americano e un sistema opposto. In sintesi ci ritroveremmo con una Camera dei deputati troppo debole, soggetta all'Esecutivo, e una troppo indipendente, autonoma. Con il rischio di un processo legislativo fra le due Camere che diventa un pasticcio", con il conseguente "indebolimento del ruolo del Parlamento e una dialettica fortissima del Senato rispetto al sistema".

copyright @ 2004 APCOM

nuvolarossa
20-09-04, 19:38
Menzogne e dimenticanze

Quella Costituzione sulla quale aveva giurato il Capo dello Stato

Se il referendum sulla fecondazione assistita rischia di dilaniare il Paese, come ha detto il professor Romano Prodi, a maggior ragione lo dilanierebbe un referendum sulla riforma della Costituzione. Per cui, se la logica non difetta, per evitare la spaccatura del Paese, bisognerebbe evitare, con il referendum sulla fecondazione, anche quello sulle riforme, che invece Prodi vorrebbe a gran voce, tanto da rimproverare la parte che nel suo schieramento appare incline a cercare per lo meno un confronto con il centrodestra. Per cui tendiamo a credere che, in verità, al professor Prodi, poco o nulla interessi della divisione o dell'unità del Paese, ma che invece molto lo preoccupi l'ipotesi di una spaccatura della sua coalizione che, su riforme e fecondazione, è già spaccata nei fatti.

Dobbiamo riconoscere allora, molto più coerente e sensato, l'atteggiamento dei democratici di sinistra, i quali ritengono che se il Paese si deve spaccare, lo si spacca sui diritti civili e non sulle modifiche apportate all'articolo 117 o a quello 93 della Costituzione. Aggiungiamo poi, che gli stessi Ds, per primi, modificarono la Costituzione rafforzandone l'istanza federalista fino a raggiungere una inquietante duplicazione delle competenze fra Stato e Regioni tale da consentire una paralisi istituzionale. E che il premierato, ora contestato, era nel programma del centrosinistra almeno dal 2001. Se poi, ancora non fosse chiaro, lo ricordiamo al professor Prodi e a coloro che fingono di non saperlo: la Costituzione del '48, a cui le formazioni storiche dell'antifascismo diedero il loro contributo e con loro il Pri che a tutte è sopravvissuto, non esiste più dai tempi dell'ultimo governo Amato. Quella Costituzione sulla quale aveva giurato il capo dello Stato, è stata manomessa dalla coalizione che sostiene oggi il professor Prodi, ed è merito dell'attuale maggioranza di aver per lo meno ristabilito l'interesse nazionale, che il centrosinistra scelleratamente aveva disperso, oltre a quello di cercare in queste stesse ore di apportare i miglioramenti al testo proposti dal Parlamento. Tutte cose che il centrosinistra a suo tempo non fece, sicuro che così avrebbe rivinto le elezioni e che nessun critico si sarebbe più permesso di aprire bocca.

Roma, 20 settembre 2004

nuvolarossa
21-09-04, 11:02
Il Centro "Pannunzio" ha dato vita con sede a Torino al Comitato per la difesa dei valori della Costituzione Repubblicana "Piero Calamandrei". Il Centro ha inteso interpretare l'appello del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi a non sottovalutare valori della Costituzione Repubblicana nata del 1948. Il Parlamento sta discutendo di modificare oltre quaranta articoli di detta Costituzione, introducendo una Senato federale che lascia perplessi molti, al di là degli schieramenti politici. "Prima di gettare, a colpi di maggioranza una Costituzione che ha salvaguardato la democrazia e la la libertà in Italia per quasi sessant'anni - afferma il presidente del Centro "Pannunzio" professor Pier Franco Quaglieni - bisogna riflettere. I nuovi costituenti si rivelano "giuristi" occasionali che rivelano evidenti lacune. Nel richiamarci al nome di uno dei padri della Costituzione, il grande giurista Piero Calamadrei, vogliamo invitare tutti gli schieramenti politici a ponderare le ricadute negative che avrebbe il progetto del ministro Calderoli. Va salvaguardata l'unità d'Italia, conquistata nel Risorgimento e riaffermata nella Resistenza. Solo un'approvazione parlamentare in modo largo e non sulla base di schieramenti precostituiti può garantire la salvaguardia dello spirito della Carta Costituzionale e dei valori condivisi che essa proclama". Chi vuole aderire al Comitato "Calamandrei" può scrivere al Centro"Pannunzio" di Torino-Via Maria Vittoria 35 o alla mail info@centropannunzio.it ,tel.0118123023.

brunik
21-09-04, 11:22
Amici, ora o mai più.

Il Berlusca rischia seriamente di perdere le prossime elezioni e di tornare semplice onorevole, e quindi di essere processato. Ormai il tempo corre, tra un anno e mezzo si va a votare, bisogna provvedere presto.

L'avvocato Saponara, che in questi anni di pollismo si è battuto in parlamento sempre come un leone per salvare il cliente dal legittimo carcere che gli spetterebbe di diritto, ne ha pensata un'altra delle sue (ovviamente il cliente non ne sa niente :D :D ).

Approfittiamo della devoluscion per estendere il lodo schifani a tutti gli onorevoli. E mettiamola nella Costituzione, questa elementare norma di garanzia.

Garanzia di rubare indisturbati.



Libero, 21.9.04
Immunità totale per tutti gli onorevoli
Emendamento di Saponara al federalismo: alt ai processi anche se precedenti l'elezione

ROMA - {t.m.) Due emendamenti, presentati dal deputato di Forza Italia Mi chele Saponara, per introdurre a favore di deputati e senatori uno "scudo" che li protegga da «indag u' ue processi penali in corso in ogni fase, stato e grado». Procedimenti che «su richiesta delle Camere di apparteneneza sono sospesi». Si tratta, in pratica, del tentativo di estendere ai parlamentari il discusso "lodo Schifani" poi bocciato dalla Corte costituzionale.
Beneficiari della proposta che portava il nome del capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, erano solo il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, i presidenti delle Camere e il presidente della Consulta. Grazie all'avvocato di Forza Italia, invece, in caso di approvazione tutti i membri del Parlamento potrebbero avvalersi del prezioso "scudo". Negli emendamenti 11.07 e 11.08, Saponara chiede l'introduzione, nell'articolo 68 della Costituzione, del principio che «su richiesta delle Camere di appartenenza sono sospesi nei confronti di deputati e senatori le indagini e i processi penali in corso in ogni fase, stato e grado, per qualsiasi reato». Anche un reato, aggiunge il deputato forzista, «riguardante fatti antecedenti all'assunzione della funzione e fino alla cessazione della medesima». E nel sub-emendamento a firma Taormina e Leone, pure loro di Forza Italia, è specificato che «i membri del Parlamento beneficiano dell'esenzione da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario». Immunità, però, che non può essere invocata «nel caso di flagrante delitto» e che comunque ciascuna Camera ha il diritto di revocare. Proposte che adesso attendono la risposta dell'aula e degli alleati.

http://www.gruppi.margheritaonline.it/immagini_deputati/523.jpg
ha fatto di più per il garantismo l'avv. Saponara
che tutti i repubblicani messi assieme. Sveglia, PRI.

nuvolarossa
21-09-04, 20:08
"Corriere della Sera" 19 settembre 2004/Il presidente del Pri: la nuova Camera è troppo indipendente, così si mette a rischio l'equilibrio tra governo e Parlamento

La Malfa: un pasticcio fare leggi con il Senato federale

Intervista a Giorgio La Malfa, a cura di Marco Galluzzo, pubblicata sul "Corriere della Sera" del 19 settembre 2004

Non è mai stato d'accordo "perché fosse per me non avrei toccato nulla, avrei lasciato intatta la Costituzione vigente, che rimane eccellente. Purtroppo ha cominciato il centrosinistra, con i cambiamenti, per giunta a colpi di maggioranza". Ma se proprio deve entrare nel merito, Giorgio La Malfa considera "il Senato federale e il nuovo iter di formazione delle leggi una vero pasticcio, che mette a rischio l'equilibrio fra Parlamento e governo". Corollario sulle cause del pasticcio: "In Italia si continua a pensare di cambiare la Costituzione anche per motivi puramente politici, per conseguire alcuni obiettivi".

Cosa salva della riforma?

"Considero migliorativo e di molto la revisione del Titolo V, a parte la parola federale, che non mi piace. Innanzitutto perché si dà più peso all'interesse nazionale, dando al governo e al Parlamento un potere di iniziativa legislativa per tutelare questo interesse. Altro punto molto importante è il principio di sussidiarietà. E poi per fortuna sono riportate alla competenza statale alcune materie molto importanti, dalle reti di trasporto a quelle energetiche. Io limiterei la riforma costituzionale a questi punti, lasciando perdere tutti gli altri aspetti, rinviandoli al più alla prossima legislatura e meditandoli in modo più approfondito".

Su produzione legislativa e Senato lei parla di pasticcio. Perché?

"Con questo Senato, che non ha il vincolo della legge elettorale che elegge il premier, c'è il rischio di fare un misto fra il sistema americano - dove c'è una Camera completamente libera e dialettica rispetto all'esecutivo - e un sistema opposto. In sintesi ci ritroveremmo un sistema con una Camera dei deputati troppo debole, soggetta all'esecutivo e una troppo indipendente, autonoma. Con il rischio di un processo legislativo fra le due Camere che diventa un pasticcio. E con due conseguenze, entrambe negative: un indebolimento complessivo del ruolo del Parlamento e una dialettica fortissima del Senato rispetto al sistema".

È pur vero però che il Senato subisce forti limitazioni.

"Sì, ma scalcerà probabilmente per riottenere alcuni poteri. Credo che ci stiamo inutilmente complicando la vita. Avrebbe un senso se introducessimo un Senato alla tedesca, che rappresenta i consigli regionali. Ma se è elettivo come fa a rappresentare le istanze federali? Tanto valeva abolirlo".

La commissione paritetica chiamata a dirimere eventuali contrasti fra le due Camere: la convince?

"Beh questo sì, mi sembra inevitabile. È una sorta di comitato di conciliazione. C'è anche nel Parlamento europeo, quando è in contrasto con la Commissione o con il Consiglio dei ministri europeo".

Boccia anche il rafforzamento dei poteri del premier?

"Si introduce una forma di governo ibrida, con una designazione del primo ministro dai parte dei cittadini in un sistema che rimane formalmente parlamentare. Un connubio che può diventare ingestibile. Allora sarebbe meglio scegliere il modello americano. Ho paura che ci stiamo allontanando troppo dal modello prevalente in Europa, saldamente parlamentare, in cui il rapporto fra Camere e capo del governo è fiduciario e non si può vincolare il capo dello Stato a una scelta basata solo su una legge elettorale. E poi c'è un legame troppo stretto, che può diventare rischioso, fra capo del governo e maggioranza elettorale. Penso al caso in cui il premier è costretto a dimettersi se ottiene una fiducia che coinvolge anche pezzi di opposizione o se la sua maggioranza si modifica. Pongo solo una domanda. E se avessimo nuovamente bisogno di fare un governo di unità nazionale? Con questa riforma forse non potremmo vararlo".

nuvolarossa
22-09-04, 19:39
Occasione perduta

E a Montecitorio sulle riforme torna la guerra fredda

Siamo dispiaciuti, ma l'opposizione ha preso ancora una volta, in Parlamento, con la sua scelta di opporsi al confronto sulla riforma della Costituzione, una posizione sbagliata, e perso un'occasione importante per difendere l'interesse del Paese. La cosa ci pare ancora più grave per la ragione che, prima dell'intervento del professor Prodi, all'interno del partito dei Democratici della sinistra era sembrata emergere una volontà diversa, tale da essere in grado di portare un contributo positivo al progetto di riforma.

Non solo, ma aggiungeremmo che, consapevoli dell'errore commesso nella legislatura passata sulla medesima materia, i Ds cercassero una strada per evitare che proprio sulla carta costituente si approfondisse il solco della divisione del Paese, quella che il professor Prodi vorrebbe evitare in tema di diritti civili - dove pure nelle attuali condizioni è bene che ci si divida - ma che egli pretende vi sia invece sui valori fondanti della Repubblica.

Troviamo molto grave non aver compreso la di-sponibilità dialettica e la particolare apertura dimostrata dal ministro Calderoli, e questo per il vizio di voler dipingere la Lega per come essa dovrebbe essere e non per come può essere realmente. La verità è che il ministro Calderoli e tutta la coalizione della Casa della Libertà hanno dimostrato un senso istituzionale molto più alto e maggiore responsabilità politica di quanto ne dimostrarono a loro tempo su questi temi il ministro delle Riforme e la maggioranza del centrosinistra, assumendosi la responsabilità di devastare per davvero l'attuale Costituzione, senza nemmeno preoccuparsi di capire cosa pensassero l'opposizione e parti della loro stessa coalizione, visto che noi repubblicani, all'epoca, fummo contrari e lo dicemmo in tutte le possibili occasioni. Annullare il dialogo, che aveva chiesto il Capo dello Stato, respingere e rendere alla fine impossibile il confronto, esprimere un "no" a priori e aumentare in questo modo il clima di tensione politica nel Paese e la relativa incomunicabilità, non significa certo cementare il bipolarismo, ma procurare piuttosto condizioni di guerra fredda al nostro interno.

Di questa situazione il professor Prodi, con la sua levata di scudi, tesa a dimostrare, inutilmente fra l'altro, chi davvero comanda nell'opposizione, ha il merito esclusivo della primogenitura.

Roma, 22 settembre 2004

brunik
23-09-04, 00:05
Originally posted by nuvolarossa
RIFORME/ LA MALFA: SENATO FEDERALE E' UN PASTICCIO (CORRIERE)


Si mette a rischio l'equilibrio tra Governo e Parlamento


Contrordine, compagni: il senato federale non è più un pasticcio: uniamoci contro Prodi che non lo vuole.

Viva la Devoluscion, viva la burocrazia, viva i pasticci, viva le spese, viva la disunità d'Italia.



Originally posted by nuvolarossa
Occasione perduta

E a Montecitorio sulle riforme torna la guerra fredda



Troviamo molto grave non aver compreso la di-sponibilità dialettica e la particolare apertura dimostrata dal ministro Calderoli, e questo per il vizio di voler dipingere la Lega per come essa dovrebbe essere e non per come può essere realmente. La verità è che il ministro Calderoli e tutta la coalizione della Casa della Libertà hanno dimostrato un senso istituzionale molto più alto e maggiore responsabilità politica di quanto ne dimostrarono a loro tempo su questi temi il ministro delle Riforme e la maggioranza del centrosinistra, assumendosi la responsabilità di devastare per davvero l'attuale Costituzione,

Di questa situazione il professor Prodi, con la sua levata di scudi, tesa a dimostrare, inutilmente fra l'altro, chi davvero comanda nell'opposizione, ha il merito esclusivo della primogenitura.

Roma, 22 settembre 2004

nuvolarossa
24-09-04, 12:14
Istituito un gruppo lavoro della Cdl per il proporzionale

Convocato dal premier Berlusconi, si è svolto a Palazzo Chigi un vertice dei segretari nazionali dei partiti di maggioranza per un primo esame dei temi connessi alle prossime elezioni regionali. E' stato istituito un gruppo di lavoro formato dagli esperti della maggioranza per la messa a punto di una proposta di riforma elettorale basata sul sistema proporzionale. Alla riunione hanno partecipato, per il Pri, il segretario nazionale Francesco Nucara e il responsabile degli Enti locali Pino Vita.

nuvolarossa
30-09-04, 00:02
L'intervento del presidente del Pri Giorgio La Malfa pronunziato in Aula a Montecitorio martedì 28 settembre 2004 in sede di voto sull'articolo 34 della Costituzione

"Signor Presidente, prendo la parola per annunciare il voto favorevole sull'articolo 34 del gruppo Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI. Tale articolo a noi sembra redatto con equilibrio, anche alla luce degli emendamenti approvati, alcuni dei quali coincidenti con le proposte emendative dell'opposizione.

In particolare, vi è stata una più chiara definizione delle materie assegnate alla competenza delle regioni; vi è stato il ritorno di alcune materie importanti alla competenza dello Stato; e vi sarà un seguito rilevante, con il nuovo testo dell'articolo 120, che introdurrà un principio di coerenza e di uniformità nella legislazione del nostro paese.

Ritengo che l'Assemblea possa riconoscere che il lavoro svolto è stato positivo, e, del resto, ciò è dimostrato dal clima nel quale si è svolta la discussione, pur nel contrasto evidente tra la maggioranza e l'opposizione. Questo lavoro, dunque, è stato positivo, e desidero esprimere apprezzamento per le leali parole con cui, pur annunciando il voto contrario, si è espresso l'onorevole Mantini, il quale ha affermato che, in fondo, le modificazioni che sono state apportate al Titolo V sono necessarie, alla luce dell'esperienza della riforma costituzionale approvata alla fine della scorsa legislatura.

Onorevoli colleghi, su questa materia vi è stata effettivamente una lunga analisi nonché l'esperienza derivante dall'applicazione delle modifiche del Titolo V. Ciò mi suggerisce di chiedere all'Assemblea se vi siano le stesse condizioni di preparazione per quanto riguarda gli altri due capitoli, che sono stati accantonati e che ci apprestiamo ad affrontare dopo la conclusione dell'esame delle modifiche al Titolo V. Ci troviamo nelle stesse condizioni di elaborazione, pur con le differenze che vi sono, con cui abbiamo affrontato l'esame delle modifiche al Titolo V, per quanto concerne i temi del procedimento legislativo, della Camera e del nuovo Senato, della forma di Governo, delle modifiche all'articolo 92? Mi rivolgo ai colleghi della maggioranza: saremo nelle condizioni di poter contare sulla stessa sicurezza con la quale abbiamo proceduto nella riscrittura del Titolo V, quando affronteremo le questioni che ho citato? Mi limito, in questa sede, a porre il tema politico.

Ci accingiamo a completare, con l'esame delle modifiche agli articoli 118, 119 e 120, l'esame delle modifiche al Titolo V, a e mi auguro che ciò accada con lo stesso spirito con cui la discussione si è svolta finora. Successivamente, sarà probabilmente necessaria una riflessione politica, al fine di valutare se non sia meglio approvare una buona riforma di tale parte della Costituzione e un esame più meditato di altre questioni, che forse non sono ancora mature".

jmimmo82
30-09-04, 12:50
Boselli la deve smettere di cercare finti alleati! In una sinistra conservatrice e parassitaria non c'è posto per i riformismi; neanche per quello socialista!

nuvolarossa
04-10-04, 14:50
Ciampi chiede il dialogo.
La sinistra lo ha già chiuso

http://www.opinione.it/files/copertine/ciampi-02-10-04.jpg

A venti mesi dallo scadere del suo mandato, il presidente della Repubblica affida al Corriere della Sera le sue riflessioni e, tra l’altro, invita maggioranza e opposizione a non interrompere il dialogo sulla riforma della Costituzione e del sistema giudiziario. Ma mentre la Casa delle Libertà lascia aperta la porta del dibattito costruttivo, la sinistra si trincera nel rifiuto più tenace. Arrivando al paradosso di astenersi o votare contro anche agli articoli che dice di condividere.

nuvolarossa
04-10-04, 19:10
"L'assemblea redigente di Violante? Proposta equivoca, richiederebbe l'unità nazionale. I magistrati? Eversivi"

La Malfa: fatto il federalismo, adesso fermiamoci

"Le altre riforme non sono mature. Dissento da Ciampi, si è già cambiato senza larghe intese"

Fare un buon federalismo, poi fermarsi, votare "un'assemblea redigente" e ripartire in quella sede per scrivere delle riforme condivise. La Malfa, magari la proposta di Luciano Violante sul Corriere è una mano tesa al dialogo.

"Guardi, quando in aula si votò l'articolo 117 sul federalismo dissi che difendevo questa riforma, che migliora quella del centrosinistra. Poi, arrivati alla parte finale, avevo già io invitato tutti a fermarsi. Cose come il premierato e il Senato federale non mi sembrano altrettanto mature. Dunque lo ripeto: votato il federalismo fermiamoci. Però mi lasci dire che la proposta di Violante è equivoca".

Equivoca perché?

"Il successo di un'assemblea costituente, che lui per la verità chiama assemblea redigente, presuppone un governo di unità nazionale. O si dice "facciamo un governo di unità nazionale", oppure l'idea di varare una Costituente non va da nessuna parte".

Scusi ma lo spirito delle "riforme condivise" non era anche nelle parole del presidente della Repubblica?

"Con garbo, se mi è permesso, dissento da Carlo Azeglio Ciampi. Non si può affermare il principio della larga condivisione, al quale anche Violante accenna, per modificare la Costituzione: le condizioni delle riforme costituzionali sono solo il rispetto della Costituzione, cioè dell'articolo 138. L'altra, quella delle riforme condivise, è una condizione politica: ma qui l'errore fatale l'ha fatto il centrosinistra quando votò a colpi di maggioranza la sua riforma. All'epoca scrissi a Veltroni "fate un errore gravido di conseguenze". Risposero che non si potevano far dettare le riforme dalla minoranza".

Che si sia sbagliato in passato non è un buon motivo per ripetersi. Errare humanum...

"È vero, quell'errore non è una condanna eterna; però il precedente crea una condizione politica. Anche il monito del Colle sarebbe fortissimo, oggi, se nel 2001 il presidente avesse respinto la legge dell'Ulivo".

Insomma, lei non sta con Violante, critica garbatamente Ciampi però dice comunque "fermiamoci". Né col Polo né con l'Ulivo, i soliti repubblicani...

"Io dico fermiamoci perché - federalismo a parte - le riforme costituzionali stanno molto in basso nella scala delle priorità degli italiani, che invece sono la politica economica, la politica estera e l'Iraq. E poi mi lasci fare una difesa della Costituzione".

È benvenuto.

"I problemi italiani non vengono dalle cattive leggi. Noi abbiamo buone leggi: semmai, troppo spesso, male applicate".

E troppe.

"E troppe. Ma dicevo, i nostri problemi storici sono la mancanza di alternanza, l'instabilità del quadro politico, che tuttavia era bloccato perché a destra e a sinistra la Dc doveva escludere il 35 per cento delle forze politiche. Mi spiego: non diamo sempre la croce addosso alla Costituzione, i problemi attuali sono radicati nelle condizioni storico-politiche di un cinquantennio".

Ma perché il federalismo ha acceso così tanti animi, persino molti nei centristi del Polo? Non è che c'è un "amor patrio" di ritorno, un partito trasversale dell'Italia una e indivisibile?

"Questo partito ha già vinto! Il federalismo votato riporta alla competenza centrale una decina di materie, per esempio i trasporti, che nella stesura precedente erano stati affidati alla legislazione concorrente. E poi introduce il principio della supremazia dell'intervento statale quando è in gioco l'interesse nazionale".

Non c'è neanche un partito trasversale del governo di unità nazionale? Magari qualcuno sogna la mega riforma fatta da tutti, rapito dalla pax politica dei giorni delle due volontarie rapite...

"Il governo di unità nazionale, che la proposta di Violante supporrebbe, non c'è e non ci può essere, in una fase in cui la politica estera è tornata a essere un fattore di radicale divisione tra i poli".

Ultima cosa, la Malfa: anche i giudici si sentono minacciati da un'altra riforma, lo sciopero se va così è pressoché certo...

"E sarebbe intollerabile. È inaccettabile e, come ha detto Cossiga, eversivo, che alti esponenti delle istituzioni vivano il proprio ruolo come una categoria e si muovano in blocco dietro a un sindacato".

Jacopo Jacoboni

nuvolarossa
07-10-04, 19:37
Il presidente Pri sulle Riforme/Contrari a norme che irrigidiscono il sistema parlamentare

Non si può ostacolare la libera dialettica politica

L'aula della Camera dei deputati, nell'esame del testo di riforma costituzionale, ha bocciato la proposta di istituire un capo dell'opposizione, come previsto nel testo di modifica della legge presentato dalla maggioranza. Il problema, posto dall'onorevole Violante nel corso dei lavori della mattinata, è stato così ripreso dal presidente del Pri Giorgio La Malfa, nel corso del suo intervento che riproduciamo integralmente (6 ottobre 2004).

Signor Presidente, intervengo in questa sede non sul complesso degli emendamenti, ma per riferirmi alle parole che adesso ha pronunciato l'onorevole Violante. Vorrei dire ai colleghi della maggioranza, al Presidente e al relatore, onorevole Bruno, che le ragioni esposte dal collega Violante sono ragioni delle quali dobbiamo farci carico, perché rappresentano uno dei punti fondamentali di questa norma e, in particolare, della disposizione con cui si identifica la figura del capo dell'opposizione. Credo che questo sarebbe uno degli aspetti caratterizzanti della riforma costituzionale - mi duole dirlo - in un senso che non potrei in alcun modo condividere.

Ritengo che l'onorevole Violante abbia esposto le ragioni in modo molto saggio. La dialettica politica del nostro paese non può essere ridotta semplicemente all'istituzione di un capo della maggioranza e di un capo dell'opposizione. Il giorno nel quale la dialettica politica, forzata dalla riforma costituzionale, venisse ridotta a questo, scomparirebbe la funzione delle Assemblee rappresentative.

Questa è la ragione - sono molto attento al problema sollevato dall'onorevole Violante - per la quale non c'è la mia firma sull'emendamento dell'onorevole Tabacci. Io ho firmato quasi tutti gli emendamenti che l'onorevole Tabacci ha predisposto, ma non c'è la mia firma all'emendamento dell'onorevole Tabacci che identifica un capo dell'opposizione.

Non possiamo stabilire che la dialettica politica del nostro paese venga ridotta forzatamente a un sistema nel quale non c'è più una molteplicità delle posizioni politiche e c'è soltanto una rappresentanza così limitata.

Può ancora valere introdurre norme nella Costituzione, anche se io non le ritengo indispensabili, volte a rafforzare la posizione del Governo nei confronti della maggioranza, perché la funzione di Governo ha una sua unità che non può essere compromessa dal libero gioco parlamentare. Quindi, bisogna trovare l'equilibrio tra la complessità politica della maggioranza e l'unità, che deve essere del Governo.

Non si capisce, tuttavia, per quale ragione la stessa disciplina che trova la sua giustificazione nelle ragioni di efficienza o di efficacia di un'azione di Governo debba essere applicata all'opposizione che, negli anni in cui svolge la sua funzione di opposizione, può avere la necessità di un pluralismo di voci attraverso le quali scegliere colui il quale rappresenterà la guida, se ce ne sarà necessità, al momento delle elezioni.

Se l'articolo 8 non viene modificato, introduciamo un sistema costituzionale fondamentalmente diverso anche da quello del premierato forte. Si introduce una sorta di bipolarismo inglese in un sistema che forse un giorno evolverà in tal senso, ma non lo è in questo momento. Non possiamo far sì che la Costituzione vieti lo sviluppo libero della dialettica politica di una democrazia occidentale. Si tratta di un errore compiuto per molti anni in questo paese. Pensare che i processi politici potessero essere determinati attraverso l'imposizione di regole costituzionali è un errore che ha una lunga storia in questa Assemblea e di cui tutti pagheremo amaramente le conseguenze.

La vita democratica richiede una pluralità di evoluzioni politiche. La Costituzione, i regolamenti e le leggi elettorali non possono impedire - se non a prezzo di indebolire, alla lunga, il sistema democratico - la possibilità alla pluralità delle posizioni di esprimersi.

kid
08-10-04, 15:08
Stenografico Aula in corso di seduta
Seduta n. 524 dell'8/10/2004

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 2544 - Modificazione di articoli della parte II della Costituzione
Ripresa esame dell'articolo 23 - A.C. 4862

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, quello che colpisce di questa discussione è il fatto che gli interventi dei colleghi affrontano questioni fondamentali, rendendo il dibattito elevato. Esiste, quindi, una contraddizione tra la fase in cui ci troviamo, ovvero quella degli emendamenti - in cui di fatto la discussione a carattere generale dovrebbe essere esaurita - e la portata fondamentale, dal punto di vista politico e costituzionale, degli interventi che ascoltiamo.
Sono inoltre colpito dal fatto che i contrasti non riflettono un'opinione ormai perfettamente formata nello schieramento di centrodestra, contrapposta ad una posizione comune dell'opposizione. Infatti, le mie posizioni, come quelle dell'onorevole Tabacci e di altri colleghi, non coincidono - lo dico con grande rispetto - con quelle dell'onorevole Carrara. Ugualmente, le posizioni dell'onorevole Soda non coincidono con quelle dell'onorevole Maura Cossutta così come quelle dell'onorevole Mantini con quelle dell'onorevole Gerardo Bianco.
L'impressione che ne traggo è che stiamo entrando nel dettaglio di una riforma costituzionale, mentre molte questioni di fondo sull'assetto che vogliamo dare al nostro Stato devono ancora essere chiarite completamente. Sulle questioni della cosiddetta devoluzione, attraverso la lunga elaborazione svolta nell'arco di questa legislatura e della precedente, il Parlamento è pervenuto ad una visione abbastanza completa e la maggioranza si è formata un'opinione comune di come procedere, pur differenziata da quella dell'opposizione. Invece, su tutto il resto ci muoviamo su un terreno molto più incerto.
Ad esempio, non condivido il giudizio espresso dall'onorevole Carrara sull'immagine che lui ha proposto degli ultimi cinquant'anni. Onorevole Carrara, se vuole che le parli da economista, le ricordo che quei cinquant'anni di instabilità hanno reso l'Italia il settimo paese industriale del mondo, mentre i dieci anni di stabilità la stanno portando al venticinquesimo (Applausi dei deputati dei gruppi del Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro)!
Stiamo attenti, perché quei cinquant'anni e quell'instabilità non erano figli di un sistema costituzionale, bensì delle condizioni politiche dell'Italia nel dopoguerra. Ma se il 35 per cento dei parlamentari che sedevano alla Camera non potevano per ragioni storiche o di politica estera partecipare alla formazione delle maggioranze, è chiaro che l'unica forma di flessibilità diventavano le crisi di Governo e i cambiamenti dei Presidenti del Consiglio nonché dei ministri. Il superamento di quella situazione non è dovuto alla nuova Costituzione, bensì alle nuove condizioni politiche, perché nessuna Costituzione al mondo vi imporrebbe di accettare la collaborazione con un partito erede della storia del Novecento, se lo stesso partito non fosse cambiato nei suoi fondamenti, sia a destra che a sinistra.
Non esiste una Costituzione che possa dare un diritto a chi non lo ha avuto cinquant'anni fa a sedere nei governi per i prossimi cinquant'anni. Ci sono condizioni politiche ed ora stiamo rischiando, onorevoli Mantini e Monaco, di voler imporre il bipolarismo, quando le condizioni per la sua esistenza sono state già determinate dall'evoluzione politica della vita italiana e di quella internazionale.
Rischiamo di darci regole così stringenti da non poter funzionare. Faccio queste affermazioni, collegandomi anche all'articolo successivo 92 della Costituzione dove scriveremo - anzi, scriverete perché non lo voterò, onorevoli colleghi della maggioranza - una norma che prescrive al Presidente della Repubblica di designare il Presidente del Consiglio, eletto a maggioranza grazie ad una legge elettorale congegnata in modo da poter determinare tale risultato. Ma può la Costituzione imporre al Parlamento di scrivere una legge elettorale di un certo tipo? E se quel Parlamento, nato dopo la riforma costituzionale, non scriverà una legge elettorale che consenta di identificare un primo ministro, cosa succederà della società italiana? Non avrà un primo ministro? Sono problemi troppo complessi.
Onorevoli colleghi, non mi sento di votare questa parte della riforma costituzionale. In linea di massima, mi asterrò, riservandomi di esprimere voto favorevole o contrario su ciascun emendamento. Chiedo al Parlamento di voler riesaminare, con un atto di coraggio politico, se vi sono le condizioni per proseguire l'esame (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e di deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).

nuvolarossa
12-10-04, 20:22
Un ministro in bilico

Solo la devolution trova il pieno consenso della Casa delle Libertà

Sia al tavolo delle Riforme, sia negli interventi di La Malfa in aula, il Pri aveva consigliato in maniera pacata di fermarsi alla riscrittura del Titolo V della Costituzione, la devolution, dove la maggioranza aveva saputo produrre un testo equilibrato e di buon senso, correggendo gli errori commessi dal centrosinistra alla fine della legislatura scorsa.

Ci era evidente che da una parte mancavano le condizioni politiche per avere un'intesa autentica della maggioranza sul resto dell'articolato del disegno di legge, dall'altra sarebbe servita una riflessione più profonda e matura. Questo lo si è visto subito nel corso del dibattito sull'istituzione del capo dell'opposizione, che l'aula ha cancellato; lo stesso per ciò che concerneva la controversa definizione di "unità federale della nazione" e prima ancora sull'età dei membri del senato, emendata a 40 anni dalla maggioranza e riportata a 25 dall'Aula. Piccole cose, in confronto a quello che è avvenuto poi sull'articolo 89 (24) con il voto contrario di buona parte di An, e tenendo presente che ancora un accordo sul premierato deve essere trovato.

Ci dispiace per il ministro Calderoli, che ha saputo muoversi con estrema abilità su un sentiero minato, forte anche delle sue convinzioni, ma sfidiamo chiunque a percorrere un tragitto dove le mine sono state collocate in quantità superiore alla terra che bisogna attraversare.

Noi riteniamo comunque un suo successo ed un successo della Lega, quello ottenuto sul titolo V, tale da potersi ritenere un passo avanti importante, dal quale prendere tempo. Nella speranza, magari, che Alleanza nazionale si accorga che il premierato è posto nei fatti politici quando una coalizione ha saputo imporre il leader del principale partito che la compone alla guida del governo. Perché pretendere che anche l'opposizione faccia lo stesso, se non ne è in grado? Perché regalare questo favore al proprio avversario? Se solo questa maggioranza è capace di offrire una condizione politica di stabilità al Paese, questo è un merito esclusivo della maggioranza. Non sarà certo per la Costituzione che un altro raggruppamento potrà dare una prova migliore di sé dopo aver perso l'occasione offerta dal consenso elettorale ottenuto dal ‘96.

Roma, 12 ottobre 2004

kid
14-10-04, 14:21
Il Comitato di Segreteria del PRI, riunito oggi a Roma presso la sede del Partito, rileva come il nuovo testo relativo alla riforma del titolo V approvato dalla Camera corregga almeno in parte le più consistenti incongruenze contenute nella riforma approvata dal centrosinistra nella passata legislatura, ma come appaia confusa e contraddittoria la soluzione adottata per quanto riguarda la riforma sul bicameralismo.

Rileva altresì come la decisione di rinviare ad una legge elettorale ordinaria la soluzione sulla forma di governo rappresenti un dato contrastante con le esigenze di un organico disegno costituzionale.
Dà quindi mandato ai propri parlamentari di astenersi nel voto finale sul testo in discussione alle Camere.

Inoltre il Comitato di Segreteria ha manifestato le proprie preoccupazioni sulla situazione dei conti del Paese come lo stesso governatore della Banca d'Italia e il presidente dell'ISTAT hanno evidenziato.


Roma, 14 ottobre 2004

kid
14-10-04, 14:24
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, le mie considerazioni riguardano l'articolo 26 nel suo insieme e tornerò a prendere la parola al momento della dichiarazione di voto sullo stesso. Tuttavia, considerato che su questo tema si è innescato una discussione come sempre importante da parte di vari colleghi, vorrei precisare molto brevemente il mio pensiero.
Nel giudizio complessivo sul progetto di riforma costituzionale questo è, a mio avviso, uno dei punti fondamentali. Non nascondo - l'ho detto molte volte ai colleghi - di nutrire perplessità su una forma di Governo che, sostanzialmente, collega la scelta del Capo dell'esecutivo ad una scelta diretta dell'elettorato. Non sono contrario a concepire questa impostazione, ma naturalmente la vedrei meglio in un sistema «americano», nel quale ai cittadini fosse attribuita la scelta del Capo dell'esecutivo, ma anche il compito di eleggere una Camera e un Senato che non possono essere sciolti e che hanno le loro facoltà tipiche. Mi sembra che in questo caso si mettano insieme questi due elementi: il sistema parlamentare europeo ed il sistema direttamente elettivo americano. Ciò non mi piace e l'ho detto molte volte.


Mi rivolgo al presidente della Commissione, onorevole Bruno, ed ai valenti colleghi del Comitato dei nove: vedo un problema che vorrei richiamare all'attenzione. Qualche giorno fa, ho mosso al presidente Bruno l'obiezione che la norma contenuta nell'articolo 26 mi sembra molto pericolosa, perché stabilisce che la legge disciplina l'elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza.
Ho detto al presidente Bruno: supponiamo che il primo Parlamento successivo all'approvazione di questa Costituzione non approvi una legge elettorale che preveda la connessione fra la nomina della maggioranza parlamentare e l'individuazione del Primo ministro. Un Parlamento non potrà essere obbligato da una norma costituzionale a legiferare.
Liberamente il Parlamento negli anni Cinquanta non legiferò sulle regioni, sul Consiglio superiore della magistratura, eccetera. Quindi, ho chiesto ai colleghi cosa avviene se il Parlamento, dopo la nuova Costituzione, non approva una legge elettorale che la Costituzione considera necessaria per dare al Presidente della Repubblica il mandato.
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa...
GIORGIO LA MALFA. Finisco subito, ma è un punto delicato, signor Presidente.
Il collega Bruno e i suoi colleghi hanno risposto a questo problema con una norma transitoria, l'articolo 43, il quale afferma che fino a quel momento vige la vecchia Costituzione. Allora, vi domando rivolgendomi a tutta l'Assemblea: possiamo scrivere una Costituzione che sulla forma di Governo lascia la decisione se applicarla o meno ad una legge ordinaria, che è la legge elettorale di un Parlamento? Possiamo darci una Costituzione subordinata nel suo fondamento, qual è la forma di Governo, ad una decisione di una legge ordinaria, ossia la legge elettorale?
Inoltre, onorevole Bruno, supponiamo che il nuovo Parlamento abbia approvato la legge nel senso indicato dall'articolo 92 e che il successivo Parlamento decida di tornare alla legge proporzionale. Ciò è incostituzionale, ma non è illegittimo fino a quando la Corte costituzionale non lo dichiara. Qual è l'ordinamento costituzionale in quel momento?
Supponiamo che ci siano le lezioni dopo qualche mese, ma prima di una delibera della Corte costituzionale che cancelli


l'atto del Parlamento. C'è questa contraddizione, onorevoli colleghi: o si scrive la legge elettorale nella Costituzione, e allora si ha una forma di Governo, o questa forma non si scrive nella Costituzione e si assoggetta la forma costituzionale ad una legge ordinaria con delle contraddizioni impossibili.
Non potrò votare a favore di questo articolo non solo per le ragioni di principio che ho detto, ma anche perché c'è un problema che prego i colleghi di voler considerare.
Grazie, Presidente, mi scuso per aver prolungato il mio intervento (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani

nuvolarossa
14-10-04, 19:23
Riforme/La Malfa si dissocia: mi asterrò su tutto il testo

"E' una rottura non piccola che un partito della coalizione prenda le distanze". E' con queste parole che Giorgio La Malfa annuncia, nell'Aula di Montecitorio, il suo no al premierato e, di conseguenza, a tutto il provvedimento sulle riforme costituzionali. Accusa La Malfa: "in questo testo c'e' una commistione non accettabile. Non ci puo' essere una Costituzione dettata da contingenze politiche". Non solo: "non ci puo' essere una forma di governo che dipende da una legge elettorale ordinaria. E' una costruzione doppia". Insomma, c'e' "un buco" e "io non posso votare a favore". Da qui l'annuncio della dissociazione dell'esponente repubblicano: "annuncio la mia astensione su questo articolo e quindi su tutta la legge costituzionale".

Roma, 14 ottobre 2004 (Dire)

nuvolarossa
15-10-04, 16:28
IL FEDERALISMO ISTITUZIONALE

ALMERICO DI MEGLIO

Il premierato, cioè il rafforzamento dei poteri del primo ministro, è stato approvato ieri dalla Camera. Era uno dei punti qualificanti, e perciò stesso più spinosi, della riforma costituzionale. La maggioranza non ha mostrato crepe nel votare gli articoli 26, 28 e 29 del disegno di legge di riforma della seconda parte della costituzione, con il quale si sono modificati gli articolo 92, 94 e 95 della Carta. Pochissimi gli astenuti (nella Cdl, il leader dei repubblicani Giorgio La Malfa).
Il capo dell’esecutivo non sarà più il presidente del Consiglio ma il primo ministro. Il candidato premier sarà collegato «con i candidati ovvero con una o più liste di candidati all’elezione della Camera dei deputati» per favorire la formazione di una maggioranza. Il premier ”dirigerà”, e non più ”determinerà”, la politica generale dell’esecutivo, e nominerà e revocherà i ministri. E dovrà fare un rapporto annuale sull’attuazione del programma e sullo stato del Paese.
La stabilità verrà garantita dalla ”sfiducia costruttiva”, sperimentata in Germania, e da norme anti-ribaltone. Il premier dovrà dimettersi, ma le Camere non verranno sciolte, se la maggioranza lo sfiducierà indicando contemporaneamente un altro premier. Il premier si dimetterà, e le Camere verranno sciolte, «qualora la mozione di sfiducia contro di lui sia stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza». Il capo dello Stato non avrà più il potere di nominare un nuovo capo del governo sorretto da maggioranze che non siano espressione degli elettori, cioè formatasi con pezzi di maggioranza e di minoranza.
La riforma si svilupperà in tre fasi: dal 2006 (federalismo, interesse nazionale, Authority); dal 2011 (premierato e istituzione del Senato, ridotto da 315 a 252 membri, il cui funzionamento slitterà però di 5 anni); e dal 2016 (Camera a 518 deputati ed elezione contestuale di Senato e consigli regionali).
Si è così rivelato non di circostanza l’ottimismo mostrato l’altra sera da Silvio Berlusconi, al termine del vertice di maggioranza a Palazzo Chigi, sul compromesso raggiunto tra la destra e il gruppo più berlusconiano di FI, che in (lontana) origine puntavano al presidenzialismo, e i centristi dell’Udc (sostenuti con discrezione da non pochi ex democristiani di FI), tradizionalmente e ideologicamente gelosi del primato del parlamento e del ruolo delle forze politiche nell’indicazione del presidente del Consiglio.
Scontri, polemiche, ripicche, colpi bassi ma, alla fine, il cammino dell’aggiornamento costituzionale procede, tanto da indurre il ministro per le Riforme Roberto Calderoli ad indicare nella fine mattinata di oggi il «voto finale» della Camera: «Credo che ci sarà ad ora di pranzo». C’è stato chi ha azzardato la «sorpresa» della presenza di Bossi. Non solo: Calderoli s’è detto convinto che il testo non subirà variazioni a Palazzo Madama perché «c’è un accordo con i senatori»; s’è mostrato soddisfatto «che su un provvedimento di questa portata si siano sforati i tempi solo di una settimana»; e fiducioso in una vittoria nel referendum.
Anche l’opposizione è stata compatta nel votare contro le modifiche costituzionali. «Sappiate - ha avvertito il coordinatore della Margherita, Dario Franceschini - che non serviranno i trucchi o gli espedienti per scoprire lo scempio che state compiendo o per rinviare il referendum a dopo le elezioni politiche. Il giorno arriverà comunque e il popolo sovrano farà giustizia». «Noi non siamo contrari al premierato - ha sostenuto Luciano Violante, capogruppo Ds - ma siamo contrari alla riduzione di esso al governo di un solo uomo: è questa la nostra critica profonda».
Pronta la replica del leader di An, Gianfranco Fini: «È risibile dire, come fanno i Ds, che siamo alla vigilia di un regime, o alla deriva populista perché abbiamo approvato il premierato. Ai tempi della Bicamerale furono i Ds i maggiori sostenitori del premierato. Si parlò anche di semipresidenzialismo. Poi si raggiunse un accordo proprio sul premierato, grazie anche all’autorevole mediazione di D’Alema. È troppo comodo cambiare idea perché ora sono all’opposizione».

brunik
15-10-04, 16:29
IL GRANDE ACCORDO ISTITUZIONALE


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brunik
15-10-04, 17:32
Europa 15.10.04

Gli italiani cancelleranno lo scempio

di DARIO FRANCESCHINI


Appartengo ad una generazione che è stata cresciuta ed educata alla politica con il culto dell’assemblea costituente.
Abbiamo studiato e ammirato il clima di quei giorni, la capacità dei nostri padri di distinguere lo scontro politico quotidiano, le differenze ideologiche, dal lavoro comune nello scrivere le regole della rinata democrazia italiana. Abbiamo in fondo invidiato quel lavoro così solenne e unico: lavorare su un testo costituzionale significa avere la consapevolezza che anche solo cambiare una parola, pesare un aggettivo, spostare una virgola può determinare un futuro diverso per lo Stato e per intere generazioni.
Per questo abbiamo sofferto, tutti, gli storici, i costituzionalisti di ogni orientamento politico, gli uomini delle istituzioni, anche le più alte, nel vedere il testo della Costituzione trattato come carne da macello, come merce di scambio per tentare di tenere disperatamente insieme una maggioranza logorata, divisa, senza più alcuna missione visibile per il paese, senza più nemmeno quella determinazione e quella coesione mostrata quando dovevano, ad ogni costo, essere approvate le “leggi vergogna” sulla giustizia individuale.
Per questo abbiamo sofferto a vedere un’aula distratta e svogliata, a vedere il comportamento offensivo e volgare con cui mercoledì sono state accolte le parole di un uomo di Stato, sempre serenamente al servizio delle istituzioni repubblicane come Antonio Maccanico.
Abbiamo offerto alla maggioranza non solo il confronto, ma la collaborazione, nel rispetto del principio che le regole della democrazia si scrivono solo insieme.
Ci è stato risposto con ipocrite dichiarazioni ai telegiornali, con appelli al dialogo smentiti quotidianamente dalla chiusura dei comportamenti parlamentari.
Come in un disco rotto, la Cdl ha invocato più volte la riforma del titolo V approvata a maggioranza nella passata legislatura, fingendo di dimenticare che quel testo, stralciato dalla riforma della Bicamerale e circoscritto entro con- fini precisi, era voluto da tutte le regioni italiane, anche quelle guidate dal centrodestra, era stato già votato concordemente in parlamento ed è stato poi confermato dal popolo italiano in un referendum.
Il principio della necessaria condivisione nello scrivere le regole della democrazia, il centrosinistra, in maggioranza, l’ha rispettato quando si è fermato, come chiedeva l’opposizione, prima di approvare una legge elettorale costruita pezzo, pezzo assieme; ci fermammo quando l’attuale presidente del consiglio si alzò in parlamento, in una stagione in cui i leader dell’opposizione venivano ascoltati e rispettati, e disse, all’insaputa di tutti (anche del suo collega Fini condannato come al solito a vivere di rimessa) che non esistevano più le condizioni politiche per proseguire nel cammino riformatore della Bicamerale.
Oggi invece il centrodestra ha deciso di andare avanti da solo, ad ogni costo.
Producendo un testo assurdo. Valgano per tutte le parole pronunciate da un esponente autorevole della maggioranza: «La mia sensazione è che il testo sia appiccicaticcio, privo di organicità e di compattezza, un assemblaggio di pezzi incoerenti, un insieme di elementi disordinati che sottopongono lo Stato al rischio di crisi e di scontri istituzionali».
Parole non di un pericoloso sovversivo ma del vicepresidente del senato Domenico Fisichella. Non servono altri giudizi.
In Italia la politica ha vissuto dal dopoguerra una lunga stagione di battaglie e di scontri forti, duri, veri. I grandi partiti, la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano, con i loro alleati, sono stati divisi sulla visione del mondo, dell’economia, delle alleanze elettorali.
Ma i gruppi dirigenti di quei partiti sapevano bene quand’era il momento di accantonare lo scontro e di mettersi insieme a difendere le istituzioni, il paese, le regole della convivenza democratica. Lo sapevano perché l’avevano scritto nel dna delle loro storie individuali e della loro storia collettiva, dalla Resistenza al fascismo e al nazismo alla Costituente.
Si chiamava Arco costituzionale. E non è un caso che le forze politiche eredi di quelle che allora lo componevano siano tutte dalla stessa parte dell’aula parlamentare. E intristisce vedere oggi singoli parlamentari che hanno scelto legittimamente il centrodestra ma che quel clima avevano vissuto e condiviso, tentare di pulirsi la coscienza con qualche “ferma” intervista e poi inesorabilmente cedere al momento del voto.
Oggi l’Arco costituzionale torna a vivere. Per difendere anche la maggioranza dal caos in cui vuole portare l’Italia.
Sappia, il centrodestra, che non serviranno i trucchi o gli espedienti, per coprire lo scempio che sta compiendo o per rinviare il referendum a dopo le elezioni politiche.
Il giorno arriverà comunque. E il popolo sovrano, quegli italiani a cui i padri costituenti hanno affidato con tanta lungimiranza l’ultima parola, faranno giustizia.

nuvolarossa
15-10-04, 20:17
15/10/04: Asse laico - riformista tra Craxi e La Malfa sul voto di riforma costituzionale dello Stato

“Le perplessità iniziali si sono mutate in un giudizio negativo”, ha sottolineato nella sua dichiarazione di voto, il Vicesegretario Nazionale del Nuovo Psi, On. Bobo Craxi.
“L’esigenza di una riforma - ha detto - era e resta una problema da affrontare, ma questo testo deprime lo spirito dell’unità nazionale, stabilisce l’inamovibilità del capo dell’esecutivo e avvilisce il ruolo del Parlamento”.
“Non si modifica così una Costituzione: nel passato sono fallite le bicamerali: ora fallirà l’idea di cambiare la Costituzione con l’articolo 138 C. L’unica strada maestra è quella dell'assemblea costituente eletta dal popolo su base proporzionale. Solo in questo modo si potrà approvare una riforma duratura”.
Sulla stessa linea anche il leader del Pri, l’On. Giorgio La Malfa: “Ci asterremo e ci rendiamo perfettamente conto che è una presa di distanza, una rottura con la maggioranza che, di certo, non sottovalutiamo, visto che riguarda un tema come quello della riforma costituzionale”.
La Malfa ha inoltre sottolineato che “questa riforma costituzionale nel suo complesso non ci soddisfa, poiché le norme sul premierato indeboliscono la centralità del Parlamento. Mi auguro che in Senato la si possa modificare”.


tratto dal sito
http://www.nuovopsi.com

Lincoln (POL)
17-10-04, 20:22
la scelta dell'astensione e coerente(contrariamente a quel che dice Barney)con l'atteggiamento sempre assunto dal partito in materia.Per quali ragioni?Le ha spiegate benissimo La Malfa nel suo intervento in aula.Detto delle cose che non ci piacciono,non va dimenticato che il testo approvato alla Camera contenente la riforma del titolo V(quello per intenderci sulla cosiddetta "devolution")abbiamo contribuito a scriverlo e non a caso(non certo solo per merito nostro naturalmente) contiene sostanziali correzioni rispetto alla stesura originaria e alle intenzioni che c'erano dietro correggendo altresì le storture presenti nella riforma approvata dal "centro-sinistra"al termine della precedente legislatura.
L'atteggiamento della sinistra?Mi limito a dire che non mi è parso all'altezza della situazione.Il Referendum?Mah,io al posto loro non sarei così sicuro che,politicamente parlando,sia una buona mossa.Più in generale sapete che vi dico così a naso?Visto come si sta muovendo Prodi,quasi quasi Berlusconi farebbe bene ad augurarsi che nel 2006 il candidato premier della GAD sia proprio Mortadella!
Vedremo...Intanto tra qualche giorno,toglie il disturbo da Bruxelles.Non lo rimpiangeremo...

trifoglio
18-10-04, 00:49
Condivido la risposta di Lincoln però mi resta un rammarico su tutta questa vicenda. Quand'è che si comincerà a parlare di riforma della prima parte della costituzione?
Va completata l'impostazione che la nostra Costituzione si fonda sui valori dell'antifascismo(sacrosanto questo) con il rifiuto alla costituzione di un qualsiasi movimento o partito che abbia alle sue origine una ideologia totalitaria.
La nostra Carta deve sancire il principio di rifiuto di ogni forma di Totalitarismo
La nostra costituzione deve essere oltre che antifascista, Anticomunista.
Perchè mi devo vedere circolare liberamente in parlamento gente della risma di Cossutta, Diliberto, Bertinotti che inneggiano alla Cina alle esecuzioni di Fidel Castro e quant'altro?oltretutto dopo quello che si scopre ogni giorno sulla vicenda Mitrokin.
Perchè debbo assorbirmi sermoni da chi è stato condannato dalla storia?
Il socialismo oltre al comunismo ha perso, quel modello di sviluppo per un paese non è più percorribile, perchè il nostro Paese deve rallentare il suo sviluppo a causa di questi perdenti?
Ed infine come laici questa battaglia ci è congeniale perchè cosi facendo forse riusciremo finalmente a togliere una gamba al catto-comunismo, vero male cronico del nostro paese.
Quando comincerò a sentire dibattiti su questo argomento forse allora verrà in mè la speranza che il nostro Paese si avvierà ad una situazione di normalità come in tutti gli altri paesi Europei.

nuvolarossa
21-10-04, 19:06
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Un duplice errore

La Corte Costituzionale eviti di interferire con l'attività del Parlamento

di Giorgio La Malfa

Noi condividiamo largamente – o potremmo dire in pieno – le parole pronunciate ieri dal nuovo Presidente della Corte Costituzionale Onida a proposito della riforma costituzionale, sia le riserve che egli ha lasciato intuire sul merito, sia l'auspicio che la riforma del testo base della convivenza civile di una nazione sia il frutto di una larga condivisione delle opinioni. Del resto, non abbiamo avuto bisogno di attendere queste valutazioni per esprimere, nell'aula del Parlamento, la nostra preoccupazione per una riforma che non ci sembra sufficientemente meditata nei suoi contenuti e nelle sue implicazioni e per trarre da questa analisi la conseguenza di un voto difforme da quello della maggioranza politica alla quale apparteniamo.

Ma detto questo, non possiamo non dire che, nel pronunciare quelle parole, il Presidente della Corte Costituzionale ha commesso un errore molto grave, anzi un duplice errore che si avrebbe il diritto di sperare che il massimo esponente della sapienza costituzionale, e dunque istituzionale del Paese, non commettesse. Il primo errore è di interferire con le sue parole nell'attività di un organo costituzionale come il Parlamento. La Costituzione italiana – che noi lasceremmo esattamente come è oggi, anzi come era ieri prima delle modifiche apportate dal centro-sinistra al Titolo V nella precedente legislatura - può essere modificata con le procedure indicate nella stessa Costituzione all'art. 138, ivi compresa la garanzia del possibile ricorso al referendum. E dunque se il Parlamento la vuole cambiare, gli altri organi costituzionali hanno il dovere istituzionale di esprimere il pieno rispetto per questa facoltà. Ancora più cauti essi debbono essere nel ripetere l'affermazione che la Costituzione andrebbe cambiata con un vasto consenso, perché questa è un'istanza puramente e pienamente politica: dal punto di vista costituzionale – che è quello al quale non può che attenersi il Presidente della Corte – il requisito è quello giuridico del 138. Null'altro è richiesto, né può essere richiesto se non assumendo una veste politica che il guardiano della costituzionalità delle leggi è bene che non indossi. A questa considerazione si potrebbe aggiungere che, molti di quelli che criticano la ristrettezza della maggioranza con la quale si sta procedendo alla modificazione della Carta Costituzionale, tacquero quando con maggioranze ancora più esigue il centro-sinistra modificò il Titolo V. Né basta dire a questo proposito che allora fu commesso uno sbaglio. Come ho avuto occasione di dire altre volte, in politica gli sbagli costituiscono precedenti e mentre degli sbagli si può chiedere scusa o fingere di chiederla, dei precedenti non ci si libera altrettanto facilmente.

Il secondo errore commesso dal professor Onida consegue dal primo: il suo attacco rischia di rendere più difficile l'accoglimento da parte della maggioranza dei suggerimenti di moderazione che le provengono da più parti ed anche dal suo interno. Uno sconfinamento politico evidente, come quello di ieri, rischia di ricompattare le fila della maggioranza sulle posizioni più intransigenti e meno dialoganti. Si vuole veramente sfidare la maggioranza a modificare la Costituzione nei termini delineati alla Camera? Si pensa che così sarà forse più facile andare a un referendum che cancelli integralmente la riforma? O si pensa che il tema costituzionale possa offrire alla coalizione del centro-sinistra nella quale sono evidenti differenze abissali su tutti i temi, dalla politica estera a quella economica, almeno un argomento unificante in vista delle elezioni politiche del 2006?

Noi non pensiamo certo che il professor Onida abbia fatto le sue dichiarazioni per queste ragioni politiche, ma ci domandiamo se un giurista non debba pesare con la bilancia le sue parola anche in vista di queste circostanze.

Ci dispiace dovere muovere questi rilievi e lo facciamo ancora e più malvolentieri in quanto, come ho detto all'inizio, essi sono pienamente condivisibili nel loro merito. Ma ci sono pulpiti dai quali è semplicemente vietato predicare su certi argomenti. La presidenza della Corte è uno di questi.

Roma, 21 ottobre 2004
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/ZEROMISCELLANEA2.mid

nuvolarossa
22-10-04, 11:08
L’INVITO del presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida non è piaciuto
... lo considera una vera «ingerenza». L’invito alle forze politiche, soprattutto di maggioranza, affinchè «ponderino bene» le possibili conseguenze delle riforme costituzionali e coinvolgano nei progetti riformatori il più «ampio arco» istituzionale possibile» viene bollato dall’ex capo dello Stato Francesco Cossiga. «Non posso che protestare da membro del Parlamento, che è l'unico sovrano legale della Repubblica, contro gli avvertimenti mafiosi del presidente della Corte Costituzionale Onida, eletto con il voto determinante ultimo giudice della Consulta nominato dal capo dello Stato», afferma Cossiga. Un vero errore interferire con il Parlamento. Il presidente della Corte Costituzionale ha «commesso un duplice errore»: di interferire nell'attività di un organo costituzionale come il Parlamento e di conseguenza ha reso più difficile l'accoglimento dei suggerimenti di moderazione alla Cdl. Questo il parere di Giorgio La Malfa, presidente del Pri. Due errori che, secondo La Malfa, «si avrebbe il diritto di sperare che il massimo esponente della sapienza costituzionale non commettesse».
Se il Parlamento vuole cambiare la Costituzione, osserva La Malfa, «gli altri organi costituzionali hanno il dovere istituzionale di esprimere il pieno rispetto per questa facoltà. Ancora più cauti essi debbono essere nel ripetere l'affermazione che la Costituzione andrebbe cambiata con un vasto consenso, perchè questa è un'istanza puramente e pienamente politica: dal punto di vista costituzionale il requisito è quello giuridico del 138. Null'altro è richiesto, nè può essere richiesto se non assumendo una veste politica che il guardiano della Costituzionalità delle leggi è bene che non indossi». «Il secondo errore - sottolinea La Malfa - rischia di rendere più difficile l'accoglimento da parte della maggioranza dei suggerimenti di moderazione».

nuvolarossa
22-10-04, 11:50
Giustizia: la Consulta contro la riforma

http://www.opinione.it/files/copertine/giustizia-21-10-04.jpg

Neppure il presidente della Corte Costituzionale, Valerio Onida, resiste al richiamo della foresta della magistratura politicizzata. Il suo primo atto alla guida della Consulta si risolve in una critica al progetto di riforma su cui l’intera maggioranza si è ricompattata. Secondo Onida la nuova legge metterebbe a rischio l’equilibrio tra i poteri dello stato. Ma è proprio il suo intervento, volto ad imporre al parlamento la volontà di una parte della magistratura, a far saltare gli equilibri che vorrebbe tutelare.

nuvolarossa
26-10-04, 19:51
Federalismo e disarmonie/Le teorie di Cattaneo e i moniti avanzati da svariate autorità

Questo qualunquismo è estraneo alla democrazia
di Katia Mammola

Se Alice decidesse, nei giorni in corso, di far visita a questo nostro strano Paese delle Meraviglie, si chiederebbe, perplessa, quali delle possibilità inverosimili o delle bizzarre metamorfosi o, ancora, delle parodie amene del Regno dello specchio, vogliano trovare nuova rappresentazione nelle variegatezza delle opinioni che il dibattito relativo alle Riforme federali dello Stato (ed alla loro approvazione) ha suscitato nel mondo dell'informazione e nella colorita subway che sottende gli artefici, a vario titolo, di una inquietante Repubblica federale italiana.

Al pari dell'irricomponibile disordine semantico di Lewis Carroll che minacciava apertamente l'ordinato universo vittoriano, le sfide della compagine leghista sembrano voler sovvertire l'armonia e i delicati equilibri della splendida Costituzione che i padri fondatori ci hanno lasciato in eredità. Ed è proprio Giuliano Amato (relatore del disegno di legge da cui prese le mosse la riforma del titolo V) a domandarsi se sia auspicabile l'ingresso del federalismo nella nostra Costituzione e se ciò corrisponda tanto ad una effettiva volontà popolare quanto al nostro medesimo essere italiani in ragione della nostra storia ed in forza del nostro patrimonio di tradizioni e di pensiero.

Carlo Cattaneo sostenne vigorosamente i principi della sua ipotesi federalista e auspicò le più ampie autonomie locali: la federazione, nel suo programma politico, era intesa come forma di unità, la sola in grado di garantire la libertà - conquista inalienabile a fianco dell'unità e dell'indipendenza - l'autogoverno, ma anche il mantenimento di quelle diversità storiche coesistenti in un popolo, feconde delle interrelazioni che si nutrono di un vitale pluralismo.

Ecco, dunque, che la maggioranza afferma di avere dato vita ad un sistema federale, accreditando di contenuti - esorbitanti la realtà stessa - le rivendicazioni degli uomini di Bossi, mentre l'opposizione chiama allarmata a difesa dell'integrità del Paese: l'audacia dei paradossi verbali maschera, come le foschie dello scirocco, le opposte ragioni. Allora, per un verso, il decentramento nella gestione dei poteri, una maggiore sussidiarietà, la necessità di una rappresentatività più adeguata delle regioni in Parlamento, non caratterizzano lo Stato come federale. Una accentuata impronta regionalista, sicuramente foriera di una gestione più agile della cosa pubblica, non inficia necessariamente la sovranità centrale ed il carattere istituzionale di una nazione che ha conquistato una propria unità etnico-linguistica e da questa proclamato la Repubblica. D'altro canto, quante e quali saranno in definitiva "le regole comuni" e quanto estese potranno essere le aliquote di potere assegnate, per materia, alle regioni a detrimento della decisionalità centrale? Possono l'interesse generale e l'unità ordinamentale sopravvivere all'inevitabile avvicendarsi delle maggioranze politiche ? La Costituzione è, per gli italiani, ciò che quella degli Stati Uniti è per gli americani o gli ‘immortali principi dell'89' per i francesi: mai una dinamica interpretativa deve tramutarsi in modifiche irreversibili di una identità e mai il semplice correre del tempo (peraltro brevissimo, se comparato a quello, appunto, delle costituzioni occidentali, e senza scomodare la Magna Charta) legittima interventi in sé manipolativi. Si vuol dire che migliorare l'esistente, aggiornarlo alle necessità storiche (o, più prosaicamente, a quelle economiche…) non significa sconfessare le pietre d'angolo di uno Stato, soprattutto la fisionomia di una cultura nazionale. La quale, se disintegrata a beneficio di incerte "tradizioni" locali, è come la pula dispersa nel vento: impossibile a ricomporsi, inutilmente, ingiustamente, irreparabilmente sciupata. Ecco perché i moniti dei vertici istituzionali (dapprima il Capo dello Stato, poi del Presidente della Consulta) di ricercare larghe intese e, soprattutto, di essere prudenti fino allo scrupolo prima di modificare irreversibilmente, non vanno accolti con l'arroganza di chi ritiene di essere "più avanti" nella storia e di poter fare a meno dei consigli dei saggi, ritenendo sufficiente la forza di un popolo che, alle spalle, tutto legittima ed autorizza. Il qualunquismo, il me ne frego, la tracotanza sono movenze estranee alla democrazia: la storia d'Italia, per esse, ha già pagato un prezzo altissimo. Ed invece - come diceva Hölderlin - "noi, gli uomini, siamo un dialogo".

nuvolarossa
15-12-04, 15:17
Prescrizione politica

http://www.buongoverno.com/Brescia/ref-giustizia_20000111.gif

Sono favorevole all'accorciamento dei termini della prescrizione. Sono favorevole all'immunità parlamentare. In questi, come in altri casi, non mi preoccupa l'eventuale impopolarità delle nuove leggi, perché il legislatore non solo può, ma deve sfidare la piazza ove ritenga giusta una nuova norma. In questi, come in altri casi, mi preoccupo che ...... (continua ... sotto)

http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/1659

Texwiller (POL)
15-12-04, 16:02
ci saremmo vergognati di difendere un Previti.

PRI - IL PARTITO DEGLI ONESTI; IO ME LO RICORDO ANCORA.


Tex Willer

Garibaldi
29-12-04, 13:29
sveglia Tex, Previti l'ha gia' un avvocato difensore, e noi Republicani siamo piu' economisti che avvocati, siamo piu' onesti che delinquenti, siamo piu' laici che intolleranti, ma siamo in pochi e contiamo una sega, questo si, ma non possiamo prenderci anche le colpe deglia altri!!!
E soprattutto dobbiamo evtare di fare i nichilisti, cioe' darci le martellate da soli sui coglioni!!!!
Poi ci sono quelli che fanno i puri-puri-puri e magari escono dal Pri per entrare nella margherita dove ci sono quasi tutti gli ex-democristiani di quel partito che era all'apice della ladroneria nella prima Repubblica.
Insomma e' giusto che uno si lamenti ma poi ci deve essere coerenza dopo il lamento. Non si puo' condannare i dogmi cattolici e assumere come cura per via orale quelli islamici!!! Non si puo' condannare la troia e mettersi a fare la bagascia!!!

nuvolarossa
03-01-05, 20:31
Frenare gli entusiasmi

Le sgradite conseguenze di questo sistema bipolare maggioritario

Stefano Folli ha esordito come editorialista del "Corriere" ed il fatto che egli abbia scritto il fondo della domenica, tradizionalmente riservato al direttore del giornale, fa ritenere che le opinioni da lui esposte riflettano quelle del suo successore.

L’articolo riprende l’auspicio del Presidente della Repubblica nel suo nobile messaggio del 31 dicembre per il quale, in materia elettorale e di par condicio, la maggioranza dovrebbe scegliere di non procedere da sola e ricercare il consenso dell’opposizione prima di procedere. Folli e il "Corriere" sostengono con energia questa posizione e tuttavia a noi sembra che la loro argomentazione non sia del tutto convincente. Anzi, essa ci sembra singolarmente contraddittoria in ragione dell’orientamento di fondo di sostegno pieno al cosiddetto bipolarismo che il nuovo direttore ha tenuto a ribadire fin dal suo editoriale di saluto ai lettori.

In primo luogo va rilevato un aspetto giuridico sostanziale: vi sono materie per le quali la Costituzione prescrive l’esistenza di una maggioranza qualificata e prevede che la minoranza possa, qualora non concordi con la soluzione adottata dalla maggioranza, rivolgersi al corpo elettorale in quanto tale attraverso un referendum. In queste materie si può dire che gli accordi bipartisan non sono un auspicio, ma una prescrizione della Costituzione. E tuttavia le questioni alle quali fa riferimento il "Corriere" non fanno parte di questa categoria. Né la materia elettorale né quella relativa all’esercizio della pubblicità elettorale fanno parte delle questioni regolate dalla Costituzione, assoggettate quindi alle particolari regole delle revisioni costituzionali che assicurano o la partecipazione alle deliberazione delle opposizioni o almeno la possibilità di promuovere un referendum da parte delle minoranze che a quelle leggi siano contrarie. Da un punto di vista giuridico dunque, in queste materie, è del tutto legittimo deliberare con legge ordinaria e con le procedure e le maggioranze da essa previste.

L’auspicio dunque non può che essere di ordine politico: si tratta di affermare l’opportunità di affidare a un consenso unanime, o almeno largamente maggioritario, la definizione di materie, come queste, che rivestono certamente un significato ed una importanza particolare nella vita della democrazia. E se questa fosse la posizione del "Corriere", se ne potrebbe prendere atto ed esprimere un certo consenso di principio. Senonché il "Corriere", come abbiamo sopra ricordato, si dichiara in ogni occasione e risolutamente favorevole al cosiddetto bipolarismo. Anzi, sembra quasi fare una bandiera di questa impostazione. Ma questa posizione è in contraddizione frontale con la richiesta di procedere a legiferare in questa materie in maniera condivisa. Se il bipolarismo, maggioritario, è un valore in sé, non si vede come possano essere escluse dai vantaggi che deriverebbero, secondo il "Corriere", dall’esercizio di questa contrapposizione, alcune materie. Se il bipolarismo è la migliore espressione della vita politica, perché non si può scegliere una legge che regoli la pubblicità elettorale che rifletta le concezioni della destra e magari sostituirla con un’altra più egualitaria, quando prevalga nelle elezioni la sinistra? E perché non si può decidere di fare altrettanto con la legge elettorale? In tutti i paesi "bipolari" _ dalla Francia agli Stati Uniti _ le maggioranze deliberano nuove leggi elettorali oppure modificano la distribuzione territoriale dei seggi (il redistricting americano) senza che si levino grida di attentato alla democrazia.

Naturalmente si può ritenere _ e noi siamo tra quanti lo sostengono _ che non tutto quello che è lecito sia edificante (come diceva San Paolo) e che vi siano materie nelle quali è più opportuno procedere con accordi il più vasti possibile. Per questo condividiamo l’appello del Capo dello Stato. Ma né il Capo dello Stato - né noi - si è mai fatto aedo del bipolarismo, come invece si è fatto il "Corriere". Allora delle due l’una: se si ritiene che il bipolarismo sia condizione per il progresso dell’Italia (vedi ad esempio la risposta dell’ambasciatore Romano a una lettera a lui inviata), allora si deve accettare anche il suo esercizio nelle materie oggi all’attenzione del centro-destra; oppure si ritiene che vi siano materie troppo importanti per essere lasciate al bipolarismo: allora vuol dire che il bipolarismo è una ricetta valida forse per certi tempi e certe questioni, ma sostanzialmente inadatta a regolare le grandi questioni del Paese. Questa _ lo ripetiamo _ è più o meno la nostra posizione, ma sfortunatamente non è quella del "Corriere". Se questo importante giornale sta modificando la sua posizione, noi non potremmo che esserne lieti.

In sostanza, o il Corriere attenua il proprio favore per il bipolarismo come forma indispensabile della Repubblica, oppure si prepara ad accettare le conseguenze più sgradevoli della sua scelta di fondo: per esempio, che una maggioranza possa procedere a riscrivere le leggi elettorali (come avviene negli Stati Uniti) secondo convenienza. Noi pensiamo che il bipolarismo non sia una ferrea necessità della democrazia. Pensiamo che vi siano molte circostanze nelle quali esso sia dannoso. Riteniamo che la situazione economica italiana richiederebbe misure ed interventi basati su una larga convergenza di posizioni che sarebbe oggi utile e possibile. Ci sembra che l’Italia bipolare abbia realizzato la stabilità, ma non certo lo sviluppo. Ma non siamo disposti a seguire chi vuole il bipolarismo più un diritto di veto da esercitarsi da parte dell’opposizione su alcune materie. Al "Corriere" diciamo che possiamo affrontare una battaglia, ma soltanto sulla base di una impostazione politica chiara e coerente. Aggiungiamo che ci piacerebbe avere in questa battaglia un alleato potente, ma vorremmo che prima venissero chiarite bene le posizioni e le idee.

Roma, 3 gennaio 2005

nuvolarossa
08-03-05, 20:57
Competitività

Dalle leggi sulla razza alle riforme delle professioni

Il Consiglio dei Ministri di oggi o domani dovrebbe esaminare la versione definitiva dell’articolo sulla competitività. Non eravamo convinti dell’impostazione e rimaniamo dubbiosi sull’esito finale. Si ricava l’impressione di trovarsi in presenza di una mini - finanziaria in cui ogni ministro dell’attuale governo voglia "strappare" risorse aggiuntive per il proprio dicastero.

Abbiamo sempre sostenuto che la politica del governo è patrimonio del Presidente del Consiglio, che ha il dovere di ascoltare i ministri, ma ha anche un dovere superiore: il bene del Paese che lo ha delegato a rappresentarlo. E’ per questo che abbiamo criticato con forza un’impostazione fortemente elettoralistica che nulla o quasi nulla ha a che vedere con la competitività.

Senza alcuna analisi della situazione attuale e delle difficoltà dell’economia italiana è molto difficile progettare il futuro. L’ottimismo, quando rasenta l’illusione, è foriero di sconfitte brucianti. A cominciare dal Mezzogiorno: "Quel Mezzogiorno di cui tanto si parla senza pressoché nulla concludere".

La coalizione non riesce a trovare un’intesa nemmeno sulle riforme a costo zero o quasi, e l’esempio più eclatante è la riforma delle professioni. Motivi non del tutto nobili, anche se comprensibili, indurranno il governo a rinviare questo aspetto di innovazione per adeguarci al sistema europeo e internazionale.

Il sistema delle professioni, così come si è andato a formare nel nostro Paese, è frutto di leggi razziali del 1938. Infatti con il Regio decreto legge del 29 giugno 1939 veniva disciplinato "l’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica" impedendo, agli ebrei in buona sostanza, di continuare la loro professione. Essendosi questi ultimi organizzatisi in società per aggirare l’ostacolo, il Gran Consiglio del Fascismo ritornò sull’argomento e, con legge del 23 novembre 1939 n. 1815, venne preclusa l’attività delle Società per l’esercizio di attività professionali.

Dopo 66 anni il governo italiano perpetuerà il sistema derivato dalle leggi razziali. Non ci pare un capolavoro!

Attraverso le società si porterebbe il sistema italiano in linea con il resto del mondo. Nel sostituire le singole attività professionali con società che possono operare in campo interdisciplinare e anche interprofessionale, il sistema ha tutto da guadagnare. Basterebbe pensare solo per un attimo "all’invasione," di studi di diritto internazionale e/o comunitario per capire che l’Italia in questo settore sarà ai margini di attività professionali importanti. E non sarà solo questo. E’ solo un esempio.

Roma, 8 marzo 2005

nuvolarossa
14-03-05, 23:42
Riforme costituzionali

Pausa di riflessione su premierato e bicameralismo

Nel merito del dibattito sulle riforme costituzionali, i repubblicani ribadiscono la loro posizione parlamentare: e cioè, che mentre per ciò che concerne il titolo V della Costituzione - la devolution- riteniamo che la maggioranza abbia prodotto un buon testo, non siamo né convinti né soddisfatti per ciò che concerne il premierato il bicameralismo.

La riscrittura del titolo V, infatti, ordina e razionalizza i problemi relativi alla legislazione concorrente, trovando un giusto equilibrio fra interesse nazionale e autonomia regionale: le ulteriori modifiche non rappresentano certo un problema democratico come, a nostro avviso sbagliando, ha pur denunziato il leader dell’opposizione, il professor Romano Prodi. Piuttosto si solleva un problema di confusione e di contrapposizione fra i poteri del premier e quelli del Senato federale, come hanno pure sottolineato molti esperti costituzionalisti imparziali. Una pausa di riflessione aggiuntiva sarebbe più che opportuna. Per questo i repubblicani hanno richiesto formalmente al presidente del Consiglio di approvare la devolution, anche per mantenere gli impegni presi a riguardo con la Lega, ma di scorporare gli altri due capitoli della riforma costituzionale, per un esame più approfondito, e per cercare un maggior consenso delle opposizioni. E’ vero, il professor Prodi lo dimentica, che la scelta di riformare la Costituzione in base al potere della sola maggioranza, fu praticata, contro il nostro avviso, nella passata legislatura dal centrosinistra. Allora fu Berlusconi a richiamare l’attenzione sul rischio di una dittatura della maggioranza, che è cosa ben diversa dall’affermare che la maggioranza vuole la dittatura: ma proprio per questo ci pare legittimo cercare una procedura diversa da quella usata allora. Il centrosinistra, nel dibattito parlamentare, espresse posizioni molto diverse da quelle di Prodi e, in diverse occasioni, concorse alla stesura del testo, così come furono anche recepite delle istanze dell’opposizione. Ma è diritto del centrosinistra non ritenersi soddisfatto e chiedere un’ulteriore elaborazione. Se questa disponibilità venisse manifestata in uno spirito costruttivo, non vedremmo la ragione da parte della maggioranza di rifiutarla. Riteniamo sia interesse comune, e della maggioranza, e dell’opposizione, arrivare ad un testo della riforma costituzionale condiviso, come chiede anche il Capo dello Stato.

Roma, 14 marzo 2005

brunik
15-03-05, 10:42
...

nuvolarossa
17-03-05, 23:40
La Malfa: dopo la devolution è necessaria una riflessione

Intervista pubblicata sul "Corriere della Sera" del 17 marzo 2005.

Il leader del Pri Giorgio la Malfa avvisa: in Senato inviterò il collega di partito Antonio Del pennino a votare contro le riforme istituzionali se non passerà lo stralcio.

Onorevole La Malfa in che cosa consiste la sua proposta?

La mia tesi è che la maggioranza, votata la devolution, dovrebbe poi fermarsi nell'esame degli altri capitoli che costituiscono la riforma istituzionale.

Perché?

Approvata la devolution, che mi sembra la parte più organica e migliore della riforma e che salvaguarda l'unità politica della coalizione, occorre poi sospendere l'esame del bicameralismo e del premierato, rimandando il tutto alla prossima legislatura. A sostegno di questa tesi osservo che la devolution è materia ben definita, su cui l'opposizione poco può dire, dato che la stessa opposizione ha modificato da sola il Titolo V della Costituzione.

E gli altri capitoli: bicameralismo e premierato?

Sono del tutto insoddisfacenti. Il bicameralismo, per esempio, crea un sacco di problemi. E il premierato è sbagliato.

Non è un po' tardiva questa proposta considerando che la riforma al Senato è ormai in dirittura d'arrivo?

Non è tardi per rilanciarla. E Berlusconi la conosce. Io ne ho parlato a lungo in sede di esame alla Camera e abbiamo inviato una lettera dicendo che questa è la via da perseguire. Uno stralcio è sempre possibile ed avrebbe il carattere di sdrammatizzare.Lei è convinto che sia possibile?

Guardi, non c'è una buona ragione per cui la maggioranza lasci cadere la proposta.

E' davvero realistico rimandare ad altra data su bicameralismo e premierato?

Realistico non lo so. So per certo, però, che se ci fosse una riflessione da parte di Fini o di Forza Italia o di Follini, l'ipotesi potrebbe diventare praticabile. Ripeto: non rompiamo il patto con la Lega che sarebbe un errore, salviamo la parte che ci consente di avere l'unità politica della coalizione. Se però ci dicono no la risposta sarà un voto contrario su tutta la riforma.

nuvolarossa
18-03-05, 23:36
Governo/Pri: subito sì a devolution, dopo altre riforme

Calderoli ha ragione, ma serve gradualità per far bene

''L'unica maniera per uscire dall'impasse della riforme e salvare l'unita' del governo e della maggioranza e' la soluzione repubblicana: il Parlamento approvi la devolution contenuta nella riforma del titolo V, che e' la parte piu' organica e migliore della riforma costituzionale e rinvii bicameralismo e premierato ad un ulteriore riflessione''. E' quanto scrive La Voce repubblicana. ''E' evidente - si legge sul giornale del partito dell'Edera - che sono questi ultimi due aspetti a creare i principali problemi ed a rappresentare un freno per l'approvazione del capitolo che principalmente dovrebbe interessare agli esponenti della Lega, ma che tutte le forze della coalizione hanno condiviso senza contare che la stessa opposizione non ha avuto sostanziali rilievi da porre in merito. Questa soluzione che abbiamo avanzato allo stesso ministro Calderoli e al presidente del Consiglio - prosegue la nota - la formalizziamo nell'esclusivo interesse di ricomporre un dissidio che rischia di mettere alla prova i buoni rapporti fra gli alleati e arrestare traumaticamente il percorso del governo''. ''Ha ragione Calderoli e lo capiamo bene quando si richiama all'istanza riformatrice, ma - conclude l'organo del Pri - nel metodo riformatore, nella gradualita' delle riforme, nella capacita' di persuadere, si assicura la buona riuscita delle stesse''.

Roma, 18 marzo 2005 (ANSA)

nuvolarossa
21-03-05, 13:59
RIFORME/LA MALFA:PRIMA DEVOLUTION, IL RESTO DOPO IL VOTO (STAMPA)

21/03/2005 - 09-50

"Non rischiamo il referendum a ridosso delle politiche del 2006"

Roma, 21 mar. (Apcom) - "Scorporiamo la devolution dal resto delle riforme costituzionali. Mettiamo ordine nel Titolo V varato a maggioranza dal centrosinistra e accantoniamo tutto il resto". Intervistato dalla Stampa, Giorgio La Malfa rilancia il suo "appello" a Silvio Berlusconi "finché siamo in tempo - dice - anche se ormai di tempo ne è rimasto poco". Quanto a Calderoli "il problema non è la Lega", dice La Malfa. "Con il ministro delle Riforme già a luglio ebbi modo di parlare a lungo, a loro andrebbe benissimo se tutta la Cdl decidesse di varare solo la devolution...". Ma il Carroccio sarebbe contento di accantonare il Senato Federale? "La Lega - risponde La Malfa - sa benissimo che il Senato immaginato dalla riforma della Costituzione è solo un'altra camera elettiva con poteri diversi dalla Camera, che non serve ad attuare la devolution".

Secondo La Malfa bisogna evitare il "rischio di affrontare le elezioni politiche del 2006 con un referendum che, che si tenga prima o dopo, comunque sarà a ridosso e servirà a dare all'opposizione un formidabile argomento per la campagna elettorale". Dunque, conclude, "variamo la devolution. E sul resto rimandiamo a dopo le politiche".

copyright @ 2005 APCOM

brunik
21-03-05, 15:27
Originally posted by nuvolarossa
Governo/Pri: subito sì a devolution, dopo altre riforme

Calderoli ha ragione, ma serve gradualità per far bene


Roma, 18 marzo 2005 (ANSA)

http://img128.exs.cx/img128/8370/a6yd.gif

LE DESTRE FANNO SEMPRE TUTTO CON MOLTA, MOLTA GRADUALITA'.

TRANNE LE LEGGI PER BERLUSCONI, LI' LE DESTRE SONO DEI FULMINI DI GUERRA, AD ESEMPIO LA GASPARRI L'HANNO FATTA DUE VOLTE IN TRE MESI E LA CIRAMI IN 15 GIORNI ERA GIA' PRONTA, LAVORANDO DI NOTTE

nuvolarossa
21-03-05, 20:52
Riforme, necessario lo scorporo/Intervista di Giorgio La Malfa rilasciata a "La Stampa"

Rimandare il dibattito dopo le prossime politiche

Il presidente del Pri Giorgio La Malfa, in un'intervista alla "Stampa" di ieri 21 marzo 2005, qui di seguito pubblicata, è ritornato a ribadire il punto di vista repubblicano sulle riforme costituzionali, rilanciando la proposta di scorporare la devolution dal resto del capitolato, approvarla subito e rinviare premierato e Senato federale ad una riflessione più curata, nella prossima legislatura. La novità rispetto all'intervista al "Corriere della Sera", che abbiamo riprodotto sabato scorso, è stato un articolo di Michele Salvati che faceva propria la proposta La Malfa. Per quanto ancora non si veda un fronte interno alla maggioranza, e siano solo pochi i consensi a questa ipotesi all'interno del centrosinistra, non disperiamo che le difficoltà dei prossimi giorni possano portare a considerare positivamente la soluzione avanzata dal Pri attraverso il suo presidente.

"Scorporiamo la devolution dal resto delle riforme costituzionali. Mettiamo ordine nel Titolo V varato a maggioranza dal centrosinistra e che tanta confusione ha creato in materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, e accantoniamo tutto il resto". Giorgio La Malfa rilancia un appello, "finché siamo in tempo, anche se ormai di tempo ne è rimasto poco" a Silvio Berlusconi. Perché sennò, rileva, "corriamo anche il rischio di affrontare le elezioni politiche del 2006 con un referendum che, si tenga prima o dopo, sarà a ridosso, servirà a dare all'opposizione un formidabile argomento per la campagna elettorale". Anche perché, come La Malfa sa benissimo, tanto che conferma il voto contrario suo e di Del Pennino alla riforma, "ci sono 200 costituzionalisti che accusano il centrodestra di sfasciare l'Italia".

La Malfa, dopo il suo primo appello, sulla stessa linea ma dallo schieramento politicamente opposto, è arrivata la proposta di Michele Salvati. E il ministro per le Riforme Calderoli l'ha mandato senza tanti complimenti a quel paese…

Ho letto la proposta di Salvati: ma invece di far riferimento alla mia, se ne è andato per suo conto. Mi è spiaciuto, siamo amici dal 1958. Se anche Salvati spezza una lancia, forse si può annodare su questa proposta un filo con il centrosinistra: andrebbe afferrato. Quanto a Calderoli, vede, il problema non è la Lega. Col ministro delle Riforme già a luglio ebbi modo di parlare a lungo, a loro andrebbe benissimo se tutta la Cdl decidesse di varare solo la devolution…

Sicuro che la Lega accetterebbe di accantonare il Senato federale?

La Lega sa benissimo che quello non ha niente a che fare né con un Senato federale all'americana, né col sistema tedesco, entrambi con rappresentanza locale. Il Senato immaginato dalla riforma della Costituzione italiana è solo un'altra camera elettiva con poteri diversi dalla Camera, che non serve ad attuare la devolution. Piuttosto, è Fini a sollevare problemi, perché di fronte alla devolution ritiene che i poteri di un regionalismo così accentuato vadano bilanciati con un rafforzamento del premier. E' giusto, per carità. Ma il premier disegnato da questa riforma non è affatto forte. E lo sa benissimo anche il centrodestra, quando replica a Prodi che bolla la riforma come "dittatura della maggioranza". Altro che dittatore: il premier, semmai, è debolissimo. Insomma, capisco la preoccupazione di Fini, ma nella riforma non c'è la risposta al problema che egli giustamente solleva.

Quindi, meglio fare un passo indietro. Anche perché poi, come si sa, i senatori della Cdl, Lega a parte, a votare la riforma ci vanno di malavoglia…

Altro regalo all'opposizione. E immaginiamoci cosa sarà la campagna elettorale per il referendum, comunque a ridosso delle politiche, con i Sartori e gli altri costituzionalisti che spareranno ad alzo zero. No, sarebbe molto più saggio fermarsi prima. Lo ripeto: variamo la devolution. E sul resto, rimandiamo a dopo le polemiche.

brunik
22-03-05, 09:46
Originally posted by nuvolarossa
Riforme, necessario lo scorporo/Intervista di Giorgio La Malfa rilasciata a "La Stampa"

Rimandare il dibattito dopo le prossime politiche

Perché sennò, rileva, "corriamo anche il rischio di affrontare le elezioni politiche del 2006 con un referendum che, si tenga prima o dopo, sarà a ridosso, servirà a dare all'opposizione un formidabile argomento per la campagna elettorale". Anche perché, come La Malfa sa benissimo, tanto che conferma il voto contrario suo e di Del Pennino alla riforma, "ci sono 200 costituzionalisti che accusano il centrodestra di sfasciare l'Italia".

Non capisco se il problema vero per La Malfa sia quello del referendum a ridosso delle politiche o quello dei 200 costituzionalisti che dicono che la CDL vuole sfasciare l'Italia.

La sua priorità mi pare la nr. 1: rivincere le politiche per finire poi con calma il lavoro di sfasciamento.

Texwiller (POL)
22-03-05, 18:38
alle prossime politiche. Ha già detto che quella attuale era la sua ultima legislatura.
Piuttosto non riesco a capire se lo scorporo c'è poi stato o no...
Tex Willer

nuvolarossa
22-03-05, 23:03
Riforme/Del Pennino contro l'articolo 46

E' iniziata la battaglia repubblicana contro il testo di riforme costituzionali presentato al Senato. Il senatore del Pennino ha condotto un attacco all'arma bianca contro l'articolo 46 che "contiene molte incongruenze, molti errori costituzionali, molti errori di merito, ma l'articolo 46, che è stato introdotto dalla Camera dei deputati, non è solo un errore, è un articolo criminogeno". All'uso di questa espressione gli esponenti di An sono saltati sulle sedie. Ma Del Pennino è rimasto fermo nella sua definizione, "perché la possibilità per i Comuni, per le Province e per le Città metropolitane di accesso diretto alla Corte costituzionale al fine di impugnare leggi che violano la loro autonomia e la loro competenza, trasformerà il nostro Stato in uno Stato di conflitto permanente". In conclusione si porrà a carico della Corte costituzionale un compito che ne paralizzerà letteralmente l'attività. "Non avete voluto introdurre la norma volta a consentire alle minoranze parlamentari l'accesso diretto alla Corte costituzionale, che rappresenta un elemento effettivo di garanzia democratica; vi accingete ad approvare una norma, introdotta dall'altro ramo del Parlamento, che rappresenta un elemento di esaltazione del conflitto fra i poteri dello Stato", ha detto Del Pennino a Palazzo Madama, invitando pertanto i colleghi a votare a favore dell'emendamento soppressivo.

brunik
23-03-05, 16:01
Mercoledì 23 Marzo 2005, 14:31


Riforme: Prodi, riforma sbagliata

(ANSA)-BOLOGNA, 23 MAR- Prodi critica la riforma costituzionale varata dal Senato: e' 'profondamente sbagliata, compromette gli equilibri della nostra democrazia'. Per Prodi sono stati 'calpestati i ruoli del presidente della Repubblica, del Parlamento e della Consulta'. Sottolinea poi che 'oggi si e' compiuto un altro grande passo negativo nella vita politica del nostro Paese e il Senato ha votato sotto ricatto della Lega' e conclude: 'Dobbiamo prepararci a un referendum che ponga fine a questo scempio'

http://brunik.altervista.org/foto/lega.jpg
PRESIDENTE PRODI SALVACI TU DA QUESTI PIRANHA

nuvolarossa
23-03-05, 22:33
Riforme costituzionali/Dichiarazione di voto del sen. Del Pennino

Signor Presidente, ho già avuto modo di esprimere, nel corso della discussione sugli emendamenti, le ragioni che sostanziano il complessivo giudizio negativo dei repubblicani sul provvedimento al nostro esame.

Il testo che ci è pervenuto dalla Camera, e che nel corso del dibattito non si è voluto minimamente modificare qui in Senato, non risolve, infatti, i problemi che ci avevano indotto ad esprimere il nostro dissenso in occasione della prima lettura del disegno di legge.

Certo, sono state migliorate alcune disposizioni che erano contenute nella riforma del Titolo V approvata nella passata legislatura, anche se in modo non ancora soddisfacente.

E se fossero state accolte le nostre proposte di stralcio ed il voto fosse stato limitato alla parte del provvedimento relativa alla cosiddetta devolution e alla revisione dell'articolo 117, diverso avrebbe potuto essere il nostro atteggiamento, anche se permangono forti incongruenze pure nella nuova stesura.

Ma essendo stato respinto lo stralcio siamo in presenza di un testo complessivo che ci induce ad esprimere un voto negativo.

Giudichiamo infatti pasticciato e confuso il meccanismo previsto per la formazione delle leggi; di fatto vanificato il ruolo del Senato cui rimane una competenza residuale; squilibrato il rapporto Governo Parlamento nel momento in cui non si modifica l'articolo 49, prevedendo un sistema di vere primarie, sia per la scelta del Primo Ministro sia per quella dei parlamentari; scarse le garanzie, non essendo stata introdotta la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale da parte delle minoranze; evasive le norme sul CSM, che non servono a correggerne il carattere corporativo; demagogica e foriera di conflitti di attribuzione la previsione che consente a Comuni, Province e Città metropolitane di impugnare direttamente davanti alla Corte Costituzionale le leggi o gli atti aventi forza di legge, qualora ritengano violate le loro competenze.

Francamente non capiamo le ragioni che inducono ad un'approvazione frettolosa di un testo improvvisato e contraddittorio, sol che si pensi che le disposizioni che riguardano la riforma del bicameralismo e della forma di Governo sono destinate ad entrare in vigore solo nel 2011.

Quando si è in presenza di norme che devono regolare e garantire i processi politici e la vita democratica del Paese, fretta ed improvvisazione dovrebbero essere messe da parte.

Non avete voluto farlo e non potete chiedere che il PRI, partito storico delle istituzioni, non neghi il proprio consenso.

Roma, 23 marzo 2005

Texwiller (POL)
24-03-05, 09:44
mi sembra chiaro che non interessiamo più di tanto.

Tex Willer

Lincoln (POL)
24-03-05, 15:09
D'altro canto le idee sono importanti,ma se non hai i numeri per farle pesare...

Texwiller (POL)
24-03-05, 15:20
è particolarmente robusta, è difficile schiodarsi dalle poltrone.
Meglio far finta di niente.
Non mi sembra una malattia solo romagnola.......

Tex Willer

brunik
24-03-05, 15:29
Originally posted by Lincoln
D'altro canto le idee sono importanti,ma se non hai i numeri per farle pesare...

Fate come la Sbarbati, venite nell'Ulivo, così lì c'avete anche i numeri da far pesare. Lì dentro Bossi non conta niente, ve lo assicuro io, noi c'abbiamo solo gente perbene che la Costituzione lo capisce cos'è.

Non l'ha mica ordinato al dottore ai fieri repubblicani di chinare sempre la testa a Bossi e agli avvocati del Berlusca, un minimo di dignità, cribbio.

Se è per le poltrone, se ne puo' parlare. Aspettate le regionali e poi lo vedrete con i vostri occhi quante poltrone potenziali si aprono all'orizzonte ulivista.

Dimodochè una volta per tutte la piantiamo con questo psicodramma che fa "IL CUORE DIREBBE FUORI, MA IL PORTAFOGLIO DICE DENTRO LA CDL"

kid
24-03-05, 16:10
con 4 voti di maggioranza la devolution?

brunik
24-03-05, 16:22
Originally posted by calvin
con 4 voti di maggioranza la devolution?

Ma se la devoluscion l'abbiamo già fatta noi perchè adesso la rifate un'altra volta?

Questa qua mica è una devoluscion, è una dissoluscion, vergogna, siete ostaggi dei leghisti, fate tutto quello che vi chiedono come cagnolini.

Guarda che c'hanno il 4%, qua al nord sono una minorana del 15%, al sud non li puo' vedere nessuno e vi faranno perdere tutte le elezioni.

Mi spieghi il significato politico di tenersi la lega nella CDL ?

Oh, a me mica fa schifo la cosa, mi da la garanzia di vittoria a Prodi, parlo nel vostro stesso interesse di bananas.

kid
24-03-05, 16:26
la pigliate voi. Vi pigliate pure la Mussolini. la devolution del centrodestra è servita per lo meno a ristabilire il concetto di priorità dell'interesse nazionale che i governo Amato aveva fatto saltare. Quello si poteva e si doveva votare per non lasciare il titolo v come l'avevate ridotto, cialtroni.

brunik
24-03-05, 16:33
:lol :lol

Hey, Calvin, me la spieghi meglio a me e soprattutto agli amici repubblicani chiamati come al solito ad adeguarsi la storia che Calderoli si era dimesso per ristabilire il concetto di priorità dell'interesse nazionale che i governo Amato aveva fatto saltare?

P.S.: guarda che i repubblicani facevano parte della maggioranza di cialtroni, non è mica elegante continuare ad autosputtanarsi come piccoli Fantozzi davanti al Megadirettore, un minimo di dignità, cribbio.


Giudichiamo infatti pasticciato e confuso il meccanismo previsto per la formazione delle leggi; di fatto vanificato il ruolo del Senato cui rimane una competenza residuale; squilibrato il rapporto Governo Parlamento nel momento in cui non si modifica l'articolo 49, prevedendo un sistema di vere primarie, sia per la scelta del Primo Ministro sia per quella dei parlamentari; scarse le garanzie, non essendo stata introdotta la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale da parte delle minoranze; evasive le norme sul CSM, che non servono a correggerne il carattere corporativo; demagogica e foriera di conflitti di attribuzione la previsione che consente a Comuni, Province e Città metropolitane di impugnare direttamente davanti alla Corte Costituzionale le leggi o gli atti aventi forza di legge, qualora ritengano violate le loro competenze.

Francamente non capiamo le ragioni che inducono ad un'approvazione frettolosa di un testo improvvisato e contraddittorio, sol che si pensi che le disposizioni che riguardano la riforma del bicameralismo e della forma di Governo sono destinate ad entrare in vigore solo nel 2011.

CALVIN CON LA LEGA CONTRO DEL PENNINO?
INAUDITO, SCISSIONE IN VISTA NEL PRI

kid
24-03-05, 17:02
sei un degno esponente del centrosinistra. La posizione di del pennino, la mia, quella del partito è che la riscrittura del titolo v della costituzione per correggere l'orrore commesso dal centrosinistra al quale noi votammo contro, era sacrosanta. Non condividiamo il premierato e il senato federale, non perchè minacciano la democrazia, solo voi minacciate l'intelligenza, ma perchè sono contraddittorie confuse e paralizzano il sistema istituzionale del paese che sarà sottoposto al peso politico. Per capire di cosa si parla invito a leggere Michele Ainis sulla Stampa di torino. Da qui la proposta la malfa di scorporare la riforma, approvare la devolution, che ripeto era correttiva e rinviare il resto ad un esame più approfondito. Non essendo stata accettata la proposta abbiamo votato contro.

nuvolarossa
24-03-05, 17:19
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Referendum “rosso” contro le riforme

La sinistra prepara le barricate contro la riforma della Costituzione varata definitivamente ieri dal Senato. All’insegna della difesa ad oltranza della Carta del ’48, i dirigenti dell’Unione minacciano il referendum abrogativo. E con Francesco Rutelli avanzano la richiesta che si tenga prima delle politiche del prossimo anno. Se così fosse dall’indomani delle elezioni regionali si aprirebbe una lunghissima campagna elettorale caratterizzata dallo scontro tra innovatori e reazionari, tra chi vuole cambiare ed adeguare le istituzioni e chi punta alla loro semplice conservazione.

nuvolarossa
24-03-05, 23:19
Tanto rumore per nulla

Più che la dittatura la nuova Costituzione origina un pasticcio

La prima osservazione da fare all'indomani del voto del Senato, che ha approvato a maggioranza, contro il nostro consiglio e senza il nostro voto, il nuovo disegno di legge di riforma costituzionale, è la stessa di Michele Ainis, sulla "Stampa".

"La costituzione votata dai padri fondatori comprendeva 139 articoli, per lo più laconici e di facile lettura". Dopo la riscrittura del centrosinistra nel 2001 e l'ulteriore passaggio avvenuto in questa legislatura, la semplicità del nostro testo fondamentale è dispersa. La Costituzione è nella sua lettera meno comprensibile e quindi meno agevole per i cittadini, e l'ultima formulazione non farà entusiasmare nemmeno i più raffinati giuristi.

Non si tratta di una questione di merito, ma di una di sostanza, perché la manipolazione del testo è cosa più grave perfino dei principi più assurdi che vi si vogliono introdurre.

Il centrosinistra, come l'attuale coalizione, avrebbero potuto benissimo scrivere un'altra carta evitando di intervenire sul testo originario. Questo tentativo di continuità infelice, ha peggiorato le cose, invece di semplificarle. Tra l'altro è nostra convinzione che il vecchio testo consentisse sufficiente autonomia alle Regioni da non esserci necessità di intervenire sulla Costituzione per ottenere la devoluzione dei poteri. La devoluzione non confligge con la vecchia Costituzione unitaria. E' chiaro che su questo si è creato un equivoco strumentale che si sarebbe potuto risolvere con maggiore qualità riflessiva, dote che è purtroppo mancata.

A sinistra si urla alla dittatura del premier. E anche in questo modo si alimentano paure prive di qualunque corrispondenza reale. Non c'è ovviamente una minaccia alla democrazia nella riforma votata ieri, c'è invece davvero il rischio di un pasticcio, di una confusione di ruoli, di un'approssimazione degli stessi e, per finire, di paralisi istituzionale. Tanto che, anche in questo caso, Ainis scrive bene: solo il peso politico, quale che sia, potrà essere in grado di dipanare tale contenzioso. Se questa è l'analisi, una Costituzione perde ogni valore.

Infine vi è un ultimo aspetto: il referendum, a cui sarà sottoposto il nuovo testo. I pareri sono discordi, ma la nostra impressione resta che sarà molto difficile riuscire ad ottenere particolare entusiasmi su una nuova Costituzione votata in un clima di scontro frontale. Tanto lavoro potrebbe essere stato fatto per nulla.

Roma, 25 marzo 2005

nuvolarossa
26-03-05, 00:21
Difficile per la CdL fare del referendum un'arma vincente

Il senatore Domenico Nania dice una cosa vera quando dichiara, sul "Corriere della sera", in risposta a Ernesto Galli della Loggia, che nella riforma della Costituzione appena approvata "non vi è nessuna distruzione dell'unità nazionale del Paese". Possiamo anche convenire sul fatto che la volontà del centrodestra fosse quella di meglio tutelare le scelte degli italiani. Ma la nostra perplessità in merito, è se davvero il sistema parlamentare della Repubblica non fosse già sufficientemente rappresentativo del popolo italiano, piuttosto che necessitare di una mediazione necessaria ed efficace.

I partiti, in questo contesto, sono i garanti, non l'avversario del sistema democratico. Il fatto che oggi riaffiori questo problema alla luce dei poteri del premier, è indice di concezioni diverse, per quanto legittime possano essere, all'interno della stessa maggioranza. Perché un conto è assicurare i poteri necessari al premier per esercitare in pieno il suo mandato, un altro è ridurre la Camera a mera sede di registrazione dei desideri del premier. Il senatore Nania è ben consapevole della delicatezza dell'argomento, tant'è che nel nuovo testo vi è comunque la possibilità di sfiduciare il premier attraverso l'indicazione di un altro esponente a cui faccia capo la stessa coalizione vincente le elezioni: in tal modo il problema della dittatura del premier non si pone. Si pone invece il dilemma di uno scompenso fra la Camera politica ed il Senato federale, che ha una sua assoluta autonomia dal premier e può esercitare una specie di contropotere, instaurando un braccio di ferro costituzionale quanto mai preoccupante. Ma a quelle che sono le inevitabili incongruenze di un testo che, nella sua elaborazione, ha subìto in maniera eccessiva lo choc del ribaltone del '94, tanto da risultare non convincente, si aggiunge un ulteriore aspetto, al momento non ancora pienamente palese. E cioè l'autentica possibilità di convincere l'elettorato, che sarà chiamato al referendum, della necessità di questa riforma. E' talmente ampio il margine di scontro fra gli schieramenti, e tali sono le differenze all'interno della coalizione, che sarà difficile per la maggioranza fare del referendum un'arma vincente. Tali e tante perplessità potranno comportare un riscontro elettorale negativo già alle prossime regionali, cosa che sinceramente avremmo voluto poter evitare.

Roma, 25 marzo 2005
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/GREENTOM.mid

nuvolarossa
29-03-05, 23:06
Zagrebelsky e le riforme
Troppa indulgenza per gli errori commessi dal centrosinistra

Se "i concetti ed i loro nomi esigono rispetto", come scrive il professor Gustavo Zagrebelsky sulla "Repubblica" in merito alla riforma costituzionale, dobbiamo ricordargli che coloro i quali avrebbero, a suo parere, "salvato la dignità costituzionale del Senato", non sono stati i soli Andreotti e Fisichella, ma anche il repubblicano Del Pennino, che ha votato contro il ddl in questione. Detto questo, Zagrebelsky tende a sottovalutare le modifiche volute dal centrosinistra alla Costituzione nella passata legislatura: "sono quasi nulla rispetto alle attuali". Eppure sono alla base di quanto è poi avvenuto. Infatti l'attuale maggioranza si è trovata di fronte ad un precedente di metodo, tale da far venire meno quel "principio di adesione a qualcosa da costruire in comune", da lui stesso rivendicato, e soprattutto ha spinto nel merito di un'agenda riformatrice per il Paese. Agenda cara al centrosinistra, che ha scavalcato la Lega sulla devolution, creando un problema di legislatura concorrente, a cui questa maggioranza ha cercato di porre un rimedio, con un effetto discutibile, ma certamente più sensato, riaffermando il principio dimenticato di salvaguardia dell'unità nazionale. Inoltre Zagreblesky dimentica che anche l'opposizione ha sostenuto il premierato. Tanto che, sia in sede di Commissione Affari Costituzionali, sia nel dibattito alla Camera, l'opposizione ha mostrato molta cautela, cogliendo l'apertura politica fatta nei suoi confronti dal governo. La situazione è precipitata con il rientro in Italia di Prodi, che ha deciso di fare una battaglia politica sul testo, ignorando persino il programma del centrosinistra sulle riforme, oltre che le modifiche costituzionali apportate, con lui distratto, si suppone, dalla presidenza della Commissione a Bruxelles. Se Prodi avesse compreso la rilevanza politica della riforma imposta del centrosinistra e l'avesse bloccata, o avesse contestato il premierato proposto dalla sua coalizione (e da lui stesso precedentemente) forse l'esito sarebbe stato diverso. Per questo a noi sembra, al contrario di Zagrebelsky, come una forzatura il gettare la croce su questa maggioranza ritenendo meno gravi gli errori - pur riconosciuti - del centrosinistra. E certo apprezziamo che l'ex presidente della Corte Costituzionale abbia rinfoderato l'accusa, piuttosto stravagante, di dittatura della maggioranza. Un po' poco, per prendere le sue osservazioni sul serio.

Roma, 29 marzo 2005

david777
03-04-05, 09:19
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=EDITO&TOPIC_TIPO=E&TOPIC_ID=41798

... Piero Calamandrei, 53 anni fa, quando scrive dei costituzionalisti del partito di maggioranza che hanno osato sostenere che siccome «la maggioranza può tutto, essa potrebbe intanto cominciare a “smobilitare” dalla Costituzione queste fastidiose garanzie di controllo costituzionale che sono il referendum e la Corte Costituzionale, e (perché no?) la indipendenza della magistratura».
Ecco fatto. il tentativo è in corso, rabbioso, nella XIV legislatura del Parlamento repubblicano. Sono proprio le fastidiose garanzie il nemico da abbattere, l’inciampo che non deve più dar noia. Pare che i neocostituenti si siano impegnati soprattutto a creare squilibri tra i diversi poteri. Il presidente della Repubblica viene ridotto al lumicino di una rappresentanza formale. La Corte Costituzionale perde il delicato bilanciamento della sua composizione: il Parlamento può nominare infatti due giudici in più togliendo questo diritto al Quirinale e alle Magistrature. I partiti, così, possono meglio giostrare e condizionare la Corte. Il primo ministro viene a godere di un potere sovrabbondante. Ha scritto un’illustre costituzionalista, Lorenza Carlassare, che «la combinazione automatica sfiducia/scioglimento (della Camera dei deputati) mette nelle mani di una sola persona un potere di ricatto senza uscita, chiudendo egregiamente un cerchio davvero perverso». (Costituzione, una riforma sbagliata. Il parere di sessantatré costituzionalisti, Passigli Editori).

Sì, dopo la seconda lettura del «Disegno di legge costituzionale» che sarà obbligatoriamente fatta dalle due Camere, senza la possibilità di modificare il testo, non resta che il referendum popolare... Ultima frontiera della democrazia?

Forse, ma non della Verità!

nuvolarossa
21-04-05, 13:16
L'ostacolo delle riforme per il Berlusconi-bis
Via alle consultazioni con i presidenti di Camera e Senato.
Casini: no a un governo tecnico

di Sara Bianchi

Il primo a essere ricevuto da Ciampi è il Presidente del Senato Marcello Pera, dopo di lui Pier Ferdinando Casini e di seguito le delegazioni parlamentari, fino a domani quando in tarda mattina il Capo dello Stato vedrà il suo predecessore, Oscar Luigi Scalfaro. Il Presidente della Camera ha subito sgombrato il campo da ipotesi di un governo tecnico o istituzionale: «I casi sono due: o ricostituzione della maggioranza, ristabilendo i necessari vincoli fiduciari o ricorso anticipato alle urne». Casini ha riferito così a Ciampi le due posizioni sulla crisi emerse in Parlamento: quella dei fautori del Berlusconi-bis e quella di coloro che chiedono le elezioni anticipate. Silvio Berlusconi si aspetta un nuovo incarico subito dopo la fine degli incontri, con in testa la nuova squadra che per quel momento, promette, sarà pronta, in tasca. Non ci saranno molti cambiamenti, ha annunciato il Presidente del Consiglio dimissionario, e sull'ipotesi del Ministero per il Mezzogiorno ha chiarito che «Non è ancora stata esaminata». Il nodo da sciogliere resta quello delle Riforme. An, nel documento approvato dalla direzione dopo le mancate dimissioni del Premier, ha esplicitamente chiesto una ridistribuzione degli equilibri di maggioranza in relazione al peso della Lega: « Berlusconi ha rafforzato la percezione negativa, già largamente diffusa, che la Lega sia il dominus della coalizione.» Tra gli alleati della Cdl è diffusa la convinzione che la campagna pro devolution del Carroccio abbia pesato negativamente sul voto per le regionali al sud. La Lega continua a mostrare le sue inquietudini. Maroni ha avvertito: «Il ministero per le Riforme è nostro e non fa parte della trattativa»; Bossi, avrebbe ricordato personalmente a Berlusconi che il Carroccio è entrato nel governo per avere quel ministero «l'ho lasciato perchè stavo male, ma con Calderoli è come se fossi ancora là». E se per Alessandro Cè l'interim a Berlusconi sarebbe il male minore, Calderoli racconta che per lui essere il primo a riformare la Costituzione dal 1948 sarebbe un sogno: «Potrei chiudere la carriera con questo sigillo». Il Ministro prova a disegnare quel solco che la Lega ha sempre tracciato tra nord e sud come meno profondo e racconta di un incontro con tanta gente in un autogrill vicino a Bari a spiegare le ragioni di Bossi.
Il Presidente del Consiglio dimissionario ha chiarito che un accordo di massima con gli alleati è già stato raggiunto ma sa bene di dover guardare con attenzione ai due obiettivi più importanti di questo momento: il nuovo programma -con interventi tesi a a garantire il potere d'acquisto per le famiglie, a sostenere le imprese e al rilancio dello sviluppo del sud - e soprattutto il rafforzamento della coalizione, vera sfida di questa fase.

brunik
21-04-05, 13:55
Originally posted by brunik
Ma se la devoluscion l'abbiamo già fatta noi perchè adesso la rifate un'altra volta?

Questa qua mica è una devoluscion, è una dissoluscion, vergogna, siete ostaggi dei leghisti, fate tutto quello che vi chiedono come cagnolini.

Guarda che c'hanno il 4%, qua al nord sono una minoranza del 15%, al sud non li puo' vedere nessuno e vi faranno perdere tutte le elezioni.

Mi spieghi il significato politico di tenersi la lega nella CDL ?

Oh, a me mica fa schifo la cosa, mi da la garanzia di vittoria a Prodi, parlo nel vostro stesso interesse di bananas.

È AL SUD IL CROLLO DEL POLO
Il Centro-destra tiene al Nord nel proporzionale

Va da sé che il dato politicamente più significativo di queste elezioni è il numero di regioni vinte dal Centro-sinistra. Un risultato che è andato al di là delle previsioni della maggior parte degli osservatori. Ma c'è un altro dato altrettanto significativo, anche se meno eclatante, e cioè il fatto che per la prima volta da quando sono state introdotte nel nostra Paese le nuove regole di voto il centro-sinistra è riuscito a superare il centro-destra a livello di voti proporzionali. Anche se si tratta solo di 13 regioni il significato di questo dato non può essere sottovalutato. L'Unione ha ottenuto complessivamente il 51,8 % dei voti proporzionali contro il 45,3% della Cdl. Come si vede-dalle tabelle alle elezioni europee del 2004 i due schieramenti erano quasi alla pari. Questo equilibrio oggi si è rotto.

Ma al di là del dato complessivo è interessante notare la sua articolazione territoriale per comprendere meglio la natura delle' tendenze elettorali in atto. La diversità dei sistemi elettorali ai vari livelli di governo e i continui cambiamenti della offerta politica tra una elezione e l'altra rendono difficile in Italia fare confronti. Quello che noi abbiamo fatto per rendere confrontabili i dati è stato dì "riaggiustare" retrospettivamente le coalizioni del passato sulla base degli schieramenti del presente. Il risultato di questa analisi è che l'Italia, a livello proporzionale, risulta divisa grosso modo in cinque aree: due Nord, un Centro, e due Sud.

In Piemonte e Liguria il Centrosinistra ha colmato il divario con il Centro-destra. La tendenza era già visibile, soprattutto in Liguria. ma con queste elezioni è diventata netta. Pesa soprattutto il voto delle aree urbane, Torino ìn particolare. dove il Centro-sinistra riporta un risultato molto positivo. Come del resto avviene con Roma nel Lazio.

In entrambe le regioni il Centro-sinistra è diventato maggioranza sia a livello proporzionale che a livello maggioritario.

In Lombardia e Veneto la storia è diversa. Qui continua la crescita del centro-sinistra ma il divario con la Cdl resta notevole. In realtà queste sono le due regioni dove la Cdl non solo mantiene il controllo dell'esecutivo, ma ìl suo livello di consensi si mantiene su valori vicini a quelli del 2001 anche se molto lontani da quelli delle regionali del 2000. Con questi dati le elezioni del 2006 in questa parte del Nord avranno un esito non dissimile da quello del 2001 ed è questo quello che alla fine conta, dato il sistema elettorale vigente. Al Centro (Emilia. Toscana, Marche, Umbria) c'è poco da dire tranne sottolineare ancora una volta che qui non c'è competizione. II distacco tra i due schieramenti è ulteriormente aumentato.

Il Sud invece presenta notevoli novità. Ed è qui che si giocherà la partita decisiva nelle elezioni del 2006. Dal 1994 il Sud è la zona del Paese con l'elettorato più volatile ed è anche la zona con la maggiore presenza di collegi contendibili. I dati di queste elezioni ci confermano però che non esiste un unico Sud. Infatti da una parte ci sono Campania, Abruzzi e Calabria e dall'altra Lazio e Puglia. Anche se in tutte e cinque queste regioni hanno vinto i candidati-presidenti dell'Unione, la dinamica del voto è stata nettamente diversa.

Nel primo gruppo la vittoria dell'Unione è stata nettissima. Questo è uno dei dati più sorprendenti di queste elezioni perché siamo effettivamente davanti ad un riallineamento elettorale di notevoli proporzioni. In Campania il centro-sìnistra ha ottenuto un risultato superiore a quello dell'Emilia e simile a quello di Toscana e Umbria'. In Lazio e Puglia la situazione è molto diversa.

In queste regioni il centro-destra ha ottenuto a livello proporzionale più voti del centro-sinistra. In Puglia il distacco è di quasi 4 punti percentuali. La vittoria di Marrazzo e di Vendola non si deve quindi all'apporto dei voti di lista ma alla componente maggioritaria del sistema elettorale. In queste due regioni infatti il 14% degli elettori ha votato solo nella parte maggioritaria, cioè solo per il candidato-presidente, e non per una delle liste che lo sostenevano. Tra questi elettori maggioritari Marrazzo e Vendola

hanno fatto molto meglio dei loro avversari. Per la precisione la differenza tra i voti presi da Marrazzo (parte maggioritaria) e quelli presi dalle liste che lo appoggiavano (parte proporzionale) è di 9 punti mentre la stessa differenza è solo di 4 punti per Storace. In breve tutti e due hanno preso più voti delle liste che li appoggiavano ma Marrazzo ne ha presi il doppio di Storace e per questo ha vinto. In Puglia è successa esattamente la stessa cosa. E questa è una ulteriore conferma che il centro-sinistra va meglio nella competizione maggioritaria anche se la differenza tra i due tipi di voto oggi si è ridotta rispetto al passato.

1 dati di Lazio e Puglia ci servono anche per trarre una conclusione più generale sull'esito di queste elezioni. Ci sono pochi dubbi che dietro la sconfitta della Cdl ci sia un fattore generale che ha agito a livello nazionale. I dati di sondaggio (vedi articolo in pagina) suggeriscono che esiste nel paese una profonda e diffusa insoddisfazione sulla situazione economica e che almeno in parte si attribuisce al governo la responsabilità di questo stato di cose. I candidati-presidenti della Cdl hanno dovuto fare i conti con questo atteggiamento negativo nei confronti della coalizione. Alcuni sono riusciti in virtù delle loro qualità personali e/o del maggiore radicamento territoriale dei partiti della Cdl a vincere a dispetto dei santi. altri - come Ghigo, Storace e Fitto - hanno perso di misura. Altri ancora sono stati travolti.

http://img27.exs.cx/img27/5265/a2cz.gif

DI ROBERTO D'ALIMONTE

Il Sole 24 Ore 06-04-2005

Evergreen
21-04-05, 17:44
La Storia e' piena di diagrammi che vanno ora in un senso ora nell'altro.
Quando uscira' il Programma di Prodi, se uscira', cominceranno a variare tutte le tendenze perche' il Popolo si accorgera' del tremendo bluff giocatogli contro.
Ma perche' i massimalisti non tirano fuori il Programma?
Primo perche' non sanno come farlo
Secondo perche' se lo fanno comiciano subito a litigare fra loro.
Altro che Unione! nemmeno con l'attak staranno insieme.
Grazie.

brunik
21-04-05, 17:59
Originally posted by Evergreen
La Storia e' piena di diagrammi che vanno ora in un senso ora nell'altro.
Quando uscira' il Programma di Prodi, se uscira', cominceranno a variare tutte le tendenze perche' il Popolo si accorgera' del tremendo bluff giocatogli contro.
Ma perche' i massimalisti non tirano fuori il Programma?
Primo perche' non sanno come farlo
Secondo perche' se lo fanno comiciano subito a litigare fra loro.
Altro che Unione! nemmeno con l'attak staranno insieme.
Grazie.

:lol :lol

Allora, attack, sto ministro delle Riforme lo diamo a Calderoli o all'UDC, come provocatoriamente richiesto da Fini?

:K :K

nuvolarossa
22-04-05, 14:56
Riforme, cade il veto degli alleati

Due ore scarse. Tanto è bastato al premier Silvio Berlusconi e al ministro uscente Roberto Calderoli per chiarire tutti i dubbi e per sciogliere tutti i nodi che la permanenza del numero due di Bossi al ministero per le Riforme ha provocato i giorni scorsi in alcuni settori della maggioranza. Leggi destra sociale di An (Storace, Alemanno) e Udc. Alla fine significativa è apparsa la dichiarazione a Riccardo Berti da parte dello stesso Calderoli durante la registrazione di “Batti e ribatti” sulla rete uno della Rai: “Il fatto che esista il Ministero delle Riforme ha un alto valore simbolico che noi intendiamo rivendicare. Le riforme sono il nostro DNA e la nostra ragione sociale come movimento politico”.
Sul tema della devolution, Calderoli ha messo in chiaro che “il testo della devolution è stato scritto e votato da tutte le forze della coalizione all'unanimità, credo pertanto che tutti siano convinti di questo testo”. “Evidentemente – ha aggiunto - il fatto che solo noi abbiamo gioito al momento dell'approvazione ha fatto sostenere a qualcuno che quello è un testo che va contro il Sud”. I soliti problemi di comunicazione?

brunik
22-04-05, 18:38
http://brunik.altervista.org/foto/MIRINO.jpg

nuvolarossa
22-04-05, 23:21
Italian Premier Silvio Berlusconi said Wednesday he will resign and immediately form a new government in a bid to overcome a political crisis that has undermined his ruling coalition.

nuvolarossa
27-04-05, 11:53
In piazza per la modernità contro i conservatorismi

di Arturo Diaconale

Se i dirigenti del centro destra non fossero in preda al cupio dissolvi sarebbero più che soddisfatti delle ovazioni con cui la folla radunata a piazza del Duomo per festeggiare il 25 aprile ha salutato Romano Prodi. Il motivo di soddisfazione è che il “professore” ha cercato ed ottenuto gli applausi del popolo della sinistra resistenziale proponendosi come lo strenuo difensore della Costituzione. Non quella emendata al capitolo quinto dal centro sinistra nella passata legislatura con effetti devastanti sul contenzioso tra stato e regioni. Ma quella originaria del ’48. La stessa che legittimava i Patti Lateranensi sottoscritti a nome del governo italiano guidato da Benito Mussolini considerandolo, evidentemente, pienamente legittimo.
Perché i partiti del centro destra dovrebbero essere felici della scelta di Prodi di usare strumentalmente il 25 aprile e la Carta Costituzionale per prendere le distanze da Berlusconi e dalla riforma costituzionale della maggioranza? La risposta è semplice. Perché in questo modo hanno la possibilità, sempre che lo vogliano e lo sappiano fare, di impostare nella maniera più favorevole uno dei temi della campagna elettorale del prossimo anno. Quello dell’alternativa tra il vecchio ed il nuovo, tra la conservazione ed il progresso, tra la mummificazione del passato e l’innovazione.
Non c’è bisogno di spendere troppe parole, infatti, per sottolineare come la Costituzione del ’48 abbia quasi sessant’anni e li dimostri tutti.
Di quel documento vanno difesi e mantenuti intatti i valori della democrazia liberale e dello stato di diritto. Ma certi compromessi tra cultura cattolica, cultura marxista e retaggio della cultura corporativista e fascista sono delle autentiche anticaglie e petrelle da eliminare. E, soprattutto, i vuoti provocati dall’incredibile evoluzione dei tempi vanno comunque colmati. Il primo gennaio del ’48 non c’era l’Unione Europea, non c’era la realtà multimediale, non esisteva il mercato globale e si doveva ancora fare i conti con i partiti di massa ereditati dall’esperienza del ventennio e del comunismo.
Nessuno dubita che la scelta di Prodi di porsi come difensore ad oltranza della vecchia Costituzione nasca non solo da ragioni di polemica contingente ma anche da una scelta profonda della sua parte politica contro la modernità ed il suo tratto distintivo rappresentato dalle libertà dell’individuo.
Ma è proprio su questa scelta reazionaria e conservatrice che la Cdl dovrebbe puntare per impostare una campagna elettorale che non servirà solo ad arrivare alla scadenza del 2006 ma dovrà anche gettare le basi per la fisionomia del centro destra del futuro.
Prodi ha scelto di rappresentare i nostalgici del passato, quella parte delle vecchie generazioni che non si vogliono arrendere al tempo che passa. Perché non approfittare del suo errore e tornare a rilanciare l’immagine innovatrice della Cdl, annunciando fin da ora che il 25 aprile del 2006 il centro destra andrà in piazza a rivendicare il diritto delle nuove generazioni e degli anziani non egoisti ad avere una Costituzione adeguata ai tempi?

matteotti
03-05-05, 16:09
GOVERNO CIVICO presenta una pdl per istituire delle VERE primarie!!!

PROPOSTA DI LEGGE
__
ART. 1.
1. Le elezioni per il rinnovo del Parlamento
europeo, del Senato della Repubblica,
della Camera dei deputati, dei consigli
regionali, provinciali e comunali, si
svolgono in due turni elettorali, salvo nel
caso di ballottaggi previsti dalle norme
vigenti in materia. Entrambi sono aperti
alla partecipazione di tutti gli iscritti alle
liste elettorali.
2. Il primo turno assolve alle funzioni
di elezioni primarie.

ART. 2.
1. Entro il centottantesimo giorno antecedente
la data di scadenza del termine
per la presentazione delle candidature per
l’ufficio di parlamentare europeo, senatore,
deputato, presidente di regione, presidente
di provincia e sindaco o entro tre
giorni dalla data di indizione delle elezioni
anticipate, il legale rappresentante del partito,
della lista civica o della coalizione, o
una persona di sua fiducia munita di
delega autenticata, iscrive la forza politica
da lui rappresentata all’ufficio elettorale
competente, accompagnandola con l’elenco
degli aspiranti candidati, proposti dalla
forza politica stessa in numero non inferiore
a tre.
2. Gli aspiranti candidati di cui al
comma 1 sono selezionati con le modalita`
previste dall’articolo 3.
3. Ciascun turno si svolge in un solo
giorno festivo.
4. Il secondo turno si svolge a tre
settimane dalla data del primo turno.
5. L’eventuale ballottaggio si svolge a
due settimane dalla data del secondo
turno.

ART. 3.
1. La selezione di almeno due terzi
degli aspiranti candidati proposti nel
primo turno dai partiti politici, dalle liste
civiche e dalle coalizioni avviene attraverso
la consultazione degli iscritti al partito
politico o alla lista civica, ovvero degli
iscritti ai partiti politici e alle liste civiche
che compongono la coalizione. Ciascun
iscritto deve poter esercitare il suo diritto
di scelta attraverso il voto.
2. Ciascun partito politico, lista civica o
coalizione e` tenuto a informare l’ufficio
elettorale competente delle modalita` prescelte
per garantire a ciascun iscritto il
diritto di cui al comma 1. In caso di
irregolarita` , inadempienze o violazioni del
presente comma, il partito politico, la lista
civica o la coalizione sono esclusi dalla
tornata elettorale o, nel caso le elezioni si
siano gia` svolte, ogni relativo eletto e`
dichiarato decaduto e ad esso subentra il
candidato della lista che ha ottenuto il
maggior numero di voti dopo quella
esclusa.
3. La proposta di candidatura puo`
essere avanzata anche da singoli elettori in
possesso dei requisiti di legge, i quali sono
ammessi alle elezioni primarie se sostenuti
dalle firme autenticate di almeno un centesimo
degli aventi diritto al voto.
4. Sono dispensati dalla presentazione
delle firme autenticate di sostegno gli
aspiranti candidati proposti da partiti politici,
liste civiche e coalizioni rappresentati
nel Parlamento europeo o nel Parlamento
nazionale. Sono dispensati altresý`,
nelle elezioni per il rinnovo dei consigli
regionali, provinciali e comunali, gli aspiranti
candidati proposti da partiti politici,
liste civiche e coalizioni rappresentati nei
consigli stessi.
5. Ciascun partito politico, lista civica e
coalizione e` tenuto a candidare nel secondo
turno il proprio aspirante candidato
che ha ottenuto il maggior numero di voti
nel primo turno.
6. Per gli aspiranti candidati a titolo
individuale l’ammissione al secondo turno
e` subordinata al raggiungimento di un
consenso, nel primo turno, non inferiore a
un ventesimo dei votanti nel turno stesso.
7. In caso di decesso o di impedimento
grave e certificato dell’aspirante candidato
che ha riportato il maggior numero di voti
nel primo turno, nel secondo turno gli
subentra l’aspirante candidato immediatamente
successivo per il numero dei voti
riportati.

ART. 4.
1. L’esito del primo turno elettorale
deve essere comunicato dall’ufficio elettorale
competente ai soggetti che, in virtu` dei
risultati, acquisiscono il diritto di partecipare
al secondo turno. La comunicazione
deve essere notificata entro ventiquattro
ore dalla data di chiusura dei seggi elettorali.

ART. 5.
1. I costi sostenuti dallo Stato per
l’effettuazione del primo turno elettorale
sono ripartiti tra i soggetti che beneficiano
del rimborso elettorale in quota proporzionale
all’entita` del rimborso stesso.


On. Roberto DAMIANI

Presentata alla Camera dei Deputati

Vai al FORUM: http://www.politicaonline.net/forum/forumdisplay.php?forumid=155

www.governocivico.org
www.governocivico.perlacalabria.it

nuvolarossa
07-05-05, 16:46
Universita' "La Sapienza"

A lezione di Costituzione con Sabino Cassese

ROMA - Convegno 10 maggio 2005 - ore 10.00-12.00 Aula I - facoltà di Scienze Umanistiche - piazzale Aldo Moro, 5 - Roma. Il 60° anniversario della Liberazione cade in una fase della nostra storia nella quale la Costituzione Repubblicana è oggetto di un profondo ripensamento. Il Professor Raffaele Romanelli, docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Umanistiche, ha perciò deciso di dedicare una lezione particolare del suo corso all’illustrazione delle revisioni in corso in Parlamento.
Ad affiancarlo in questa occasione sarà il Professor Sabino Cassese, della Facoltà di Giurisprudenza, studioso notissimo ed ex-ministro, che commenterà le riforme costituzionali con profonda conoscenza dei testi e delle implicazioni giuridiche connesse.
Sarà l’occasione per ripensare il profilo della Costituzione nei suoi quasi sessant’anni di vita, per passare in rassegna le tappe della sua attuazione, ma anche per valutare le esigenze di revisione avanzate dalle varie forze politiche e quindi collocare nella giusta prospettiva storica i cambiamenti oggi in discussione.

nuvolarossa
21-10-05, 21:15
Da una riforma all'altra

Ancora lunga la crisi del sistema politico istituzionale italiano

I commentatori che scrivono, riferendosi al voto sulla riforma costituzionale, che il sistema è schizofrenico, che sono state ferite le istituzioni o, nel migliore dei casi, che siamo di fronte ad un pasticcio, non sbagliano l'analisi. Ma sbagliano - e di molto - se pensano che questa situazione sia frutto del voto della Camera di ieri e non discenda invece da molti anni prima, magari dallo stesso referendum per il maggioritario e dalla legge elettorale che fu approvata successivamente. E poi, come magari illustri intellettuali hanno già dimenticato, distratti dai loro profondi studi, da una riforma costituzionale approvata con cinque voti di scarto alla fine della passata legislatura.

Un vulnus, questo, che ha in qualche modo imposto alla nuova maggioranza di non restare supina sul fronte costituzionale, se non altro per mettere ordine nella legislazione concorrente fra Stato e Regioni, che ha causato un insensato conflitto di competenze. Tanto che, sinceramente, i toni dell'opposizione sulla devolution sono inaccettabili, non solo perché nascondono le sue responsabilità in proposito, ma anche perché, con l'attuale riforma, si ristabilisce un primato dell'interesse nazionale che si era dissolto con quella passata, voluta ed imposta dal centrosinistra. E' vero però che, tolto il Titolo V della Costituzione, il testo di Riforma è problematico, spesso farraginoso, e soprattutto, sul piano istituzionale, inesplorato. Col fine di porre dei rimedi, si sarebbero potuti creare dei guasti peggiori, e la nostra posizione in merito, il consiglio che demmo alla maggioranza, fu di fermarci al Titolo V, di aspettare una riflessione più matura per il premierato, il superamento del bicameralismo perfetto e quant'altro.

Purtroppo, anche qui l'opposizione che si straccia le vesti, propose nel suo programma elettorale essa stessa il premierato: e dunque non si capisce di cosa possa lamentarsi ora.

Si dice poi che l'attuale riforma costituzionale è smentita dal ritorno al proporzionale, due direzioni contrapposte. Ma se allora si era contrari alla riforma costituzionale, per quale ragione il centrosinistra non ha cercato un dialogo con la maggioranza sulla legge elettorale? Perché l'opposizione è per il bipolarismo maggioritario: questa la risposta. In parte non vera: Rifondazione, Mastella, ambienti della Margherita e dei Ds sono proporzionalisti. Ma se, invece, fossero convinti della bontà del sistema elettorale maggioritario, avrebbero dovuto loro presentare una proposta di riforma costituzionale che radicasse e responsabilizzasse questo sistema, con una formula presidenziale, all'americana, o un semipresidenzialismo alla francese, o semplicemente abolendo la quota proporzionale e lo scorporo. Cose invece che non sono state fatte, portando il sistema all'attuale stato di implosione, tanto che il proporzionale potrà essere una strada per il riequilibrio e la sua stabilizzazione, se non altro perché consente soluzioni di comune omogeneità, dove le forze che hanno visioni comuni dei problemi, possono fare blocco fra di loro e non appoggiarsi ad una eterogeneità che paralizza le soluzioni di governo, come è successo con il centrosinistra più ancora che con il centrodestra.

Quali che siano stati gli esiti ottenuti, quello che è certo è che nella prossima legislatura troveremo di fronte gli stessi problemi con, forse, l'unico vantaggio che le forze politiche saranno più libere fra loro di affrontarli e di dare anche delle risposte più convincenti, in base alla loro libertà elettorale.

Comprendiamo meglio, alla luce di questa situazione convulsa sul piano elettorale ed istituzionale, la riserva del Pri tenuta per tutti gli anni '80 rispetto alle ipotesi di grande Riforma. Mettere le mani su un sistema che era riuscito comunque a far riprendere il paese dopo la ricostruzione, era un rischio altissimo che avrebbe comportato un prezzo adeguato. Lo stiamo pagando tutto.

Eppure, a nostro avviso, le zavorre che rallentavano la democrazia italiana verso la sua completezza erano di origine politica, non elettorale - istituzionale. La prima, riguardava la presenza di un Partito comunista, che impediva l'alternanza. La seconda, la difficoltà del principale partito di maggioranza relativa ad assumersi pienamente e stabilmente la responsabilità di governo, preoccupato com'era di perdere voti a vantaggio della sinistra. Anche le soluzioni future dovranno essere politiche, prima che elettorali - istituzionali. Chissà che alla fine non lo si capisca.

Roma, 21 ottobre 2005

nuvolarossa
17-11-05, 00:04
Devolution, Del Pennino: "Appuntamento al referendum"

Signor Presidente, ho avuto modo, nel corso delle precedenti discussioni sul disegno di legge di Riforma Costituzionale che ci accingiamo a votare, di esprimere le riserve e i punti di dissenso dei repubblicani e di avanzare una serie di proposte emendative.

Oggi peraltro ci troviamo di fronte a una scelta delicata e difficile perché la reiezione della riforma al nostro esame avrebbe l'effetto di mantenere in vita l'attuale Titolo V della Costituzione così come è stato modificato nella passata legislatura. E quel testo noi giudichiamo la soluzione peggiore, motivo di continui conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni. Mentre oggi ad esso si propongono alcune utili, anche se ancora inadeguate, correzioni.

D'altro canto il mio voto non è solo testimonianza individuale, ma rappresenta l'espressione di una forza politica che fa parte di questa maggioranza. E sapendo che la nostra scelta può essere determinante non riteniamo di poterci assumere la responsabilità del mancato raggiungimento del quorum, con il risultato di consolidare la normativa vigente di cui diamo un giudizio assolutamente negativo.

Voteremo pur mantenendo tutte le riserve già manifestate e ribadendo la necessità di porre mano a ulteriori interventi legislativi di natura costituzionale che affrontino e risolvano i problemi cui l'attuale disegno di legge non dà adeguata soluzione. E ciò tenendo anche conto che il voto di oggi non è definitivo, dato che vi è ancora l'appello referendario, rispetto al quale il PRI si riserva di definire la propria posizione, alla luce del divenire delle auspicate correzioni.

Texwiller (POL)
17-11-05, 11:49
Del Pennino, pur non condividendo, ha votato a favore perchè c'era pericolo della mancata approvazione da parte della maggioranza di cui il PRI fa parte?
Perchè potranno esserci ulteriori modifiche costituzionali in seguito?
Perchè ci sarà comunque un referendum confermativo?

Tex Willer

nuvolarossa
17-11-05, 12:30
Texwiller ... il testo riportato sopra al tuo post non e' scritto in politichese ... e' molto chiaro ... basta leggerlo ... e trovi tutte le risposte ai tuoi quesiti ....

nuvolarossa
17-11-05, 12:40
SEMPRE PIÙ CATASTROFISTA
Per l’Unione è arrivata l’Apocalisse

ROBERTO SCHENA

Una sinistra che prova a nascondere la sua incapacità di riformare lo Stato sparando aggettivi negarivi a 360 gradi. Il linguaggio trasuda espressioni grottesche, farneticanti, catastrofiste, sembranti annunciare l’Apocalisse della Repubblica italiana.
«Oggi si consuma un’altra pagina drammatica per la vita politica e sociale del nostro Paese», afferma addirittura Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Partito dei Comunisti Italiani. «Stanno facendo a pezzi l’Italia - continua terrorizzato - ed il suo tessuto sociale. La devoluzione porta l’ennesimo attacco al cuore della Costituzione repubblicana e antifascista, con il referendum fermeremo questo ennesimo pasticcio». Armando Cossutta, presidente del Pdci, aggiunge: «Si tratta di uno scempio vero e proprio alla Costituzione fatta da uomini illustri. Quello che hanno fatto ora è davvero uno scempio strutturale, politico, e uno scempio linguistico tipico proprio degli uomini della Lega Nord».
Non sono solo comunisti isolati a sentirsi smarriti, se anche il senatore della Margherita, Luigi Zanda afferma: «Credo che nulla nuoccia di più al futuro del Paese della rottura dei principi su cui poggia la nostra convivenza democratica». È la catastrofe anche secondo Piero Fassino, segretario dei Ds: «Contrariamente a quello che si dice, questo è un provvedimento che deforma le Istituzioni. La riforma della Costituzione riduce il grado di coesione e solidarietà del Paese oltre alla possibilità per Regioni ed Enti locali di un’efficace autogoverno, togliendo la possibilità di governare bene i propri territori e comunità. Domani avremo 20 sistemi sanitari, uno distinto dall’altro e i cittadini italiani non avranno più la garanzia di veder tutelati i loro diritti in tutte le zone del Paese».
Anche Dario Franceschini, coordinatore della Margherita, paventa l’Apocalisse: «È una brutta giornata per la storia italiana. C'è un Governo che si piega al ricatto della Lega per sopravvivere accettando di introdurre nel Paese questa devolution che scompone il sistema italiano unitario in tre settori vitali per gli italiani: la scuola, il sistema sanitario e la sicurezza».
Ancora più apocalittico Romano Prodi: «Abbiamo detto e dimostrato che è una riforma incoerente e squilibrata; che svuota il Parlamento senza rafforzare davvero la capacità di governo; che rende il Presidente del consiglio fortissimo con la Camera dei deputati e debolissimo col Senato; che rende interminabile il procedimento legislativo proprio mentre si invoca una maggiore rapidità ed efficienza delle istituzioni; che sottrae potere al Presidente della Repubblica e umilia tutte le istituzioni di garanzia; che crea un Senato privo di ogni reale rappresentatività delle regioni e delle autonomie locali, mentre si ampliano le competenze regionali fino al punto di metterle a serio rischio, aprendo la via a inaccettabili disparità fra i cittadini, la stessa unità sostanziale della Repubblica. Non posso nascondere la mia profonda amarezza come cittadino e come uomo politico».
«Oggi è un giorno triste per la nostra Repubblica. Con questa riforma si lacera il Paese e i cittadini italiani non avranno più gli stessi diritti», afferma il capogruppo dei Verdi Stefano Boco. «La Cdl ha svenduto alla Lega l’unità del nostro Paese. Il principio di solidarietà che ha tenuto insieme le Regioni è stato stracciato».
La carrellata horror non è finita. «Questa riforma è un mostro spaventosamente pericoloso, non solo in termini giuridici ma anche economici», dice il senatore della Margherita Giuseppe Vallone. «Mi chiedo se la Cdl abbia fatto bene i conti di quanto costerà fare a pezzi l'Italia, perché di questo si tratta, di farla a pezzi. E chissà quanti colleghi della maggioranza domani, dopo l’approvazione di questo pessimo testo sentiranno nelle proprie coscienze un rimorso pungente e vergognoso». Uguale identico il pensiero del coordinatore delle relazioni politiche e istituzionali della segreteria nazionale Ds, Vannino Chiti: «La modifica portata avanti dalla destra di oltre 50 articoli della Costituzione, ha prodotto uno strappo istituzionale dando vita a un mostro».
Per il presidente dei deputati Sdi Ugo Intini «siamo tutti felici di festeggiare la guarigione di Bossi, ma la Costituzione “verde” è il regalo di guarigione più costoso della storia. Oggi, a fronte delle sfide globali, c'è bisogno di “sistema paese” e di unire gli sforzi, non di dividere l’Italia in piccole repubbliche anacronistiche».
Gavino Angius, capogruppo dei Ds al Senato, tanto per cambiare, aggiunge: «Il nuovo testo della Costituzione è un dramma per il paese. Sancisce la vittoria di Bossi e la sconfitta dell’Italia». Anche il suo corregionale (e collega di coalizione) Antonello Soro, coordinatore per la Sardegna della Margherita, si mette le mani nei capelli, ecco con quali edificanti ragionamenti: «Sembrano messi in discussione i principi che cementano la convivenza democratica in Italia e sembra inarrestabile la spinta a separare e contrapporre Stato e regioni, a proclamare federalismo e praticare centralismo. In questo nuovo autunno della Repubblica, appaiono ancora più insopportabili la beffa e l’insulto della esclusione clamorosa degli obblighi nei confronti della regione Sardegna, privata del suo diritto all’autonomia finanziaria stabilita dallo Statuto».
Voce fuori cal coro quella di Nando Dalla Chiesa. «Credo che il vero problema di questa Costituzione non sia la devolution, che è una realizzazione a fisarmonica. Può - se gestita correttamente dalle Regioni il cui governo è ispirato a una corretta visione di un democrazia decentrata - accentuare alcuni aspetti del decentramento. Certamente, nelle mani di Regioni i cui governi inneggino alla secessione, la devolution può recare danni enormi al Paese. Quella prevista - dice Dalla Chiesa - è una realizzazione a fisarmonica: può andare in un senso e nell’altro, non è detto che scardini lo Stato, ma può sicuramente contribuire a incrinarne l’unità, perché gli spazi per gestirla scorrettamente ci sono tutti». Ma alla fine, forse accorgendosi di averne parlato con troppo rispetto, aggiunge: «Ciò che mi preoccupa veramente è l'idea del Parlamento, delle istituzioni, della cultura brianzola che si fa Costituzione».

Texwiller (POL)
17-11-05, 12:44
voteremo a favore.
Ho letto voteremo.
Che sia stato un voto a favore l'ho capito fra le righe.
Che abbia un gran mal di pancia Del Pennino l'ho anche capito.
I socialisti del nuovo PSI (se ce ne sono al Senato e non allineati a Bobo) come hanno votato?

Tex Willer

nuvolarossa
17-11-05, 13:37
Credo che i Socialisti ... quelli veri ... non gli ex ... abbiamo votato a favore ....

Lincoln (POL)
17-11-05, 16:06
non ha al momento propri rappresentanti in Senato(che io sappia)essendo il Sen.Crinò fuoriuscito dal partito con Craxi.Per la cronaca,il Sen.Crinò ha comunque votato contro.
Se vi interessa invece sapere la posizione del nuovo psi in materia, eccovi due dichiarazioni che peraltro non mi sembrano del tutto coincidenti;

16/11/2005: Devolution, Moroni:Importante per tutto il paese.

“Siamo convinti che la Devolution non è a favore di qualcuno e contro qualcun’altro”. Ad affermarlo è l’Onorevole Chiara Moroni, Portavoce del Nuovo Psi, secondo la quale “si tratta di una Riforma importante per il Paese, per il nord come per il sud”.“Abbiamo mantenuto coerentemente – sottolinea l’Onorevole Moroni – il nostro impegno a sostenere la Riforma Costituzionale purché questa Riforma marciasse di pari passo con la Riforma della legge elettorale in senso proporzionale, così come di fatto è avvenuto”.“Così come sono da respingere – aggiunge l’onorevole socialista – i tentativi strumentali e demagogici dell’opposizione che cerca di descrivere negativi quanto immaginari scenari futuri, altrettanto saremo attenti e vigili perché questa Riforma sia sempre applicata nello spirito del federalismo solidale”.

16/11/2005: Robilotta: Con l'approvazione definitiva della devolution della Lega va in scena il più vistoso paradosso della politica italiana.

''Con l'approvazione definitiva della devolution della Lega va in scena il più vistoso paradosso della politica italiana''. Lo afferma in una nota Donato Robilotta, vicesegretario del Nuovo Psi.''La Cdl - aggiunge - definisce federalista una riforma che invece è centralista e statalista, visto che alcune competenze delle Regioni vengono riassegnate allo Stato e che con il Senato Federale previsto e sopratutto con l'obbrobrio dell'iter legislativo farà diventare permanente il conflitto istituzionale tra lo Stato e le Regioni. L'Unione di Prodi invece grida allo sfascio quando le tante sentenze della Corte Costituzionale, trasformata nel vero parlamento italiano, stanno a dimostrare che lo sfascio viene operato dal titolo V della Costituzione approvato dall'Ulivo nella scorsa legislatura''. ''In tutta questa confusione - conclude Robilotta - resta un'araba fenice il federalismo fiscale. Il vero nodo che bisognava risolvere prima di affrontare qualsivoglia riforma federalista''.

nuvolarossa
17-11-05, 16:34
Devolution, uno schiaffo alla sinistra reazionaria

Il Senato approva in via definitiva la riforma della costituzione che sostituisce lo stato centralista con quello federale. Finalmente anche il nostro paese si dota di una struttura istituzionale moderna ed adeguata alle necessità del presente. Non a caso la sinistra reazionaria ha fatto quadrato contro la riforma. E l’intervento più forsennato è stato quello del campione del conservatorismo catto comunista Oscar Luigi Scalfaro

nuvolarossa
18-11-05, 20:38
Riforma/Nucara: Cei non interviene? Non gliene importa
Fatto è che riforma non nuoce a vescovi, per questo poco da dire

''La Chiesa non interferira' nel referendum sulla riforma costituzionale per una semplice ragione: perche' ai Vescovi di questa riforma non importa nulla''. Lo afferma il segretario del Pri Francesco Nucara commentando l'intervento del presidente della Cei, Card. Camillo Ruini. ''Il fatto e' - spiega Nucara - che alla Chiesa questa riforma non nuoce, per cui i vescovi hanno ben poco se non nulla da dire''.

Roma, 18 novembre 2005 (ANSA)

nuvolarossa
18-11-05, 20:42
Polemiche sulla riforma
La laicità dello Stato viene minacciata da chi strumentalizza i vescovi

Nessuno può stupirsi che vi siano voci di dissenso o di perplessità sul testo di riforma costituzionale votato dal Senato. Intervenire su un materia di questa delicatezza e complessità - considerando oltretutto che una ipotesi di riforma è presente nella vita politica italiana da più di vent'anni, un tempo dunque sufficiente ad orientare le idee di ciascun soggetto politico e civile - non può che provocare reazioni di ogni genere, positive, quanto negative.

Per questo il referendum sarà un passaggio cruciale per capire davvero quale sia il sentimento profondo del popolo italiano: crediamo che tutte le forze politiche vi si rimetteranno interamente.

Che poi possano esserci dei problemi di comprensione del testo di riforma è, purtroppo, un problema reale, come abbiamo avuto modo di far osservare già nelle sedi di competenza. Rispetto ad un testo costituzionale estremamente chiaro e lineare, quale era la Carta del 1947, si è adottato, nelle due riscritture recenti, in quella del 2001 e in quella del 2005, un linguaggio molto più elaborato e di più difficile interpretazione. Questo è un vero punto debole della riforma, perché una Costituzione deve essere, nella formulazione dei suoi articoli, chiara ed esaustiva fin dal primo momento. Al contrario le due ultime versioni della Carta possono provocare, oltre il dissenso, perfino una possibilità di equivoco sulla materia. Il primo caso è quello che hanno sollevato i vescovi per ciò che concerne la sanità regionale. A nostro modo di vedere il principio di sussidiarietà dovrebbe evitare ogni squilibro, ma capiamo che vi possa essere questa obiezione, anche per la complessità del testo. Una Costituzione prevede infatti, oltre l'applicazione, anche l'interpretazione: del resto, problemi in proposito vi sono sempre stati.

Quello che invece non possiamo capire è l'atteggiamento che la sinistra ha verso le obiezioni dei vescovi: se si condividono, esse sono apprezzate e ben gradite. Se non si condividono, rappresentano un'ingerenza nei confronti della laicità dello Stato. La nostra idea è che, in questa maniera, chi mina davvero la laicità dello Stato non siano i vescovi, che hanno diritto di pensare e dire quello che preferiscono, ma chi li strumentalizza a seconda delle proprie necessità politiche, dando loro un risalto che di per sé non acquisirebbero.

Roma, 18 novembre 2005

nuvolarossa
19-11-05, 13:10
Devolution e trionfalismi da propaganda

di Guglielmo Castagnetti

Caro Direttore,
dopo la doppia votazione di Camera e Senato, la cosiddetta devolution sarà sottoposta a giudizio referendario prima di essere iscritta nella Costituzione italiana. Esigenze propagandistiche delle diverse parti politiche e necessari compromessi nella maggioranza hanno reso il provvedimento incompleto e per certi aspetti anche contraddittorio. Accanto a preziose e irrinunciabili innovazioni come la fine del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, la fine del trasformismo e della trasmigrazione opportunistica da uno schieramento all’altro, ve ne sono di più discutibili, a cominciare dalla imperdonabile assenza del federalismo fiscale. Senza autonomia nel reperimento delle risorse e senza la responsabilità nella gestione viene a mancare il pilastro fondamentale dell’etica e dell’identità federalista. Ma gli italiani saranno chiamati a scegliere fra la cancellazione in toto o la conferma; magari con la riserva di migliorare poi con leggi ordinarie ciò che la norma costituzionale non risolve oggi. E’ quanto ritengo auspicabile nell’interesse del Paese, anche se comprendo le frustrazioni e il risentimento dei partiti di opposizione che dopo il voto hanno preannunciato una forsennata battaglia per il no al referendum.

Occorrerà invece riflettere di più e dire onestamente agli italiani che nel caso di bocciatura la Costituzione tornerà ad essere quella oggi esistente e torneranno ad essere vigenti quelle modifiche al Titolo V che, per ammissione di molti esponenti della sinistra stessa, rende ingovernabile il Paese ed espone la legislazione regionale e nazionale ad un persistente diffuso e paralizzante conflitto di competenze fra Stato e regioni. Né il centrosinistra, in caso di vittoria alle elezioni politiche, può promettere di porvi rimedio con nuova riforma costituzionale. Quattro letture richiedono almeno due anni e senza norma antiribaltone non credo davvero che Romano Prodi possa pensare di rimanere a Palazzo Chigi, ammesso che gli italiani gliene diano il mandato. E’ auspicabile allora che prevalga il buon senso e che l’integralismo fanatico e ossessivo del Sen. Scalfaro resti isolato e che i partiti diano vita ad una riflessione più pacata. Anche il centrodestra alla fine della scorsa legislatura lanciò tuoni e fulmini contro le riforme costituzionali proposte dal Governo Amato e votate dalla maggioranza di centrosinistra. Esasperò i toni, fece ostruzionismo e si abbandonò alla propaganda come è normale alla vigilia di una campagna elettorale. Ma non commise l’errore di cercare nel referendum confermativo la rivincita contro una riforma combattuta e subita, avendo ben chiaro il confine che passa fra una forte e determinata opposizione e il rancoroso e isterico sabotaggio.

Guglielmo Castagnetti

nuvolarossa
21-11-05, 14:30
http://www.opinione.it/vignette/2005_262_B.jpg

nuvolarossa
29-11-05, 19:28
TFR/ LA MALFA: NOTIFICHEREMO RIFORMA A COMMISSIONE EUROPEA
"C'è tempo fino al 2008 per modificarla"

Bruxelles, 29 nov. (Apcom) - "Notificheremo alla Commissione europea la riforma del Tfr e poi vedremo". Lo ha indicato il ministro per le Politiche comunitarie, Giorgio La Malfa, a margine del Consiglio competitività in corso a Bruxelles. La Malfa ha ricordato che ci sono "tre elementi di preoccupazione" sulla compatibilità della riforma con le norme comunitarie.

Ad ogni modo, ha spiegato il ministro, "Maroni non ha mai negato il fondamento di questi dubbi ma ritiene anche che la Commissione europea accetterà la riforma senza rilievi". Se invece ci dovessero essere problemi con Bruxelles, secondo La Malfa ci sarà tutto il tempo per modificare il resto in quanto questo entrerà in vigore nel 2008.

nuvolarossa
16-08-08, 10:06
UNA RIFORMA POCO DISCUSSA
Il paradosso del federalismo

di Angelo Panebianco

Non conosciamo ancora le sole cose che davvero contino in questa materia, e cioè i dettagli, ma siamo comunque abbastanza sicuri del fatto che stiamo per diventare (qualunque cosa ciò concretamente significhi) uno Stato «federale ». Dopo decenni di sforzi, alcuni coronati da successo e altri meno, di spostamento di poteri e competenze verso la periferia, Regioni e enti locali, sta per arrivare il «federalismo fiscale». Che del federalismo politico, almeno in linea di principio, è l'anima, la struttura portante. Lo reclama la Lega, lo hanno promesso Berlusconi e Tremonti, lo vogliono anche le Regioni e le amministrazioni locali, soprattutto del Nord, guidate dal centrosinistra.

Certo, saremo comunque uno Stato federale un po' strano, uno Stato federale con i prefetti: rimarremo, cioè, una mescolanza di vecchio centralismo napoleonico e di nuovo federalismo. Ma non c'è dubbio che se davvero arriverà il federalismo fiscale (se non sarà solo un bluff) la fisionomia del nostro sistema statale cambierà. Non subito, magari. Ma col tempo cambierà, e di parecchio. Però, c'è un però. Forse eravamo distratti quando la spiegazione è stata data ma non abbiamo ancora capito come la classe politica giustifichi di fronte al Paese una simile rivoluzione istituzionale e costituzionale. Non mi si fraintenda. Magari è un'idea eccellente (al Nord ne sembrano convinti quasi tutti, anche se poi, scavando un po', si scopre che ciascuno ha in mente un federalismo diverso da quello del suo vicino) ma bisognerà pur spiegarla al Paese, possibilmente andando al di là degli slogan e della propaganda di derivazione prevalentemente leghista. Per esempio: quale sarà l'utilità del federalismo fiscale, se c'è, per il Mezzogiorno?

Mentre si prepara una rivoluzione istituzionale, almeno potenzialmente, di immensa portata, come il federalismo fiscale, il Sud è silente. Sembra che la sola preoccupazione della classe politica meridionale sia quella di assicurarsi «compensazioni» adeguate (la quota del gettito fiscale che le Regioni più ricche dovranno comunque trasferire, tramite lo Stato centrale, alle Regioni più povere). Tutto qui? Il Sud non ha altro da dire? Solo garantirsi di essere sussidiato per l'eternità? In epoche intellettualmente più felici per il Mezzogiorno è esistito un pensiero meridionalista di grande qualità e spessore che ha guardato anche al federalismo come a un possibile motore di sviluppo, a unmezzo di emancipazione economica e sociale. Di quell'epoca e di quel pensiero non è rimasto nulla? Oggi non sembra arrivare alcun contributo di idee e di proposte alla «impresa federalista» dal Mezzogiorno d'Italia. Il federalismo parla solo, o prevalentemente, con accenti e inflessioni del Nord. Forse è anche per questo che la classe politica ha qualche difficoltà a presentarlo come un grande progetto per il Paese nel suo insieme.

L'assenza di spiegazioni articolate alimenta voci e chiacchiere. Come quella secondo cui solo con il federalismo fiscale si potranno ridurre le tasse. Questa, se permettete, è una bugia. Il livello di imposizione fiscale può benissimo scendere anche in uno Stato centralista. Anzi, col centralismo, di solito, è più facile decidere di ridurre la pressione fiscale. Il federalismo, per contro, può anche far lievitare, anziché contrarre, la spesa pubblica (rendendo così impossibile la riduzione delle imposte): perché, ad esempio, crescono i «costi di transazione», ossia i costi che dipendono dall'accrescimento dei livelli istituzionali e dalle aumentate negoziazioni fra Stato centrale, Regioni, enti locali. Ma, si dice, col federalismo fiscale, gli amministratori locali dovranno giustificare davanti ai loro elettori ogni tassa e la sua entità. E qui sorge un interrogativo che l'assenza di una discussione pubblica sul federalismo fiscale non aiuta a chiarire. Davvero le classi politiche locali, anche quelle del Nord (anche quelle leghiste), sono pronte a un simile salto nel buio?

Ha osservato giustamente Guido Tabellini (Il Sole 24 Ore, 31 luglio) che il federalismo fiscale può innescare comportamenti fiscali virtuosi solo a patto che si stabilisca un legame diretto fra spesa e prelievo: il politico locale sa che se non contiene le spese e le imposte pagherà un prezzo politico. Ciò è possibile solo se, trasferimenti perequativi dalle Regioni ricche a quelle povere a parte, i governi locali avranno ampi margini nelle scelte delle aliquote e le basi imponibili locali saranno ben visibili ai cittadini. Solo in quel caso l'aumento delle tasse, o la loro mancata riduzione, non verrà imputato dai cittadini allo Stato centrale ma agli amministratori regionali e locali. Veniamo da anni in cui le spese locali sono cresciute a dismisura perché ciò era nell'interesse di Comuni e Regioni (al Nord come al Sud): tanto, le tasse si pagavano prevalentemente al centro (allo Stato centrale) ed era solo sul centro che si scaricava quindi il malcontento.

Come la metterebbero Regioni e Comuni se, con un «vero» federalismo fiscale, la musica dovesse davvero cambiare? Non ne uscirebbero destabilizzate quasi tutte le amministrazioni regionali e locali attuali? Per esempio, è curioso il fatto che i leghisti vogliano più di tutti il federalismo fiscale e allo stesso tempo si oppongano (più o meno come si opponeva Rifondazione comunista nel passato governo Prodi) alla liberalizzazione dei servizi locali. Ma il federalismo (fiscale e non) non è per l'appunto voluto soprattutto al fine di favorire concorrenza, riduzione dei monopoli pubblici, comportamenti locali virtuosi? Urgono ragguagli sul perché stiamo per diventare uno Stato federale.

tratto da http://www.corriere.it/editoriali/08_agosto_03/paradosso_del_federalismo_65861eee-612b-11dd-ab06-00144f02aabc.shtml

nuvolarossa
17-08-08, 19:28
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Occhio, il Senatur mica è impazzto
Scritto da Oscar Giannino

domenica 17 agosto 2008 - È l’effetto della luna piena di Ferragosto, ad aver fatto dire a Umberto Bossi che bisogna reintrodurre l’Ici?

Ma come, è ancora fresco l’inchiostro sul decreto che ha abolito i due miliardi e mezzo di tasse sulla casa, da parte dell’85% di italiani che ne erano colpiti, e ci si rimangia la promessa appena mantenuta? Tranquilli. Bossi non è fuori di testa. È più che comprensibile che l’opposizione faccia il suo mestiere, che ridacchi e gigioneggi accusando il governo di avere le idee confuse, visto che l’abrogazione totale dell’Ici sulla prima casa l’ha appena votata. Ma fidatevi di noi: lasciate perdere Veltroni e compagni. I vertici dell’Anci e sindaci seri come Chiamparino e Cacciari hanno perfettamente capito che cosa intenda Bossi, per questo gli battono le mani. Il leader della Lega non vuole creare alcun problema né a Berlusconi né all’amico Tremonti. Né tanto meno a Calderoli, incaricato del confronto con opposizione e autonomie sullo schema di federalismo fiscale. Gli unici a non averlo capito sembrano quelli di An, che si sono precipitati a dire che l’Ici non si reintroduce e basta. Ma è il solito riflesso condizionato di An per distinguersi da Bossi. Scaramucce. Nel merito, anche loro sanno che l’ha detta giusta.

O meglio. Per essere precisi doveva dirla diversamente, perché se si parla dell’Ici in quanto tale, essa non verrà affatto reintrodotta. Ma pretendere da Bossi la precisione del linguaggio tecnico, sarebbe troppo. Lo sanno tutti. Lui è un leader politico, va per semplificazioni. Poiché dal 1993 l’Ici per tutti gli italiani è sinonimo di imposta sugli immobili, ecco che Bossi dice di reintrodurre l’Ici. In realtà, voleva dire un’altra cosa. E noi qui ve la spieghiamo. Per chiarezza, in quattro punti successivi. Primo, perché è stato giusto abolire l’Ici. Secondo, perché ora bisogna ripensare a un’imposta sugli immobili. Terzo, a chi deve essere attribuita. Quarto, il suo effetto sulla pressione fiscale complessiva.

Il criterio statalista

Molti sindaci e la sinistra si sono opposti, all’abrogazione totale dell’Ici sulla prima casa, sostenendo che così facendo il centrodestra contraddiceva l’obiettivo del federalismo. Anche il Corriere della Sera e il Sole l’hanno scritto e ripetuto nei loro editoriali. Balle. È vero che l’Ici, dal 1993 quando è nata, è divenuta un cespite che concorre tra un quarto e un terzo alle entrate complessive dei diversi Comuni. Ma il federalismo non significa affatto aumentare le tasse, attribuendone anche a Comuni e Regioni oltre che allo Stato. Quello può volerlo la sinistra, innamorata della tasse. Nel nostro pazzotico ordinamento attuale, infatti, sugli immobili gravano ben dodici tra imposte e balzelli vari, comunali, regionali e statali. Mi limito a elencarvi i principali nove: ci sono l’Ici e la Tarsu sui rifiuti di pertinenza comunale; poi tre imposte indirette a carattere patrimoniale, quella di registro, quella ipotecaria e quella catastale; inoltre quattro imposte dirette a carattere reddituale, visto che i redditi da immobili concorrono a determinare l’imponibile Irpef e Ires che si deve allo Stato, nonché quello colpito dalle addizionali Irpef deliberate dai Comuni e dalle Regioni. Ai 10 miliardi di euro che alle casse pubbliche fruttava l’Ici due anni fa, si sommano i 5 miliardi circa dalle tre imposte indirette, i 7,5 miliardi dai redditi “nazionali”, un altro paio di miliardini dalle diverse addizionali locali. La bellezza di oltre 25 miliardi l’anno, confusamente cresciuti negli anni in base al famigerato criterio statalista “ciascuno prenda dove è più facile colpire”. È stato dunque giusto liberare le famiglie sulla prima casa non per mero calcolo elettorale, ma per fare capire a tutti che il federalismo non sarà più la massima rapina al contribuente che finora è invalsa.

Le promesse elettorali

Secondo: ora non si tratta di reintrodurre l’Ici com’era nella confusa selva di imposte immobiliari, ma di riorganizzare tutti i tributi sul mattone in una logica di efficienza e sussidiarietà. Disboscandone il numero, come avviene in molti ordinamenti avanzati. Da decenni Confedilizia e Corrado Sforza Fogliani spiegano la differenza: il fisco deve colpire gli immobili a seconda del reddito positivo che producono alle persone fisiche e giuridiche che ne sono intestatari, non ha senso gravare su redditi negativi visto che in moltissimi casi è questo ciò che deriva dalla proprietà. Serve una tassa sui servizi resi dal Comune a carico degli utilizzatori della casa, correlata al beneficio recato alle case, e un’imposta proporzionata al reddito che la casa genera. È la via che segue, ad esempio, la Francia, ove il tributo locale è rapportato al valore locativo, sulla base di un catasto reddituale. La sinistra la pensa esattamente all’opposto, tant’è vero che nel tentativo realizzato nella scorsa legislatura di trasporre il catasto ai Comuni, intendeva al contrario aggravare i criteri patrimoniali ignorando quelli del reddito.

Terzo. Ora si tratta appunto di passare al federalismo. Ed è qui che vale il discorso di Bossi. Praticamente in quasi tutti i maggiori ordinamenti federalisti, l’imposta essenziale sugli immobili è attribuita alle Autonomie e non allo Stato centrale. Dall’Austria al Belgio alla Spagna, funziona così. In base al principio della sussidiarietà, gli interventi diretti del Comune e dei piani regolatori contribuiscono alla valorizzazione delle aree, com’è dal Comune che proprietari e affittuari ricevono i servizi essenziali che devono contribuire a finanziare direttamente, non per via di trasferimenti attraverso lo Stato.

Quarto: ciò che governo e maggioranza devono ricordare è che la somma delle poche imposte chiare che col federalismo verranno attribuite per competenza propria a Stato, Regioni e Comuni, devono non solo disegnare un’architettura di competenze il più possibile decentrata. Il punto essenziale è che la somma della pressione fiscale del federalismo sia non oltre quel 40% del Pil promesso in campagna elettorale, rispetto al 43,3% attuale. E se possibile di parecchio inferiore. Il che significa meno spesa pubblica a tutti i livelli. A quel punto, la sinistra piangerà ma le elezioni si rivinceranno a mani basse. Ed è di questo che Bossi ha parlato da Ponte di Legno. In pieno accordo con Silvio e Giulio.

tratto da http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=22634

nuvolarossa
25-08-08, 19:20
Il dialogo che stenta
Il Partito democratico la festa vuol farla al governo Berlusconi

Per capire quale aria si respirerà nei prossimi mesi autunnali, quella che era una volta la Festa dell'Unità - ed oggi è la festa del Partito democratico - offre un test calzante. Un esempio è stato il dibattito sul federalismo che si è tenuto fra i ministri Bossi e Tremonti, il già ministro dello Sviluppo Bersani e il sindaco torinese Chiamparino.

Da una parte abbiamo visto una platea applaudire Bossi e fischiare le bandiere della Lega, dall'altra si è manifestato il sostanziale scetticismo di Bersani sulla possibilità di un progetto federalista condiviso.

Ora, se è difficile capire gli umori dei frequentatori della Festa, che evidentemente volevano esprimere simpatia umana per Bossi contestandone però l'appartenenza politica - distinzione molto difficile perché Bossi e la Lega sono tutt'uno - è chiara invece la prudenza, per non dire la riluttanza, di Bersani sull'ipotesi della ripresa del dialogo.

Il federalismo non c'entra. Nel senso che la riforma dell'articolo V votata dal centrosinistra con il governo Amato - Bersani lo ricorderà - superava anche le aspettative della Lega stessa: tanto è vero che il ministro Calderoli, nel passato governo Berlusconi, si sentì in dovere di puntualizzare la priorità dell'interesse nazionale, che proprio la riforma del centrosinistra aveva fatto saltare. Non riteniamo possibile concepire maggior danno di quello che in proposito riuscì ad architettare il governo Amato: Bersani, uomo di buon senso, non potrà che prenderne atto.

Il vero problema, invece, è che il Pd non intende aprire un dialogo sul federalismo, temendo che questo possa poi diventare un dialogo più ampio con la maggioranza sulle sorti del paese. Altrimenti, se si voleva mostrare una disponibilità al dialogo, la strada maestra sarebbe stata quella di un confronto Veltroni - Berlusconi. E' chiaro invece che il Pd di questo non ne vuol sapere, nonostante i primi passi compiuti; e malgrado l'interesse di quel partito ad avere una voce in capitolo sulle riforma della giustizia e sul federalismo. Ma evidentemente si teme la prima molto più del secondo.

Fuori dalle formule di cortesia - Bersani e Chiamparino sono persone di educazione squisita - risulta quindi chiara la completa indisponibilità del Pd a qualsiasi forma di collaborazione con il governo. C'è da credere semmai che si prepari lo scontro in autunno. Presto, forse già dai prossimi giorni, vedremo anche affilare le armi.

Questo non significa che quanto il Pd prepara sia poi quello che persone di buon senso come Bersani e Chiamparino vogliono davvero. Loro, come Veltroni, dialogherebbero volentieri, perché conoscono troppo bene le pulsioni della piazza per restarne avvinti. Senza contare che conoscono altrettanto bene una lunga tradizione di sconfitte della piazza, sconosciute invece a Di Pietro. Ma se il Pd non va in piazza, ci va Di Pietro. E visto che il Pd non è riuscito a conquistare il cosiddetto elettorato moderato, nonostante tanti sforzi, non vuole ora perdere del tutto anche quello radicale che gli rimane. Una rincorsa che, a questo punto, prima ancora che inutile, sembra disperata.

Roma, 25 agosto 2008

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
12-09-08, 20:56
La nota politica

Oltre il federalismo
Guardare al di là delle piccole patrie, rilanciare la comunità occidentale

I repubblicani si riservano di approfondire, nei prossimi giorni, il testo sul federalismo licenziato dal Consiglio dei Ministri. Dedicheranno particolare attenzione a tre aspetti: i costi dell'operazione, senza dimenticare i contraccolpi negativi che essa ebbe per le finanze del Belgio; l'equilibrio tra le regioni, in particolare tra quelle più avvantaggiate e quelle meno sviluppate, con particolare riferimento ai problemi tuttora irrisolti del Mezzogiorno; la tutela concreta ed effettiva dell'interesse nazionale, esigenza imprescindibile per un partito la cui storia si identifica per tanta parte con quella del Paese. Solo dopo queste verifiche potremo decidere il nostro atteggiamento e - per quello che vale – anche il nostro voto in Parlamento. Che in una materia come questa, da cui può dipendere non poco il futuro del Paese, non può essere ingabbiato a priori dal vincolo di maggioranza. Al quale, come è ovvio, saremo lieti di ottemperare, ma solo se la riforma predisposta - e quella che alla fine sarà licenziata dal Parlamento – risponderà alle esigenze reali degli italiani.

Quello che sappiamo per certo, invece, è che - almeno per quanto riguarda i repubblicani - con l'approvazione del federalismo si chiude un ciclo. E non lo diciamo a caso. Il capogruppo alla Camera della Lega, Roberto Cota, ha dichiarato che "la via per la Padania è ancora lunga". Questa via per noi semplicemente non esiste. E non solo per una ragione storica, perché siamo il partito che ha nel suo "logo" l'unità nazionale, la patria Italia, per la cui costruzione presero le armi (quelle vere) e versarono il sangue (quello vero) tanti giovani del Nord, del Centro, del Sud.

Ma anche perché altri, e ben più gravi problemi oggi incombono. La situazione internazionale si aggrava di settimana in settimana, l'economia ristagna, gli squilibri sociali si accentuano. L'Italia, al di là delle dichiarazioni di rito e della difesa d'obbligo, rischia di trasformarsi nel fanalino di coda in un'Europa già di per sé confusa e smarrita, messa sotto pressione da una crisi recessiva che non sarà breve e da una Russia sempre più arrogante ai suoi confini, che usa l'arma energetica come strumento di ricatto politico.

Di fronte all'incombere e al probabile aggrovigliarsi di questi problemi, la risposta non può essere nel ricorso alle piccole patrie, non può ritrovarsi nei richiami da strapaese di una classe dirigente che ha smarrito, con il senso della nazione, anche quello dei valori di cui essa è espressione. C'è bisogno di risposte forti, capaci di creare (o ricreare) solide alleanze sovranazionali che ridiano smalto e slancio al popolo dell'Occidente di cui l'Italia fa parte. Lo avvertono più o meno consapevolmente i cittadini europei che, ricorda un sondaggio congiunto del "Marshall Found" e della "Compagnia di San Paolo", si rifugiano sempre più nella Nato e nella collaborazione nord-atlantica per rispondere alle sfide del nostro tempo; e in particolare i cittadini italiani, primi in Europa (73%) ad essere convinti che la Ue debba affrontare le minacce internazionali in partnership con gli Stati Uniti.

E allora chiudiamo presto – e bene – il capitolo delle piccole patrie. Apriamo quello, molto più importante e denso di conseguenze, sul rilancio della comunità occidentale e dei suoi valori liberal-democratici.

Roma, 12 settembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
15-09-08, 16:14
Il Tempo dell’11 settembre 2008

IL GOVERNO FACCIA CHIAREZZA SU UNA PROPOSTA CHE COMPORTA MOLTI RISCHI

Di Giorgio La Malfa

C’è qualcosa che non torna nel dibattito che si svolge in queste settimane sul cosiddetto federalismo fiscale. Ad alimentare il dubbio è il fatto che, paradossalmente, su una riorganizzazione della finanza pubblica in senso federale sembrano essere tutti d’accordo. La questione è citata nel programma elettorale di ambedue le coalizioni; il Governo dice di essere pronto a procedere e l’opposizione pronta a discuterne; si dichiarano d’accordo le regioni del Nord come quelle del Sud. Il fatto che, in tanto accordo, l’unica cosa di cui non si dispone siano i testi sui quali sta lavorando il governo rafforza ulteriormente i sospetti. Poiché il federalismo fiscale significa essenzialmente una redistribuzione delle risorse rispetto alla situazione attuale, un consenso così vasto può voler dire o che qualcuno ha sbagliato i conti o che il vero dibattito comincerà solo quando i numeri saranno resi noti.

Le questioni sono essenzialmente due e molto diverse fra loro. La prima riguarda la redistribuzione delle risorse fra il centro e la periferia. Una riforma in senso federalistico può consistere nell’individuare alcuni cespiti fiscali di cui le regioni possano disporre direttamente per finanziare le attività di loro competenza, liberandole dall’attuale dipendenza dai trasferimenti dello stato. Su questa impostazione progettuale è possibile che si ritrovino più o meno tutte le regioni, in quanto esse sostengono che lo stato scarica sulle regioni le proprie difficoltà rendendo aleatorie le risorse di cui ciascuna di esse può disporre. Ma la questione riguarda lo stato: come farà fronte l’amministrazione centrale alla riduzione dei suoi introiti fiscali nel moneto nel quale una maggiore quota di essi viene assegnata alle regioni? Rinuncerà a svolgere alcune funzioni? Trasferirà una parte del personale alle regioni? Oppure manterrà immutata la spesa rispetto al periodo precedente la riforma finanziandola con nuove imposte o con un aumento del debito?

Se il federalismo fiscale è l’occasione per una riorganizzazione seria della amministrazione centrale, esso può essere benvenuto. Ma bisogna essere certi che non sia invece un modo per un aumento della pressione fiscale o per una ripresa della corsa del debito pubblico.

Il secondo problema riguarda la distribuzione delle risorse fra le Regioni. Oggi la parte del gettito fiscale che lo stato non usa per l’amministrazione centrale viene attribuita alle Regioni, in parte in rapporto alla loro popolazione, in parte in funzione perequativa, a sostegno cioè dell’economia delle Regioni più deboli. Come inciderà il federalismo su questa distribuzione delle risorse? Se i fondi utilizzati in funzione perequativa rimarranno quantitativamente immutati, per le regioni del Nord il federalismo non sarà servito a nulla; se si ridurranno, le regioni del Mezzogiorno registreranno un aggravamento delle loro condizioni. Naturalmente, anche in questo caso, come per quello che riguarda la distribuzione delle risorse fra centro e periferia, si può immaginare che la riforma federalistica si accompagni a un aumento di efficienza. Questo potrebbe voler dire, ad esempio, che, potendo contare su minori trasferimenti a loro favore, le regioni del mezzogiorno sarebbero indotte a darsi da fare ed a rendere più produttive ed efficienti le attività economiche. Non lo si può escludere, ma, se la scarsità di risorse è un incentivo ad aguzzare l’ingegno, non si può neppure escludere che l’aumento delle risorse disponibili nelle regioni del Nord dia luogo a una minore necessità di aguzzare il loro ingegno e dunque a una minore efficienza. Anche qui il rischio evidente che si corre è che, riducendo l’ammontare delle risorse attualmente disponibili per la perequazione fra le regioni, le zone più povere del paese chiedano e alla fine possano ottenere un sostegno centrale, per finanziare il quale l’amministrazione dello stato debba ricorrere a un prelievo fiscale aggiuntivo o a un maggiore indebitamento.

Questi sono i problemi aperti. Non risulta che il governo abbia compiuto degli studi approfonditi su tutti questi aspetti della questione del federalismo fiscale. Per ora lo sforzo sembra essere quello di evitare che si apra un conflitto politico fra queste diverse istanze. Ma conviene procedere con molta cautela prima di far partire il treno della legislazione. Perché se esso si mette in moto senza avere delle risposte precise ai quesiti aperti, si rischia soltanto di accendere la spirale dell’aumento della pressione fiscale o peggio quella del debito pubblico dalle quali faticosamente l’Italia cerca da molti anni di allontanarsi.

tratto dal link
http://www.giorgiolamalfa.it/public/il%20Tempo%2011%20settembre%202008.doc

nuvolarossa
22-09-08, 19:47
Dopo i primi incontri Governo-Regioni - Ipotesi che per ora convincono poco
Luci e ombre nel testo sul federalismo fiscale

di Antonio Del Pennino

In attesa di conoscere il testo che il Consiglio dei Ministri adotterà a seguito degli incontri tra i Ministri Calderoli e Fitto e i rappresentanti delle Regioni avviati giovedì, non è ancora possibile un giudizio compiuto sul disegno di legge relativo all'attuazione dell'art. 119 della Costituzione: il cosiddetto federalismo fiscale.

Ma è sin da ora possibile avanzare alcune considerazioni di metodo e di merito che ne evidenzino luci ed ombre.

Certo, è scelta importante quella di sostituire a un sistema di finanza derivata, basato sulla cosiddetta spesa storica, un nuovo sistema che si fondi principalmente sull'autonomia impositiva di Regioni ed enti locali e che faccia riferimento al costo standard.

E' noto, infatti, come il sistema di finanza derivata avente come parametro la "spesa storica" abbia di fatto esaltato solo gli atteggiamenti rivendicativi di Regioni, Province e Comuni, volti a battere cassa nei confronti dello Stato oltre ogni limite di compatibilità del sistema economico e a rinunciare a qualsiasi tentativo di riduzione degli sprechi e delle spese superflue.

L'adozione di un sistema basato sull'autonomia impositiva significa, invece, responsabilizzare gli amministratori, obbligandoli a selezionare gli investimenti, ad espandere alcuni servizi riducendone altri, a sviluppare alcune prestazioni offerte ponendone l'onere a carico della comunità, o a contenere le spese rinunciando a tassare maggiormente le popolazioni interessate.

E l'adozione del criterio dei "costi standard" consentirà un'oggettiva quantificazione degli oneri per i diversi servizi offerti.

Da questo punto di vista, quindi, l'iniziativa di avviare il cosiddetto federalismo fiscale non può non essere salutata positivamente.

Evidenziato questo, rimangono però, rispetto al provvedimento governativo, non poche ombre.

Innanzitutto, è pur vero che il testo presentato al Consiglio dei Ministri prolunga a 24 mesi, anziché i 6 originariamente previsti, il termine per l'emanazione di decreti delegati, il che appare opportuno in una materia così complessa, ma l'iter previsto per tale emanazione sembra ridurre il Parlamento ad una funzione residuale.

Infatti, è previsto che gli schemi dei decreti legislativi siano adottati previa intesa da definire in sede di Conferenza Unificata Stato-Regioni e gli stessi vengano trasmessi alla Camera e al Senato per l'espressione del parere, da formulare entro 30 giorni dalla loro trasmissione. Decorso tale termine i decreti possono essere comunque emanati.

E' evidente quindi che il contenuto dei decreti sarà oggetto di una trattativa esclusiva tra Governo e sistema delle autonomie, mentre al Parlamento resterà un ruolo di semplice ratifica.

A questa prima osservazione ne vanno aggiunte altre tre.

Il disegno di legge parla di tributi e compartecipazioni per finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie di competenza legislativa delle Regioni, di cui al 3° e 4° comma dell'art. 117 della Costituzione, cioè alle materie di competenza esclusiva regionale e di quella concorrente. Il che significa dare per scontato una ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni quale quella disegnata nella riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal centro sinistra nel 2001. Una riforma che l'attuale maggioranza aveva giudicato necessaria di correzioni nel corso della XIV legislatura. Una riforma che va soprattutto rivista per quanto riguarda la legislazione concorrente: basti pensare, per fare un esempio, al tema della produzione, trasporto e distribuzione dell'energia che non può non riguardare la competenza esclusiva statale.

Assicurare alle Regioni la copertura finanziaria per materie delle quali va rivista l'effettiva attribuzione significa cristallizzare un disegno istituzionale sbagliato o aprire la strada a futuri conflitti tra lo Stato e le Regioni.

Da questo punto di vista il fatto che il disegno di legge sul federalismo fiscale non sia accompagnato da un provvedimento che ridefinisca il quadro istituzionale ne rappresenta un grave limite.

E questo aspetto emerge con chiarezza anche per un'altra questione.

La bozza del ddl presentato al Consiglio dei Ministri prevede "la disciplina di un tributo proprio provinciale che , valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà della sua istituzione in riferimento a particolari scopi istituzionali". Ciò significa dare per scontato, anzi consolidare, l'esistenza delle Province.

Non si tratta di riprendere un vecchio cavallo di battaglia repubblicano. Ma l'inutilità dell'ente Provincia è ormai ampiamente riconosciuta, almeno all'interno del Pdl.

Basti in proposito ricordare la recente intervista del Ministro Scajola a "Economy": "le Province costano 15 miliardi ed hanno come competenza strade e ambiente, che potrebbero essere affidati ad altri enti". Ed ancora l'articolo di Enzo Raisi sul "Secolo d'Italia": "La Provincia, ente inutile sopravvissuto dopo la costituzione delle Regioni, deve essere abolita per porre fine a costi e a blocchi nei processi autorizzativi della pubblica amministrazione che non hanno più ragione di essere".

Se il federalismo fiscale vuole essere effettivamente l'occasione per eliminare gli sprechi, ridurre gli adempimenti a carico dei contribuenti, affermare il principio della sana amministrazione, non può contemplare un'autonomia impositiva anche per un ente inutile.

Infine un'ultima osservazione.

Allorché nel lontano 1975 fu discussa alla Camera la delega sul trasferimento delle funzioni statali alle Regioni (tradottasi poi nel decreto 616/77), come repubblicani ci opponemmo allo stralcio delle norme dell'originario disegno di legge che prevedevano la contestuale ristrutturazione dell'amministrazione centrale, perché ciò avrebbe comportato una inutile permanenza di personale e di uffici dell'apparato centrale con conseguente aggravio dei costi.

Dall'attuale disegno di legge non si capisce bene se il trasferimento di alcune competenze fiscali alle Regioni e agli enti locali significherà anche un contemporaneo trasferimento di personale e strutture da parte dello Stato, o se si ripeterà l'errore del 1975.

Sono queste alcune prime riflessioni sul disegno di legge relativo al federalismo fiscale. Altre più meditate ci riserviamo di formulare quando conosceremo il testo definitivo.

E lo faremo senza pregiudizi, ma anche senza sconti.

tratto da http://www.pri.it/new/22%20Settembre%202008/DelPenninoFederalismoLuciOmbre.htm

nuvolarossa
29-09-08, 16:41
Forum della “Voce Repubblicana” sul federalismo fiscale

Martedì 30 settembre alle ore 10,30 si terrà presso la sede del PRI il Forum organizzato da “La Voce Repubblicana” sul federalismo fiscale. Parteciperanno l’onorevole Gerardo Bianco, il professor Adriano Giannola della Svimez, il costituzionalista professor Oreste Massari, il senatore Giorgio Stracquadanio. Modera il condirettore de “La Voce Repubblicana”, Italico Santoro.

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
09-10-08, 16:47
Forum della "Voce" - Intervengono Bianco, Giannola, Massari, Stracquadanio
Federalismo fiscale, luci ed ombre di una riforma

Riportiamo il testo integrale del forum che "La Voce Repubblicana" ha tenuto martedì 30 settembre sul tema: "Federalismo fiscale, luci ed ombre di una riforma". Sono intervenuti gli onorevoli Gerardo Bianco e Giorgio Stracquadanio, l'economista Adriano Giannola e il costituzionalista Oreste Massari. Ha moderato la discussione il condirettore della "Voce" on. Italico Santoro.

Santoro. Vorrei iniziare con una domanda tutta "politica" al senatore Stracquadanio. Ci troviamo in una condizione economica di estrema difficoltà che rischia, dagli Sati Uniti, di ripercuotersi anche sull'Italia: Unicredit è andata incontro a rilevanti perdite in borsa. La situazione internazionale, dal punto di vista politico, è altrettanto difficile: la Georgia, le tensioni fra Stati Uniti e Russia, le questioni europee ancora aperte… Insomma: parliamo di federalismo fiscale, ma non è un po' come quell'orchestrina che suona sul Titanic che affonda? Noi, insomma, affrontiamo certi argomenti, mentre il mondo parla d'altro…

Stracquadanio. Noi chiamiamo federalismo fiscale quella che io considero per molti versi la madre di tutte le riforme necessarie. Qui non stiamo parlando della riforma della finanza locale: non è questo il tema. L'argomento è un altro: come ricondurre la spesa pubblica e la tassazione in capo a una responsabilità coerente e unitaria. Faccio una breve retrospettiva. La crisi finanziaria dell'Italia, quella che oggi ci costringe a una compressione straordinaria della spesa pubblica, nasce da tre radici originarie. Il divorzio tra la responsabilità di spesa e la responsabilità fiscale, determinato dalla riforma degli anni '70; la creazione delle Regioni, così come è stata attuata; l'utilizzo del debito pubblico da parte dei governi come ammortizzatore sociale di fronte alle difficoltà dell'economia reale. Questi tre elementi sono stati storicamente insieme: tutti coloro che hanno avuto responsabilità negli enti locali sanno bene che i bilanci sono sempre stati fatti aumentando di anno in anno le spese. Ma, per fare questo, tutti i capitoli di bilancio venivano portati a esaurimento poiché altrimenti non si sarebbe potuto chiedere di più al responsabile del Tesoro. Il federalismo fiscale non è la riforma della finanza locale, ma è la fine del divorzio della responsabilità fra tassazione e spesa. Ogni livello di governo deve fare fronte, in modo responsabile, alle sue spese, in maniera trasparente. Per di più, il meccanismo implica un controllo da parte del cittadino, che così è consapevole che un certo beneficio ottenuto è a fronte di un costo. Chi governa oggi, insomma, promette benefici ma nasconde i malefici, occultando il costo del beneficio promesso dietro un altro soggetto che impone la tassazione. Tanto è vero che negli enti locali si spende moltissimo per regalare "cultura", ma nascondendo il fatto che quella "cultura" viene pagata tramite le tasse. Ricondurre la responsabilità della spesa in capo al soggetto politico è l'unico mezzo che abbiamo perché si possa ridurre la spesa, ridurre la tassazione e dare un effettivo controllo ai cittadini. Determinando anche scelte politiche nette: tra chi per esempio vuole dare più servizi di tipo pubblico imponendo più tasse, o chi invece riduce le tasse e apre i servizi pubblici alla competizione privata. Quindi il federalismo fiscale è la riforma della governance della Repubblica italiana. In questo senso non è distante dai problemi della crisi internazionale. Siamo, insomma, giunti ad un punto in cui il nostro modello organizzativo non regge. E non è un problema di natura semplicemente istituzionale; è un problema di atteggiamenti politici che nascono da questo divorzio di responsabilità.

Santoro. Pongo una domanda al prof. Massari. Recentemente sul "Sole 24 Ore" Enrico De Mita ha scritto che al federalismo fiscale manca un orizzonte costituzionale. E cioè che sarebbe stato meglio prima riformare la Costituzione negli articoli dedicati alla governance complessiva del territorio e poi introdurre il federalismo fiscale. Qual è la sua valutazione "costituzionale", prof. Massari?

Massari. Quella di De Mita mi sembra un'osservazione calzante perché se è vero che non si tratta di una semplice riforma amministrativa della finanza locale, bensì di una riforma della governance in Italia, allora noi ci troviamo davanti un problema istituzionale. Ricordiamo che tutti gli stati federali che "funzionano", dagli Stati Uniti alla Germania, quest'ultima a noi più vicina, hanno una Costituzione di tipo federale, con una seconda Camera – Senato e Bundesrat, rispettivamente – che è l'apice di questa catena di responsabilità. Sappiamo ad esempio che il Bundesrat incide in modo rilevante durante le discussioni sul bilancio federale. In Italia, al vertice di questa pluralità di enti che la Costituzione mette sullo stesso piano (Comuni, Province, Regioni, etc.) occorre dare una strutturazione d'insieme con, in capo, una responsabilità. Non credo peraltro che nell'ambito di questa riforma radicale della governance possano porsi come vertice la Commissione paritetica individuata nel disegno di legge Calderoli oppure la Commissione unitaria della spesa pubblica. Sono organismi che non possano sostituire una responsabilità politica che va in capo a una seconda Camera di tipo federalista. E dobbiamo ricordare che, mentre tutta la parte relativa al Titolo V della Costituzione è stata approvata alla fine di un percorso da un referendum popolare, in realtà la riforma della seconda parte della Costituzione – quella presentata dal governo di centrodestra – è stata poi sconfessata da un altro referendum popolare. Ci troviamo, insomma, di fronte a una difficoltà istituzionale notevole. E dunque è bene che il percorso del federalismo fiscale sia accompagnato quanto prima da una riforma costituzionale. Leggo sui giornali che l'attuale maggioranza tornerà a parlare di questo problema: bene, se il federalismo fiscale non vuole essere semplicemente una riforma tributaria ma una vera ristrutturazione della spesa "storica" italiana, ha bisogno di corrispondenti responsabilità politiche, che non possono non fare capo a un assetto federale delle più alte istituzioni.

Santoro. Professor Giannola, uno dei problemi maggiori che il federalismo fiscale pone è il rapporto Nord – Sud. Uno studio recente mette in luce che il divario è inalterato. Sono andato a rivedere i dati sul rapporto tra Centro – Nord e Mezzogiorno nel corso di alcune annate particolari: ho visto che nel 1951, con un'Italia ancora dissestata dal conflitto, il prodotto pro – capite del Sud era pari grosso modo al 63 per cento di quello del Centro – Nord. Nel 1961 – i dieci anni dello sviluppo, del "miracolo", localizzato soprattutto a Nord – la percentuale scende intorno al 58 per cento. Nel '71, dopo dieci anni di intervento straordinario centralizzato – la Cassa per il Mezzogiorno – c'è un recupero e si risale intorno al 63 per cento. Nel 1970 vengono istituite le Regioni: da allora la percentuale scende. Oggi si è tornati al 56 – 57 per cento. E dunque: il decentramento ha danneggiato il Mezzogiorno? La creazione delle Regioni ha contribuito a indebolirlo? E quindi mi chiedo: il federalismo fiscale servirà ad equilibrare il rapporto tra le due Italie o aggraverà il divario?

Giannola. Non so se l'introduzione delle Regioni di per sé abbia determinato l'inizio del declino. In realtà le Regioni nascono nel '70, ma la "svolta" comincia nel '73 ed è legata alla crisi internazionale, alla smobilitazione dell'intervento straordinario prima maniera. Non c'è stata una ricetta sostitutiva all'industrializzazione italiana. Quando ci si lamenta delle "cattedrali nel deserto", dobbiamo ricordare che quell'intervento iniziale fatto al Sud era in realtà una grossa manovra di politica industriale nazionale che ha consentito all'Italia di entrare in Europa. L'Italia ha rinunciato al protezionismo e lo ha sostituito con le politiche regionali e con l'emigrazione dal Sud al Nord. Il crollo di questa opzione di politica industriale, che in sostanza ha fatto il miracolo economico, così come l'inesistenza di una politica alternativa spiegano molto più del fatto, puramente istituzionale, della creazione delle Regioni. Detto questo, è comunque un dato oggettivo il fatto che le Regioni del Sud abbiano funzionato molto peggio di quelle del Nord, soprattutto all'inizio. Un esempio: nei primissimi anni del 2000 in Campania non erano stati approvati i bilanci della Regione, addirittura dal 1995. La prima giunta Bassolino ha approvato quello che non era mai stato neanche contabilizzato. Insomma, tanto più povero è un paese, tanto più è inefficiente. Tanto più gli si delegano competenze, tanto più è difficile che questa efficienza sia adeguata.

Ma c'è anche un problema di "controinformazione". Una delle bandiere del federalismo fiscale è quella di controllare la spesa, obbligando le amministrazioni locali – in pratica il Mezzogiorno – a usare meglio le risorse, nell'idea che queste risorse siano state sprecate, e chissà in che quantità. Ma, se andiamo a guardare i dati dal '92 a oggi, pur ricomprendendo i fondi strutturali europei – l'unica teorica risorsa aggiuntiva – le risorse sono state tagliate in modo drastico proprio al Mezzogiorno, cioè alla parte più debole e più inefficiente. E su questo punto occorrerebbe fare molta controinformazione, ripeto, soprattutto tra i politici, che spesso si ritrovano a lavorare e a decidere condizionati da pesanti luoghi comuni.

Il federalismo fiscale può essere di aiuto al Mezzogiorno? Certo, lo può aiutare. Così come lo può invece affossare. Si tratta di vedere cosa sarà il federalismo fiscale. In realtà stiamo parlando di una scatola vuota. I disegni di legge Calderoli non dicono nulla: sono più o meno simili a quelli del centrosinistra (anzi, quello del governo Prodi era molto più dettagliato). Il disegno di legge Calderoli, almeno per ora, è forse ancora più vago di quello del centrosinistra. Nessuna differenza, sull'argomento, fra centrosinistra e centrodestra. Questo dei due "federalismi", uno di destra e uno di sinistra, è un primo equivoco di cui sbarazzarci: e infatti c'è discussione sul federalismo fiscale, ma non una vera opposizione. In realtà il federalismo fiscale, allo stato dei progetti, non esiste: questo non è un modello di federalismo fiscale. Nella Costituzione la parola federalismo non c'è. Dove la trovate nella Costituzione? Neppure nel Titolo V, dove non si introduce di certo il concetto di federalismo fiscale. Dietro il linguaggio, insomma, non c'è niente. In realtà, vedendo in modo nobile tale riforma, si potrebbe leggerla come il tentativo di introdurre elementi di sussidiarietà nel nostro ordinamento; ma la sussidiarietà è altra cosa, anzi è il contrario del federalismo fiscale. Allo stato, c'è solo un tentativo volto a realizzare un decentramento fiscale in modo da dare più responsabilità a chi governa. Del resto la Francia lo attua da vent'anni, qualsiasi paese non federale lo può realizzare, così come un paese di stampo federale. E' un decentramento che alla fine implica una sana sussidiarietà. Semmai il vero problema è l'inesistenza di uno Stato che riesca a responsabilizzare in funzione della sussidiarietà. Se io attribuisco competenze che non vengono utilizzate appropriatamente, allora la sussidiarietà imporrebbe un intervento statale. Ma in Italia lo Stato non è in grado di intervenire. Assistiamo alla crisi di un sistema che crede di sfuggire alla sua debolezza organizzando una scatola vuota, che è molto pericolosa. E' inutile parlare di un federalismo "benevolente", per così dire, rispetto ad un federalismo competitivo. In realtà, quando si introduce l'idea che stiamo andando verso un sistema federale, introduciamo un principio allarmante. Ad esempio si dice: le risorse appartengono ai territori. Ma la territorialità delle risorse non ha nessun senso dal punto di vista tecnico. Però è passata l'idea che i trasferimenti di reddito siano trasferimenti assistenziali. Con questa impostazione, anche San Babila a Milano potrebbe trasferire risorse a qualche quartiere più povero della città; e così il Nord trasferirebbe risorse al Sud. Sotto questo aspetto, si tratta di un errore grave. Insomma, qui si vorrebbero territorializzare le risorse: è un po' l'idea che i diritti di cittadinanza sono diversi da Stato a Stato. Come in America: condanna a morte in Alabama ma non a New York. E' perfettamente legittimo, se vogliamo, e questo pare l'obiettivo finale. Però su questo punto starei molto attento. E vorrei concludere sottolineando ancora una volta che di federalismo oggi non ha senso parlare, perché né la Costituzione, né il Titolo V hanno qualcosa a che fare con il federalismo. Forse è meglio invocare un altro principio, quello di sussidiarietà. Ma ciò ci pone un problema molto rilevante: cosa fa lo Stato? E' capace di essere l'elemento in grado di far funzionare questo meccanismo di sussidiarietà?

Santoro. Ho visto il senatore Stracquadanio dissentire su alcune cose dal professor Giannola. Ma per ora vorrei dare la parola all'on. Bianco. Così Stracquadanio potrà intervenire su più questioni. On. Bianco, quando in Belgio fu introdotto il federalismo ne derivò un aggravio per le finanze pubbliche che portò il Belgio, paese in sostanziale equilibrio, quasi ai livelli italiani in quanto al rapporto tra debito pubblico e Pil. Inoltre, invece di colmare le distanze tra fiamminghi e valloni, la situazione si è inasprita. Quindi, guardando al Belgio, c'è da pensare che il federalismo può non essere la cura giusta per superare i gap territoriali. Insomma, non è detto che gli esiti della riforma debbano essere necessariamente positivi: possono essere di tipo svizzero, di tipo americano o di tipo tedesco, ma possono essere anche di tipo belga. In particolare, così come si sta delineando il federalismo fiscale in Italia, è possibile che il bilancio pubblico ne subisca contraccolpi? O invece siamo sicuri che l'equilibrio di bilancio verso il quale ci si sta orientando sarà rispettato?

Bianco. Io la domanda la rivolgerei a Tremonti, per la verità, visto che è un grande esperto di politiche monetarie creative. Personalmente, sono abituato a fare una somma di tipo elementare e devo dire che, se le cose rimangono così, in realtà non si farà nessun federalismo, si determinerà soltanto una ulteriore divaricazione all'interno del paese. L'analisi che ha fatto Giannola non solo è condivisibile ma dovrebbe essere meditata attentamente da tutti. Invece di innamorarsi dei termini e delle parole che, come è stato detto, non sono neppure nella nostra Costituzione, sarebbe bene conoscere i fatti. I fatti ci dicono questo: che fino a quando c'è stato un intervento serio e in un certo senso anche mirato nei confronti del Mezzogiorno, il gap fra Nord e Sud si è ridotto. Questo è un dato oggettivo. Gli anni che vanno dal 1950 in poi (gli anni della Cassa del Mezzogiorno, cioè, ritenuta la Cassa della dispersione), come i dati dimostrano, furono per l'Italia anni con un tasso di sviluppo superiore a quello della Germania. E in seguito arrivò anche una riduzione del differenziale tra il Nord e il Sud. Cioè la famosa divaricazione si andava riducendo. Questi sono i dati! Questa è la vicenda storica dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno. Certo, è anche emersa nel tempo tutta la debolezza della classe dirigente meridionale, ma nel tempo è venuta meno anche una politica meridionalista. Cioè il principio ispiratore che, nell'immediato dopoguerra, riteneva che l'unità del paese dovesse passare per la questione meridionale. Nel 1993 è finito l'intervento straordinario e successivamente c'è stata la fine di qualsiasi intervento per il Sud. Ho qui un libro della Svimez che dimostra, con tabelle e con dati, come neppure la classe dirigente meridionale abbia capito che cosa accade con il cosiddetto federalismo fiscale, tanto è vero che hanno firmato accordi che sono assolutamente penalizzanti per il Mezzogiorno. Il federalismo fiscale, così come si va configurando, non contiene alcun elemento correttivo per colmare uno storico divario. La questione meridionale, di questo passo, si sta rivelando sempre più irrisolta. Un esempio: l'Abruzzo, che non è certo fra le regioni meridionali meno sviluppate, ha un reddito non paragonabile a quello della "peggiore" regione del nord. Mi pare che la distanza tra il Nord e il Sud stia crescendo, si vada aggravando. Il problema, insomma, non è solo quello di garantire i cosiddetti diritti essenziali, che pure sono una premessa indispensabile; il problema vero è un altro, e cioè come il federalismo fiscale si combini con una politica per il Mezzogiorno. Si può fare a meno di una politica per il Mezzogiorno? Se è così, il divario aumenterà e le conseguenze saranno quelle prospettate. E per tornare al Belgio, portato come esempio negativo nella sua domanda, in questo paese ci sono tre realtà. Bruxelles, i valloni, i fiamminghi. La divaricazione non è stata affatto corretta dagli interventi che sono stati messi in atto, tanto è vero che incombe sempre il rischio della secessione. In Italia vanno aumentando gli elementi di separatismo e le forze politiche come la Lega sposteranno domani in avanti il paletto. Dato che il loro obiettivo è quello di creare in Italia una confederazione, si fa per dire, di staterelli; è il ritorno addirittura a una fase pre - risorgimentale, agli staterelli con diversi indirizzi e orientamenti. E ritengo anche che, quando ci si appropria delle risorse territoriali, sia inevitabile un aumento della spesa pubblica. Ci sono, per fortuna, i vincoli europei; ma in Italia, come anche altrove - vedi l'Austria - le tendenze delle forze politiche attuali sono minate dall'anti-europeismo. E l'attuale maggioranza è sostanzialmente anti-europeista. Questa è la mia visione delle cose, che mi fa dire che incombono sul paese ombre piuttosto preoccupanti: e il federalismo fiscale, invece di essere una speranza, rischia di rivelarsi un incubo per il Mezzogiorno.

Santoro. A questo punto il senatore Stracquadanio ha, come dire, già una prateria da percorrere rispetto ai problemi che sono stati sollevati. Però io ne vorrei aggiungere altri, fargli qualche assist, anche conoscendo le sue posizioni sull'argomento. Noi abbiamo in Italia - a parte il Governo centrale - le Regioni, le Province, le Comunità montane, i Comuni, le Aree metropolitane. Non è un po' troppo, tutto questo fardello, per gestire il Paese? E ancora Giuseppe Galasso fece una volta una battuta, eravamo all'epoca del "primo" Bossi. Disse: i Longobardi del Nord, ai quali si richiama Bossi, durarono poco, finirono presto per viltà e tradimento. Ma i Longobardi del Sud ressero ancora per secoli. E forse anche per questo, in molte fasi della storia italiana, è stato il Mezzogiorno ad avere una funzione trainante nel paese. Insomma, la partita è ancora aperta. E allora: è possibile che il federalismo fiscale migliori la classe dirigente del Sud, la costringa a misurarsi con l'esiguità delle risorse e quindi con i problemi che ne derivano?

Stracquadanio. Trovo innanzitutto sorprendente che, di fronte ai dati che Santoro ci ha presentato relativi al rapporto tra il pil pro - capite del Mezzogiorno e quello del Centro - Nord, non si colga il fatto che l'andamento è del tutto anelastico rispetto all'intervento straordinario. Le variazioni sono irrilevanti rispetto a ciò che sarebbe stato legittimo attendersi in base alla dimensione delle risorse che sono state investite dallo stato nazionale. Se noi abbiamo avuto, in cinquant'anni di politica meridionalista, il fallimento di un modello, non capisco perché lo si debba rimpiangere. Giannola parlava di un modello di politica industriale: ma proprio quello è il modello di politica industriale che ha portato l'Italia fuori dalla grande impresa. Avendola sussidiata, cercando di trasferire la grande industria dal Nord al Sud, avendo fatto dell'impresa pubblica il volano della politica industriale, abbiamo creato una montagna di illusioni sulla creazione di posti di lavoro. Vogliamo mettere in fila questi fallimenti? Cominciamo dall'Alfasud. Questo assurdo progetto politico, del tutto assistenziale, si fondava sull'idea di far produrre le scocche delle carrozzerie in Giappone e i motori di secondo livello in Italia. Si è fatto in pratica il contrario di quello che sarebbe stato logico, perché l'Italia aveva raggiunto l'eccellenza nel design e nei motori di alta cilindrata. Ma noi ci siamo messi a fare motori di piccola cilindrata inefficienti e abbiamo comprato dalla Nissan per creare alla fine un prodotto che industrialmente è stato fallimentare. Non se ne è venduta una se non ai vigili urbani. Perché rimpiangere dunque questo tipo di operazioni? E prendiamo l'acciaio a Taranto: non ha portato certo grandi benefici alla città. Sono state politiche industriali miopi: in tutti questi settori abbiamo perso leadership, non abbiamo più nulla nella chimica e siamo scomparsi dal farmaceutico.

Dunque una politica per il Mezzogiorno che ha mantenuto i divari inalterati è una politica che non ha funzionato; e quindi non trovo ragione di rimpiangerla. E credo che anche la politica dei fondi europei sia stata fallimentare. Ma perché tutto questo non ha funzionato? Perché non si sono fatti i conti con la redditività, con l'esigenza che le industrie, le aziende devono stare in piedi sulle loro gambe, devono produrre la ricchezza e non distribuirla. Invece noi abbiamo fatto programmi in base ai quali un'impresa deve stare in piedi comunque: lo abbiamo fatto per anni, lo abbiamo fatto con le imprese di Stato, lo abbiamo fatto con una collusione tra la politica e il sindacato, nell'idea che i posti di lavoro li crea il governo, quando invece i posti di lavoro li crea l'economia. Un atteggiamento che, complessivamente, ha devastato il Mezzogiorno, perché ha premiato il sussidio rispetto alla libera iniziativa.

Mi pare invece stupefacente che nel Mezzogiorno il turismo non decolli in alcun modo quando la risorsa naturale è sicuramente di gran lunga superiore a quella di altre zone d'Italia. Se uno va in Emilia – Romagna, ad esempio nella costa della riviera romagnola, vede che una città come Rimini passa da centomila abitanti d'inverno a un milione e centomila abitanti d'estate. C'è qualcosa di bello nella costa romagnola? Di così attraente? Non trovo. C'è però un modello di attrazione turistica che è basato sull'accoglienza, sul basso prezzo, sulla qualità dei servizi. Un modello che non c'è al Sud da nessuna parte, nonostante la risorsa naturale sia di gran lunga superiore. Ma io non ho mai visto politici meridionali battersi per avere infrastrutture adeguate a portare nel Mezzogiorno, faccio un esempio, i milioni di pensionati di tutta Europa che cercano destinazioni verso località turistiche. E nessuno ha chiesto quelle agevolazioni fiscali che potrebbero dare vantaggi competitivi rispetto allo sviluppo del territorio. Mentre invece si è sempre atteso in qualche misura il sussidio pubblico, l'attività creata ad hoc, i lavori socialmente utili e quant'altro: tutto, sia chiaro, "a danno del Mezzogiorno".

Il federalismo fiscale può essere un'occasione per il Sud? Può esserlo. Ma non lo è per definizione. Per definizione non è né buono né cattivo. L'idea da cui siamo partiti è prendere atto delle differenze che esistono e cercare, se ha un senso la parola federalismo, di unire e non di aumentare le divisioni. Se noi proseguiamo con le politiche attuali in cui il prelievo è tutto centrale e la spesa pubblica è tutta periferica; con politiche in cui la spesa pubblica è incrementale e la stessa prestazione ha costi diversi a seconda dei territori, né esiste un meccanismo per cui si debba competere sui costi con cui si offrono le prestazioni, noi condanneremo le zone più povere ad impoverirsi e non garantiremo livelli di servizio pubblico adeguato. Allora io dico che la strada che abbiamo seguito fino ad oggi non ha funzionato. Probabilmente dobbiamo cambiarla.

Quello di cui noi abbiamo bisogno è certamente una crescita della responsabilità del ceto politico locale e nazionale, per evitare che quello che oggi si sta presentando come un conflitto territoriale tra Nord e Sud porti inevitabilmente, se non si interviene con una politica di tipo nazionale diversa, a rendere legittima la richiesta di separazione. Perché è vero quello che diceva Bianco: c'è una tendenza, in qualche modo naturale, che non è alimentata da forze politiche. Se si fa il giro del Nord e del Centro Italia, si scopre che i più forti avversari della situazione attuale del Sud sono i meridionali che si sono trasferiti al Nord. La Lega Nord è fatta di "terroni". Ve lo dice uno che viene da là e ha origini siciliane, pugliesi e marchigiane; e che è nato a Milano per un incidente della storia, incidente per il quale molta gente è emigrata al Nord per lavorare, come mio padre, che lavorava all'Eni di Milano. Se non prendiamo atto di questa situazione e parliamo ancora dei benefici dell'intervento straordinario, allora noi chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà e ci condanniamo alla secessione. Che sarà una secessione non istituzionale, che sarà fatta con un disegno che non è ancora scritto da nessuna parte ma che può partire dal Nord, Lega o non Lega. Perché il Nord ha bisogno di competere nel mercato internazionale e per farlo ha bisogno di meno tasse e di uno stato che pesi meno. Ma finché individuerà nel Sud la palla al piede al suo sviluppo, questo porterà inevitabilmente a spinte secessioniste. Che sono spinte presenti in tutte le forze politiche.

Quanto all'europeismo, abbiamo approvato il trattato di Lisbona in un pomeriggio senza nemmeno discuterlo. Però, anche lì, anche in questo progetto, noi abbiamo l'idea che si fondi l'Europa a partire da una moneta, ma senza vera devoluzione di potere reale. Ma non si fa un'unità sulla moneta, la moneta unica è una follia in termini di concezione dello Stato, perché moneta, difesa, giustizia e statualità sono la stessa cosa e non si possono dividere. Noi abbiamo ceduto pezzi di sovranità all'Europa, così come abbiamo ceduto alla religione pezzi di sovranità. E' un disegno istituzionale tutto sghembo, che non sta in piedi: e io capisco perché gli inglesi non vogliono entrare nella moneta e gli svizzeri non vogliono entrare nell'Europa. Si romperebbero le stesse regole istituzionali che hanno fatto di quei paesi delle nazioni che crescono, mentre tutta l'Europa continentale è in crisi e non riesce a stabilire una regola istituzionale che funzioni. Anche l'allargamento è stata una follia, tant'è vero che siamo costretti a fare norme con le quali decidiamo l'espulsione di un cittadino comunitario, visto che con l'Europa abbiamo ottenuto il risultato che i romeni ci hanno rovesciato addosso le loro carceri. Ci sono disegni che sono falliti, che ci stanno portando verso crescenti disastri. Ecco perché dobbiamo cercare strade nuove. E il federalismo fiscale, al di là del disegno di legge Calderoli, è un'ipotesi politica sulla quale la maggioranza ha trovato un punto minimo di accordo, anche se nel programma elettorale c'era una diversa impostazione che prendeva a modello il disegno del Consiglio Regionale della Lombardia. Quanto poi al metodo Calderoli, ho scritto parole di fuoco chiamandolo "gattopardismo fiscale" e non federalismo. Cosa ha fatto Calderoli? Ha messo insieme le esigenze di bandiera del suo partito con lo statalismo municipalista della sinistra, visto che il Pd ha perso un orizzonte nazionale e si sta rinserrando nel centro Italia. Sta scegliendo come vocazione quella di essere un partito territoriale, orientando il "suo" territorio verso una politica che è fatta di partecipazioni municipali, verso un modello di tipo statalista. Quanto al resto d'Italia lo si può abbandonare al suo destino, come fosse un pezzo di Pdl. E poi è stata adottata la linea dell'"avanti c'è posto". Arrivano le Province e dicono: "Ma io come campo?". Allora ti faccio la tassa addizionale sulle Province. Arriva il Sud e dice: "Voglio il fondo compensativo più alto!" Insomma: avanti c'è posto, c'è posto per tutti!

Quanto al principio di sussidiarietà, il punto non è che lo Stato sussidi là dove le cose non funzionano, ma al contrario. Le istituzioni locali devono essere innanzitutto responsabili e quindi devono avere nelle loro mani una responsabilità fiscale certa, definita; devono dire in modo chiaro come spendono i loro soldi. Faccio un esempio, che proporrò oggi al convegno sull'abolizione delle province, secondo me indispensabile. Sono andato lo scorso fine settimana da Roma nelle Marche passando per la Roma - L'Aquila. Giunto ad Assergi ho scoperto che il traforo del Gran Sasso era chiuso per manutenzione dalle 22.00 alle 6.00. Peccato che me lo abbiano detto alla fine! E fin qui, come dire, fa parte dell'inefficienza di un sistema di rete come quello delle autostrade. Vengo dunque indirizzato su una strada che si chiama "Provinciale 86 Vastese". Una strada piena di mucche al pascolo, lupi marsicani in libertà, cavalli allo stato brado, mentre le uniche segnalazioni sono pietre miliari poste, credo, nell'800 da qualche lungimirante costruttore: non sono neanche dotate di catarifrangente! Andavamo con i fari antinebbia lungo un corteo di macchine, andavo piano tra i lupi. Ho visto i lupi per la prima volta: è un'esperienza! E mentre percorrevo questa strada piena di buche mi sono ricordato di un viaggio fatto questa estate sulla stessa tratta: non c'era un collegamento né telefonico né radiofonico, mancava tutto. Insomma, è paradossale che su un'autostrada così importante, l'unica che attraversa l'Italia, non ci sia una rete telefonica, non ci sia l'SOS, nulla di tutto questo. Sempre lungo quel tratto, al ritorno del segnale della RAI, avevo sentito questo straordinario spot: "L'Aquila in festa! 300 eventi in 30 Comuni! A cura della Provincia dell'Aquila". Ora, la provincia dell'Aquila è un esempio che mi è capitato, ma lo potrei estendere dalla provincia di Bolzano alla provincia di Caltanissetta. La provincia, insomma, non fa nulla per la manutenzione di quello che le compete. E organizza i "circenses". Questo perché il perimetro del consenso politico della Provincia - dato che ha competenze non visibili - costringe gli amministratori a darsi competenze che non hanno per poterle negoziare sul mercato della visibilità politica. E questo fa sì che ci sia per forza cattiva amministrazione. Mentre l'amministrazione comunale deve fare i parcheggi, ma può permettersi di fare anche i musei o altre cose, e quindi ha politiche di breve termine ad alta visibilità e politiche di lungo termine ma ad alto impatto sulla vita dei cittadini (e si sa che spesso si vede il beneficio immediato e non si capisce il maleficio futuro) la provincia queste competenze non le ha, se le inventa! Se le dà, distogliendo le risorse da dove le dovrebbe impiegare. E non solo: si può seriamente immaginare che quei 300 eventi siano 300 eventi culturali seri? Ovviamente no! Sono 300 sussidi dati ad amici degli amici, a gente che, in assenza della provincia e delle sue scelte, avrebbe un solo compito: cercarsi un lavoro che non ha! Questo è il paese reale. E, di fronte a questo paese reale, il rischio che un uomo politico responsabile del Nord senta una tentazione secessionista più forte di prima, è frenato solo dal fatto che il presidente della provincia di Milano voleva entrare in Alitalia! Il che mi fa capire come la distorsione non sia soltanto a L'Aquila ma anche a Milano. Forse con maggiori risorse, ma certo con lo stesso livello di follia istituzionale. Dobbiamo quindi disboscare i livelli istituzionali? Indubbiamente! Se c'è un torto, un danno del titolo V, è quello di aver preso i livelli istituzionali che c'erano e, senza averli esaminati, avere posto Comune e Provincia sullo stesso piano. E per fortuna qualcuno si è dimenticato delle comunità montane, altrimenti eravamo rovinati!

Santoro. Professor Massari, è stata sollevata la questione del titolo V: Province, Comuni, Regioni tutte sullo stesso piano, con la frantumazione della capacità di governo fra troppi Enti. Tutto questo ha conseguenze dirette in materia di federalismo fiscale, anche perché purtroppo, tra le varie contraddizioni, c'è anche il tentativo di attribuire una imposizione propria alle province proprio nel momento in cui sono in molti a giudicarle enti inutili. E dobbiamo rilevare che purtroppo c'è una forte resistenza (e sono generoso) da parte della Lega rispetto all'ipotesi di abolire le Province. E' una materia costituzionale che affido al costituzionalista Massari.

Massari. Sì, in effetti qui non stiamo solo parlando di federalismo fiscale, ma di federalismo tout-court. Rispetto a questo problema, la questione non è se fare o non fare il federalismo fiscale, il vero problema è come farlo, partendo proprio dalla modifica costituzionale del titolo V. E' vero che non c'è la parola federalismo, ma c'è la sostanza. E l'art. 114, di cui probabilmente la classe politica non ha colto tutta la portata dirompente, è un articolo rivoluzionario che recita: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni, dalle Città metropolitane e dallo Stato". Mettendole tutte sullo stesso piano, cade l'organizzazione verticale: è la premessa non solo del federalismo fiscale, ma di tutto il resto della riforma costituzionale. Io ricordo che all'epoca, quando ci fu il dibattito parlamentare, pochissimi si accorsero della portata, comunque la si giudichi, rivoluzionaria, di un tale dettato. Solamente il sen. Domenico Fisichella sollevò il problema di questa equiparazione di Stato e città metropolitane: tuttavia il federalismo sta tutto qui, perché così cambia la concezione della sovranità . Noi non abbiamo più una sovranità in capo allo Stato, ma una sovranità fondata su un pluralismo istituzionale, abbiamo tanti centri titolari della sovranità. Dopo di che, come si costruisce il federalismo fiscale?

Il disegno di legge Calderoli mi sembra condivisibilissimo nelle enunciazioni di principio. E poi, chi non è d'accordo sulla responsabilizzazione, sulla trasparenza, sulla necessità di invertire il trend storico della spesa? Su questo siamo tutto d'accordo, è sul dopo che cominciano i problemi. Il primo problema è che il federalismo fiscale è troppo incentrato sul fisco e poco sulle funzioni. Si è detto: diamo a questi enti della Repubblica Italiana la capacità di spesa e di tassazione. Però non basta. Quali funzioni hanno tali enti? Su questo c'è il buio più totale. Peraltro bisogna ricordare che la stessa ripartizione delle competenze tra Regioni e Stato, così come l'abbiamo nell'art. 117 della Costituzione, per consenso unanime del centrodestra e del centrosinistra, si è sempre detto che va cambiata, va ritoccata, perché crea confusione.

L'energia, ad esempio: è un problema locale? E' un problema nazionale! E' in questo contesto che si pone anche il problema delle province e dell'organizzazione degli enti inutili. Altrimenti abbiamo una sovrapposizione di vari centri di spesa e di responsabilità che è incompatibile con quello che è l'obiettivo fissato della riduzione quantitativa e qualitativa della spesa storica, intendendo sia il debito dello Stato sia quello accumulato dai vari enti locali. Insomma, occorre prima definire le funzioni e poi le spese.

Altro problema è quello cui accennava il prof. Giannola: che tipo di federalismo vogliamo? Quando si parla di federalismo non siamo tutti d'accordo sul modello. Esiste il federalismo competitivo e quello solidale. Al centro della definizione c'è il concetto di territorio. La territorializzazione è una tendenza in atto in Italia, non solo sul piano economico ma anche sul piano politico. Diceva Stracquadanio, riferendosi al Pd, che esso tende a territorializzarsi, nel caso specifico al centro: non è un processo che investe il solo Pd, riguarda l'intero sistema partitico. Pensiamo ad esempio alla Lega, partito territoriale. E pensiamo al Sud, con la Lega di Lombardo. Al di sotto della veste nazionale dei partiti, emerge una territorializzazione fondata sulle singole personalità legate al territorio, i cosiddetti "neo-notabili". La visione generale, insomma, oggi si scontra coi processi di personalizzazione e territorializzazione. Pensiamo ancora ai sindaci, che esercitano in pratica un potere in proprio di rappresentanza, sia a destra sia a sinistra. In ogni caso è proprio il concetto di territorialità ad essere equivoco. Ad esempio, definire il territorio in chiave esclusivamente regionale, come ha fatto la Lombardia, è molto limitativo. L'idea era: i tributi si prendono dove si produce; dopo di che diamo alle altre Regioni meno sviluppate un fondo perequativo. Un processo, naturalmente, a discrezione del donatore. Questa idea di territorialità fiscale non è propria del federalismo. Il federalismo ha alla base un'idea di confederazione. La differenza fra quest'ultima e il federalismo sta nel fatto che nella confederazione gli enti territoriali sono sovrani e prendono i tributi; dopo di che, per loro concessione, versano una quota. Negli Usa la Guerra civile partì da questo: gli stati del Sud raccoglievano i tributi e ne versavano una parte al centro. Ma questo centro, nei territori del Sud, non poteva esigere alcunché. Nello stato confederale il centro è debole, è dipendente dalle sue componenti decentrate. Nello stato federale il centro è forte, in quanto ha tributi propri destinati alle funzioni federali. Ecco perché, alla fine, occorre un discorso di copertura costituzionale. Servirebbe, a questo punto, viste le premesse, un modello confederale. Non tanto un modello federale.

Diciamo che un modello confederale emerge nella cultura, nelle intenzioni: è, in pratica, il vecchio modello di Miglio delle macroregioni. Ma, nel caso nostro, parliamo di federalismo e non di confederazione. Ma quale federalismo vorremmo adottare: competitivo o solidale? Credo che dovremmo giungere a un mix delle due ipotesi. Dietro il modello solidale c'è il rischio dell'assistenzialismo e di una mancata responsabilizzazione. Certo, si può pensare ad una fiscalità speciale per il Mezzogiorno, sul modello irlandese: fra l'altro si tratta di una soluzione che non è stata bocciata in sede Ue. Ma, anche passando ad un modello competitivo, non si possono nascondere i rischi. Chi è più ricco va avanti e gli altri si arrangiano: questo è uno schema inaccettabile in Italia. E, per tornare alla proposta di Calderoli: come si definiscono i costi standard? Non ci sono solo problemi istituzionali e politici, ma addirittura tecnici. Quando definiamo i costi standard, abbiamo bisogno di comparare i bilanci delle varie Regioni e Comuni. E dunque servono parametri omogenei di valutazione. Si tratta di un lavoro enorme. Ritengo, insomma, che siamo solo all'inizio di un percorso. La transizione sarà molto più lunga di quanto ipotizzato. La "spesa storica" sarà difficile da cambiare soprattutto se i politici delle Regioni più in deficit non si autoriformano: una riforma è tanto più credibile quanto una classe politica responsabile è in grado di riformare se stessa.

Santoro. Prof. Giannola, si è parlato di territorializzazione, di rischi legati a questo processo, che è anche economico...

Giannola. Il problema è che l'Italia non compete proprio per il modello industriale che ha scelto. Ha infatti buttato a mare la grande impresa. E allora le Marche, la Romagna, il Veneto sono fiorite, ma già in quelle zone esisteva la piccola impresa, che certo non è nata come un'invenzione. Oggi modificare quel modello è impossibile, considerando anche che tali aree produttive, con le pulsioni territoriali e regionalistiche che manifestano, addebitano al Mezzogiorno la colpa della crisi. Ma ritengo che il Mezzogiorno possa avere un suo ruolo importante e dimostrarsi competitivo e attraente. Penso ad esempio alle energie alternative: il Sud è la massima area con vocazione per le energie alternative. Per i problemi ambientali, che sono all'ordine del giorno, si tratta di un'opportunità economica unica. Anche se il Sud non può muoversi in ordine sparso: se ogni Regione pensa di essere un piccolo stato, soprattutto al Sud, va incontro al disastro. Il Mezzogiorno ha bisogno di creare un network, una politica meridionale tarata sulla dimensione di una macroregione. Addirittura può essere favorito da questo tipo di riforma, sempre che ne abbia la coscienza. Ma qui il compito è demandato alle classi dirigenti. La risposta, insomma, queste regioni la devono dare tutte assieme. Se lo facevano dieci anni fa, la fiscalità di vantaggio sarebbe passata. Ma oggi un Mezzogiorno diviso è totalmente fuori mercato.

Santoro. Vista la saggezza che gli deriva dall'appartenere alla Prima Repubblica, affiderei le conclusioni a Gerardo Bianco.

Bianco. Sono anch'io convinto che quella del federalismo è ormai una scelta inevitabile. La riforma del titolo V porrà come conseguenza quello che si chiama federalismo fiscale. Nel mio primo intervento ha voluto sottolineare una convinzione: se si vuole affrontare la questione dell'unità del paese, la questione meridionale rimane come la prima pietra d'inciampo. Oggi si fa un discorso puramente ideologico: quel modello è fallito, dunque occorre sostituirlo con un altro modello. Ma dobbiamo anche inquadrare le cose nella loro dimensione storica: ad un certo momento l'intervento dello Stato è riuscito a ridurre il divario fra Nord e Sud. In realtà, dopo la crisi energetica dei Settanta, abbiamo assistito a scelte paragonabili a ciò che avvenne nell'Ottocento. La crescita dell'agricoltura italiana fu interrotta dalla famosa tassa doganale che impedì lo sviluppo e generò la reazione della Francia con tutte le conseguenze che ne derivarono. Ma, tornando al nostro secondo Novecento, non si possono nascondere i comportamenti della classe politica del Mezzogiorno: miopia, debolezza, un problema permanente che peraltro rimane. Un problema che non si risolve con un appello alla responsabilità. La mia preoccupazione è che anche oggi, col federalismo fiscale, tale mentalità sopravviva, aggravando la situazione. Un federalismo fiscale che presenta problemi del tutto aperti. Quello del differenziale fra il Mezzogiorno e le regioni che hanno maggiore capacità contributiva è solo uno. Resta aperta la questione delle cosiddette Regioni speciali. Dobbiamo a questo punto capire se, nel contesto di questo federalismo fiscale – lo diceva Giannola - sia possibile reimpostare, in termini rigorosi e precisi, una politica del Mezzogiorno che consideri il Sud come una macroregione. Ricordo che nella Costituzione si prevede la possibilità, da parte dello Stato, di fare interventi speciali mirati che aprano lo spazio per la creazione di condizioni favorevoli. Stracquadanio, ad esempio, propone la solita politica turistica per il Mezzogiorno, un vecchio tema della Confindustria. Ma il problema del Mezzogiorno è un altro: avere coscienza di quelle che sono le pesanti questioni negative. Primo fra tutti i problemi è l'incombere della malavita organizzata che strangola ogni iniziativa vitale. Insomma, è una malapianta storica ancora ben salda. A questo punto c'è bisogno della consapevolezza che la questione del Mezzogiorno rimane un nodo centrale storico. Ma tale processo di consapevolezza implica la liquidazione di una serie di luoghi comuni. Pensate allo scandalo del fallimento del Banco di Napoli, a come fu trattata la questione. Ma pensate, proprio in questi giorni, alle banche che falliscono in America e all'intervento dello Stato, oltretutto in un paese liberista. Insomma, non fare una politica per il Mezzogiorno ha in sé il rischio di creare non tanto un modo semplificatorio di gestire un fenomeno in sé complesso, bensì quello di favorire il peggioramento e addirittura un allentamento dei legami. Si favorirebbe la disunione del paese, che è già un virus in circolazione. E, in ultimo, non mi sento di avere troppo fiducia in una struttura di governo con formazione e inclinazione nordista che, come primo atto, ha tagliato i fondi per il Mezzogiorno. Peraltro i tagli operati vanno a minare settori importanti del Sud, come la ricerca scientifica e il mondo universitario. Si inaridiscono le risorse, si indebolisce il tessuto culturale italiano, si mortificano quelle realtà vitali già presenti nel Mezzogiorno. Non possiamo non guardare con sospetto al fatto che le scelte che saranno prese sono dettate, ancora una volta, non tanto dai poteri forti, ma dalle Regioni forti. Che ovviamente cercheranno di garantirsi una posizione dominante. Non è un caso che la Lombardia presenti una proposta finalizzata a prendersi tutto e poi a distribuire qualche mancia. E l'opposizione nel Consiglio regionale lombardo tace, dato che la convergenza di interessi sembra annullare le differenze fra destra e sinistra. Spero che "La Voce Repubblicana" levi la sua voce in difesa di quei grandi principi che furono anche di Ugo La Malfa. Vedo emergere, insomma, un tipo di cultura che, se non viene contrastata da una visione unitaria, porta non a ricreare un ordine nuovo ma un disordine generalizzato.

Santoro. Sono d'accordo con le conclusioni di Bianco a proposito di una destra e di una sinistra spesso unite a difendere interessi localistici più che nazionali. Sono lieto che questo dibattito si concluda con questa notazione politica.

tratto da http://www.pri.it/new/9%20Ottobre%202008/ForumVoceFederalismo.htm

nuvolarossa
09-10-08, 16:56
Federalismo fiscale
Dal Forum della "Voce" indicazioni per un progetto ancora vago

Il Forum sul federalismo fiscale, che "La Voce Repubblicana" pubblica oggi integralmente, si è tenuto prima degli ultimi incontri tra governo ed Enti locali, e quindi prima che il Consiglio dei Ministri approvasse il testo definitivo sul quale il Parlamento è chiamato a discutere. Si tratta ancora, in ogni caso, di un testo che contiene principi generali e solo i decreti delegati, che dovranno essere messi a punto dall'esecutivo entro due anni, potranno chiarire i termini esatti della cosiddetta riforma Calderoli.

E' inutile nascondere però che le preoccupazioni ci sono, e non sono poche. Dal Forum emergono tutte con grande chiarezza e riguardano soprattutto tre questioni: la compatibilità con una politica di rigore, comunque necessaria ma resa indispensabile dalla crisi finanziaria in atto; l'equilibrio tra regioni forti e regioni deboli, in pratica tra Centro-Nord e Mezzogiorno; l'opportunità di procedere alla introduzione del federalismo fiscale senza una contemporanea riforma costituzionale, che possa rivedere tra l'altro l'intera governance del territorio, con particolare riferimento alla riduzione degli enti locali ad essa preposti.

D'altra parte autorevoli commentatori, tutt'altro che pregiudizialmente contrari all'introduzione del federalismo fiscale, non ne nascondono i rischi. Guido Tabellini, sul "Sole 24 Ore", si rammarica ad esempio perché vengono "mantenute in vita le Province, centro di potere per i partiti ma fonte di spreco per i contribuenti". Alle Province viene addirittura accordata la possibilità di finanziarsi con tributi propri, mentre in campagna elettorale erano stati in molti a sostenere - proprio nell'attuale maggioranza - che meglio sarebbe stato abolirle.

Luca Ricolfi va oltre. Sul "Riformista" sostiene, con particolare riferimento alla sanità, che " siamo al federalismo assistenziale o all'assistenzialismo federalista"; aggiungendo che è già tramontata l'idea di coniugare federalismo ed efficienza. Anzi, dati alla mano, prevede "che la spesa e le tasse aumenteranno di un punto". Con un'accusa politica precisa rivolta alla Lega: siccome è contraria a ridurre le risorse per i suoi amministratori locali, "ha fatto l'alleanza con gli spreconi". Il riferimento agli amministratori della sinistra è evidente anche se implicito. Oltre tutto, se nella legislatura 2001- 2006 la Lega "aveva fatto una riforma di sostanza" (anche se poi cancellata dal referendum) questa volta si è limitata a piantare una bandierina.

L'intera materia, insomma, va seguita con attenzione, e senza furori ideologici, in un senso o nell'altro. Siamo in presenza di uno snodo politico cruciale, che può portare ad uno snellimento dell'apparato pubblico e ad una riduzione della spesa (e quindi delle tasse); ma che può invece risolversi anche nel suo contrario. Come osserva giustamente Giorgio Stracquadanio nel suo intervento al Forum il federalismo fiscale "per definizione non è né buono né cattivo", tutto dipende da come lo si imposta e da come lo si attua. Sui principi generali contenuti nella proposta del governo è difficile non essere d'accordo, sulla loro realizzazione concreta le perplessità sono molte e tutte legittime. Non sarebbe la prima volta che in Italia, come era solito dire Ugo La Malfa, si innestano riforme scandinave in un tessuto sudamericano.

Il nostro impegno, pertanto, non può che essere quello di seguire e monitorare l'intera materia. Salvo esprimere un giudizio politico definitivo quando dalle enunciazioni si passerà ai fatti e la riforma acquisterà corpo. Per ora, è quantomeno opportuno riporre gli eccessivi entusiasmi.

Roma, 9 ottobre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
24-10-08, 16:37
La Calabria tra riforme e controriforme

Reggio Calabria, sabato 25 ottobre ore 10,00
Statuto legge elettorale e federalismo: "La Calabria tra riforme e controriforme". Interverrà il segretario del Pri Francesco Nucara

locandina tratta dal link http://www.pri.it/new/CalabriaRiforme.pdf

nuvolarossa
28-10-08, 18:12
Reggio, convegno su federalismo e legge elettorale - Fra gli interventi, quelli di Francesco Nucara, Zavettieri e Caldoro
Perché i partiti non sono tutelati?

Si è svolto a Reggio Calabria il Convegno organizzato dal movimento " Mezzogiorno tradito: risorgi" . Il tema riguardava le leggi elettorali e il federalismo fiscale. E' stato un dibattito ricco di interventi (forse troppi) con rappresentanti del Parlamento italiano di maggioranza e opposizione, concluso dai segretari nazionali del Pri, Francesco Nucara, de "I socialisti", Saverio Zavettieri, e del Nuovo PSI, Stefano Caldoro. Ha fatto da moderatore Pietro Melia, giornalista della RAI.

Pressoché tutti gli interventi delle rappresentanze politico- istituzionali locali sono stati di opposizione al federalismo fiscale. Sugli scenari positivi che si potrebbero aprire con il federalismo hanno invece convenuto gli On. Misiti (IdV); il parlamentare europeo Beniamino Donnici, e l'On. Stefano Caldoro.

Ad onor del vero il dibattito - almeno in senso quantitativo - si è sviluppato più su temi regionali che nazionali. Il concetto più volte espresso era il seguito della domanda: "Il federalismo fiscale giova alla Calabria?" Le risposte sono state quasi sempre negative, tranne i casi citati.

Riprendendo una vecchia polemica con l'On. Zavettieri (sponsor dello sbarramento al 4% per le elezioni regionali calabresi) Nucara a conclusione dei lavori ha ribadito la propria contrarietà a qualunque sbarramento elettorale. Ed ha affermato: "Lo sbarramento in qualunque consultazione elettorale è un tappo al processo democratico. In questo Paese si fanno leggi per tutelare le minoranze etniche, religiose, territoriali, sessuali e in parallelo si fanno leggi per ammazzare le minoranze politiche".

"Gli sbarramenti – ha continuato Nucara - non frenano affatto la proliferazione delle liste (che servono alla ‘raccolta' del consenso). Il sindaco di Reggio Calabria ha avuto il 70% dei consensi ma era sostenuto da ben 22 liste ed il candidato alternativo da 16 liste". Se avessimo avuto gli sbarramenti attuali o quelli che si prevedono, non sarebbero nati i nuovi partiti, e questo con buona pace dell'art. 49 della Costituzione.

Nucara ha poi affrontato il tema del federalismo, sollevando molti dubbi e perplessità. Polemizzando con il Presidente della Regione Calabria, oggi feroce oppositore di questa legge, ha ricordato che da ministro delle Riforme prima e Senatore dell'Ulivo poi, ha sostenuto e votato la riforma del Titolo V della Costituzione approvata poche ore prima dalla fine della legislatura a maggioranza di sinistra (Governo Amato) e con 5 voti di maggioranza. E se il Sud si fa carico anche dei problemi del Nord del Paese - ha detto il segretario repubblicano riferendosi alle emissioni dei gas serra (CO2) - è bene che il Paese si faccia carico, come da impegni elettorali, della infrastrutturazione del Mezzogiorno.

v. r.

tratto da http://www.pri.it/new/27%20Ottobre%202008/NucaraReggioFederalismo.htm

nuvolarossa
19-11-08, 18:13
Federalismo e crisi economica
Abolire le province o fermare la riforma

di Italico Santoro

Scarsa attenzione è stata dedicata da esperti, opinionisti e mondo politico all'audizione in Senato del Presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro sul federalismo fiscale così come viene delineato nel disegno di legge messo a punto dal Governo. Nel corso del suo intervento, molto articolato e puntuale, il presidente Lazzaro ha esaminato pregi e difetti del testo. Un punto è emerso con chiarezza: per come è concepito, il federalismo fiscale rischia di "portare non già, come si vorrebbe, ad una riduzione, ma ad un aumento della pressione tributaria ed in particolare dell'imposizione personale sui redditi"; di "intaccare le finalità redistributive tradizionalmente assegnate" a questo tipo di imposizione; di sterilizzare il principale strumento di politica fiscale oggi a disposizione del governo centrale". E, per concludere, esiste il pericolo che "la principale imposta del nostro sistema tributario" possa, "per la molteplicità delle chiamate in causa ed in assenza di adeguati meccanismi di raccordo, trovarsi sostanzialmente sottratta a qualsiasi effettiva possibilità di una gestione coerente".

L'intervento del Presidente della Corte dei Conti, come si è detto, è molto articolato e non pregiudizialmente contrario all'introduzione del federalismo fiscale. Tanto più significativi sono di conseguenza i suoi rilievi, dei quali è difficile non tener conto: soprattutto in una difficilissima condizione dell'economia, con una crisi ormai in atto e con l'esigenza (che logicamente ne deriva) di non appesantire il debito pubblico per un verso e di non aggravare il carico fiscale per altro verso.

Sono le stesse ragioni, c'è da ritenere, che hanno spinto Pierferdinando Casini a chiedere di archiviare, almeno per ora, la riforma federalista che "in queste condizioni è un rischio enorme per il Paese", mentre "famiglie e imprese stanno già avvertendo la drammaticità del momento".

Noi non sappiamo se è ancora possibile fermare ad una stazione intermedia un treno, quello del federalismo, che ormai marcia da tempo, almeno da quando venne approvata, nel 2001, la riforma del Titolo V della Costituzione. Lo stesso Presidente Lazzaro ha aperto la sua audizione in Senato ricordando come la Corte abbia sottolineato più volte, dopo quella riforma, "la necessità di un sollecito completamento del processo di riorganizzazione economico- finanziaria del Paese con la definizione di una piena autonomia e responsabilità gestionale delle amministrazioni decentrate".

C'è però un punto, sul quale si può ancora intervenire, ed è la semplificazione dei livelli di governance pubblica, con i risparmi di spesa e gli incrementi di efficienza complessiva che ne deriverebbero. In campagna elettorale sono stati in molti i leaders del centro destra (e non solo) che hanno proposto l'abolizione delle province ed il disboscamento delle comunità montane. Per quanto ci riguarda, sono vecchie battaglie del Partito Repubblicano: la proposta di abolire le province risale addirittura agli anni settanta, fu formulata subito dopo l'istituzione delle regioni. Allora, se il treno del federalismo deve concludere il suo percorso, si faccia per intero la riforma dell'assetto istituzionale e si mantengano fino in fondo le promesse elettorali. Altrimenti una pausa di riflessione è d'obbligo.

Roma, 19 novembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

david777
20-11-08, 00:39
Riforme? Repubblicane? Alcune certamente sì, ma altre, come quelle costituzionali, del repubblicanesimo si saziano come di una spolverata di tartufo sui maccheroni.
Il PRI non dovrebbe ballare a destra e sinistra, ed ancor più non dovrebbe inserirsi a tutti i costi nel "sistema" per riformarlo dall'interno, in quanto certi sistemi riformano essi stessi qualunque cosa ci cade dentro, come per la mosca nella ragnatela.
Se il PRI ha una speranza di crescere e conservare la sua identità e la sua cultura, questo non può avvenire al di fuori di un moderato ed etico liberismo democratico che può sì trovarsi anche un tantino a destra e sinistra, ma non nei sistemi autarchici pseudorepubblicani. Il Cavaliere è simpatico, ma la "Riforma" che ha in mente non riporta alla Repubblica.

kid
25-11-08, 17:16
la voce di oggi

de rita e ricolfi, riformismo e mellifluo consenso
Fa un certo effetto leggere Giuseppe De Rita sul "Corriere della Sera" spiegarci soavemente, come è costume del personaggio, che il riformismo, in fondo, è solo “un’alternativa pacata al conflitto”. Oggi, che non ci sono più conflitti – quelli dei piloti di Alitalia o degli studenti sono sciocchezze - non c’è nemmeno bisogno del riformismo. Meglio, semmai, “il mellifluo consenso”, di cui ammettiamo che il professor De Rita è un autentico maestro e può dare lezioni a tutti. Lo scriviamo senza ironia alcuna: saremmo davvero incantati dall’argomentazione disincantata del professor De Rita. E ancora più incantati saremmo dalla sua citazione di Natalino Irti, sulla differenza fra “rappresentanza” e “rappresentatività esistenziale”. De Rita ha sviluppato un’inclinazione a spiegare la realtà con il linguaggio della metafisica e ci piacerebbe molto seguirlo. Ma, ahinoi e ahilui, c’è stato un problema. E’ crollato un edificio scolastico su se stesso: questa non sarebbe nemmeno una novità se questa volta non ci fosse scappato il morto, un ragazzo di diciassette anni. Se fossimo teorici del “mellifluo consenso”, diremmo subito: una tragica fatalità. Ma siamo invece riformatori e i riformatori non sono, ci spiace per il professor De Rita, quelli che vogliono attenuare il conflitto. Anzi, i riformatori i conflitti li fanno esplodere, se questi servono a cambiare la realtà. E la realtà la vede bene Luca Ricolfi che ci parla sulla "Stampa", più concretamente, di una situazione fatiscente del paese: le scuole, gli ospedali, i treni, le strade. E questo, sostiene Ricolfi (ed ha ragione) perché le classi dirigenti che si sono succedute al governo si sono preoccupate di premiare il consenso, quello mellifluo che piace a De Rita, di rafforzare le carriere burocratiche, di aumentare gli emolumenti delle stesse senza preoccuparsi delle condizioni strutturali oggettive in cui pure dobbiamo vivere.
Se poi avesse ragione il commissario per i rifiuti Bertolaso che, da esperto di protezione civile, sostiene che i soldi per la sicurezza delle scuole sono stanziati ma che non vengono spesi perché le procedure burocratiche di coloro che sono chiamati a valutare gli standard di sicurezza sono inespletabili, allora altro che fine del conflitto! Qui rischiamo di avere un popolo pronto a chiedere l’uso della ghigliottina.
Se vogliamo evitare un sussulto giacobino sconosciuto al nostro paese, occorre davvero una forza riformista capace di invertire una tendenza e capace di rimettere in piedi le strutture reali del paese, quelle che ci fanno sentire cittadini e non sudditi, per citare ancora Ricolfi. Non c’è invece bisogno di una opposizione che, di fronte alla tragedia, si copre gli occhi ed applica la demagogia propagandistica che le è propria per contestare i tagli del governo alla scuola. In questo caso non c’entrano un bel niente. Quanto al mellifluo consenso, lo lasciamo tutto al professor De Rita.

nuvolarossa
03-12-08, 11:25
La strada maestra
Abolire le Province non nuove tasse per contenere le spese

In linea teorica gli argomenti che abbiamo ascoltato dagli onorevoli Romani, Gasparri e Bocchino sull'aumento dell'Iva per Sky, non fanno una piega. Sky ha avuto negli anni agevolazioni considerevoli per ciò che concerne il pagamento dell'Iva. Lo si è fatto anche per promuovere la televisione satellitare e offrire maggiori possibilità di scelta nei programmi ai cittadini, oltre che per offrire nuove opportunità di lavoro nel paese. Ora che si è sviluppata una situazione di crisi, il governo decide di togliere questo trattamento di favore all'azienda e riportare l'aliquota nella media. Né sinceramente convincono le grida dell'opposizione per la quale, in questa maniera, altro non si fa che agevolare Mediaset. Ora, anche se Mediaset, subendo lo stesso aumento, resterebbe comunque più conveniente, ciò non significherebbe automaticamente assicurarle un travaso di utenti di Sky. Anche oggi è certo più conveniente Mediaset, ma la ripartizione dell'utenza resta tutta a favore di Sky. Questo per la semplice ragione che il prodotto di Sky è costruito secondo criteri che attualmente Mediaset non è in grado di soddisfare. Il pubblico che ha scelto Sky per seguire determinati eventi - il calcio internazionale, ad esempio – e proprio nel modo in cui Sky lo documenta, potrebbe essere disposto a pagare anche il doppio dell'abbonamento. Anche qui hanno ragione l'onorevole Romani e i suoi colleghi: Sky rappresenta un bene "superfluo", chi lo usa ha quasi certamente una certa capacità finanziaria. E anche se il costo del prodotto aumenta, farebbe uno sforzo di fedeltà preferendolo ad uno più economico e di minor interesse. Per questo noi siamo convinti che i rapporti in termini di utenza fra Sky e Mediaset resteranno pressoché invariati. Potrebbero semmai variare in maniera talmente insignificante, che tirare in ballo formule consunte come "conflitto di interesse" o "affari del premier" è davvero un'offesa al buon senso.

Eppure un problema da questa vicenda emerge. Un problema di una certa rilevanza. Perché, proprio in quanto Sky è un bene superfluo di cui dispone evidentemente la parte più agiata del paese, fa un certo effetto vedere un governo che aveva promesso di abbassare le tasse, decidere invece di alzarle ai ricchi. E' vero che la crisi internazionale impone dei sacrifici e che è meglio farli ricadere sui ricchi: ma, anche se costoro non devono piangere - come prometteva Rifondazione comunista ai tempi del governo Prodi - la filosofia sembra proprio la stessa.

Berlusconi aveva promesso e prospettato, in una campagna elettorale di nemmeno un anno fa, di abbassare le tasse e non di aumentarle ai ricchi: perché c'era già il governo Prodi intento a fare questa parte. Berlusconi doveva dare uno slancio nuovo al paese e indicava una via maestra che non era l'aumento delle tasse, ma il contenimento delle spese. Nello specifico suggeriva l'abolizione delle province. Una vecchia e mai abbandonata battaglia repubblicana.

Ma ora abbiamo visto che ambienti del governo e della maggioranza fanno delle province una ragione di vita o di morte. Se ad esse aggiungiamo il federalismo fiscale, avremo una spesa dello Stato per quattro livelli amministrativi che grava sui bilanci dei cittadini. Il che significa, in una parola, spremerli come un limone. La vicenda che concerne Sky ci sembra purtroppo il primo tassello di questa strategia, alla fine della quale un esattore convinto come Visco apparirà come un tipo di manica "larga".

Roma, 2 dicembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
05-12-08, 12:56
In otto anni cresciute del 65% le spese di gestione
Costose, inutili, incancellabili: le (finte) promesse sulle province
Berlusconi disse: le aboliremo. Ma la Lega: non si toccano. Frena anche il Pd

Cento e otto anni dopo la prima proposta di abolire le province, presentata dal deputato Gesualdo Libertini che le marchiava come enti «per lo meno inutili», destra e sinistra dicono che occorre ancora pensarci su. Auguri. Dice uno studio dell'Istituto Bruno Leoni che costano oggi il 65% in più di otto anni fa? Amen. Sono in troppi, a volerle tenere... La Lega, poi...
«Silvio, batti un colpo», ha titolato un giornale non ostile alla destra come «Libero», che in questi giorni ha rilanciato la battaglia per sopprimere quegli enti territoriali che il sindaco di Milano Emilio Caldara bollava già nel 1920 come «buoni solo per i manicomi e per le strade». Macché: non lo batte affatto. Nonostante solo pochi mesi fa, fiutando l'aria che tirava nel Paese sulla «casta», nella scia delle denunce del «Corriere», si fosse speso in promesse definitive.

C'erano le elezioni alle porte, il Cavaliere voleva stravincere e quando la signora Ines di Forte dei Marmi, durante la chat-line organizzata dal nostro giornale, gli chiese cosa avesse in mente per «abbassare finalmente i costi folli della politica italiana», rispose: «La prima cosa da fare è dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei consiglieri comunali». E le Province? «Non parlo delle Province, perché bisogna eliminarle». Otto settimane dopo, già sventolava trionfante il primo successo, riassunto dai tg amici con titoli che dicevano: «Abolite nove Province». Sì, ciao. La notizia era un'altra: nove Province dovevano cambiare nome. D'ora in avanti si sarebbero chiamate «aree metropolitane ». Fine. Un ritocco non solo semantico, si capisce. Ma un ritocco. Presto smascherato da un anziano gentiluomo di destra come Mario Cervi che sullo stesso «Giornale» berlusconiano, dopo aver letto la bozza della riforma federalista di Roberto Calderoli, scrisse: «Alcune norme del disegno di legge hanno l'obiettivo di "riconoscere un'adeguata autonomia impositiva alle Province". Ma allora, dopo tanti annunci di abolizione, le Province ce le teniamo, e anzi ne avremo di nuove perché l'alacre fantasia dei notabili locali è sempre all'opera nel varare enti inutili? A occhio e croce si direbbe che questa sia una vittoria non del nuovo ma della vecchissima politica distributrice di poltrone». Parole d'oro. Che Francesco Storace, con brutalità gajarda, traduce così: «Bravi! Ci avevano promesso di abolire le Province e il bollo auto ed è finita che fanno gestire il bollo auto alle Province».
Insomma, chiede oggi il deputato del Pd Enrico Farinone, «la maggioranza è favorevole o contraria all'abolizione delle Province? I cittadini meritano un chiarimento».

Giusto. Non solo dalla destra, magari. Quindici anni fa, nella «Bicamerale» presieduta da Ciriaco De Mita, furono i pidiessini Franco Bassanini e Cesare Salvi a spingere Augusto Barbera a ritirare la proposta di sopprimere le Province in linea con quanto aveva deciso, alla Costituente, la Commissione dei 75: «L'argomento è di grande interesse, ma merita una riflessione ulteriore». Riflessione ancora in corso.
Al punto che quando Massimo Calearo ha rivelato che stava lavorando con altri parlamentari di sinistra e di destra all'abolizione dell'ente, qualche settimana fa, è stato bacchettato per primo dai suoi stessi amici di partito. Dal segretario regionale Paolo Giaretta («nel nostro Veneto, una delle Regioni più centraliste d'Italia, le nostre Province non sono enti superflui, anzi») al presidente della Provincia di Belluno Sergio Reolon: «L'unico inutile, qui, è lui, non le Province». Di più: il democratico Giorgio Merlo si è avventurato a dire che quella per l'abolizione delle Province è «una campagna qualunquista e demagogica».

Quanto a Walter Veltroni, naviga a vista: «Sì, penso ci si possa arrivare. Ma non sono un demagogo. E' facile dirlo in campagna elettorale, poi in genere chi lo dice è il primo a presentare proposte per istituirne di nuove... ». Lui sarebbe per «ridurre la sovrapposizione dei livelli di governo, a partire dall'abolizione delle Province, laddove vengano costituite le Città metropolitane». A farla corta: boh... E' a destra, però, che i mal di pancia sono più forti. Un po' perché il rilancio di Feltri e la sua raccolta di firme vengono vissuti da alcuni come sassate scagliate da mano amica («tu quoque, Vittorio: proprio adesso...») che rischiano di mandare in pezzi il quadretto di una destra felicemente compatta. Un po' perché le prime crepe si vedono già. E si allargano ogni giorno di più.
Gianfranco Fini è stato netto: «Nel programma del Pdl c'era l'abolizione delle Province ed è vero che a tutt'oggi non è stato fatto nulla. Personalmente non ho cambiato opinione». E così Ignazio La Russa: «Facciamolo. Con un percorso graduale. Che duri tre o quattro anni. E consenta alle Province di cedere le proprie competenze a Regioni e Comuni. In An questa opinione è largamente condivisa. Una riforma seria le deve abolire tutte». Gianni Alemanno fa sponda: «Sono sempre stato favorevole».

La Lega, però, non vuol sentirne parlare. Certo, uno come l'ex presidente Stefano Stefani, mesi fa, si era sbilanciato: «Sono d'accordo con coloro che propongono la prima, sostanziale rivoluzione, l'abolizione delle Province». Ma è stato subito stoppato dalla ex presidentessa leghista della sua stessa Provincia di Vicenza, Manuela Dal Lago: «Perché, piuttosto, non abolire subito i Prefetti e le prefetture?». «Le Province sono nella Costituzione! », ha urlato ad «AnnoZero» Roberto Castelli ergendosi a baluardo della Carta, dimentico di quando il suo partito voleva buttare il tricolore nel cesso. Finché è intervenuto Umberto Bossi che, memore che il suo partito non guida neppure una grande città ma controlla sei Province (su 109!), ha chiuso: «Finché la Lega è al governo, non si toccano». Fine.

Al punto che Renato Brunetta, accantonando la durlindana decisionista che da mesi mulina impavido, è stato insolitamente prudentissimo: «Le Province sono enti inutili, che non servono, ma che non riusciremo a cancellare in questa legislatura». Ma come: neppure con cento seggi di vantaggio alla Camera e cinquanta al Senato? E le promesse elettorali? Gli impegni solenni? Niente da fare. E' la politica, bellezza. Al massimo, ha detto ieri Giulio Tremonti, si può fermare la nascita di Province nuove. Come quelle di Aversa, Pinerolo, Civitavecchia, Sibari, Sala Consilina...

Gian Antonio Stella

tratto da http://www.corriere.it/politica/08_dicembre_05/province_promesse_abolizione_gian_antonio_stella_e c297c52-c297-11dd-8440-00144f02aabc.shtml

nuvolarossa
05-12-08, 16:41
Anche i Repubblicani dicono no alle Province

di Francesco Nucara, segretario del Pri

Caro Direttore, desidero esprimerle l’adesione mia e del Consiglio Nazionale del Pri, che si è pronunciato nel merito sabato scorso con un voto unanime, alla sua battaglia per l’abolizione delle province. È un tema, mi consenta di ricordarlo con qualche orgoglio, che appartiene alla storia del Pri. Fu proposto da Ugo La Malfa nel 1969-1970, in occasione della nascita delle Regioni. Egli sottolineò allora come una seria politica di riforme non poteva limitarsi a sovrapporre nuove strutture alle vecchie, ma doveva essere capace di abolire quelle superate. Il suo monito fu inascoltato, ma il Pri ne ha continuato la battaglia con due progetti di legge di riforma costituzionale che prevedevano l’abolizione dell’ente Provincia, il primo, mai esaminato, nel 1977, il secondo, respinto da tutte le maggiori forze politiche, nel 1980. Nel corso di questa legislatura io ho ripresentato alla Camera una proposta di legge costituzionale per la soppressione delle province, di cui le allego copia. Come evidenzio nella relazione - e come ha sottolineato anche il suo giornale - gli ultimi dati disponibili dimostrano che la spesa per il sostentamento delle province - secondo rilevazioni Istat - è passata dal 1996 al 2006 da poco più di 5 miliardi ad oltre 13 miliardi di euro: quasi un punto del Pil. Il tutto per un ente inutile. Vorrei aggiungere a queste altre due considerazioni. Il Suo giornale - nel numero di domenica - ricorda oltre i disegni di legge oggi presentati per l’istituzione di nuove province, quelli (continua)... al link ...

http://www.libero-news.it/articles/view/413389

nuvolarossa
12-12-08, 03:06
Province/ Nucara: Berlusconi? Neanche la Lega ha il 51%
Se veto Carroccio sul punto, allora come approvare federalismo?

Roma, 11 dic. (Apcom) - "Neanche la Lega ha il 51%, con tutto il rispetto per Bossi". Così il segretario del Pri Francesco Nucara commenta le ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio, scettico sulla possibilità di abolire le Province.

"Se c'è un veto leghista ad un punto concordato del programma quale quello dell'abolizione delle province, dispiace, ma non vediamo come si possa, anche stando ai dati della crisi economica, approvare il federalismo fiscale. Pensavamo Berlusconi fosse il presidente del Consiglio invece lo troviamo a capo di una coalizione. Facesse bene il mestiere che gli è congeniale di presidente del Consiglio", conclude.

tratto da http://notizie.alice.it/notizie/politica/2008/12_dicembre/11/province_nucara_berlusconi_neanche_la_lega_ha_il_5 1percento,17196322.html

nuvolarossa
12-12-08, 19:22
Un passo indietro
Il muro contro muro è un lusso che non possiamo permetterci

Un grande teorico della strategia rivoluzionaria sosteneva che un passo indietro a volte è la condizione necessaria per compiere un balzo in avanti. Se ancora oggi la tesi è inappuntabile in linea teorica, in pratica è diventata la base per le più disparate retromarce. A volte basta un piccolo arretramento per avvicinarsi al precipizio, altro che balzo in avanti! Quando abbiamo visto che il governo, subita la minaccia della Curia, subito modificava il decreto sul finanziamento alla scuola paritaria, abbiamo temuto il peggio. Come si fa a dire "no" ai sindacati e alle famiglie, quando ci si prostra alle richieste dei vescovi? Ed ecco infatti che da quel sassolino si genera una valanga. Niente più maestro unico, niente riforma della scuola superiore fino al 2012.

Il direttore del "Giornale", Mario Giordano, scrive: "Siamo un po' disorientati. E da ieri ci chiediamo un po' affranti: almeno il grembiulino rimane?" Chissà. Il punto è che coloro che come Giordano, con zelo e fermezza, hanno "sempre difeso le decisioni della Gelmini", spiegando "punto per punto tutte le menzogne raccontate attorno al suo giusto decreto", non comprendono però che le esigenze della politica possono essere diverse dalle giuste ragioni.

E Berlusconi, dopo aver sperimentato l'arcigno profilo del decisionismo, sta mostrando capacità molto più plastiche. E non solo sulla scuola. Come sostiene Massimo Franco sul "Corriere della Sera", il muro contro muro di questi tempi appare un lusso che non ci si può permettere. Pare che il premier se ne stia convincendo. Per cui non si preoccupa del fatto che l'opposizione inizi ad intonare i cori di vittoria; piuttosto pensa a depotenziare le ragioni della protesta nei suoi confronti. Non sappiamo però fino a dove Berlusconi possa spingersi e se su questa base riesca a riallacciare il filo di dialogo con l'opposizione, proprio dopo aver detto poche ore prima che questo era completamente inutile.

Ma Berlusconi è poliedrico e multiforme. Ad esempio, ha anche affermato che vorrebbe abolire le Province ma che la contrarietà di Bossi glielo impedisce. Questo in una dichiarazione alle agenzie rilasciata giovedì; ma già la sera stessa informava alcuni giornalisti che del veto leghista si era stufato, che la sua preoccupazione sono i conti e che quindi intende seguire la via del programma elettorale che, per l'appunto, le province le vorrebbe abolire. Anche qui però si scorge una contraddizione: se il problema economico è prioritario, può il premier tornare indietro, ad esempio sul disegno di razionalizzazione delle risorse nella scuola?

Di certo da oggi il governo ed il premier iniziano a misurarsi con problemi seri e gravi, con un passo ed un tono che sembrano molto diversi da quelli più rilassati e sicuri di qualche giorno fa. Veltroni, che forse vive in un suo mondo, ha già detto seccamente che il presidente del Consiglio non è all'altezza di questa crisi.

Noi sinceramente saremmo più cauti, fossimo nei panni del leader del principale partito d'opposizione, perché abbiamo l'impressione che la partita il premier inizi a giocarla solo oggi. Anche se ancora non si capisce come intenda condurla.

Roma, 12 dicembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
13-12-08, 12:45
Federalismo: Nucara (Pri), Diremo No Senza Abolizione Province

di (Red-Pol/Zn/Adnkronos)
Adnkronos - Ieri - 15.17

Roma, 12 dic. - (Adnkronos) - ''Sulla riforma della giustizia condividiamo pienamente gli sforzi del Governo, ma sulla questione del federalismo fiscale, se non verranno abolite le Province come da programma, non potremo sostenere quel progetto. Anche perche' in un periodo di grave crisi economica e' necessario risparmiare quei 13 miliardi di euro che sono costate le Province nel 2006'' . Lo dice il segretario del Pri Francesco Nucara che ha partecipato a Bruxelles alla riunione dei leader e ministri liberaldemocratici, dove ha annunciato l'intenzione di intavolare una trattativa con forze politiche omogenee per presentare una lista laica e di progresso sociale alle prossime elezioni europee.

tratto da http://it.notizie.yahoo.com/7/20081212/tpl-federalismo-nucara-pri-diremo-no-sen-e9595f1.html

nuvolarossa
13-12-08, 13:26
NO ALLE PROVINCE

http://1.bp.blogspot.com/_MWMlHLXDFLU/SUJwQfIPNdI/AAAAAAAAAQc/sIaxvhkg_8U/s1600-h/provincie+n+o.bmp
http://4.bp.blogspot.com/_MWMlHLXDFLU/SUJwQQo20vI/AAAAAAAAAQU/K1-MUBiJ_Zo/s1600-h/wwwwwwwww.bmp

Pubblicato da Marco Zavota sul sito http://pribastia.blogspot.com/

nuvolarossa
17-12-08, 19:01
Fas, Nucara: governo è in stato confusionale

Intervenendo in aula il segretario del Pri ha detto: "Signor Presidente, credo che il Governo sia un po' in stato confusionale. Infatti, siccome gli ordini del giorno sono tutti uguali (cambia soltanto il nome della regione), in quanto componente di questa maggioranza, ho votato contro su indicazione del Governo.

Poi esaminiamo un ordine del giorno che fa riferimento alla regione Puglia e il Governo lo accetta. Che cosa si fa per gli ordini del giorno che abbiamo già respinto? Il Governo ora modifichi un ordine del giorno e dica che il FAS vale per tutte le regioni del Mezzogiorno. Non è possibile andare avanti così!" (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal Democratici-Repubblicani, Misto-Movimento per l'Autonomia, Lega Nord Padania, Unione di Centro e di deputati del Partito Democratico)

tratto da http://www.pri.it/new/17%20Dicembre%202008/NucaraFas.htm

pergola2000
18-12-08, 01:28
Finalmente sono contento che Santoro e Nucara dicono quello che dice giorgio La malfa sul federalismo fiscale, bravi ragazzi.......
Dopo le ironie e i maldestri attacchi a La malfa sulla Voce, ora lo seguono nelle sue dichiarazioni.

nuvolarossa
18-12-08, 18:27
Le parole di Napolitano
Equilibrio e alto senso istituzionale del Capo dello Stato

Abbiamo molto apprezzato le parole del capo dello Stato in occasione degli auguri di fine anno da parte del Quirinale. Napolitano ancora una volta ha dato prova di alto livello istituzionale, spessore culturale e lungimiranza politica. In particolare condividiamo quell'idea della centralità del ruolo del Parlamento nella vita politica che del resto il presidente della Repubblica rivendica costantemente. E' chiaro che l'insistenza di Napolitano a riguardo nasce da un timore dettato dalle riforme in atto: nel senso che in questi anni si è modificata la Carta costituzionale attraverso le leggi elettorali ancora più che con le diverse riscritture; ed un sistema maggioritario – con la stessa indicazione del premier sulle schede - ha contribuito alla profonda trasformazione del sistema politico.

Insomma, la sovranità del Parlamento in quanto tale è stata messa a rischio. Con una maggioranza già formata dal voto ed un presidente del Consiglio incaricato, di fatto il Parlamento sembrerebbe buono solo a fare da cassa di risonanza del governo. Soprattutto se poi si vorrebbe anche introdurre una norma antiribaltone a favore della stabilità politica.

Pensate cosa avrebbe significato per i repubblicani negli anni ‘80: Craxi va allo scontro con la Delta Force a Sigonella per sottrarre agli Usa i terroristi dell'Achille Lauro. Ma Spadolini non può fare la crisi di governo perché Craxi è stato eletto dagli italiani e c'è una norma antiribaltone… E' chiaro che la vita politica italiana è cambiata da allora ma la libertà di pensiero deve pur esistere ancora: e se un premier assume una posizione che non si condivide bisogna essere liberi di fronte all'elettorato di esprimere le proprie opinioni e ovviamente di assumersene le conseguenze.

Per lo meno questo consente ancora di fare la Costituzione della Repubblica democratica: e bene fa il Quirinale a rivendicarne lo spirito. Anche quando Napolitano insiste nel suggerire soluzioni condivise fra le forze politiche, egli insegue uno schema costituzionale, perché per l'appunto la Costituzione fu terreno di incontro fra le diverse forze politiche ed anche materia di compromesso. Nel senso più nobile del termine.

Ovviamente si può benissimo procedere a riforme a maggioranza semplice ma, come si vede, si va incontro al rischio di accentuare il solco tracciato dal bipolarismo maggioritario: e così la tenuta complessiva del paese viene penalizzata. Questo vale per la riforma della Costituzione, ma anche per il federalismo: dove ad esempio vi fosse una preclusione alle possibilità di sviluppo delle aree più deboli del paese, rispetto a quelle più forti, ecco che la spaccatura del tessuto nazionale sarebbe inevitabile. Ci ha fatto molto piacere riscontrare la medesima preoccupazioni del Capo dello Stato anche nelle parole del presidente del Senato Renato Schifani. Un motivo di riflessione comune che concerne maggioranza ed opposizione e nasce anche dal fatto che siamo di fronte ad una nuova stagione di inchieste giudiziarie che mette in questione il sistema politico nel suo complesso. E di fronte a tutto questo le forze politiche devono mostrare di essere pronte a rinnovarsi, profondamente e radicalmente, se le stesse circostanze lo pretendono. Ma devono anche vigilare affinché la magistratura non esca dai limiti che le sono propri. Nella speranza che la lezione del '92 non sia stata scordata.

Roma, 18 dicembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
22-01-09, 19:12
Riforma al buio
Senza conoscere i costi il federalismo diventa irricevibile

Il ministro Tremonti mercoledì scorso ha spiegato che il governo è consapevole dei rischi che comporterebbe l'introduzione del federalismo fiscale avendo alle porte una grave crisi economico - finanziaria; e che, di conseguenza, i decreti attuativi non saranno varati prima di avere valutato molto attentamente l'impatto che potranno avere. Il disegno di legge sul federalismo ha un impianto estremamente complesso: 12 tributi, 5 soggetti della riscossione, 2 fondi di sussidiarietà, 11 principi e criteri generali, 8 tipi di procedure attuative, varie commissioni e livelli decisionali. Tanto che il ministro Tremonti ha spiegato che, per avere una cifra indicativa, le variabili di cui si dovrebbe tenere conto sono "un numero elevatissimo". E che non esiste ancora una base di dati omogenei e condivisi: "Avere dei dati, ma non omogenei e non condivisi, è come non avere dei dati".

Dopo tali dichiarazioni, un osservatore attento come Luca Ricolfi ha commentato su "La Stampa": "Quest'ultimo argomento, naturalmente, taglia la testa al toro: se non ci sono ancora dati decenti non si può prevedere nulla". Ricolfi si dice anche stupefatto "che, dopo quasi dieci anni di prove di federalismo fiscale, con due cambiamenti della Costituzione già attuati (di cui uno tuttora vigente), né il centro-destra né il centro-sinistra si siano ancora preoccupati di predisporre la base di dati che occorre". Per la verità uno studio in materia fu fatto durante il primo governo Berlusconi: lo ricorda il deputato di Forza Italia Guido Crosetto, che parla di cento miliardi di euro di allora. Una cifra tale da mettere i brividi, soprattutto se si considera la preoccupazione italiana di non sforare i parametri europei.

Tremonti ha già detto infatti che, se l'Italia dovesse essere declassata dalle agenzie di rating a causa del suo debito pubblico, ecco che davvero la vendita dei titoli di Stati potrebbe fallire e, come ha detto il ministro Sacconi, con voce "fuor di sen fuggita" ma veritiera, si concretizzerebbe una prospettiva "argentina" per il nostro paese.

Confidiamo che anche la Lega se ne accorga e corregga impostazioni in base alle quali si approva il federalismo e poi si fanno i conti. In realtà prima si rivelano i costi e poi si vede se il federalismo fiscale è plausibile o meno. Perché altrimenti il federalismo fiscale diventa il volano del fallimento economico italiano e non certo una condizione di ripresa.

Ricolfi vede bene quando, a proposito, paventa che "si ripeta quel che è già accaduto trent'anni fa con l'istituzione delle Regioni: lo spostamento di compiti dal centro alla periferia ha ampliato i divari territoriali anziché contribuire a ridurli". L'Italia non può, nelle attuali condizioni soprattutto, esporsi ad una tale follia che potrebbe tradursi in più tasse, più spesa, più debito pubblico, più conflitti dentro la Pubblica Amministrazione. Cioè l'esatto contrario di ciò per cui i fautori del federalismo si sono battuti.

E, visto che i repubblicani non scrivono questo perché viziati da un antico centralismo duro a morire (ma perché preoccupati da sempre per i conti dello Stato), hanno individuato una soluzione a proposito invitando il governo ad abolire per prima cosa Province e Comunità montane. Proprio per rendere più compatibile l'introduzione della riforma: perché non si è mai vista una struttura federale dello Stato composta di quattro - o perfino più - livelli amministrativi.

Roma, 22 gennaio 2009

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
23-01-09, 18:54
Sicurezza/Nucara: problema oggettivo che non dipende dal colore politico
No al federalismo a rate

"Il problema della sicurezza nelle città è oggettivo e non dipende dal colore politico di chi le guida. L'uso dell'esercito su vie e piazze si è rivelato del tutto inutile al di là delle capacità militari dei soldati che, reclutati per problemi di difesa, sono destinati a operazioni di polizia. Invece di difenderci da Rom ed immigrati di varia estrazione sarebbe meglio difenderci da ‘ndrangheta, mafia e camorra. Va bene difendere i benestanti ma è primario difendere le popolazioni ovunque si trovino. No al federalismo a rate". Lo ha dichiarato il segretario del Pri Francesco Nucara, commentando l'ennesimo episodio di violenza a Roma.

tratto da http://www.pri.it/new/23%20Gennaio%202009/NucaraSicurezzaRoma.htm

nuvolarossa
27-01-09, 12:34
Forti dubbi sul federalismo
La riorganizzazione dello Stato italiano non si improvvisa

di Italico Santoro

Quella federale – è fin troppo evidente – è una delle ipotesi di organizzazione dello Stato. Per quanto riguarda l'Italia, esiste addirittura un filone storico – risalente a Cattaneo e quindi ben noto ai repubblicani – che fondava sulla scelta federale la costruzione del nuovo Stato. Naturalmente è più semplice strutturare fin dall'inizio uno Stato su base federale – come è capitato per gli Stati Uniti o per la Svizzera – che realizzare la modifica in itinere. In questo caso si rischia quanto meno – come è capitato al Belgio – di moltiplicare i costi e far saltare gli equilibri finanziari (oltre che quelli politico-sociali) dell'intero paese.

E' per queste ragioni che il federalismo fiscale – così come viene delineato nella riforma messa a punto dal ministro Calderoli – suscita forti perplessità. Anzi, a volere essere sinceri, è motivo di vero e proprio allarme. Il ridisegno federale dello Stato andrebbe perseguito con una coerente e organica proposta di revisione costituzionale, magari attuata da un'assemblea appositamente eletta; e invece viene realizzato "a pezzi e brandelli", cominciando da quello che dovrebbe essere un punto di arrivo, per di più in un momento politicamente inopportuno (la grave crisi economica internazionale) e senza vera convinzione ma in ossequio alle pressioni di un unico partito e solo perché questo partito ha fatto del federalismo la sua bandiera.

Gli interrogativi che la riforma Calderoli solleva sono di due tipi. Il primo riguarda lo stesso patto sociale su cui si fonda l'unità nazionale. Luca Ricolfi ha ricordato sulla "Stampa" che, con l'istituzione delle regioni, "lo spostamento di compiti dal centro alla periferia ha ampliato i divari territoriali anziché contribuire a ridurli"; se l'introduzione improvvisata del federalismo fiscale dovesse andare nella stessa direzione, finiremmo non per ridisegnare lo Stato centralista, ma per compromettere l'unità nazionale. Il che potrà anche andar bene al ministro Calderoli e alla Lega ma non certo a quanti - nel Nord come nel Sud del paese – si rendono conto che da questo processo tutti, il Nord come il Sud, uscirebbero indeboliti; e meno che mai potrebbe andar bene a quanti dell'eredità risorgimentale, pur con tutte le sue contraddizioni, si sono fatti storicamente carico. Ci meraviglia perciò che di questo problema – e della complessità delle sue implicazioni – non si renda conto chi su "L'Opinione" (che pure è un giornale attento alla tradizione liberale e risorgimentale dell'Italia) conclude frettolosamente che "il federalismo fiscale può fare bene al Mezzogiorno": un'affermazione per ora non provata e semmai contraddetta proprio dall'esperienza regionale.

E veniamo al secondo interrogativo. Il ministro Tremonti, uomo del Nord ma attento in primo luogo ai problemi dei conti pubblici, ha dichiarato di non essere in grado di fornire dati "omogenei e condivisi" sui costi del federalismo fiscale. L'attuale titolare del dicastero dell'Economia, che siede sulla poltrona occupata a suo tempo da Quintino Sella, non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per certe motivazioni del leghismo e del suo buon rapporto personale e politico con Umberto Bossi. Perché allora tanta prudenza? Forse perché i conti non tornano? Perché teme un incremento della pressione fiscale complessiva o un forte peggioramento del disavanzo pubblico? O perché giudica questa fase economica non propizia a riforme avventurose? Fino a quando il ministro Tremonti (nel quale riponiamo grande fiducia) non avrà dato risposte chiare a queste domande, il federalismo fiscale - almeno per quanto ci riguarda - può attendere.

Infine, un'ultima osservazione. C'è un modo concreto per rispondere a questi interrogativi: rivedere la "governance" pubblica. L'articolazione federale dello Stato conferisce un ruolo ampio alle regioni. Che bisogno c'è allora di mantenere in vita enti inutili e costosi – come le province o le comunità montane – che appesantiscono le finanze pubbliche (e quindi contribuiscono ad aumentare la pressione fiscale o i disavanzi) senza che i cittadini ne ricevano servizi significativi? Solo perché la Lega vuole mantenere in vita questi enti che ne favoriscono il controllo sul territorio? Ma la Lega – l'interrogativo ritorna – vuole perseguire la ricostruzione dello Stato su base federale o assestare un colpo determinante e forse definitivo ai suoi già precari equilibri finanziari?

C'è qualcuno "in Galaad" – per dirla con il poeta – in grado di dare risposte rassicuranti e fondate a questi nostri interrogativi?

Roma, 26 gennaio 2009

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
30-01-09, 12:18
Pescara: le Province nella riforma delle autonomie locali
29 gennaio 2009

Image“Il ruolo delle Province nel progetto di riforma delle autonomie locali” sarà l’argomento della seduta tematica di domani, 30 gennaio, dell’assemblea presieduta da Filippo Pasquali. L’inizio è alle 10,30 nella sala dei Marmi dell’ente. E’ previsto l’intervento tecnico dell’avvocato Stefano Civitarese, esperto di diritto amministrativo. Nel corso della seduta sarà illustrata anche la proposta di legge costituzionale, avanzata dal deputato Francesco Nucara (Misto, Liberal Democratici-Repubblicani), sulla “soppressione delle Province” che è solo una delle tante presentate alla Camera anche da Michele Scandroglio (Pdl), Massimo Donadi (Idv), e Pier Ferdinando Casini (Udc) e al Senato da Lamberto Dini (Pdl), Domenico Benedetti Valentini (Pdl), Giampiero D’alia (Udc-Svp-Aut) e andrea Pastore (Pdl). Poi sarà discusso l’ordine del giorno con cui l’Unione delle Province d’Italia

tratto da http://www.abruzzoliberale.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5888&Itemid=1

nuvolarossa
31-01-09, 12:07
Federalismo/ Nucara: Pri non puo' votare ddl, aggrava costi Stato
Il fatto che non si conoscano costi riforma taglia testa al toro

Roma, 22 gen. (Apcom) - Il Pri non voterà il ddl sul federalismo fiscale. Lo fa sapere il segretario repubblicano, Francesco Nucara, che spiega: "Dopo aver ascoltato il ministro Tremonti in Senato ci sembra chiaro, come crediamo sia chiaro all'intera maggioranza, che una realizzazione del federalismo fiscale in queste condizioni comporterebbe risultati opposti a quelli che si vorrebbero ottenere. Il fatto che non si conoscano i costi della riforma taglia poi la testa al toro".

"Stando così le cose, i repubblicani - prosegue Nucara - non potranno votare un ddl che rischia di aggravare drammaticamente i conti dello Stato. Visto che non abbiamo un pregiudizio antifederalista, avevamo ricordato alla maggioranza della necessità di abolire le Province perché non si è mai visto un sistema federale con quattro livelli amministrativi. Purtroppo non c'è stata data una risposta positiva nemmeno su questo".

tratto da http://notizie.alice.it/notizie/politica/2009/01_gennaio/22/federalismo_nucara_pri_non_puo_votare_ddl_aggrava_ costi_stato,17673694.html

IX Febbraio
31-01-09, 18:06
Federalismo/ Nucara: Pri non puo' votare ddl, aggrava costi Stato
Il fatto che non si conoscano costi riforma taglia testa al toro

Roma, 22 gen. (Apcom) - Il Pri non voterà il ddl sul federalismo fiscale. Lo fa sapere il segretario repubblicano, Francesco Nucara, che spiega: "Dopo aver ascoltato il ministro Tremonti in Senato ci sembra chiaro, come crediamo sia chiaro all'intera maggioranza, che una realizzazione del federalismo fiscale in queste condizioni comporterebbe risultati opposti a quelli che si vorrebbero ottenere. Il fatto che non si conoscano i costi della riforma taglia poi la testa al toro".

"Stando così le cose, i repubblicani - prosegue Nucara - non potranno votare un ddl che rischia di aggravare drammaticamente i conti dello Stato. Visto che non abbiamo un pregiudizio antifederalista, avevamo ricordato alla maggioranza della necessità di abolire le Province perché non si è mai visto un sistema federale con quattro livelli amministrativi. Purtroppo non c'è stata data una risposta positiva nemmeno su questo".

tratto da http://notizie.alice.it/notizie/politica/2009/01_gennaio/22/federalismo_nucara_pri_non_puo_votare_ddl_aggrava_ costi_stato,17673694.html

Concordo al 100% con Nucara.