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Visualizza Versione Completa : Le recensioni di Orazio Coclite



Orazio Coclite
25-01-03, 01:57
Dal momento che in fase di ideazione di questo forum si era parlato di limitare il numero dei thread, privilegiando la qualità dei contenuti. Anch'io mi attengo ai proponimenti iniziali aprendo questo thread dove di volta in volta recensirò il materiale attinente al paganesimo che mi capiterà di leggere.

E vorrei iniziare proprio con la recensione dell'ultimo numero de 'La Cittadella', la rivista trimestrale del Movimento Tradizionale Romano. La rivista di studi pagani italiani più longeva, e con un taglio culturale di primissimo piano. Cosa di non poco conto in un ambiente quale quello della pubblicistica pagana dove abbondano copiose le derive new-age, esoteriste d’accatto e pseudo-religiose.



La Cittadella, anno II, nuova serie, numero 07, MMDCCLV a.U.c.

Editoriale: Sandro Consolato - Vale atque vale, frater et magister!
Auctores:Roberto Incardona - Orfici, Laminetta aurea di Hipponion
Salvatore C. Ruta - Venus, una Dea romana
Claudio Santippolito - Sul cognome Ruta
Sandro Consolato - L'ultimo "Latino"
Oscar A. Marino - La nostra canzone era "Cara al sol"
Daniele Liotta - "Ut te postremo donarem munere mortis"
Roberto Incardona - Il commiato e il ricordo
Arx - Una prima bibliografia di S. C. Ruta
Luisa Farina - La guerra in Roma nel suo aspetto religioso (II parte)
Pagine ritrovate: Ernst Junger, L'addio all'Eremo della Ruta

Iniziamo col dire che questo numero de La Cittadella è in realtà un numero monografico dedicato al suo fondatore: Salvatore Claudio Ruta Crevy, deceduto la mattina del 30 giugno, dies solis 2002. Indiscussa guida spirituale e morale del Movimento Tradizionale Romano, a cui va il merito di essere stato fra i primi, sull'onda di letture e riletture evoliane e di altri autori tradizionali, ad attuare la riscoperta della religio dei patres, e a diffonderne la Pietas.

Dopo l’Editoriale di Sandro Consolato apre il numero un articolo recensione a cura di Roberto Incardona del testo di G. Pugliese Carratelli “Le lamine d’oro orfiche” (Adelphi, Milano 2001). Dove si esamina sommariamente il significato dell’uso funerario delle lamine auree in Magna Grecia tra il IV ed il II secolo a.C., recanti queste le “istruzioni destinate a guidare nel suo itinerario oltremondano l’anima che è stata debitamente iniziata ad una dottrina misterica”. Particolarmente suggestive le dediche a Mnemosyne, custode delle fredde acque successive al Lethe, che invece è la fonte della dimeticanza, contrapposta alla fons vitae di Mnemosyne dove solo l’anima degli iniziati può arrivare dopo aver superato i guardiani della soglia, i Phylakes.

Segue un’interessantissima monografia su Venere a firma Salvatore C. Ruta, dove oltre a rintracciarne le orgini in area latina, con le sue evidenti ed antichissime connotazioni indoeuropee, si provvede a fugare una volta ancora la ricorrente ipotesi di una sua origine extra-italica, e di provenienza ellenica naturalizzata romana, come la vulgata accademica per molto tempo ha professato. Un articolo che da solo vale l’intera rivista.

Da segnalarsi anche l’articolo commemorativo dedicato a Salvatore C. Ruta “L’ultimo latino”, di Sandro Consolato, che ripercorre la vita di Salvatore C. Ruta attraverso i turbolenti anni che seguirono alla capitolazione italiana a fronte delle truppe alleate, e del disperato tentativo di resistere all’invasore, che fece guadagnare a Ruta, e a molti altri, un soggiorno premio nei campi di prigionia per italiani riottosi poco disposti ad accettare il giogo americano. Segue un excursus sulla nascita della corrente pagana romana all’interno del Centro Studi Ordine Nuovo, la nascita de il Gruppo dei Dioscuri, Arx e successivamente de La Cittadella. Molto divertente invece l’elogio che pone Oscar Aldo Marino col suo “La nostra canzone era ‘cara al sol’”, il noto inno della Falange spagnola, dove si percorrono le tappe di un’amicizia nata da un comun sentire ed essere nonostante la sorte avversa. Uno stralcio per capire lo spirito dell’articolo:

”Ricordo che, a quell’epoca, ci interrogammo a lungo sul modo migliore di fare gli onori di casa agli ospiti d’Oltremanica e d’Oltreatlantico. Non disponendo più dell’armamentario di cristallerie e quant’altro potesse servire per rendere piacevole la permenenza degli stranieri in terra italica. Era stato tutto sequestrato e, inoltre, eravamo troppo pochi per organizzare un servizio di accoglienza degno dei sudditi di Sua Maestà britannica e degli alfieri di Harry Truman. Degli scagnozzi di zio Josiph al loro seguito non ci preoccupavamo, che c’erano pur sempre i boschi dove andare a far legna.


Segue un ricordo di Daniele Liotta dedicato all’amico scomparso, con il racconto del viaggio fino in Sicilia per i funerali: “UT TE POSTREMO DONAREM MUNERE MORTIS”. Da segnalare inoltre una bibliografia, per il momento incompleta, di Salvatore C. Ruta, la seconda parte de “La guerra in Roma nel suo aspetto religioso” di Luisa Farina, alcune recensioni ed ulteriori articoli.

Il giudizio complessivo di quest’ultimo numero de ‘La Cittadella’ è molto alto, probabilmente il miglior numero della nuova serie: intenso e coinvolgente. Ne consiglio l’acquisto senza riserve. Per quanti interessati: lacittadella@tiscalinet.it


Chiudo riportando alcuni passaggi tratti dalle opere di Salvatore C. Ruta:

"...circa l'idea di una interruzione d'una Tradizione... si tratta di una confusione derivante dall'uso della parola tradizione invece che trasmissione. Una trasmissione si può ben interrompere quando manchino gli uomini abilitati a 'trasmettere' da bocca a orecchio. La Tradizione, invece, non s'interrompe perché non appartiene a ciò che è condizionato da un principio (e quindi da una fine). Essa si manifesta laddove anche un solo uomo prenda contatto col sacro… le forme ed il linguaggio adoperato, indicano di quale tradizione particolare si tratti…"

"…che Roma, oggi, veda ergersi superbe nel suo sacro suolo la Chiesa, la Sinagoga e la Moschea, non significa che essa sia dissacrata o che la divinità straniera (il Dio Unico) là impiantata si sia impadronita dello spirito di Roma: i suoi Dei non sono fuggiti, non si sono occultati: essi vivono in noi e noi con loro."

Orazio Coclite
25-01-03, 02:23
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/orientamenti5-6_2002.jpg

Orientamenti, anno V, n° 5-6, ottobre-dicembre 2002

Segnalo questo numero della rivista di Nicola Cospito, che oltre a pubblicare articoli di indubbio interesse, si sofferma anche sul paganesimo con "Paganesimo, una discussione aperta", di Stefano Sogari. L'articolo si lascia leggere con piacere, esaminando sommariamente la cultura del paganesimo nelle sue origini pre e post cristiane, quali un certo Ermetismo Rinascimentale (la "Teurgia"), o anche di settori del templarismo e del rosacrucianesimo. Un rapido excursus che porta fino ai nostri giorni ed alle realtà pagane attuali di paesi come il Giappone od il Tibet, dove l'articolista raffronta la dignità di tali forme spirituali e l'accettazione che se ne ha per il mondo, con le religioni pagane europee, che nessun riconoscimento ricevono, non essendo però queste ultime granché differenti dalle loro controparti orientali. Si ricorda poi l'operato di Sant'Ambrogio nella scellerata distruzione del monumento alla Vittoria Alata, simbolo dell'unificazione delle genti e dei culti nell'ideale di Roma 'lux gentium', e garante dell'armonia dei differenti popoli e dei loro Dei. Si esamina anche la radice etimologia del termine 'pagano' e l'uso improprio che se ne è fatto recentemente. L'articolo si chiude con un'esortazione alla riscoperta del numen che eternamente promana dai luoghi sacri ai nostri Dei ancestrali.


Da segnalare inoltre "Dalla Politeia platonica al quinto stato" di Luca Valentini, "Gramsci-Mussolini, un appuntamento mancato" di bruno Rassu e "Ferenc Szàlasi e le Croci Frecciate" di Claudio Mutti. Per ordinare una copia della rivista: nicola.cospito@libero.it

Orazio Coclite
25-01-03, 02:40
"KULTUR, Philo-Sophia quaternaria e Tradizione primordiale", anno V-VI, n° 10/11, 2001-2002 e.v.

Come ci ha da tempo abituati, la rivista di studi tradizionali Kultur sforna il suo ultimo numero con ben 190 pagine ricche di interessanti articoli. Fra i tanti segnalo "Roma, L'Europa e il futuro" di Riccardo Paradisi, "Il mito della Fenice a Roma" di Vittorio Sorci, "Immagini filosofiche e sincresi misteriche alla fine di un mondo: fra apocalisse ed oracoli del tardo-antico" di Mario Giannitrapani, "Il trauma del mutamento: la letteratura della crisi in Italia" di Giuseppe Iannaccone, "L'oltreuomo in Oriente e in Occidente" di Alberto Stirati e "Un ricordo di René Guénon" di Vittorino Vezzani.

Troviamo poi a pag. 11 un'interessantissima intervista: "Incontro con il Professor Christian-Joseph Guyonvarc'h" di Thierry Jigourel, dove il nostro, già conosciuto in Italia per "La civiltà celtica" (Edizioni di AR) e "I Druidi" (ECIG), entrambi scritti a quattro mani con Francoise Le Roux, fa delle dichiarazioni di sicuro interesse, nient'affato nuove per quanti si occupano di cultura e spiritualità celtica. Ne trascrivo qualche passaggio:

INTERVISTATORE: Ciò nonostante non le sembrerebbe interessante tentare di lottare contro il monoteismo trionfante, ritrovare la voce degli antenati, un certo rapporto con il mndo e con la natura?
GUYONVARC'H: Da più di mezzo secolo, insieme con i miei collaboratori, ho intrapreso alcune ricerche. Abbiamo seguito due vie che sono parallele e non si incontrano: quella di Guénon e quella di Dumézil. La religione celtica è sparita senza lasciare traccia. Per aderirvi occorre condurre una vita da erudito, con tutto ciò che comporta in tempo e fatica con i metodi moderni delle religioni.
O allora si ammette che tutte le religioni sono valide e ci si crede, ciò che risulta essere un'attitudine tradizionale, oppure si dice: "Le religioni sono delle questioni interessanti, ma noi non ci crediamo". Tale è l'attitudine dell'università contemporanea.

INTERVISTATORE: E lei, personalmente, dove si colloca?
GUYONVARC'H: Mi collocherei piuttosto nella sfera tradizionale. All'epoca della mia discussione di tesi di dottorato, Georges Dumézil, che faceva parte della commissione, utilizzò un termine che sbalordì tutti quanti, ma che fu esatto. Mi disse: "Il vostro passaggio all'università è solo accidentale!".

INTERVISTATORE: Lei ha frequentato, qualche decennio fa, alcuni celtisti coinvolti nel movimento neo-druidico...
GUYONVARC'H: Si, ma me ne allontanai molto rapidamente.

INTERVISTATORE: Perché?
GUYONVARC'H: Perché non era serio! Capite, non si possono "fabbricare" i riti, le preghiere. Non si fa. Un rito si trasmette d'epoca in epooca, appartiene alla notte dei tempi, alle più antiche origini polari della Tradizione. Ricordo una discussione di tesi nella quale fu evocato un rito druidico... un "Canto all'aurora". Ebbi la curiosità di fare delle ricerche e, durante la discussione di tesi, diedi il riferimento esatto di tale "preghiera druidica". Era estratta dall'opera di Louis Renoult: Inni e preghiere dei Veda!!!
Si può pensare ciò che si vuole sulla conversione dell'Europa al cristianesimo. Ma questo è un dato di fatto, sul quale non si può ritornare. Certo c'è un motivo pe studiare il passato celtico, le culture celtiche. Ma è un lavoro di lungo respiro! Tra l'altro, un giorno dissi che per imparare le lingue celtiche ci vogliono, due settimane per il cornico, tre mesi per il bretone, sei mesi per il gallese, un anno per l'irlandese... e i trenta anni che restano per l'irlandese antico. Ed è molto difficile da divulgare. Gli studi celtici sono condannati dal loro stesso ermetismo. Si deve riconoscere che esiste un certo interesse, se si considera che la mia opera sui Druidi ha già oltrepassato le 170.000 copie. Sapendo che la figura del druido era legata a una società celtica indipendente, si presuppone che affinché la stessa abbia un senso ai nostri giorni bisognerebbe trovarsi in una società organizzata differentemente. Ormai non si possono cambiare brutalmente le strutture politiche dell'Europa. E tantomeno le sue strutture religiose.


Contributo di profondo interesse. Qualche celtista presente nel forum è in grado di spiegarmi su quale legittimità si basano le pretese dei tanti movimenti neo-druidici che, al seguito della moda celtista, ho visto nascere copiosi in questi ultimi anni? Dopotutto è da diversi anni, diciamo grossomodo da dopo la lettura de "Il Druidismo" di Jean Markale, che mi interrogo sulla possibilità di una autentica rinascita pagana celtica. Ma ogni studioso serio di cui leggo continua a disconoscere tale via. Se qualcuno ne è in grado mi dia delucidazioni, magari aprendone un thread a proposito, grazie.

Per ordinare una copia di Kultur: kkultur@hotmail.com

Mjollnir
26-01-03, 03:44
Quando si dice il destino, Orazio ! Mi hai preceduto: anch'io avevo intenzione, infatti, di preparare un thread proprio sull'opera La civiltà celtica e di esprimere le mie perplessità. L'intervista a Guyonvarch capita dunque a fagiolo.
Il problema sta proprio nel fatto che - come anche lui ammette - i 2 approci (Dumezil e Guenon) proprio non si incontrano, sicchè l'impianto di quell'opera sembra spurio, e lascia l'amaro in bocca.

Attenzione però a brandire gli slogan del guenonismo per criticare un filone particolare della spiritualità europea, perchè c'è il rischio che l'arma sfugga al controllo e colpisca anche la propria.
Non credo proprio che per un pagano tutte le religioni siano valide ma nemmeno che si possa dire che non ci crediamo. Quindi, a dispetto di Guyonvarch, tertium datur in questo caso.
Anche per quanto riguarda i riti, chi è che potrebbe indicarne uno che si tramanda ininterrottamente dalla notte dei tempi ? E quando un rito viene alterato, distorto ? C'è ancora continuità ? E' ancora efficace ? O non c'è bisogno proprio di un nuovo inizio che si riconnetta al significato originario ?

Se non è lecita una rinascita pagana celtica, non lo è neanche per quello romano, visto che secondo il guenonismo la continuità non c'è + e il crisma della tradizione è passato alla chiesa cattolica. E non vale l'obiezione per cui l'efficacia del rito sovrasta i contenuti teologici e metafisici di chi li fa, perchè allora anche i riti della chiesa cattolica dovrebbero essere perfettamente tradizionali...ma allora come si spiega che ormai sia completamente profanizzata e che le masse un tempo cristiane si siano completamente secolarizzate ? Dov'e' finita l'efficacia del rito ?

Molto sospetto anche il modo in cui lo studioso si rapporta alla storia: un dato di fatto, sul quale non si può ritornare, mentre nel paganesimo è assolutamente assente la convizione della irreversibilità della storia. Di nuovo: se ogni trasmissione è provvidenziale, e se ammettiamo che l'occidente cristiano ha generato l'occidente ateo e materialista, dobbiamo risconoscere che anche quest'ultimo è perfettamente tradizionale e inserito nel piano divino !!!

Orazio Coclite
26-01-03, 16:17
Allora, per provare ad essere stringati ed essenziali. Il problema di fondo di quanti da oltre due secoli cercano con ogni mezzo di far risorgere un qualche tipo di spiritualità celtica-druidica, va ben oltre quella che potrà per noi essere una disputa teorica su due delle scuole di pensiero maggiormente diffuse nell'ambito degli studi tradizionali. Il Prof. Guyonvarc'h dice delle cose assai profonde nella sua intervista, questo il motivo per cui l'ho copiata a mano per farvela leggere. E' impietoso e realista, e chiama in causa appunto i due binari di ricerca spirituale maggiormente battuti, riconoscendone la radice comune ma il percorso parallelo. Di Guénon ho letto diversi testi, ma ancora molto mi manca per poter avere una visione d'insieme del pensiero del grande studioso francese, però, non essendo egli un rappresentante di alcuna religione, e non essendo il suo pensiero un dogma che io debba accettare integralmente, rimangono proposizioni su cui non mi trovo d'accordo, ed infatti, in campo spirituale e tradizionalista, non mi considero affatto un guenoniano. Altrimenti non sarei qui a parlare di "Via Romana agli Dei", ma piuttosto mi interesserei di quelle forme spirituali la cui trasmissione non è mai stata interrotta (induismo, islamismo, cristianesimo, ecc.). Che poi, a conti fatti, significa di solito aderire all'islam, data l'impossibilità di richiamarsi ad un'autentica forma di esoterismo cristiano, e l'impossibilità per un occidentale, di avere alcun posto di rilievo all'interno della rigida gerarchia dell'induismo (lo stesso Danielou fu annoverato dai brahmani nella categoria più bassa dell'induismo, ed è per questa ragione che Guénon scelse l'islam).

Ma per tornare al problema di fondo del pensiero guenoniano, vorrei ancora una volta riportare le parole di Salvatore C. Ruta, che al riguardo scrive che:

"...circa l'idea di una interruzione d'una Tradizione... si tratta di una confusione derivante dall'uso della parola tradizione invece che trasmissione. Una trasmissione si può ben interrompere quando manchino gli uomini abilitati a 'trasmettere' da bocca a orecchio. La Tradizione, invece, non s'interrompe perché non appartiene a ciò che è condizionato da un principio (e quindi da una fine). Essa si manifesta laddove anche un solo uomo prenda contatto col sacro… le forme ed il linguaggio adoperato, indicano di quale tradizione particolare si tratti…"

La qual cosa mi trova sostanzialmente d'accordo.

Spero mi perdonerai se ti faccio notare che le critiche alla possibilità di una rinascita spirituale celtista, che cioè continui nella forma e nei metodi che furono dei celti originali, non passano affatto, come da te scritto, brandendo gli slogan del guenonismo, tutt'altro. Il problema ricorrente negli studi delle popolazioni celtiche e delle loro tradizioni sono annosi e ricorrenti, e fanno capo ad un'endemica mancanza di fonti scritte, di fronte alla quale diversi studiosi hanno dovuto a malincuore riconoscere la propria assoluta ignoranza di aspetti fondamentali della cultura celtica, a partire proprio da quelli più intimi e celati, come appunto le credenze religiose e la pratica dottrinaria. Personalmente non avrei nulla in contrario ad una rinascita del celtismo, ma su quali basi che non siano inventate di sana pianta? Su quali riti e credenze che siano autenticamente celta? Qui non è un discorso di avallare o meno Guènon, ma un discorso di fonti a cui attingere.

Argomento questo che ci porta direttamente alla tua, secondo me volutamente provocatoria (:)), frase: "Se non è lecita una rinascita pagana celtica, non lo è neanche per quello romano". Questione secondo me mal posta, non essendoci i crismi del confronto, data la mole di dati e documenti attestantici le usanze e la natura di tanti aspetti del poliforme mondo classico, paragonati all'esiguità di quello celtico. La fortuna di quanti si rifanno al mondo greco-romano, è proprio quella di poter disporre di tantissimo materiale basantesi su dati certi, essendo stato il mondo mediterraneo l'espressione più alta e raffinata dell'evo antico, e che ci ha lasciato tracce di ogni tipo. Gli anglosassoni chiamano le religioni pagane moderne "reconstruction religions", e il termine è esplicito e chiarificatore, e non implica la conditio sine qua non della continuità ininterrotta della Tradizione.

Ma, per spezzare una lancia, vorrei farti capire che personalmente non avrei nulla in contrario ad una rinascita spirituale celtista, con l'unica necessaria discriminante che tale forma spiritualis non potrà mai essere autenticamente celtica, cioè rifacentesi a quello che il celtismo fu oltre 2.000 anni fa, ma meramente neo-celtica, e basantesi su pochi dati sui quali di certo nasceranno dispute interpretative di ogni sorta. Va da sè che il dogmatismo in questi casi non è contemplato, però bisognerebbe perlomeno mettersi d'accordo su cosa c'era all'origine di quello che si sta cercando di ricostruire, o no?

E non c'è Guénon che tenga, il mio, se vogliamo, è un discorso fatto da un punto di vista profano, di studioso di storia che si attiene ai soli resti materiali. Chiariti questi punti, vorrei solamente ribadire come la "Via Romana agli Dei", oltre ad essere una delle forme religiose pagane europee meglio conservatesi fino ai giorni nostri, è anche difficilmente paragonabile al neo-celtismo di moda oggigiorno, e, in ultima analisi, il contenitore principale dell'antica spiritualità dei nostri padri italici-romano-italiani (che non per niente inglobò anche divinità d'origine celtica, tipo Epona, a cui fu addirittura dedicato un tempio all'interno dell'Urbe). Quindi per me non soltanto via quanto mai lecita e legittima, ma soprattutto necessaria ed obbligata per quanti riconoscono l'importanza dell'aderenza dell'ethos all'ethnos.

Chiarito ciò evito di addentrarmi ulteriormente nel vespaio delle confutazione guenoniane, prendendo però per valide alcune delle rimostranze da te finora mosse, anche se, come avrai adesso capito, la critica da me estrapolata e avvalorata dal pensiero del Prof. Guyonvarc'h esula in buona parte dall'applicazione o meno del pensiero guenoniano.

Valete! frater

Mjollnir
27-01-03, 15:20
Sì, il nucleo della questione è proprio questo, ossia in base a quali presupposti si nega/afferma la possibilità della rinascita. Un volta scartato l'approcio-Guenon, posso concordare anch'io sulle tue perplessità.
In effetti il celtismo è la tradizione che più è avvolta dal mistero e di cui sappiamo meno, e questo non perchè fosse espressione di una civiltà rozza o poco raffinata, se pensiamo, ad es, che l'apprendistato del druida durava 20 anni. La difficoltà ineludibile consiste nel fatto che la cultura celtica "alta" si fondava sull' oralità e destinava la scrittura ad altri usi ed argomenti.

Tutto ciò comporta enormi difficoltà per i contemporanei, nonchè il rischio che i vuoti nelle nostre conoscenze vengano occupati da tendenze e persone che nulla hanno a che fare con la spiritualità ma con scopi di altra natura. Per questo, quando si parla di Celti, bisogna essere ancora + attenti ed obiettivi rispetto ad altre forme pagane. Ma è indubbio che nelle forme esteriori il paganesimo non potrà che essere, in una certa misura, nuovo ed anche creativo, e ciò vale anche per le altre vie.

Orazio Coclite
03-02-03, 20:13
Archeo, anno XIX, numero 1 (215), gennaio 2003, euro 5,70

Motivi d'interesse in quest'ultimo numero di Archeo, per gli avventori di questo forum, ve ne sono diversi. Numero assai ricco ed interessante. Il motivo della mia segnalazione qui è l'articolo a firma Francesco D'Andria: "Ascolta o Zeus", che ripercorre le tappe della scoperta, nel 1961, di quel capolavoro dell'arte greca arcaica ritrovato a Ugento in Puglia (la fu Messapia), la statua in bronzo di Zeus saettante, di probabile attribuzione a uno scultore greco attivo a Taranto. Il tutto in concomitanza con una mostra dedicatagli al museo civico di archeologia e paleontologia di Ugento, che resterà aperta fino al 14 febbraio. Di grande interesse le illustrazioni e la descrizione di come anticamente si svolgesse nell'area l'adorazione del dio delle tempeste.

http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/zeusugento.jpg

Completano la rivista diversi articoli attinenti il mondo classico fra cui spicca una ricerca sulla pratica greca delle defixiones, le maledizioni rituali tramite l'incisione di formule magiche su lamine di piombo, dove veniva richiesto l'aiuto alle divinità ctònie ed infere: Persefone, Hermes, Demeter, Ade, Hekate o Lethe. Da segnalarsi anche un lungo articolo che, alla luce delle scoperte più recenti, indaga le annose questioni legate all'identificazione ed agli enigmi della civiltà che fiorì a Mohenjo-Daro (odierno Pakistan), durante l'età del bronzo.

Orazio Coclite
16-03-03, 16:44
Vorrei spezzare una lancia in favore della nuova veste editoriale della rivista 'Satvrnia Regna', edita dai pagani romano-italici dell'Associazione Romania Quirites di Forlì. Ottimo formato, bella presenza con copertina a colori, e molti articoli di sicuro interesse.

Questi gli ultimi numeri usciti:


http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/satvrniaregna33.jpg

Saturnia Regna n. 33

Sommario
- Editoriale: Redevnt Satvrnia Regna
- Il Ciclo Eroico dell’umanità e la stirpe Romano-Italiana
- La civiltà Romana e i suoi ccaratteri fondamentali
- La Tradizione Religiosa Italico-Romano-Italiana. Natura
- La Tradizione Patria e la sovversione cristiana
- Coninuità della Tradizione Patria
- Attualità dell’eternità di Roma alla fine del ciclo
- La questione tradizionale


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Saturnia Regna n. 34

Sommario
- Editoriale
- Natura e funzione del ciclo eroico nella storia dell’umanità
- La Tradizione Italico-Romano-Italiana
- La Civiltà Romana primitiva e le sue basi
- Le origini della sovversione cristiana, l’intolleranza, l’esclusivismo, le distruzioni
- La forma dello Stato
- Nazione, Patria, Popolo. L’identità degli Italiani
- La Metafisica Tradizionale Occidentale
- Nel nome di Apollo Medico


http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/satvrniaregna35.jpg

Saturnia Regna n.35

Sommario
- Editoriale
- L’azione plurisecolare di ostilità alla Tradizione Religiosa e alla Civiltà Romano-Italiana. I tentativi di oscuramento e sradicamento delle stesse
- La Civiltà Romana primitiva e le sue basi. La forma civile
- Sul falso della Cathedra Petri e le sue conseguenze plurisecolari
- Tradizione Italico-Romana ed Europa. Politica internazionale e funzione imperiale.L’Unità Trascendente dei Popoli e delle Religioni
- Per una Società Tradizionale Romano-Italiana
- Henosis. La dottrina e la realizzazione dell’Identità Suprema nella Metafisica Classica
- La Salute. Il Bene ed il Bene dell’Anima
- Comprendere la dissoluzione finale dell'umanità


http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/satvrniaregna36.jpg

Saturnia Regna n.36

Sommario

- Editoriale: Un affronto all’Italia, Il Papa visita il Parlamento della Repubblica
- La Civiltà Romana primitiva e le sue basi Diritto, Morale e Senso Civile
- Origini e sviluppo del Cristianesimo, dei dogmi, della fede. Effetti civili e sociali
- Per una Società Tradizionale Romano-Italiana II parte
- Medicina Tradizionale Occidentale
- Il male e l’origine del male nella persona
- La natura sovversiva e dissolutiva della grande parodia neospiritualista


Per chi fosse interestato all'acquisto, potete contattare l'Associazione Romania Quirites a info@victrix.it. Costo di una rivista 8 euro, arretrati 12 euro, abbonamento annuale 30 euro (arretrati disponibili a partire dal n.17).

Valete!

Orazio Coclite
19-03-03, 23:36
Paolo Signorelli
"Di professione imputato"
Edizioni Sonda, 1996, pag. 144

Ho giusto terminato la lettura del testo autobiografico in cui Paolo Signorelli narra dell'assurda persecuzione di cui fu oggetto, per diversi anni, da parte delle forze 'democratiche, a causa del proprio pensiero non allineato. Nel libro sono presenti diversi richiami al paganesimo. Così, mano a mano che leggevo prendevo nota dei passaggi interessanti, che ho poi trascritto e che adesso propongo in questa mini-recensione.


Nel testo si fa costante riferimento all'abitudine di bruciare foglie per scopi rituali di varia natura. La cosa viene riportata nelle seguenti pagine:

Pag. 43: "6 maggio. Nel famigerato H-Block muore Bobby sands. [...] A notte bruciai ritualmente una foglia d'alloro salutandoti in silenzio fratello Bobby, ignorato dai benpensati ed odiato dai guardiani dell''Ordine mondialista'."

Pag. 81: "Notte del solstizio d'inverno. Il passaggio del Sole attraverso la Porta degli Dei. Disteso sulla branda, abbrucio ritualmente una foglia del "Grande Albero". La mente e il cuore si distendono nella dimensione della Festa. Ignis et libatio..."

Pag. 87: "Una foglia di lauro bruciata ed una libatio. Così, in semplicità pagana."

Pag. 96: "Auguri, Silvia! Auguri per i tuoi venti anni. Sii felice. Ho bruciato ritualmente per te una foglia - miracolosamente conservata - del Grande Albero."

Pag. 121: "Saper distillare il dolore attraverso il filtro del cuore. Operare per trasformare la sofferenza in gioia... A sera il canto del Lupo solitario si congiunge con il riso argentino del Bambino. E brucio ritualmente una foglia odorosa del Grande Albero."

Pag. 126: "Voglia e ricerca affannosa di aromi, di odori, di umori. Le felci, il timo, il mirto, il ginepro. Il lauro... Ne posseggo ancora una foglia, che brucerò a notte."


Diversi anche i richiami al Sol Invictus:

Al momento dell'arresto Signorelli ricorda alla moglie che:
Pag. 28: "...sii forte: il Sole vince sempre."

Pag. 73: "Mi scriverà mia figlia: "Ti hanno tolto la 'patria potestà'. Poveracci! Ma non sanno che il Sole vince sempre e che noi siamo il Sole?""

Pag. 102/103: "I mali, Claudia, rimasero nel Vaso di Pandora. Dal Pythos fuggì la sola speranza: noi la facemmo nostra e la trasformammo in certezza. Poi varcammo la Porta Rosa di Elea. E poi ancora. sfuggendo alla vertigine del precipizio, salimmo sulle sulle alte vette, dove imbandimmo il desco ed attendemmo che il Sole passasse attraverso la Porta degli Dei."

Pag. 114: "Ma posso guardare al cielo ed affidare messaggi di vita e di amore verso il Sole, che rivedo 'materialmente' passare - nella notte del Solstizio d'estate - attraverso la porta degli uomini."

Pag. 130. "Un incitamento che affido al cielo, al vento, al sole nel disperato tentativo di fare avvertire quanto vive e si agita fortemente ed incessantemente nel mio cuore. Preghiamo gli Dei che ci diano la forza di vincere; perché ci consentano, comunque, di dare alla nostra gente ciò che ad essa è dovuto."

Verso la fine delle proprie vicissitudini giudiziarie. Signorelli, sentendosi vicino all'assoluzione totale, indica la sfera solare:
Pag. 133: "Mi affaccio per un momento al balcone e levo l'indice verso il sole."


Trovo poi conferma di una 'famosa' storia che da più parti avevo sentito:
Pag. 39: "Nel corso dell'interrogatorio mi viene chiesto se sono era vero che io in occasione di un solstizio avevo mangiato il fegato crudo di un agnello... Guardai negli occhi i magistrati presenti e poi sbottai: "E' vero! ma è forse proibito dalla Costituzione?""


E' poi appena abbozzata una vena polemica anti-cristiana:
Pag. 115: "Il passaggio dalla vita alla morte viene malamente accettato dai figli legittimi di una cultura che si è dilettata, cristianamente prima e 'laicamente' dopo, a privare gli uomini del senso autentico, naturale della solarità."

Pag. 118: "Vigilia di Natale. Del loro Natale."


Altri richiami al paganesimo presenti nel testo:
Pag. 80: "Per tutti gli Dei! Come stai? Da dove vieni? Ti fermi?"

Pag. 85: "Silenzio. E poi ferri che sbattono / contro ferri... / Per gli Dei, ne ha fatta di strada il viandante! C'è chi è morto / illudendosi di vivere; / c'è chi è vivo / consapevole di vivere."

Pag. 94: "Mi chiedo se esiste ancora la gaiezza quale espressione naturale di gioia... Ma forse il Gai Saber si è ridotto ormai alla sola dimensione interiore...
"E' compito nostro, Claudia, custodirlo e coltivarlo con la forza dell'Amore e con la consapevolezza di essere i Tedofori di una Tradizione che non può e non deve soccombere.""

Pag. 126: "Beata solitudo... E' il tema di una tenera corrispondenza che da anni mi lega con intensità mai stanca a mia madre. Lei fa dono a me della sua solitudine, io le offro in cambio la mia. Il suo francescanesimo si salda con il mio paganesimo grazie all'esaltazione di una spiritualità che sa levarsi al di sopra della povertà esistenziale per proiettarsi verso il domani."


Insomma, un bel testo, importante e significativo, ironico e triste, che si legge in un pomeriggio. Consigliato.

"La freschezza e l'agilità delle idee contro la sclerosi delle ideologie, la trasgressività rivoluzionaria contro il conformismo della conservazione, la vivacità culturale contro lo spento intellettualismo dei pennivendoli..."

Orazio Coclite
25-04-03, 20:59
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/ultimalegione.jpg


Ho finalmente messo le mani su questo libro da più parti consigliatomi. E, a quanto sembrerebbe, una casa cinematografica americana (sic) ha acquistato i diritti per la trasposizione su pellicola delle vicende de 'L'ultima legione', vedremo quanto di vero c'è in tutto ciò.
Come recensione/introduzione, ho pensato di allegare di seguito quanto scritto da Sandro Consolato ad una presentazione del libro avvenuta a Taormina:



VALERIO MASSIMO MANFREDI, L’ ULTIMA LEGIONE

“Miracolo italiano, le legioni di Manfredi spaventano i re dei bestseller”. Così titolava lo scorso aprile il Corriere della Sera recensendo il nuovo romanzo di Valerio Massimo Manfredi. Si tratta di un libro bello e, almeno per me, commovente, che come insegnante sarei felice che tutti gli studenti italiani leggessero, fuor da ogni obbligo, così che userei le stesse parole che nel romanzo il precettore Ambrosinus (che poi è mago Merlino) dice al giovinetto Romolo Augustolo: “E anche tu dovresti dedicarti alla scrittura, o almeno alla lettura. Aiuta a dimenticare gli affanni, libera l’anima dall’angoscia e dalla noia del quotidiano, ci mette in contatto con un mondo diverso”.

Il “mondo diverso” della scrittura e della lettura è, per Valerio Massimo Manfredi, fin dai suoi esordi come narratore, il mondo antico. Ma questo mondo antico, mediterraneo in particolare, è un mondo in continua, misteriosa interazione col nostro, sia sotto il profilo collettivo che individuale: oracoli, profezie, sono sovente il ponte tra passato e presente. È insomma un mondo magico, per cui valgono queste altre parole di Ambrosinus: “. Esiste un altro mondo, oltre a quello che noi conosciamo, il mondo dei sogni, dei mostri e delle chimere, il mondo delle farneticazioni, delle passioni e dei misteri. E’ un mondo che in certi momenti ci sfiora e ci induce ad azioni che non hanno senso, oppure, semplicemente, ci fa rabbrividire, come un soffio d’aria gelida che passa nella notte, come il canto di un usignolo che sgorga dall’ombra. Non sappiamo fin dove si estende, se ha confini o se è infinito, se è dentro o fuori di noi, se assume le sembianze del reale per rivelarsi oppure per nascondersi. Le profezie sono simili alle parole che un uomo addormentato pronuncia nel sonno. Apparentemente non hanno senso, in realtà vengono dagli abissi più nascosti dell’anima universale”.

Nel romanzo L’oracolo vi era un corto circuito tra la Grecia degli anni 70, al tempo dei colonnelli, e la Grecia micenea. In Palladion, tra Italia romana, Italia medievale e Italia di oggi. Ne Il faraone delle sabbie tra l’antico Mediooriente e l’attualissimo conflitto israelo-palestinese, con particolari perfino profetici, dopo l’11 settembre. Se L’ultima legione appartiene a quel gruppo di romanzi svolgentisi del tutto nell’antichità (vedi Le paludi d’Esperia e il ciclo su Alessandro Magno), tuttavia parla al nostro presente attraverso continui rimandi che il lettore attento non può non cogliere.

Ridotta allo scheletro, anche per non togliere il gusto della lettura, la trama del romanzo è questa. Myrdin Emreis, druido cristianizzato del bosco sacro di Gleva che i Romani chiamarono Meridius Ambrosinus, racconta le vicende avventurose che portarono Romolo Augustolo, il fanciullo ultimo imperatore d’Occidente deposto dal barbaro Odoacre dopo averne ucciso i genitori, Oreste e Flavia Serena, fino in Britannia. Vicende cui partecipano tre superstiti della legione nona invicta costituita segretamente da Oreste come ultimo baluardo della romanità imperiale d’Occidente, cui si aggiungeranno poi due veterani greci liberati dalla schiavitù, un’eroina tanto coraggiosa quanto bella e ovviamente Merlino-Ambrosinus stesso, il quale, anch’egli avventurosamente giunto in Italia per chiedere l’aiuto di Ravenna contro i Pitti e i Sassoni minaccianti la Britannia celto-romana, insegue il sogno di una profezia: “Verrà un giovane dal mare meridionale / con una spada portando pace e prosperità. / L’aquila e il dragone torneranno a volare / sulla grande terra di Britannia”.

La spada è quella di Giulio Cesare, ritrovata da Romolo Augustolo, destinata a esser conosciuta in Britannia come la mitica Excalibur. L’aquila e il drago sono le insegne dell’“ultima legione” romana in terra britannica, ammainate dopo la partenza di Meridius Ambrosinus, ma che i nostri eroi riporteranno in auge gettando il seme di una nuova storia.

Non voglio essere io a trattare di aspetti squisitamente storici. Preferisco quelli ideali e ideologici. Questo romanzo riporta con grande sapienza narrativa al centro della nostra attenzione il grande rimosso della cultura italiana del dopoguerra: Roma, l’Impero Romano. Intendiamoci, gli archeologi, gli antichisti, come sono, ed autorevolmente, i nostri stessi ospiti, han sempre fatto il loro bravo lavoro. Ma che è ne stato di Roma, di cui volenti o nolenti siamo gli eredi più diretti, nel nostro immaginario collettivo? Dopo il fascismo, negli anni della cd “I Repubblica”, verso questo tema gli accenti dominanti sono stati il fastidio e il pudore. Poi è venuto il leghismo che ha diffuso l’idea di Roma come radice d’ogni nequizia passata e presente inventandosi un celtismo italiano del tutto immaginario, e forse un ancor più immaginario venetismo antiromano. Il successo di questo romanzo forse potrà riparare molti di questi guasti.

Innanzitutto, vorrei porre l’accento sulla scelta dell’epoca fatta da Manfredi. Proprio il tempo in cui l’impero d’Occidente si estingue e nascono i regni-romano barbarici. Epoca di decadenza, certo. Di questa decadenza la figura di Romolo Augustolo è spesso stata presa a modello. Un giovinetto insulso dal nome roboante. In un suo dramma, La morte di Romolo, Durremant lo prende, proprio come Manfredi, quale protagonista. E ce lo mostra nella sua villa-prigione campana che alleva galline a cui ha dato il nome dei Cesari. Di Romolo Augustolo in verità non sappiamo quasi niente, e quindi è un personaggio assai adatto per una costruzione narrativa. E Manfredi ha scelto la strada della costruzione eroica. Certo, per necessità della fiction avventurosa. Ma non solo, io penso. Manfredi ha voluto disegnare, attraverso vari personaggi, anche attraverso alcune semplici comparse, un quadro dimacchie residue di autentica romanità, nel senso dei valori tradizionali romani, fortidudo, gravitas, virtus, pietas, persistenti anche al tempo della romanità ravennate ed oltre. E questo non è privo di fondamento storico, poiché accanto all’incipiente medioevo germanico esiste un incipiente medioevo romano-italico, gallo-romano, celto-romano, i cui estremi poli geografici Manfredi individua giustamente nella nascente Venezia e nel meno fortunato regno di quell’Artù che sempre più gli storici tingono di purpurei colori romani. Già Pascoli, padano come Manfredi, aveva scritto nei distici Aemilia dedicati alla romanità ravennate: “Questi furono i nuovi Romani della seconda Roma. L’impero durò meno, ma animo e mente furono uguali: ebbero a cuore allo stesso modo le armi e le arti. Ma non pensare che siano stati miti i cuccioli dell’antica lupa”

Già la scelta di fare dei protagonisti della nostra storia dei legionari di una legione che il padre di Romolo, Oreste, ha voluto porre al comando di un patrizio discendente dalla nobilitas repubblicana, tutta “composta solo di romani, italici e provinciali”, il cui campo è detto “un lembo di Roma, terra sacra degli antenati” e grazie alla quale – come dice Aurelio, il principale eroe del romanzo “Oreste voleva che la gente rivedesse un’aquila d’argento scintillare al sole, voleva che i Romani recuperassero il loro orgoglio, rivedessero i fanti marciare con le antiche armature e i grandi scudi, i reparti far tremare il terreno sotto il passo cadenzato. Voleva la disciplina contro la barbarie, l’ordine contro il caos” – già questa scelta dice molto dell’orientamento ideale del romanzo, che, pur dichiarando l’Autore ufficialmente che il punto di vista è quello dei personaggi, è giocato nei confronti dei barbari secondo il modulo petrarchesco virtù contro furore.

Tutto il romanzo è attraversato dall’idea che Roma costituisca la civiltà per eccellenza. Ma se c’è una sorta di preferenziale etnica verso l’Italia, che ne è la culla, Roma viene esplicitamente dichiarata grande, civile e immortale come idea eterna perché “Roma non si identifica con una razza, o un popolo, o un’etnia. Roma è un ideale e gli ideali non si possono distruggere”. E così che allorché Romolo obietta a Merlino, che lo invita alla memoria culturale e storica: “Ma tu vieni dalla Britannia, Ambrosine, tu sei un Celta” - proprio al celta Merlino Manfredi fa dire: “E’ vero, ma in questo momento così terribile in cui tutto crolla e si dissolve, in cui l’unica civiltà di questo mondo è colpita al cuore, non possiamo non dirci romani, anche noi che veniamo dalla più remota periferia dell’impero, anche noi che fummo abbandonati, tanti anni fa, al nostro destino…”. E intrepido legionario Romano è il simpatico Cornelio Batiato, un gigante etiope, come gli altri suoi compagni “Romano per romano giuramento”. E l’etnia di questo personaggio non è forse casuale: gli etiopi nell’Eneide, il poema che Merlino porta sempre con sé esortando Romolo a leggerlo, stanno con i troiani, ed etiopi sono pure stati gli ultimi combattenti di razza nera del nosto ultimo, effimero ma non inglorioso impero.

Morta Roma, essa, proprio perché idea immortale, genera nuove, piccole Rome. Manfredi ricorda a tutti noi, attraverso l’eroina Livia Prisca, profuga di Aquileia, che Venezia è creatura interamente italiana e romana. Commossa Livia ne descrive gli albori: “Eravamo tutti Veneti a parte un Siciliano e due Umbri dell’aministrazione imperiale : la chiamammo Venetia”. “Dividiamo ciò che abbiamo e ci aiutiamo l’un l’altro. Eleggiamo i nostri capi con il voto di tutti, abbiamo riesumato l’antica costituzione repubblicana dei nostri antenati, quella di Bruto e Scevola, Catone e Claudio”.

Attraverso il filtro della romanità, Manfredi ha il merito di rimettere in gioco anche valori che hanno conosciuto presso di noi una vera eclissi, grazie anche alla fine di ogni tipo di educazione eroica – sarebe interessante studiare la barbarizzazione dello stesso estremismo politico in Italia, dalle militanze di destra e di sinistra ancora vincolate a certe etiche cavalleresche degli anni sessanta-settanta a quelle barbariche odierne dei naziskin e dei black-block. E qui devo finalmente parlare degli eroi del romanzo. Non solo del piccolo Romolo Augustolo, che già riflette la sofferta maturazione di un principio di grande importanza che è quello riassumibile nella formula noblesse oblige, ma dei veterani della distrutta ultima legione di Oreste. Innanzitutto, il vero eroe del romanzo. Aureliano Ambrosio Ventidio (Aurelio), un uomo la cui unica famiglia è sempre stata l’esercito, i suoi compagni di reparto, e cui cui grava il tormento di una oscura vicenda passata, che peraltro lo lega indissolubilmente alla stessa Livia. E poi Rufio Vatreno, spagnolo di Sagunto, veterano di molte battaglie, e il già citato Cornelio Batiato, gigante etiope nero come un tizzone. Sono eroi veramente romani, cioè umanissimi, la cui vita è quella dell’agere et pati, come Enea coraggiosi in guerra ma con un intimo, connaturato desiderio di pace. Sono uomini per cui il gusto di combattere, arte in cui peraltro non hanno uguali, conta in verità meno che esercitare le virtù dell’onore e della fedeltà. Dirà Aurelio: “C’è una cosa che mi è rimasta, l’unico patrimonio che mi resta: la mia parola di Romano. Un concetto obsoleto, lo so, roba che sta solo sui libri di storia, eppure un’ancora di salvezza per uno come me, un punto di riferimento se vuoi. E io questa parola l’ho data a un uomo morente”. E mi è parso particolarmente bello che i valori di cui questi uomini sono i portatori siano visti, ammirati atraverso gli occhi femminili, e non già per riproporre una sorta di maschilismo, ché la protagonista femminile è figura modernissima (ma con ancoraggi nell’epica antica) di donna indipendente, ma per rivendicare il valore perenne di certi modi d’essere spesso svalutati :“Livia li guardava senza parlare. Il cameratismo virile era una manifestazione che l’affascinava, vi vedeva concentrate tutte le virtù migliori dell’uomo: l’amicizia, la solidarietà, lo spirito di sacrificio, l’entusiasmo. Persino il loro turpiloquio castrense, cui non era certo abituata, non la infastidiva in quella situazione”

In un’epoca in cui la barbarie trionfa, i nostri eroi, come altri incontrati in Gallia e in Britannia, rappresentano il dovere perenne dell’uomo di coltivare il giardino della civiltà: che è cultura (i nostri eroi hanno tutti buone letture), impegno pubblico, coraggio non disgiunto, in guerra, dalla pietà. Manfredi, attraverso le istruzioni di Merlino a Romolo, spiega che il mondo non si divide in buoni e cattivi, che gli uni e gli altri possono trovarsi nel campo della civiltà come in quello della barbarie. Che la corruzione è certo più facile entro la civiltà, ma che questo non può essere un alibi per “passare ai barbari”.

“Tutto si paga a questo mondo, ragazzo mio: se un popolo raggiunge un grande livello di civiltà sviluppa contemporaneamente anche un certo tasso di corruzione. I barbari non sono corrotti perché sono barbari, per l’appunto, ma anche loro impareranno presto ad apprezzare le belle vesti, il danaro, i cibi ricercati, i profumi, le belle donne, le belle residenze. Tutto questo costa e, per averlo, è necessario tanto denaro, tanto quanto solo la corruzione può dare. In ogni caso, non c’è una civiltà che non abbia in sé una certa quantità di barbarie e non c’è barbarie che non abbia qualche germe di civiltà”. Ma “civiltà significa leggi, ordinamenti politici, certezza del diritto. Significa professioni e mestieri, strade e comunicazioni, riti e solennità. Scienza, ma anche arte, soprattutto arte; letteratura, poesia come quella di Virgilio (…): attività dello spirito che ci rendono molto simili a Dio. Un barbaro, invece, è molto simile a una bestia. Non so se mi spiego. Essere parte di una civiltà ti dà un orgoglio particolare, l’orgoglio di partecipare a una grande impresa collettiva, la più grande che sia data all’uomo di compiere”.

Della barbarie pura il rappresentante nel romanzo è Wulfila, uomo di Odoacre, che insegue i nostri eroi fino in Britannia per impadronirsi della spada di Cesare. Ma questi non raggiunge tuttavia l’abissale malvagità di Wortirgern, il tiranno della Britannia dal volto sfigurato e però celato da una maschera d’oro che lo ritrae immutabile nello splendore della gioventù, maschera diabolica fusa con l’oro di un calice da messa. Wortirgern, di padre celtico e madre romana è, come il Catilina di Sallustio, nobili genere natus, è stato un uomo in gioventù non privo di virtù etico-.militari tipicamente romane, ma la libido dominandi lo ha trasformato in un mostro. Questa mostruosità non è appunto altro che la barbarie che si annida entro la civiltà, che cresce e divora tutto quando il compito romano di esercitare la forza non disgiunta dalla giustizia viene meno. Il volto giovanile, e non invecchiato, non corrotto, del potere, quando la virtù viene meno, è solo una maschera, non a caso d’oro: il metallo della virgiliana auri sacra fames. Quella stessa maschera, non a caso, la ritroveremo sul volto di Wulfila, il barbaro che crede che il potere, la forza di Roma, rappresentata dalla spada di Cesare cui anela, sia pura forza bruta, vittoria sugli altri e non, prima di tutto, su se stessi, sul caos delle nostre passioni.

Infine – anche se tante altre cose vorrei dire – mi è particolarmente caro, di questo romanzo, lo spirito religioso. Siamo nella seconda metà del V secolo. Quella che qui si rappresenta è una romanità in cui il paganesimo è già stato da tempo abolito. Ma Manfredi ha voluto ritrarre alcuni personaggi come ancora ancorati alle credenze, alle memorie pagane. Nella sua nota storica finale, egli scrive che tale presenza è “storicamente non facilmente sostenibile alla fine del V secolo, ma forse non del tutto improbabile alla luce di alcuni segnali nelle fonti più tarde”. Comunque stiano storicamente le probabilità, è un fatto che Manfredi non se l’è sentita di fare del suo eroe principale, Aurelio, un cristiano. Mi permetto di dire, forze forzando le cose, che non poteva. I più genuini valori romani sono così consustanzialmente legati al paganesimo che sarebbe suonato un po’ stonato l’eccesso di romanità di cui Aurelio dà prova.

Innanzitutto, il romanzo è tutto compenetrato dell’idea non cristiana che non è possibile il perdono dell’ingiusto finché questo non è piegato e vinto: parcere subiectis ac debellare superbos. E di fronte alle devastazioni e alle crudeltà inenarrabili di quell’epoca, in cui, come racconta lo stesso Merlino, tanta parte della nobiltà romana aveva lasciato le magistrature e le armi per la vita ecclesiastica, di Aurelio è detto: “Non si era mai rassegnato, non aveva mai condiviso il sogno della città di Dio proclamato da Agostino di Ippona né aveva mai visto città in cielo fra le nubi: l’unica città per lui era l’Urbe dei sette colli, cinta dal muro aureliano, adagiata sul Tevere divino, l’Urbe violata eppure immortale, madre di tutte le terre e di tutte le terre figlia, scrigno delle memorie più sacre”. E le simpatie pagane di Manfredi sono così malcelate che, se l’eroina del romanzo è cristiana, tuttavia è nipote di un romano che alla battaglia del Frigido – teatro dell’ultimo conflito armato tra pagani e cristiani, stava dalla parte di Eugenio, e cioè dei primi. La stessa spada di Cesare, Excalibur, è rinvenuta da Romolo in “una specie di sacrario creato in segreto chissà da chi, forse da Giuliano, che i cristiani avevano condannato all’infamia con il nome di apostata”.

E il mondo pagano che Aurelio rimpiange è, da un lato l’essenza stessa di Roma (in Britannia lo vediamo prendere religiosamente dalla vecchia sede della legio xii draco una carta con l’ode a Roma di Rutilio Namaziano: “Exaudi me regina mundi, inter sidereos Roma recepita polos”, detta “l’ultimo commosso inno alla grandezza di Roma, scritto settant’anni prima, alla vigilia del sacco di Alarico”. Aurelio, scrive sempre Manfredi, “Sospirò e infilò quella piccola pergamena sotto il corsetto, sul cuore, come un talismano”.

Dall’altro lato il mondo pagano cui guarda Manfredi è anche quello di quella straordinaria pluralità religiosa che l’Impero romano conobbe e garantì e di cui Merlino stesso è l’apologeta: “Non esiste che un Dio, Cesare. Sono solo diverse le vie che gli uomini percorrono per cercarlo”. E ancora, parlando del vischio druidico che porta al collo: “Rappresenta il legame con il mondo in cui nacqui, con un’antica sapienza. Non indossiamo forse panni diversi quando passiamo da un paese caldo a uno freddo? E così è per la nostra visione del mondo. La religione è il colore che la nostra anima assume a seconda della luce a cui si espone. Mi hai visto nella luce mediterranea e mi vedrai nelle tenebre delle foreste di Britannia e sarò un altro, ricordalo, e tuttavia lo stesso. Ed è inevitabile che così debba essere”.

Ma è ancora una volta Aurelio a fare una volta per tutte piena, struggente professione di paganesimo: “Se essere pagano significa fedeltà alla tradizione degli antenati e alle credenze dei padri, se significa vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio, se significa rimpiangere una grandezza che non tornerà mai più, ebbene sì, sono pagano”.

E se con il celta Merlino alla fine di questo libro ci sentiamo propensi a pronunciare le sue già citate parole “non possiamo non dirci romani”, con l’eroe Aurelio ci sentiamo alla fine spinti, capovolgendo una famosa frase di Croce, a formulare un nostro: “Perché non possiamo non dirci pagani”


Sandro Consolato



(Questo testo è stato elaborato per la presentazione del romanzo tenutasi a Taormina il 17 maggio 2002, a cura delle associazioni culturali “Azenor” ed “Autem”, con la partecipazione dello stesso Valerio Massimo Manfredi e del prof. Lorenzo Braccesi).

nhmem
26-04-03, 17:16
[QUOTE]Originally posted by Orazio Coclite
[B]http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/ultimalegione.jpg


Ho finalmente messo le mani su questo libro da più parti consigliatomi. E, a quanto sembrerebbe, una casa cinematografica americana (sic) ha acquistato i diritti per la trasposizione su pellicola delle vicende de 'L'ultima legione', vedremo quanto di vero c'è in tutto ciò.
Come recensione/introduzione, ho pensato di allegare di seguito quanto scritto da Sandro Consolato ad una presentazione del libro avvenuta a Taormina:



:) Bravo Orazio Coclite sei proprio il Re del copiaeincolla. Quando ai tempo, se puoi, mi spieghi come si fa per le immagini. Grazie.:confused: :D ;)

Rodolfo (POL)
28-04-03, 01:09
******* RECENSIONI *******
Beniamino M. di Dario, La via romana al Divino. Julius Evola e la religione romana, Edizioni di Ar, Padova 2001, pp. 160, £. 30.000.

La Direzione de «La Cittadella», dandomi l’incarico di occuparmi di questo libro, mi ha messo in serio imbarazzo, dal momento che una mia analisi non potrà in ogni caso essere esaustiva, dovendo in teoria implicare l’approfondito esame di un aspetto essenziale dell’opera di Evola, la religione romana nel suo complesso, i suoi riflessi nella critica storiografica moderna, e l’onesto contributo di un giovane sicuramente preparato e partecipe delle tematiche in oggetto. Un’analisi, dunque, necessariamente parziale, che non potrà rendere conto di questa fatica del di Dario, sia nei suoi pregi sia nei suoi limiti. Ma, premessa questa excusatio non petita, aggiungo che, purtroppo, anche il lettore comune che avrà fra le mani questo volume edito da Ar, non potrà che dedurne un’immagine parziale e riduttiva, dal momento che al lavoro originario (una tesi di laurea sostenuta all’Università di Napoli col prof. Piero Di Vona, che firma la presentazione del volume) l’Editore ha ritenuto opportuno sopprimere il capitolo finale, dedicato a Il tempo della fenice. L’odierno tradizionalismo romano in Italia. Una decisione, questa, tanto più improvvida per il fatto che solo in quest’ultimo capitolo il lettore avrebbe potuto rendersi conto di come molte importanti fonti e concezioni utili a recepire il significato più profondo della tradizione romana l’Autore li possedesse perfettamente, se pur solo di rado ne aveva fatto uso trasparente nella parte edita e accessibile ai lettori.
Fatta questa necessaria premessa e stabilito che “di Dario non si è proposto di porre a confronto l’interpretazione che Evola dà della religione romana e le interpretazioni degli storici di Roma antica” (Di Vona, p. 9), diremo che l’opera è senz’altro esauriente nel più delle parti in cui è suddivisa (La regalità e l’«imperium», Il rito e la concezione del mondo, La bipartizione dello spirito tradizionale, L’oltretomba, Storia e metastoria di Roma, Il significato della restaurazione pagana), carente o insufficiente in poche altre (Caste, arti e mestieri, Evola e il tradizionalismo romano e soprattutto La religione romana nell’attuale panorama degli studi)1[1].
Già nel lontano 1974 Giovanni Conti, in uno studio molto importante, non foss’altro perché fu il primo in materia (e forse per questo mai citato da nessuno?), aveva notato che “l’interpretazione evoliana della civiltà di Roma costituisce uno degli esempi più persuasivi e ammirevoli della portata del metodo tradizionale: metodo che parte dall’idea che l’ordine spirituale, attraverso rapporti di analogia, si riflette in quello naturale, storico, umano”2[2]. L’analisi che Evola compie della realtà di Roma si pone dunque quasi esclusivamente su una base sacrale3[3], a cui commisura ogni suo aspetto: politico, giuridico, etico e persino “razziale”4[4]. Beniamino di Dario ripercorre correttamente le tappe di questo itinerario evoliano attraverso la tradizione di Roma, individuando anche pregi e difetti di un approccio che talvolta risente di concetti e dottrine oggi in parte superati (Wirth, Bachofen, Altheim) o senz’altro erronei e datati (Rose, Piganiol).
Qui segnaleremo velocemente solo alcuni punti che ci sono parsi degni di maggior interesse e approfondimento: il concetto di “dio-anno” e “dio-ascia” (in parte connesso ai caratteri primordiali di alcuni popoli italici, come i Liguri) (pp. 30-31 e 105 n.); il rilievo dato a Sol Indiges e allo svastica “polare” (pp. 32-33); la distinzione formale fra deus e divus, “ove divus designa l’uomo divenuto dio e deus l’essere che è dio da sempre” (p. 41)5[5]; la critica alla confusione fra numen e
mana (p. 45); la giusta enfasi data alla pericolosità del “rito che fallisce” (pp. 48 e 54); la primordialità del culto di Vittoria (p. 81 n.).
Non mancano attenti rilievi ad alcuni approcci non corretti alla religione romana da parte di Evola: ad es., una certa confusione intorno ai Mani/Lari/Penati (pp. 88 n., 93 n.); un certo esasperato dualismo mutuato da Bachofen (e, come non manca di rilevare l’Autore nella parte non edita del suo lavoro, presente pure nell’opera del compianto amico Marco Baistrocchi) (pp. 89, 106, 117 n.); la sottovalutazione della figura e del ruolo di Numa Pompilio e della funzione del rex sacrorum e una certa confusione sul significato ultimo di Alba Longa (pp.113-115).
Con tutto ciò, Evola fu tra “i maggiori esponenti del tradizionalismo romano” fra le due guerre e, come tale, fu al centro degli attacchi di “tutta la lobby clericale” (p. 139). Del resto, “ancor oggi lo spauracchio ‘pagano’ viene agitato … ad impressionare i più bigotti”, mentre “la questione del Vaticano appare tutt’altro che risolta dallo Stato italiano” (p.144).
Non mancano, naturalmente, nel lavoro del di Dario delle inesattezze, alcune sue proprie, altre presenti già in Evola o in altri autori da cui Evola deriva e non rilevati dal nostro Autore. Sintomatico è il caso del lapis niger, che non è affatto una “pietra nera romulea”, “uno dei segreti segni della ‘tradizionalità’ di Roma fin dalle origini” (pp. 20 e 111; i corsivi sono ovviamente nostri), come pensava Evola (sulla scia del Guénon studioso delle “pietre nere”), trattandosi “semplicemente” di un tratto di selciato di colore oscuro, di epoca cesariana, stante a designare nel sottosuolo un heroon legato alla memoria di Romolo: questo sì, di epoca monarchica e locus religiosus protetto da divieti sacrali. Così, la figura divina di Mithra non deve essere confusa con quella del Sol Invictus (pp. 34 e 37) (Mithra non fu mai accolto tra i culti ufficiali dello Stato, a differenza del Sol, ai tempi di Aureliano)6[6]. Forse, parlando della presenza del “giovane Cesare alle esequie della moglie di Mario” (p. 38), per intendere bene il senso delle parole che vi pronunciò nel discorso commemorativo, sarebbe stato opportuno precisare che si trattava della zia del futuro dittatore… Il collegio degli auguri non esercitava certamente “la scienza divinatoria” (p. 41), espressione assolutamente impropria se applicata a dei sacerdoti romani; e così indigitare non “significa invocare” (p. 53), bensì “segnare (certi nomi divini) negli elenchi ufficiali dei pontefici”. Giusta è la critica evoliana a Dumézil (e fatta propria dal di Dario) circa l’eccessivo schematismo della tripartizione indoeuropea e soprattutto giusto il rilievo sulla mancanza del senso della trascendenza nel grande studioso francese (p. 67); ma gli ancilia non erano “pietre cadute dal cielo”! (p. 83: se si rilegge la pagina evoliana a cui il di Dario rinvia, si noterà che Evola accenna correttamente ad un primo unico scudo, non di pietra come del resto le stesse copie che ne vennero fatte, donato dal cielo); né il Rex Nemorensis era, soprattutto alle origini, solo “uno schiavo fuggitivo” (p. 85). Suggestivo e sostanzialmente esatto, il rilievo dato a un possibile “culto solare unitario” nella preistoria italica (p. 105), ma in Valcamonica non si può affatto contemplare, incisa su roccia, “la figura del toro” (p. 107), quanto quella del cervo, che simbolicamente rappresenta tutt’altra cosa (qui evidentemente ci si confonde con la diversa realtà rupestre di Monte Bego nelle Alpi Marittime)7[7].
A proposito della vexata quaestio della supposta “nave di Giano”, poiché sono stato chiamato direttamente in causa dall’Autore (p. 27 n.), non posso esimermi dal tornare sull’argomento. Il di Dario si rifà ad Arcana Urbis di Baistrocchi (Genova 1987, p. 88 n. 25 e p. 246 n. 246), il quale, a sua volta, si rimetteva a certe affermazioni di Angelo Brelich8[8], che citava le Questioni Romane, 22 e 41, di Plutarco. Per l’occasione, sono andato a rivedere il testo originale greco di Plutarco e vorrei sottolineare, spero una volta per sempre, che questi si limita a porre la nave, che si vorrebbe “di Giano”, in relazione all’arrivo di Saturno nel Lazio. E’ vero che Plutarco riporta come anche Giano (e così poi Evandro ed Enea) sarebbe giunto in Italia per mare, ma, pur prescindendo dalla evidentemente tarda interpretazione evemeristica di origine greca, è proprio la concezione
“teologica” di Giano, derivante dalla dottrina pontificale romana (rispecchiata dal discorso di Pretestato in Macrobio), che ci permette di affermare come Giano, in quanto realtà principiale e indifferenziata, simbolo della tradizione primordiale presente nel Lazio, divinità unica e originaria dei Latini (come riconoscono anche gli studiosi “profani”), lungi dal provenire da chissà quale realtà esterna (e quindi, simbolicamente, su una nave, per mare), sia connaturato al suolo laziale ab origine. Come tale, Egli accoglie Saturno, il dio decaduto dal “tempo degli dèi” e destinato ad inaugurare il primo “tempo degli uomini”: l’aurea aetas Saturni9[9].
I rilievi che abbiamo fatto e che – come abbiamo anticipato all’inizio – potrebbero dare un’impressione sbagliata sul valore complessivo di quest’opera, non ci impediscono peraltro di convenire pienamente con Piero Di Vona, nel dare “lode a di Dario” soprattutto “per aver trattato con larghezza e in modo incisivo le idee svolte da Evola in Imperialismo Pagano, questo libro il cui valore fu ben maggiore di quanto supponesse il suo stesso autore” (p. 9). E’, questa cui si riferisce Di Vona, una parte specialmente esauriente ed efficace del libro, che non trascura anche i successivi e controversi rapporti instaurati da Evola col cattolicesimo. Una questione, sottolinea l’Autore, delicata e complessa e ancora aperta alla ricerca filologica e scientifica: non quindi a qualsivoglia polemica, più o meno interessata, di cui non sono mancati purtroppo esempi anche recenti. Sine ira et studio, sembra dire di Dario, si potrà giungere a una migliore comprensione di realtà spirituali altrimenti poco decifrabili.
Renato del Ponte

Orazio Coclite
16-05-03, 20:12
Dopo averne completato la lettura vorrei porre all'attenzione dei presenti i due ultimi numeri de 'La Cittadella', la rivista edita dal MTR (Movimento Tradizionale Romano).
I contenuti si mantengono al livello dei numeri passati, e ciò grazie sia alla qualità delle firme presenti, come anche alla lunga esperienza maturata dagli stessi nel campo degli studi religiosi che, tengo a ricordarlo, sono una delle realtà più vecchie e consolidate nel campo della fedeltà all'antica religione europea, essendo il MTR attivo fino dagli anni '70.

Consiglio la rivista a quanti interessati a riscoprire le proprie radici spirituali di italiani ed europei.


LA CITTADELLA
Anno II, nuova serie, numero 08, MMDCCLV a.U.c.

EDITORIALE: “La nostra rivista”, Sandro Consolato
AVCTORES VIII: Aulo Gellio, Dei e terremoti (a cura di s.c.)
Le ragioni dell’inesistenza della persona giuridica in Diritto Romano, Giandomenico Casalino
Apollo, Diana e i tre volti di Giano, Luigi Moretti
L’Orante e l’Androgino. La Tradizione Verticale dell’Immortalità nell’iconografia neolitica del Basso Adriatico, Mario Giannitrapani
La guerra in Roma nel suo aspetto religioso (III parte), Luisa Farina
I consigli per la vita militare di Pio Filippani-Ronconi
PAGINE RITROVATE: Jacob Burckhardt, Una “devotio” nel Rinascimento (a cura di s. c.)
Sogno e Realtà, C. Z. e R. A.
Un epistolario con l’autore di Fascisteria
Sommarî degli anni I (2001) e II (2002)



LA CITTADELLA
Anno III, nuova serie, n° 9, gennaio-marzo 2003, MMDCCLV a.U.c.


EDITORIALE: Giano, Evola e il centro-destra, Sandro Consolato
AVCTORES IX: Valerio Massimo, Roma, o il primato della pietas (a cura di s.c.)
L'experientia della Via di Giano, Salvatore C. Ruta
Mithra e il Re dei Boschi di Nemi, Luigi Moretti
Le catastrofi del 387 a.C. e del 410 d.C. e i "pignora imperii", Sandro Consolato
La guerra in Roma nel suo aspetto religioso (IV parte), Luisa Farina
Celso filosofo anticristiano, Gennaro D'Uva
Il Celso anticristiano di Louis Rougier, Alfonso De Filippi
La repressione antipagana e la "Pro templis" di Libanio, Roberto Incardona
Achille Coen. Un dimenticato storico israelita sincero cultore della Tradizione Romana, Renato del Ponte
PAGINE RITROVATE: Luigi Carrara, Gli dei e il crepuscolo (a cura di s.c.)
RECENSIONI: Aldo A. Mola, Storia della monarchia in Italia (S. Consolato); Roberto Sestito, Storia del Rito Filosofico Italiano e dell'Ordine Antico e Primitivo di Memphis e Mizraim (G. D'Uva)


Per ordinare 'La Cittadella': http://www.lacittadella-mtr.com

Orazio Coclite
16-05-03, 20:33
Da segnalare anche il nuovo numero di 'Satvrnia Regna', rivista che si fa sempre più interessante, anche grazie al formato elegante e di bella presenza.

http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/satvrniaregna37.jpg

L'ultimo numero è il 37 (gennaio-marzo 2003), e presenta all'interno:

'Redevnt Satvrnia Regna. Adveniat Avgvstvs'
a cura della Redazione

'Metafisica della Regalità e concezione universale del Divinum Imperivm Romanvm'
di L.M.A. Viola

'Augusto. Divino Imperatore Eterno'
di Missvs

'"Renovatio Imperii". Usurpazione e falsi alla radice della costituzione del Sacro Romano Impero
di N. Addamiano

'Roma. Le vere radici dell'Europa e l'azione sovraeuropea universale (parte I)'
di ARQ

'René Guénon, la Tradizione Romana e la Metafisica Classica. Errori e sviamenti (parte I)'
di S. Recupero



Da segnalare l'articolo '"Renovatio Imperii". Usurpazione e falsi alla radice della costituzione del Sacro Romano Impero', che presenta ampi stralci dell'ormai introvabile opera di Natale Addamiano 'Stato e Chiesa. Dalle origini ai Patti Lateranensi' (edito nel 1969). Opera che ha conosciuto, dal momento della sua edizione, ostracismi furiosi e inibizioni alla ristampa dalle fonti presumibilmente sentitesi chiamate in causa. Il libro infatti ordina ed espone una mole enorme di dati storici-teologici-filosofici secondo un filone unico, intento a dimostrare le modalità con cui la Chiesa cristiana ha installato il suo dominio temporale, scadendo in quel temporalismo plurisecolare che tanti guai ha fatto passare all'Italia e all'Ecumene Imperiale.

Da segnalare inoltre l'articolo 'René Guénon, la Tradizione Romana e la Metafisica Classica. Errori e sviamenti (parte I)'. Anche qui una raccolta di scritti ormai introvabili, di Sebastiano Recupero, comparsi fra il 1981 e il 1983 nella 'Rivista siciliana di studi tradizionali Il Ghibellino'. Su tale rivista, che ha cessato le pubblicazioni da venti anni, Sebastiano Recupero fece comparire alcuni articoli atti a rettificare diversi errori compiuti da René Guénon nel trattare della Tradizione Romana, della Filosofia Classica e del Mistero Imperiale Romano.


http://www.victrix.it

Orazio Coclite
22-05-03, 19:09
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/mithra24.jpg

'Assegnarono dunque a Mitra come sua propria la sede agli equinozi; per questo porta il pugnale di Ariete, segno zodiacale di Ares, ed è trasportato dal toro, ed è il toro di Afrodite.
Essendo demiurgo e signore del generare, Mitra è collocato nel cerchio equinoziale.'

Porfirio di Tiro
233-305
da "Sull'antro delle ninfe nell'Odissea" cap. 24


'Roma e il suo impero' n° 4, aprile 2003, € 2,50

Vorrei segnalare questa recente iniziativa editoriale dell'infaticabile Carlo Pavia, dal titolo di 'Roma e il suo impero', un nuovo mensile arrivato al suo quarto numero dal titolo: "IV secolo: Mithra o Cristo?", monografico appunto sul mithraismo nella Roma del quinto secolo DC. completa di un buon apparato iconografico.
L'autore ha già scritto tre libri sull'argomento, di cui posseggo però solamente l'ultimo e di cui consiglio l'acquisto:

Da: http://www.gangemieditore.it/


http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/mitreidiromaantica.jpg

Carlo Pavia, Guida dei mitrei di Roma antica - Dai misteriosi sotterranei della Capitale - Oro, Incenso e Mithra
Gangemi editore, euro 18,59

Il Mitraismo è, tra le religioni antiche di epoca romana, quella che più incuriosisce. Il motivo va ricercato nella grande quantità di nessi in comune con il Cristianesimo. Attraverso una attenta analisi, approfondita e assai mirata, Carlo Pavia è riuscito a chiarire alcuni aspetti di quella che potrebbe essere definita una complessa simbologia di una filosofia che, nata 2.000 anni prima di Cristo, si modifica nell'area ellenistica fino a diventare fiorentissima in ambito romano. Le splendide fotografie, i disegni ricostrettivi e le piante che l'autore, di suo pugno, ha realizzato, oltre ad un testo chiaro ed entusiasmante, coadiuvato da uno stile e una forma ormai sperimentati con successo nelle sue precedenti e, in ordine di tempo, opere Guida di Roma sotterranea e Nel Ventre di Roma (Gangemi Editore), fanno di questo libro anche un vademecum per tutti coloro che vogliano inebriarsi dell'antico fascino dei numerosi mitrei ancora esistenti in Roma, ad Ostia e nel mondo romano. L'autore punta molto l'attenzione sulle fonti letterarie cristiane come Giustino, Girolamo, Agostino, Origene, Tertulliano, tutti impegnati a sottolineare il contrasto tra il Mitraismo, filosofia indubbiamente originale ed innovativa, e gli altri culti contemporanei, con particolare riguardo al Cristianesimo nascente. Approfondita appare anche l'analisi delle numerose testimonianze archeologiche, dalle pitture alle sculture, dai luoghi di culto a quelli sincretistici. Alla fine il lettore ha davanti a sé un chiarissimo quadro circa il cerimoniale misterico mitraico, l'atteggiamento di convivenza o di intolleranza nei confronti degli altri culti e soprattutto le diverse prospettive salvifiche che entrambi le religioni, Mitraismo e Cristianesimo appunto, seppero proporre ai loro seguaci. Oro, incenso e Mithra è il sottotitolo che meglio non avrebbe potuto sintetizzare il contenuto del volume: lo scontro tra il Mitraismo e il Cristianesimo in un periodo ben preciso della storia romana. I mitrei sono ancora impregnati dell'odore acre del sangue del toro sgozzato, dei tenebrosi rituali degli iniziati, della plurisecolare cupezza dei luoghi; Carlo Pavia è riuscito ancora una volta ad accompagnare i lettori in quei suggestivi ambienti.
Carlo Carletti
Accademia dei Culti Orientali

Carlo Pavia è scrittore-documentarista. Dottore in Archeologia e Topografia Antica, per anni si è dedicato quasi esclusivamente a documentare e studiare il mondo romano antico con particolare attenzione a quello ipogeo. Ricchissimo appare il suo curriculum con decine di opere editoriali e pubblicazioni su riviste specializzate a carattere regionale, nazionale e internazionale, coautore tra l'altro nel "Dizionario della Enciclopedia Italiana" delle voci Mitreo e Mitraismo. È stato fondatore e direttore del G.S.U. Lu.Pa. (Gruppo di Speleologia Urbana), della Associazione Culturale LUPA e della rivista FORMA VRBIS.

nhmem
22-05-03, 19:44
Originally posted by Orazio Coclite


'Roma e il suo impero' n° 4, aprile 2003, € 2,50

Vorrei segnalare questa recente iniziativa editoriale dell'infaticabile Carlo Pavia, dal titolo di 'Roma e il suo impero', un nuovo mensile arrivato al suo quarto numero dal titolo: "IV secolo: Mithra o Cristo?", monografico appunto sul mithraismo nella Roma del quinto secolo DC. completa di un buon apparato iconografico.



:confused: Puoi dirci qualcosa di più di questa rivista? Si trova solo a Roma?

Orazio Coclite
24-05-03, 23:31
Originally posted by nhmem
:confused: Puoi dirci qualcosa di più di questa rivista? Si trova solo a Roma?
Mirabile Professore, mi scuso innanzitutto per non aver potuto rispondere prontamente alla domanda postami, ma come sarà facile dedurre dalla rarefazione dei miei messaggi nel forum, sto attraversando un periodo pieno di impegni.

Ad ogni modo, l'invero smilza rivista 'Roma e il suo impero' è l'ultima fatica di Carlo Pavia, già noto sia per la sua attività di studioso di Roma, che per le ricerche di speleologia urbana nel ricco sottosuolo romano, ricerche da cui è partita la pubblicazione del mensile 'Forma vrbis. Itinerari nascosti di Roma antica', rivista giunta ormai al suo ottavo anno di pubblicazione. Entrambe sono edite dalla E.S.S. (http://www.editorial.it) e francamente non credo siano facilmente reperibili ovunque, ma di certo nelle principali edicole delle maggiori città.

Se può servirti vedrò di procacciare un contatto con Carlo Pavia.

Questo è quanto. Però adesso te la domando io una cosa, anzi due:

1. Qual'é il migliore testo in circolazione sulla religiosità etrusca?

2. Che ne pensi delle teorie 'eretiche' sollevate da Giovanni Feo nei suoi due testi ('Prima degli etruschi' e 'Misteri etruschi') editi da Stampa Alternativa?

Grazie e ciao.

Mjollnir
25-05-03, 16:10
In Origine Postato da Orazio Coclite
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/ultimalegione.jpg

“Roma non si identifica con una razza, o un popolo, o un’etnia. Roma è un ideale e gli ideali non si possono distruggere”.
(...)

Eh eh...proprio qui sta la radice di una serie di problemi - forse irrisovilbili - di cui si discuteva anche in un altro 3d...



In Origine Postato da Orazio Coclite
E intrepido legionario Romano è il simpatico Cornelio Batiato, un gigante etiope, come gli altri suoi compagni “Romano per romano giuramento”. E l’etnia di questo personaggio non è forse casuale: gli etiopi nell’Eneide, il poema che Merlino porta sempre con sé esortando Romolo a leggerlo, stanno con i troiani, ed etiopi sono pure stati gli ultimi combattenti di razza nera del nosto ultimo, effimero ma non inglorioso impero.[/i]

Qui bisogna osservare che, dopo la localizzazione nordica del ciclo omerico-troiano, non ha + senso pensare alla filiazione orientale di Roma. Gli Etiopi mitici ovviamente non sono gli Etiopi dell'Africa moderna.
Tuttavia il problema resta invariato: Roma non arresto` la sua espansione al limes etnolinguistico (indo)europeo. Cio` rende molto difficile pensare l'Impero come la forma politica propria di un macro-nazionalismo europeo, al contrario depone per l'accezione negativa (cosmopolitica) di universale.

Orazio Coclite
25-05-03, 19:29
La questione non è affatto irrisolvibile, semmai malposta, come qualunque quirita romano seguace dell'Antica Religione potrebbe dirti, visto che il concetto di 'Imperium' fa pienamente parte della visione ontologica legata alla fede negli Dei delle genti italiche.

Quanto prima, spero entro la settimana entrante, vedrò di intromettermi nella discussione in corso nell'altro thread per dire la mia sull'argomento. Per ora ti saluto.

A presto.



PS - la localizzazione nordica del ciclo omerico, per quanto probabile, é ancora un'ipotesi fra le tante. Giusto l'altro ieri, per esempio, leggevo di sfuggita sul giornale di uno studioso americano (o era inglese?) che aveva identificato gli antichi siti omerici facendo riferimento allo studio della morfologia delle coste e di come dovevano essere migliaia di anni fa.

PPS - se Roma avesse mantenuto intatto il 'Patto' con gli Dei l'Europa sarebbe divenuta allora solo un marinettiano 'punto di partenza'.

nhmem
25-05-03, 21:05
Originally posted by Orazio Coclite
Però adesso te la domando io una cosa, anzi due:

1. Qual'é il migliore testo in circolazione sulla religiosità etrusca?

2. Che ne pensi delle teorie 'eretiche' sollevate da Giovanni Feo nei suoi due testi ('Prima degli etruschi' e 'Misteri etruschi') editi da Stampa Alternativa?

Grazie e ciao.


Rispondo:
1. Il saggio sulla religione etrusca contenuto in Gli Etruschi , a cura di M. Torelli, catalogo della Mostra, Venezia 2000.

2. Ho provato diverse volte a leggerli senza mai riuscire ad arrivare alla fine (la cosa può valere come giudizio? :confused: ).
Per certi versi le trovo interessanti, per altri le trovo "tirate per i capelli" ma non avendone completata la lettura non posso trarne, per il momento, giudizi conclusivi.

nhmem
25-05-03, 21:11
Originally posted by Orazio Coclite
Ad ogni modo, l'invero smilza rivista 'Roma e il suo impero' è l'ultima fatica di Carlo Pavia, già noto sia per la sua attività di studioso di Roma, che per le ricerche di speleologia urbana nel ricco sottosuolo romano, ricerche da cui è partita la pubblicazione del mensile 'Forma vrbis. Itinerari nascosti di Roma antica', rivista giunta ormai al suo ottavo anno di pubblicazione. Entrambe sono edite dalla E.S.S. (http://www.editorial.it) e francamente non credo siano facilmente reperibili ovunque, ma di certo nelle principali edicole delle maggiori città.

Grazie delle informazioni e dell'interessamento. Il ritardo è più che comprensibile.

VALE.

Mjollnir
26-05-03, 00:38
In Origine Postato da Orazio Coclite
La questione non è affatto irrisolvibile, semmai malposta, come qualunque quirita romano seguace dell'Antica Religione potrebbe dirti, visto che il concetto di 'Imperium' fa pienamente parte della visione ontologica legata alla fede negli Dei delle genti italiche.

Quanto prima, spero entro la settimana entrante, vedrò di intromettermi nella discussione in corso nell'altro thread per dire la mia sull'argomento. Per ora ti saluto.

A presto.



PS - la localizzazione nordica del ciclo omerico, per quanto probabile, é ancora un'ipotesi fra le tante. Giusto l'altro ieri, per esempio, leggevo di sfuggita sul giornale di uno studioso americano (o era inglese?) che aveva identificato gli antichi siti omerici facendo riferimento allo studio della morfologia delle coste e di come dovevano essere migliaia di anni fa.

PPS - se Roma avesse mantenuto intatto il 'Patto' con gli Dei l'Europa sarebbe divenuta allora solo un marinettiano 'punto di partenza'.

D'accordo allora, Orazio, attendo con impazienza i tuoi interventi. Proseguiamo dunque la discussione del primo punto nel thread a proposito dell'immigrazione, e il secondo nel thread - un pò vecchio, ma adesso vado a ripescarlo - sulla questione omerica.

Ciao :)

Orazio Coclite
07-07-03, 19:22
Roma e il suo impero, n° 6, giugno 2003, € 2,50

Nuovo numero della piccola rivista, nemmeno una trentina di pagine in tutto, di Carlo Pavia. Interessante ai fini di questo forum perché va ad esplorare le fondamenta del fu Tempio di Giunone Regina, sito nell'attuale zona del ghetto ebraico di Roma. Come da copione, trovandosi le fondamenta nel tempio nelle cantine di un'abitazione privata di una famiglia ebrea, immancabile la rivisitazione della barbarie nazista e delle penose vicende di quegli anni bui (incluso un attacco a Pio XII). Peccato quindi per le solite desuete tiritere che inficiano un articolo che di ben altro avrebbe dovuto trattare. Completano la rivista altri articoli sui sotterranei romani e su nuove metodologie di rilievo e salvaguardia archeologica.
Il prossimo numero conterrà il doppio della pagine a prezzo invariato ed un articolo sul Tempio dei Dioscuri.

nhmem
28-07-03, 21:28
Originally posted by Orazio Coclite
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/ultimalegione.jpg





Adesso è disponibile anche in edizione economica per "I Miti" Mondadori, € 4,60.

Finalmente l'ho letto anch'io che non sono un patito dei romanzi. Avvincente e scorrevole, merita veramente.

VALE;)

Orazio Coclite
04-08-03, 20:24
E' uscito il nuovo numero de 'La Cittadella':



Anno III, nuova serie, n° 10, aprile-giugno 2003, MMDCCLVI a.U.c.


SOMMARIO

EDITORIALE: Nel segno di Flora, Sandro Consolato (24 Kb)

AVCTORES X: Orazio, Il Carmen Saeculare, il tempo dell’Imperium e l’Aeternitas Romae (a cura di Gennaro D’Uva)

Ersilia Caetani Lovatelli, Gennaro D’Uva

I Ludi Secolari, Ersilia Caetani Lovatelli

Flora, Salvatore C. Ruta

La “Primavera” del Botticelli: un mistero pagano del Rinascimento, Renato del Ponte

Il ritorno di Roma nel pensiero ermetico di Giuliano Kremmerz, Sandro Consolato

Cola di Rienzo e Mussolini. Vite e morti parallele, Elio A. Soria

PAGINE RITROVATE: Henry James, L’ultimo dei Valerii (a cura di Sandro Consolato)

RECENSIONI: I misteri del Sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica di S. Arcella (a cura di Roberto Incardona) (39 Kb)



E' possibile scaricare degli articoli da leggere in anteprima direttamente sul sito: www.lacittadella-mtr.com

Orazio Coclite
04-08-03, 21:08
Nel frattempo la Victrix (http://www.victrix.it) fa uscire due nuovi numeri di Satvrnia Regna e un libro sul culto privato:


http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/satvrniaregna37.jpg

SATVRNIA REGNA n° 37
€ 8,00

Sommario
Redevnt Satvrnia Regna. Adveniat Avgvstvs
Metafisica della Regalità e concezione universale del Divinvm Imperivm Romanvm
Augusto Divino Imperatore Eterno
“Renovatio Imperii” Usurpazioni e falsi alla radice della costituzione del Sacro Romano Impero
ROMA. Le vere radici dell’Europa e l’azione sovraeuropea universale (Parte I)
René Guénon, la Tradizione Romana e la Metafisica Classica. Errori e sviamenti (Parte I)


SATVRNIA REGNA n° 38
€ 8,00

Sommario
La Patria Italia. La missione divina di Pace Augusta dei Romani-Italiani
Roma. Le vere radici dell’Europa e l’azione sovraeuropea universale.
II parte. Occultamento della divina funzione di Europa, dagli “Imperi” Cristiani alla dissoluzione nazionalista moderna.
I fondamenti della Identità Nazionale Italiana e del Culto Patrio
Renè Guènon, la Tradizione Romana e la Metafisica Classica. Errori e sviamenti. II parte



http://victrix.etecna.it/Edizioni/Libri.asp

http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/cultoprivato-I.jpg

Attilio De Marchi
Il Culto Privato di Roma Antica Vol. I
La Religione nella vita domestica
Iscrizioni e Offerte Votive
€ 27,00

De Marchi dedicò massimo impegno e amore ad una disciplina che riteneva fondamentale per comprendere la formazione e la struttura del culto pubblico di Roma antica, lo studio delle antichità private. L’opera sul culto privato è divisa in due volumi, il primo raccoglie l’organizzazione del culto nella Gens-Familia, il secondo volume si estende alla trattazione di specifici culti gentilizi. In questo primo volume il De Marchi sviluppa in modo unitario e centrale la modalità dei Sacra Privata nella Gens-Familia.

UltimaThule
31-08-03, 17:57
Ho un numero della rivista Saturnia Regna e spero di ottenerne altre. Questa l'ho catturata quando andai dall'Europa magari ci fosse una libreria del genere qua in terra d'albione ma non resisterebbe piu' di un giorno e il deserto continua a crescere....

Senatore
31-08-03, 19:06
Originally posted by UltimaThule
Ho un numero della rivista Saturnia Regna e spero di ottenerne altre. Questa l'ho catturata quando andai dall'Europa magari ci fosse una libreria del genere qua in terra d'albione ma non resisterebbe piu' di un giorno e il deserto continua a crescere....

Anch'io apprezzo i loro intenti e la loro attività, però devo dire che la lettura della loro pubblicazione mi ha lasciato un pò freddino.

Orazio Coclite
10-09-03, 01:33
Originally posted by Senatore
Anch'io apprezzo i loro intenti e la loro attività, però devo dire che la lettura della loro pubblicazione mi ha lasciato un pò freddino.
Se è per questo anch'io ne avrei da ridire su 'Satvrnia Regna', specie a livello di contenuti, ma cerco, per quanto possibile, di non 'affossare' la già sparuta pubblicistica pagana presente in Italia.
Sugli ultimi numeri sono però presenti alcuni interessanti recuperi di altre pubblicazioni, e degli articoli che smontano un po' delle strumentalizzazioni del cristianesimo.
Se non altro Satvrnia Regna si pone in aperto contrasto con la religione del dio geloso, cosa che, per una questione di stile, non fanno le altre pubblicazioni pagane italiane. E non che io mi senta di condannare in alcuna misura tale approccio, ne porto solo testimonianza.

Vale.

Orazio Coclite
03-12-03, 17:29
Alcuni dei miei ultimi acquisti:


LA CITTADELLA numero 11
Anno III, nuova serie, luglio-settembre 2003 e.v. MMDCCLVI a.U.c.

Editoriale / Parole, pietre, civiltà, Sandro Consolato

Auctores XI / Svetonio, Augusto nascituro e i presagi dell’auctoritas

Auctoritas. La parola, l’origine, il suo significato nella cultura giuridico-religiosa romana, Giandomenico Casalino

Krn. Ierofanie protostoriche e relitti lessicali delle “corna di folgore”, Mario Giannitrapani

Il culto delle pietre, Ersilia Caetani Lovatelli

Ancora sul tempo dell’Imperium, Gennaro D’Uva

Venezia e le acque, Andrea Marcigliano e Marco Allasia

Viva “S. Marco” e viva l’Italia, Sandro Consolato

Pagine ritrovate /Ugo Foscolo, La luce di Vesta

RECENSIONI: Piero Di Vona, Evola e l’alchimia dello spirito


La Cittadella si conferma ancora una volta come una delle migliori riviste di orientamento tradizionale reperibile in Italia. Testi sempre all'altezza, mai scontati o superificiali. Come in passato ne consiglio spassionatamente l'acquisto.

***

Natale Mario Di Luca
"Arturo Reghini, un intellettuale neo-pitagorico tra massoneria e fascismo"
(edizioni Atanòr), euro 14,00

***

http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/cristianitaoeuropa.jpg

Mario Alighiero Manacorda
Cristianità o Europa? Come il cristianesimo salí al potere
pag. 299, 2003, Editori Riuniti

Nella costituzione europea deve esserci un riferimento alle radici cristiane? Questo libro, che riprende in forma interrogativa il titolo del pamplhet di Novalis del 1799 che fu il manifesto della Restaurazione, risponde ricostruendo nei secoli, da Gesù a Teodosio, il sanguinoso passaggio del cristianesimo da religione delle coscienze a religione del potere. Una scrittura documentata e senza mezzi termini che, facendo seguito alla Lettura laica della Bibbia, sconvolge i dati della vulgata storiografica, mostrando nella secolare battaglia tra pagani e cristiani personaggi veri e vicende drammatiche che hanno determinato il nostro essere odierno.

***

http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/satvrniaregna39.jpg

SATURNIA REGNA N° 39
Luglio-Settembre 2003, € 8,00

Sommario
PAX AUGUSTA ET ROMANA
La Divina Pace Pubblica ed i suoi inviluppi
Metafisica della Pace
Pax: natura del termine
Metafisica della Pax
Nozioni di Persona divina, Città divina, Regalità divina
L’analogia fondamentale kosmos-anthropos-polis: i fondamenti dell’arte politica ieratica
La teofania primordiale della Persona divina, della Regalità e della Città divina
La Tradizione Epifanica della Regalità e della Città divina nel ciclo temporale
La funzione dell’Arte Politica-Ieratica e del perfetto politico
Cenno generale alla metafisica della guerra
Pax Augusta et Romana
Roma, la Città divina
Pax Deorum: fondamento di Roma e del suo Imperium Divinum
Augustus, la Pax Augusta et Romana
Dall’oscuramento all’occultamento della Pax Deorum Augusta fino alla negazione della Divina Pace Pubblica e Privata
Breve cenno alla natura dell’Imperium Divinum Romanum
Dalla Pax Romana alla Pax Christiana: inviluppo e limitazione della pace universale non duale
Il mondo moderno: profanazione della Pax, del Bellum e della Militia



http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/satvrniaregna38.jpg

SATURNIA REGNA N° 38

Sommario
Editoriale. La Patria Italia. La missione divina di Pace Augusta dei Romani Italiani
Roma. Le vere radici e l'azione sovraeuropea universale II parte
I fondamenti della identità nazionale italiana e del culto patrio
Réné Guénon, la tradizione romana e la metafisica classica. Errori e sviamenti.

Orazio Coclite
05-12-03, 16:36
Originally posted by Orazio Coclite
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/cristianitaoeuropa.jpg

Mario Alighiero Manacorda
Cristianità o Europa? Come il cristianesimo salí al potere
pag. 299, 2003, Editori Riuniti
Mentre davo un'occhiata a caso fra le pagine di questo testo sono incappato in un passaggio illuminante, che mi permette già di prefigurarmene con una certa approssimazione il contenuto.

Trascrivo da pagina 15: "In pratica le religioni si formano o dai tentativi di interpretare delle forze naturali dell'universo nel quale, senza averlo voluto, ci troviamo a nascere, vivere e morire, oppure dalla trasposizione in un altro mondo di storie di personaggi umani divinizzati, come potrebbero essere stati Eracle o Romolo."

:eek: Ma c'è ancora in giro gente che diffonde banalità del genere? Tutto alquanto esecrabile e ridicolo direi.

Ma d'altronde la casa editrice d'uscita del libro, la Editori Riuniti, avrebbe dovuto far suonare qualche campanellino nelle mie orecchie, portavoce com'é delle istanze culturali dei moderni democratici di sinistra. Sono allora andato a guardare un attimo in rete per capire meglio chi fosse questo Mario Alighiero Manacorda, e di fronte ad articoli sul perché non ci si può dire comunisti, o nel fermare la data della propria morte al fatidico 1989 nella propria biografia, ho capito pienamente l'orientamento politico dell'autore.
Un altro materialista, probabile ex-comunista o comunque nostalgico dei soviet, che profitterà di queste 300 pagine per rimarcare le tante efferatezze e crimini commessi dal cristianesimo (il che non è in sé necessariamente un male, anzi) nei confronti dei seguaci dell'autentica religione europea.

Questa breve nota solo per fare chiarezza sull'autore e i contenuti dell'opera da me segnalata. Maggiori dettagli una volta che l'avrò letta nella sua interezza.

Vale.

Albino Cecina
06-12-03, 03:16
Originally posted by Orazio Coclite
Trascrivo da pagina 15: "In pratica le religioni si formano o dai tentativi di interpretare delle forze naturali dell'universo nel quale, senza averlo voluto, ci troviamo a nascere, vivere e morire, oppure dalla trasposizione in un altro mondo di storie di personaggi umani divinizzati, come potrebbero essere stati Eracle o Romolo."

Evidentemente l'autore è ateo: presone atto, basta filtrarne le opinioni ed estrarne i dati utili (nel caso specifico, le malefatte della Chiesa), come ho fatto io con personaggi irritanti come Paul Veyne.

Dovendo scegliere, comunque, preferisco un ex-comunista a un papalino sfegatato.