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Visualizza Versione Completa : Teoria e pratica della Dittatura del Proletariato nella storia del comunismo



Pieffebi
09-12-02, 20:10
Nel suo libro contro il comunismo bolscevico ("Comunismo e Terrorismo"), il teorico marxista della Socialdemocrazia Tedesca e della II Internazionale, il famoso Karl Kautsky, rilevò, circa l'abrogazione, tra tutti gli altri diritti politici e civili negati, della libertà di stampa da parte del governo del Commissari del Popolo, guidato da Lenin e Trotzky : “La giusitificazione di questo sistema poggia esclusivamente sull'ingenua idea che vi sia una verità assoluta e solo i comunisti la posseggano. Tale giustificazione può anche ridursi ad un altro punto di vista che tutti gli scrittori [anticomunisti] siano mantitori nati, e che soltanto i comunisti siano fanatici della verità (..) D'altra parte il governo dei Soviet si è privato esso stesso del solo rimedio contro la corruzione: la libertà di stampa (..) “.
Dobbiamo dire che il marxista socialdemocratico Kautsky conosceva bene i comunisti.....e la loro pretesa di essere gli unici depositari della verità, nonché la loro insopprimibile tendenza ad jjpojj, dileggiare e denigrare (e una volta saldamente al potere....reprimere) ogni voce anticomunista, foss'anche socialista, foss'anche fondata su presupposti marxistici.
La struttura ideologica del comunismo moderno è, fin dalle sue origini, indubitabilmente arrogante e intollerante, talmente convinta di possedere il Vero e il Giusto, da non poter concepire le opinioni contrarie se non derivate da biechi interessi o i da gnoranza o addirittura... da inconfessabili tendenze criminali condite con corruzione morale.
Sebbene Kautsky ( come teorico del “centro” ortodosso marxista della II Internazionale contro il riformismo revisionistico di Bernstein e soci), non fosse stato affatto alieno dall'utilizzo di concetti come “ rivoluzione” e come “dittatura del proletariato”, appartenenti alla teoria marxista e alla tradizione del socialismo radical tedesco, le interpretazione che già dagli inizi del XX secolo dava di questi termini erano estremamente diverse da quelle che saranno parte integrante dell'ortodossia leninista, tanto nelle varianti più democraticiste (trotzkysmo), quanto in quelle più apertamente totalitarie (“marxismo-leninismo” staliniano).

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Pieffebi
09-12-02, 20:12
continuazione ...

Già durante la polemica contro Bernstein nel 1899 Kautsky precisa che la “ dittatura del proletariato è l'utilizzazione del potere di classe del proletariato nel quadro delle libertà democratiche ”. E nel 1911 Kautsky, ancora più esplicitamente, affermerà che il moderno parlamentarismo può essere la base “tanto della dittatura borghese che della dittatura del proletariato”.
Su fondamenti teorici decisamente più radicali, ma su questi punti non trippo dissimili, persino una rivoluzionaria come Rosa Luxemburg, accuserà Lenin e Trotzky di “soppressione della democrazia” ricordando loro che “ la libertà è pur sempre la libertà di chi la pensa diversamente ”. La Luxemburg si opporrà invano al cambiamento del nome del partito rivoluzionario tedesco in partito comunista e all'edesione del medesimo alla Terza Internazionale, finendo assassinata dalla polizia dopo l'arresto avvenuto nel corso di un tentativo insurrezionale.
Un altro socialdemocratico di estrema sinistra, tal Otto Bauer (con Renner ed Hilferding e altri, uno dei massimi teorici dell'austromarxismo e dell'Internazionale 2 e mezzo) , affermerà che la concezione comunista (leninista) della dittatura proleraria era fondata sullo stato di estrema arretratezza della società russa, e che la stessa idea marxiana della dittatura rivoluzionaria non era che un residuo borghese, determinato dall'esperienza delle rivoluzioni “giacobine” e “liberali” del XVIII e XIX secolo, e non aveva più alcuna utilità per il socialismo moderno. Pur difendendo la rivoluzione d'ottobre come forma locale della rivoluzione prolateria mondiale, Bauer si contrapporrà al comunsmo e alla Terza Internazionale proprio per il rifiuto dell'uso acritico universale che dell'esperienza bolscevica veniva fatto dai comunisti, che così si separavano, a suo avviso, da una corretta concezione della rivoluzione nelle società sviluppate e democratiche dell'occidente, in cui il valore della democrazia non poteva più essere minimamente messo in questione. Compito del proletariato era semmai quello di allargare e sviluppare ulteriormente la democrazia che era rimasta monca in epoca borghese.
La concezione della democrazia del giovane Partito Comunista d'Italia, tanto nelle formulazione più idealistiche gramsciane, che nel dottrinarismo materialistico bordighiano, erano strettamente collegate con le formulazioni teoriche del bolscevismo di Lenin, Trotzky , Bucharin e Zinoviev.
Nell'articolo sull'ORDINE NUOVO del 30 ottobre 1921 dal titolo “Le Masse e i Capi”, ad esempio, Antonio Gramsci così esaltò la dittatura comunista: “ La Dittatura del Partito Comunista non spaventa le masse, perchè le masse comprendono che questa terribile dittatura è la massima garanzia della loro libertà, è la massima garanzia contro i tradimenti e gli imbrogli “[Avevi visto giusto signor Kautsky! : nota di pfb].

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Pieffebi
09-12-02, 20:13
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Nel marzo 1924 sul quindicinale “Ordine Nuovo”, nell'articolo “Capo”, Antonio Gramsci ritorna sull'argomento : “ Ogni Stato è una dittatura. Ogni Stato non può non avere un governo, costituito da un ristretto numero di uomini, che a loro volta si organizzano intorno a uno dotato di maggiore capacità, e di maggiore chiaroveggenza. Finchè sara' necessario uno Stato, fincheè sarà storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porrà il problema di avere dei capi, di avere un *capo *. (..) Nella quistione della dittatura proletaria il problema essenziale non è quello della personificazione fisica della funzione di comando. Il problema essenziale consiste nella natura dei rapproti che i capi o il capo hanno col Partito della classe operaia, dei rapporti che esistono tra questo partito e la classe operaia: sono essi puramente gerarchici, di tipo militare, o di caratere storico e organico? Il capo, il partito sono elementi della classe operaia, sono una parte della classe operaia, ne rappresentano gli interessi e le aspirazioni più profonde e vitali (...). Il problema diventa quello di tutto lo sviluppo storico della classe operiaia (..) Il problema diventa quello della vitalità del marxismo, del suo essere o non essere la interpretazione più sicura e profonda della natura e della storia, della possibilità che esso alla intuizione geniale dell'uomo politico dia anche un metodo infallibile , uno strumento di estrema precisione per esplorare il futuro, per prevedere gli avvenimenti di massa, per dirigerli e quindi padroneggiarli (..). La dittatura del prolerariato è espansiva, non repressiva [verso la propria classe]. Un continuo movimento si verifica dal basso in alto, un continuo ricambio attraverso tutte le capillarità sociali, una continua circolazione di uomini (..) ”.

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Pieffebi
09-12-02, 20:14
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Sulla rivista del Partito, “Rassegna Comunista” del 28 febbraio 1922, nel pezzo "Il Principio Democratico” un anonimo articolista, probabilmente il Bordiga, si dilungava nel riassumere i principi fondamentali del comunismo di scuola marxista e leninista nei confronti della democrazia:
“ La critica marxista ai postulati della democrazia borghese si fonda infatti sulla definizione dei caratteri della presenta società divisa in classi, e dimostra l'inconsistenza teorica e l'insidia pratica di un sistema che vorrebbe conciliare l'uguaglianza politica con la divisione della società in classi determinate dalla natura del sistema di produzione. La libertà e uguaglianza politica contenute secondo la teoria liberale nel diritto di suffragio non hanno senso se non su una base che contenga disparità di condizioni economiche fondamentali: ecco perchè noi comunisti ne accettiamo l'applicazione nell'interno degli organismi di classe del prolatariato, al cui meccanismo sosteniamo si deve dare un carattere democratico.
(..) Come un errore dottrinale è sempre alla base di un errore di tattica politica, o né è, se si vuole, la traduzione nel linguaggio della nostra coscienza critica collettica, così un riflesso di tuta la politica e la tattica perniciosa della socialdemocrazia si ha nell'errore di principio che il socialismo ereditu una parte sostanziale del contenuto che la dottrina liberale ha affermato contro quello delle vecchie dottine politiche a base spiritualista. Invece nelle sue prime formulazioni il socialismo marxista distrugge appunto, e non accetta per completarla, tutta la critica che liberlismo democratico aveva edificato contro le aristocrazie e le monarchie assolute dell'antico regime
(...) La divisione in classi nettamente distinge dai privilegi economici fa sì che il valore di un pronunziato maggioritario perda ogni valore. La nostra critica confuta l'inganno che il mecanismo dello Stato democratico e parlamentare uscito dalle costituzioni liberali moderne sia una organizzazione di tutti i cittadini nell'interesse di tutti i cittadini. Essendovi interessi contrastanti e conflitti di classe non vi è possibile unità di organizzazione, e lo Stato resta malgrado l'esteriore apparenza della sovranità popolare l'organo della classe economicamente superiore e lo strumento della difesa dei suoi interessi (...).
Chiarito così che il principio di democrazia non ha alcuna virtù intrinseca, e che non vale nulla come principio, essendo piuttosto un semplice meccanismo di organizzazione fondato su una semplice e banale presunzione aritmetica, che i più abbiano ragione e i meno abbiano torto, vediamo se e in quanto questo meccanismo è utile (..).
Lo Stato proletario, come organizzazione di una classe contro altre classi che devono essere spogliate dai loro privilegi economici, è una forza storica reale che si adatto allo scopo che persegue, ossia alle necessità per cui è nata. Essa potrebbe in dati momenti prendere impulso salle più vaste consultazioni di massa come dalla funzione di ristrettissimi organismi esecutivi muniti di pieni poteri: l'essenziale è che a questa organizzazione di potere proletario si diano i mezzi e le armi per abbattere il privilegio economico borghese e le resistenze politiche e militari borghesi, in modo da preparare poi la sparizione stessa delle classi, e le modificazioni sempre più profonde dello stesso uo compito e della sua struttura
(...) Nel periodo di inizio della dittatura proletaria questa ha un compito enormemente gravoso e complesso, che si può dividere in tre sfere d'azione: politica, militare ed economica. Il problema militare della difersa interna ed esterna contro gli asslti della controrivoluzione, come quello della ricostruzione dell'economia su basi collettive, hanno come loro fondamento l'esistenza e l'applicazione di un piano sistematico e razionale di utilizzazione di tutti gli sforzi, in una attività che deve riuscire a essere fortemente unitaria pur utilizzando, anzi priprio per utilizzare con maggior rendimento, le energie di tutta la massa (..) Da queste considerazioni si giunge a conchiudere che nel periodo iniziale della dittatura proletaria, se i consigli dei vari gradi devono dar luogo contemporaneamente a designazioni di ordine legislativo per i gradi superiori e a designazioni esecutive per le amministrazioni locali, bisogna lasciare al centro la gestione responsabile in senso assoluto della difesa militare, e in senso meno rigido della campagna economica, mentre gli organi locali valgono ad inquadrare politicamente le masse per la lor partecipazione all'attuazione di quei paini e il loro consenso all'inquadramento miltare ed economico, creando il terreno di una loro attività più larga e continua che sia possibile intorno ai problemi della vita collettiva, incanalandola nella formazione della organizzazione fortemente unitaria che è lo Stato proletario ”.
Dunque conclude il teorico comunista italiano del 1922 : “ Il criterio democratico è finora per noi un accidente materiale per la costruzione della nostra organizzaizone interna e la formulazione degli statuti di partiti (..) La democrazia non può essere per noi un principio, il centralismo lo è indubbiamente “.
Il Partito Comunista d'Italia nasce dunque con un patrimonio teorico e ideologico strettamente derivato dall'interpretazione radicale del marxismo operata da Lenin e dai bolscevichi russi.

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Pieffebi
09-12-02, 20:16
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La democrazia viene rifiutata come principio e valore, rimane un “metodo” di cui il partito si può o meno avvalere a seconda delle circostanze, fermo restando che la democrazia rappresentativa liberale, come sorta in occidente dalla società civile capitalistica, pur in dialettico rapporto con lo sviluppo del movimento operaio, non è che una forma della dittatura politica di classe della borghesia e in quanto tale va abbattuta e sostituita dalla dittatura proleraria, che al di là delle forme giuridiche che si darà, siano queste fondate o meno sul “metodo” democratico (escluso comunque per i “nemici di classe” e della dittatura), è ritenuta socialmente più democratica della più democratica delle repubbliche borghesi, operando nell'interesse della grande maggioranza della popolazione (i proletari innanzi tutto e gli altri ceti popolari) contro un'esigua minoranza di sfruttatori.
Questo impostazione nasce direttamente dalla concezione marxista (particolarmente sviluppata in Engels) dello Stato come organizzazione della violenza e del dominio di classe, come comitato d'affari della classe dominante e, in epoca borghese, come “capitalista collettivo ideale”.
Già in “Glosse critiche in margine ad una articolo” , del 1844, il giovane Marx scriveva che “ L'esistenza dello Stato e l'esistenza della schiavitù sono inseparabili “ , concetto ribadito in “La Sacra Famiglia” in modo dialetticamente più articolato laddove questa schiavitù è ricondotta, per lo Stato moderno, alla schiavitù verso “l'interesse privato” (“lo schiavo del lavoro per il guadagno, lo schiavo sia del bisogno egoistico che del bisogno egoistico altrui”).
Ne “L'ideologia tedesca” si afferma finalmente da parte di Maarx ed Engels che “ poiché lo Stato è la forma in cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro interessi comuni e in cui si riassume l'intera società civile di un'epoca, ne segue che tutte le istituzioni comuni passano attraverso l'intermediario dello Stato e ricevono una forma politica. Di qui l'illusione che la legge riposi sulla volontà strappata dalla sua base reale, sulla volontà Libera. Allo stesso modo, il diritto a suo volta viene ridotto alla legge. Il diritto privato si sviluppa contemporaneamente alla proprietà privata dalla dissoluzione della comunità naturale (..) Nel diritto privato i rapporti di proprietà esistenti sono espressi come risultato della volontà generale (..) ”.
L'interpretazione marxista dello Stato e della sua relazione con la “società civile” è una interpretazione di tipo “materialistico economico”, fondata cioè sull'idea che lo Stato, con tutto il suo apparato giuridico e politico, altro non sia, nella sua essenza, che una istituzione sovrastrutturale, espressione dei rapporti sociali di produzione. Un prodotto storico, dirà Engels, della scissione della società in classi contrapposte, ed un'espressione dei rapporti sociali ed economici fra queste classi, che ne determinano l'insanabile antagonismo.
Come è scritto già nella stessa “Ideologia Tedesca”: “ La vita materiale degli individui, che non dipende affato dalla loro pura *volontà *, il loro modo di produzione e la forma di relazioni che si condizionano a vicenda, son la base reale dello Stato e continuano ad esserlo in tutti gli stadi nei quali sono ancora necessarie la divisione del lavoro e la proprietà privata, del tutto INDIPENDENTEMENTE dalla VOLONTA' degli individui. Questi rapporti non sono affatto creati dal potere dello Stato; essi sono piuttosto il potere che crea quello “.
In *Miseria della Filosofia *, Marx in polemica con Proudhon scrive : “ Una classe oppressa è la condizione vitale di ogni società fondata sul conflitto di classe. La liberazione della classe oppressa comporta dunque necessariamente la creazione di una nuova società (..) Condizione della liberazione della classe lavoratrice è la soppressione di ogni classe (..) La classe lavoratrice, nel corso del suo sviluppo, sostituirà alla vecchia società civile un'associazione che scluderà le classi e il loro antagonismo, e non ci sarà più un potere politico propriamente detto , poiché il potere politico è precisamente il compendio ufficiale dell'antagonismo esistente nella società civile ”.

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Pieffebi
09-12-02, 20:17
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Tuttavia questo processo rivoluzionario che porta all'estinzione dello Stato e del potere politico, non può avvenire senza che il proletariato si costituisca transitoriamente in classe dominante, distruggendo il vecchio Stato borghese e i suoi apparati, sostituendoli con nuovi apparati e nuove istituzioni.
Tra la società capitalistica e la piena e matura società comunista, senza Stato e senza classi, vi è la prima fase della società comunista, o socialismo:
“ Questo socialismo – scrive Marx in *Le lotte di classe in Francia * - è la dichiarazione del carattere permanente della rivoluzione, la dittatura di classe del proletariato come momento di sviluppo necessario per la soppressione delle differenze di classe in generale, per l'abolizione di tutti i rapproti di produzione su cui esse riposano , per l'abolizione di tutti i rapporti sociali relativi a questi rapporti di produzione, per il rivolgimento di tutte le idee espresse da queste relazioni sociali “.
Nella sua famosa letera a Weydemeyer del 5 marzo 1852, Marx negando di essere lo scopritore del principio scientifico della lotta di classe fra borghesi e proletari, già scoperto a suo avviso dagli studiosi liberali, afferma : “ Ciò che io ho fatto di nuovo è stato dimostrare : 1) che l'esistenza delle classi è semplicemente legata a determinte fasi storiche di sviluppo della produzione 2) che la lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del proletariato 3) che questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla abolizione di tutte le classi e a una società senza classi. ”.
Del resto per Marx la democrazia rappresentativa moderna, come andava prefigurandosi nelle società più evolute dell'occidente, con la tendenza verso il suffragio universale, con le “libertà borghesi”, era palesemente una sovrastruttura dello sviluppo storico dei rapporti sociali capitalistici.

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Pieffebi
09-12-02, 20:18
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“ Uguaglianza e libertà – scrive Marx in *Lineamenti fondamentali per la critica dell'economia politica * - presuppongono rapproti d i produzione non ancora realizzati nel mondo antico, e nemmeno nel medioevo “. Infatti “ Non solo dunque uguaglianza e libertà sono rispettati nello scambio basato sui valori di scambio, ma lo scambio di valori di scambio – scrive Marx – è anzi la base produttiva, reale di ogni uguaglianza e libertà “.
Le merci si scambiano al loro valore tra eguali, e anche la merce forza-lavoro si vende al suo valore in cambio di un salario sulla base del principio di euglianaza. Il lavoratore salariato è formalmente e giuridicamente un libero venditore della propria forza lavoro, contro un equo prezzo. Lo sfruttamento è dato dal fatto che il lavoratore produce un valore superiore a quello che riceve in cambio. Ma il valore che riceve in cambio è il prezzo equo della propria forza lavoro, determinato come quello di ogni altra merce dal “tempo socialmente necessario per la sua produzione”. Per Marx la democrazia è quindi “ il miglior sistema per il migliore affare “ del capitalista.
Sebbene non vi sia una relazione di necessità rigida fra capitalismo e democrazia politica “borghese”, Marx individua senz'altro una relazione di necessità dialettica, nel contesto della sua concezione matarialsitico storica.
La democrazia è pertanto, per Marx ed Engels, da un lato una sovrastruttura giuridica dei rapporti sociali di produzione borghesi, dall'altro una forma politico-istituzionale e giuridca dello Stato borghese,ossia dell'organo del dominio politico della classe economicamente dominante.
Perciò Marx ridicolizza le rivendicazioni sullo “Stato Popolare Libero” del partito operaio tedesco (il “lassaliano” programam di Gotha) osservando inoltre come le rivendicazioni politiche di questa formazione socialista “ Non contengano nulla oltre all'antica litania democratica: suffragio universale, legislazione diretta, diritto del popolo, armamento del popolo ecc.. Esse sono una pura eco del partito popolare borghese, della Lega per la pace e la libertà. Esse sono tutte rivendicazione che, nella misura in cui non sono esagerate da una rappresentazione fantastica, sono già realizzate “.
Marx precisa ancora una volta che la repubblica democratica non è affatto “il regno millenario”, ma la * ultima forma statale della società borghese [dove] si deve decidere definitivamente con le armi la lotta di classe *. In questo contesto Marx ribadisce ancora che : “ Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio , il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato *.

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Pieffebi
09-12-02, 20:19
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Scrivendo contemporaneamente sullo stesso argomento, Engels in una lettera aggiunge : * Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per schiacciare con la forza i propri nemici , parlare di uno 'Stato Popolare Libero' è una pura assurdità: finchè il proletariato ha ancora bisogno dello Stato ne ha bisogno NON nell'interesse della libertà, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere *. Interpretando in modo coerente e radicale queste formulazioni teoriche marxiste, Lenin, respingendo ogni revisionismo aperto (alla Bernstein) o ogni interpretazione “liberaleggiante” della dittatura proletaria e della democrazia “in generale” del “centrismo socialdemocratico” (Kautsky), sosterrà con decisione che:
“ La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo; per questo il capitale dopo essersi impadronito di questo involucro – che è il migliore – fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che NESSUN cambiamento, ne' di persone, ne' di istituzioni, ne' di partiti nell'ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo “ (Stato e Rivoluzione).
Riprendendo le idee di Marx ed Engels, Lenin formulerà con decisione la sua dottrina della dittatura del proletariato, fondata al contempo sulla propria concenzione della formazione della coscienza politica di classe (che non sorge affatto spontanemante della lotta di classe, ma è portata all'operaio dall'esterno ad opera del partito, come è speficato in “Che Fare?”) e del partito rivoluzionario come partito-avanguardia, partito-scienza, partito-pedagogo, che sorge sulla base della teoria rivoluzionaria e la incarna nella concretezza delle lotte di classe, attraverso la formulazione di una strategia rivoluzionaria articolata nelle varie tattiche contingenti, che devono essere duttili e intelligenti.
La natura transitoria della dittatura del proletariato, che è essenzialmente in Lenin e nei comunisti dittatura del partito comunista o quanto meno, sotto la direzione del partito comunista, è strettamente connessa all'idea marxiana dello Stato come frutto dell'antagonismo di classe e come formazione storica determinata.

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Pieffebi
09-12-02, 20:20
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Nella misura in cui le classi vengono abolite dal processo rivoluzionario di trasformazione della società in senso socialista, dalla ferrea dittatura proletaria, con le sue istituzioni formali di democrazia proletaria (nella rivoluzione russa...I Soviet) lo Stato si estingue , e con esso si estinguono anche la dittatura e la democrazie proletarie. Il risultato è una società senza stato e senza classi, come quella paventata dall'anarchismo collettivista e comunistico .
Scrive Lenin : “ Ragionando sullo Stato si commette abitualmente l'errore contro il quale Engels mette (..) in guardia (..): si dimentica cioè che la soppressione dello Stato è anche la soppressione della democrazia, e che l'estinzione dello Stato è anche l'estinzione della democrazia (..) “, il che è invece naturale se si pensa che per il marxismo la democrazia non è che una forma di Stato , che nel suo contenuto è una dittatura di classe, e che lo Stato è destinato ad estinguersi con la soppressione di ogni antagonismo di classe e di ogni classe.
L'idea leninista della “democrazia proletaria” è del resto del tutto illiberale e sostanzialmente totalitaria, nonostante l'uso di espressioni, almeno formalmente “semi-anarchice” o “libertarie”, e non potrebbe essere diversamente.
Per Lenin quello che è deicisivo non è l'opinione o la volontà espressa daii singoli individui che formano la classe operaia. La volontà di classe NON è la somma delle volontà degli individui che la compongono, quanto piuttosto qualcosa di simile alla rousseuaina “volontà generale”, rapportata alla propria visione rigidamente classista.
Per quanto sia importante per il partito rivoluzionario conquistare la maggioranza del proletariato, la sua fiducia, il suo consenso, questa maggioranza non è indispensabile per determinare le decisioni fondamentali che il partito deve assumere nel guidare la rivoluzione e soprattutto, lo Stato rivoluzionario, soprattutto nelle fasi di maggiore conflitto sociale.

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Pieffebi
09-12-02, 20:21
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Il partito conosce sulla base della scienza marxista quali sono gli interessi reali della classe, ed è in grado di determinarlo momento per momento, anche a dispetto dell'opinione della maggioranza degli operai e dei lavoratori, che possono essere vittime dell'influenza dell'ideologia di altre classi, della loro debolezza, della lor insufficiente coscienza politica di classe.
Al tempo stesso per Lenin “ ogni allontanamento dall'ideologia socialista rapparesenta un rafforzamento dell'ideologia borghese ” che è quella che “ spontanemante si impone all'operaio “ ( Che Fare?). La lotta rivoluzionaria del partito è anche una lotta ideologica radicale, contro “ogni allontanamento dall'ideologia socialista” e per portare alla classe operaia “la coscienza politica rivoluzionaria”.
Lo Stato della dittatura proletaria, nel fuoco della guerra contro i nemici controrivoluzionari interni ed esterni, scriverà Lenin, “ è un potere durissimo che non si fonda su nessuna legge “ (L'Estremismo), un potere che non esita a far ricorso al Terrore, ad ogni forma di lotta contro il nemico, e non esita a reprimere elementi e parti della stessa classe operaia se questa si dimostra indisciplinata, non all'altezza dei propri compiti. L'idea leninista della dittatura proletaria, a dispetto di alcune formulazioni semi-anarchiche sulla “democrazia diretta” comunarda, come espressione della dittatura, conduce alla “soppressione della democrazia “ (Rosa Luxemburg), proprio perchè per i comunisti moderni la democrazia non è un principio, non è un valore, ma è un metodo, una forma, un rapporto sociale.
Agendo sempre quasi infallibilmente nell'interesse del proletariato, ossia dell'unica classe rivoluzionaria che guida l'immensa maggioranza della popolazione, Lenin è convinto che la dittatura proletaria sia sempre e comunque, di fatto, più democratica della più democratica repubblica borghese.
La democrazia della repressione della rivolta di Kronstandt, la democrazia del Gulag che in embrione in epoca leniniana si esprimerà in modo tremendo durante lo stalinismo.
Contro le dure critiche del socialdemocratico Kautsky alla dittatura terroristica dei comunisti in Russia, Lenin e Trotzky risponderanno con due durissimi opuscoli : “Il Rinnegato Kautsky” (lenin), e “Terrorismo e Comunismo” (Trotzky). Questi due scritti documentano l'abissale distanza che si andava costituendo fra la socialdemocrazia rivoluzionaria classica (per non dire della socialdemocrazia revisionista e riformista) e il comunismo. Lenin accusa Kautsky di trasformare Marx in un “liberale volgare” a suon di “mostruose assurdità” e di “menzogne”, ribadendo che in regime capitalistico la democrazia “ è un paradiso per i ricchi e una trappola ed un inganno per i poveri e gli sfruttati “.

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Pieffebi
09-12-02, 20:22
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Allo stesso modo Trotzky rileva che : “ La dottrina della democrazia formale non è il socialismo scientifico, ma la teoria della cosiddetta legge nauturale. L'essenza di questa ultima consiste nel riconoscimento di modelli eterni e immutabili di legge che, fra popoli differenti e in differenti periodi, trovano un'espressione diversa, più o meno limitata e distorta “, e quindi si affanna a difendere tutte le misure terroristiche della dittatura bolscevica attaccate dai socialisti democratici occidentali, anche da taluni dei più estremi, come su diversi punti la stessa Rosa Luxemburg.
Ecco come Trotzky, ricalcando un precedente scritto di Lenin, giustifica lo scioglimento dell'Assemblea Costituente : “ La maggioranza opportunista dell'Assemblea Costituente rappresentava solo il riflesso politico della confusione mentale e della indecisione che regnavano tra le classi medie della città e della campagna e fra gli elementi più arretrati del proletariato ”.
Dunque per i comunisti è lecito sciogliere un libero Parlamento democratico quando questo esprime maggioranze non gradite, che non si allineano ai canoni della infallibile scienza marxista, ma indugiano in una “confusione mentale e indecisione” che pertanto a loro modo di vedere....come a Praga nel 1948 .....aiutano la controrivoluzione.
Per la verità Lenin è ancora più duro in quanto definisce la difesa della Costituente come una “superstizione democraticista” degli opportunisti “socialtraditori".
Negli anni a venire, dopo la fine della guerra civile, del comunismo di guerra, con la nuova politica economica, accanto a maggiori aperture economiche, determinate da un'estrema necessità di far fronte alla carestia e all'arretratezza, il regime bolscevico restringerà progressivamente i residui margini di libertà politica, sopprimendo finanche le frazioni e correnti dentro il partito comunista, limitando e quindi abolendo il libero dibattito, o riducendolo a una commedia la cui regia era saldamente in mano al gruppo dirigente uscito dalla dura lotta interna di successione a Lenin, vinta notoriamente da un ambiziosissimo burocrate di partito (mediocre teorico), particolarmente brutale a detta dello stesso Lenin (nel famoso “Testamento”): Giuseppe Stalin.

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Pieffebi
09-12-02, 20:23
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In epoca staliniana averrà anche la totale subordinazione all'URSS e ai suoi interessi politici di Stato del movimento comunista internazionale, con l'epurazione di tutte le tendenze dissenzienti, e la codificazione fossilizzante del “marxismo-leninismo”, secondo l'interpretazione staliniana, come dottrina ufficiale indiscutibile per tutti i comunisti.
Nell'ambito di questa codificazione dottrinaria Stalin produrrà una fondamentale evoluzione della concezione della dottrina sulla Dittatura Proletaria e l'Estinzione dello Stato. Prima di iniziare ad estinguersi, in un lontano e imprecisato futuro, lo Stato Proletariato, in virtù del progressivo intensificarsi della lotta di classe dopo la presa del potere e il consolidarsi del potere proletario, avrebbe dovuto rafforzarsi . Di fatto la dittatura non era più transitoria, ma la forma normale della “democrazia proletaria” ( i termini si invertono in alcune formulazioni teoriche in epoca staliniana, riprese anche dai comunisti italiani degli anni trenta) per una lunga e indefinita fase storica.
La fortezza assediata dell'URSS dovendo difendersi da ogni genere di nemici interni ed esterni doveva assumere ogni genere di contromisura. Il capitalismo imperialistico e il fascismo, nell'ottica stalinista, penetravano ora all'interno stesso del partito bolscevico, corrompendone gli esponenti più deboli, meno disciplinati, usando l'arrivismo degli oppositori sconfitti che per vendetta si davano all'aperto tradimento complottando contro il Socialismo a favore dello straniero e della reazione. La psicosi della fortezza assediata, conseguenza della concezione leninista del partito in un regime politico totalitario condotto da Stalin al parossismo, sarà alla base del Terrore Staliniano degli anni anni trenta, e verrà esportato nell'Internazionale Comunista e nel movimento operaio mondiale.
I partiti comunisti di tutto il mondo furono strettamente subordinati a Mosca e tutti i dirigenti anche lontanamente sospettati di non essere più che fidati, venivano epurati, a volte anche....fisicamente, come nel caso, ad esempio, di molti dirigenti del partito comunista polacco.

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Pieffebi
09-12-02, 20:24
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Partito unico, terrore di massa, Stato di polizia, soppressione delle libertà politiche e civili furono il modello politico della “dittatura proletaria “ sovietica reputato dai comunisti staliniani di tutti i paesi, come la più evoluta forma di democrazia del mondo. Anche le democrazie progressive e popolari dell'est (sorte dopo la seconda guerra mondiale e la spartizione del mondo in zone di influenza), pur presentandosi in origine come forme più aperte corrispondenti “a vie nazionali al socialismo” verso forme meno rigide di Stato proletario, non saranno che più o meno tortuose vie alla costruzione di società totalitarie di modello sovietico, anche quando saranno conservati squallidi simulacri di “pluralismo” partitico, con organizzazioni formali prive di autonomia, del tutto subordinate al dominio del partito comunista, e senza alcuna possibilità di fare propaganda o di presentare liste distinte alle farsesche consultazioni elettorali a lista unica.
Verso questo mondo e questo sistema, il Partito Comunista Italiano mostrerà per molti e molti anni, ancora dopo la seconda guerra mondiale, una fedeltà pressochè assoluta (con l'approvazione del golpe di Praga del 1948, delle repressioni di Poznam e di Budapest del 1956.....la partecipazione al Cominform, neo-internazionale malamente dissimulata, fondata nel 1947 da Stalin con la partecipazione al massimo livello di Togliatti e compagni), e una totale sintonia teorica e strategica, con la semplice dura necessità politico-organizzativa, propagandistica e tattica, di adeguare il tutto al fatto di dover operare nella sfera d'influenza avversaria, evitando di trasformarsi in mera setta (come avvenne per altri pc occidentali) ma cercando di incidere politicamente, continuando ad avanzare in attesa di tempi....migliori e del sorgere del glorioso sole dell'avvenire, per decreto o su autorizzazione del governo di Mosca.


Cordiali saluti

Pieffebi
10-12-02, 14:33
un mio vecchio post dal forum di rifondazione :

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Originally posted by Pieffebi on 09-06-2002 16:59
Affermare che non esiste un'opera sistematica di Carlo Marx che affronti la teoria dello Stato moderno è senz'altro corretto. E' un fatto. Affermare che non esiste una teoria marxista sullo Stato è ardito, tuttavia è ancora possibile, se - per ventura - ci si aspettava da Marx una concezione dello Stato da giurista o da filosofo "borghese" della politica. Se cioè si considera il marxismo come una corrente di pensiero tesa a "spiegare il mondo" così come è, al massimo operando per "migliorarlo".
Se si dimenticano i presupposti del materialismo storico, della "filosofia della praxis" (Gramsci), è possibile affermare tranquillamente che Marx non ci ha lasciato una teoria dello Stato.
Per la verità Marx ci ha lasciato ancor meno una teoria sistematica che descriva la futura società comunista, rifiutandosi, come è noto, di " cucinare ricette per la cucina dell'avvenire". Persino la sua monumentale indagine sulla formazione economico-sociale capitalistica è, in fondo, se siamo onesti, ben altra cosa da un mero trattato di economia politica, o anche di sociologia economica.
Voler giudicare il marxismo dimenticandosi (o ponendo su un diverso piano) di fatto della sua natura di teoria rivoluzionaria "della classe operaia" è fuorviante. Significa innanzitutto prescindere dalla concezione marxiana della relazione fra scienza "sociale" e lotta di classe.
Significa sorvolare sulla distinzione fra "scienza" ed "ideologia" nell'impianto "filosofico" del "materialismo storico e dialettico".
E' sicuramente rassicurante, per molti, interpretare Marx come se fosse stato un professore universitario "politicamente impegnato", una sorta Norberto Bobbio del XIX secolo, ovviamente più intelligente e profondo.
E' forse rassicurante ma soprattutto mistificante.
Infatti Marx fu innanzi tutto un rivoluzionario, un teorico della lotta di classe e delle sue magnifiche "sorti e progressive", il fondatore di una religione "secolarizzata" con ambizioni "scientifiche".
Eppure se si pone in relazione il pensiero di Marx (ed Engels) sullo Stato, con le opinioni comuni delle scienze "borghesi", si troverà che il marxismo condivide con queste l'idea essenziale del potere politico come "ordinamento che regola e monopolizza l'uso della forza" (Kelsen). Marx non si preoccupa più di tanto delle forme e delle modalità della legittimazione, sociale, etica o giuridica, del "monopolio della violenza" (Engels). Per Marx si tratta comunque di mistificazioni ideologiche e di fenomeni pur sempre sovrastrutturali.

Il "materialismo storico" si deve occupare piuttosto della relazione dialettica intercorrente fra Stato e formazione economico-sociale, fra Stato e lotte di classe, fra potere politico e potere economico.
Il "socialismo scientifico", studiando la dinamica dei processi sociali che influenzano il movimento della formazione ecomico-sociale capitalistica, interpreta la storia politica, giuridica ed istituzionale in relazione ai processi "storico naturali" strutturali che la determinano in una inter-relazione "dialettica".
I rapporti fra le classi, che hanno origine dai rapporti sociali di produzione, sono dal punto di vista storico-politico, sostanzialmente, dei rapporti di forza. D'altra parte l'apparato politico-istituzionale e giuridico moderno, è necessariamente, per Marx, volto a regolare e tutelare il sistema sociale capitalistico e a garantirne la riproduzione.
La natura soprastrutturale del potere politico e della produzione giuridica, rende di per sè evidente la determinazione dialettica che queste ricevono dalla "società civile" capitalistica, sia direttamente che tramite la "mediazione " di altri elementi sovrastrutturali quali l'ideologia, la cultura, la religione.....
Il monopolio della violenza (forza), in una società divisa in classi, che caratterizza e qualifica il contenuto del potere politico, è dunque in ultima analisi, per Marx, una relazione di dominio che consente alla classe economicamente dominante di essere anche la classe politicamente dominante.
Per questo Marx ridicolizza il programma "di Gotha" del partito operaio tedesco, con le sue teorizzazioni dello "Stato libero popolare".
Lo Stato essendo un organo del dominio di classe non è mai "libero", e quando si può finalmente parlare di "libertà", ecco allora che lo Stato inizia a venir meno, ad "estinguersi".
Questo è essenzialmente il punto di vista di Marx ed Engels.
L'estinzione dello Stato è posta in relazione alla soppressione delle classi e del loro antagonismo, che sarebbe il risultato della rivoluzione proletaria, e della conseguente trasformazione dei rapporti sociali.
Il periodo storico corrispondente all'artuarsi di detta trasformazione, è il periodo della costituzione del proletariato in classe dominante.
Se la rivoluzione sociale è il punto d'approdo della lotta di classe, essa rappresenta, dal punto di vista politico, la presa del potere da parte della classe operaia. Ma se nella prima fase delle elaborazioni marxiane ciò implica, nella sostanza, la mera conquista dello Stato, soprattutto per quanto riguarda l'Inghilterra e gli Stati Uniti (ove mancava ancora lo sviluppo della moderna burocrazia e dell'esercito permanente) successivamente risulta sempre più chiaro che per dirla con uno slogan famoso: "lo Stato borghese si abbatte e non si cambia".


Secondo Roderigo io avrei attribuito a Marx addirittura... l'avversione verso il "suffragio universale".
Per la verità io ho semplicemente riportato molto sinteticamente l'evoluzione del pensiero di Marx (e di Engels) a riguardo.
Mentre in un primo momento, soprattutto riguardo ad Inghilterra e nordamerica, Marx confidava (ingenuamente) che con il suffragio universale la costituzione del proletariato, in quanto maggioranza, in classe dominante fosse assicurata, successivamente dovette cambiare opinione.
Il suffragio universale non per questo è da avversare, secondo Marx, esattamente il contrario,ma rimane tuttavia completamente all'interno "dell'orizzonte borghese".
Non solo, dice Marx, il suffragio universale non rappresenta più, "lo Stato futuro" al quale aspirare,almeno in Svizzera ed in nord-america, ove è di fatto "lo Stato presente" (senza che la Svizzera e gli Usa siano diventate comuniste e si siano avviate al abolire il capitalismo), ma persino in Germania è un obiettivo limitato, insufficiente, borghese se non accompagnato dalla chiara coscienza del processo rivoluzionario che nessariamente deva procedere oltre.
Engels nota che il suffragio universale non può assicurare la vittoria del proletariato, ma può rappresentare al massimo il termometro politico col quale rilevare il grado di coscienza e di radicalizzazione della classe operaia.
I rapporti di forza fra le classi, anche i rapporti di forza politici, in ultima analisi, non sono mai rapporti di forza..... elettorali, non lo sono principalmente, non lo sono per la prospettiva storica rivoluzionaria indicata dal marxismo .
Nei paesi ove il suffragio universale è via via introdotto, la borghesia non solo conserva il proprio dominio politico, ma addirittura lo attua in modo tendenzialmente più efficace.
La democrazia politica, anche la migliore, dirà Lenin, resta uno strumento della dittatura della borghesia: " un paradiso per i ricchi ed una trappola ed un inganno per i poveri e gli sfruttati ". Sul piano politico-sociale, della relazione fra struttura economico-sociale e soprastruttura politica, la " repubblica democratica è il migliore involucro politico per il capitalismo ", scrive Lenin sulla base delle parole di Engels sul "dominio della ricchezza" in regime di democrazia borghese fondata sul suffragio universale.
La democrazia moderna è, nella sua sostanza di classe, per il marxismo, una forma, la migliore (ovviamente non l'unica, non quella "ineluttabile" sempre e comunque, non quella "definitiva"), della dittatura di classe della borghesia.
Tramite la democrazia politica il potere della borghesia "è tanto più saldo e sicuro", al contrario di quel che pensavano inizialmente gli stessi Marx ed Engels.
Ciò nonostante la conquista della democrazia politica resta, in generale, un obiettivo sostanziale per il proletariato.
Dunque non è che Marx o Engels avversino in sè "il suffragio universale". Come sicuramente non "avversano", di per sè, la repubblica democratica. Il pensiero di Marx è "dialettico" anche perchè tende a valutare i fenomeni storico-politici nel loro divenire ed in relazione al movimento della formazione economico-sociale.
Riguardo allo sviluppo della lotta di classe, alla sua attuazione, all'agibilità politica del proletariato e delle sue organizzazioni,inoltre, la repubblica democratica rappresenta una condizione "un milione di volte" (Lenin) più vantaggiosa della forma non democratica della dittatura capitalistica.
Se lo Stato è l'organizzazione del monopolio della violenza, questo monopolio è esercitato, in regime capitalistico, nell'interesse della borghesia. Questo anche in regime democratico. La legalità borghese, le istituzioni borghesi, gli organismi borghesi rimangono tali in democrazia.
Nell'ambito della legalità, delle istituzioni e degli organismi politici borghesi non è di per sè possibile, aggiungerà Lenin, attuare le misure rivoluzionarie necessarie per sopprimere il capitalismo ed avviare la trasformazione della società.
La concezione marxista della dittatura rivoluzionaria del proletariato, che Bobbio individua soltanto (sic!) negli scritti sulla Comune (che riduce a ...cronaca) e sulla lotta di classe in francia, e che traduce in una sorta di democrazia liberale, con invertito rapporto di classe (esattamente come l'ultimo Kautsky), si inserisce esattamente in tutto questo contesto e non è separabile dal medesimo.

Saluti liberali
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Pieffebi
10-12-02, 21:56
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L’idea della dittatura rivoluzionaria del proletariato ha subito, nella storia dell’ideologia marxista, indubbie trasformazioni. Essa è tuttavia indissolubilmente legata a:
A) l’analisi marxiana della formazione economico-sociale capitalistica e delle sue “insanabili contraddizioni” che, ineluttabilmente, la condurrebbero verso il baratro;
B) la concezione marxiana della lotta di classe, in cui progressivamente si chiarisce anche l’idea della coscienza politica di classe;
C) la concezione marxiana della relazione fra struttura economica-sociale e sovrastruttura politica, giuridica, culturale….;
D) la concezione marxiana ed engelsiana dello Stato come prodotto della scissione della società in classi contrapposte, irriducibilmente antagoniste;
E) la concezione della storia come “umanizzazione della scimmia”, con l’idea di un suo svolgimento di fatto teleologicamente orientato dall’inferiore al superiore, dunque verso il progresso, seppur in modo “dialettico” (concezione che Marx ed Engels credono supportata dalla contemporanea biologia darwinista, e dall’antropologia di Morgan) secondo una sorta di “escatologia secolarizzata”, in parte innestata sul paradigma di un messianismo giudaico-cristiano privato del lato teologico, in parte fondata sull’idea hegeliana della storia come “dispiegamento dell’idea di libertà” e “prodotto dello spirito” (contenuto “provvidenziale” della dialettica come movimento fondato sulla contraddizione) , tradotta in senso “materialistico”;
La dittatura del proletariato, come forma politica del periodo della trasformazione della società capitalistica in società comunista, non è pertanto un’idea marginale nel/del marxismo, ne’ può essere banalizzata come una estrapolazione condotta da Marx durante la “cronaca” dell’esperienza delle lotte di classe in Francia e poi della Comune di Parigi.
Ovviamente sulla dittatura del proletariato le idee dei marxisti sono state poi le più varie.
In altra occasione ho citato il punto di vista di Otto Bauer che (come il nostro soviet999) colloca detta “forma politica” come residuo dell’influenza delle idee giacobine (dunque borghesi) sul marxismo, e dunque come teoria di fatto obsoleta se non per le eventuali rivoluzioni socialiste che, come quella bolscevica, dovessero vincere in paese capitalisticamente arretrati (con l’assunzione dei compiti “borghesi” accanto a quelli proletari).
L’idea della dittatura rivoluzionaria sorge in effetti in relazione alle rivoluzioni borghesi transalpine, ed è presenta anche nel comunista complottista Luigi Augusto Blanqui.

continua...

Pieffebi
10-12-02, 21:57
ccL’idea della dittatura rivoluzionaria é di fatto l’idea di un potere eccezionale e transitorio, attuato come nel caso degli antichi dittatori romani, al fine di affrontare una situazione a propria volta eccezionale (quale indubbiamente è una rivoluzione politica e sociale).

Il punto di vista della socialdemocrazia tedesca, durante il dibattito sul revisionismo, vede da un lato il completo abbandono dell’idea di dittatura proletaria e della stessa concezione dello Stato come “strumento di classe” nella destra riformista. I rivoluzionari (sinistra e centro) rimproverano infatti a Bernstein e compagni di aver di fatto ripudiato l’idea della lotta di classe e di aver assunto la concezione della democrazia e dello Stato tipica del liberalismo, approdando infatti ad una visione della democrazia “in generale” sempre più autonoma dalla struttura capitalistica della società e dalla funzione della borghesia quale classe economicamente dominante.
La democraticizzazione dello Stato corrisponde quindi, per il revisionismo, al suo divenire sempre più “neutrale” dal punto di vista “di classe”, se non addirittura alla trasformazione della forma politica nel senso più favorevole all’emancipazione dei lavoratori e all’introduzione progressiva di misure “socialiste” o propedeutiche al socialismo nei rapporti sociali.
Questo punto di vista è criticato tanto dall’estrema sinistra di Luxemburg e Pannekook, quanto dal “centro” ortodosso di Kautsky, che almeno formalmente sono unanimi nel rilevare che lo Stato, anche il più democratico, rimane in regime capitalistico un organo del dominio di classe della borghesia finchè non avviene la conquista del potere da parte del proletariato organizzato dal partito socialdemocratico (rivoluzionario).
Rosa Luxemburg, nel criticare aspramente l’idea “liberale” e “borghese” di democrazia dei revisionisti e nel ribadire la concezione rivoluzionaria marxista della lotta di classe, pone in evidenza come la forma democratica del potere borghese non sia affatto la forma ordinaria che assume lo Stato in regime capitalistico. La borghesia passa con disinvoltura, a seconda dei propri interessi di classe, dalla forma democratica a quella non democratica, e la democrazia pur essendo il terreno più favorevole per la lotta di classe proletaria resta, finchè la classe operaia non spezza i rapporti di produzione capitalistici e assume nelle proprie mani il controllo del potere politico, una organo del dominio di classe borghese.
La lotta rivoluzionaria è si per la Luxemburg una lotta per la democrazia (e per la sua difesa dalla reazione borghese una volta che questa diventa un pericolo per la classe dominante), ma la democrazia non abolisce, come credono i revisionisti, la necessità della lotta rivoluzionaria.
La Luxemburg rivolgerà poi contro Lenin e Trotzky dure critiche sulle modalità di attuazione del potere rivoluzionario nella Russia bolscevica, rimproverando aspramente le misure di “soppressione della democrazia” e il terrore rosso attuato e teorizzato dai comunisti. Per la Luxemburg, seppur alcune misure repressive potessero eventualmente essere inevitabili, date le circostanze concrete di sviluppo della rivoluzione in russia, le stesse non potevano certo diventare la regola, o “giuste per principio” come credevano o bolscevichi: “la libertà è pur sempre la libertà di chi pensa diversamente”. Per l’estrema sinistra socialdemocratica, in ultima analisi, il regime della dittatura del proletariato deve corrispondere ad un ampliamento piuttosto che ad una restrizione della democrazia, proprio perché rappresenta finalmente il dominio politico esercitato nell’interesse della grande maggioranza della popolazione contro un esigua minoranza di sfruttatori. Questo ampliamento della democrazia implica il mantenimento sostanziale delle classiche “libertà borghesi” per tutta la popolazione, ad esclusione dei provvedimenti tesi a colpire la proprietà privata capitalistica.
L’utopia della posizione della Luxemburg, che ripete verso Lenin in qualche modo le critiche mosse qualche anno prima verso la concezione “dispotica” del partito del capo bolscevico (“partito guardiano notturno”), sta nel eclissare la “lezione” di Engels (nella sua polemica contro gli anarchici), ripresa da Lenin, sul carattere senz’altro autoritario della rivoluzione in quanto tale. La dittatura proletaria ribatte realisticamente Lenin “è un potere che non è limitato da alcuna legge”, e la democrazia proletaria è una democrazia “per la sola classe rivoluzionaria”, che può ben assumere svariate forme concrete, ma senza mai perdere il proprio contenuto rivoluzionario di “organizzazione della violenza della classe operaia per spezzare la resistenza della borghesia”. L’irruzione rivoluzionaria sul diritto di proprietà, ammessa in generale dai marxisti, è di per sé un atto autoritario che è formalmente antidemocratico giacchè lede un diritto soggettivo perfetto, seppur a vantaggio di “una minoranza”. Questa incursione rivoluzionaria, di soppressione di un “diritto borghese” è ritenuta “democratica” riguardo al contenuto di classe, in quanto attuata nell’interesse della “stragrande maggioranza” della popolazione. Questa visione è anche dal punto di vista generale, intrinsecamente antidemocratica nella misura in cui, come è stato notato anche su questi forum (Gribisi), si traduce necessariamente in una deformazione dell’idea democratica, al di là della mistificatoria riconduzione ad un presunto “contenuto di classe”, in una sostanziale “dittatura della maggioranza”. Ma bisogna riconoscere che tanto Marx, che soprattutto Engels e Lenin erano ben consapevoli di tutto ciò. Soprattutto Lenin criticherà con asprezza, in tutta la sua vita di teorico marxista e di dirigente rivoluzionario, le idee “borghesi” e “liberali” di democrazia, e quindi l’idea di democrazia della stessa tarda socialdemocrazia “ortodossa” di Kautsky (responsabile, in buona sostanza, di un deciso “arretramento” verso il liberalismo borghese, al pari del vecchio revisionismo che pur Kautsky aveva a propria volta combattuto).
La combinazione in Lenin, nella sua teorizzazione rigorosamente marxista della dittatura del proletariato, di una visione duramente realistica e autoritaria con la teorizzazione della “democrazia diretta” più libera (con deputati eleggibili e revocabili in qualsiasi momento, remunerati con salario da operaio) è il lato caratteristico del suo contributo alla teoria marxista sullo Stato e sulla democrazia, che deve essere tuttavia rapportato alla concezione leniniana della formazione della coscienza politica di classe e del partito rivoluzionario in rapporto a questa.


Continua….

Pieffebi
10-12-02, 21:58
....
Non è possibile comprendere la relazione, nel pensiero comunista, tra dittatura del proletariato e dittatura del partito prescindendo dalla concezione leniniana del partito rivoluzionario.
La relazione fra lotta e coscienza di classe è fondamentale per comprendere la concezione leninista del partito rivoluzionario e del suo ruolo.
L'idea che il socialismo rappresenti spontaneamente la coscienza del proletariato, come immediatamente determinata dalla posizione dei lavoratori salariati all'interno dei rapporti sociali di produzione capitalistici è ritenuta senz'altro ingenua dai maggiori teorici del marxismo rivoluzionario.
In primo luogo perchè la soggezione materiale del lavoratore al Capitale è anche una soggezione psicologica, in secondo luogo perchè la classe dominante ha tutti i mezzi economici, culturali, e via discorrendo, per imporre la propria ideologia ( più antica e più collaudata di quella socialista), seppur adeguandola, alla classe operaia.
"L'ideologia dominante fu in ogni epoca l'ideologia della classe dominante" scrivevano già Marx ed Engels negli anni quaranta dl secolo XIX, e questo dato è tenuto in stretta considerazione da parte di Lenin.
La lotta di classe, storicamente e concretamente, non genera dunque affatto l'ideologia comunista, che è invece il prodotto degli intellettuali "transfughi" della borghesia.
Spontaneamente, dirà Kautsky poi seguito da Lenin, la coscienza che si forma nel corso delle lotte di classe è, nel migliore dei casi, un embrione della coscienza politica di classe: la coscienza "tradeunionistica", sindacale.

continua....

Pieffebi
10-12-02, 21:59
....
La coscienza sindacale, rileva Lenin, soggiace ancora completamente all'ideologia borghese, giacchè pone gli interessi di classe,la loro soluzione ed i loro obiettivi , ancora all'interno dei rapporti di produzione capitalistici e della società borghese.
La lotta sindacale tende al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi dei lavoratori nel quadro del sistema economico-sociale esistente.
La coscienza politica rivoluzionaria, dunque, può essere portata alla classe operaia solo dall'esterno, dall'esterno della lotta tradeunionistica.
La lotta di classe diventa dunque anche lotta ideologica. Il soggetto che unicamente può portare alla classe operaia la coscienza politica socialista, può essere solo il partito politico di classe, il partito rivoluzionario.
Il partito è, nella visione comunista classica, la cinghia di trasmissione fra la "scienza marxista" e il fisico movimento operaio. Non è, come detto, una semplice associazione operaia, ma è l'organizzazione politica dell'avanguardia cosciente del proletariato, la classe "per sè", il proletariato concretamente esistente come classe cosciente dei propri interessi storici e del proprio ineluttabile destino.
Tutto il problema del partito rivoluzionario è quindi quello della conquista alle proprie bandiere della grande maggioranza del proletariato ed anche degli strati popolari semi-proletari. E' il problema dell'educazione politica della classe operaia alla "coscienza socialista".
In questo compito il partito si trova innanzi al dominio ideologico borghese, che spontaneamente si impone sulla società intera, compresa la classe operaia.
La lotta ideologica è una lotta pratica, politica, concreta. Lenin in "Che Fare?" (1902) avverte che non solo la coscienza socialista è portata all'operaio "dall'esterno" della lotta economica( da parte del partito rivoluzionario), ma che "ogni allontanamento dall'ideologia socialista implica un rafforzamento dell'ideologia borghese ".
La lotta ideologica è quindi una lotta contro l'influenza dell'ideologia borghese sul "movimento operaio", una lotta senza quartiere contro ogni "cedimento" verso le superstizioni borghesi, verso i "pregiudizi piccolo-borghesi" che si impongono "spontaneamente" agli operai e che impediscono loro di approdare ad una chiara e completa visione dei propri interessi generali e particolari.

continua ...

Pieffebi
10-12-02, 22:00
...
Anche la lotta contro il revisionismo riformistico, la lotta contro "gli opportunisti", ossia coloro che svendono l'ideologia socialista e i suoi obiettivi generali in cambio di presunti e pretesi "vantaggi immediati", è parte integrante e qualificante della lotta del partito rivoluzionario per l'elevazione della classe operaia alla coscienza rivoluzionaria. Non solo, il partito rivoluzionario, per Lenin, non ha solo avversari "di destra" in seno al movimento operaio, ha anche avversari "di sinistra", come i sostenitori del "terrorismo individuale" e "piccolo borghese", come gli "economicisti" che hanno una versione distorta della formazione della coscienza politica di classe. Come gli anarchici e come gli "estremisti" ("L'estremismo, malattia infantile del comunismo" - 1920), ossia coloro che non comprendono le necessità della lotta rivoluzionaria per la conquista della maggioranza del proletariato alle bandiere comuniste, ma oppongono alle necessità tattiche e strategiche volte al raggiungimento di questo obiettivo essenziale, delle questioni "di principio", in apparenza "terribilmente rivoluzionarie" ma di fatto "infantili", radicalmente controproducenti e autolesioniste.
Come dunque il partito rivoluzionario deve agire per portare alla classe operaia la "coscienza politica di classe"?
Non è certo sufficiente propagandare i principi fondamentali del comunismo, non basta presentare agli operai i punti programmatici fondamentali del partito comunista, sperando che la loro mera conoscenza possa produrre una piena, immediata, convinta e concreta adesione delle masse operaie, insegnano Lenin e i dirigenti bolscevichi.
Con la mera propaganda "teorica" si può sperare di convincere solo un ristretto numero di operai e di intellettuali, il nucleo iniziale dell'avanguardia rivoluzionaria, non certo le larghe masse proletarie e semi-proletarie che sono necessarie alla vittoria nella lotta mortale per il potere. D'altro canto, è sempre Lenin a parlare : "Ogni sottomissione del movimento operaio alla spontaneità, ogni 'menomazione' della funzione dell'elemento cosciente, della funzione della socialdemocrazia [leggi partito rivoluzionario], significa di per sè - non importa lo si voglia o no - un rafforzamento dell'ideologia borghese sugli operai. Tutti coloro che parlano di sopravvalutazione dell'ideologia (...) immaginano che il movimento puramente operiao sia di per sè in grado di elaborare - ed elabori in realtà un'ideologia indipendente. Ma questo è un profondo errore. "
Dunque il partito rivoluzionario può adempiere alla sua funzione di "combattente d'avanguardia" soltanto se riesce a portare alla coscienza socialista la classe, cioè soltanto attraverso la politica rivoluzionaria articolata secondo una strategia e una tattica capaci di intervenire nei processi delle concrete lotte di classe , guidandole attraverso la propaganda, l'agitazione, la denuncia di TUTTI i casi concreti di ingiustizia, oppressione, sfruttamento che colpiscono la vita del popolo lavoratore in TUTTI gli aspetti della vita sociale, politica, economica, produttiva, familiare.
La conquista delle masse al socialismo significa il portare la classe operaia dal terreno della mera lotta economica, sindacale, tradeunionistica e al limitato orizzonte politico correlato a queste, alla lotta politica autentica, che pone come obiettivo finale del processo rivoluzionario la questione del potere, dell'abbattimento dello Stato borghese, della instaurazione della dittatura rivoluzionaria, della trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici in rapporti socialistici con la cosiddetta abolizione dello "sfruttamento" dell'uomo sull'uomo e la finale estinzione dello Stato con la paradisiaca società senza classi e sanza potere politico: il comunismo.
continua....

Pieffebi
10-12-02, 22:01
....
Questa conquista delle masse al partito rivoluzionario non avviente tuttavia nel vuoto, avviene in lotta permanente con l'ideologia borghese, con le altre tendenza che si proclamano "socialiste" e "operaie" e che propongono una lotta gradualista per il possibile, per un'avanzata "graduale" verso il socialismo, o per il mero miglioramento delle condizioni di vita e del regime delle libertà politiche all'interno della società presente. Il partito rivoluzionario deve dimostrare NELLA PRASSI che tutte queste costituiscono delle superstizioni, dei cedimenti, e sostanzialmente dei tradimenti degli interessi concreti e storici del proletariato. Per dimostrarlo i comunisti devono svelare nei fatti la concreta natura delle rivendicazioni degli "agenti borghesi in seno al movimento operaio" e quindi la vera natura di questi ultimi.
Il partito rivoluzionario è dunque, nella sostanza, non un'associazione operaia qualsiasi con un programma politico genericamente volto alla tutela degli interessi della classe operaia, determinati secondo le sensazioni e i punti di vista degli operai stessi, come costituitisi dall'esperienza quotidiana del lavoro produttivo e della lotta per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro. Il partito rivoluzionario è la traduzione concreta della teoria rivoluzionaria, che è scientifica, che è una guida per l'azione, in azione politica rivoluzionaria per la conquista delle masse e per la conduzione di queste masse alla conquista del potere politico, verso il socialismo.
Soltanto il partito rivoluzionario è propriamente LA CLASSE OPERAIA cosciente e consapevole di sè, dei propri interessi, dei propri destini, dei propri compiti politici.
Soltanto il partito rivoluzionario è il rappresentata legittimo del PROLETARIATO, e ciò non in virtù del consenso che lo stesso ottiene dalla classe, seppur gli è necessario per vincere, ma in virtù della propria superiorità ideologica, del proprio essere "partito d'avanguardia" guidato da una "teoria d'avanguardia". La lotta ideologica del partito del proletariato è tuttavia una lotta anche contro l'influenza dell'ideologia borghese, contro la "contaminazione" revisionista, all'interno dello stesso partito rivoluzionario.

continua ...

Pieffebi
10-12-02, 22:02
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La relazione tra lotta di classe e rivoluzione proletaria è affrontata dal comunista consiliare Korsch in "Marxismo e Filosofia", sviluppando i presupposti precisati da Lenin (in un'opera fortemente critica non solo più verso gli epigoni di Lenin, ma verso lo stesso artefice della rivoluzione d'ottobre) e "storicizzando" la stessa teoria rivoluzionaria marxista.
Scrive Korsch: " il compito storico della lotta di classe proletaria contro la classe borghese (...) consiste quindi nel distruggere il fondamento economico del potere di classe capitalistico, eliminando la mancanza di libertà del'uomo che lavora in produzione ”.
Questa liberazione è lo scopo che si prefigge il partito rivoluzionario nella misura in cui organizza la classe e la conduce all'assalto del potere borghese. Assalto che è sindacale, politico, ideale.
Korsch risolve in questo modo la relazione fra lotta tradeunionista, lotta rivoluzionaria e lotta ideologica : “come l'azione economica della classe rivoluzionaria non rende superflua l'azione politica (?), anche l'azione che è economica e politica ad un tempo non rende superflua l'azione ideale: questa deve essere piuttosto portata avanti fino alla fine sul piano pratico e teorico, come critica scientifica rivoluzionaria e attività di agitazione prima della presa del potere da parte del proletariato e come attività scientifica di organizzazione e dittatura ideologica dopo la conquista del potere ”.
continua...

Pieffebi
10-12-02, 22:03
........
La storicizzazione della teoria rivoluzionaria sostenuta da Korsch, porta l'eretico del comunismo a conclusioni in parte convergenti con alcune affermazioni del Bauer di “Socialdemocrazia o Bolscevismo?”, che egli svolge però da posizioni di “estrema sinistra", fino ad approdare alla convinzione, supportata da un ragionamento filosofico sulla “conservazione” della dialettica hegeliana nel marxismo e anche nel leninismo, che la teoria rivoluzionaria di Marx si è costituita “ non come si è sviluppata sulle proprie fondamenta, ma al contrario come emergente dalla rivoluzione borghese, una teoria dunque che è legata sotto ogni rapporto nel contenuto e nella forma ai caratteri generali del giacobinismo, della teoria borghese della rivoluzione ”. Nella sua genesi storica pertanto la teoria rivoluzionaria che è in Lenin centrale nella stessa determinazione dell'essenza e della prassi del partito comunista, è scoperta da Korsch come una teoria e prassi della rivoluzione democratico-borghese, come sua variante importata nel movimento operaio.
La critica di Korsch è importante, non tanto per quel che rappresenta in sé nella storia del pensiero marxista “occidentale” del XX secolo, ma perchè permette di fare luce proprio sulla natura dell'ideologia comunista moderna come sviluppatasi sulla base dell'esperienza storica della rivoluzione d'ottobre e dei successivi tentativi prima occidentali (senza successo) e poi orientali (con alcuni risultati) di dare avvio alla “rivoluzione socialista mondiale”, auspicata dai vecchi maestri.
continua...

Pieffebi
10-12-02, 22:04
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La storicizzazione della “scienza marxista” della rivoluzione, congiunta alla realizzazione storica dei partiti leninisti e della Terza Internazionale aveva già portato Korsch a riflettere sul fatto che “ La coscienza metodica di un partito comunista non sta fuori o in qualche modo sopra la prassi di questo partito, ma forma una parte costitutiva importante di questa stessa prassi rivoluzionaria ”, concetto che applicato al ruolo del partito comunista, nella direzione del processo rivoluzionario DOPO la conquista del potere e l'instaurazione della dittatura rivoluzionaria, evidenzia come la relazione fra prassi e teoria (e fra teoria e lotta di classe con la mediazione dialettica della prassi politica), vada affrontata con gli strumenti della concezione materialistica della storia.
Quella che Korsch denuncia nel 1926/27 (ancora) come una “deviazione riformistica del leninismo”, un “nuovo revisionismo” che colpisce questa volta un partito comunista al potere, quello bolscevico, è interpretata non a caso come “ il considerare come socialismo qualche cosa che è solo un capitalismo diverso, più sviluppato (???), un capitalismo di Stato, cooperativistico ”. Ma il Koprsh del 1930 e 31 è ormai consapevole che non si tratta tanto di una “deviazione dal leninismo”, in quanto è il leninismo stesso, nella sua struttura ideologica, il portatore dei germi ideologici e pratici di questa “deformazione”.
continua.......

Pieffebi
10-12-02, 22:05
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Il problema della formazione della coscienza politica di classe, che il leninismo vuole portata dall'esterno della mera lotta economica, dall'esterno dell'autocoscienza proletaria come spontaneamente generata dalla posizione dei lavoratori nei rapporti di produzione capitalistici e nelle lotte sociali che dai medesimi sono determinati, è strettamente connesso con la questione della formazione storica della teoria rivoluzionaria e della corripondente ideologia comunista.
Se l'ideologia comunista sorge in Marx ed Engels, sulla base della filosofia rivoluzionaria borghese, che trova la sua espressione intellettuale più elevata nella dialettica hegeliana, e in politica approda alla forma estrema del rivoluzionarismo giacobino, con la sua mitologia della dittatura rivoluzionaria e della virtù del Terrore come “dispotismo della libertà”, ecco che l'esperienza leninista si deve intendere nalla sua relazione con questa genesi e con la concreta esperienza storica del movimento socialista, a cavallo fra il XiX e il XX secolo, con le peculiarità tipiche delle necessità rivoluzionaria nella “fortezza europea della reazione”, l'autocratica Russia zarista.
La formazione ideologica bolscevica, sostiene anche il Bettheleim, è senz'altro correlata alle vicende delle lotte di classe in Russia, tanto prima, che durante che dopo la presa del potere, sebbene l'ancoraggio datole da Lenin alla teoria marxista-rivoluzionaria sarà elemento caratterizzante imprescindibile.
Nel Bordiga la rappresentazione della rivoluzione d'ottobre come “rivoluzione doppia”, ossia carica di compiti socialisti e proletari, da espletare da parte del partito rivoluzionario accanto a compiti ancora classicamente borghesi e democratici, non porta chiaramente alla determinazione di una relazione meccanica fra questa “natura” del processo storico concreto e la teorie e prassi leniniste. Bordiga interpreta innanzi tutto Lenin come il formidabile “restauratore” della invariante scienza marxista della rivoluzione proletaria, mentre senz'altro il concreto accorciamento della “rivoluzione doppia” alla sola fase borghese determinerà materialisticamente le progressiva degenerazione della formazione ideologica del partito al potere, non senza che il medesimo venisse attraversato dalla dinamica della mortale lotta di classe internazionale fra proletariato e borghesia.
La concezione leninista del partito rivoluzionario e della funzione storica del partito nella elevazione della coscienza di classe proletaria a “coscienza socialista”, rappresenta in un certo qual modo la concezione leninista dell'egemonia, che è egemonia ideologica che deve essere conquistata sulla base della prassi rivoluzionaria del partito comunista, dispiegata secondo una strategia e una tattica a pieno campo.
continua....

Pieffebi
10-12-02, 22:06
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Questa concezione è strettamente connessa non solo con l'ideologia organizzativa del partito rivoluzionario, sempre sospeso fra l'essere un “partito di quadri” di “rivoluzionari di professione” e l'essere un “partito di massa” (verso il quale il partito di quadri è necessariamente proteso nella visione leniniana), ma anche con il ruolo storico del partito nella direzione della classe durante l'epoca della dittatura rivoluzionaria (ove la dialettica fra potere e consenso deve essere ancora indagata).
La lotta di classe, che continua dopo la presa del potere come lotta per “spezzare la resistenza” della borghesia e per condurre la trasformazione conseguente dei rapporti sociali di produzione capitalistici, non è in grado di garantire che “spontaneamente” la classe operaia adempia al proprio ruolo rivoluzionario e incrementi la propria coscienza socialista man mano che procede verso l'edificiazione della società nuova. La lotta di classe nel periodo della dittatura rivoluzionaria del proletariato è ancora una lotta a tutto campo, e come dice l'eretico e antistalinista Korsch la dittatura è anche essenzialmente una “dittatura ideologica”. Lo scontro ideologico e politico tra le varie fazioni bolsceviche, soprattutto dopo la morte di Lenin, sarà uno scontro in cui ciascuna corrente non solo rivendicherà l'ortodossia teorica del proprio marxismo e del proprio “leninismo”, ma accuserà in qualche modo l'altra di essere una deviazione determinata dai fenomeni e dalla situazione particolare della lotta di classe in russia e nel contesto del conflitto internazionale fra proletariato e borghesia. Questo conflitto ideologico e teorico fra comunisti, fra bolscevichi, che si estenderà su scala internazionale, e che vedrà in Italia la liquidazione delle “deviazioni di sinistra” e di quelle “di destra” parallelamente a quanto accadeva in URSS, è un conflitto che qualsiasi cosa ne dirà poi Trotzky non poteva prevedere in alcun modo la conservazione o instaurazione di “metodi democratici” e di una “dialettica democratica” pur interna al partito unico terroristicamente al potere.
continua...

Pieffebi
10-12-02, 22:07
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Lo stalinismo non ha espresso "idee originali" ne' riguardo la concezione del partito, ne' rispetto al rapporto fra partito-masse-stato operaio, ne' tantomento riguardo alla concezione della dittatura rivoluzionaria e della democrazia "proletaria". L'unica vera "innovazione" dottrinale di quello che fu definito da Lenin "il fantastico georgiano", ossia di Giuseppe Stalin, su questo terreno fu enunciata nel gennaio 1933, quando innanzi al Comitato Centrale bolscevico, annunciando che avrebbe continuato a "fustigare il partito", affermo' che : "l'abolizione delle classi non si ottiene con l'abolizione della lotta di classe ma con il suo rafforzamento ". La formazione ideologica bolscevica, dopo la "grande svolta" del 1924-25 con il trionfo della tesi della "costruzione del socialismo in un paese solo" e del 1929-30 con l'abbandono degli ultimi residui della NEP e con l'avvio della grande e criminale tragedia della "collettivizzazione forzata" dell'agricoltura, aveva visto la liquidazione politica dapprina delle "deviazioni di sinistra" dell'Opposizione Unificata trotzkysta-zinovievista, e poi dell'Opposizione "di destra" di Bucharin, Tomsky, Rykov e sostenitori dello "sviluppo a passi di tartaruga" e della necessità di proseguire e rivitalizzare la Nuova Politica Economica a suo tempo inaugurata da Lenin con il concorso anche di Trotzky.
continua....

Pieffebi
10-12-02, 22:07
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La politica a zig-zag di Stalin, dapprima alleato di Zinoviev e Kamenev contro Trozky, poi di Bucharin contro Trotzky, Zinoviev e Kamenev, e poi sostenitore di un programma economico "super-industrialista" vicino a quello della "sinistra" trotzkysta e zinovievista per liquidare Bucharin è a suo modo esemplare.
L'ideologia leninista della lotta ideologica da condurre per affermare l'egemonia dell'ideologia socialista su quella borghese, con la consapevolezza delle pressioni dell'ideologia del nemico sullo stesso partito rivoluzionario, soprattutto nei momenti "di svolta", viene portata al parossismo dalla dirigenza staliniana.
La concezione del rafforzamento della necessità della lotta di classe (che è anche "lotta ideologica") nel periodo della dittatura proletaria è una necessità per Stalin che deve giustificare il perchè lo scontro, anzichè affievolirsi, si aggrava e lo Stato anzichè estinguersi, secondo le previsioni dei "maestri", diventa sempre più elefantiaco, invadente, totalitario, terroristico.

continua.....

Pieffebi
10-12-02, 22:10
Forse per comprendere la questione [della dittatura proletaria] è opportuno fare riferimento ad un teorico marxista che si colloca in una posizione "intermedia" fra i bolscevichi e il revisionismo socialdemocratico: l'austromarxista Otto Bauer.
Come altri "centristi" Bauer reputa, in buona sostanza, la teoria marxista della dittatura rivoluzionaria del proletariato come una sorta di retaggio borghese. Ossia come il frutto del fatto che Marx ebbe come modello soltanto, fino alla Comune, delle rivoluzioni borghesi, e soprattutto l'influenza enorme dell'esperienza giacobina durante la rivoluzione francese.
Per questo la dittatura del proletariato poteva essere considerata ancora valida in Russia, paese arretrato e con compiti ancora "borghesi". Su questo piano Bauer assume posizioni che ricordano un po' presentate su questo forum da Soviet999, e che dal punto di vista del marxismo "ortodosso" e del leninismo...stanno poco in piedi.
Scrive infatti Bauer in "bolscevismo o socialdemocrazia?" che la dittatura rivoluzionaria del proletariato in Russia "non è il superamento della democrazia, bensì una fase di sviluppo verso la democrazia " in quanto " il socialismo dispotico è il socialismo delle masse incolte cui la disciplina e la pianificazione del lavoro devono essere imposte da una potenza troneggiante su di loro. Una volta che la massa della nazione abbia raggiunto il livello più elevato di cultura, allora essa non sopporta più nessuna forma di onnipotenza statale, e nessuna forma di sottomissione ad un potere statale assoluto".
Ma non è tutto. Bauer rileva anche una notevole differenza nei modi e nei processi della rivoluzione socialista tra un paese arretrato come la Russia e l'Europa centrale ed occidentale:
" In Russia l'espropriazione violenta ed improvvisa del capitale, compiuta senza concedere nessun risarcimento, il semplice annullamento di ogni tipo di rendita, delle azioni e delle cartelle del debito pubblico colpisce solo il grande capitale, ed esattamente, sopratttutto il grande capitale straniero.
Nell'Europa centrale ed occidentale, invece, verrebbe esproprieta la vasta massa della piccola borghesia, dell'intellighenzia, del ceto impiegatizio e contadino, che investono qui i loro risparmi(...) e ciò comporterebbe dei sommovimenti sociali immensamente più gravi che in Russia ".
continua....

Pieffebi
10-12-02, 22:10
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Il socialista di sinistra Bauer, appoggia la rivoluzione bolscevica come rivoluzione buona per la russia, i cui limiti politici ed ideologici, rappresentano una sorta di sovrastruttura dei limiti econmico-sociali e culturali del paese. Per quanto riguarda l'occidente attacca i comunisti in quanto incapaci di comprendere le condizioni concrete della rivoluzione in società capitalistiche evolute, e in cui la situazione culturale e sociale da un lato non permette i metodi sbrigativi dei bolscevichi, dall'altro rende possibile una via al potere nell'ambito della democrazia.
Ma questo è revisionismo, anche se svolto in modo difforme da Bernstein, o dallo stesso Kautsky.
Perchè è revisionismo? Perchè viene abbandonata la concezione catastrofica dell'evoluzione del capitalismo che da Marx in poi ha influenzato, seppur in diversi modi, le tendenze rivoluzionarie dei partiti socialisti. Perchè mette in evidenza la situazione reale concreta (come Berstein) rilevando le difformità dalle previsioni marxiane (la scomparsa dei ceti medi, la pauperizzazione assoluta del proletariato e tante altre cosette del genere, NON si sono realizzate). Perchè come l'ultimo Kautsky pone fra il dominio della borghesia e quello del proletariato la possibilità di una sostanziale continuità istituzionale. Il proletariato perciò non deve abbattere (almeno non subito) la macchina dello Stato e le sue istituzioni, così come esistenti storicamente durante la fase capitalistico-borghese, ma deve utilizzarle e piegarle gradualmente al proprio volere, riformandole semmai con il consenso di tutti e disgregandone gli aspetti burocratici che ostacolano la trasformazione socialista.
continua......

Pieffebi
10-12-02, 22:11
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Scrive infatti Otto Bauer: " La democrazia è qui la forma nella quale il proletariato può raggiungere ed esercitare il dominio, senza privare violentemente dei diritti quelle classi del popolo operoso avverse al proletariato che esercitano importanti funzioni nell'ambito dell'economia nazionale, senza doverle escludere dalla collaborazione, per lo meno sotto forma di opposizione, senza perdere gli indispensabili crediti esteri, senza condurre, attraverso una interruzione violenta del processo sociale di produzione e di circolazione, ad una catastrofe economica, in cui il dominio del proletariato dovrebbe soccombere ".
Bauer non confonde il dominio proletario con l'idea marxiana (che lui reputa...giacobina e residuo borghese) della dittatura proletaria, e considera la democrazia non una forma della dittatura di classe ma un terreno di scontro fra le classi, che dunque può servire tanto alla borghesia che al proletariato.
Questo evidente revisionismo, seppur "di sinistra", si preoccupa di evidenziare che la rivoluzione non deve distruggere le forze produttive che rendono una società matura per il socialismo, a pena di veder soccombere accanto al capitalismo e alla borghesia anche il proletariato. Questa è anche un'idea dell'ultimo Kautsky, e faceva parte anche del bagaglio delle obiezioni revisioniste al marxismo rivoluzionario da parte di Bernstein ed i suoi.
La rivoluzione non nasce dalla catastrofe inevitabile a cui il capitalismo conduce la società, e a cui la lotta di classe, tramite l'intervento cosciente del partito rivoluzionario, offre una soluzione radicale nella trasformazione della società. La rivoluzione deve preservare le forze produttive e pertanto deve essere la più pacifica e democratica possibile, e limitare l'uso della forza al minimo indispendabile per piegare le resistenze violente che eventualmetne una parte della classe dominante potrà porre in atto.
Cos'è allora più volontarista? Il punto di vista di Lenin, che vede nel socialismo il frutto della crisi distruttiva ed ineluttabile del capitalismo imperialistico, seppur in ragione dell'intervento del partito nel guidare la lotta di classe proletaria sulla via rivoluzionaria, o la posizione del socialismo di sinistra, per la quale sembrerebbe che il proletariato deve procedere verso il socialismo anticipando e impedendo tale crisi distruttiva, e avanzando in modo dal preservare le istituzioni e le forze produttive che eredita dal capitalismo?


Saluti liberali.

Pieffebi
10-12-02, 22:16
Ciò che, in fondo, distingue i comunisti dalle varie tendenze della socialdemocrazia, comprese quelle "di sinistra" e "rivoluzionarie", è l'atteggiamento nei confronti del destino dello "Stato borghese", nel corso del processo di trasfromazione del proletariato "in classe dominante".
Lenin, riprendendo Engels, ritiene che il proletariato conquistando il potere, debba distruggere lo Stato borghese, le sue istituzioni, i suoi meccanismi, il suo ordinamento, costruendone uno nuovo di sana pianta. I socialdemocratici ritengono invece che il proletariato possa conquistare lo Stato borghese e, organizzandosi in classe dominante, mutando i rapporti di forza, trasformando la dinamica sociale e il suo influire sulle istituzioni, utilizzarlo come Stato proletario.
Non è una differenza da poco, perchè comprende l'atteggiamento "rivoluzionario" che è suggerito al proletariato nei riguardi, ad esempio, della istituzione parlamentare ( delle libere elezioni).
Lenin ricorda come Marx, descrivendo e prendendo "lezioni" dalla esperienza della Comune parigina del 1871, avesse definito "la comune" stessa come un'organismo "non parlamentare, ma di lavoro", esaltando il fatto che fosse "esecutivo e legislativo al tempo stesso".
continua......

Pieffebi
10-12-02, 22:17
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Per Marx la divisione liberale dei poteri non era utile alla causa della rivoluzione comunista, e non avrebbe dovuto quindi caratterizzare, come dimostrava l'esperienza pratica del proletariato francese, la dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Lenin riprende ed estende questi concetti, concludendo che " in parlamento non si fa altro che chiacchierare con lo scopo deliberato di turlupinare il popolino " (il rinnegato Kautsky), respingendo quindi il "cedimento" della socialdemocrazia internazionale verso le idee liberali, operato dallo stesso Kautstky, già difensore dell'ortodossia marxista nei confronti del revisionismo riformista di Bernstein.
Ma nel 1918 Kautsky, che già per la socialista di sinistra Luxemburg era da tempo, anche lui , nient'altro che un opportunista revisionista (Lenin lo ritenne invece per molto tempo ...ortodosso), sostiene l'Assemblea Nazionale e la Repubblica parlamentare contro "la repubblica dei consigli operai" paventata dall'estrema sinistra tedesca, sull'onda provocata dall'ottobre bolscevico russo.
Kautsky è inesorabile nel denunciare il "socialismo dispotico" degli estremisti, e nel difendere il metodo democratico, non solo contro Lenin, ma anche contro Rosa Luxemburg e gli spartachisti tedeschi (Luxemburg che pur accuserà Lenin e Trotzky di "soppressione della democrazia", di "terrorismo", ricordando che la libertà "è pur sempre la libertà di chi pensa diversamente"!).
Per Kautsky " il socialismo senza democrazia, come metodo di emancipazione del proletariato è impossibile ", in quanto l'essenziale del socialismo non è solo l'essere "l'organizzazione sociale della produzione" ma anche " l'organizzazione democratica della società ".
continua......

Pieffebi
10-12-02, 22:18
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Per "il rinnegato Kautsky" la "repubblica dei consigli" degli spartachisti tedeschi era in realtà "il dominio dei disorganizzati sugli organizzati, degli ignoranti sugli istruiti", ossia la rovina di ogni seria possibilità realmente rivoluzionaria per il proletariato, ovviamente inseparabile dalla costituzione della repubblica democratica parlamentare.
Ancor più per Kautsky la repubblica bolscevica russa non era neppure lontanamente la "dittatura del proletariato", ma la dittatura dispotica di una setta fanatica SUL proletariato e su tutta la società. La rivoluzione bolscevica fu da un lato una rivoluzione "abortita" e dall'altro una "non rivoluzione", un colpo di stato che generò una dittatura burocratico-poliziesca regressiva rispetto al capitalismo , ripetendo i rapporti dispotici dell'autocrazia zarista, senza le aperture a cui i liberali e i socialdemocratici avevano costretto questa ultima.

Il socialismo dispotico di Lenin è stato, per l'ultimo Kautsky ,un "non socialismo", e non "un socialismo incompiuto" o "degenerato" e la democrazia sovietica " è un paravento ideologico per la dittatura di un partito (...) La repubblica sovietica ha distrutto la vecchia burocrazia sovietica, ma al suo posto ne ha messa una nuova, altrettanto centralizzata, con potere ancora più estesi di quanto non ne avesse la precedente, poichè per mezzo di essa bisogna controllare l'intera vita economica, ed essa dispone non soltanto della libertà, ma anche delle fonti di esistenza della popolazione ". Una critica radicale di impostazione socialdemocratica e "revisionista" ma sempre più vicina alle posizioni liberali.

continua......

Pieffebi
10-12-02, 22:20
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La concezione leniniana della repubblica democratica quale "migliore involucro politico possibile per il capitalismo" rappresenta il punto d'approdo della teoria "rivoluzionaria" che l'estrema sinistra marxista ha elaborato durante decenni di sviluppo, dal "Manifesto del Partito Comunista" alle tesi leniniste su "L'imperialismo" quale "fase suprema del capitalismo".
Il fatto che la democrazia sia, per Lenin, il miglior involucro del capitalismo, non significa affatto che sia l'unico, o che sia quello definitivo.
Lenin è interessato alla trasformazione che la democrazia subisce durante l'epoca dell'imperialismo e non può non notare, dal suo punto di vista apocalittico, come ormai la forma democratica e la forma non democratica della "dittatura borghese" siano fra loro sempre più vicine: " La differenza tra borghesia imperialistica democratica repubblicana e borghesia imperialistica monarchica reazionaria va scomparendo perché l'una e l'altra imputridiscono pur continuando a vivere ".
continua.........

Pieffebi
10-12-02, 22:21
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Se la democrazia politica ha rappresentato, anche per il proletariato, una funzione rivoluzionaria e progressiva nell'epoca del capitalismo in ascesa, del capitalismo liberale della "libera concorrenza", nell'epoca del capitalismo monopolitistico, del capitalismo finanziario, del capitalismo in putrefazione, ossia dell'Imperialismo....NON è più così.
" La reazione politica su tutta la linea è una caratteristica dell'imperialismo , afferma perentoriamente Lenin, e questo si inserisce perfettamente nella sua visione della grandiosa epoca della rivoluzione comunista mondiale, in cui crede di vivere (1916), e di cui la prossima rivoluzione russa (1917) dovrà essere il preludio.
Ancora nel 1938, mentre a Mosca si celebravano i processi criminali contro "l'opposizione di destra" buchariniana (essendo già stata liquidata quella di "sinistra" trotzkysta-zinovievista), l'ex capo sovietico Lev Trotzky svilupperà in questo modo, distratto dal contingente e non molto ortodosso, il pensiero leniniano: " "In termini generali per la borghesia la democrazia è una necessità nell'epoca della libera concorrenza. Al capitalismo monopolistico, basato non sulla "libera" concorrenza, ma sull'imperio centralizzato, la democrazia non serve affatto: lo ostacola e lo disturba. L'imperialismo può tollerare la democrazia sino ad un certo momento, come un male inevitabile. Ma aspira intimamente alla dittatura ".
Amadeo Bordiga sosterrà concezioni molto simili, giungendo, in buona sostanza ad eliminare, sul piano teorico, qualsiasi apprezzabile differenza fra democrazia borghese in epoca imperialistica e fascismo (ma sulle conseguenze strategiche e tattiche di detta visione avrà opinioni opposte a quelle di Trotzky).
continua..

Pieffebi
10-12-02, 22:22
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Dal canto suo la socialdemocratica d'estrema sinistra Rosa Luxemburg aveva svolto ben diversamente da Lenin (che per un bel tratto seguì, estremizzandolo, Kautsky) la critica al revisionismo bernsteniano anche sul piano della relazione fra capitalismo e democrazia e fra socialismo e democrazia. Tuttavia fin dal 1899 ("Riforma sociale o Rivoluzione?") la Luxemburg pone il problema dell'imperialismo, considerando le novità che stava introducendo nella storia politica:
" Per Bernstein per esempio la democrazia è un gradino inevitabile nello sviluppo della società moderna, anzi, per lui come per il teorico borghese del liberalismo, la democrazia è la legge fondamentale dello sviluppo storico in generale, alla cui attuazione devono servire tutte le forze attive della vita politica. Ma questa teoria espressa in termini così assoluti è fondamentalmente falsa (...) Se in questo modo il liberalismo è diventato nella sua essenza superfluo per la società borghese in quanto tale, esso è invece diventato, sotto altri aspetti importanti, addirittura un impedimento. E qui entrano in campo due fattori i quali dominano tutta la vita politica degli odierni Stati: la politica mondiale e il movimento operaio; entrambi non sono che due diversi aspetti della fase attuale dello sviluppo capitalistico.
Lo sviluppo dell'economia mondiale e insieme l'acutizzazione e la generalizzazione della lotta per la concorrenza sul mercato mondiale hanno fatto del militarismo e del "marinismo" in quanto strumenti della politica mondiale, il fulcro della vita interna ed esterna dei grandi Stati. Ma se politica mondiale e militarismo sono una tendenza in espansione nella fase attuale, la democrazia borghese deve di conseguenza muoversi lungo una linea discendente. (...) E se la politica estera getta così la borghesia in braccio alla reazione, la politica interna, con le rivendicazioni 'della classe operaia, non è da meno.
".
Ma tutte queste considerazioni, sia quelle leniniane sull'imperialismo, che quelle derivate di Bordiga e Trotzky, che quelle precedenti di Rosa Luxemburg (contro Bernstein e il riformismo revisionistico) si fondano sulla convinzione d'essere entrati nella fase finale della guerra di classe fra proletariato e borghesia, e nell'ultimo stadio (supremo) dello sviluppo capitalistico.
Per Lenin, infatti, l'imperialismo NON è una politica di un qualche governo borghese, ma il modo d'esistere del capitalismo che raggiunta la maturità, in mancanza della rivoluzione comunista che lo sradichi consentendo la trasformazione sociale, inizia ad imputridire.
continua...

Pieffebi
10-12-02, 22:22
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L'imputridimento dell'imperialismo è anche l'imputridimento del suo "migliore involucro politico" (che è tendenzialmente il migliore, non certo l'unico) ossia della democrazia, che divente a propria volta reazionaria, e per così dire "imperialista" (A. Cervetto).
L'unica alternativa reale per i comunisti, come dice Bucharin nel suo "Abc del Comunismo" è fra dittatura del proletariato e dittatura della borghesia.
E' inutile dire che tutte le previsioni forumulate dai marxisti-rivoluzionari (comunisti delle varie tendenze e socialisti di sinistra), si sono dimostrate tendenzialmente errate.
Stalin sosterrà durante la seconda guerra mondiale l'opportunità di approfittare della guerra "civile" fra capitalismo democratico e capitalismo reazionario per eliminarli uno per volta, ad iniziare dall'ultimo, con l'aiuto....del primo.

Nonostante che l'epoca dei fascismi potesse sembrare, nella contingenza, confermare le profezie più apocalittiche dei sostenitori del Terrore Rosso e della feroce dittatura bolscevica (di cui le dittature fasciste furono largamente, sul piano dei metodi, e persino delle forme espressive pubbliche e propagandistiche......degne imitatrici), il capitalismo democratico ha avuto storicamente la meglio, anche con il concorso dei "traditori" socialdemocratici del "marxismo-rivoluzionario" e del "movimento operaio".

Saluti liberali

Pieffebi
02-10-03, 21:31
sulla dittatura del proletariato ci torneremo comunque ancora

agaragar
02-10-03, 23:02
Originally posted by Pieffebi
sulla dittatura del proletariato ci torneremo comunque ancora
BERTINOTTI NE PARLA SEMPRE A TAVOLA... :lol

Pieffebi
03-10-03, 13:12
Non saprei, non è abitualmente un mio commensale. Sicuramente ne parla volentieri Ferrando.

Saluti liberali

Pieffebi
18-07-04, 16:40
La mania "contestualizzatrice" che investe coloro che turbati dalle infamie dei loro antenati politici scelgono tuttavia di non rinnegarli, tende a sminuire l'influenza dell'ideologia e della sua storia [giacchè le ideologie hanno una loro storia] tra le fonti principali delle azioni ignominose dei loro "padri". Senza la dottrina e la prassi marxista-leninista fondata su una ben determinata concezione dello Stato e della democrazia, senza la concezione leninista della dittatura del proletariato guidato dal partito comunista, come sviluppata da Stalin...... sarebbe invece ben difficile spiegare le contraddizioni delle scelte politiche del movimento comunista internazionale in una fase, quella fra le due guerre mondiali, in cui ci si sarebbe dovuto aspettare un atteggiamento più saggio .... in moltissime occasioni, se solo l'ideologia non avesse dominato certe decisioni, anche tattiche.

Shalom

Pieffebi
20-07-04, 20:48
Ho controllato ora, questo 3d è stato aperto nel dicembre 2002. Per i proprietari di ricche e articolate opinioni personali ....sarebbe scaduto. Per me.....i 3d e i post non scadono, al massimo ce ne sono, come quelli del predetto opinionista, di sin dall'origine scadenti.


Shalom

Pieffebi
09-08-04, 13:25
DOCUMENTI STORICI

" - Terza Internazionale Comunista
1° Congresso - marzo 1919




PIATTAFORMA




I. La conquista del potere.
II. Democrazia e dittatura.
III. L’espropriazione della borghesia e la socializzazione dei mezzi di produzione.
IV. Il cammino verso la vittoria.



Le contraddizioni del sistema capitalistico mondiale, annidate nel suo stesso seno, si liberarono con terribile violenza in un’enorme esplosione: la grande guerra imperialistica mondiale.

Il capitalismo tentò di superare la propria anarchia organizzando la produzione. In luogo di numerose imprese concorrenti si costituirono potenti associazioni capitalistiche (sindacati, consorzi, trust), il capitale bancario di associò al capitale industriale; l’intera vita economica fu dominata dall’oligarchia finanziaria capitalistica che, attraverso l’organizzazione fondata su tale potere, raggiunse autorità assoluta. Al posto della libera concorrenza sorge il monopolio. Il capitalista singolo diventa membro di associazioni capitalistiche. All’insensata anarchia si sostituisce l’organizzazione.

Ma nella stessa misura in cui, nei singoli paesi, l’anarchia è sostituita dall’organizzazione capitalistica, i contrasti, le lotte della concorrenza, il disordine cronico si fanno sentire nell’economia mondiale in modo sempre più acuto. La lotta fra i maggiori Stati predoni organizzati condusse necessariamente ed ineluttabilmente alla mostruosa guerra capitalistica mondiale. La cupidigia di profitto trascinò il capitalismo mondiale alla lotta per la conquista di nuovi mercati di sbocco, di nuove sfere d’azione del capitale, di nuove fonti di materie prime, di mano d’opera a buon mercato fornita dagli schiavi delle colonie. Gli Stati imperialisti che si erano spartiti il mondo intero e che avevano trasformato in bestie da soma i molti milioni di proletari e di contadini africani, asiatici, australiani, americani, dovevano presto o tardi rivelare in un possente conflitto la vera natura anarchica del capitale. Si compì così il più grande dei crimini: la pirateria della guerra mondiale.

Il capitalismo si sforzò anche di superare le contraddizioni della sua struttura sociale. La società borghese è una società di classe. Il capitale dei maggiori Stati «civili» si era proposto di occultare le contraddizioni sociali. A danno delle colonie che andava predando, il capitale corruppe i propri schiavi salariati, venendo così a creare una comunità d’interessi tra sfruttatori e sfruttati in contrasto con gli interessi delle colonie oppresse, dei popoli coloniali gialli, neri o rossi, e incatenò gli operai europei e americani alla «patria» imperialistica.

Ma questo stesso metodo di corruzione continua, che ha generato il patriottismo della classe operaia e il suo asservimento morale, ha generato anche, per opera della guerra, la sua antitesi. Annullamento fisico, assoggettamento totale del proletariato, oppressione mostruosa, impoverimento e degenerazione, fame nel mondo intero: ecco l’ultimo prezzo della pace borghese. E questa pace si è infranta. La guerra imperialistica si è trasformata in guerra civile.

La nuova epoca è nata! È l’epoca della disgregazione del capitalismo, del suo dissolvimento interno, l’epoca della rivoluzione comunista del proletariato. Il sistema imperialistico si sfascia. Fermento nelle colonie, fermento fra le piccole nazioni prima asservite, insurrezione del proletariato, vittoriose rivoluzioni proletarie in vari paesi, disgregazione degli eserciti imperialistici, totale incapacità delle classi dirigenti a guidare il destino dei popoli: ecco il quadro della situazione attuale nel mondo intero. Sull’umanità, la cui civiltà è stata oggi abbattuta, incombe la minaccia di una distruzione totale. Una sola forza può salvarla, e questa forza è il proletariato. L’antico «ordine» capitalistico non esiste più, non può più esistere. Il risultato finale del processo produttivo capitalistico è il caos, e questo caos può essere superato soltanto dalla più grande classe produttrice: la classe operaia. Essa ha il compito di creare il vero ordine – l’ordine comunista – di spezzare il dominio del capitale, di rendere impossibili le guerre, di eliminare le frontiere degli Stati, di trasformare il mondo in una comunità che lavori per se stessa, di realizzare la fratellanza e l’emancipazione dei popoli.

Contro simile programma il capitale mondiale affila se sue armi per l’ultima lotta. Sotto il manto della Società delle Nazioni e di una profusione di parole pacifiste, esso si affanna nell’ultimo sforzo di ricomporre insieme le parti disgregate del sistema capitalistico e di dirigere le sue forze contro la crescente rivoluzione proletaria.

Al nuovo, mostruoso complotto delle classi capitalistiche, il proletariato deve rispondere con la conquista del potere politico, usare di questo potere contro le classi nemiche ed azionarlo come leva per la trasformazione economica. La vittoria definitiva del proletariato mondiale equivale al principio della vera storia dell’umanità liberata.


I. La conquista del potere

La conquista del potere politico da parte del proletariato significa annientamento del potere politico della borghesia. Il più potente strumento di governo della borghesia è costituito dall’apparato statale, con il suo esercito capitalistico sotto il comando di ufficiali borghesi o nobili, con la sua polizia e i suoi carabinieri, e suoi carcerieri, e i suoi giudici, e suoi preti, e suoi funzionari ecc. La conquista del potere politico non può significare soltanto un avvicendarsi di persone nei ministeri, ma deve voler dire l’annientamento di un apparato statale nemico, la conquista delle leve effettive, il disarmo della borghesia, degli ufficiali controrivoluzionari, delle guardie bianche, l’armamento del proletariato, dei soldati rivoluzionari e della guardia rossa operaia; l’allontanamento di tutti i giudici borghesi e l’organizzazione di tribunali proletari; l’eliminazione del dominio della burocrazia reazionaria e la creazione di nuovi organi amministrativi proletari. La vittoria del proletariato sta nella disorganizzazione del potere nemico e nell’organizzazione del potere proletario; nella distruzione dell’apparato statale borghese e nella costruzione dell’apparato statale proletario. Soltanto quando avrà raggiunto la vittoria e spezzato la resistenza della borghesia, il proletariato potrà ridurre i suoi vecchi avversari nella condizione di servire utilmente il nuovo ordine, ponendoli sotto il controllo e guadagnandoli gradatamente all’opera costruttiva del comunismo.


II. Democrazia e dittatura

Lo Stato proletario è – come ogni Stato – un apparato di costrizione, volto, però, contro i nemici della classe operaia. Il suo scopo è di spezzare e di rendere vana la resistenza degli sfruttatori, che nella loro lotta disperata impiegano ogni mezzo per soffocare nel sangue la rivoluzione. La dittatura del proletariato, che colloca dichiaratamente quest’ultimo in una posizione preminente nella società, è d’altra parte un’istituzione transitoria.

Nella misura in cui la resistenza sarà spezzata, la borghesia sarà espropriata e diventerà gradatamente massa lavoratrice, la dittatura del proletariato scomparirà, lo Stato si estinguerà e con esso anche le classi sociali.

La cosiddetta democrazia, cioè la democrazia borghese, altro non è che la dittatura borghese mascherata. La comune «volontà popolare» tanto decantata è inesistente, come è inesistente l’unità del popolo. In realtà esistono classi con volontà opposte, inconciliabili. Ma poiché la borghesia è una piccola minoranza, essa si serve di questa finzione, di questa falsa etichetta della «volontà popolare» per consolidare, con l’aiuto di questa bella definizione, il suo dominio sulla classe operaia e per imporle la sua volontà di classe. Al contrario il proletariato, che costituisce l’enorme maggioranza della popolazione, applica apertamente la potenza di classe delle sue organizzazioni di massa, dei suoi soviet, per eliminare i privilegi della borghesia e appianare la strada verso la società comunista senza classi.

La sostanza della democrazia borghese sta in un riconoscimento puramente formale dei diritti e delle libertà, che sono tuttavia inaccessibili proprio alla popolazione lavoratrice, ai proletari e semiproletari che non dispongono di mezzi materiali, mentre la borghesia può utilizzare le sue risorse materiali, la sua stampa e le sue organizzazioni per raggirare il popolo e ingannarlo. Al contrario il sistema dei soviet – questa nuova forma di potere statale – dà al proletariato la possibilità di realizzare i suoi diritti e la sua libertà. Il potere dei soviet mette a disposizione del popolo i migliori palazzi, le case, le tipografie, le riserve di carta ecc. per la stampa, le sue riunioni, i suoi circoli. Solo in tal modo diventa veramente possibile la democrazia proletaria.

Con il suo sistema parlamentare, la democrazia borghese illude a parole le masse di essere partecipi all’amministrazione dello Stato. In realtà le masse e le loro organizzazioni sono tenute del tutto lontane dal vero potere e dalla vera amministrazione dello Stato. Nel sistema dei soviet governano le organizzazioni delle masse e, tramite loro, le masse stesse, giacché i soviet chiamano all’amministrazione dello Stato una schiera sempre crescente di operai: solo così tutta la popolazione operaia potrà essere chiamata a poco a poco a partecipare effettivamente al governo dello Stato. Il sistema dei soviet poggia quindi sull’organizzazione delle masse proletarie, rappresentate dai soviet stessi, dai sindacati rivoluzionari, dalle cooperative ecc.

La democrazia borghese e il sistema parlamentare, con la distinzione fra il potere legislativo e il potere esecutivo e con l’irrevocabilità dei mandati parlamentari, acutizzano la scissione delle masse dallo Stato. Al contrario il sistema dei soviet, con il diritto di revoca, con l’unione dei poteri legislativo ed esecutivo, con i soviet intesi come collettività di lavoro, lega le masse agli organi amministrativi. Questo legame è rinsaldato dal fatto che nel sistema dei soviet le elezioni non avvengono in base ad artificiose ripartizioni territoriali ma in base alle unità di produzione. Il sistema dei soviet realizza quindi la vera democrazia proletaria, una democrazia che si fa strumento del proletariato e ne diventa la forza interiore contro la borghesia. In tale sistema si preferisce affidare al proletariato industriale, per la sua migliore organizzazione e maturità politica, il ruolo di classe dirigente, sotto la cui egemonia e semiproletari e i piccoli contadini hanno la possibilità di elevarsi progressivamente. La momentanea situazione di vantaggio del proletariato industriale deve essere utilizzata per sottrarre le masse più povere alla piccola borghesia contadina all’influenza dei grandi proprietari terrieri e della borghesia e per organizzarle ed educarle a collaborare alla costruzione del comunismo.


III. L’espropriazione della borghesia e la socializzazione dei mezzi di produzione

Il dissolvimento dell’ordine capitalistico e della disciplina capitalistica del lavoro rendono impossibile, data l’esistenza di relazioni tra le classi, la ripresa della produzione sulle antiche basi. Le lotte degli operai per l’aumento dei salari non comportano – anche in caso di successo – lo sperato miglioramento delle condizioni di vita, giacché l’immediato aumento del costo dei beni di consumo rende illusorio ogni successo. Il tenore di vita degli operai può essere elevato soltanto quando il proletariato stesso – e non la borghesia – governa la produzione. L’energica lotta degli operai per l’aumento dei salari in tutti i paesi in cui la situazione si manifesta apertamente senza via d’uscita rende impossibili, con il suo impeto elementare e la sua tendenza alla generalizzazione, ulteriori progressi della produzione capitalistica. Per potenziare le forze produttive dell’economia, per spezzare il più presto possibile la resistenza della borghesia, che prolunga l’agonia della vecchia società, generando così il pericolo di un totale sfacelo della vita economica, la dittatura proletaria deve attuare l’espropriazione della grande borghesia e della feudalità e far sì che i mezzi di produzione e di scambio divengano proprietà collettiva dello Stato proletario.

Il comunismo nasce oggi dalle macerie del capitalismo, la storia non lascia altra via d’uscita all’umanità. Gli opportunisti che avanzano l’utopica rivendicazione della rinascita dell’economia capitalistica per differire la socializzazione, ritardano soltanto la soluzione del problema e suscitano il pericolo di una rovina totale; la rivoluzione comunista, invece, è il migliore ed unico mezzo per conservare la più importante forza produttiva della società – il proletariato – e con esso la società stessa.

La dittatura proletaria non comporta assolutamente alcuna divisione dei mezzi di produzione e di scambio; viceversa il suo scopo consiste nell’organizzare la produzione nel quadro di un piano unitario.

I primi passi verso la socializzazione di tutta l’economia esigono: la socializzazione del complesso delle grandi banche, che attualmente dirigono la produzione; la presa di possesso da parte del potere proletario di tutti gli organi dello Stato capitalistico che presiedono alla vita economica; la presa di possesso di tutte le aziende municipalizzate; la socializzazione dei settori produttivi monopolistici e uniti in trust e la socializzazione di tutti quei rami dell’industria il cui livello di concentrazione e centralizzazione del capitale lo rende tecnicamente possibile; la socializzazione delle proprietà agrarie e la loro trasformazione in aziende agricole dirette dalla società.

Per quanto riguarda le aziende di minori dimensioni, il proletariato deve socializzarle gradatamente, a seconda della loro importanza.

È necessario far rilevare, a questo punto, che la piccola proprietà non sarà affatto espropriata e che i proprietari che non sfruttano l’altrui lavoro non devono essere assoggettati ad alcuna misura coercitiva. Questo ceto sarà gradatamente attratto nell’organizzazione socialista dall’esempio e dalla pratica che dimostrano la superiorità del nuovo ordine, ordine che libererà la classe dei piccoli contadini e la piccola borghesia cittadina dalla pressione economica del capitale usuraio e della nobiltà, dai gravami delle imposte (principalmente con l’annullamento dei debiti di Stato ecc.).

Il compito della dittatura proletaria nell’ambito economico può essere assolto soltanto nella misura in cui il proletariato sarà capace di creare organi centralizzati di direzione della produzione e di attuare l’amministrazione da parte degli operai. A questo scopo esso deve necessariamente giovarsi di quelle sue organizzazioni di massa che sono più strettamente legate al processo produttivo.

Nel campo della distribuzione la dittatura proletaria deve sostituire il commercio con una giusta ripartizione dei prodotti; le misure utili per raggiungere questo obiettivo sono: la socializzazione delle grandi imprese commerciali; la presa di possesso da parte del proletariato di tutti gli organi di distribuzione borghesi, statali e municipali; il controllo sulle grandi cooperative di consumo, la cui organizzazione avrà ancora una grande importanza economica nel periodo di transizione; la progressiva centralizzazione di tutti questi organismi e la loro trasformazione in un tutto unico che governa la razionale distribuzione dei prodotti.

Nell’ambito della produzione, così come in quello della distribuzione, è necessario servirsi di tutti i tecnici e gli specialisti qualificati, non appena sarà spezzata la loro resistenza politica e saranno in condizione di servire non il capitalismo, ma il nuovo sistema di produzione. Il proletariato non li opprimerà, anzi sarà il primo a dare loro la possibilità di sviluppare la più intensa attività creatrice. La dittatura proletaria sostituirà alla separazione del lavoro fisico e intellettuale, generata dal capitalismo, la collaborazione di entrambi, realizzando così l’unione del lavoro e della scienza.

Con l’espropriazione delle fabbriche, delle miniere e delle proprietà ecc., il proletariato deve anche abolire lo sfruttamento della popolazione da parte dei capitalisti proprietari immobiliari, trasferire i grandi edifici d’abitazione ai soviet operai locali, installare la popolazione operaia nelle case borghesi ecc.

Durante questo periodo di profonda trasformazione il potere dei soviet deve, da un lato, costruire un intero apparato amministrativo sempre più centralizzato e d’altro lato chiamare alla diretta amministrazione strati sempre più vasti della popolazione operaia.


IV. Il cammino verso la vittoria

L’epoca rivoluzionaria esige dal proletariato l’uso di sistemi di lotta capaci di concentrare tutta la sua energia, come l’azione delle masse, fino alla sua estrema, logica conseguenza: l’urto diretto, la guerra dichiarata con la macchina statale. A questa meta devono essere subordinati tutti gli altri metodi, per esempio l’utilizzazione rivoluzionaria del parlamentarismo borghese.

Le necessarie premesse alla vittoria di questa lotta sono non solo la rottura con i lacchè diretti del capitale e con gli aguzzini della rivoluzione comunista, il cui ruolo è oggi assunto dai socialdemocratici di destra, ma anche la rottura con il «centro» (gruppo Kautsky), che la momento critico abbandona il proletariato per civettare con i suoi nemici dichiarati. D’altra parte è necessario realizzare un blocco con quegli elementi del movimento operaio rivoluzionario che, benché non appartenessero in precedenza al partito socialista, stanno oggi in tutto e per tutto sul terreno della dittatura proletaria nella forma del potere dei soviet, cioè per esempio con gli elementi vicini al sindacalismo.

L’ascesa del movimento rivoluzionario in tutti i paesi, il pericolo per questa rivoluzione di essere soffocata dalla lega degli Stati capitalistici, i tentativi dei partiti traditori del socialismo di unirsi fra loro (formazione dell’Internazionale gialla a Berna), per prestare i loro servigi alla lega di Wilson; infine l’assoluta necessità per il proletariato di coordinare i suoi sforzi, tutto ciò deve portare alla fondazione di un’Internazionale comunista veramente rivoluzionaria e veramente proletaria.

Nel subordinare gli interessi cosiddetti nazionali a quelli della rivoluzione mondiale, l’Internazionale realizzerà il reciproco aiuto dei proletari dei vari paesi, giacché senza questo aiuto, economico e di altra natura, il proletariato non sarà in grado di organizzare una società nuova. D’altra parte, in opposizione all’Internazionale socialpatriota gialla, il comunismo proletario internazionale sosterrà i popoli sfruttati delle colonie nella loro lotta contro l’imperialismo, per favorire il crollo definitivo del sistema imperialistico mondiale.

I briganti del capitalismo affermavano, all’inizio della guerra, di limitarsi a difendere la rispettiva patria. Ma l’imperialismo tedesco mostrò ben presto la sua vera natura rapace con sanguinosi misfatti in Russia, in Ucraina, in Finlandia. A loro volta, le potenze dell’Intesa si rivelano ora anche agli occhi degli strati più arretrati della popolazione come pirati pronti a saccheggiare il mondo intero, come assassini del proletariato. Insieme alla borghesia tedesca e ai socialpatrioti, con ipocrite frasi di pace sulle labbra, essi tentano di soffocare, servendosi delle loro macchine belliche e delle loro truppe coloniali barbare e istupidite, la rivoluzione del proletariato europeo. Indescrivibile è stato il terrore bianco dei cannibali borghesi! Innumerevoli sono state le vittime della classe operaia, che ha perduto i suoi rappresentanti migliori: Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.

Il proletariato deve difendersi ad ogni costo! L’Internazionale comunista chiama il proletariato del mondo intero a questa lotta estrema. Arma contro arma! Forza contro forza!

Abbasso il complotto imperialista del capitale!

Viva la repubblica internazionale dei soviet proletari! "



Saluti liberali

Pieffebi
21-08-04, 11:25
dalla rete

" Colloquio di Giuseppe Stalin con la prima delegazione operaia americana il 9 settembre 1927''.

domanda delle delegazione operia: Quali nuovi principi furono praticamente aggiunti al marxismo da Lenin e dal Partito comunista? Sarebbe giusto dire che Lenin credeva nella "rivoluzione creatrice'', mentre Marx era più incline ad attendere che lo sviluppo delle forze economiche arrivasse al suo culmine?
Risposta di Giuseppe Stalin : Penso che Lenin non ha "aggiunto'' al marxismo nessun "nuovo principio'', come non ha soppresso nessuno dei "vecchi'' principi del marxismo. Lenin fu e resta il discepolo più fedele e più conseguente di Marx e di Engels, e si fonda interamente e completamente sui principi del marxismo. Ma Lenin non fu soltanto un realizzatore della dottrina di Marx e di Engels. Oltre a ciò, egli fu il continuatore della dottrina di Marx e di Engels. Cosa significa ciò? Ciò significa che egli ha sviluppato ulteriormente la dottrina di Marx e di Engels conformemente alle nuove condizioni di sviluppo, conformemente alla nuova fase del capitalismo, l'imperialismo. Questo significa che, sviluppando ulteriormente la dottrina di Marx nelle nuove condizioni della lotta di classe, Lenin ha portato al patrimonio generale del marxismo qualche cosa di nuovo in confronto a quello che fu dato da Marx e da Engels, in confronto a quello che poteva essere dato nel periodo del capitalismo preimperialistico; però quello che Lenin ha portato di nuovo al patrimonio del marxismo si basa interamente e completamente sui principi dati da Marx e da Engels. In questo senso appunto noi parliamo del leninismo come del marxismo dell'epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie. Ecco alcune questioni sulle quali Lenin ha dato qualche cosa di nuovo, sviluppando ulteriormente la dottrina di Marx.
In primo luogo, la questione del capitalismo monopolistico, dell'imperialismo, come nuova fase del capitalismo. Marx ed Engels dettero nel "Capitale'' un'analisi delle basi del capitalismo. Ma Marx ed Engels vissero nel periodo di dominio del capitalismo premonopolistico, nel periodo di quieta evoluzione del capitalismo e della sua "pacifica'' estensione su tutto il globo terrestre. Questa vecchia fase terminò alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo, allorché Marx ed Engels non vivevano più. è comprensibile che Marx ed Engels potevano soltanto intuire le nuove condizioni di sviluppo del capitalismo che si crearono con la nuova fase del capitalismo, venuta a sostituire la vecchia fase, con la fase imperialista e monopolista di sviluppo, quando la graduale evoluzione del capitalismo venne ad essere sostituita da uno sviluppo a salti, catastrofico, del capitalismo, quando l'ineguaglianza di sviluppo e le contraddizioni del capitalismo si manifestarono con forza particolare, quando la lotta per i mercati di vendita e i mercati di esportazione del capitale, data la estrema ineguaglianza dello sviluppo, rese inevitabili delle guerre imperialiste periodiche, per delle nuove spartizioni periodiche del mondo e delle sfere di influenza.
Il merito di Lenin e, di conseguenza, ciò che vi è di nuovo in Lenin è che egli, fondandosi sulle tesi fondamentali del "Capitale'', ha dato un'analisi marxista scientifica dell'imperialismo, come ultima fase del capitalismo, mettendo in luce le sue piaghe e le condizioni della sua inevitabile catastrofe. Sulla base di questa analisi è sorta la nota tesi di Lenin che nel periodo dell'imperialismo è possibile la vittoria del socialismo nei singoli paesi capitalistici, presi separatamente.
In secondo luogo, la questione della dittatura del proletariato. L'idea fondamentale della dittatura del proletariato, come dominio politico del proletariato e come metodo d'abbattimento violento del potere del capitale, venne data da Marx e da Engels. In questo campo ciò che vi è di nuovo in Lenin è: a) che egli ha scoperto il potere dei Soviet come forma statale della dittatura del proletariato, utilizzando a questo scopo l'esperienza della Comune di Parigi e della rivoluzione russa; b) che egli ha spiegato il valore della formula della dittatura del proletariato dal punto di vista del problema degli alleati del proletariato, definendo la dittatura del proletariato come forma particolare dell'alleanza di classe del proletariato, che è il dirigente, con le masse sfruttate delle classi non proletarie (contadini, ecc.), che sono dirette dal proletariato; c) che egli ha sottolineato con forza particolare che nella società divisa in classi la dittatura del proletariato è il tipo più alto di democrazia, la forma della democrazia proletaria che esprime gli interessi della maggioranza (cioè degli sfruttati), in contrapposto alla democrazia capitalista, che esprime gli interessi della minoranza (cioè degli sfruttatori).
In terzo luogo, la questione delle forme e dei metodi della edificazione vittoriosa del socialismo nel periodo della dittatura del proletariato, nel periodo transitorio dal capitalismo al socialismo, in un paese circondato da Stati capitalisti. Marx ed Engels consideravano il periodo della dittatura del proletariato come un periodo più o meno lungo, pieno di scontri rivoluzionari e di guerre civili, durante il quale il proletariato, trovandosi al potere, prende le misure di carattere economico, politico, culturale e organizzativo, necessarie per creare al posto della vecchia società capitalista la nuova società socialista, la società senza classi, la società senza Stato. Lenin si mantenne interamente e completamente sul terreno di queste tesi fondamentali di Marx e di Engels. In questo campo ciò che vi è di nuovo in Lenin è: a) che egli ha dimostrato la possibilità di edificare interamente la società socialista nel paese della dittatura del proletariato, circondato da Stati imperialisti, a condizione che questo paese non venga soffocato dall'intervento militare degli Stati capitalisti che lo circondano; b) che egli ha tracciato le vie concrete della politica economica ("nuova politica economica''), seguendo le quali il proletariato, avendo nelle mani le leve di comando dell'economia (industria, terra, trasporti, banche, ecc.), collega l'industria socializzata con l'economia agricola ("saldatura dell'industria con l'economia contadina'') e conduce così tutta l'economia al socialismo; c) che egli ha tracciato le vie concrete per attirare e condurre gradualmente le masse fondamentali dei contadini nella corrente dell'edificazione socialista attraverso la cooperazione, che costituisce, nelle mani della dittatura del proletariato, il più grande mezzo per la trasformazione della piccola economia contadina e per la rieducazione delle masse fondamentali dei contadini nello spirito del socialismo.
In quarto luogo, la questione dell'egemonia del proletariato nella rivoluzione, in ogni rivoluzione popolare, tanto nella rivoluzione contro lo zarismo quanto nella rivoluzione contro il capitalismo. Marx ed Engels abbozzarono le linee fondamentali dell'idea dell'egemonia del proletariato. Il nuovo in Lenin è che egli ha sviluppato ulteriormente e ha allargato questi abbozzi facendone un sistema armonico dell'egemonia del proletariato, un sistema armonico della direzione delle masse lavoratrici della città e della campagna da parte del proletariato, non solo nell'opera di abbattimento dello zarismo e del capitalismo, ma anche nell'opera di edificazione socialista durante la dittatura del proletariato. è noto che, grazie a Lenin e al suo partito, l'idea dell'egemonia del proletariato ha avuto un'applicazione magistrale in Russia. Questo spiega, tra l'altro, il fatto che la rivoluzione in Russia ha portato al potere il proletariato. Prima le cose avvenivano di solito in modo che gli operai durante la rivoluzione lottavano sulle barricate, versavano il loro sangue, abbattevano il vecchio regime, e il potere cadeva nelle mani dei borghesi, i quali in seguito opprimevano e sfruttavano gli operai. Così andarono le cose in Inghilterra e in Francia. Così andarono le cose in Germania. Da noi in Russia, le cose hanno seguito un altro corso. Da noi gli operai non sono stati soltanto la forza d'assalto della rivoluzione. Essendo la forza d'assalto della rivoluzione, il proletariato russo si è sforzato, nello stesso tempo, di essere l'egemone, il dirigente politico di tutte le masse sfruttate della città e della campagna, stringendole intorno a sé, staccandole dalla borghesia, isolando politicamente la borghesia. Ed essendo l'egemone delle masse sfruttate, il proletariato russo ha sempre lottato per prendere il potere nelle proprie mani e utilizzarlo per i suoi interessi, contro la borghesia, contro il capitalismo. Così appunto si spiega perché in Russia ogni azione rivoluzionaria potente, tanto nell'ottobre 1905, quanto nel febbraio 1917, ha portato sulla scena i Soviet dei deputati operai, come embrione del nuovo apparato del potere, destinato a schiacciare la borghesia, in contrapposto al parlamento borghese, vecchio apparato del potere, destinato a schiacciare il proletariato. Due volte da noi la borghesia tentò di restaurare il parlamento borghese e di por fine ai Soviet: nell'agosto 1917 al tempo del "Preparlamento'', prima della presa del potere da parte dei bolscevichi, e nel gennaio 1918, al tempo dell'"Assemblea costituente'', dopo la presa del potere da parte del proletariato, e ogni volta essa fu sconfitta. Perché? Perché la borghesia era già isolata politicamente, perché masse di milioni di lavoratori consideravano il proletariato come unico capo della rivoluzione e i Soviet erano già stati controllati e provati dalle masse, come il loro potere operaio, la cui sostituzione con un parlamento borghese sarebbe stata per il proletariato un suicidio. Non c'è quindi da stupirsi se da noi il parlamento borghese non ha attecchito. Ecco perché la rivoluzione in Russia ha portato al potere il proletariato. Tali sono i risultati della messa in pratica del sistema leninista dell'egemonia del proletariato nella rivoluzione.
In quinto luogo, la questione nazionale e coloniale. Marx ed Engels, analizzando ai loro tempi gli avvenimenti d'Irlanda, d'India, di Cina, dei paesi dell'Europa centrale, di Polonia e d'Ungheria, dettero le idee direttrici fondamentali circa la questione nazionale e coloniale. Lenin nelle sue opere si è fondato su queste idee. In questo campo ciò che vi è di nuovo in Lenin è: a) che egli raccoglie queste idee in un sistema armonico di concezioni circa le rivoluzioni nazionali e coloniali nell'epoca dell'imperialismo; b) che egli lega la questione nazionale e coloniale alla questione dell'abbattimento dell'imperialismo; c) che egli proclama che la questione nazionale e coloniale è parte integrante della questione generale della rivoluzione proletaria internazionale.
Infine, la questione del partito del proletariato. Marx ed Engels tracciarono le linee fondamentali della dottrina del partito come reparto d'avanguardia del proletariato, senza il quale (senza partito) il proletariato non può raggiungere la propria liberazione, né nel senso della presa del potere, né nel senso della trasformazione della società capitalista. In questo campo ciò che vi è di nuovo in Lenin è che egli ha sviluppato ulteriormente questi abbozzi in relazione alle nuove condizioni di lotta del proletariato nel periodo dell'imperialismo, dimostrando: a) che il partito è la forma superiore dell'organizzazione di classe del proletariato in confronto alle altre forme di organizzazione del proletariato (sindacati, cooperative, organizzazione statale), di cui il partito deve coordinare e dirigere il lavoro; b) che la dittatura del proletariato può essere realizzata soltanto attraverso il partito, che ne è la forza direttiva; c) che la dittatura del proletariato può essere totale soltanto nel caso in cui sia diretta da un solo partito, dal partito dei comunisti, il quale non divide e non deve dividere la direzione con altri partiti; d) che senza una disciplina di ferro nel partito non possono essere realizzati i compiti della dittatura del proletariato per schiacciare gli sfruttatori e trasformare la società di classe in società socialista.
Ecco, essenzialmente, quello che Lenin ha dato di nuovo nelle sue opere, concretizzando e sviluppando ulteriormente la dottrina di Marx, in relazione alle nuove condizioni di lotta del proletariato nel periodo dell'imperialismo.
Perciò si dice da noi che il leninismo è il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie.
Di qui si vede che il leninismo non può essere separato dal marxismo e tanto meno può essergli contrapposto.
Nella domanda della delegazione si dice ancora: "Sarebbe giusto dire che Lenin credeva nella `rivoluzione creatrice', mentre Marx era più incline ad attendere che lo sviluppo delle forze economiche arrivasse al suo culmine?". Penso che dire così sarebbe completamente errato. Penso che qualsiasi rivoluzione popolare, se essa è veramente tale, è una rivoluzione creatrice, perché abbatte il vecchio sistema e ne crea, ne costruisce uno nuovo. Naturalmente, non vi può essere nulla di creativo nelle cosiddette "rivoluzioni'', che capitano qualche volta, per esempio in Albania, sotto forma di "insurrezioni'' lillipuziane di alcune tribù contro delle altre. Però i marxisti non hanno mai considerato queste "insurrezioni'' lillipuziane come delle rivoluzioni. Non si tratta, evidentemente, di simili "insurrezioni'', ma della rivoluzione popolare di massa che solleva le classi oppresse contro le classi che le opprimono. E questa rivoluzione non può essere che creatrice. Marx e Lenin erano appunto per una simile rivoluzione e solo per essa. è chiaro che una simile rivoluzione non può sorgere in qualsiasi condizione, e può avvenire solo in determinate condizioni favorevoli d'ordine economico e politico.

domanda: Potete darci una breve caratteristica della società futura che il comunismo tenta di creare?
Risposta di Giuseppe Stalin: La caratteristica generale della società comunista è stata data nelle opere di Marx, di Engels e di Lenin. Se si vuol dare brevemente l'anatomia della società comunista, si può dire che essa sarà una società: a) in cui non vi sarà la proprietà privata degli strumenti e dei mezzi di produzione, che saranno proprietà sociale, collettiva; b) in cui non vi saranno classi e potere statale, ma vi saranno dei lavoratori dell'industria e dell'agricoltura che, organizzati in una libera associazione di lavoratori, si amministreranno economicamente da se stessi; c) in cui l'economia nazionale, organizzata secondo un piano, sarà basata su una tecnica superiore, tanto nel campo dell'industria, quanto in quello dell'agricoltura; d) in cui non vi sarà contrasto fra la città e la campagna, fra l'industria e l'agricoltura; e) in cui i prodotti saranno distribuiti secondo il principio dei vecchi comunisti francesi: "Da ciascuno secondo le sue capacità, ad ognugno secondo i suoi bisogni''; f) in cui la scienza e l'arte godranno di condizioni sufficientemente favorevoli per fiorire nel modo più completo; g) in cui la personalità, libera dalle preoccupazioni per il pane quotidiano e dalla necessità di adattarsi ai voleri dei "potenti del mondo'', diventerà veramente libera. E così via. è chiaro che noi siamo ancora lontani da questa società.
Per ciò che riguarda le condizioni internazionali indispensabili al trionfo completo della società comunista, esse si formeranno e cresceranno nella misura in cui cresceranno le crisi rivoluzionarie e le esplosioni rivoluzionarie della classe operaia nei paesi capitalisti. Non si deve immaginare che la classe operaia di un paese o di alcuni paesi marcerà verso il socialismo e, ancor meno, verso il comunismo, e i capitalisti degli altri paesi se ne staranno a guardare con indifferenza, le braccia incrociate. Ancor meno si può immaginare che la classe operaia dei paesi capitalisti accetterà di assistere come semplice spettatrice allo sviluppo vittorioso del socialismo in questo o quel paese. In realtà, i capitalisti faranno tutto ciò che è in loro potere per soffocare questi paesi. In realtà, ogni passo serio verso il socialismo, e più ancora verso il comunismo, in questo o in quell'altro paese, sarà inevitabilmente accompagnato dall'irresistibile slancio della classe operaia dei paesi capitalisti verso la conquista della dittatura e del socialismo in questi paesi. Così, nel corso dello sviluppo ulteriore della rivoluzione internazionale, si formeranno, su scala mondiale, due centri, il centro socialista che attrarrà a sé i paesi che tendono al socialismo, e il centro capitalista che attrarrà a sé i paesi che tendono al capitalismo. La lotta di questi due centri per il possesso dell'economia mondiale deciderà del destino del capitalismo e del comunismo in tutto il mondo. Perché la disfatta definitiva del capitalismo mondiale è la vittoria del socialismo sull'arena dell'economia mondiale. "

Saluti liberali

Pieffebi
02-09-04, 22:27
http://www.marxists.org/italiano/archive/gramsci/26/01-lione.htm

Pieffebi
13-02-05, 12:44
http://www.piazzaliberazione.it/pagine/agg05-02-04/ferrando/ferrando.htm

Ferrando è il capo della corrente "trotzkysta" più radicale della minoranza del Partito della Rifondazione Comunista.

Saluti liberali

Pieffebi
06-03-05, 22:10
La dittatura del proletariato secondo il primo capo della Terza Internazionale Comunista:

" La concordanza di opinioni intorno alla dittatura del proletariato può essere espressa nelle seguenti proposizioni. E' la dittatura di una classe se consideriamo il problema dal punto di vista sociale e di classe. E' la dittatura dello Stato Sovietico, una dittatura sovietica, se consideriamo il problema dal punto di vista della forma giuridica, cioè dal punto di vista specifico dello Stato. E' la dittatura di un partito se consideriamo lo stesso problema dal punto di vista della direzione, dal punto di vista del meccanismo interno di tutta la vasta macchina di una società di transizione. "
G. Zinov'ev - Pravda 23 agosto 1924.


Cordiali saluti

Pieffebi
11-05-05, 21:55
citazioni di Stalin sugli argomenti trattati a questo indirizzo:
http://www.linearossage.it/ScrittiStalin.htm

Shalom

Red Shadow
23-05-05, 21:29
In Origine postato da agaragar
BERTINOTTI NE PARLA SEMPRE A TAVOLA... :lol
Mentre mangia i bambini???:eek: :eek:
Magari col rutto finale:K

Pieffebi
23-05-05, 22:29
Il tuo invece è un raglio.

Shalom

Pieffebi
10-12-06, 13:29
Sulla versione maoista della concezione della dittatura del proletariato:

http://www.bibliotecamarxista.org/Mao/libro_25/stud_fond_ditt.pdf


Saluti liberali

Pieffebi
15-03-07, 21:04
Altro tema da riprendere.

Shalom

Pieffebi
16-03-07, 19:50
L'estinzione dello Stato secondo Lenin:


"In seguito, nel periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, la repressione è ancora necessaria, ma è già esercitata da una maggioranza di sfruttati contro una minoranza di sfruttatori. Lo speciale apparato, la macchina speciale di repressione, lo "Stato", è ancora necessario, ma è già uno Stato transitorio, non più lo Stato propriamente detto, perchè la repressione di una minoranza di sfruttatori da parte della maggioranza degli schiavi salariati di ieri è cosa relativamente così facile, semplice e naturale, che costerà molto meno sangue di quello che è costata la repressione delle rivolte di schiavi, di servi e di operai salariati, costerà molto meno caro all'umanità. Ed essa è compatibile con una democrazia che abbraccia una maggioranza della popolazione così grande che comincia a scomparire il bisogno di una macchina speciale di repressione. Gli sfruttatori non sono naturalmente in grado di reprimere il popolo senza una macchina molto complicata destinata a questo compito; il popolo, invece, può reprimere gli sfruttatori anche con una "macchina" molto semplice, quasi senza "macchina", senza apparato speciale, mediante la semplice organizzazione delle masse in armi (come - diremo anticipando - i Soviet dei deputati operai e soldati).

Infine, solo il comunismo rende lo Stato completamente superfluo, perchè non c'è da reprimere nessuno, "nessuno" nel senso di classe, nel senso di lotta sistematica contro una parte determinata della popolazione. Noi non siamo utopisti e non escludiamo affatto che siano possibili e inevitabili eccessi individuali, come non escludiamo la necessità di reprimere tali eccessi. Ma anzitutto, per questo non c'è bisogno d'una macchina speciale, di uno speciale apparato di repressione; lo stesso popolo armato si incaricherà di questa faccenda con la stessa semplicità, con la stessa facilità con cui una qualsiasi folla di persone civili, anche nella società attuale, separa delle persone in rissa o non permette che venga usata la violenza contro una donna. Sappiamo inoltre che la principale causa sociale degli eccessi che costituiscono infrazioni alle regole della convivenza sociale è lo sfruttamento delle masse, la loro povertà, la loro miseria. Eliminata questa causa principale, gli eccessi cominceranno infallibilmente a "estinguersi". Non sappiamo con quale ritmo e quale gradualità, ma sappiamo che si estingueranno. E con essi si estinguerà anche lo Stato.
[...]
La prima fase del comunismo non può dunque ancora realizzare la giustizia e l'uguaglianza; rimarranno differenze di ricchezze e differenze ingiuste; ma non sarà più possibile lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, poichè non sarà più possibile impadronirsi, a titolo di proprietà privata, dei mezzi di produzione, fabbriche, macchine, terreni, ecc. Demolendo la formula confusa e piccolo-borghese di Lassalle sulla "uguaglianza" e la "giustizia" in generale, Marx indica il corso dello sviluppo della società comunista, costretta da principio a distruggere solo l'"ingiustizia" costituita dall'accaparramento dei mezzi di produzione da parte di singoli individui, ma incapace di distruggere di punto in bianco l'altra ingiustizia: la ripartizione dei beni di consumo "secondo il lavoro" (e non secondo i bisogni).
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La condizione economica della completa estinzione dello Stato è che il comunismo giunga a un grado così elevato di sviluppo che ogni contrasto di lavoro intellettuale e fisico scompaia, e che scompaia quindi una delle principali fonti della disuguaglianza sociale contemporanea, fonte che la sola socializzazione dei mezzi di produzione, la sola espropriazione dei capitalisti non può inaridire di colpo.
[...]
Lo Stato potrà estinguersi completamente quando la società avrà realizzato il principio. "Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni", cioè quando gli uomini si saranno talmente abituati a osservare le regole fondamentali della convivenza sociale e il lavoro sarà diventato talmente produttivo ch'essi lavoreranno volontariamente secondo le loro capacità. "L'angusto orizzonte giuridico borghese", che costringe a calcolare con la durezza di uno Shylock: - non avrò per caso lavorato mezz'ora più di un altro, non avrò guadagnato un salario inferiore a un altro? -, questo ristretto orizzonte sarà allora sorpassato. La distribuzione dei prodotti non renderà più necessario che la società razioni i prodotti a ciascuno: ciascuno sarà libero di attingere "secondo i suoi bisogni".
[...]
La democrazia ha una grandissima importanza nella lotta della classe operaia contro i capitalisti per la sua emancipazione. Ma la democrazia non è affatto un limite, un limite insuperabile; è semplicemente una tappa sulla strada che va dal feudalesimo al capitalismo e dal capitalismo al comunismo.
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La democrazia è una forma dello Stato, una delle sue varietà. Essa è quindi. come ogni Stato, l'applicazione organizzata, sistematica, della costrizione agli uomini. Questo, da un lato. Ma dall'altro lato, la democrazia è il riconoscimento formale dell'uguaglianza fra i cittadini, del diritto uguale per tutti di determinare la forma dello Stato e di amministrarlo. Ne deriva che, a un certo grado del suo sviluppo, la democrazia in primo luogo unisce contro il capitalismo la classe rivoluzionaria, il proletariato, e gli dà la possibilità di spezzare, di ridurre in frantumi, di far sparire dalla faccia della terra la macchina dello Stato borghese, anche se borghese repubblicano, l'esercito permanente, la polizia, la burocrazia. e di sostituirli con una macchina più democratica, ma che rimane tuttavia una macchina statale, costituita dalle masse operaie armate, e poi da tutto il popolo che partecipa alla milizia.
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Registrazione e controllo: ecco l'essenziale, ciò che è necessario per l'"avviamento" e il funzionamento regolare della società comunista nella sua prima fase. Tutti i cittadini si trasformano qui in impiegati salariati dello Stato, costituito dagli operai armati. Tutti i cittadini diventano gli impiegati e gli operai d'un solo "cartello" di tutto il popolo, dello Stato. Tutto sta nell'ottenere che essi lavorino nella stessa misura, osservino la stessa misura di lavoro e ricevano nella stessa misura. La registrazione e il controllo in tutti questi campi sono stati semplificati all'estremo dal capitalismo che li ha ridotti a operazioni straordinariamente semplici di sorveglianza e di conteggio, e al rilascio di ricevute, cose tutte accessibili a chiunque sappia leggere e scrivere e fare le quattro operazioni.

Quando la maggioranza del popolo procederà ovunque essa stessa a questa registrazione e a questo controllo dei capitalisti (trasformati allora in impiegati) e dei signori intellettuali che avranno conservato ancora delle abitudini capitaliste, questo controllo diventerà veramente universale, generale, nazionale, e nessuno potrà in alcun modo sottrarvisi, "non saprà dove cacciarsi" per sfuggirvi.

L'intera società sarà un grande ufficio e una grande fabbrica con uguaglianza di lavoro e uguaglianza di salario.

Ma questa disciplina "di fabbrica" che il proletariato, vinti i capitalisti e rovesciati gli sfruttatori, estenderà a tutta la società, non è affatto il nostro ideale né la nostra meta finale: essa è soltanto la tappa necessaria per ripulire radicalmente la società dalle brutture e dalle ignominie dello sfruttamento capitalistico e assicurare l'ulteriore marcia in avanti.

Dal momento in cui tutti i membri della società, o almeno l'immensa maggioranza di essi, hanno appreso a gestire essi stessi lo Stato, si sono messi essi stessi all'opera, hanno "organizzato" il loro controllo sull'infima minoranza dei capitalisti, sui signori desiderosi di conservare le loro abitudini capitaliste e sugli operai profondamente corrotti del capitalismo, - da quel momento la necessità di qualsiasi amministrazione comincia a scomparire. Quanto più la democrazia è completa, tanto più vicino è il momento in cui essa diventa superflua. Quanto più democratico è lo "Stato" composto dagli operai armati, che "non è più uno Stato nel senso proprio della parola", tanto più rapidamente incomincia ad estinguersi ogni Stato.

Infatti quando tutti avranno imparato ad amministrare ed amministreranno realmente essi stessi la produzione sociale, quando tutti procederanno essi stessi alla registrazione e al controllo dei parassiti, dei figli di papà, dei furfanti e simili "guardiani delle tradizioni del capitalismo", ogni tentativo di sfuggire a questa registrazione e a questo controllo esercitato da tutto il popolo diventerà una cosa talmente difficile, un'eccezione così rara, provocherà verosimilmente un castigo così pronto e così esemplare (poichè gli operai armati sono gente che hanno il senso pratico della vita e non dei piccoli intellettuali sentimentali; non permetteranno che si scherzi con loro), che la necessità di osservare le regole semplici e fondamentali di ogni società umana diventerà ben presto un costume.

Si spalancheranno allora le porte che permetteranno di passare dalla prima fase alla fase superiore della società comunista e, quindi, alla completa estinzione dello Stato. "


Lenin : "STATO E RIVOLUZIONE - la dottrina marxista sullo Stato e i compiti del proletariato nella Rivoluzione" - 1917.


Shalom

Pieffebi
02-05-07, 19:27
Scrive LENIN, nel marzo 1918, in I COMPITI IMMEDIATI DEL POTERE SOVIETICO:


In ogni rivoluzione socialista, dopo che il problema della conquista del potere da parte del proletariato è stato risolto, e nella misura in cui si attua nelle sue grandi linee il compito di espropriare gli espropriatori, e di schiacciare la loro resistenza, si pone necessariamente in primo piano un altro problema essenziale: creare un regime sociale superiore al capitalismo; elevare cioè la produttività del lavoro e, in connessione con ciò (e a questo scopo), organizzare il lavoro in modo superiore.
[...] L'aumento della produttività del lavoro esige innanzi tutto che siano garantite le basi materiali della grande industria: sviluppo della produzione del combustibile, del ferro, delle macchine, dei prodotti chimici.
[...] Un'altra condizone per l'aumento della produttività del lavoro è in primo luogo l'elevamento del grado di istruzione e di cultura della grandi masse della popolazione.
[...] Fra le assurdità che la borghesia diffonde volentieri sul conto del socialismo vi è anche quella secondo cui i socialisti negherebbero l'importanza dell'emulazione. In realtà soltanto il socialismo, sopprimendo le classi e quindi l'asservimento delle masse, per la prima volta apre la strada a un'emulazione veramente di massa.
[..] Sarebbe tuttavia sciocco e assurdo utopismo ritenere che senza costrizione e senza dittatura si possa passare dal capitalismo al socialismo. Già molto tempo fa la teoria di Marx ha preso posizione molto decisamente contro questa assurdità piccolo borghese e anarchiaca.
[...] D'altra parte non è difficile persuadersi che in ogni transizione dal capitalismo al socialismo la dittatura è necessaria per due ragioni essenziali, o in due direzioni principali.
In primo luogo, non si può vincere ed estirpare il capitalismo senza reprimere implacabilmente la resistenza degli sfruttatori che non possono di colpo essere privati delle loro ricchezze, dei loro vantaggi nella organizzazione e nel sapere, e che quindi, per un periodo di tempo relativametne lungo, tenteranno inevitabilmente di rovesciare l'aborrito potere dei poveri. In secondo luogo ogni grande rivoluzione, e specialmente una rivoluzione socialista, anche se non ci fosse una guerra esterna, è inconcepibile senza una guerra interna, cioè una guerra civile che porta con sè uno sfacelo ancora maggiore che non una guerra esterna, che comporta migliaia e milioni di esempi di esitazione e di passaggio da un campo all'altro, uno stato di massima incertezza, di squilibrio, di caos. Ed è naturale che in una rivoluzione così profonda tutti gli elementi di disgregazione della vecchia società, fatalmente assai numerosi e connessi soprattutto con la piccola borghesia (giacchè essa è la prima ad essere rovinata e colpita da ogni guerra e da ogni crisi), non possono non *venire a galla*. E possono venire a galla soltanto moltiplicando i delitti, gli atti banditeschi, la corruzione, la speculazione e ogni sorta di altre infamie. Per venire a capo di tutto ciò occorre del tempo, occorre IL PUGNO DI FERRO.
Nella storia non è mai avvenuta una sola grande rivoluzione in cui il popolo non l'abbia sentito istintivamente e non abbia dato prova di salutare fermezza fucilando i ladri sul posto.
[...] Quest'esperienza storica di tutte le rivoluzioni, questa lezione politica ed economica di tutta la storia mondiale, fu fissata da Marx in una formula breve, netta, precisa ed incisiva: dittatura del proletariato. E che la rivoluzione russa si sia accinta in modo giusto ad attuare questo compito mondiale, è DIMOSTRATO dalla marcia trionfale dell'organizzazione soviettista fra tutti i popoli e le nazionalità della Russia. Il potere sovietico non è infatti altro che la forma di organizzazione della dittatura del proletariato, della dittatura della classe d'avanguardia che eleva a una nuova democrazia, alla partecipazione autonoma al governo dello Stato, decine e decine di milioni di lavoratori e sfruttati, i quali imparano dalla loro propria esperienza a considerare l'avanguardia disciplinata e cosciente del proletariato come la loro guida più sicura.
[..] La dittatura è un potere ferreo, audace e rapido in modo rivoluzionario, spietato nel reprimere sia gli sfruttatori che i banditi. [..]
Se noi non siamo anarchici, dobbiamo ammettere che lo Stato, cioè la coerecizione, è necessario per compiere il passaggio dal capitalismo al socialismo. La forma di questa coercizione [statale] è determinata dal grado di sviluppo della classe rivoluzionaria: e poi da circostanze particolari, come per esempio l'eredità di una guerra lunga e reazionaria; infine dalle forme che assume la resistenza della borghesia. Non esiste quindi nessuna contraddizione di principio fra la democrazia sovietica (cioè socialista) e l'esercizio del potere dittatoriale da parte dei singoli. La differenza fra dittatura del proletariato e dittatura della borghesia consiste nel fatto che la prima dirige i suoi colpi contro una minoranza sfruttatrice nell'interesse della maggioranza sfruttata.
[....] Dobbiamo imparare a combinare lo spirito democratico nelle masse lavoratrici quale si manifesta nelle riunioni, impetuoso come la piena primaverile, con la disciplina FERREA durante il lavoro, con la SOTTOMISSIONE ASSOLUTA, durante il lavoro, alla volontà di una sola persona, il dirigente sovietico.
[...] Il carattere socialista della democrazia sovietica, cioè proletaria, nella sua applicazione concreta, attuale, consiste in primo luogo nel fatto che gli elettori sono le masse lavoratrici e sfruttate, e la borghesia è esclusa; in secondo luogo tutte le formalità burocratiche e le restrizioni elettorali sono eliminate: le masse stesse fissano il sistema e la data delle elezioni ed hanno la completa libertà di revocare gli eletti; in terzo luogo si crea una migliore organizzazione dell'avanguardia dei lavoratori, cioè del proletariato della grande industria, organizzazione che gli permette di assumere la direzione delle più larghe masse di sfruttati, di farle partecipare a una vita politica indipendente, di educarle politicamente sulla base della loro esperienza; e così per la prima volta ci si accinge al compito di far in modo che realmente TUTTA la popolazione impari a governare, cominci a governare.
Questi sono i principali tratti distintivi del democratismo che è stato attuato in Russia, democratismo di tipo superiore, che rompe con la deformazione borghese del democratismo e segna il passaggio al democratismo socialista, e a condizioni che permettono allo Stato di cominciare ad estinguersi.

Saluti liberali