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Visualizza Versione Completa : storie d'altri tempi: 1919 - 1922 - 1936



Felix (POL)
18-01-03, 21:36
1919: NASCONO I FASCI DI COMBATTIMENTO

I socialisti odiavano il Direttore del Popolo d’Italia. Si accanivano contro di Lui. Volevano annientarlo.

Era giunto il momento dell’azione.

Eccoci alla mattina del 23 marzo. Sono circa le dieci. La malinconica piazza di San Sepolcro, nella vecchia Milano, pare allietarsi di un soffio di giovinezza. Vi si vedono giungere da ogni parte gruppi di combattenti: giovani pieni di vita e di entusiasmo, taluni poco più che ragazzi.

Molti indossano la camicia nera degli arditi. […]

Sono soltanto centoquarantacinque i presenti, ma con loro è l’anima di tutti i combattenti del Carso, del Montello, del Grappa, del Piave.

Si stringono intorno al loro Capo, quegli che negli occhi ha tutto lo splendore della sua fede.

“Difenderemo i nostri morti”, Egli dice, “coloro che avemmo accanto nelle trincee e negli assalti e che sono rimasti lassù”. E le parole di Mussolini squillano come i primi rintocchi di una campana che chiami a riscossa. […]

Viene così costituito il primo “Fascio di Combattimento”.

E’ una nuova milizia che ha “l’audacia senza limiti!” dell’arditismo di guerra e obbedisce al motto: “O vincere, o morire”. […]

Nel buio di quel triste dopoguerra si era accesa una face. Il Fascismo era nato.

Ognuno dei partecipanti alla prima adunata portò con sé una scintilla di quella luce. E subito altri cuori si illuminarono e si accesero. Il fervore della lotta dilagò di città in città.

Le file s’ingrossarono.

I reduci, i mutilati, tutti coloro che soffrivano nella vergogna del Paese e che nulla potevano da soli contro le pazze orde dei comunisti, si strinsero a formare nuovi Fasci. […]

E divampò la guerra, guerra triste e necessaria, santa guerra di giustizia.

Quanti i caduti? Quanti i martiri della barbarie rossa? Ma gli eroi creano gli eroi.

Per ognuno che cade, ecco cento vivi accorrere per occuparne il posto.

Le squadre diventano legioni. La fiumana nera, gagliarda e risanatrice, percorre a rivoli tutte le contrade d’Italia

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1922: LA MARCIA SU ROMA

In quel tardo pomeriggio del 27 ottobre, sulla strada consolare che correva a breve distanza dal casello ferroviario, c’era stato un andirivieni insolito di veicoli.

Vittorio si era divertito a contare le motociclette, le automobili e gli autocarri che venivano a tutta corsa e rombando così furiosamente, che la casa ne tremava, ogni volta, come per un terremoto. […] Erano carichi di gente armata. Si vedevano gli elmetti, i fez, le camice nere degli arditi di Mussolini.

C’era nell’aria qualcosa di nuovo, di molto straordinario.

- Arrivano i fascisti, - disse il babbo rientrando dopo il passaggio di un treno, - le cose precipitarono.

Staccò dal muro il suo vecchio moschetto. Lo ripulì ben bene e se lo caricò sulla spalla.

- Ci vuol prudenza, - rispose alla moglie che lo interrogava con lo sguardo. – Le campagne sono malsicure. Quei contadini laggiù sono più rossi della loro casa. Vado ancora a perlustrare la strada. Bisogna raddoppiare di vigilanza. […]

Vittorio non era un bimbo ciarliero. Ciò che vedeva e che gli parlava al cuore, custodiva in sé e non dimenticava più. E il suo cuore si faceva ogni giorno più saldo e più ardito.

- Mamma, presto, la bandiera! Mettiamola fuori, - disse, quasi imperiosamente, rientrando. – I fascisti devono sapere che qui ci sono dei veri Italiani. […]

All’umida brezza della sera, la bandiera si gonfiò come una vela, palpitò come una grande ala variopinta, gettando sul paesaggio malinconico la gaia nota dei suoi vividi colori. […]

Il babbo rientrava. Vittorio udì i suoi passi su per la scala e le parole sommesse che scambiò con la mamma nella stanza accanto.

- […] Hanno del fegato quei ragazzi!

- Come piove! – sospirò la mamma. – Se la prendono tutta poveretti!

- Eh, ci vuol altro! E’ la gioventù che non si spaventa del fuoco, figurati se si accorge dell’acqua!

Vittorio aveva ripreso il suo posto di osservazione alla finestra.

La colonna in marcia era interminabile. Le squadre si succedevano alle squadre. Venivano giù quasi di corsa. […]

Lampi frequenti accendevano le nuvole d’improvvisi bagliori: la campagna si rischiarava di luci spettrali, per piombar poi subito nell’oscurità.

In quei fuggevoli momenti, Vittorio intravedeva una scena superba di forza e di audacia. Le colonne si perdevano all’orizzonte. […] A Vittorio pareva di sognare […]

Vittorio tende il braccio nel suo saluto romano. E pare dire: Vedete? Questo almeno lo so già fare.

- A Roma! A Roma! – esclama gioiosamente il giovane col braccio levato.

- Viva i Fascisti! Viva Mussolini! – grida ancora Vittorio, mentre quegli si slancia a gran corsa sulla strada, per raggiungere l’ultima squadra che già si vede lontana.

"Allora marciammo su Roma, negli anni successivi la marcia partì da Roma. Non è ancora finita. Nessuno ha potuto fermarci. Nessuno ci fermerà". Mussolini

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1936: LA GUERRA D'AFRICA

In Africa c’era un vasto Impero con una popolazione ancora barbara, dominata da un imperatore incapace e cattivo: l’Abissinia.

E gli Abissini ci molestavano: danneggiavano, invadevano i possedimenti che da tempo avevamo laggiù: le nostre colonie. Questo, poi, era troppo!

- Saremo noi a vincere l’Abissinia, - disse il Duce. – L’Italia porterà in quella terra quasi selvaggia la luce della sua civiltà.

Si vide allora una cosa straordinaria.

Cinquantadue nazioni ci furono contro. […]

Ci furono contro in che modo? Ci rifiutarono quello di cui avevamo bisogno in un momento tanto difficile: il carbone per le nostre macchine, la benzina per i nostri aeroplani, il ferro per le nostre armi, la cellulosa per i nostri proiettili…

E non acquistarono più i nostri prodotti per non darci l’oro.

Volevamo affamarci, asservirci, insomma; volevano ancora una volta far da padroni a casa nostra.

Parole del Duce

Il Duce si rizzò, fiero. La sua voce vibrante di sdegno si levò a sfidare il mondo intero:

“Alle sanzioni economiche opporremo la nostra sobrietà, la nostra disciplina, il nostro spirito di sacrificio”. […]

L’Italia è tutta con Mussolini: mentre la gioventù in armi, col suo impeto irresistibile, travolge il nemico, il popolo con offerte generose, dimostra il suo cuore. […]

Autarchia

L’Italia vinse. In sette mesi conquistò un Impero.

Le sanzioni crollarono miseramente.

Ma il Duce ancora vuole: vuole che si continui con lo stesso ardore a risparmiare, a lavorare, a produrre.

E’ sacrificio? Sia pure. Ma per la Patria qualsiasi sacrificio è gioia e orgoglio.



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da: Adele e Maria Zanetti, Patria. Letture per la terza classe dei centri urbani, Istituto Poligrafico dello Stato 1940.