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carbonass
22-01-03, 23:16
la prostituzione
nell'antica Roma


Era con il suo primo rapporto sessuale con una donna, più che indossando la toga virile, che il maschio romano attestava il proprio ingresso nella maggiore età. Per la mentalità latina il soddisfacimento dei piaceri fisici era una delle condizioni indispensabili per garantire la stabilità della struttura sociale, basata soprattutto sulla virilità dell’uomo.

Ma se nella Roma antica foste andati di notte sulla Via Appia o in qualunque altra strada del centro urbano, non avreste incontrato le passeggiatrici; a differenza di quella fiera delle nudità che fa bella mostra di sé in quasi tutte le nostre strade, oggi in Italia, nel mondo romano la prostituzione era praticata solo nei lupanari, i bordelli, che per la loro innegabile funzione sociale erano addirittura posti sotto la tutela e il controllo dello Stato.

Il diritto romano regolò con varie leggi la prostituzione: le “case” potevano essere aperte solo nelle ore notturne, evidentemente perché di giorno avrebbero danneggiato l’economia distraendo il cittadino dalle consuete attività produttive; ed erano situate fuori città o comunque in zone urbane ben individuabili e accessibili solo da chi volesse frequentarle: un po’ come avviene oggi in molte città dell’Europa centrale.

Le inquiline dei lupanari erano regolarmente registrate e adottavano un fittizio nome di battaglia, dovendo abbandonare quello della famiglia d’origine. A differenza delle moderne dame di compagnia, che qui in Italia fanno lauti guadagni ma non pagano le tasse, le prostitute romane guadagnavano poco e per di più venivano anche tassate: fu Caligola a vedere nella prostituzione un buon affare per lo Stato facendone un settore d’interesse per il fisco. E, intendiamoci, niente condoni…

Solitamente le meretrici erano schiave o appartenevano ai ceti più miseri, ma, per quel gusto della trasgressione che è sempre stato forte nella natura umana, non era nemmeno infrequente trovarsi a letto con una… prestatrice d’opera d’alto rango, che ovviamente si presentava sotto falso nome, come si dice dell’irrefrenabile Messalina, moglie dell’imperatore Claudio. E non era certo la sola.

A Roma c’erano qualcosa come 32mila prostitute, che si vendevano per l’equivalente di pochi euro di oggi nei lupanari dei bassifondi, dove le stanze erano piccole e più simili a celle che a un’alcova di piacere; sui muri, dipinti o scritte erotiche solleticavano gli appetiti dei clienti e servivano come catalogo delle varie prestazioni. Naturalmente, come oggi, non mancavano i prostituti maschi.

E non mancavano nemmeno quelli che, come nella nostra società moderna, chiameremmo… “club privés”: dei lussuosi postriboli privati ospitati in abitazioni patrizie, gestiti dalle stesse matrone e ben frequentati dall’alta società, mariti e figli delle matrone compresi.

Società gaudente e sfrenata liberalità di costumi, non c’è che dire. Ma i tempi erano quelli: posti sotto l’alto patronato di due divinità che di sesso se ne intendevano: Venere Ericìna, una divinità importata dalla Sicilia, le cui sacerdotesse praticavano la prostituzione come un rito religioso (per fare sesso, allora come oggi, tutte le scuse erano buone…); e Prìapo, un dio importato a Roma dall’Asia minore, raffigurato con un membro virile più grande di tutto il corpo… E a questi dèi la società romana non mancò mai di esprimere nei fatti la propria spontanea e compiaciuta venerazione.

Per finire, una considerazione su una caratteristica indisponente dell’opinione pubblica romana in tema di comportamenti sessuali: un maschio libero che si concedeva rapporti erotici con un altro maschio, era al massimo considerato semplicemente impudicus, uno sporcaccione; mentre a una povera prostituta venivano affibbiati appellativi che, impietosamente e senza possibilità di equivoci, ne individuavano la professione, rimarcandone l’abiezione; appellativi che si sono trasferiti col tempo nel moderno vocabolario volgare: lupa, dal nome di quella selvaggia e sempre allupata Acca Larenzia che aveva allevato Romolo e Remo; puttana, dal verbo latino putere, puzzare; troia, termine spregiativo che fa riferimento alla femmina del porco; o infine femmina da troiaio, porcile, per indicare quel luogo fetido e lurido dove le malcapitate si prostituivano

Mjollnir
22-01-03, 23:44
:£ :-0003p

Mjollnir
22-01-03, 23:49
Invece ci starebbe bene un bel 3d sul dio Priapo e sulla dea Venere :D :D :D
Chiederemo ad Orazio se ce lo appronta....;)

Orazio Coclite
23-01-03, 01:59
Ho qualche testo che tratta del culto di Priapo, appena ho tempo per scrivere magari ne estrapolo qualcosa. Di Venere vorrei invece segnalare un interessantissimo articolodi Salvatore C. Ruta presente sull'ultimo numero de La Cittadella.

Vale!

Orazio Coclite
23-01-03, 02:31
Ah! Colto da subitanea curiosità sono andato a cercare nella mia libreria, ed ho ritrovato un testo che comprai diversi anni fa a qualche bancarella di quelle che vendono i libri dei remainders a prezzi stracciati. Trattasi del classico: "Il culto di Priapo" di Richard Payne Knight, un testo datato (è addirittura del 1786) ma molto ricco di contenuti ed illustrazioni.

Ho qualcos'altro in inglese, ma per il momento, e vista l'ora tarda, preferisco procastinare la ricerca a domani.

Bonne nuit!

PS - http://www.menantolstudio.freeserve.co.uk/ questa è una casa editrice della Cornovaglia specializzata in libretti sui monumenti megalitici, ed in cose pagane e priapee, tra cui: "SAINT PRIAPUS. An Account of Phallic Survivals within the Christian Church and some of their Pagan Origins" (http://www.menantolstudio.freeserve.co.uk/phallicism.htm)

Orazio Coclite
23-01-03, 02:44
Invece niente buona notte! Mi sono messo a cercare qualcosa in rete su Priapo e ho trovato quest'interessante articolo de La Repubblica:


In un paesino del Friuli una kermesse in nome della virilità
E i maschi nudi fanno festa
E alle due del mattino la processione, con il simbolo di legno, arriva al tempio di Priapo

di Roberto Bianchin


MONTEPRATO (UD) - Lo sapevano, lo aspettavano, lo temevano. Sapevano che doveva arrivare prima o poi quel momento. A dispetto delle suppliche degli organizzatori, delle proteste del parroco e degli anatemi della curia che aveva bollato la festa ("amorale" aveva tuonato don Marco, il vicario), aveva imposto il divieto di spogliarsi, aveva censurato i manifesti. Tant'è.

Non era neanche suonata mezzanotte, nel grande cortile dell'oratorio della chiesa di san Giorgio dove la gente ballava a ritmo di disco music e due cubiste mezze nude si dimenavano sopra due grandi botti, quando Eddi, un montanaro vigoroso, ha trascinato una panca in mezzo alla pista da ballo, vi è salito sopra e ha abbassato, tra gli applausi, mutande e pantaloni insieme.

Era il segnale. Da quel momento in poi e fino a notte fonda è stata una gara, in pista, nel cortile, tra i boschi. E si è capito che il senso della festa, la "festa degli uomini" che si celebra in questo paesino sperduto sulle montagne del Friuli, stava tutto lì: mostrarlo. Esibire, come un trofeo, quel simbolo maschile che a Monteprato, 83 abitanti, una chiesam un bosco e un pugno di case in cima a un colle, spunta dappertutto nel giorno della festa, e i "fedeli", come li chiama Renato Di Betta, presidente dell'associazione culturale "karnizze" che organizza l'evento, giungono a migliaia.

"Festeggiamo semplicemente la nostra natura", spiegano. E allora vai. Vai con l'elezione di "mister maschio": vince Raffaello e gli danno una statuetta del David perchè ha l'aria annoiata, lo sguardo da tenebra e assomiglia a una brutta copia di Paul Newmann da giovane.

Fiumi di birra innaffiano i piatti fumanti di testicolo di toro. Lui, il simbolo della festa, troneggia ovunque: sui cappellini, sulle magliette, sui bicchieri, sulle caraffe persino sul pane e sulle posate. Per non parlare del bosco. Gli hanno dedicato un sentiero e, infondo un tempio tutto di legno circondato da totem. Dicono gli organizzatori, un gruppetto di giovanottoni dediti al culto di Priapo, che la festa ha origini antichissime e che una volta la celebravano i vecchi del paese per festeggiare la buona riuscita della stagione e il fatto che anche quell'anno, come accade anche adesso, e ormai da quattro lustri, fossero nati solo figli maschi.

Per questo la festa che si fa ogni anno, la prima domenica di agosto, la tengono quasi segreta. Perchè se no, arrivano i giornali, le tv montano lo scandalo e non si può più rifare la festa.

Qui alle due del mattino la singolare processione, va avanti, verso il tempio di Priapo: il simbolo in testa, di legno, alto due metri, portato a spalla da quattro giovani "vestali", e dietro il popolo degli uomini. Ogni tanto il "sacerdote" si ferma, come alle stazioni di una via crucis molto pagana, e intona "misteri goduriosi". Solo risate e goliardia, non c'è peccato.

Mjollnir
24-01-03, 14:42
Grazie dell'intervento, caro Orazio. Questo evento friulano mi ricorda gli studi di Alfonso Di Nola sulle feste popolari dell'Italia meridionale. qui la cosa interessante è che, a quanto pare, il significato originario della festa non sia stato del tutto dimenticato, al contrario di altre località. Anche se poi, ovviamente, il tutto si perde un pò nella profanità contemporanea.

+ in generale, il 3d aperto da carbonass ci offre lo spunto per un altro grande argomento, ossia la sessualità nel paganesimo, ed in particolare per un argomento scottante quale la omosessualità nel paganesimo. Scottante perchè il fenomeno è spesso al centro del dibattito anche ai nostri tempi e in tutti gli ambiti della vita (religioso, morale, politico, sociale) e perchè le nostre fonti di ispirazione sembrano essere in contraddizione con le posizioni che molti assumono rispetto al fenomeno calato nell'attualità.

Come dobbiamo considerare dunque l'omosessualità da un punto di vista pagano ? Libera scelta individuale non ispirata da sistemi morali sessuofobici come quello cristiano, oppure violazione di un vero e proprio principio dell'ordine cosmico quale la polarità complementare di maschile e femminile ?

Orazio Coclite
25-01-03, 02:49
Per risponderti, caro Mjollnir, riporto il link al thread "Roma non cambia mai..." che il buon Carbonass, con l'eleganza e doppia morale che lo contraddistingue, ha postato sul forum eno, e che guardacaso va proprio a toccare il tema da te avanzato. E che certamente è tratto dalla stessa fonte dell'articolo postato in apertura: http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=40184

...Roma non cambia mai... :confused: (humor inglese?)

Orazio Coclite
25-01-03, 02:59
E comunque, per rispondere a braccio alla tua domanda, ribadisco la necessità di andare oltre la ristretta morale sessuofoba, bacchettona e perbenista affermatasi in duemila anni di cancrena cristiana dell'Europa. Si potrebbero citare esempi copiosi dell'esercizio del libero amore nel mondo classico, sia di carattere orgiastico (profano e sacro), che etero ed omosessuale. Riconoscere la centralità della famiglia in quanto istituzione fondante del vero Stato, non inficia una libertà sessuale la cui limitazione non fa altro che da preambolo alla limitazione della libertà spirituale e religiosa. A tal senso ho letto alcune interessantissime cose dalla penna di Alain Danielou, lo studioso francese convertitosi all'Induismo, che in suo scritto arrivava perfino a giustificare unioni carnali con animali, basandosi appunto sui testi sacri hindù. Da qualche parte ho un articolo a proposito, arricchito da foto raffiguranti bassorilievi 'osceni' di templi induisti. Certamente una posizione molto estrema che lascia basiti e costernati noi occidentali. Magari recupero il tutto e ne faccio un estratto, vedremo...

Orazio Coclite
25-01-03, 03:02
Parlando di Alain Daniélou, mi sono ricordato di questo articoletto sull'eros e la spiritualità, che ho trascritto di mia mano qualche tempo fa:


Alain Daniélou

La religione dell’eros


L’universo è un’opera meravigliosa d’armonia, di bellezza, d’equilibrio. Sono possibili altri universi, fondati su altre formule. Quello in cui si trova l’uomo è il risultato di una scelta nel pensiero di quel principio immenso, inconoscibile, indefinibile, da cui sono nati gli dèi, la materia e la vita.
Non può esserci nulla che non sia implicito nella propria causa. Se il pensiero esiste negli esseri, il pensiero è necessariamente parte del principio cosmico che li ha originati. Esiste dunque un pensiero universale, una coscienza universale, e la creazione non è soltanto un caso, ma la scelta di una volontà trascendente che l’ha voluta così com’è. Tutti gli elementi che costituiscono il mondo sono interdipendenti, sono parte di un tutto. Non c’è uno iato, una discontinuità nell’opera del Creatore. Il mondo minerale, il mondo vegetale, il mondo animale e umano, e il mondo sottile degli spiriti e degli dei esistono l’uno mediante l’altro, l’uno per l’altro. Non può esserci un vero approccio al divino, una ricerca del divino, una scienza, una religione, una mistica che non tenga conto di questa unità fondamentale del creato.
Vediamo comparire dal profondo dei tempi questa ricerca, questa sete di conoscere, di capire la natura del mondo, la ragion d’essere della vita, questo desiderio di accostarsi al principio creatore, di prendervi rifugio. E’ una ricerca che, per essere valida, non può ammettere né barriere né a priori, non può ignorare alcun aspetto degli esseri o delle cose. Penetra nelle civiltà, nelle religioni, nei modi di pensare più diversi e li rimette inevitabilmente in questione.
Il sentimento dell’unità profonda del pensiero creatore e di tutti gli aspetti del creato resta sempre presente, sia pure allo stato latente, alla coscienza degli uomini, e basta che un messaggio degli dèi venga a risvegliare questa questa coscienza per ricordare ad alcuni di essi che l’unica via alla felicità, alla realizzazione di se stessi è quella della cooperazione senza riserve all’opera del Creatore, nell’amore e nell’amicizia che devono unire le piante, gli animali, gli uomini e gli esseri sottili. Qui non si tratta di sentimentalismo, di amare il proprio giardino e il proprio cane, di dipingere le nuvole in rosa ma occorre che l’uomo ritrovi umilmente il proprio posto in questo mondo selvaggio, magnifico e crudele che è opera degli dèi.
Se invece ignoriamo o rifiutiamo di vedere l’ordine universale in tutto ciò che costituisce il nostro ordine fisico o mentale e i legami che ci uniscono, a ogni livello, al mondo naturale e cosmico, attiriamo su di noi la follia distruttrice che è la manifestazione della collera degli dèi.

Le due fonti della religione
Il fenomeno religioso, dopo la nascita delle civiltà urbane, si è manifestato e concretato, presso i popoli sedentari, in due forme opposte e contraddittorie. L’una è legata al mondo della natura, l’altra all’organizzazione della vita collettiva nella città. La religione primordiale rappresenta l’insieme degli sforzi dell’uomo per capire la creazione, per armonizzarsi con essa, penetrarne i segreti, cooperare all’opera del Creatore, accostarglisi, identificarsi con lui.
Quest’approccio non separa la sfera corporea da quella intellettuale e spirituale cui è indissolubilmente legata Il corpo è lo strumento di tutte le realizzazioni umane e come tale va trattato, come insegna lo yoga. La creazione nella sua totalità, la sua bellezza, il suo rigoglio, la sua crudeltà, la sua armonia, è l’espressione del pensiero divino, è in qualche modo la materializzazione, il corpo di Dio.
Solo coloro che comprendono il loro posto tra gli alberi, i fiori, gli animali, possono realmente accostarsi al mondo degli spiriti e degli dèi, immaginare il piano del creatore, presentire la gioia del divino. Per l’uomo consapevole che la creazione non soltanto è opera divina, ma è la forma stessa del divino, ogni essere, ogni vita, ogni atto assume un carattere sacro, diventa un rito, un mezzo di comunicazione col mondo celeste.
“Conformarsi a ciò che si è, è Dharma” (“Svalaksana-dharanaddharmah”). Dharma è un vocabolo che significa “legge naturale”. Conformarvisi è l’unica virtù. Non c’è altra religione che la realizzazione di ciò che si è per nascita, natura, atteggiamenti. Ciascuno deve recitare come meglio può la parte che gli è assegnata nel gran teatro della creazione.
L’altra forma di religione è quella della città, della società degli uomini. Essa pretende d’imporre sanzioni divine a convenzioni sociali. Innalza delle leggi umane ad atti sacri. Serve da scusa alle ambizioni degli uomini che pretendono di dominare il mondo naturale, di servirsene, di attribuirsi una posizione unica a detrimento delle altre specie, vegetali, animali, persino sovrannaturali.
C’è voluta la strana e malefica perversione dei valori nelle civiltà e nelle religioni moderne che caratterizzano il Kali Yuga, l’Età dei Conflitti in cui ci troviamo, perché l’uomo rinunciasse al proprio ruolo nell’ordine cosmico che comprende ogni forma d’essere o di vita, per interessarsi solo a se stesso e divenire il distruttore dell’armonia del creato, lo strumento cieco, vanitoso e brutale del proprio declino.
Sotto l’influsso delle concezioni religiose rudimentali dei conquistatori nomadi le religioni della città assunsero un carattere antropocentrico che in origine non era palese. I popoli nomadi non hanno un vero contatto col mondo della natura. Non vivono in comunità con dèi, alberi, animali, a meno che non si tratti di quelli che hanno asservito o addomesticato.
Si portano appresso i loro dèi e le loro leggende, e più degli altri sono predisposti alla semplificazione monoteistica, a considerare la natura come un insieme di pascoli anonimi, che essi sfruttano e distruggono, e gli dèi come guide al servizio dell’uomo. In origine tutte le religioni antidionisiache sono religioni di nomadi, siano essi Ari, Ebrei o Arabi, tendono a conservare questo carattere, anche quando i nomadi sono divenuti sedentari. Ogni religione che consideri i propri fedeli come eletti i quali pretendono d’aver ricevuto da un dio il diritto e il dovere di propagandare le loro credenze, i loro costumi, e di distruggere o asservire gli infedeli, non può essere che un’impostura. Le crociate, le missioni, le guerre sante sono maschere dell’egemonia e del colonialismo.
La religione della città doveva trovare giustificazione nell’illusione monoteistica: “Il numero uno – dicono i Tantra – è il simbolo dell’illusione”.

(AA.VV. “Sesso una porta per il divino” (FCE tascabili), pp. 25)

Mjollnir
25-01-03, 03:30
Grazie per l'articolo, caro Orazio.
Dandogli una scorsa così di fretta ci sono però alcune cose che non mi convincono. Ma lo leggerò con + calma in seguito.

Intanto ti prego di :

[list=1]
non storpiare il nome degli altri fora;
non fare il processo alle intenzioni al prossimo.
[/list=1]

Grazie alla collaborazione di tutti, il forum sta crescendo bene...
continuiamo così :)

carbonass
25-01-03, 17:28
ti chiedo scusa se ti sei sentito "offeso" dal mio post
sul forum etno
ma non confondere la bassa lotta politica
con la "grande guerra santa"
Nella lotta politica è concesso ogni colpo basso
nella guerra santa sono concessi solo i colpi "alti"

Orazio Coclite
25-01-03, 19:40
Caro Carbonass, francamente non vedo per quale motivo tu ti senta in dovere di scusarti. Credo che da quanto scritto finora si sia evinto che, al di là delle idee e delle pecche personali, io sia comunque una persona schietta e diretta, per cui se quello è veramente quello che pensi, allora non devi assolutamente scusartene, ma rimanere ancorato alle tue idee (?), e per me va bene così.

Chiarito ciò, faccio anch'io ammenda per la mia forse troppo pronunciata vena polemica. Plaudo al tuo gesto, proprio perché non c'è cosa al mondo che apprezzi più dell'educazione, soprattutto fra quanti divisi dalla propria contrapposta concezione del mondo.

Valete.



PS - e comunque per me l'omosessualità non è il tipo di accusa da farmi trasalire troppo, in primis perché non lo sono, e in secundis perché ritengo che ognuno sia libero di usufruire della propria sessualità come meglio ritiene.

Mjollnir
26-01-03, 01:07
Originally posted by Orazio Coclite

ritengo che ognuno sia libero di usufruire della propria sessualità come meglio ritiene.

Dunque non può esservi niente, neanche nel paganesimo, qualcosa d'altro e di superiore rispetto all'arbitrio individuale, che regolamenti il comportamento sessuale e sociale :confused:

Orazio Coclite
26-01-03, 16:57
Originally posted by Mjollnir
Dunque non può esservi niente, neanche nel paganesimo, qualcosa d'altro e di superiore rispetto all'arbitrio individuale, che regolamenti il comportamento sessuale e sociale :confused:
Dopo la risposta sul celtismo, cercherò qui di essere telegrafico. Tutto nasce secondo me da un equivoco che prolifera ormai da tempo nella società moderna. Ed è un equivoco che si sviluppa su di un dato di per sé falso e fuorviante: quello che possono esistere due differenti forme di sessualità, oggigiorno identificate con 'etero' ed 'omo' sessualità. Mi scuso per aver continuato anch'io ad usare tale terminologia poco sopra, ma l'ho fatto per amor di brevità. Il cardine del discorso è che di sessualità ne esiste una sola, ed è quella perfetta e compenetrante uomo-donna. Tutto il resto sono finzioni dettate da un allontanarsi dalla Tradizione primordiale, ma di fondo tutta la storia del 'progresso' umano è un decadere dal centro primordiale. La vita umana, nei suoi mille aspetti, presenta connotazioni anti-tradizionali di cui il fenomeno dell'omosessualità è solamente uno dei tanti e neanche il più importante o pericoloso. Tutto nasce dalla pretesa di conferire pari dignità ad una coppia omosessuale di fronte ad una coppia eterosessuale. Nell'evo antico la fruizione della sessualità per fini di mero piacere personale, era una pratica diffusa, come d'altronde oggigiorno, ma senza per questo mettere in crisi il modello vigente che inquadrava nella famiglia e nel rapporto uomo-donna il centro della struttura sociale vigente. Il soldato greco poteva pure prendere in affidamento un fanciullo con cui magari anche amoreggiare, ma mai e poi mai avrebbe riconosciuto pari liceità a tale pratica paragonandola alla struttura portante della famiglia greca saldantesi sul rapporto uomo-donna. E' questo l'errore che secondo me fanno gli uomini moderni, giudicano fatti a loro lontani con la mentalità attuale. Oggigiorno confondiamo la sfera privata con la sfera pubblica, e la sfera sacra con quella profana.

Questo il motivo per cui, in linea di massima e nella riattualizzazione ai nostri giorni di forme spirituali arcaiche, non ritengo di capitale importanza l'imporre una costrizione in materia sessuale. Fermo restando che ritengo l'omosessualità uno squilibrio che ancora irrimediabilmente l'uomo alla terra precludendogli possibilità di maggiore trascendenza. Dopotutto vedo che molti dei principali avversatori degli omosessuali sono di solito preti, persone motivate da odio religioso monoteista, appartenenti a formazioni politiche reazionarie e perbeniste (che poi magari spacciano la cocaina sotto banco...). Allo stato attuale del nostro povero pianeta ci sono problemi di capitale importanza, e se la pratica omosessuale è di certo negativa per l'uomo, non di meno l'uso di un'automobile, il consumo di cibi altamente nocivi per il corpo e per lo spirito (carne, latte, uova) o la giornaliera morte interiore causata dal nostro modus vivendi, non possono che essere mali ben peggiori.

Questo il mio punto di vista. Se poi preferisci potremo andare ad esaminare direttamente le fonti classiche per vedere come la cosa veniva giudicata anticamente.

Ave atque vale.

Mjollnir
30-01-03, 17:36
Originally posted by Orazio Coclite
Questo il motivo per cui, in linea di massima e nella riattualizzazione ai nostri giorni di forme spirituali arcaiche, non ritengo di capitale importanza l'imporre una costrizione in materia sessuale

Ma infatti, Orazio,penso che la questione principale non sia constringere gli omosessuali ad essere eterosessuali, quanto impedire che le istituzioni, il diritto, l'etica pubblica, diventino "omosessualiste" o cmq neutrali rispetto alle 2 modalità. Esse devono ratificare e sacralizzare cmq l'eterosessualità, su questo personalmente non ho alcun dubbio.


Originally posted by Orazio Coclite
Questo il mio punto di vista. Se poi preferisci potremo andare ad esaminare direttamente le fonti classiche per vedere come la cosa veniva giudicata anticamente.
Ave atque vale.

Questo sarebbe effettivamente un lavoro interessante, magari da scaglionare nel tempo...

runen
30-01-03, 17:41
Quanto scritto da Orazio Coclite mi pare condivisibile.
D'altronde le imposizioni in materia di morale e di pratica sessuale, oltre a lasciare il tempo che trovano (per gli scarsi esiti che producono) hanno alle spalle una visione "peccaminosa".
Credo la mentalità pagana debba essere indifferente alle scelte personali in materia, come lo è in quella religiosa: se anche per ipotesi esistesse un intero popoli di sodomiti, che senso avrebbe "convertirli"?
E' vero che si precludono vie di trascendenza, o, come dice correttamente Orazio, che gli invertiti restano "ancorati alla terra". Ma per quanto mi riguarda è affar loro.
Tutto questo, certo, nei quadri di una società normale come lo è quella tradizionale. E' evidente che disgustano l'esibizione pubblica dell'omosessualità, le sfilate, le effusioni o i vari "gay pride". Ma questo è evidentemente un discorso diverso, attinente la decenza e non la libertà privata.

Vahagn
31-01-03, 00:10
Pongo un elemento in più:

può essere che una concezione favorevole dell'omosessualità derivi da quel substrato pre-ario (o mediterraneo-tellurico, o come lo si voglia chiamare) che costituisce una parte non irrilevante della civiltà europea? Da un esame sommario della storia dei vari popoli dell'antichità vediamo che:

- gli arii generalmente aborriscono l'omosessualità, la quale comunque fa capolino nelle culture di "frontiera" (come possono essere considerate quelle degli arii finiti nella zona del Mediterraneo, che cioé soggiogarono popolazioni di tipo tellurico; oppure i germani più asiatizzati come certe tribù gote; per quanto riguarda il sistema tantra - di probabile origine dravidica e inglobato dal brahmanesimo degli arii - non sono al corrente se tolleri o meno l'omosessualità ... ).

- la concezione basata sul patriarcato, su un divino di tipo uranico, e su una modalità "eroica", si distingue anche nella sessualità dalla concezione basata sul matriarcato, quindi promiscua e poco sensibile all'aspetto differenziazione (questo anche prima dell'entrata in gioco dell'ebraismo e del cristianesimo, i quali possono benissimo avere derivato la concezione virilista da un ramo delle prime ondate arie sceso in area mesopotamica, anche se poi la adattarono al tipo schizoide della razza desertica).

Può essere una pista ulteriore d'indagine?

Mjollnir
31-01-03, 02:43
Originally posted by runen
Credo la mentalità pagana debba essere indifferente alle scelte personali in materia, come lo è in quella religiosa: se anche per ipotesi esistesse un intero popoli di sodomiti, che senso avrebbe "convertirli"?

Qui penso che sia necessaria molta chiarezza: d'accordo se si intende come astensione dall'intromettersi nel comportamento privato, ma solo finchè questo rimane, appunto privato. Per nulla d'accordo quando si richiede una accettazione (o parificazione) dall'etica pubblica.

Mjollnir
31-01-03, 02:51
Originally posted by Vahagn
Pongo un elemento in più:

può essere che una concezione favorevole dell'omosessualità derivi da quel substrato pre-ario (o mediterraneo-tellurico, o come lo si voglia chiamare) che costituisce una parte non irrilevante della civiltà europea? Da un esame sommario della storia dei vari popoli dell'antichità vediamo che:

- gli arii generalmente aborriscono l'omosessualità, la quale comunque fa capolino nelle culture di "frontiera" (come possono essere considerate quelle degli arii finiti nella zona del Mediterraneo, che cioé soggiogarono popolazioni di tipo tellurico; oppure i germani più asiatizzati come certe tribù gote; per quanto riguarda il sistema tantra - di probabile origine dravidica e inglobato dal brahmanesimo degli arii - non sono al corrente se tolleri o meno l'omosessualità ... ).

- la concezione basata sul patriarcato, su un divino di tipo uranico, e su una modalità "eroica", si distingue anche nella sessualità dalla concezione basata sul matriarcato, quindi promiscua e poco sensibile all'aspetto differenziazione (questo anche prima dell'entrata in gioco dell'ebraismo e del cristianesimo, i quali possono benissimo avere derivato la concezione virilista da un ramo delle prime ondate arie sceso in area mesopotamica, anche se poi la adattarono al tipo schizoide della razza desertica).

Può essere una pista ulteriore d'indagine?

Sì, caro Vahagn, potrebbe essere una traccia.
Tuttavia mi sorge una perplessità: perchè considerare le culture matriarcali meno sensibili alla differenziazione ? Direi che semmai la loro peculiarità è nell'inversione dei rapporti tra i poli maschile-femminile.

Vahagn
31-01-03, 20:12
Originally posted by Mjollnir


Sì, caro Vahagn, potrebbe essere una traccia.
Tuttavia mi sorge una perplessità: perchè considerare le culture matriarcali meno sensibili alla differenziazione ? Direi che semmai la loro peculiarità è nell'inversione dei rapporti tra i poli maschile-femminile.

Più che di inversione dei rapporti tra le due polarità, parlerei di diversa importanza, anche se può sembrare un cavillo. Cmq ribadirei l'elemento indistinzione-caotico, confermato - in campo sociale - dalla mancanza di una struttura gerarchica all'interno di quelle culture. Credo che l'Evola che riprende le ricerche pionieristiche di Bachofen, e la stessa Gimbutas (dall'altra parte della barricata), parlino proprio di indistinto. Andrò a ripescare qualche brano significativo in proposito.
Ps. del caposaldo di Bachofen c'è, oltre alla versione striminzita dei Fratelli Melita, la versione integrale nei Millenni della Einaudi, oltre ad un paio di opere "minori" pubblicate dalla napoletana Guida.
Discretamente interessante anche l'ultimo lavoro di Giuseppe Sermonti, proprio sul matriarcato: "Il mito della grande madre" (Mimesis, Milano, 2002, euri 13).

Vahagn
01-02-03, 14:46
Ecco un breve estratto tratto da un fascicolo della Fondazione Evola ("Il matriarcato nell'opera di J.J. Bachofen", che è poi lo scritto introduttivo dell'edizione di Evola del "Matriarcato" per Bocca del 1949, poi rmessa anche nell'editio minor curata da Del Ponte per Melita):



[…] Il Bachofen ha scoperto l’”età ginecocratica”, cioè l’èra nella quale il principio feminile è sovrano. Corrisponde, a tale èra, un arcaico stadio della civiltà mediterranea, legato ai popoli pelasgi oltre che ad un gruppo di genti del bacino sud-orientale ed asiatico del Mediterraneo. Il Bachofen ha giustamente rilevato che, nelle fonti, un insieme di elementi vari, ma concordanti rimanda, in tali popoli, all’idea centrale, secondo la quale all’origine e al vertice di ogni cosa starebbe un principio femminile, una Dea o Donna divina, incorporante i supremi valori dello spirito; di fronte ad essa non solo il principio maschile, ma anche quello della personalità e della differenza apparirebbe secondario e contingente, soggetto alla legge del divenire e dello svanire in opposto all’eternità e alla immutabilità propria alla grande Madre cosmica, alla Madre della Vita.
Questa Madre è talvolta la terra, talaltra la legge di natura concepita come un fatto a cui gli stessi dèi sono astretti. Sotto alri aspetti (e, in corrispondenza, avremo varie differenziazioni) essa è tanto Demetra quale dea dell’agricoltura e della terra ordinata, quanto Afrodite-Astarte quale principio di estasi orgiastiche, di abbandoni dionisiaci, di sregolatezza “eterica” (dal termine greco “etera”, non da etere) avente per corrispondenza analogica la flora selvaggia palustre. Il carattere precipuo di questo ciclo di civiltà consiste appunto nel suo limitare al dominio naturalistico-materiale tutto ciò che è personalità, virilità, differenza; nel porre invece sotto il segno feminile (feminile nel senso più alto) il dominio spirituale, tanto da farne spesso appunto un sinonimo di promiscuità panteistica e da costituirlo in antitesi a tutto ciò che è forma, diritto positivo, vocazione eroica di una virilità non più materiale. Esteriormente, l’espressione più concreta di questo tipo di civiltà è il matriarcato e, più in generale, la ginecocrazia. La ginecocrazia, cioè la sovranità della donna, riflette il valore mistico che a questa viene attribuito in una tale concezione del mondo. Essa, peraltro, può avere anche per controparte (nelle sue forme più basse), l’egualitarismo del diritto naturale, l’universalismo e il comunismo. L’irrilevanza di tutto ciò che p differenza, l’eguaglianza di ogni singolo rispetto alla Matrice cosmica, al principio materno e “tellurico” (da tellus, terra) della natura donde ogni cosa ed ogni essere promana e in cui di nuovo si dissolverà dopo una esistenza efimera, sta alla base della promiscuità comunistica così come di quella orgiastica delle feste nelle quali anticamente si celebrava appunto il ritorno alla Madre e allo stato di natura e tutte le distinzioni sociali venivano temporaneamente abolite. […] [Evola]

Ora, è chiaro che l’identità europea è fatta anche di un misto tra la componente uranico-iperborea portata dagli invasori arii nelle loro varie ondate, e la componente tellurico-matriarcale incontrata da questi ultimi strada facendo, e inglobata nelle nuove civiltà indoeuropee così costituite. Non c’è praticamente dettaglio artistico, letterario, mitico, demico, che non mostri, a solo voler saggiare il terreno, la presenza di questa compenetrazione e stratificazione (gerarchizzata, ovvero con la concezione uranica in cima, anche laddove gli arii non furono che tenue èlite). Quindi, non è la componente caotico-matriarcale che deve spaventare, purché abbia il suo posto (che è quello poi che dev’essere della donna nei rapporti dell’uomo, se ci spostiamo all’àmbito della famiglia o del rapporto tra i sessi, ovvero di complementarietà subordinata). Ciò che sta succedendo oggi (con comunismo, femminismo, omosessualità, promiscuità, cultura dello sballo, antirazzismo), è proprio il riemergere di queste componenti risalenti al substrato an-ario, dovuto all’indebolimento dell’elemento egemone ario, per le note cause cosmiche della decadenza ciclica, che ben conosciamo. E’ chiaro che, al peggiorare dei tempi, è la componente sempre più bassa di un miscuglio quella che emerge in evidenza. Solo che qui non vi è più l’uscita temporanea dall’ordine di queste componenti nella festa carnevalesca o dei saturnalia, qui andiamo sempre più verso un carnevale perpetuo, 365 giorni all’anno (che è poi il fine del movimentismo giovanile moderno), un Dioniso perennemente scatenato. E’ il brodo della massa che sente l’istinto di ritornare nella vagina primordiale, di sparire nel caos primigenio, nella vegetazione lussureggiante degli ambientalisti e dei vitalisti simbolo della ribellione all’ordine positivo, nell’oceano che tanto attrae inconsciamente gli scrittori (e sappiamo la simbologia dell’oceano e delle acque in particolare, e, per converso, il significato del “camminare sulle acque”). E in fondo è naturale che sia così, perché, come ho detto, sono le esigenze di conclusione del ciclo cosmico che lo richiedono, e che quindi suscitano forze negli uomini atte a dirigere la civiltà nella vagina-scaturigine, per una nuova partenza. In fondo è già un miracolo se noi siamo diventati coscienti di questi meccanismi, e ci sottraiamo almeno in parte ad essi, perlomeno al nostro interno.

Vahagn.

Vahagn
02-02-03, 15:42
E’ precisamente l’elemento Caos, il Caos primigenio, ciò che viene adorato dai matriarcali. Prova ne sia il fatto che nelle forme artistiche di quelle civiltà pre-arie prevale la simbolica legata alle acque, e ad alcuni animali correlati: la vipera, il serpente, il mostro marino (i serpentiformi anche per l’aspetto della muta di pelle, simbolo del perpetuarsi della natura). E chi studi mitologia non può non rintracciare la presenza di questo elemento e di questi esseri lungo tutta l’iconografia e la letteratura europea. Osservando i libri archeologici della Gimbutas (la pasionaria del matriarcato e grande nemica degli Arii), gran parte del vasellame preistorico pre-ario presenta proprio figure di animali del genere (ovviamente senza la presenza dell’eroe-uccisore) e di ghirigori significanti l’acqua. Dopo l’arrivo degli Arii, tutti questi esseri compaiono solo in posizione sconfitta, soggiogata, rimanendo in posizione ambigua solo nel folklore e nella cultura bassa, dove alligna il matriarcato in attesa di rivincita (basti pensare a Melusina, alle sirene, etc., come elemento matriarcale semi-soggiogato). I draghi e i serpenti invece sono definitivamente combattuti dalla figura dell’eroe, ovvero nella cultura ufficiale l’elemento matriarcale è completamente soggiogato. Se si analizzano le decorazioni secondarie dell’arte europea (che non sono mai casuali ma corrispondono a determinate leggi mitologiche), vediamo appunto gli elementi della natura (il femminile) che fanno da complemento al tempio (il maschile), festoni, cornucopie, bucranii, etc., ma anche un sacco di esseri per metà vegetale e per metà animale, per metà marino e per metà terrestre, per metà serpentiforme, etc. Basti osservare le decorazioni secondarie delle chiese, dei palazzi aristocratici, dell’oggettistica, etc. Sono tutti gli esseri che, accanto alle cariatidi (maschili – i titani, altro elemento tellurico vinto dagli olimpici/asici – o femminili), rappresentano appunto – a mio avviso – il soggiogamento dell’elemento femmineo-caotico all’ordine superiore olimpico portato dagli Arii. E i particolari che li identificano sono soprattutto, come ho detto, la morfologia ofidica e il richiamo alle acque.

Senatore
02-02-03, 21:43
Complimenti Vahagn per questi interventi sul domino del principio femminile.

Vorrei fare solo un paio di osservazioni sui pochi punti che non ho condiviso.
A mio avviso l'idea di un tendere verso l'indistinto e il Caos primordiale si adatta bene a certi fenomeni attuali, ma non egualmente a tutte le forme "matriarcali" e di "diritto materno" (bisogna tenere a mente che con ciò Evola e Bachofen non intendono necessariamente il "governo delle donne").
Ci sono certe fasi di affermazione dell'elemento femminile che corrispondono più a momenti di transizione, o di restaurazione che segue da presso uno sconfinamento titanico del maschile, che non a contesti veramente dissolutivi. Nello stesso passo da te riportato si parla di un'attribuzione alle donne della spiritualità: è quella che Evola chiama spiritualità lunare (che coincide con un rilievo preminente del sacerdozio). In casi come questo siamo di fronte ad una virilità in cui ha preso il sopravvento l'aspetto materiale e fisico del potere, la forza cessa di essere strumento dell'ordine e si afferma una sorta di disordine positivo; come rimedio a un simile stato di cose i valori spirituali vengono per così dire tratti in salvo dal naufragio e depositati presso un ceto di sacerdoti o sacerdotesse che li conservano in una sorta di limbo.
Nei culti mediterranei dei morti e nei grembi o uteri sotteranei in cui i defunti sono conservati in una posizione fetale si può vedere una nostalgia del primordiale, non tanto come caos, quanto come origine della Vita e del mondo, prima della corruzione. Forse come esempio corroborante si può anche ricordare che nell'estremo oriente il dragone è simbolo e custode del Verbo. Quindi i meandri acquatici, le spire del serpente, possono pure essere i siti dove l'ordine e la conoscenza sono riposti allo stato latente, e donde qualche "vendicatore" li dovrà trarre e riportare alla luce.

La seconda osservazione concerne una tua definizione del femminile come complementarietà subordinata. Sul piano metafisico è vero che il maschile agisce e il femminile "è agito", è vero che purusa feconda prakrti e quindi ne è il principio vivificante e la vera causa: l'aspetto dela sovraordinazione prevale sulla complementarietà. Tuttavia se ci riferiamo al rapporto uomo-donna il discorso cambia, perchè per l'uomo non si tratta di sottomettere, ma di recuperare ciò che nelle origini mitiche aveva, ma che la natura ha poi negato. Fintanto che non ci si è reintegrati e riconciliati con il femminile non mette conto di parlare di conquista e subordinazione; pertanto in una prima fase la donna (sovrannaturale, ma anche reale), in quanto meta agognata può addirittura apparire superiore, avere una forza terrifica e far vacillare lo sposo. La fase successiva dovrebbe vedere realizzata la "donna interiore", mentra la donna reale dovrebbe ormai eesere, più che subordinata, naturalmente docile e dotata di una sublime passività.
In realtà quello che voglio dire è che la vera donna è una meravigliosa creatura , la più piena di grazia e perenne ricettacolo di energie trascendenti: è un peccato che a dispetto dei dati demografici sia divenuta così rara a trovarsi! Forse più rara che un vero uomo.

Vahagn
03-02-03, 23:16
Certo che non intendono il "governo delle donne", ma un sistema incentrato sulla figura della femmina e sulle sue caratteristiche.
Hai ragione a puntualizzare che sono esistite diverse fasi, ma mi sono limitato solo ad alcune pennellate. Se volessimo sviscerare il matriarcato e i suoi rapporti con le civiltà arie, bisognerebbe prendere in esame dionisismo, tellurismo, demetrismo, afroditismo, tutto un intreccio di fasi e tendenze fino all'oggi che sarebbe interessante dipanare – sulla scorta di Rivolta contro il mondo moderno. Come pure potremmo avvalerci di Metafisica del Sesso a mo’ di utile riassunto del tema della donna come forza-shakti, e di quanto la vicenda dei sessi possa adombrare un processo in interiore viro.
Il dragone cinese ha un valore diverso rispetto a quelli più occidentali. Nelle culture iperboreo-discese, ciò che l’eroe ha il compito di trarre fuori è il “tesoro” (sappiamo cosa significhi), e lo fa uccidendo il drago, non facendogli delle carezze. Perseo, Giasone, Sigfrido, Vrtra, Beowulf, Indra, Thor, docunt.


Errata Corrige: nell’ultimo post ho scritto “terrestre” anziché “terràgnolo”.