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Ulan
19-12-02, 04:06
La guerra civile, la collettivizzazione delle campagne (con annessa biblica carestia), la rivoluzione culturale, l’eliminazione della banda dei quattro, le 5 modernizzazioni, il massacro di Tien An Men, l’annessione di Hong Kong, l’esplosione neocapitalista, questi, in poche righe, i punti focali dell’ultimo mezzo secolo di storia cinese, una serie di eventi sempre traumatici, spesso antitetici e contraddittori.
Quest’immenso ed apparentemente sonnacchioso paese è stato scosso e violentato dai suoi governanti per spingerlo, alle soglie del XXI secolo, in quella modernità che non è riuscita a farvi breccia nel XIX e nel XX.
La Cina ha una civiltà forse antica di quella Occidentale e con caratteristiche peculiari ed immutabili; negli ultimi 3000 anni l’Europa (e le sue appendici) ha cambiato religioni, lingue ed una miriade di filosofie, la Cina no o comunque molto meno.
In Occidente la voglia di libertà individuale ha proceduto di pari passo con la diffusione del benessere, di più: man mano che un ceto raggiungeva un significativo peso economico pretendeva di dire la sua anche nella conduzione dello Stato.
In altri termini man mano che aumentava il reddito v’era la metamorfosi da plebe cenciosa, indistinta ed indistinguibile ad individui con nome, cognome, diritti ed aspettative.
Non nel Celeste Impero, lì c’è sempre stato un’imprenditoria mercantile abile, spregiudicata ed intraprendente, banchieri fors’anche più ricchi dei Medici, dei Flügger e dei Rotschild, ma mai in grado di scalzare il potere dei Mandarini che non erano la nobiltà di nascita e d’ascendenza guerriera come in Europa o in Giappone, ma una casta di tecnocrati cristallizzata in una educazione rigidamente letteraria.
Una elite talmente piena della propria superiorità intellettuale da ignorare la realtà se questa non era conforme ai dettami della propria filosofia, ne più ne meno di come i burocrati sovietici ricusavano l’evidenza quando questa non fosse conforme al verbo marxista-leninista.
Questi uomini, dalla metà del XV secolo, soffocarono il Paese con un regime autarchico per non dire autistico, del tutto indifferente ed insensibile a quanto avveniva oltre le proprie frontiere.
Anche in Giappone accadde lo stesso ma lì il potere era in mano ai militari che, come tali, eran indifferente alla purezza ideologica ma sensibili alla differenza tra vittoria e sconfitta.
Il Samurai valutò, da buon soldato, che gli Occidentali erano indiscutibilmente più forti e si adoperò per capirne prima ed emularne poi tattiche e tecnologie, il Mandarino si limitò a cercare nella sua libreria il poema che narrava come secoli o millenni prima altri barbari fossero stati sconfitti e di ciò si sentì appagato.
I cinesi (come peraltro molti ancor oggi in Europa, no global ed insospettabili loro simpatizzanti) non capirono che la tecnologia non cresce sugli alberi ma è frutto di una cultura né si può insieme disprezzarla e volerne i risultati pratici.
Da noi questa è stata la battaglia combattuta e non ancora vinta negli ultimi trecento anni e, se la lotta ha dato buoni risultati, è stato solo perché, grazie a Dio, l’Europa non fu mai unificata e tra decine di statualità in conflitto perenne s’instaurò una corsa al primato tecnologico.
Per un Galileo zittito a in Italia c’era un Newton coperto d’onori in Inghilterra; un Colombo snobbato in Portogallo trovava udienza in Castiglia.
Qui mancò, fino ad ora almeno, un unico apparato repressivo, un'unica ideologia, un'unica ortodossia, un unico conformismo; tutto quello insomma che ha forgiato il Celeste Impero con la sua grandezza apparente e la sua fragilità sostanziale.
La Cina imperiale aveva, nel XV secolo, tutti i numeri per dominare il mondo, ma a quella gara vinta da alcune piccole nazioni europee non partecipò nemmeno.
Aveva i mezzi arrivare in California, per colonizzare l’Africa orientale e magari arrivare ad aprire una stazione commerciale alla foce del Tamigi, ma non accadde nulla di tutto ciò, le navi ed i cantieri furono bruciati, i viaggi transoceanici vietati, il tutto per timore che i contatti con l’esterno turbassero la celeste armonia dell’Impero.
Oggi i cinesi ricominciano ad arricchirsi con la benedizione di 66 milioni di quei nuovi Mandarini che sono i membri partito comunista, quel grande paese mira al rango di super potenza, unico contraltare possibile agli USA; funzionerà?
Un punto a favore è proprio il comunismo, sotto il cui paravento è possibile trattare i lavoratori peggio che nella Mancester del 1820 senza che alcuno (a differenza dell’India o del Pakistan) si levi a pretendere “clausole sociali” o invochi boicottaggi etici; vi si possono realizzare tutte le perversioni ambientali mentre Gereen Peace si gira dall’altra parte; insomma c’è la collaudata macchina della repressione comunista al servizio del capitalismo più piratesco e disinvolto e, come sempre, l’omertà della “coscienze critiche” nostrane.
Tutto ciò, bisogna ammetterlo, è un gran bel vantaggio competitivo, di più, anche il nazionalismo fanatico e lo sciovinismo esasperato di cui i dirigenti cinesi sono così intrisi da far sembrare Le Pen un pacifista internazionalista, è accettato come manifestazione di giusta rivalsa terzomondista contro l’uomo bianco (eppure non sono, né più né meno, che le argomentazioni degli imperialisti giapponesi anni ’30 ma tant’è) aiuta nella scalata al rango di super potenza, né mi stupirei se tra qualche lustro i soliti €urogonzi cominciassero ad auspicare la santa alleanza tra €urolandia ed il colosso asiatico contro i perfidi nipoti d’Albione.
I contro però non son da poco: una visione del mondo in cui ti raccontano che non sei altro che un’insignificante rotella in un ingranaggio colossale può funzionare se non sai che fuori c’è una società che pone l’uomo quale misura di tutte le cose, quando in qualche modo lo vieni a sapere cominci a pensare.
Ed oggi non è possibile nascondere questi “dettagli”, non perlomeno a quei giovani promettenti che il partito per primo vuole in contatto con i barbari dal naso a punta perché ne apprendano le tecniche.
E poi ch’è Internet, non a caso combattuta ferocemente dal governo di Pechino, ormai si parla di decine d’arresti e di 4 morti per torture e percosse tra quanti sono stati scoperti a visitare siti non graditi alle autorità.
Pro e contro che si incarnano in due metropoli, da una parte Shangai dove dal nulla, dalla miseria maoista, si va costruendo un futuro tumultuoso, ricco, sfavillante, pacchiano ed iniquo, dall’altra Hong Kong dove, sostituita l’efficienza, l’onestà, il rispetto dei diritti individuali dell’amministrazione coloniale con la corruzione, il satrapismo ed il nepotismo tipici della Cina eterna, l’economia è entrata in vite ed oggi la Perla dell’Oriente è solo l’ombra di quella che fu quando vi sventolava l’Union Jack.
Vada come vada se i cinesi sono pazienti e programmano di sfidare gli USA entro il prossimo secolo questi ultimi sono previdenti e vanno stringendo rapporti sempre più stretti con le due potenze locali avversarie storiche di Pechino.
Oggi c’è la santa alleanza contro il terrorismo islamico ma l’obbiettivo è di più amplio respiro, domani India e Russia potranno essere le due ganasce di una tenaglia che avviluppa la Cina ed ha per fulcro l’Afganistan.