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Visualizza Versione Completa : Riflessione in preparazione alla Santa Natività: "Il mio Paradiso e il mio Inferno"



Qoelèt
02-12-02, 23:01
p. Justin Popovic
Il mio Paradiso e il mio Inferno
Il senso della vita e del mondo


Nel giorno di Natale il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14). Questa è la buona novella, la prima e la più grande, il più grande "Evangelo" che Dio potesse dare all'uomo, e che il cielo potesse dare alla terra. Per meglio dire, l'intero Evangelo, del cielo e della terra, si riassume in queste poche parole: "il Verbo si è fatto carne". Al di fuori e oltre a ciò, non esiste, per l'uomo, nessun'altra buona novella, nè in questo mondo, nè nell'altro. Qui si trova tutto quello che è necessario all'esistenza umana, per l'eternità ed in qualsiasi mondo.

Questo è l'unico lieto annunzio per la materia, qualunque sia la sua forma: dalla dura e compatta materia del diamante a quella leggera e invisibile dell'elettrone e del fotone.



"Il Verbo si è fatto carne". Ciò significa che il Verbo si è fatto Dio-carne, senza che Dio cessi di essere Dio, né la carne di essere carne, ma che in questa misteriosa e vera unione con Dio, la carne vive e diffonde tutte le perfezioni di Dio.

"Il Verbo si è fatto carne". Ciò significa che il Verbo si è fatto anima, Dio-anima, tuttavia, Dio restando Dio, e l'anima restando anima. Quest'anima però cammina sui sentieri degli eterni e gioiosi misteri di Dio, in tutti i mondi visibili e invisibili.

"Il Verbo si è fatto carne". Ciò significa che il Verbo si è fatto conoscenza, conoscenza-di-Dio. Tuttavia, Dio non cessa di essere Dio, anche se diventa conoscenza umana; così, la conoscenza resta conoscenza umana, ma vive, ormai, tutto l'infinito divino, come se le appartenesse.

"Il Verbo si è fatto carne" significa ancora questo: il Verbo si è fatto creatura, Dio-creatura1. In ciò la natura di Dio non perde le sue caratteristiche divine (greco idiomata), e, allo stesso modo, la natura della creatura non perde le sue caratteristiche ricevute al momento della Creazione . Ma la creatura si eleva, attraverso meravigliose trasformazioni, che la portano di gloria in gloria.

"Il Verbo si è fatto carne", infine, significa questo: il Verbo si è fatto uomo, totalmente uomo, Dio-Uomo. In ciò Dio resta nel proprio ambito e l'uomo nel suo, anche se sono strettamente uniti, in modo inseparabile ed indivisibile. L'uomo tuttavia si appropria di tutte le più intime perfezioni di Dio ed ottiene l'eternità e la gloria divina, divenendo, secondo l'espressione dei santi Padri, "partecipe della divinità" (in greco omotheos).

Il Dio Verbo si è fatto uomo per ricondurre l'uomo al suo archetipo, al suo Creatore, perchè l'uomo è stato creato in origine dal Dio Verbo e ne porta l'impronta - la "verbeità" (logosnost) - (Gn 1, 26-27; Gv 1, 9; Col 3, 10). Il Dio Verbo si è fatto carne per ricondurre la carne alla sua "verbeità" primordiale, poichè tutto ciò che è stato fatto è stato creato dal Dio Verbo (Gv 1, 3; Col 1, 16). Poichè il Dio Verbo è il Creatore di tutta la Creazione, ed è, per questo motivo, il fondamento dell'intero edificio cosmico2. Il peccato e il male rappresentano il tentativo umano, tragico e assurdo, di allontanare il Dio Verbo dalle fondamenta dell'universo.

Il Dio Verbo si è incarnato per ricondurre la Creazione al Creatore, poichè soltanto esso ne è il primo fondamento e la base. Ed è per questa divina ragione che l'apostolo Paolo ha giustamente annunziato questa buona novella, che il Dio-Uomo, il Cristo, costituisce l'unica salda roccia, il fondamento eterno, e che "nessuno può porre un fondamento diverso da quello che è stato posto" (1Cor 3, 11). Colui che fonda e costruisce su questa pietra salda ed inamovibile dell'Universo è un "uomo saggio"e la sua persona è verbeificata (ologosena), ovvero si unisce a tutte caratteristiche eterne del Dio Verbo, ed è per questo motivo che non è scossa da nessuna tempesta o burrasca provocate dagli umani sconvolgimenti e dal caos mondano(Mt 7, 24-25; Rm 8, 35-39).

Divenendo uomo, il Dio Verbo ci ha mostrato che la verbeità (logosnost) è l'essenza della nostra natura, l'elemento fondamentale del nostro essere uomini, la base della nostra vita ed esistenza umana. Noi traiamo origine da Dio, ed è per questo motivo che il nostro essere e la nostra vita dipendono totalmente da Dio (cfr. At 17, 28; Col 3, 1-4). In verità, secondo il suo archetipo e secondo le profondità del suo essere, tutta la Creazione è dal Verbo e per il Verbo (Col 1, 16-17). Verso Lui, attraverso di Lui e in Lui, l'universo è ricondotto alla propria origine ed alla propria esistenza razionale (logosni): alla propria santità, bellezza e potenza primitiva, alle parole "che sia..." e "così fu..." (Gn 1, 3-ss), al proprio stesso paradiso. Poichè è nel Verbo che si trova il Paradiso, e fuori della verbeità (van logosnosti) l'inferno.

La conoscenza!... chi potrà spiegarmi questo mistero che abità in me, la conoscenza! In ciò che noi chiamiamo conoscenza, chi può sapere quali enigmi e quali misteri Dio abbia tessuto ed ordito!... La conoscenza!

La conoscenza è un dono meraviglioso e terribile. Attraverso di essa il Paradiso si rivela come Paradiso, l'inferno come inferno. È attraverso di essa che il dolore si manifesta come dolore, la felicità come felicità e che la tristezza è avvertita come tristezza, la gioia come gioia, la disperazione come disperazione e l'entusiasmo come entusiasmo.

La verbeità è la modalità fondamentale della conoscenza. Se sottraete la verbeità alla conoscenza, questa si trasforma immediatamente in inferno. Infatti, che cos'è l'Inferno? È una conoscenza priva del Dio Verbo, è una conoscenza da cui Dio è stato escluso. E che cos'è il Paradiso? È la conoscenza di Dio3, la conoscenza proclamata con Dio, ricolma del Dio Verbo. Invero, l'Inferno è una conoscenza senza Dio, una "conoscenza pura", mentre il Paradiso è una conoscenza cristificata, verbeizzata, divino-umanizzata.

Il Dio Verbo si è fatto uomo per ricondurre la conoscenza umana alla sua primitiva verbeità, distrutta dal peccato. Nel Dio Verbo fatto uomo, la nostra conoscenza torna alla sua ragion d'essere (logos), al suo significato (noèma) ed alla totalità del suo senso (pannoèma). Ritorna ad una conoscenza "ad immagine di Dio", ad immagine di Cristo, ad immagine dello Spirito. Nel suo intimo ed ultimo mistero, la conoscenza umana procede dall'abisso insondabile del nostro Dio e Signore Trisolare. Ciò significa che la conoscenza è piena e perfetta solo nel momento in cui si trasforma in conoscenza-di-Dio, in conoscenza-di-Cristo, in conoscenza-dello-Spirito. Ed è proprio per verbeizzare la conoscenza umana che il Dio Verbo è divenuto uomo. Allorchè ritorna alla originaria verbeità, la conoscenza si libera del peccato, dell'assurdo, del non-senso e della morte. Ed è in questo modo che accede alla sua specifica e primitiva essenza, arrivando a compimento attraverso la conoscenza-di-Dio e la conoscenza-di-Cristo.

La conoscenza umana può essere veritiera ed autentica soltanto nella misura in cui passa per Dio, per Cristo, o meglio per la conoscenza-di-Dio e la conoscenza-di-Cristo. Senza il Dio Verbo, si smarrisce, si lacera, morendo infine nel mezzo delle passioni, del peccato, dell'assurdo e dell'insensato, dell'ira e della disperazione, dell'egoismo e del perpetuo divenire, ma non certo del "e così fu...". Sempre in divenire, non possiede una reale e piena esistenza. De-divinizzata, de-verbeizzata, la conoscenza umana muore costantemente e tuttavia mai può morire. Questo è il tarlo di cui parla il Vangelo, "che non muore", e il fuoco "che non si estingue", ovvero l'Inferno (cfr. Mc. 1,48)



Il pensiero!... Quale incomprensibile mistero è celato nella natura del pensiero umano!... Ne conosciamo soltanto un aspetto, ovvero che il pensiero è talmente incomprensibile e che l'uomo concepisce la vertigine nel momento stesso in cui inizia a pensarla. Nella ricerca dell'origine e della natura del pensiero, l'uomo rischia di smarrire la ragione se non cerca riparo nel Dio Verbo, il Dio-Uomo, il Cristo, poichè soltanto in Lui il mistero del pensiero trova la soluzione. Separato dal Dio Verbo, il pensiero umano perde il suo significato, la sua ragione d'essere, dato che, nella sua essenza primitiva, possiede un carattere razionale (ellogon).

Per me, il pensiero, ogni pensiero, è la grande prova che esiste sotto il cielo, almeno finchè non muta in pensiero-di-Dio, in pensiero-di-Cristo, finchè, insomma, non è verbeizzato, razionalizzato, poichè, il pensiero è un inferno se non si trasforma in pensiero-di-Cristo. Senza il Dio Verbo, il pensiero umano si trova costantemente in uno stato privo di ragione (alogosnom), nel delirio, nell'auto-soddisfacimento insensato e satanico, in questa attività satanica che è il pensiero per il pensiero, analogamente a "l'art pour l'art"4.

Il pensiero umano, al pari della conoscenza, è abbrutito dal peccato . L'unica medicina e l'unico rimedio a questa follia è il Dio-Uomo, poichè soltanto Lui è il Dio Verbo fatto uomo. In Lui e per Lui è data ed assicurata al pensiero umano la possibilità dell'infinita perfezione divina; perciò, si è fatto uomo, affinchè questo pianeta non divenisse definitivamente ed irremidiabilmente un asilo psichiatrico, posto sotto la guida del "puro" e semplice pensiero umano. Non avete forse notato che quando il continente europeo si allontana dal Dio Verbo incarnato, si radica nell'inumano, nella pazzia, nell'antropofagia civilizzata, nellle guerre di sterminio? Un uomo ne divora un altro, un popolo un altro popolo, una razza un'altra razza.



L'anima umana! Mistero dei misteri! Oh! miracolo dei miracoli! Tutti i cuori dei pellegrini dell'eternità sono andati in pezzi davanti all'anima dell'uomo. Gli uomini vivono con l'anima e non sanno cosa sia. Non è forse una tortura per lo spirito? Una tortura, finchè Dio non si è fatto uomo e, contemporaneamente, anima. Così, ci è stato rivelato il mistero dell'anima: il Verbo. L'anima trae dal Verbo l'essenza, l'essere, il prototipo, trovando in se stessa la ragion d'essere, il senso, la gioia, l'eternità e il paradiso. Per questo motivo, l'anima, sin nel suo intimo, è nostalgica-di-Cristo, nostalgica-di-Dio.

Nel Dio incarnato, l'anima ha trovato il proprio essere e il suo Creatore; ed è per questo che il Dio-Uomo ci annuncia la gioiosa notizia: "Chi perderà la propria anima a causa mia la ritroverà" (Mt. 16,25). Ciò significa che ritroverà la sua essenza, la sua ragion d'essere e il suo senso, la sua dignità e il suo Paradiso, la sua eternità e la sua felicità. Difatti, quando non è unita a Dio Verbo, l'anima si trova fuori di se stessa, in un'eterna pazzia, in un vagabondare privo di senso, di peccato in peccato, di passione in passione, di sventura in sventura. Questo è l'Inferno, con tutti i suoi orrori.



Il corpo umano!... Quale laboratorio di meraviglie, che trasforma l'acqua in sangue, l'aria in ossa, il pane in carne, gli ortaggi in metalli, i metallli in liquidi! Straordinario laboratorio di meraviglie!- Ma, di meraviglie naturali, mi direte.- E come! in natura non esistono forse miracoli? Un meccanico invisibile, un artigiano taumaturgo dirige questo laboratorio paradossale che noi chiamiamo corpo. Si trova nel corpo, ma non lo vediamo. Vediamo le sue opere, ma non lui: è come se avesse deciso di nascondersi sempre più dietro alle sue opere!...

Il corpo!... creandolo in modo siffatto, Dio vi ha posto innnumerevoli enigmi. Nell'argilla, ha celato l'oro divino, lasciandolo qui, sul nostro lontano pianeta. A questo miracolo, ne ha aggiunto un altro: il Verbo si è fatto corpo! Così il corpo è stato esaltato più degli Angeli e degli Arcangeli. Ciò lo ha descritto e spiegato con tali parole: "il corpo è per il Cristo" (1 Cor. 6,13). La prova è data dal fatto che, con il suo corpo, il Signore è salito al cielo, il corpo con il quale e nel quale resta nei secoli. E la promessa, è la Resurrezione del corpo di Cristo e la resurrezione dei nostri corpi nel giorno del Giudizio. Il profondo valore e la verbeità del corpo consistono nel fatto che "il Verbo è divenuto carne" e dimora in eterno nella carne.5



L'Uomo!... Tutte le creature restano in silenzio di fronte a tale miracolo, il più straordinario nella totalità dei mondi. Come se Dio avesse concentrato i miracoli di ciascun mondo e li avesse raccolti in uno solo, nell'uomo; con l'anima, lo ha legato all'universo dello spirito, col corpo al mondo sensibile. Così lo ha lasciato nel bel mezzo di questa vita. Per tale motivo, l'uomo è attratto tanto dai misteri dello spirito quanto dalla seduzione del mondo materiale. L'uomo è diviso, in ogni parte del suo essere, tra due emisferi; perciò, il mistero dell'esistenza umana ha trasformato la riflessione sull'uomo in un grido convulso, in un lamento, in un fare lutto sull'uomo. Ciò è stato vero, finchè il Verbo non si è fatto uomo. Poichè, divenendo uomo, Dio Verbo ha chiarito il mistero dell'uomo agli uomini e ha "verbeizzato"e cristificato la vita, dandole il vero significato, in questo mondo e nell'altro.

Soltanto per mezzo del Dio-Uomo, l'uomo ritorna a se stesso, poichè egli, oltre le profondità del suo essere complesso, resta una creatura "logica" (logosan). Non esiste uomo che, al momento della sua entrata in questo mondo e in questa vita, non sia stato illuminato dal Verbo (cfr. Gv. 1,9). Tutto ciò che è umano, finchè non si è rivolto al Dio-Uomo, finchè non si è "verbeizzato", "divino-umanizzato", resta assurdo ed insensato, in pratica, inumano. Poichè l'uomo è veramente tale soltanto per mezzo del Dio-Uomo e nel Dio-Uomo. L'intenzione ultima dell' In-umanizzazione del Dio Verbo consiste proprio nel "verbeificare", nel "cristificare" e nel divinizzare l'uomo, la sua anima, il suo corpo, il suo pensiero e la sua conoscenza, e tutto ciò che permette all'uomo di essere uomo. Al di fuori di tale "verbeizzazione" e divinizzazione nel Dio Verbo, l'anima, il corpo, il pensiero e le conoscenze non sono altro che mostri, fantasmi ed orrori. A cosa possono servire, infatti, tutte queste cose? A tremare, privi di voce, irrigiditi dalla paura della morte e dal caos di questa vita...



Per questo motivo, il giorno della Natività del Dio Verbo nella carne -Natale- è una festa meravigliosa, per il suo splendore, per il suo mistero e per il suo significato. Festeggiando il Natale, celebriamo e confessiamo sostanzialmente l'unico vero senso e l'unica vera ragione d'essere dell'esistenza, della speranza, del pensiero, della conoscenza e della vita umana. Poichè nel giorno della Natività di Cristo "ha brillato sul mondo la luce dell'intelligenza", dell'intelligenza divina che è giunta sino ai confini della terra. Infatti, è proprio in questo giorno che ci sono stati rivelati il significato eterno e il senso del mondo, e, con esso, il senso dell'uomo nel mondo.

La festa della Natività di Cristo ci ha dato la rivelazione e il senso, sia del mistero dell'uomo, sia del mistero del cielo e della terra. L'uomo è davvero prezioso per l'indissolubile legame che lo unisce al Dio Verbo, ed è per questo motivo che è "logico" (logosan); allo stesso modo, anche la vita dell'uomo, dal momento che appartiene al Verbo, è, per questo, "logica"; oltremodo, ci è caro il mondo, perchè appartiene al Dio Verbo e, per questo, "logico"; e così il cielo perchè anch'esso è dal Verbo e quindi "logico".

Tramite la Natività di Dio nel corpo, è Dio stesso, nella sua integrità, che nasce a questo mondo,e con esso, tutta la Verità , tutta la Giustizia, tutto l'Amore , tutta la Bontà, tutta la Misericordia divini. Perciò, tutti quelli che hanno fame e sete di Dio e della sua giustizia, nel loro slancio spirituale e nella loro immensa gioia, salutano tutti gli esseri e tutta la Creazione con l'augurio proprio di questo giorno: "Cristo è nato!", e dalla profondità della loro nostalgia-di-Cristo, gli esseri e la Creazione gli fanno eco, rispondendo con emozione: "Veramente, è nato!".

(Trad. di Chiara Ruth Rantini)

Versione italiana su LA PIETRA n. 3/99 pp.5 - 13



1 Cfr. le parole di San Gregorio Teologo: "Colui che è diviene, l'increato è creato, l'incircoscritto è circoscritto". Discorsi 45, 9. PG 36, 633-6.

2 Cfr. San Massimo il Confessore, PG 91, 668 e 1308-9.

3 "La conoscenza in Dio" (sant'Isacco il Siro, Discorsi 38).

4 In francese nel testo.

5 Cfr. Omelia XVI di San Gregorio Palamas (PG 151, 201-204) e san Marco l'Asceta: "Il Verbo si è fatto carne perchè la carne divenisse Verbo" (Lettera al Monaco Nicola, nella Filocalia).

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Abba Giustino (Popovic) di Celije
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Figura gigantesca di testimone vivente della Tradizione Ortodossa, il padre JUSTIN (Giustino), per la sua dottrina ed insieme per la vita nell'ascesi, è in tutto e per tutto un vero Padre della Chiesa in pieno XX secolo. Di lui, un monaco del Monte Athos ha scritto: "Ci fu un uomo mandato da Dio , e il suo nome era Giustino". Come gli antichi Padri, egli non ha compreso la dottrina staccata dall'ascesi e dalla tensione verso la santità. "L'unico possibile rinascimento nella Chiesa – amava dire – è un rinascimento nell'ascesi". La sua Teologia, che volle chiamare – intitolando la sua opera di Dogmatica – "La filosofia ortodossa della Verità" non è una contemplazione intellettuale dell'essenza di Dio, come la scolastica occidentale che, quando p.Justin entrò nel mondo accademico ortodosso, aveva infettato anche lì l'impostazione del fare teologia, ma la continuazione dell'esperienza vivente della Vita in Cristo. La stessa vita della Chiesa è l'organica continuazione della Vita di Cristo da parte del suo Corpo, secondo l'immagine paolina. Essere cristiani è essere in Cristo. L'eresia non è soltanto la formulazione intellettuale di un errore dogmatico ma è, soprattutto, separarsi da Cristo. Torna in mente un apoftegma (detto) di un padre del deserto che accettava di essere accusato dei più orrendi peccati, ma non d'eresia "perché l'eresia è separazione da Cristo".
" Non c'è niente di più orribile – scrive p.Justin – di un'eternità senza Cristo. Io ritengo preferibile un inferno dove fosse il Cristo (perdonatemi il paradosso) ad un paradiso dove Cristo non c'è. Perché se Cristo non è presente, tutto si trasforma in maledizione ed orrore."
Il Venerato Padre nacque il giorno dell'Annunciazione (25 Marzo del Calendario Ecclesiastico) del 1894 a Vranje in Serbia e si addormentò nel Signore lo stesso giorno dell'Annunciazione del 1979. L'intera sua vita è segnata da questa data dell'Incarnazione: è un canto al Verbo incarnato principio e fine, alpha ed omega di tutte le cose.

Nato da una famiglia sacerdotale da diverse generazioni, figlio di un sacerdote, padre Spiridione, e della matusa Anastasia, ricevette fin dalla più tenera infanzia il respiro della "dolce ortodossia" come il popolo Serbo amava chiamare la fede dei padri suoi, p. Giustino è veramente il frutto eletto di una stirpe che ha vissuto e praticato in profondità la fede cristiana ortodossa della sua nazione. Del popolo serbo condivise i momenti dolorosissimi del XIX secolo: divenne monaco nel 1915, proprio durante lalunga ritirata dell'esercito serbo che durante l'inverno marciò lungo il Kosovo e l'Albania fino a Scutari, condotto dal vecchio Re Pietro I nelle piane del Kosovo , nel "Campo dei merli" là dove il santo principe Lazaro aveva nel passato , lottando contro i Turchi, preferito"la gloria del regno celeste all'effimera gloria del regno terreno". Imitando la rinuncia del santo, Blagoje (questo era il nome di battesimo di abba Justin) scelse anche lui, dopo un secondo dramma del Kossovo (e quanti ancora dovranno venire…!) la gloria eterna, identificando il suo destino a quello della Serbia Ortodossa che scelse di servire nel suo calvario, materiale, morale e soprattutto spirituale.

La sua formazione fu ricca e complessa, ed anche il suo nome monastico di Giustino – filosofo e martire – gli si addice perfettamente. Con la "Filosofia Ortodossa della Verità" fu chiamato da Dio a formulare una grande sintesi teologica in un'epoca di relativismo, sintesi nella quale riaffermo la Verità di Cristo, l'Unicità della Chiesa Cattolica ed Ortodossa, Corpo di Cristo vivente ove lo Spirito Santo dimora, unica arca della nostra salvezza in mezzo ai marosi del secolarismo, dell'ateismo, dell'umanesimo, arrogante negatore della centralità di Dio, dell'eresia del relativismo e dell'Ecumenismo. Nonostante che la sua formazione si sia svolta in parte in occidente – studiò ad Oxford, dopo il Seminario in Serbia e l'Accdemia in Russia, e poi ad Atene ove conseguì il dottorato in Teologia - dal pensiero occidentale non fu influenzato se non per una maggiore comprensione del dramma dell'occidente stesso.

Due grandi figure dell'Ortodossia del '900 ebbero influenza sulla formazione di Padre Giustino: il santo Vescovo Nicolaj Velimirovitc ed il Metropolita Antonio Krapovitski.

Del primo abba Justin ebbe a dire "Sì, è il grande padre di tutti i Serbi, il più grande dopo San Sava".

L'altro suo padre spirituale, il Metropolita Antonio, fu il primo Presidente del Sinodo della "Chiesa Russa fuori frontiera" uscita dai confini della Patria per preservarne la grande tradizione spirituale, la tradizione della Santa Russia Ortodossa, dopo l'avvento del bolscevismo, e che ebbe la sua sede a Karlovic. Di lui scrisse:" Nella nostra epoca nessun altro ha esercitato maggiore influenza sul pensiero ortodosso del beato metropolita Antonio. Egli ha ricondotto l'Ortodossia fuori dalle strade scolastiche e razionaliste , lungo la via beata ed acetica; egli ha mostrato e provato, in maniera indiscutibile, che la potenza eterna dell'Ortodossia risiede nei Santi Padri , perché solo i santi sono i veri luminari e, per ciò stesso, i veri teologi". Nel Metropolita Antonio vede la luce della tradizione della nazione Russa ortodossa che continua nonostante gli orrori della rivoluzione e del materialismo ateo eretto a sistema.

Quest'insistenza sul tema della "Nazione Ortodossa" ritorna più volte, come una costante, nel pensiero del p.Giustino. Ma non deve farci pensare ad un nazionalista chiuso alla dimensione universale e cattolica dell'Ortodossia. Al contrario, se l'attaccamento alle radici della nazione ortodossa ha, per lui, il significato di un legame organico, quasi fisico, all'interno del più grande corpo di Cristo che è la Chiesa, il filetismo rappresenta per lui il più grave peccato degli Ortodossi contro la Chiesa. Egli è convinto che l'Ortodossia non abbia limiti nazionali e che le nazioni ortodosse hanno anzi il dovere di portarla sempre oltre i loro confini, com'è avvenuto nell'epoca degli Apostoli e dei Padri.

Vide con chiarezza il pericolo che il relativismo si introducesse pian piano nell'ortodossia attraverso l'eresia dell'Ecumenismo. Lottò con tutte le sue forze, con gli scritti, con la parola e soprattutto con la vita ascetica perché l'Ortodossia restasse salda nella Vivente Tradizione di Verità ricevuta dagli Apostoli e dai Padri.

Quando la Chiesa Serba, nel 1965, ,per decisione del Patriarca German (una creatura del regime comunista di Tito) entra ufficialmente nel Consiglio Ecumenico delle Chiese, la coscienza della Chiesa serba, ovvero la voce profetica del Venerato Padre Justin dichiarò: " Noi abbiamo rinnegato la Chiesa Ortodossa, degli Apostoli, deiPadri, dei Concili Ecumenici e siamo diventati membri di un Club eretico, umanistico, umanizzato, fatto dalle mani dell'uomo; un Club che consiste di 263 eresie, ciascuna delle quali è spiritualmente morta."

Nel 1971 il P. Giustino, che sempre aveva non nascosto la sua simpatia per il movimento di resistenza greco (l'attuale vescovo Ireneo (Bulovic), figlio spirituale del P. Justin, da giovane ieromonaco studente ad Atene, andava a celebrare in una chiesa vecchio-calendarista di un monastero di monache, quello della Panaghia Mirtidiotissa alla periferia della città.), rompe la Comunione col Patriarcato Serbo. Alla sua morte nessun Vescovo serbo presenzierà alle esequie.

Negli ultimi anni, abbandonato il lavoro di insegnamento, restò nel monastero di Celije dove era padre spirituale di quella comunità di Monache da dove però non si stancò, fino alla morte, di far sentire la sua voce di confessore della fede. Egli era consapevole della china ecumenistica e modernista in cui l'Ortodossia stava precipitando ma era sempre più convinto che la preghiera, l'ascesi, la paternità spirituale, più che il gridare scalmanato (che è altra cosa rispetto alla capacità di prendere posizioni ferme quando necessario) fossero necessari alla conservazione di un'Ortodossia fedele alla Tradizione dei Padri.Un'occasione per incontrare gran numero di fedeli erano le annuali commemorazioni del Santo Vescovo Nicolaj, sepolto poco lontano da Celije. Di quelle commemorazioni ci restano magnifiche Omelie che sono veri insegnamenti di fede e lezioni di Ortodossia.

Le sue opere restano come tra le più preziose testimonianze di una rilettura fedele della Tradizione per gli uomini di oggi, in perfetta e mai soluta continuità con il filo d'oro che dagli Apostoli giunge fino a noi.

Pio Padre nostro Giustino, intercedi presso Dio per noi.

Anche se la Chiesa Serba non lo ha ancora ufficialmente canonizzato, il padre Giustino è venerato ovunque come santo dai veri Ortodossi. Il padre Atanasio Simonopetrita ha composto i testi liturgici in suo onore:

Apolitikio Tono I
Il Teologo dalla mente divina onoriamo con splendore,* Il sapiente tra i Serbi Giustino:* con la grazia del santo Spirito ha combattuto l'errore degli atei e l'empietà dei latini* come iniziato del Signore Filantropo ed amante della pietà.*Gloria a Cristo che ti ha glorificato!* Gloria a Lui che ti ha incoronato!* Gloria a Lui che ti ha reso un luminare* nel tempo della tenebra.


Kontakion Tono I
Acclamiamo alla fedele ed inesauribile fonte* da cui sgorgano le dottrine ortodosse,* ad un angelo in forma umana animato di zelo divino,* Giustino deiforme,* il germoglio dei Serbi,* che con gli insegnamenti e gli scritti* strenuamente difese* la fede nel Signore.


Megalinario
Rallegrati* Giustino amante di Dio,* stella del mattino nuovamente risplendente per tutti gli Ortodossi:* nei nostri tempi hai illuminato il mondo, coi raggi delle divine parole,* e sei stato oppositore dell'eresia.