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Colombo da Priverno
30-12-02, 17:28
LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI

Teresio Bosco

Una superstizione nuova e malefica

La prima presa di posizione dello Stato Romano contro i Cristiani risale all'imperatore Claudio (41-54 d.C.). Gli storici Svetonio e Dione Cassio riferiscono che Claudio fece espelle- re i giudei perché erano continuamente in lite fra loro per causa di un certo Chrestos. "Saremmo davanti alle prime reazioni provocate dal messaggio cristiano nella comunità di Roma", commenta Karl Baus.
Lo storico Gaio Svetonio Tranquillo (70-140 ca.), funzionario imperiale di alto rango sotto Traiano e Adriano, intellettuale e consigliere dell'imperatore, giustificherà questo e i successivi interventi dello Stato contro i Cristiani definendoli "superstizione nuova e malefica": parole molto pesanti. Come superstizione il Cristianesimo viene collegato, con la magici. Per i Romani essa è quell'insieme di pratiche irrazionali che maghi e stregoni dalla sinistra personalità usano per imbrogliare la gente ignorante, priva di educazione filosofica.
Magia è l'irrazionale contro il razionale, la conoscenza volgare contro la conoscenza filosofica. L'accusa di magia (come quella di follia) è un arma con la quale lo Stato Romano bolla e sottopone a controllo nuove e dubbie componenti della società come il Cristianesimo.
Con la parola malefica (=portatrice di mali) viene incoraggiato il sospetto ottuso del popolino che immagina questa novità (come ogni novità) intrisa dei delitti più innominabili, e quindi causa dei mali che ogni tanto si scatenano inspiegabilmente dalla peste all'alluvione, dalla carestia all'invasione dei barbari.

Corpo aperto ma etnìa chiusa e sospettosa

L'Impero Romano è (e si manifesterà specialmente nelle persecuzioni contro i Cristiani) un grande corpo aperto, disposto ad assorbire ogni nuovo popolo chi abbandona la propria identità, ma anche un'etnìa chiusa e sospettosa. Con la parola etnìa, gruppo etnico (greco éthnos) indichiamo un aggregato sociale contraddistinto da una stessa lingua e cultura, sospettoso verso ogni altra etnia.
Roma, con la sua organizzazione sociale di liberi con tutti i diritti e schiavi senza diritti, di patrizi ricchi e di plebei miseri, di centro sfruttatore e periferia sfruttata, è persuasa di aver realizzato il sogno di Alessandro Magno: fare l'unità dell'umanità, fare di ogni uomo libero un cittadino dei mondo, e dell'impero "un'assemblea universale" (oikuméne) che coincide con la "civiltà umana".
Chi vuol vivere al di fuori di essa, mantenere la propria identità per non confondersi con essa, si esclude dalla civiltà umana. Roma ha una grande paura di questi "estranei", di questi "diversi" che potrebbero mettere in discussione la sua sicurezza. E come ha stabilito la "concordia universale" con la feroce efficienza delle sue legioni, intende mantenerla a colpi di spa- da, di crocifissioni, di condanne ai lavori forzati, di esili. In una parola: Roma usa la "pulizia etnica" come metodo per tutelare la propria tranquilla sicurezza di essere "il mondo civile".

Nerone e i Cristiani visti dall'intellettuale Tacito

Nell'anno 64 un incendio devastò 10 dei 14 quartieri di Roma. L'imperatore Nerone, accusato dal popolo di esserne 1'autore, gettò la colpa sui Cristiani. Inizia la prima, grande persecuzione che durerà fino al 68 e vedrà perire tra gli altri gli apostoli Pietro e Paolo.
Il grande storico Tacito Cornelio (54-120), senatore e console, descriverà questo avvenimento scrivendo al tempo di Traiano i suoi Annales. Egli accusa Nerone di aver ingiustamente incolpato i Cristiani, ma si dichiara convinto che essi meritano le più severe punizioni perché la loro superstizione li spinge a compiere nefandezze. Non condivide quindi nemmeno la compassione che molti provarono nel vederli torturati. Ecco la celebre pagina di Tacito:
"Per tagliar corto alle pubbliche voci, Nerone inventò i colpevoli, e sottopose a raffinatissime pene quelli che il popolo chiamava Cristiani e che erano invisi per le loro nefandezze. Il loro nome veniva da Cristo, che sotto il regno di Tiberio era stato condannato al supplizio per ordine del procuratore Ponzio Pilato. Momentaneamente sopita, questa malefica superstizione proruppe di nuovo non solo in Giudea, luogo d'origine di quel flagello, ma anche in Roma dove tutto ciò che è vergognoso e abominevole viene a confluire e trova la sua consacrazione.
Per primi furono arrestati coloro che facevano aperta confessione di tale credenza. Poi, su denuncia di questi, ne fu arrestata una gran moltitudine non tanto perché accusati di aver provocato l'incendio, ma perché si ritenevano accesi d'odio contro il genere umano. Quelli che andavano a morire erano anche esposti alle beffe: coperti di pelli di fiere, morivano dilaniati dai cani, oppure erano crocifissi, o arsi vivi a modo di torce che servivano a illuminare le tenebre quando il sole era tramontato. Nerone aveva offerto i suoi giardini per godere di tale spettacolo, mentre egli bandiva i giochi del circo e in veste di cocchiere si mescolava al popolo, o stava ritto sul cocchio.
Perciò, per quanto quei supplizi fossero contro gente colpevole e che meritava tali, originali tormenti, pure nasceva verso di loro, un senso di pietà, perché erano sacrificati non al comune vantaggio ma alla crudeltà del principe" (1 5,44). 1 Cristiani erano quindi creduti anche da Tacito gente spregevole, capace di crimini orrendi. 1 più infami crimini attribuiti ai Cristiani erano l'infanticidio rituale (come se nel rinnovamento della Cena del Signore, in cui si cibava- no dell'eucarestia, uccidessero un bambino e lo mangiassero!) e l'incesto (chiaro travisamento dell'abbraccio di pace che avveniva, nella celebrazione dell'eucaristia "tra fratelli e sorelle"). Queste accuse, nate dal pettegolezzo del popolino, furono così sanzionate dall'autorità dell'Imperatore, che li perseguitava e li condannava a morte.
Da quel momento (ce lo testimonia Tacito) si aggiunse a carico dei Cristiani anche un nuovo crimine: l'odio contro il genere umano. Plinio il giovane, ironicamente, scriverà che con una accusa simile si sarebbe potuto d'ora in poi condannare a morte chiunque.

Accusati di ateismo

Molto scarse sono le notizie della persecuzione che colpì i Cristiani nell'anno 89, sotto l'imperatore Domiziano. Di particolare importanza è la notizia riportata dallo storico greco Dione Cassio, che a Roma fu pretore e console. Nel libro 67 della sua Storia Romana afferma che sotto Domiziano furono accusati e condannati "per ateismo" (ateòtes) il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, e con loro molti altri che «avevano adottato gli usi giudaici».
L'accusa di ateismo, in questo secolo, è rivolta a chi non considera divinità suprema la maestà imperiale. Domiziano, durissimo restauratore dell'autorità centrale, pretende il culto massimo alla sua persona, centro e garanzia della "civiltà umana".
E' notevole che un intellettuale come Dione Cassio chiami il rifiuto del culto all'imperatore "ateismo". Significa che a Roma non si ammette nessun'idea di Dio che non coincida con la maestà imperiale. Chi ne ha una diversa viene eliminato come gravemente pericoloso alla "civiltà umana".
Nel 111 Plinio il giovane, governatore della Bitinia sul Mar Nero, stava tornando da un'ispezione della sua popolosa e ricca provincia quando un incendio devastò la capitale, Nicodemia. Si sarebbe potuto salvare molto se ci fossero stati i pompieri. Plinio fa rapporto all'imperatore Traiano (98-117): "Spetta a te, signore, valutare se è necessario creare un'associazione di pompieri di 150 uomini. Da parte mia, farò attenzione che tale associazione non accolga che pompieri...
Traiano gli risponde bocciando l'iniziativa: «Non dimenticare che la tua provincia è preda di società di questo genere. Qualunque sia il loro nome, qualunque sia la destinazione che noi vogliano dare a uomini riuniti in un corpo, ciò dà luogo, in ogni caso e rapidamente, a eterie». Il timore delle eterie (nome greco delle "associazioni") prevalse così su quello degli incendi.
Il fenomeno era antico. Le associazioni di qualsiasi tipo che si trasformavano in gruppi politici avevano spinto Cesare a interdire tutte le associazioni nell'anno 7 a.C.: "Chiunque stabilisce un'associazione senza autorizzazione speciale, è passibile delle medesime pene di coloro che attaccano a mano armata i luoghi pubblici e i templi". La legge era sempre in vigore, ma le associazioni continuavano a fiorire; dai battellieri della Senna ai medici di Avenches, dai mercanti di vino di Lione ai trombettieri di Lamesi. Tutte difendevano gli interessi dei loro iscritti facendo pressioni sui poteri pubblici.
Plinio non tardò ad applicare l'interdizione delle eterie a un caso particolare che gli si presentò nell'autunno del 112. La Bitinia era piena di Cristiani. "E' una folla di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, sparsa nelle città, nei villaggi e le campagne», scrive all'Imperatore. Continua dicendo di aver ricevuto denunce dai costruttori di amuleti religiosi, disturbati dai Cristiani che predicavano l'inutilità di simili cianfrusaglie.
Aveva istituito una specie di processo per conoscere bene i fatti, ed aveva scoperto che essi avevano l'abitudine di riunirsi in un giorno fissato, prima dei levarsi del sole, di cantare un inno a Cristo come a un dio, di impegnarsi con giuramento a non perpetrare crimini, a non commettere né ruberie né brigantaggi né adulteri, a non venir meno alla parola data. Essi hanno anche l'abitudine di riunirsi per prendere il loro cibo che, nonostante le dicerie, è cibo ordinario e innocuo".
1 Cristiani non avevano cessato queste riunioni nemmeno dopo l'editto dei governatore che ribadiva l'interdizione delle eterie. Continuando la lettera (10,96), Plinio riferisce all'imperatore che in tutto ciò non vede nulla di male. Ma il rifiuto di offrire incenso e vino davanti alle statue dell'Imperatore gli sembra un atto di derisione sacrilega. L'ostinazione di questi Cristiani gli sembra "irragionevole e balorda".
Dalla lettera di Plinio appare chiaro che sono cadute le accuse assurde di infanticidio rituale e di incesto. Rimangono quelle di "rifiuto di rendere culto all'Imperatore" (quindi di lesa maestà), e di costituzione di eteria.
L'Imperatore risponde: «I Cristiani non si devono perseguire d'uffício. Se invece vengono denunciati e riconosciuti colpevoli bisogna condannarli». In altre parole: Traiano incoraggia a chiudere un occhio su di loro: sono un'eteria innocua come i battellieri della Senna e i venditori di vino di Lione. Ma poiché stanno praticando una "superstizione irragionevole, balorda e fanatica" (come la giudica Plinio e altri intellettuali del tempo come Epitteto, e continuano a rifiutare il culto all'Imperatore (e quindi si considerano "estranei" alla vita civile), non si può far finta di niente. Se denunciati, vanno condannati.
Continua quindi (anche se in forma meno rigida) il «Non è lecito essere Cristiani». Vittime di questo periodo sono sicuramente il vescovo di Gerusalemme Simeone, crocifisso all'età di 120 anni, e Ignazio vescovo di Antiochia, portato a Roma come cittadino romano, e ivi giustiziato. La stessa politica, verso i Cristiani viene adoperata dagli imperatori Adriano (1 17- 138) e Antonino Pio (138-161).

Marco Aurelio: il Cristianesimo è una follia

Marco Aurelio (161 - 180), imperatore filosofo, passò 17 dei suoi 19 anni di impero a guerreggiare. Nelle Memorie in cui ogni sera, sotto la tenda militare, annotava alcuni pensieri per se stesso, si trova un grande disprezzo per il Cristianesimo. Lo considerava una follia perché proponeva alla gente comune, ignorante, una maniera di comportarsi (fratellanza universale, perdono, sacrificarsi per gli altri senza attendere ricompensa) che solo i filosofi come lui potevano comprendere e praticare al termine di lunghe meditazioni e discipline.
In un rescritto del 176-7 egli proibì che settari fanatici, con l'introduzione di culti fino allora sconosciuti, mettessero in pericolo la religione di stato. La situazione dei Cristiani, sempre pesante, sotto di lui si inasprì.
Le fiorenti comunità dell'Asia Minore fondate dall'Apostolo Paolo furono sottoposte giorno e notte a ruberie e saccheggi da parte della plebaglia. A Roma il filosofo Giustino e un gruppo di intellettuali cristiani furono condannati a morte. La fiorente cristianità di Lione fu annientata sotto l'accusa di ateismo e immoralità. (Perirono tra torture raffinate anche la giovanissima Biandina e il quindicenne Pontico).
Le relazioni che ci sono pervenute fanno intendere che l'opinione pubblica era andata inasprendosi verso i Cristiani. Grandi calamità pubbliche (dalle guerre alla peste) avevano de- stato la convinzione che gli déi fossero adirati contro Roma. Quando si constatò che alle funzioni espiatorie ordinate dall'Imperatore, i Cristiani erano assenti, il furore popolare cercò pretesti per scatenarsi contro di loro. Questa situazione continuò anche nei primi anni dell'Imperatore Commodo, figlio di Marco Aurelio. Sotto il regno di Marco Aurelio, l'offensiva degli intellettuali di Roma contro i Cristiani raggiunse il culmine.
"Spesso ed erroneamente - scrive Fabio Ruggiero - si crede che il mondo antico abbia combattuto la nuova fede con le armi dei diritto e della politica. In una parola, con le persecuzioni. Se questo può essere vero (e comunque solo in parte) per il primo secolo dell'era cristiana, già non lo è più a partire dalla metà del secondo secolo. Tanto il mondo gentile (=pagano) quanto la chiesa comprendono, pressappoco nella stessa epoca, la necessità di combattersi e di dialogare sul terreno dell'argomentazione filosofica e teologica.
La cultura antica, allenata da secoli a tutte le sottigliezze della dialettica, può opporre armi intellettuali raffinatissime al complesso dottrinale cristiano, e ben presto la stessa Chiesa, rendendosi conto della forza che il pensiero classico esercita nel frenare l'espansione dell'evangelo, comprende la necessità di elaborare un pensiero filosofico-teologico genuinamente cristiano, ma capace allo stesso tempo, di esprimersi in un linguaggio e in categorie culturali intelligibili da parte del mondo grecoromano, nel quale sempre più viene a inserirsi».

Le argomentazioni degli intellettuali anticristiani

Le argomentazioni di Marco Aurelio (121-180),Galeno (129-200), Luciano, Pellegrino Proteo e specialmente di Celso (tutti e tre scrivono le loro opere nella seconda metà del secondo secolo) si possono condensare così:
"La "salvezza" dall'insignificatività della vita, dal disordine delle vicende, dal nulla della morte, dal dolore, si può trovare solo in una "sapienza filosofica" da parte di una élite di rari intellettuali. La faccenda che i Cristiani pongano questa "salvezza" nella "fede" in un uomo crocifisso (come gli schiavi) in Palestina (una provincia marginale) e dichiarato risorto, è una follia.
La faccenda che i Cristiani credano nel messaggio di questo crocifisso, rivolto di preferenza agli emarginati e ai poveri (alla "polvere umana") e che predica la fratellanza universale (in una società ben scaglionata a piramide e considerata "ordine naturale") è un'altra follia intollerabile che dà fastidio, che rovescia tutto. i Cristiani bisogna eliminarli come eversori della civiltà umana».
La critica degli intellettuali anticristiani si puntualizza sull'idea stessa di "rivelazione dall'alto", non basata sulla "sapienza filosofica"; sulle Scritture cristiane, che hanno contraddizioni storiche, testuali, logiche; sui dogmi "irrazionali"; sulla faccenda del LOGOS di Dio che si fa carne (Vangelo di Giovanni) e si sottomette alla morte degli schiavi; sulla morale cristiana (fedeltà nel matrimonio, onestà, rispetto degli altri, mutuo soccorso) che può essere raggiunta da una piccola schiera di filosofi, non certo da una massa intellettualmente povera.
Tutta la dottrina cristiana, per questi intellettuali, è follia, come follia è la pretesa di risurrezione (cioè della prevalenza della vita sulla morte), la preferenza data da Dio agli umili, la fratellanza universale. E' tutto irrazionale.
Il filosofo greco Celso, nel suo Discorso vero, scrive: "Raccogliendo gente ignorante, appartenente alla popolazione più vile, i Cristiani disprezzano gli onori e la porpora, e giungono fino a chiamarsi indistintamente fratelli e sorelle...
L'oggetto della loro venerazione è un uomo punito con l'ultimo dei supplizi, e del legno funesto della croce essi fanno un altare, come conviene a depravati e criminali».

Le prime pacate reazioni dei Cristiani

Per decenni i Cristiani stanno zitti. Sì diffondono con la forza silenziosa dei divieto. Oppongono amore e martirio alle accuse più infamanti. E nel secolo secondo che i loro primi apologisti (Giustino, Atenagora, Taziano) negano con l'evidenza dei fatti le accuse più infamanti, e cercano di esprimere la loro fede (nata in terra semitica e affidata a "narrazioni") in termini culturalmente accettabili da un mondo imbevuto di filosofia greco-romana. I "mattoni" ben allineati dei messaggio di Gesù Cristo cominciano ad essere organizzati secondo una struttura architettonica che possa essere stimata dai greci-romani. Saranno Tertulliano in Occidente e Origene in Oriente (nel terzo secolo) a dare una forma sistematica e imponente a tutta la "sapienza cristiana". Con i "mattoni" dei messaggio di Gesù Cristo si tenterà di delineare l'armonia della basilica romana- come poi, coi passare dei secoli, si tenterà di delineare l'arditezza della cattedrale gotica, la solida pacatezza del duomo romanico, la fastosità della chiesa barocca...

La grave crisi del terzo secolo (200-300)

Il secolo terzo vede Roma in gravissima crisi. Le relazioni tra Cristianesimo e impero romano si capovolgono (anche se non tutti lo avvertono). La grande crisi è così descritta dallo storico greco Erodiano: "Nei 200 anni che precedettero, non ci fu mai un così frequente succedersi di sovrani, né tante guerre civili e guerre contro i popoli confinanti, né tanti movimenti di popoli. Ci fu una quantità incalcolabile di assalti di città all'interno dell'Impero e in molti paesi barbari, di terremoti e di pestilenze, di re e di usurpatori. Alcuni di essi esercitarono il comando a lungo, altri tennero il potere per brevissimo tempo. Qualcuno, proclamato imperatore e onorato, durò un solo giorno e subito finì».
L'Impero Romano si era progressivamente esteso con la conquista di nuove province. Questa continua conquista aveva permesso lo sfruttamento di sempre nuove vastissime terre (l'Egitto era il granaio di Roma, Spagna e Gallia il suo vigneto e uliveto). Roma si era impadronita di sempre nuove miniere (la Dacia era stata conquistata per le sue miniere d'oro). Le guerre di conquista avevano procurato turbe sconfinate di schiavi (i prigionieri di guerra), manodopera gratuita.
Verso la metà del terzo secolo (250 circa) si avvertì che la festa era finita. All'Est si era formato il forte impero Sassanide che portò durissimi attacchi ai Romani. Nel 260 fu catturato l'imperatore Valeriano con tutto l'esercito di 70 mila uomini, e le province dell'Est furono devastate. La peste devastò le legioni superstiti e dilagò paurosamente per l'Impero. A Nord si era formato un altro agglomerato di popoli forti: i Goti. Dilagarono nella Mesia, nella Dacia. L'Imperatore Decio e il suo esercito nel 251 furono massacrati. 1 Goti scesero devastando dal Nord, fino a Sparta, Atene, Ravenna. I cumuli di macerie che lasciavano erano terribili. Persero la vita o furono fatte schiave la maggior parte delle persone colte, che non poterono essere sostituite. La vita regredì a uno stato primitivo e selvatico. L'agricoltura e il commercio furono annientati.
In questo tempo di grave incertezza le sicurezze garantite dallo Stato cadono. Ora sono i gentili (=pagani) a diventare "irrazionali", a confidare non più nell'ordine imperiale ma nella protezione delle divinità più misteriose e strane. Sul Quirinale sorge un tempio alla dea egiziana Iside, l'imperatore Eliogabalo impone l'adorazione dei dio Sole, la gente ricorre a riti magici per tenere lontana la peste. Eppure anche nel secolo terzo ci sono anni di terribile persecuzione contro i Cristiani. Non più in nome della loro "irrazionalità" (in un mare di gente che si affida a riti magici, il Cristianesimo è ormai l'unico sistema razionale), ma in nome della rinata pulizia etnica. Molti imperatori (pur essendo barbari di nascita) vedono nel ritorno all'unità centralizzata l'unica via di salvezza. E decretano l'estinzione dei Cristiani sempre più numerosi per gettare fuori dall'etnia romana questo "corpo estraneo" che si presenta sempre più come un'etnia nuova, pronta a sostituire quella ormai declinante dell'impero fondato sulle armi, la rapina, la violenza.

Settimio Severo, Massimino il Trace, Decio e Gallo

Con Settimio Severo (193-211), fondatore della dinastia siriaca, sembra preannunciarsi al Cristianesimo una fase di sviluppo indisturbato. Cristiani occupano a corte posizioni influenti. Solo nel suo decimo anno di regno (202) l'imperatore cambia radicalmente atteggiamento.
Nel 202 appare un editto di Settimio Severo, che commina gravi pene per il passaggio al giudaismo e alla religione cristiana. Il cambiamento repentino dell'imperatore si può comprendere solo pensando che egli si sia reso conto che i Cristiani si uniscano sempre più fortemente in una società religiosa universale e organizzata, dotata di una intima forte capacità di opposizione che a lui, per considerazioni di politica statale, sembra sospetta. Le devastazioni più vistose le subirono la celebre Scuola cristiana di Alessandria e le comunità cristiane dell'Africa.
Massimino il Trace (235-238) ebbe una reazione violenta e rozza contro chi era stato amico del suo predecessore, Alessandro Severo, tollerante verso i Cristiani. Fu devastata la chiesa di Roma con la deportazione alle miniere della Sardegna dei due capi della comunità cristiana, il vescovo Ponziano e il presbitero Ippolito.
A dirci che l'atteggiamento verso i Cristiani non è cambiato nel popolino, c'è la vera e propria caccia ai Cristiani che si scatenò in Cappadocia quando si credette di vedere in loro i colpevoli di un terremoto. La rivolta popolare ci dice quanto i Cristiani fossero ancora considerati "estranei e malefici" dalla gente. (Cf K.Baus, Le origiini, p.282-287).
Sotto l'imperatore Decio (249-251) si scatena la prima sistematica persecuzione contro la Chiesa, con l'intenzione di sradicarla definitivamente. Decio (che succede a Filippo l'Arabo molto favorevole ai Cristiani se non cristiano lui stesso) è un senatore originario della Pannonia, ed è molto attaccato alle tradizioni romane. Sentendo profondamente la disgregazione politica ed economica dell'impero, crede di poterne restaurare l'unità raccogliendo tutte le energie intorno agli dei protettori dello stato. Tutti gli abitanti sono costretti a sacrificare agli dèi e ricevono, dopo ciò, dei certificati.
Le comunità cristiane sono sconvolte dalla tempesta. Coloro che rifiutano l'atto di sottomissione vengono arrestati, torturati, giustiziati: così a Roma il vescovo Fabiano, e con lui molti sacerdoti e laici. Ad Alessandria ci fu una persecuzione accompagnata da saccheggi. In Asia i martiri furono numerosi: i Vescovi di Pergamo, Antiochia, Gerusalemme. Il grande studioso Origene fu sottoposto a una disumana tortura, e sopravvisse quattro anni (ridotto a una larva umana) ai supplizi.
Non tutti i Cristiani sopportano la persecuzione. Molti accettano di sacrificare. Altri, mediante bustarelle, ottengono di nascosto i famosi certificati. Tra essi, secondo la lettera 67 di Cipriano, ci sono almeno due vescovi spagnoli. La persecuzione che sembra colpire a morte la Chiesa, termina con l'uccisione di Decio in battaglia contro i Goti nella pianura della Dobrugia (Romania). (Cfr. M. Clèvenot, 1 Cristiani e il potere, p. 179 s.).
1 sette anni successivi (250-257) sono anni di tranquillità per la Chiesa, turbata soltanto a Roma da una breve ondata di persecuzione quando l'imperatore Trebonio Gallo (251-253) fa arrestare il capo della comunità cristiana Cornelio e lo esilia a Centum Cellae (Civitavecchia). La condotta di lo fu probabilmente dovuta ad accondiscendenza agli umori dei popolo, che attribuiva ai Cristiani la colpa della peste che desolava l'impero. Il Cristianesimo era ancora visto come "superstizione" strana e malefica! (Cf. K. Baus, Le origini, p. 292).

Valeriano e le finanze dell'impero

Nel quarto anno dei regno di Valeriano (257) si ebbe un'improvvisa, dura e cruenta persecuzione dei Cristiani. Non si trattò tuttavia di una faccenda di religione, ma di denaro. Davanti alla precaria situazione dell'impero, il consigliere imperiale (poi usurpatore) Macriano indusse Valeriano a tentare di tamponarla sequestrando i beni dei Cristiani facoltosi. Ci furono martiri illustri (dal vescovo Cipriano a papa Sisto II, al diacono Lorenzo). Ma fu soltanto un furto coperto da motivi ideologici, che finì con la tragica fine di Valeriano. Nel 259 cadde prigioniero dei persiani con tutto il suo esercito, fu costretto a vita da schiavo e ne mori.
I quarant'anni di pace che seguirono, favorirono lo sviluppo interno ed esterno della Chiesa. Parecchi cristiani salirono ad alte cariche dello Stato e si dimostrarono uomini capaci e onesti.

Il disastro finanziario cade sulle braccia di Diocleziano

Nel 271 l'imperatore Aureliano ordinò ai soldati e ai cittadini romani di abbandonare al Goti la vasta provincia della Dacia e le sue miniere &oro: la difesa di quelle terre costava orinai troppo sangue.
Poiché non c'erano più province da conquistare e da sfruttare, tutte le attenzioni caddero sul cittadino comune. Su di lui si abbatterono tasse, obblighi, corvée (manutenzione di acquedotti, canali, fogne, strade, edifici pubblici ... ) sempre più onerose. Letteralmente non si sapeva più se si lavorava per sopravvivere o per pagare le tasse.
Nel 284, dopo una brillante carriera militare, fu acclamato imperatore Diocleziano, di origine dalmata. D'ora in poi le tasse si sarebbero pagate per testa e per jugero, cioè un tanto per ogni persona e per ogni zolla di terreno coltivabile.
La riscossione fu affidata a un'occhiuta ed elefantiaca burocrazia, che rendeva impossibile evadere il fisco, puniva in maniera disumana chi lo faceva e costava moltissimo allo stato.
Le tasse erano così pesanti che toglievano la voglia di lavorare. Rimedio: fu proibito abbandonare il posto di lavoro, il pezzo di terra che si coltivava, l'officina, la divisa militare. "Ebbe così inizio - scrive F. Oertel, professore di storia antica all'Università di Bonn - il feroce tentativo dello Stato di spremere la popolazione fino all'ultima goccia ... Sotto Diocleziano venne realizzato un integrale socialismo di stato: terrorismo di funzionari, fortissima limitazione dell'azione individuale, progressiva interferenza statale, pesante tassazione".

Persecuzione di Galerio a nome di Diocleziano

1 primi vent'anni del regno di Diocleziano non videro i Cristiani molestati. Nel 303, come un colpo di scena, scattò l'ultima grande persecuzione contro i Cristiani.
E' opera di Galerio, il "Cesare" di Diocleziano - scrive F. Ruggiero -. Egli pose fine nel 303 alla politica prudente di Diocleziano, che si era astenuto, nonostante nutrisse sentimenti tradizionalistici, da atti intransigenti e intolleranti». Quattro editti consecutivi (febbraio 303 - febbraio 304) imposero ai Cristiani la distruzione delle chiese, la confisca dei beni, la consegna dei libri sacri, la tortura fino alla morte per chi non sacrificava all'imperatore.
Come sempre, è difficile determinare quali motivi abbiano potuto indurre Diocleziano ad approvare una politica dei genere. Si può supporre che sia stato oggetto di pressioni da parte degli ambienti pagani fanatici che stavano dietro Galerio. In una situazione di "angoscia diffusa" (come la chiama Dodds), solo il ritorno alla fede antica di Roma poteva, secondo Galerio e i suoi amici, rinsaldare il popolo e persuaderlo ad affrontare tanti sacrifici. Occorreva un ritorno ai vetera instituta, cioè alle antiche leggi e alla tradizionale disciplina romana.
La persecuzione raggiunse la sua massima intensità in Oriente, specialmente in Siria, Egitto e Asia Minore. A Diocleziano, che abdicò nel 305, successe come "Augusto" Galerio, e come "Cesare" Massimo Daia, che si dimostrò più fanatico di lui.
Solo nel 311, sei giorni prima di morire per un cancro alla gola, Galerio emanò un irritato decreto con cui fermava la persecuzione. Con quel decreto (che storicamente segnò la definitiva libertà di essere Cristiani), Galerio deplorava l'ostinazione, la follia dei Cristiani che in gran numero si erano rifiutati di tornare alla religione dell'antica Roma; dichiarava che perseguitare i Cristiani era ormai inutile; e li esortava a pregare il loro Dio per la salute dell'imperatore.
Commentando quel decreto, F. Ruggiero scrive: "I Cristiani erano stati un nemico estremamente anomalo. Per oltre due secoli Roma aveva cercato di riassorbirli nel proprio tessuto sociale ... Fisicamente interni alla civitas Romana, ma per molti versi ad essa estranei» avevano alla fine determinato "una radicale trasformazione della civitas stessa in senso cristiano".

La rivoluzione profonda

Le ultime persecuzioni sistematiche dei terzo e quarto secolo erano risultate inefficaci come quelle sporadiche del primo e secondo secolo. La pulizia etnica invocata e sostenuta dagli intellettuali greco-romani non si era realizzata. Perché?
Perché le accuse indignate di Celso ("raccogliendo gente ignorante, appartenente alla popolazione più vile, i Cristiani disprezzano gli onori e la porpora, e giungono fino a chiamarsi indistintamente fratelli e sorelle") erano risultate alla lunga il miglior elogio dei Cristiani.
Il richiamo alla dignità di ogni persona, anche la più umile, e all'uguaglianza di fronte a Dio (la punta più rivoluzionaria dei messaggio cristiano) aveva fatto silenziosamente il suo cammino nella coscienza di tante persone e di tanti popoli, che i Romani avevano relegato in posizione miserevole di nati schiavi e di spazzatura umana.

Bibliografia essenziale: K.BAUS Le origini, Jaca Book; F.RUGGIERO La Follia dei Cristiani, Il Saggiatore; T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, Elle Di Ci; J. DA- NIELOU, H. MARROU, Dalle origini a S. Gregorio Magno, Marietti; M. CLEVENOT, Gli uomini della fraternità, 1-2 Borla.
Da: Dimensioni nuove, LDC, 10096 Leumann, Torino, N.7, 1996, p.29-39