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Visualizza Versione Completa : 29 gennaio (24 gennaio) - S. Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa



Colombo da Priverno
25-01-03, 18:03
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/dettaglio/22400), con alcune mie modifiche:

San Francesco di Sales, Vescovo e dottore della Chiesa

24 gennaio - Memoria

Thorens (Savoia), 21 agosto 1567 - Lione, 28 dicembre 1622

Vescovo di Ginevra, fu uno dei grandi maestri di spiritualità degli ultimi secoli. Scrisse l’Introduzione alla vita devota (Filotea) e altre opere ascetico-mistiche, dove propone una via di santità accessibile a tutte le condizioni sociali, fondata interamente sull’amore di Dio, compendio di ogni perfezione (Teotimo). Fondò con santa Giovanna Fremyot de Chantal l’Ordine della Visitazione. Con la sua saggezza pastorale e la sua dolcezza seppe attirare all’unità della Chiesa molti calvinisti. (Mess. Rom.)

Patronato: Giornalisti, Autori, Scrittori, Sordomuti

Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati, insegnò ai cristiani con i suoi scritti la devozione e l’amore di Dio e istituì, insieme a santa Giovanna di Chantal, l’Ordine della Visitazione; vivendo poi a Lione in umiltà, rese l’anima a Dio il 28 dicembre e fu sepolto in questo giorno ad Annecy.
(28 dicembre: A Lione in Francia, anniversario della morte di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, la cui memoria si celebra il 24 gennaio nel giorno della sua deposizione ad Annecy).

Martirologio tradizionale (29 gennaio): San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, Confessore e Dottore della Chiesa, speciale Patrono presso Dio di tutti gli Scrittori cattolici, che con la pubblicazione di giornali ed altri scritti illustrano, promuovono e difendono la sapienza cristiana; il quale se ne andò in cielo il ventotto Dicembre, ma si venera principalmente in questo giorno per la traslazione del suo corpo.

(28 dicembre): Così pure a Lione, in Francia, il natale di san Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra e Confessore, il quale, illustre per la dottrina e per l'ardentissimo zelo nel convertire gli eretici, fu ascritto nel numero dei Santi dal Papa Alessandro settimo, il quale stabilì sua festa si celebrasse il ventinove Gennaio, giorno nel quale il suo sacro corpo fu trasportato da Lione ad Annecy, in Savoia. Dal Sommo Pontefice Pio nono fu dichiarato Dottore della Chiesa universale; e dal Papa Pio undecimo fu costituito e confermato celeste Patrono di tutti gli Scrittori cattolici, che con la pubblicazione di giornali o altri scritti illustrano, promuovono e difendono la sapienza cristiana.

‘Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore’. In questa affermazione di S. Francesco di Sales (nato il 21 agosto 1567 nel castello di Sales da una nobile famiglia nell'Alta Savoia, e battezzato il giorno dopo con i nomi di Francesco Bonaventura) sta il segreto della simpatia che egli ha saputo suscitare tra i suoi contemporanei. La sua mitezza d'animo, che tanto fascino esercita su quanti leggono la biografia del santo, non era una dote innata e ce ne fa fede una sua frase rivelatrice: "Volete che in un quarto d'ora io perda quel poco di mitezza che mi sono acquistato in vent'anni a prezzo di tante fatiche?".
Così egli rimase famoso presso i contemporanei per la sua santità fatta anche ... di buone maniere. I suoi biografi parlano di Francesco come di un perfetto gentiluomo con tutti, nobili, dotti o semplici popolani. Un uomo che non faceva mai mancare il sorriso alle persone con cui parlava, che trattava tutti con dolcezza e affabilità, che quando discuteva con gli avversari protestanti non usava mai parole dure, o minacciose o arroganti o umilianti. L’avversario si allontanava da Francesco magari non convinto dalle argomentazioni teologiche, ma “conquistato” lo stesso dai suoi modi di fare sempre rispettosi. Egli stesso sintetizzava l’importanza delle buone maniere nel proprio lavoro pastorale dicendo: “Attira più mosche un goccia di miele che un barile di aceto”. Un santo come si vede che ha da insegnare a tutti in campo civile ed ecclesiale.
Fu allievo dei Gesuiti a Clermont per gli studi umanistici e per la filosofia. Iniziò anche il suo primo contatto con la teologia alla Sorbona.
Nel 1588, il padre lo mandò a Padova a studiare diritto all’Università di Padova. Lui studiò legge e insieme l’ebraico e la Sacra Scrittura, la teologia e i Padri della Chiesa. Trovò una guida eccellente nel Gesuita P. Antonio Passevino; il suo testo di meditazione prediletto nel “Combattimento spirituale” del teatino P. Scupoli. Si fece un eccellente regolamento di vita e, tra compagni gaudenti e licenziosi, si distinse per la signorilità e la purezza. Era già un intimo di Gesù.
Dopo la laurea in giurisprudenza “in utroque iure” cioè in diritto ecclesiastico (canonico) e civile, compì un pellegrinaggio a Loreto e a Roma sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, per rinsaldare la sua fede nel Papa, allora più che mai attaccato dai protestanti e dagli eretici di tutte le risme.
Quindi, ritornato in Savoia dove era tutto pronto per accoglierlo (una proprietà, un posto al tribunale di Chambéry, un seggio al supremo Senato di Savoia e perfino una fidanzata quattordicenne "nobile di sangue e di virtù"), deludendo le aspettative paterne, abbracciò, a 26 anni, la vita ecclesiastica.
Mentre si preparava al sacerdozio organizzò una confraternita della Santa Croce in linea con la spiritualità cristocentrica.
Fu ordinato il 18 dicembre 1593, ad Annecy, dove il Vescovo di Ginevra dimorava, non potendo stare nella sua diocesi occupata dai Calvinisti.
Celebrò la sua prima messa il 21 dicembre successivo. Si presentò volontario per la difficile missione di predicatore cattolico tra i calvinisti ginevrini, nella regione del Chablais. Fu sacerdote zelante e instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Visti gli scarsi frutti che otteneva dal pulpito, si diede a pubblicare fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri. In essi rispondeva agli errori, illuminava i problemi, con tono fermissimo e buono.
Per questa originale attività pubblicitaria meritò, nel 1922, il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione sociale. Ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia.
A Ginevra, Francesco si distinse subito per i suoi modi affabili, gentili, rispettosi di tutti. Anche i colloqui con Teodoro Beza, il dotto successore di Calvino a Ginevra, furono condotti nella massima cortesia e delicatezza, anche se rimasero senza risultati. Era circondato dalle ostilità e dalle minacce dei protestanti, tutt’altro che disponibili a dialogare. Non gli mancarono attentati alla sua vita. Con dolcezza e fermezza insieme, Francesco predicava la Verità di Cristo tutta intera, senza sconti né accomodamenti.
Non gli mancò, tuttavia, qualche successo. Nel 1596 si aprì la prima breccia nel tessuto apparentemente impermeabile dei calvinisti. Un noto avvocato ritornò al cattolicesimo. Nell’ottobre del 1598 si ebbe il trionfo: durante le Quarantaore tremila capifamiglia formalizzarono il loro atto di abiura tornando così in seno alla Chiesa Cattolica.
Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva, venne in aiuto dell'inascoltato apostolo con la maniera forte, ma l'intolleranza non si addiceva al temperamento del santo di Sales, che preferì portare avanti la sua battaglia per l'ortodossia col metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. "Introduzione alla vita devota" o "Filotea" e "Trattato dell'amore di Dio" o "Teotimo" sono le sue opere più lette. Quello dell'amore di Dio è stato l'argomento col quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa cattolica.
In quella stessa regione, a Thonon, fondò la locale Congregazione dell'Oratorio, di cui fu nominato primo Preposito dalla Bolla "Redemptoris et Salvatoris nostri" del 1597, con cui Papa Clemente VIII erigeva la Congregazione "iuxta ritum et instituta Congregationis Oratorii de Urbe". Il suo contatto con il mondo oratoriano non riguardò, probabilmente, la persona di S. Filippo Neri, ma alcuni tra i primi discepoli del Santo: Baronio, Tarugi e il Beato Giovanni Giovenale Ancina, vescovo di Saluzzo, a cui San Francesco, a seguito della corrispondenza intercorsa, e per la fraterna amicizia, rese una memorabile visita, durante la quale, al momento dell'incontro, fu salutato dal Beato con allusione al cognome di Francesco: "Tu es Sal", mentre egli prontamente rispondeva, alludendo al nome della diocesi di cui l'Ancina era Vescovo: "Tu es Sal et Lux".
Vescovo coadiutore con diritto di successione a 32 anni di Mons. Claudio De Grenier e tre anni dopo vescovo titolare di Ginevra, diocesi vasta (450 parrocchie in tutto, che dal 1605 cominciò a visitare), con ancora 130 parrocchie protestantizzate, da riguadagnare alla Chiesa Cattolica. Nella sua Chiesa locale introdusse nella sua diocesi le riforme del concilio di Trento.
Direttore spirituale di S. Vincenzo de' Paoli e S. Giovanna Francesca Frèmyot de Chantal, con la quale fondò l'ordine della Visitazione (che diffuse in tutta la Chiesa la spiritualità del S. Cuore di Gesù, soprattutto attraverso le Rivelazioni di Cristo alla visitandina S. Margherita Maria Alacocque), Francesco di Sales può a ragione essere considerato uno dei migliori rappresentanti dell'umanesimo devoto di tipica marca francese.
Morì a Lione, nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il Monastero, nel 1622, anno della canonizzazione di San Filippo Neri, il 28 dicembre, per un attacco di apoplessia. Fu beatificato nel 1661 e canonizzato nel 1665, nel nuovo calendario viene ricordato il 24 gennaio, giorno in cui, un anno dopo, il suo corpo venne riportato ad Annecy per la definitiva sepoltura. Il 16 novembre 1877 Pio IX lo proclamò Dottore della Chiesa. Dal 1923, ricorrendo il terzo centenario della traslazione delle sue spoglie da Lione ad Annency, è dichiarato da Papa Pio XI Patrono degli scrittori cattolici. San Francesco di Sales è anche Patrono dei Salesiani, fondati a Torino nel 1841 da San Giovanni Bosco, conformemente all'insegnamento del Santo francese. I Salesiani, nei pensieri del fondatore avrebbero dovuto imitarne la dolcezza e la pazienza evangelica. E ancora. San Francesco di Sales è Patrono del Terzo Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola. Il santo savoiardo volle ricevere il cordone di Terziario Minimo e Grenoble nel 1617. Stava concludendo un ciclo di predicazioni nella chiesa conventuale dei Minimi della città francese, quando chiese che fosse iscritto fra i fratelli terziari di San Francesco di Paola. Fu il correttore Padre Antonio de Billy a consegnare a San Francesco di Sales il cordone benedetto, mentre era inginocchiato dinanzi alla reliquia del Mantello del Santo calabrese. Uscendo dalla chiesa, tra la ressa del popolo, disse ai religiosi: Vi posso assicurare che non mi sono preoccupato di quelli che mi attorniavano: io non pensavo che a San Francesco di Paola che mi dava il suo abito e la sua figliolanza, obbligandomi con vincoli interni ed esteriori a considerare tutti i Minimi quali miei fratelli”. Da allora, San Francesco di Sales, ogni volta che incontrava un religioso dei Minimi, tirando fuori il cordone, gli diceva: “Vedete anch'io sono Minimo, e non solo di nome”. Delineando la grande eredità spirituale di San Francesco di Sales, Pio XI, nell'enciclica "Rerum omnium perturbationem” del 26 gennaio 1923, non solo si sofferma sulle sue opere, ma invita a mettere in pratica i suoi insegnamenti, a imitare la sua dolcezza, a diffondere i suoi scritti. Pio XI indica anche le vie che i giornalisti cattolici debbono seguire e che rimangano a distanza di circa 80 anni di viva attualità: studiare con somma diligenza e giungere, per quanto possibile, a possedere la dottrina cattolica; guardarsi dal venir meno alla verità, né, con il pretesto di evitare l'offesa degli avversari, assecondarne forme di attenuazione o di dissimulazione; avere cura della forma e dell'eleganza del dire; impegnarsi a esprimere i pensieri con la perspicuità e l'ornamento delle parole, di maniera che i lettori si dilettino della verità; saper confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi, in modo da dare a conoscere di essere animati dalla rettitudine.

Autore: Piero Bargellini

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Sempre dallo stesso SITO altro profilo biografico:

San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è sicuramente il più importante e celebre fiore di santità sbocciato in Savoia, sul versante alpino francese.
Figlio primogenito, Francois nacque il 21 agosto 1567 in Savoia nel castello di Sales presso Thorens, appartenente alla sua antica nobile famiglia. Ricevette sin dalla più tenera età un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Qui ricevette con grande lode il berretto dottorale e ritornato in patria fu nominato avvocato del Senato di Chambéry. Ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici, culminati poi nelle scoperta della vocazione sacerdotale, che deluse però le aspettative paterne. Nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale ed il 21 dicembre celebrò la sua prima Messa.
Fu sacerdote zelante ed instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Visti gli scarsi frutti che ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri, meritandosi per questa originale attività pubblicitaria il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione sociale. Ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia.
Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare l’ortodossia cristiana, mentre imperversava la Riforma calvinista, Francois chiese volontariamente udienza al vescovo di Ginevra affinché lo destinasse a quella città, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico. Stabilitosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quante più anime possibili alla Chiesa, ma soprattutto alla causa di Cristo da lui ritenuta più genuina. Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nella difficile vita quotidiana. Proverbiali divennero i suoi insegnamenti, pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale. I suoi enormi sforzi ed i grandi successi ottenuti in termini pastorali gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli nove anni di sacerdozio. Dopo altri tre anni divenne vescovo a pieno titolo e si spese per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento. La città rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati ed il novello vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annacy, “Venezia delle Alpi”, sulle rive del lago omonimo.
Fu direttore spirituale di San Vincenzo de’ Paoli. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604 conobbe poi a Dijon la nobildonna Giovanna Francesca Frèmiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell’Ordine della Visitazione.
“Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”: in questa affermazione di Francois de Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei.
Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l’opera dell’inascoltato apostolo con la maniera forte, ma non addicendosi l’intolleranza al temperamento del santo, quest’ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l’ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. Le sue principali opere furono dunque “Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi. Quello dell’amore di Dio fu l’argomento con il quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica.
L’11 dicembre 1622 a Lione ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì per un attacco di apoplessia il 28 dello stesso mese nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero. Il 24 gennaio 1623 il corpo mortale del santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto a Santa Giovanna Francesca di Chantal. Francesco di Sales fu presto beatificato l'8 gennaio 1662 dal papa Alessandro VII e già tre anni dopo venne canonizzato il 19 aprile 1665 dallo stesso pontefice. Successivamente fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1877, nonché patrono dei giornalisti nel 1923.
Il Martyrologium Romanum riporta la sua commemorazione nell’anniversario della morte, cioè al 28 gennaio, ma per l’inopportuna coincidenza con il tempo di Natale, il calendario liturgico della Chiesa universale ha fissato la sua memoria obbligatoria al 24 gennaio, anniversario della traslazione delle reliquie.
San Francesco di Sales, considerato quale padre della spiritualità moderna, ha avuto il merito di influenzare le maggiori figure non solo del “grand siècle” francese, ma anche di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo. Francesco di Sales a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’umanesimo devoto di tipica marca francese. Fu un vescovo santo, innamorato della bellezza e della bontà di Dio.
E’ infine doveroso ricordare come al suo nome si siano ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge più che altro alla crescita ed all’educazione delle giovani generazioni, con un’attenzione tutta particolare alla cura dei figli delle classi meno abbienti.

DALLA “INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA”

Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.

ORAZIONE DAL MESSALE

O Dio, tu ha voluto che il santo vescovo Francesco di Sales
si facesse tutto a tutti nella carità apostolica:
concedi anche a noi di testimoniare sempre,
nel servizio dei fratelli, la dolcezza del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Autore: Fabio Arduino

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http://img524.imageshack.us/img524/8049/founders7zisb1.jpg SS. Francesco di Sales e Giovanna di Chantal, fondatori dell'ordine della Visitazione

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Augustinus
24-01-04, 21:44
Riporto in auge questo thread nella memoria di S. Francesco di Sales, santo tanto caro a S. Giovanni Bosco alla cui figura si ispirerà per fondare l'ordine salesiano, che da lui prende nome.

Augustinus

"Beata l’anima che in tutta sincerità
potrà dire al Signore:
Tu sei il mio rifugio,
il mio bastione di sicurezza,
il tetto contro la pioggia,
l’ ombra che mi difende dal caldo.
Nostro Signore é la luce del mondo.
E’ dunque in Lui, da Lui e per mezzo di Lui
che possiamo essere illuminati
e trovare la chiarezza ... Dirai il Pater noster, l’ Ave Maria
e il Credo:
bisogna assaporare il senso
meraviglioso e delizioso
di queste preghiere
che devono essere dette
concentrando profondamente la mente
sul loro significato,
provocando reazioni sugli affetti.
Non andare in fretta per dirne molte,
ma studiati piuttosto di dire
quello che dici con il cuore ..." (S. Francesco di Sales, Filotea, Parte II)

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http://www.ng-slo.si/imagelib/source/umetnine/NGS0274.jpg http://img179.imageshack.us/img179/6599/mtz3217oi.jpg Valentin Metzinger, S. Francesco di Sales riceve i voti di S. Giovanna Francesca di Chantal, 1753, Narodna Galerija, Lubiana

http://www.ng-slo.si/imagelib/source/umetnine/NGS0276.jpg http://img251.imageshack.us/img251/3437/mtz3229wp.jpg Valentin Metzinger, S. Francesco di Sales in polemica con un calvinista, 1753-55, Narodna Galerija, Lubiana

http://www.ng-slo.si/imagelib/source/umetnine/NGS0279.jpg http://img251.imageshack.us/img251/1329/mtz3201pk.jpg Valentin Metzinger, Visione di S. Francesco di Sales, 1753, Narodna Galerija, Lubiana

http://img75.imageshack.us/img75/7060/22400aa8oi.jpg Enrico Reffo, S. Francesco di Sales, 1896

Augustinus
25-01-04, 10:50
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.

La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.

Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando I contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.

L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.

Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.

E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.

http://img177.imageshack.us/img177/5985/f1380az.jpg

http://www4.desales.edu/SCFC/Studies/writer.gif

http://www.antiquariat-grundmann.de/Luxuspapier/Andachtsgraphik/Andachtsbildchen/Heilige_Mannlich/AGHL-FranzSalesMfLitho1910.jpg Santino del 1910

http://santiebeati.it/immagini/Original/22400/22400S.JPG

http://www.icrsp.com/Evenements-2006/Prise-Habit-Chapitre-2006/St-Francois-de-Sales.jpg

http://www.jmanjackal.net/DeSales/images/fdesales48.jpg http://img341.imageshack.us/img341/7268/161634z91gd00zry4.jpg Noël Hallé, S. Francesco consegna a S. Giovanna de Chantal la Regola dell'Ordine della Visitazione, XVIII sec.

http://www.passionists.com/Francis%20de%20Sales.jpg

Augustinus
25-01-04, 11:15
http://www.moifa.it/museo_virtuale/monumenti/chiesa_campanile/130.jpg Anonimo, San Francesco di Sales, XVIII sec., Frasso Telesino (Benevento)

http://www.initaly.com/regions/friuli/pix/tiepolo/sfranc.jpg Giambattista Tiepolo, San Francesco di Sales, 1726, Castello di Udine, Udine

http://img177.imageshack.us/img177/3403/trevisani4sw.jpg Francesco Trevisani, I Santi Carlo Borromeo, Francesco di Sales e Filippo Neri, Camerino

http://img295.imageshack.us/img295/2937/stfrancoisdesales37os2hy.jpg Libourne, S. Francesco di Sales dona le regole della Visitazione a S. Giovanna Chantal

http://img186.imageshack.us/img186/9343/fshfranzsalesvr9.jpg

http://www.jmanjackal.net/DeSales/images/fdesales41.jpg

http://www.salesianerinnen-oberroning.de/franzvsa.jpg

http://www.latribunedelart.com/Nouvelles_breves_2004/12_04/Petrini_-_San_Francesco.jpg Giovanni Antonio Petrini, S. Francesco di Sales, 1750 circa, Pinacoteca Züst, Rancate

Augustinus
25-01-04, 12:45
Fra gli usi che dovremmo saper fare della dolcezza, il migliore è quello di applicarla a noi stessi, senza provare mai risentimento né contro di noi, né contro le nostre imperfezioni. Infatti, anche se la ragione vuole che, una volta compiuto un errore, ne siamo contristati e pentiti, tuttavia è necessario non indulgere in un dispiacere arido e amaro, stizzoso e collerico. Ne segue che commettono un grande errore tutti quelli che, dopo la collera, si irritano per essersi irritati, si affliggono della loro stessa afflizione, si stizziscono della propria stizza. In questo modo tengono continuamente il cuore immerso a macerarsi nella collera. Senza parlare poi del fatto che tali risentimenti, collere, stizze che proviamo contro noi stessi, tendono all'orgoglio e la loro origine e l'amore di sé, amore che si preoccupa e si turba della nostra imperfezione.

Il dispiacere che proviamo per le nostre mancanze deve dunque essere pacato, calmo e fermo. Possiamo correggerci più con un pentimento sereno e costante che mediante reazioni piene di acrimonia, affrettate e colleriche; tanto più che tali reazioni impetuose sono motivate non tanto dalla gravità oggettiva della colpa commessa, quanto dal disordine delle nostre inclinazioni. Per esempio colui che predilige la castità, mentre proverà risentimento e acredine sproporzionati alla mancanza anche minima commessa in tale campo, non farà invece che sorridere di una grossolana maldicenza da lui provocata e sostenuta.

Risollevate dunque il cuore con dolcezza quando cadrà, umiliandovi davanti a Dio, perché avete conosciuto la vostra miseria, ma senza meravigliarvene in nessun modo. Detestate con tutte le forze l'offesa fatta a Dio e con gran coraggio e fiducia riprendete il cammino.

Augustinus
25-01-04, 14:03
FILOTEA

INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA

INDICE

PRIMA PARTE
Contiene consigli ed esercizi necessari per condurre l’anima dal primo desiderio
della vita devota fino alla ferma risoluzione di abbracciarla

Capitolo I - DESCRIZIONE DELLA VERA DEVOZIONE
Capitolo II - CARATTERISTICHE ED ECCELLENZA DELLA DEVOZIONE
Capitolo III - LA DEVOZIONE SI ADATTA A TUTTE LE VOCAZIONI
Capitolo IV - NECESSITÀ DI UN DIRETTORE SPIRITUALE PER ENTRARE
E PROGREDIRE NELLA DEVOZIONE
Capitolo V - SI DEVE COMINCIARE DALLA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA
Capitolo VI - PRIMA PURIFICAZIONE: DAL PECCATO MORTALE
Capitolo VII - SECONDA PURIFICAZIONE: DAGLI AFFETTI AL PECCATO
Capitolo VIII - COME FARE LA SECONDA PURIFICAZIONE
Capitolo IX - Prima Meditazione: LA CREAZIONE
Capitolo X - Seconda meditazione: IL FINE PER IL QUALE SIAMO CREATI
Capitolo XI - Terza Meditazione: I BENEFICI DI DIO
Capitolo XII - Quarta Meditazione: IL PECCATO
Capitolo XIII - Quinta Meditazione: LA MORTE
Capitolo XIV - Sesta Meditazione: IL GIUDIZIO
Capitolo XV - Settima Meditazione: L’INFERNO
Capitolo XVI - Ottava Meditazione: IL PARADISO
Capitolo XVII - Nona Meditazione: ELEZIONE E SCELTA DEL PARADISO
Capitolo XVIII - Decima Meditazione: LA SCELTA DELLA VITA DEVOTA
Capitolo XIX - COME FARE LA CONFESSIONE GENERALE
Capitolo XX - PROMESSA PER IMPRIMERE NELL’ANIMA IL PROPOSITO
DI SERVIRE DIO, A CONCLUSIONE DEGLI ATTI DI PENITENZA
Capitolo XXI - CONCLUSIONE DELLA PRIMA PURIFICAZIONE
Capitolo XXII - BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO AL PECCATO VENIALE
Capitolo XXIII - BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO ALLE COSE INUTILI
Capitolo XXIV - OCCORRE LIBERARSI DALLE CATTIVE INCLINAZIONI

SECONDA PARTE
Contiene diversi consigli per l’elevazione dell’anima a Dio
per mezzo dell’Orazione e dei Sacramenti.

Capitolo I - NECESSITÀ DELL’ORAZIONE
Capitolo II - BREVE METODO DI MEDITAZIONE e, in primo luogo,
LA PRESENZA DI DIO PRIMO PUNTO DELLA PREPARAZIONE
Capitolo III - SECONDO PUNTO DELLA PREPARAZIONE: L’INVOCAZIONE
Capitolo IV - TERZO PUNTO: LA PRESENTAZIONE DEL MISTERO
Capitolo V - SECONDA PARTE DELLA MEDITAZIONE: LE CONSIDERAZIONI
Capitolo VI - TERZA PARTE DELLA MEDITAZIONE: AFFETTI E PROPOSITI
Capitolo VII - LA CONCLUSIONE E IL MAZZETTO SPIRITUALE
Capitolo VIII - CONSIGLI MOLTO UTILI SULLA MEDITAZIONE
Capitolo IX - LE ARIDITÀ CHE CI AFFLIGGONO NELLE MEDITAZIONI
Capitolo X - ESERCIZIO DEL MATTINO
Capitolo XI - L’ESERCIZIO DELLA SERA E L’ESAME DI COSCIENZA
Capitolo XII - IL RACCOGLIMENTO SPIRITUALE
Capitolo XIII - LE ASPIRAZIONI, LE GIAGULATORIE E I BUONI PENSIERI
Capitolo XIV - COME ASCOLTARE LA SANTA MESSA
Capitolo XV - GLI ALTRI ESERCIZI PUBBLICI E COMUNI
Capitolo XVI - BISOGNA ONORARE E INVOCARE I SANTI
Capitolo XVII - COME VA ASCOLTATA LA PAROLA DI DIO
Capitolo XVIII - COME VANNO ACCOLTE LE ISPIRAZIONI
Capitolo XIX - LA SANTA CONFESSIONE
Capitolo XX - LA COMUNIONE FREQUENTE
Capitolo XXI - COME BISOGNA FARE LA COMUNIONE
TERZA PARTE
Contiene molti consigli per l’esercizio delle virtù

Capitolo I - LA SCELTA NECESSARIA NELL’ESERCIZIO DELLE VIRTÙ
Capitolo II - IL MEDESIMO DISCORSO SULLA SCELTA DELLA VIRTÙ
Capitolo III - LA PAZIENZA
Capitolo IV - L’UMILTÀ ESTERIORE
Capitolo V - L’UMILTÀ INTERIORE
Capitolo VI - L’UMILTÀ CI FA AMARE L’ABIEZIONE
Capitolo VII - COME VA CONSERVATO IL BUON NOME PRATICANDO L’UMILTÀ
Capitolo VIII - DOLCEZZA VERSO IL PROSSIMO E RIMEDIO CONTRO L’IRA
Capitolo IX - LA DOLCEZZA VERSO NOI STESSI
Capitolo X - LE OCCUPAZIONI VANNO AFFRONTATE CON ATTENZIONE,
MA SENZA PRECIPITAZIONE E FRETTA ECCESSIVA
Capitolo XI - L’OBBEDIENZA
Capitolo XII - 0LA NECESSITÀ DELLA CASTITÀ
Capitolo XIII - CONSIGLI PER CONSERVARE LA CASTITÀ
Capitolo XIV - LA POVERTÀ DI SPIRITO OSSERVATA NELLE RICCHEZZE
Capitolo XV - COME DEVE ESSERE PRATICATA LA POVERTA REALE
RIMANENDO RICCHI DI FATTO
Capitolo XVI - COME PRATICARE LA RICCHEZZA DI SPIRITO NELLA POVERTÀ
Capitolo XVII - L’AMICIZIA E, PRIMA DI TUTTO, LA CATTIVA E LA FRIVOLA
Capitolo XVIII - LE PASSIONCELLE (I FLIRTS)
Capitolo XIX - LE VERE AMICIZIE
Capitolo XX - LA DIFFERENZA TRA LE VERE AMICIZIE E QUELLE FUTILI
Capitolo XXI - CONSIGLI E RIMEDI PER COMBATTERE LE CATTIVE AMICIZIE
Capitolo XXII - QUALCHE ALTRO CONSIGLIO A PROPOSITO DELLE AMICIZIE
Capitolo XXIII - GLI ESERCIZI DELLA MORTIFICAZIONE ESTERIORE
Capitolo XXIV - LE CONVERSAZIONI E LA SOLITUDINE
Capitolo XXV - IL BUON GUSTO E IL SENSO DELLA MISURA NEL VESTIRE
Capitolo XXVI - SUL PARLARE E COME SI DEVE PARLARE DI DIO
Capitolo XXVII - L’ONESTÀ E IL RISPETTO DOVUTO ALLE PERSONE
Capitolo XXVIII - I GIUDIZI TEMERARI
Capitolo XXIX - LA MALDICENZA
Capitolo XXX - ALTRI CONSIGLI SUL PARLARE
Capitolo XXXI - PASSATEMPI E DIVERTIMENTI E, LECITI E LODEVOLI
Capitolo XXXII - I GIOCHI PROIBITI
Capitolo XXXIII - I BALLI E I PASSATEMPI LECITI MA PERICOLOSI
Capitolo XXXIV - QUANDO È PERMESSO GIOCARE E DANZARE
Capitolo XXXV -FEDELI NELLE GRANDI E NELLE PICCOLE OCCASIONI
Capitolo XXXVI - BISOGNA ESSERE GIUSTI E RAGIONEVOLI
Capitolo XXXVII - I DESIDERI
Capitolo XXXVIII - CONSIGLI PER GLI SPOSATI
Capitolo XXXIX - L’ONESTÀ DEL LETTO MATRIMONIALE
Capitolo XL - CONSIGLI ALLE VEDOVE
Capitolo XLI - UNA PAROLA ALLE VERGINI
QUARTA PARTE
Contiene i consigli opportuni contro le tentazioni più correnti

Capitolo I - NON BISOGNA LASCIARSI SCORAGGIARE
DALLE CHIACCHIERE DELLA GENTE
Capitolo II - È NECESSARIO FARSI CORAGGIO
Capitolo III - LA NATURA DELLE TENTAZIONI E LA DIFFERENZA TRA SENTIRE
LA TENTAZIONE E ACCONSENTIRE AD ESSA
Capitolo IV - DUE BEGLI ESEMPI IN PROPOSITO
Capitolo V - INCORAGGIAMENTO A CHI SI TROVA NELLE TENTAZIONI
Capitolo VI - IN CHE MODO LA TENTAZIONE E LA DILETTAZIONE
POSSONO ESSERE PECCATO
Capitolo VII - RIMEDI PER LE TENTAZIONI GRAVI
Capitolo VIII - BISOGNA RESISTERE ALLE PICCOLE TENTAZIONI
Capitolo IX - COME RIMEDIARE ALLE PICCOLE TENTAZIONI
Capitolo X - COME FORTIFICARE IL CUORE CONTRO LE TENTAZIONI
Capitolo XI - L’AGITAZIONE
Capitolo XII - LA TRISTEZZA
Capitolo XIII - LE CONSOLAZIONI SPIRITUALI E SENSIBILI
E COME BISOGNA COMPORTARSI CON ESSE
Capitolo XIV - LE ARIDITÀ E LE STERILITÀ DELLO SPIRITO
Capitolo XV - UN ESEMPIO NOTEVOLE, A CONFERMA E CHIARIMENTO
DI QUANTO È STATO DETTO

QUINTA PARTE
Contiene esercizi e consigli per rinnovare l’anima e confermarla nella devozione

Capitolo I OGNI ANNO BISOGNA RINNOVARE I BUONI PROPOSITI
PER MEZZO DEI SEGUENTI ESERCIZI
Capitolo II - SUL BENEFICIO CHE DIO CI HA FATTO CHIAMANDOCI AL SUO SERVIZIO,
Capitolo III - SUL PROGRESSO FATTO DALLA NOSTRA ANIMA NELLA VITA DEVOTA
Capitolo IV - ESAME DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI CONFRONTI DI DIO
Capitolo V - ESAME DEL NOSTRO STATO NEI CONFRONTI DI NOI STESSI
Capitolo VI - DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI CONFRONTI DEL PROSSIMO
Capitolo VII - ESAME SUGLI AFFETTI DELLA NOSTRA ANIMA
Capitolo VIII - AFFETTI DA COMPIERE DOPO L’ESAME
Capitolo IX - CONSIDERAZIONI ADATTE A RINNOVARE I BUONI PROPOSITI
Capitolo X - PRIMA CONSIDERAZIONE: IL VALORE DELLE NOSTRE ANIME
Capitolo XI - SECONDA CONSIDERAZIONE: IL PREGIO DELLE VIRTÙ
Capitolo XII - TERZA CONSIDERAZIONE: L’ESEMPIO DEI SANTI
Capitolo XIII - QUARTA CONSIDERAZIONE: L’AMORE DI GESÙ CRISTO PER NOI
Capitolo XIV - QUINTA CONSIDERAZIONE: L’AMORE DI DIO PER NOI
Capitolo XV - AFFETTI GENERALI SULLE PRECEDENTI CONSIDERAZIONI
E CONCLUSIONE DELL’ESERCIZIO
Capitolo XVI - I RICORDI DA CONSERVARE DOPO QUESTO ESERCIZIO
Capitolo XVII - RISPOSTA A DUE OBIEZIONI CHE POSSONO ESSERE MOSSE
Capitolo XVIII - TRE ULTIMI E IMPORTANTI CONSIGLI PER QUESTA

Augustinus
25-01-04, 14:20
INTRODUZIONE

PRIMA PARTE
Contiene consigli ed esercizi necessari per condurre l’anima dal primo desiderio della vita devota fino alla ferma risoluzione di abbracciarla

Capitolo I
DESCRIZIONE DELLA VERA DEVOZIONE

Mia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto questa virtù sia accetta a Dio: ma, siccome i piccoli errori commessi all’inizio di qualsiasi impresa, ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa.
Arelio dava a tutti i volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava; ognuno si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi si consacra al digiuno, penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il cuore pieno di rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e neppure nell’acqua, per amore della sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la calunnia.
Un altro penserà di essere devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di preghiere; e non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua rifilerà, per il resto della giornata, a domestici e vicini.
Qualche altro metterà mano volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non riuscirà a cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi l’altro che perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche per la testa; ci vorrà il tribunale.
Tutta questa brava gente, dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente.
Ricordi l’episodio degli sgherri di Saul che cercano Davide? Micol li trae in inganno mettendo nel letto un fantoccio con gli abiti di Davide, e fa loro credere che Davide è ammalato. Così molti si coprono di alcune azioni esteriori, proprie della santa devozione e la gente crede che si tratti di persone veramente devote e spirituali; ma se vai a guardar bene, scopri che sono soltanto fantocci e fantasmi di devozione.
La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione. Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e rasoterra; le aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in alto.
Similmente i peccatori non riescono a volare verso Dio, ma si spostano esclusivamente sulla terra e per la terra; le persone dabbene, che non possiedono ancora la devozione, volano verso Dio per mezzo delle buone azioni, ma di rado, con lentezza e pesantemente; le persone devote volano in Dio con frequenza, prontezza e salgono in alto.
A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto. Ora, com’è compito della carità farci praticare tutti i Comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla devozione aggiungervi la prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva tutti i Comandamenti di Dio non può essere giudicato né buono né devoto. Per essere buoni ci vuole la carità e per essere devoti, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e prontezza nel compiere gli atti.
Siccome la devozione si trova in grado di carità eccellente, non soltanto ci rende pronti, attivi e diligenti nell’osservare tutti i Comandamenti di Dio; ma ci spinge inoltre a fare con prontezza e affetto tutte le buone opere che ci sono possibili, anche se non cadono sotto il precetto, ma sono soltanto consigliate o indicate.
Come un uomo guarito di recente da una malattia, cammina quel tanto che gli è necessario, piano piano e trascinandosi un po’, così il peccatore, guarito dal suo peccato, cammina quel tanto che Dio gli comanda, trascinandosi adagio adagio fino a che non giunga alla devozione. Allora, da uomo completamente sano, non soltanto cammina, ma corre e salta nella via dei Comandamenti di Dio e, inoltre, prende di corsa i sentieri dei consigli e delle ispirazioni celesti.
In conclusione, si può dire che la carità e la devozione differiscono tra loro come il fuoco dalla fiamma; la carità è un fuoco spirituale, che quando brucia con una forte fiamma si chiama devozione: la devozione aggiunge al fuoco della carità solo la fiamma che rende la carità pronta, attiva e diligente, non soltanto nell’osservanza dei Comandamenti di Dio, ma anche nell’esercizio dei consigli e delle ispirazioni del cielo.


Capitolo II
CARATTERISTICHE ED ECCELLENZA DELLA DEVOZIONE

Coloro i quali volevano scoraggiare gli Israeliti dall’entrare nella terra promessa, dicevano che era un paese che divorava gli abitanti, ossia, che l’aria era talmente pestilenziale che nessuno vi poteva vivere a lungo; per di più era abitata da mostri che divoravano gli uomini come locuste: allo stesso modo, mia cara Filotea, la gente della strada dice tutto il male che può della devozione e dipinge le persone devote immusonite, tristi e imbronciate, e va blaterando che la devozione rende malinconici e insopportabili. Ma sull’esempio di Giosuè e di Caleb, che, non solo sostenevano che la terra promessa era fertile e bella, ma che il suo possesso sarebbe stato utile e piacevole, lo Spirito Santo, per bocca di tutti i santi, e Nostro Signore, con la sua Parola, ci danno assicurazione che la vita devota è dolce, facile e piacevole.
La gente vede che i devoti digiunano, pregano, sopportano le ingiurie, servono gli infermi, assistono i poveri, fanno veglie, controllano la collera, dominano le passioni, fanno a meno dei piaceri dei sensi e compiono altre azioni simili a queste, di per sé e per loro natura aspre e rigorose; ma non sa vedere la devozione interiore e cordiale che trasforma tutte queste azioni in piacevoli, dolci e facili.
Guarda l’ape sul timo: ne può ricavare soltanto un succo amaro, ma succhiandolo lo trasforma in miele, perché questa è la sua caratteristica.
Mi rivolgo a te, persona del mondo, e ti dico: le anime devote incontrano molta amarezza nei loro esercizi di mortificazione , questo è certo, ma praticandoli li trasformano in dolcezza e soavità.
Il fuoco, la fiamma, la ruota, la spada per i martiri sembravano fiori odorosi, perché erano devoti; e se la devozione riesce a rendere piacevoli le torture più crudeli e la stessa morte, cosa non riuscirà a fare per le azioni proprie della virtù?
Lo zucchero rende dolci i frutti un po’ acerbi e toglie il pericolo che facciano male quelli troppo maturi; la devozione è il vero zucchero spirituale, che toglie l’amarezza alle mortificazioni e la capacità di nuocere alle consolazioni: toglie la rabbia ai poveri e la preoccupazione ai ricchi; la desolazione a chi è oppresso e l’insolenza al favorito dalla sorte; la tristezza a chi è solo e la dissipazione a chi è in compagnia; ha la funzione di fuoco in inverno e di rugiade in estate, sa affrontare e soffrire la povertà, trova ugualmente utile l’onore e il disprezzo, riceve il piacere e il dolore con un cuore quasi sempre uguale, e ci colma di una meravigliosa soavità.
Guarda la scala di Giacobbe, che è la vera immagine della vita devota: i due montanti, tra i quali si sale ed ai quali sono fissati gli scalini, rappresentano l’orazione, che chiede l’amore di Dio e i Sacramenti, che lo conferiscono; gli scalini sono i diversi livelli della carità, per i quali si sale, di virtù in virtù; o discendendo in aiuto e sostegno del prossimo, o salendo per la contemplazione all’unione d’amore con Dio.
Ed ora dà uno sguardo a coloro che si trovano sulla scala: sono uomini con il cuore di Angeli, o Angeli con il corpo di uomini; non sono giovani, ma lo sembrano, perché sono pieni di forza e di agilità spirituale; hanno ali per volare e si lanciano in Dio con la santa orazione; ma hanno anche i piedi per camminare con gli uomini in una santa e piacevole conversazione; i loro volti sono belli e radiosi, per cui ricevono tutto con dolcezza e soavità; le gambe, le braccia e la testa sono scoperte, perché i loro pensieri, i loro affetti e le loro azioni hanno il solo scopo di piacere a Dio. Il resto del corpo è coperto da una tunica fine e leggera, perché sono realmente inseriti nel mondo e usano le cose di questo mondo, ma in modo pulito e limpido, prendendo esclusivamente il necessario: così agiscono le persone devote.
Cara Filotea, devi credermi: la devozione è la dolcezza delle dolcezze e la regina delle virtù, perché è la perfezione della carità. Se vogliamo paragonare la carità al latte, la devozione ne è la crema; se la paragoniamo ad una pianta, la devozione ne è il fiore; se ad una pietra preziosa, la devozione ne è lo splendore; se ad un unguento prezioso, né è il profumo soave che dà la forza agli uomini e gioia agli Angeli.


Capitolo III
LA DEVOZIONE SI ADATTA A TUTTE LE VOCAZIONI E PROFESSIONI

Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai Cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione.
La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli.
Ti sembrerebbe cosa fatta bene che un Vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei Cappuccini? Din un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al prossimo, in gara con il Vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile?
Eppure queste stranezze capitano spesso, e la gente di mondo, che non distingue, o non vuol distinguere, tra la devozione e le originalità di chi pretende essere devoto, mormora e biasima la devozione, che non deve essere confusa con queste stranezze.
Se la devozione è autentica non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto; e quando va contro la vocazione legittima, senza esitazione, è indubbiamente falsa.
Aristotele dice che l’ape ricava il miele dai fiori senza danneggiarli, e li lascia intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non porta danno alle vocazioni e alle occupazioni, ma al contrario, le arricchisce e le rende più belle.
Qualunque genere di pietra preziosa, immersa nel miele diventa più splendente, ognuna secondo il proprio colore; lo stesso avviene per i cristiani: tutti diventano più cordiali e simpatici nella propria vocazione se le affiancano la devozione: la cura per la famiglia diventa serena, più sincero l’amore tra marito e moglie, più fedele il servizio del principe e tutte le occupazioni più dolci e piacevoli.
Pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. È vero che la devozione contemplativa, monastica e religiosa non può essere vissuta in quelle vocazioni; ma è anche vero che, oltre a queste tre devozioni ce ne sono tante altre, adatte a portare alla perfezione quelli che vivono fuori dai monasteri. Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Giobbe, Tobia, Sara, Rebecca e Giuditta ne sono la prova per l’Antico Testamento; nel Nuovo abbiamo S. Giuseppe, Lidia, S. Crispino che vissero la perfetta devozione nelle loro botteghe; S. Anna, S. Marta, S. Monica, Aquila, Priscilla, nel matrimonio; Cornelio, S. Sebastiano, S. Maurizio nella vita militare; Costantino, Elena, S. Luigi, il Beato Amedeo, S. Edoardo sul trono. È capitato anche che molti abbiano perso la perfezione nella solitudine, per sé molto utile alla vita perfetta, mentre l’avevano conservata in mezzo alla moltitudine, che sembra invece, di natura sua, poco adatta a favorire la perfezione. Lot, dice S. Gregorio, fu casto in città e peccatore nella solitudine.
Poco importa dove ci troviamo: ovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla devozione.


Capitolo IV
NECESSITÀ DI UN DIRETTORE SPIRITUALE
PER ENTRARE E PROGREDIRE NELLA DEVOZIONE

Quando il giovane Tobia ricevette l’ordine di recarsi a Rage, rispose: Non conosco la strada. Il padre gli disse allora: Va tranquillo e cerca qualcuno che ti faccia da guida.
Ti dico la stessa cosa, Filotea. Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione delle raccomandazioni. Qualunque cosa tu cerchi, dice il devoto Avila, troverai con certezza la volontà di Dio soltanto sul cammino di una umile obbedienza, tanto raccomandata e messa in pratica dai devoti del tempo antico.
La Beata Madre Teresa, vedendo Caterina di Cordova fare grandi penitenze, ebbe un grande desiderio di imitarla contro il parere del confessore che glielo proibiva e al quale era tentata di non obbedire, almeno in questo, Dio allora le disse: Figlia mia, tu stai camminando su una strada buona e sicura. Vedi le sue penitenze? Eppure io preferisco la tua obbedienza! Teresa concepì tanto amore per questa virtù che, oltre all’obbedienza dovuta ai Superiori, votò una particolare obbedienza ad un uomo straordinario, impegnandosi a seguirne la direzione e la guida; ne ebbe grandi consolazioni. Prima e dopo di lei, è capitata la stessa cosa a molte anime elette che, per garantirsi una più perfetta sottomissione a Dio, hanno posto la loro volontà sotto la direzione dei suoi servi; cosa che S. Caterina da Siena elogia con sante espressioni nei suoi Dialoghi.
La devota principessa S. Elisabetta obbediva, con estrema esattezza, al dotto Maestro Corrado; ecco un consiglio dato da S. Luigi sul letto di morte a suo figlio: “Confessati spesso, scegli un confessore adatto, che sia molto prudente e che possa insegnarti con sicurezza, a fare il tuo dovere”.
“L’amico fedele, dice la S. Scrittura, è una forte protezione; chi lo trova, trova un tesoro”. L’amico fedele è un balsamo di vita e d’immortalità; coloro che temono Dio, lo trovano. Queste parole divine si riferiscono, in primo luogo, come puoi notare, all’immortalità, per camminare verso la quale è necessario, prima di tutto, avere un amico fedele che diriga le nostre azioni con le sue esortazioni e i suoi consigli; ci eviterà così i tranelli e gli inganni del nemico; sarà per noi un tesoro di sapienza nelle afflizioni, nelle tristezze e nelle cadute; sarà il balsamo per alleviare e consolare i nostri cuori nelle malattie spirituali; ci proteggerà dal male e ci renderà stabili nel bene; e se dovesse colpirci qualche infermità, impedirà che diventi mortale e ci farà guarire.
Ma chi può trovare un amico di tal sorta? Risponde il Saggio: coloro che temono Dio; ossia gli umili, che desiderano ardentemente avanzare nella vita spirituale.
Giacché ti sta tanto a cuore camminare con una buona guida, in questo santo viaggio della devozione, cara Filotea, prega Iddio, con grande insistenza, che ne provveda una secondo il suo cuore; e poi non dubitare: sii certa che, a costo di mandare un Angelo dal cielo, come fece per il giovane Tobia, ti manderà una guida capace e fedele.
Per te deve rimanere sempre un Angelo: ossia, quando l’avrai trovato, non fermarti a dargli stima come uomo, e non riporre la fiducia nelle sue capacità umane, ma in Dio soltanto, che ti incoraggerà e ti parlerà tramite quell’uomo, ponendogli nel cuore e sulla bocca ciò che sarà utile al tuo bene; tu devi ascoltarlo come un Angelo venuto dal cielo per condurti là. Parla con lui a cuore aperto, in piena sincerità e schiettezza; manifestagli con chiarezza il bene e il male senza infingimenti e dissimulazione: in tal modo il bene sarà apprezzato e reso più solido e il male corretto e riparato; nelle afflizioni ti sarà di sollievo e di forza, nelle consolazioni di moderazione e misura.
Devi riporre in lui una fiducia senza limiti, unita a un grande rispetto, ma in modo che il rispetto non diminuisca la fiducia e la fiducia non tolga il rispetto. Apriti a lui con il rispetto di una figlia verso il padre e portagli rispetto con la fiducia di un figlio verso la madre; per dirla in breve: deve essere una amicizia forte e dolce, santa, sacra, degna di Dio, divina, spirituale.
A tal fine, scegline uno tra mille, dice Avila; io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno di quanto si dica capaci di tale compito. Deve essere ricco di carità, di scienza e di prudenza: se manca una di queste tre qualità, c’è pericolo. Ti ripeto, chiedilo a Dio e, una volta che l’hai trovato, benedici la sua divina Maestà, fermati a quello e non cercarne altri; ma avviati, con semplicità, umiltà e confidenza; il tuo sarà un viaggio felice.


Capitolo V
SI DEVE COMINCIARE DALLA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA

“I fiori sono apparsi nei campi”, dice lo Sposo nel Cantico dei Cantici, “è giunto il tempo di potare e sfrondare”. I fiori del nostro cuore, o Filotea, sono i buoni desideri. Ora, appena compaiono, bisogna mettere mano alla roncola per sfrondare dalla nostra coscienza tutte le opere morte e inutili. La ragazza straniera, per sposare un Israelita, doveva togliersi la veste della prigionia, tagliarsi le unghie e radersi i capelli: similmente l’anima che vuole andare sposa al Figlio di Dio, deve spogliarsi del vecchio uomo e rivestirsi del nuovo, lasciando il peccato; poi tagliare e radere tutti gli impedimenti che distolgono dall’amore di Dio.
Essersi purificati dalla malizia del peccato è l’inizio della salvezza. S. Paolo venne purificato totalmente in un attimo; lo stesso avvenne a Caterina da Genova, S. Maddalena, S. Pelagia e qualche altro. Ma questa sorta di purificazione è miracolosa ed eccezionale in grazia, come la resurrezione dei morti lo è in natura: non possiamo pretenderla.
Ordinariamente la purificazione, come la guarigione, sia del corpo che dello spirito, avviene adagio adagio, per gradi, un passo dopo l’altro, a fatica e con il tempo. Sulla scala di Giacobbe gli Angeli hanno le ali, ma non volano, anzi salgono e scendono ordinatamente, uno scalino dopo l’altro. L’anima che sale dal peccato alla devozione viene paragonata all’alba, che, quando spunta, non mette immediatamente in fuga le tenebre, ma gradatamente.
Dice il Saggio che la guarigione la quale avviene senza fretta è sempre la più sicura; le infermità del cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo o in carrozza, ma se ne vanno a piedi e al piccolo trotto.
Devi essere dunque coraggiosa e paziente in questa impresa, Filotea. Che pena vedere anime che, scoprendo di essere afflitte da molte imperfezioni, dopo essersi impegnate per un po’ nel cammino della devozione, si inquietano, si turbano e si scoraggiano e rischiano di cedere alla tentazione di lasciare tutto e di tornare indietro. D’altra parte, uguale pericolo corrono quelle anime che, per la tentazione contraria, si illudono di essere liberate dalle loro imperfezioni il primo giorno della purificazione, e si considerano perfette ancor prima di essere fatte: pretendono di volare senza le ali! Filotea, quelle sono veramente in grande pericolo di cadere, perché troppo presto hanno voluto sottrarsi alle mani del medico. Non alzarti prima che ci si veda, dice il Profeta Davide; e alzati dopo esserti seduto! Egli stesso mette in pratica quello che dice e, una volta lavato e profumato, chiede di rimettersi all’opera.
L’esercizio della purificazione dell’anima può e deve finire soltanto con la vita: perciò non agitiamoci per le nostre imperfezioni; quello che si chiede a noi è di combatterle; se non le vedessimo, non potremmo combatterle e non potremmo vincerle se non ci imbattessimo in esse. La nostra vittoria non consiste nel non sentirle, ma nel non acconsentirvi; e non è acconsentire esserne turbati. Anzi, ogni tanto, ci fa bene una ferita in questa battaglia spirituale, per fortificare la nostra umiltà; non saremo mai vinti finché non avremo perso la vita o il coraggio.
Le imperfezioni e i peccati veniali non possono strapparci la vita spirituale, che si perde soltanto con il peccato mortale; è il coraggio di combattere che non dobbiamo perdere! Diceva Davide: Liberami, Signore, dalla vigliaccheria e dallo scoraggiamento. In questa guerra ci troviamo in una condizione di favore, perché, per vincere, ci basta la volontà di combattere.


Capitolo VI
PRIMA PURIFICAZIONE: DAL PECCATO MORTALE

La prima purificazione è quella dal peccato; il mezzo: il sacramento della penitenza. Cercati il miglior confessore che puoi; serviti anche di qualche libretto scritto a questo scopo; leggi con attenzione e nota, punto per punto, dove hai mancato, cominciando da quando hai avuto l’uso di ragione fino a oggi. Se ti fidi poco della memoria, metti per iscritto quello che hai trovato. Una volta trovate e messe insieme le brutture peccaminose della tua coscienza, detestale e respingile con una contrizione e un dispiacere grande quanto il tuo cuore riesce a concepire, prendendo in considerazione questi quattro punti: per il peccato tu hai perso la grazia di Dio, hai perso il diritto al paradiso, hai accettato i tormenti eterni dell’inferno, hai rinunciato all’eterno amore di Dio.
Hai capito, Filotea, che ti parlo della confessione generale di tutta la vita che, lo so bene anch’io, fortunatamente, non sempre è necessaria; ma io la considero molto utile in questo inizio, per cui te la consiglio vivamente.
Capita spesso che le confessioni abituali di coloro che conducono una vita ordinaria di cristiani comuni, siano piene di difetti: per lo più si prepara poco o per niente, non si ha la contrizione richiesta, anzi capita addirittura che molte volte ci si vada a confessare con il segreto proposito di tornare a peccare, visto che non si ha alcuna intenzione di evitare l’occasione, né di prendere gli opportuni accorgimenti per correggersi; in tutti questi casi la confessione generale è necessaria per dare una scossa all’anima.
Inoltre la confessione generale ci porta a conoscere noi stessi, ci provoca a una salutare vergogna del nostro passato, ci fa ammirare la misericordia di Dio, che ci ha atteso con tanta pazienza; porta la pace nel cuore, la serenità nello spirito, suscita buoni propositi, offre l’occasione al nostro padre spirituale di darci consigli più adatti alla nostra reale situazione e ci apre il cuore alla semplicità fiduciosa che ci farà essere molto sinceri nelle confessioni che seguiranno.
E poiché parliamo di un rinnovamento generale del cuore e della conversione totale dell’anima a Dio, per mezzo della vita devota, mi sembra, o Filotea, di avere ragione nel consigliarti questa confessione generale.


Capitolo VII
SECONDA PURIFICAZIONE: DAGLI AFFETTI AL PECCATO

Tutti gli Israeliti uscirono materialmente dall’Egitto, ma non tutti ne uscirono con il cuore; ecco perché, nel deserto, molti di essi rimpiangevano le cipolle e la carne d’Egitto.
Allo stesso modo ci sono dei peccatori che escono materialmente dal peccato, ma non ne abbandonano l’affetto: ossia, fanno il proposito di non peccare più, ma si privano e si astengono dai piaceri del peccato con una certa malavoglia e con rimpianto; il loro cuore rinuncia al peccato e se ne allontana, ma non per questo smette di volgersi in continuazione da quella parte, come la moglie di Lot verso Sodoma.
Si tengono lontani dal peccato come fanno i malati con i cocomeri quando il medico li ha minacciati di pericolo di morte se ne dovessero mangiare; ci stanno male a non poterne mangiare, ne parlano e mercanteggiano la possibilità di superare il divieto, almeno per assaggiarne, e giudicano fortunati quelli che possono mangiarne.
Fanno la stessa cosa quei penitenti deboli e fiacchi che si astengono un po’ dal peccato, a malincuore; vorrebbero poter peccare senza andare all’inferno, parlano con rimpianto e compiacimento del peccato e giudicano fortunati quelli che lo fanno. Un uomo deciso a vendicarsi, cambierà proposito nella confessione, ma subito dopo lo travi tra gli amici, felice di poter parlare della sua lite: e dice che, se non fosse per il timor di Dio, farebbe questo e quest’altro, e aggiunge che, su questo punto, la legge di Dio, che impone il perdono, è molto dura; volesse Dio che fosse permesso vendicarsi!
Chi non vede che questo Tizio, anche se legalmente fuori dal peccato, è ancora tutto preso dall’affetto al peccato e, mentre fisicamente è uscito dall’Egitto, vi abita ancora con il desiderio, bramandone le carni e le cipolle. Lo stesso si dica di quella donna che, dopo aver detestato i suoi amori perversi, si compiace di essere civetta e ricercata. Tale gente è in grande pericolo!
Filotea, poiché vuoi dare inizio alla vita devota, non deve bastarti di abbandonare il peccato, ma devi sbarazzare il tuo cuore da tutti gli affetti legati al peccato; perché, oltre al pericolo di ricadere, questi miserabili affetti renderebbero perpetuamente malato e intorpidito il tuo spirito, a tal punto che non riuscirebbe a compiere il bene con prontezza, diligenza e di frequente. Mentre proprio in questo consiste l’essenza della devozione.
Le anime uscite dallo stato di peccato, ma che hanno ancora questi affetti e debolezze, io le assomiglio alle ragazze che hanno un colore pallido: non sono malate, ma tutto il loro comportamento è da malati: mangiano senza gusto, dormono senza riposare, ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare; allo stesso modo tali anime fanno il bene con una tale stanchezza spirituale, che tolgono ogni grazia ai loro esercizi di pietà, che poi, oltre tutto, sono pochi di numero e poveri di risultati.


Capitolo VIII
COME FARE LA SECONDA PURIFICAZIONE

La prima ragione che deve spingerci ad operare questa seconda purificazione, è la coscienza viva e nitida del male enorme che ci causa il peccato; riusciremo, in tal modo, ad entrare in una contrizione profonda e travolgente: infatti la contrizione, per piccola che sia, se è sincera, e soprattutto se congiunta alla forza dei Sacramenti, ci purifica sufficientemente dal peccato; se poi la contrizione è profonda e travolgente, ci purifica anche da tutti gli affetti che derivano dal peccato.
Un odio e un astio debole e fiacco ci permette di sopportare, anche se di malanimo, colui che odiamo; se poi ci è possibile, ne stiamo lontani; ma se il nostro odio è mortale e violento, non solo fuggiamo e troviamo insopportabile colui che odiamo, ma ci ripugna e non possiamo soffrire nemmeno la compagnia di coloro che la pensano come lui, dei suoi amici, dei suoi parenti. Non sopportiamo nemmeno la vista del suo ritratto e delle cose che gli appartengono.
Similmente, se il penitente odia il peccato solo leggermente, benché sinceramente, è vero che fa il proposito di non peccare più, ma non è come quando lo odia con una contrizione forte e vigorosa; in tal caso, non solo detesterà il peccato, ma anche tutti gli affetti, le conseguenze e i sentieri del peccato.
È per questo, Filotea, che dobbiamo rendere la nostra contrizione e il pentimento più profondi possibile, perché tutto ciò che appartiene al peccato sia travolto. Così fece la Maddalena che, convertendosi, perse talmente il gusto del peccato e dei piaceri che non ci pensò più; e Davide, che protestava di odiare non soltanto il peccato, ma anche le sue vie e i suoi sentieri: questo è il ringiovanimento dell’anima, che lo stesso Profeta paragona a quello dell’aquila che muta le penne.
Ora per giungere a questa presa di coscienza ed alla contrizione, devi immergerti con cura nelle meditazioni che qui di seguito ti propongo; se ti ci impegnerai con serietà, con l’aiuto della grazia di Dio, strapperai dal tuo cuore il peccato e i principali affetti al peccato; le ho impostate proprio a questo scopo.
Le farai una dopo l’altra, nell’ordine che te le propongo, una al giorno, di mattino, se ti è possibile; perché è il tempo più adatto alle operazioni dello spirito; e ci rifletterai sopra per tutta la giornata.
Se poi non hai dimestichezza con le meditazioni, leggi quello che ne dico nella seconda parte di questo libretto.


Capitolo IX
Prima Meditazione: LA CREAZIONE

Preparazione

1.Mettiti alla presenza di Dio. 1.Chiedigli di ispirarti.

Considerazioni
1.Rifletti che qualche anno fa tu non esistevi, anzi il tuo essere era proprio il nulla. O anima mia, dov’eri allora? Il mondo esisteva da tanto, e dite, proprio nulla. 1.Dio ti ha fatto fiorire da quel nulla per renderti ciò che sei, non perché avesse bisogno di te, ma per sua esclusiva bontà. 1.Rifletti sull’essere che Dio ti ha dato; è il primo nella scala degli esseri viventi; fatto per vivere nell’eternità e per unirsi perfettamente a Dio.

Affetti e propositi
1.Umiliati profondamente davanti a Dio, dicendo di cuore con il Salmista: Signore, davanti a te sono come nulla. Come hai fatto a ricordarti di me per crearmi? Anima mia, tu eri sprofondata in quell’abisso senza fondo, e ci saresti ancora se Dio non ti avesse tirata fuori; e che faresti in quel nulla? 1.Ringrazia Dio. = Creatore, buono e potente, ti sono tanto riconoscente per avermi tirato fuori dal mio nulla, per avermi resa, per tua bontà, quella che sono. Che cosa posso fare per benedirti degnamente e rendere grazie alla tua immensa bontà? 1.E ora vergognati. Mio Creatore, anziché unirmi a te in amore e spirito di servizio, mi sono ribellata indegnamente con i miei affetti sregolati; mi sono separata e allontanata da te per confondermi con il peccato; non mi sono ricordata dell’onore di cui ti ero debitrice: ho dimenticato che sei il mio Creatore. 1.Umiliati davanti a Dio. Anima mia, devi sapere che il Signore è il tuo Dio; è lui che ti ha creato; non ti sei fatta da sola! Signore, sono opera delle tue mani. 1.Per quanto, d’ora in poi, non voglio più compiacermi in me stessa, perché sono proprio nulla. Di che cosa vorresti gloriarti? Tu, polvere e cenere, o meglio, nulla? Di che ti esalti? Per umiliarmi voglio fare e questo e quello; sopportare quel disprezzo, quell’altro. Voglio cambiare vita e seguire il mio Creatore e sentirmi onorata per l’essere che egli mi ha dato; voglio impegnarlo totalmente nell’obbedire alla sua volontà, nei modi che mi verranno indicati, e sui quali mi illuminerà il mio padre spirituale.

Conclusione
1.Ringraziamento. Anima mia, benedici il tuo Dio e lodino il suo nome tutte le viscere; perché la sua bontà mi ha tratto dal nulla e la sua misericordia mi ha creato. 1.Offerta. Signore, con tutto il cuore, ti offro l’essere che mi hai dato; lo dedico e lo consacro a Te. 1.Preghiera. Signore, rendimi forte in questi affetti e in questi propositi; Vergine Santa, raccomandali alla misericordia di tuo Figlio, come pure tutte quelle persone per le quali devo pregare,ecc.
Padre nostro, Ave Maria.

Uscendo dall’orazione raccogli un po’ qua e un po’ là e, scegliendo tra le considerazioni fatte, confeziona un mazzetto di devozione; così, durante tutto l’arco della giornata, potrai odorarne il profunmo.


Capitolo X
Seconda meditazione: IL FINE PER IL QUALE SIAMO CREATI

Preparazione
1.Mettiti alla presenza di Dio. 1.Pregalo che ti ispiri.

Considerazioni
1.Dio non ti ha messo al mondo perché aveva bisogno di te; tu non gli sei di alcuna utilità. Lo ha fatto soltanto per dimostrare in te la sua bontà, arricchendoti della sua grazia e della sua gloria. Per questo ti ha dato l’intelligenza per conoscerlo, la memoria per ricordarlo, la volontà per amarlo, l’immaginazione per rappresentarti i suoi benefici, gli occhi per contemplare le sue opere, la lingua per lodarlo , e così tutte le altre facoltà. 1.Poiché sei stata creata e messa al mondo per questo, tutte le azioni contrarie devono essere bandite ed evitate; e quelle che non giovano al conseguimento di questo fine, non devono essere nemmeno prese in considerazione perché vuote e inutili. 1.Considera la sventura del mondo che non pensa a queste cose, ma vive come se fosse stato creato soltanto per costruire case, piantare alberi, accumulare ricchezze e fare pazzie.

Affetti e propositi
1.Umiliati e rimprovera alla tua anima la sua miseria, che, per il passato, è stata così grande che ha pensato poco o punto a tutto ciò. Dirai: Mio Dio, a che cosa mi occupavo, quando non pensavo a te? Che cosa ricordavo, quando dimenticavo te? Che cosa amavo, quando non amavo te? Avrei dovuto nutrirmi di verità e mi imbottivo di vuoto; ero schiava del mondo anziché rendere lui schiavo di me. 1.Detesta la vita passata. Rinuncio a voi, pensieri vuoti e riflessioni inutili; rinnego voi, ricordi vergognosi e frivoli; tronco voi, amicizie infedeli e sleali; favori venali e interessati, soddisfazioni amare, false cortesie. 1.Convertiti a Dio. E tu, Dio mio e Salvatore, d’ora in poi sarai il solo oggetto dei miei pensieri; non occuperò più il mio spirito in pensieri che ti siano sgraditi; la memoria sarà occupata tutti i giorni della mia vita dalla grandezza della tua bontà, che tanto benevola è stata verso di me; sarai la delizia del mio cuore e la dolcezza dei miei affetti. D’ora in poi avrò in orrore quel rincorrersi di vanità, quei divertimenti a cui davo tanto tempo, quello occupazioni oziose che svuotavano la mia giornata, quegli affetti che ottenebravano il mio cuore. A tal fine mi servirò di questo e quel rimedio.

Conclusione
1.Ringrazia Dio che ti ha creata per un fine così nobile. Tu, o Signore, mi hai creata per te, perché io goda per tutta l’eternità dell’immensità della tua gloria: riuscirò un giorno ad esserne degna e a benedirti come meriti? 1.Offerta. Mio caro Creatore, ti offro tutti i miei affetti e i miei propositi assieme alla mia anima e al mio cuore. 1.Preghiera. Ti supplico, o Dio, di accettare le mie aspirazioni e i miei desideri, e benedire con la tua benedizione la mia anima perché riesca ad attuarli, per i meriti del Sangue di tuo Figlio vesato sulla Croce, ecc.


Capitolo XI
Terza Meditazione: I BENEFICI DI DIO

Preparazione
1.Mettiti alla presenza di Dio. 1.Pregalo di ispirarti.

Considerazioni
1.Considera i doni corporali che Dio ti ha dato: il corpo, i mezzi per sostentarlo, la salute, le soddisfazioni legate a lui, gli amici, i beni materiali.
Considera tutto ciò che ha dato a te e mettilo a confronto con ciò che hanno le altre persone che valgono più di te e che non hanno quello che hai tu: gli uni sono di debole costituzione, altri malfermi di salute, difettosi nelle membra; altri sono oggetto di insulti, di disprezzo e di disonore; altri ancora oppressi dalla povertà. E Dio non ha voluto che tu fossi così.
2.Considera i doni dello spirito: quanta gente c’è al mondo ebete, pazza furiosa, mentecatta; perché non sei anche tu di quelli? Dio ti ha favorito. Quanti altri hanno avuto scarsa possibilità di istruirsi, o addirittura nessuna; per te, invece, la Provvidenza divina ha voluto un’educazione civile e onorata. 3.Considera le grazie spirituali: tu sei figlia della Chiesa, Filotea; Dio si è fatto conoscere a te fin dalla tua infanzia. Quante volte ti ha visitato con i sacramenti? E le ispirazioni, le illuminazioni interiori, le correzioni per richiamarti? E quante volte ti ha perdonato? E non ricordi quante volte ti ha liberato dalle occasioni in cui ti saresti perduta? E gli anni passati non sono stati forse un tempo prezioso che Dio ti ha offerto per camminare verso il bene della tua anima?
Fermati a considerare anche i dettagli, e vedrai quanto buono e generoso sia stato Dio con te!

Affetti e propositi
1.Ammira la bontà di Dio. Dio è veramente buono nei miei confronti. O Signore, quanto è ricco di misericordia e grande in bontà il tuo cuore! Anima mia, canta in eterno le innumerevoli grazie di cui ti ha colmata. 2.Pensa ora alla tua ingratitudine. Chi sono io, Signore, perché ti ricordi di me? Com’è grande la mia indegnità. Ho calpestato i tuoi benefici, ho disonorato le tue grazie, ho abusato della tua somma bontà e l’ho disprezzata! Ho contrapposto la voragine della mia ingratitudine all’abisso della tua grazia e del tuo favore. 3.Muoviti a riconoscenza. Orsù, cuor mio, basta con le infedeltà, l’ingratitudine e la slealtà verso questo grande Benefattore. Non Avverrà più che la mia anima rifiuti di essere sottomessa a Dio, che ha operato in me tante meraviglie e mi ha colmato di tanti doni. 4.Filotea, sii decisa e sottrai il tuo corpo alle voluttà. Mettilo al servizio di Dio che ha operato cose stupende in suo favore; impegna seriamente la tua anima a conoscerlo a fondo per renderlo suo, con quegli esercizi propri ad ottenere questo risultato. Impiega con cura i mezzi che la Chiesa ti offre per la salvezza tua e per amare Dio. Sì, sono decisa a fare regolarmente orazione, a ricevere i sacramenti, ad ascoltare la sua santa Parola; metterò in pratica le sue ispirazioni e i suoi consigli.
Conclusioni

1.Ringrazia Dio che ti ha fatto conoscere i tuoi doveri e tutti i benefici da Lui ricevuti. 1.Offrigli il tuo cuore con tutti i buoni propositi. 1.Pregalo che ti renda forte per tradurre in atto i propositi, per i meriti della morte di suo Figlio; chiedi l’intercessione della Vergine e dei Santi.
Padre nostro, ecc. Intreccia il mazzetto spirituale.

Capitolo XII
Quarta Meditazione: IL PECCATO

Preparazione
1.Mettiti alla presenza di Dio. 1.Pregalo di darti la sua ispirazione.

Considerazioni
1.Pensa da quanto tempo hai incominciato a peccare, e come, da allora, i peccati si siano moltiplicati in te; li hai accresciuti ogni giorno, mettendoti contro Dio, contro te stessa, contro il prossimo, in opere in parole, in desideri e in pensieri. 1.Pensa alle tue cattive inclinazioni e a come le hai assecondate. E, soltanto meditando su questi due punti, dovrai constatare come le tue colpe siano più numerose dei capelli che hai in testa, o meglio ancora dei granelli di sabbia della spiaggia. 1.Pensa poi, in modo particolare, al peccato di ingratitudine verso Dio, peccato comune e presente in tutti gli altri, e che li rende più gravi: guarda di quanti benefici Dio ti ha colmata, e di tutti ne hai abusato contro il Donatore; e in modo hai disprezzato molte ispirazioni, hai lasciato cadere molti impulsi al bene.
Ma quello che è ancor peggio, dopo che hai ricevuto i sacramenti tante volte, dove sono i frutti? Dove sono finiti gli ornamenti di cui ti aveva abbellita lo Sposo? Tutto è stato sepolto nella tua cattiveria. Ti sei preparata seriamente a riceverli? Pensa a quanto sei ingrata e irresponsabile; Dio ti insegue per salvarti e tu fuggi per perderti.

Affetti e propositi
1.Arrossisci alla tua miseria. Mio Dio, dove troverò il coraggio di comparire davanti a te? Io non sono che un bubbone purulento e una fogna di ingratitudine e di cattiveria. Sembra impossibile che io abbia potuto essere così sleale; non ho saputo conservare integro uno solo dei miei sensi; una sola delle facoltà della mia anima, senza corromperla, violarla, insozzarla; non ho trascorso un sol giorno della mia esistenza senza contaminarlo con affetti indecenti. E mi pare questo il modo di contraccambiare i benefici del Creatore e il Sangue del Redentore? 1.Chiedi perdono e gettati ai piedi del Signore come un Figliuol prodigo, come una Maddalena, come una donna che ha contaminato il letto matrimoniale con ogni sorta di adulterio. Signore, pietà di questa peccatrice; sorgente viva di misericordia, abbi pietà di questa misera peccatrice. 1.Decidi di vivere meglio. Signore, con la tua grazia, non voglio mai più cedere al peccato. L’ho amato già troppo! Ora lo detesto e abbraccio Te, Padre di misericordia, voglio vivere e morire con Te! 1.Per cancellare i peccati del passato ne farò una accusa coraggiosa, e non tollererò che uno solo rimanga in me. 1.Farò tutto il possibile per sradicare dal mio cuore le erbacce, in modo particolare le più dannose. 1.A tal fine, seguirò con impegno i consigli che mi verranno dati e non riterrò mai di avere fatto abbastanza per riparare le colpe del passato.

Conclusione
1.Ringrazia Dio che ti ha atteso pazientemente e ti ha dato questi buoni affetti. 1.Offrigli il tuo cuore in pegno. 1.Pregalo che ti fortifichi, ecc.


Capitolo XIII
Quinta Meditazione: LA MORTE

Preparazione
1.Mettiti alla presenza di Dio. 1.Chiedigli l’aiuto della grazia. 1.Immagina di essere gravemente ammalata, sul letto di morte, senza speranza di cavartela.

Considerazioni
1.Pensa a quanto sia incerto il giorno della tua morte. Anima mia, un giorno tu uscirai da questo corpo. Quando? In inverno o in estate? In città o in campagna? Di giorno o di notte? All’improvviso o con preavviso? Sarà per malattia o per incidente? Avrai il tempo di confessarti, oppure no? Avrai vicino il tuo confessore e il tuo padre spirituale? Di tutto ciò non ne sai proprio nulla. L’unica cosa certa è che moriremo tutti, e prima di quando pensiamo. 1.Pensa che in quel momento, per quello che riguarda te, il mondo finirà; per te sarà proprio finita! Ai tuoi occhi tutto si capovolgerà. Sì, perché i piaceri, le vanità, le gioie del mondo, gli affetti inutili ti sembreranno fantasmi e nebbia. Ti accorgerai allora che sei stata sciocca ad offendere Dio per quelle insulsaggini e quelle chimere! Vedrai che quando abbiamo lasciato Dio, lo abbiamo fatto per un nulla. Per contro, tanto dolci e desiderabili ti sembreranno la devozione e le opere buone: ma perché non ho percorso quella via bella e piacevole? In quel momento i tuoi peccati, che ti sembravano peccatucci, li vedrai ingigantiti come montagne e la tua devozione ti sembrerà piccola piccola. 1.Pensa agli addii senza fine e pieni di languore che la tua anima darà alle cose di questo basso mondo: addio alle ricchezze, alle vanità, alle compagnie melense, ai piaceri, ai passatempi, agli amici e ai vicini, ai genitori, ai figli, al marito, alla moglie; per farla breve, a tutti; e, per chiudere, al tuo corpo che dovrai abbandonare esangue, smunto, emaciato, schifoso, e male odorante. 1.Pensa alla fretta che avranno di prendere il tuo corpo e nasconderlo sotto terra; ciò fatto, la gente non penserà più, o quasi, a te; non se ne ricorderanno più, come del resto tu hai fatto per gli altri: Dio lo abbia in pace, si dirà, e amen! Tu, morte, fai seriamente pensare, sei impietosa! 1.Pensa che una volta uscita dal corpo, l’anima prende il suo posto: o a destra, o a sinistra. Tu, dove andrai? Che strada prenderai? Non dimenticare che sarà la stessa nella quale ti sei incamminata in questo mondo.

Affetti e risoluzioni
1.Prega Dio e gettati tra le sue braccia. Signore, in quel giorno terribile, accoglimi sotto la tua protezione, rendimi quel momento felice e favorevole, a costo di rendere tutti gli altri della mia vita tristi e segnati dalla sofferenza. 1.Disprezza il mondo. Giacché, o mondo, non mi è dato di conoscere l’ora in cui dovrò lasciarti, ho deciso di non legarmi a te. Amici miei, cari colleghi, permettetemi di volervi bene soltanto con un’amicizia santa che possa durare eternamente; infatti perché dovrei contrarre con voi un legame che poi dovrà essere troncato? 1.Voglio prepararmi a quell’ora e prendere le opportune precauzioni per compiere felicemente quel passo; con tutte le mie facoltà voglio mettere ordine nella mia coscienza, e porre fine a certe manchevolezze.

Conclusione
Ringrazia Dio dei propositi che ti ha dato la forza di concepire; offrili alla sua Maestà; pregalo spesso che ti conceda una morte beata per i meriti di quella del Figlio. Chiedi l’aiuto della Vergine e dei Santi.
Pater, Ave Maria.
Componi un mazzetto di mirra.


Capitolo XIV
Sesta Meditazione: IL GIUDIZIO

Preparazione
1.Mettiti davanti a Dio. 1.Pregalo di ispirarti.

Considerazioni
1.Dopo il tempo segnato da Dio per la durata di questo mondo, preceduta da un gran numero di segni e prodigi spaventosi, tali da raggelare gli uomini per lo spavento e il terrore, verrà la fine: scenderà dal cielo un diluvio di fuoco che brucerà e ridurrà in cenere tutta la faccia della terra, senza risparmiare nulla di quanto vediamo su di essa. 1.Dopo questo diluvio di fiamme e di terrificanti fenomeni celesti, tutti gli uomini non ancora risorti, riprenderanno il loro corpo dalla terra, e, alla voce dell’Arcangelo, si raduneranno nella valle di Giosafat. Ma, con quale differenza! Gli uni spenderanno in un corpo glorioso, gli altri saranno orribili in un corpo ripugnante. 1.Considera la maestà con la quale apparirà il Giudice supremo, circondato dagli Angeli e dai Santi, preceduto dalla Croce, segno di grazia per i buoni e di castigo per i cattivi, più splendente del sole. 1.Quel Giudice supremo, con un ordine senza appello e che verrà subito eseguito, separerà i buoni dai cattivi; metterà i primi alla sua destra, gli altri alla sua sinistra; e sarà una separazione eterna, dopo la quale i due settori mai più si incontreranno. 1.Operata la separazione e dischiuse le coscienze, apparirà con chiarezza la perversità dei cattivi e il loro disprezzo per Iddio; dall’altra parte si vedrà la penitenza dei buoni e gli effetti prodotti in essi dalla grazia di Dio; nulla rimarrà nascosto. Mio Dio, quale confusione per gli uni, quale consolazione per gli altri! 1.Pensa all’ultima condanna dei cattivi: Andate, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi compagni. Pesa queste parole così gravi. Andate, dice, è la condanna all’abbandono eterno di quei disgraziati da parte di Dio. Quei miserabili saranno per sempre privati della contemplazione del suo Volto. Li chiama maledetti: anima mia, quale maledizione! Una maledizione totale, che include tutti i mali: maledizione senza appello e che abbraccia tutta l’eternità. Eterna eternità dei supplizi, quanto devi essere terribile! 1.Considera poi la sentenza per i buoni: Venite, dice il Giudice; è la parola consolante di salvezza, per mezzo della quale Dio ci attira a sé e ci pone nel mondo della sua bontà. Benedetti del Padre mio: o cara benedizione, che tutte le include! Prendete possesso del Regno che è stato preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Quale grande grazia, mio Dio, poiché quel Regno non avrà mai fine!

Affetti e propositi
1.Trema, anima mia, a questo pensiero. Mio Dio, chi può darmi sicurezza per quel giorno, in cui le fondamenta del cielo tremeranno per lo spavento? 1.Detesta i tuoi peccati, i soli che possono darti motivo di terrore in quel giorno spaventoso. 1.Voglio ora giudicarmi da sola, per non esserlo in quel giorno; voglio esaminare la mia coscienza e condannarmi, accusarmi e correggermi, perché in quel giorno non sia il Giudice a condannarmi: mi confesserò, accetterò i consigli opportuni, ecc.

Conclusione
1.Ringrazia Dio che ti ha dato modo di metterti al sicuro per quel giorno e ti ha concesso tempo per la penitenza. 1.Offrigli il tuo cuore e fa una seria penitenza. 1.Pregalo di farti la grazia di portarla a compimento come si deve.
Pater noster, Ave. Componi un mazzetto spirituale.


Capitolo XV
Settima Meditazione: L’INFERNO

Preparazione
1.Mettiti alla presenza di Dio. 1.Umiliati e domanda la sua assistenza. 1.Immagina una città tenebrosa, affogata in un’atmosfera di zolfo infiammato e pece nauseante; in quello scenario immagina un brulichio di cittadini che non possono uscirne.

Considerazioni
1.I dannati all’inferno sono come prigionieri senza scampo in quella città disgraziata. I loro sensi e tutte le loro membra sono sottoposti a indicibili tormenti: infatti hanno usato le loro membra con i loro sensi per peccare; per questo nei loro sensi e nelle loro membra pagano la pena dovuta al peccato: gli occhi, per gli sguardi perversi e maliziosi, soffriranno l’orribile vista dei diavoli e dell’inferno; le orecchie, che si sono compiaciute dei discorsi licenziosi, udranno, per l’eternità, pianti, lamenti e grida di disperazione; e così di seguito. 1.Oltre a questi tormenti c’è poi quello che tutti li supera, ed è la privazione e la perdita della vista di Dio, dalla quale sono esclusi per sempre.
Se Assalonne trovava che la perdita della vista di suo padre Davide era più dura da sopportare dell’esilio, quale tormento sarà mai essere privati per sempre della vista del dolce e soave volto di Dio.
3.Pensa soprattutto all’eternità di queste pene: da sola rende l’inferno insopportabile. Se una pulce in un orecchio o l’alterazione di una febbriciattola, rendono una breve notte così lunga e tormentosa, pensa a quanto deve essere spaventosa la notte dell’eternità con tanti tormenti! Da quell’eternità nascono la più nera disperazione, le bestemmie, una rabbia senza fine.

Affetti e propositi
1.Spaventa la tua anima con le parole di Isaia: O anima mia, come potrai vivere eternamente con quelle fiamme inestinguibili, dentro a quel fuoco che divora? Perché vuoi abbandonare per sempre il tuo Dio? 2.Riconosci di averlo meritato e molte volte. Ora voglio incamminarmi in senso contrario; perché dovrei sprofondare in quell’abisso? 3.Farò dunque ogni sforzo per evitare il peccato, sola causa possibile di quella morte eterna.
Ringrazia, offri, prega.


Capitolo XVI
Ottava Meditazione: IL PARADISO

Considerazioni
1.Immagina una bella notte serena: contempla il cielo costellato di miriadi di stelle, diverse una dall’altra. Aggiungi a quella meraviglia la bellezza di una magnifica giornata, in cui lo splendore del sole non tolga la nitida vista delle stelle e della luna; e poi dì pure tranquillamente che tutte quelle bellezze sono nulla a confronto del Paradiso. È un luogo desiderabile e amabile come nessun altro, una città senza confronti! 2.Pensa alla nobiltà, alla bellezza e alla moltitudine dei cittadini abitanti in quella città felice: milioni e milioni di Angeli, di Cherubini, di Serafini, il gruppo degli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini, le Madri di Famiglia; sono innumerevoli.
2 È una compagnia impareggiabile! Il più piccolo di loro è più bello alla vista di tutto il mondo messo insieme! Immagina la gioia nel contemplarli tutti contemporaneamente. Sono felici; cantano senza sosta l’inno dell’amore eterno; godono di una gioia ininterrotta; scambievolmente provano, nel vedersi, un piacere inesprimibile, e vivono nella sicurezza di una società felice e indivisibile.
3.Infine pensa al bene sommo di cui tutti insieme godono: la vista di Dio che li gratifica per l’eternità del suo sguardo pieno d’amore, travolgendo i loro cuori in un abisso di piacere. È un bene senza pari l’essere uniti al proprio principio.
Sono simili ad uccelli spensierati, che volano e cantano eternamente nel cielo della divinità, che li colma di piaceri inesprimibili; ciascuno, senza invidia, canta al suo meglio, le lodi del Creatore. Sia tu benedetto per sempre, o dolce Creatore e Salvatore, perché sei buono e ci comunichi, con tanta generosità, la tua gloria. Di rimando, Dio benedice con una benedizione eterna, i suoi Santi: Siate benedetti, per sempre, mie care creature che, per avermi servito con coraggio, mi loderete eternamente con amore.

Affetti e propositi
1.Ammira e loda la patria celeste. Come sei bella, celeste Gerusalemme, e beati sono i tuoi abitanti. 2.Rimprovera il tuo cuore per il poco coraggio dimostrato finora e per essersi tanto allontanato dal cammino verso quella dimora di gloria. Perché mi sono tanto allontanata dal mio sommo bene? Miserabile che sono, l’ho fatto soltanto per piaceri insulsi e leggeri, abbandonando delizie mille volte migliori. Come ho fatto a disprezzare beni tanto desiderabili per desideri così meschini che non meritavano alcuna attenzione? 3.Desidera con forza di giungere a quella beata dimora. Mio buono e supremo Signore, poiché hai voluto guidare di nuovo i miei passi sul cammino che porta a Te, ti prometto che mai più tornerò indietro. Camminiamo, cara anima mia, camminiamo verso quella pace infinita, camminiamo verso quella terra benedetta a noi promessa. Che ci facciamo qui, in Egitto? 4.Mi terrò lontano da tutto ciò che potrebbe distogliermi da questo cammino o ritardarlo. 5.Farò invece tutto quello che mi può favorire nell’incamminarmi in esso.
Ringrazia, offri, prega.


Capitolo XVII
Nona Meditazione: ELEZIONE E SCELTA DEL PARADISO

Preparazione
1.Mettiti alla presenza di Dio. 1.Umiliati davanti a lui e pregalo che ti ispiri.

Considerazioni
Immagina di essere in aperta campagna, sola con il tuo Angelo, come il giovane Tobia sulla via di Rage; immagina che l’Angelo ti inviti alla contemplazione del Paradiso, spalancato in alto, davanti a te: tu vi scorgi tutte le cose belle sulle quali abbiamo già meditato.
In basso poi, ti fa vedere la voragine dell’inferno, anch’essa spalancata davanti a te, con tutti i tormenti che ti ho descritto quando ti ho guidato alla meditazione dell’inferno.
Dopo aver immaginato questa doppia visione, mettiti in ginocchio davanti al tuo Angelo.

1.Pensa quanto sia vero che tu ti trovi tra il Paradiso e l’Inferno; come pure è vero che l’uno e l’altro sono spalancati per riceverti secondo la scelta che tu farai. 1.Pensa che la scelta che farai dell’uno o dell’altro in questo mondo, durerà eternamente nell’altro. 1.Pensa che, pur essendo entrambi spalancati per accoglierti, secondo la tua scelta, e la sensazione della giustizia di Dio o della sua misericordia, tuttavia Dio desidera, con un desiderio senza pari, che tu scelga il Paradiso; e l’Angelo ti fa pressioni nello stesso senso e ti offre, da parte di Dio, mille grazie e mille aiuti per salire. 1.Cristo Gesù, dall’alto del Cielo, ti guarda con amore e ti invita con dolcezza: Vieni, anima diletta, a riposarti eternamente tra le braccia della mia bontà, che ti ha preparato delizie immortali nel suo amore generoso per te. Contempla con gli occhi dell’anima la Vergine santa che ti invita con amore di Madre: Coraggio, figlia mia, non ignorare i desideri del mio Gesù e le preghiere che gli rivolgo per te, perché voglio, con Lui, la tua salvezza eterna. Dà uno sguardo ai Santi che ti incoraggiano e un altro milione di anime che ti invita con dolcezza e vuole soltanto vederti un giorno unita a loro, nella lode eterna di Dio; e ti garantiscono che il cammino verso il Cielo non è poi così difficile come vuol far credere il mondo: coraggio, ti dicono, amica cara, chi valuta bene il cammino della devozione per il quale siamo saliti, scoprirà che siamo giunti a queste delizie attraverso altre delizie infinitamente più dolci di quelle del mondo.

Scelta
1.O inferno, io ti detesto per sempre; detesto i tuoi supplizi, i tuoi tormenti; detesto la tua eternità di maledizione e di infelicità. Soprattutto odio le tue eterne imprecazioni e bestemmie che scagli contro il mio Dio. Rivolgo il cuore e l’anima dalla tua parte, o beato paradiso, gloria eterna, felicità senza fine, eleggo per sempre, irrevocabilmente, la mia dimora nelle tue belle case e nei tuoi santi e desiderabili tabernacoli.
Mio Dio, benedico la tua misericordia ed accetto l’offerta che me ne fai. Gesù Salvatore, accetto il tuo amore eterno, avallo l’acquisto del posto che tu hai fatto per me in quella beata Gerusalemme, solo per amarti e benedirti per sempre.
2.Accetta i favori che la Vergine e i Santi ti offrono; prometti loro di seguirli nello stesso cammino; tendi la mano al tuo Angelo perché ti guidi; incoraggia la tua anima a questa scelta.


Capitolo XVIII
Decima Meditazione: L’ELEZIONE E LA SCELTA DELLA VITA DEVOTA

Preparazione
1.Mettiti alla presenza di Dio. 2.Abbassati davanti a lui, domanda il suo aiuto.

Considerazioni
1.Immagina di nuovo di trovarti in aperta campagna, sola, con il tuo Angelo; a sinistra c’è il diavolo assiso su un grande trono, altissimo, con tanti diavoli vicino; intorno un’immensa moltitudine di mondani che lo riconoscono padrone e signore e gli rendono omaggio, chi peccando in un modo chi in un altro. Esamina il contegno di tutti i disgraziati cortigiani di quel re d’abominio: alcuni sono furiosi per l’odio, l’invidia, la collera; altri si uccidono tra loro; altri, smunti, tesi e ansiosi accumulano ricchezze; altri poi sono presi dalla vanità, senza provare un solo piacere che non sia vuoto e sciocco; altri ancora sono abbruttiti, smarriti, corrotti nelle loro passioni animalesche.
Guarda come tutti sono senza pace, disordinati e senza ritegno; guarda come si disprezzano a vicenda: al massimo trovi un ipocrita parvenza d’amore.
1.A destra c’è Gesù Cristo crocifisso, che, con un amore cordiale, prega per quegli infelici dominati dal diavolo, perché si liberino da quella tirannide, e li chiama a sé. Intorno a Lui vedi una grande moltitudine di devoti con i loro Angeli. Ammira la bellezza di questo regno della devozione. È meraviglioso vedere la schiera delle Vergini, uomini e donne, bianca più dei gigli; la schiera delle Vedove, spiranti mortificazione e umiltà; guarda la schiera degli Sposi, che vivono insieme con grande dolcezza e rispetto reciproco, segno di un grande amore: guarda come quelle anime devote sanno unire la cura della casa terrena con quella del cielo, l’amore del marito con quello di Cristo. Volgi lo sguardo intorno e vedrai tutti con un contegno santo, mite, amabile, mentre ascoltano Nostro Signore. Tutti vorrebbero poterlo mettere al centro del loro cuore. Si rallegrano, ma di una gioia serena, piena di amore e controllata; si vogliono bene tra loro, ma di un amore bello e pulito. Coloro che sono afflitti, tra quel popolo eletto, non si tormentano più di tanto e non perdono il contegno. Noterai gli occhi del Salvatore che li consola e tutti vogliono stargli vicino. 2.Tu hai già abbandonato Satana con la sua disgraziata compagnia; lo hai fatto con i tuoi santi affetti; tuttavia non sei ancora giunta presso il Re Gesù; e non sei ancora unita alla felice e santa compagnia dei devoti, anzi sei sempre rimasta a mezza strada. 3.La Vergine santa, con S. Giuseppe, S. Luigi, S. Monica, e centomila altri, che si trovano nella schiera di coloro che sono vissuti nel mondo, ti invitano e ti incoraggiano. 4.Il Re crocifisso ti chiama per nome: Vieni, o amata, vieni perché io possa incoronarti.

Scelta
1.O mondo, gente abominevole, non mi vedrai mai più dietro ai tuoi vessilli: ho detto addio per sempre alle tue pazzie e alle tue vanità.
Re dell’orgoglio, dell’infelicità, spirito d’inferno, io rinuncio a te e a tutte le tue invenzioni. Ti odio e con te tutte le tue opere.
1.Mi converto a te, dolce Gesù, Re della felicità e della gloria che non muore; ti abbraccio con tutte le forze della mia anima, ti adoro con tutto il cuore, ti scelgo, ora e per sempre, a mio Re, e ti prometto fedeltà senza pentimenti; prometto obbedienza alle tue sante leggi, voglio ascoltare i tuoi consigli. 2.O Vergine Santa, mia cara padrona, ti prendo per guida, mi metto sotto la tua bandiera, ti prometto un particolare rispetto e una riverenza tutta speciale. Mio Santo Angelo, presentami a quella santa assemblea: non lasciarmi finché non mi sia unita a quella beata brigata, assieme alla quale dico e dirò sempre, a prova della scelta operata: Viva Gesù, Viva Gesù!


Capitolo XIX
COME FARE LA CONFESSIONE GENERALE

Ecco dunque, cara Filotea, le meditazioni che fanno al caso nostro. Una volta che le hai profondamente meditate, in ispirito di umiltà, va coraggiosamente a fare la tua confessione generale. Ti prego di non angosciarti per alcun motivo. Lo scorpione è velenoso quando ci punge, ma, ridotto in olio, è un efficace rimedio contro le sue punture; il peccato è riprovevole quando lo commettiamo, ma una volta trasformato in confessione e penitenza, è pegno di onore e di salvezza. La contrizione e la confessione sono così belle e così profumate, che cancellano la bruttezza e distruggono il lezzo del peccato. Simone il lebbroso diceva che Maddalena era peccatrice, ma Nostro Signore dice di no e parla soltanto del profumo che spande e del suo grande amore. Se noi siamo molto umili, o Filotea, il peccato ci darà un grande dispiacere perché offende Dio. Ma l’accusa del nostro peccato diverrà dolce e piacevole perché onora Dio: quando diciamo al medico il male che ci tormenta, proviamo già un certo sollievo. Quando sarai davanti al padre spirituale, immagina di essere sul Calvario, ai piedi di Gesù Cristo crocifisso, il cui sangue, grondando da tutte le parti, ti lava dalle iniquità; infatti anche se non si tratta fisicamente del sangue del Salvatore, è sempre il merito di quel sangue versato che continua a scorrere abbondantemente sui penitenti che si trovano attorno al confessionale.
Apri bene il cuore per farne uscire i peccati destinati alla confessione; a misura che usciranno, entrerà il merito prezioso della Passione di Cristo per riempirlo di benedizioni. Esponi tutto bene, con semplicità e naturalezza; almeno per questa volta fa contenta la tua coscienza.
Dopo ascolta la correzione e i consigli del servitore di Dio, e dì nel tuo cuore: Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta. Sì, Filotea, è Dio che tu ascolti, perché ha detto ai suoi rappresentanti: Chi ascolta voi, ascolta me.
Dopo, prendi in mano la promessa che ho scritto per te e che trovi nel capitolo seguente; serve di conclusione al tuo atto di contrizione. Prima devi meditarla. Leggila con attenzione e con tutta la partecipazione che ti sarà possibile.


Capitolo XX
PROMESSA PER IMPRIMERE NELL’ANIMA IL PROPOSITO DI SERVIRE DIO,
A CONCLUSIONE DEGLI ATTI DI PENITENZA

Io sottoscritta, prostrata davanti a Dio e a tutta la Corte celeste, dopo aver considerato l’immensa misericordia della divina bontà nei confronti di me, indegna e insignificante creatura, che Egli ha tratto dal nulla, conservata, nutrita e liberata da tanti pericoli, e colmata di tanti benefici; ma soprattutto dopo aver consideratola dolcezza, e la clemenza, superiore a quanto si può pensare, in virtù della quale tanto benignamente mi ha sopportata nelle mie iniquità, ispirandomi molto spesso con amore e invitandomi a correggermi; considerando che mi ha atteso tanto pazientemente perché facessi penitenza fino all’età che oggi ho; e questo, nonostante le mie ingratitudini, le slealtà e le infedeltà con le quali ho differito la conversione, disprezzando le sue grazie e per di più sfacciatamente offendendolo; dopo aver preso in considerazione anche il fatto che nel giorno del Battesimo sono stata consacrata e donata a Dio, per essere sua figlia; e che, contrariamente alla promessa fatta allora in mio nome, ho molte volte, agendo da disgraziata e in modo riprovevole, profanato e violato il mio spirito, usandolo contro la Maestà divina; essendo ritornata finalmente in me stessa, prostrata con il cuore e con lo spirito davanti al trono della giustizia divina, riconosco, ammetto e confesso di meritare di essere accusata e convinta del crimine di lesa Maestà divina, in quanto colpevole della Morte e Passione di Gesù Cristo, ucciso dai peccati da me commessi; infatti per loro causa è morto dopo aver sofferto i tormenti della croce; per questo riconosco di essere degna di venire condannata alla perdizione eterna.
Ma oso rivolgermi al trono dell’infinita misericordia del medesimo Dio. Detesto con tutto il cuore e con tutte le forze le iniquità della mia vita passata, domando e impetro umilmente grazia e perdono e per questo ti chiedo una totale assoluzione dei miei crimini, in forza della Morte e Passione di quel medesimo Signore e Redentore dell’anima mia; fidando su quella, quale unica speranza per la mia salvezza, ripeto nuovamente e rinnovo la promessa di fedeltà fatta in mio nome a Dio, in occasione del battesimo, e rinuncio al demonio, al mondo e alla carne; detesto le loro malefiche suggestioni, le vanità e i desideri insani, per tutta la vita che mi resta e per l’eternità.
Voglio convertirmi a Dio buono e pietoso; desidero, propongo, scelgo e decido irrevocabilmente di servirlo e amarlo adesso e per l’eternità. A tal fine gli affido, gli dedico e gli consacro il mio spirito con tutte le sue facoltà, la mia anima con tutte le sue potenze, il mio cuore con tutti i suoi affetti, il mio corpo con tutti i suoi sensi; protesto di non voler più in alcun modo, abusare di nessuna parte del mio essere contro la sua divina volontà e la sua Maestà sovrana; a lei mi sacrifico e mi immolo in ispirito, per essere per sempre nei suoi confronti, una creatura leale, obbediente e fedele, senza più volermi ricredere o pentire.
Ma, se per suggestione del nemico o qualche umana infermità. Dovesse capitarmi di venir meno in qualche cosa a questa mia promessa e a questa consacrazione, fin d’ora protesto e mi propongo, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, di rialzarmi immediatamente, appena ne avrò coscienza, di rivolgermi di nuovo alla misericordia divina senza attendere un solo istante.
Questa è la mia volontà, la mia intenzione e la mia decisione irremovibile, di cui ho piena coscienza e la confermo senza riserve o eccezioni, davanti a Dio e alla Chiesa trionfante, alla Chiesa militante mia Madre, che riceve questa mia dichiarazione nella persona di colui che, come ministro, mi ascolta in questo atto.
Ti piaccia, o eterno Iddio, onnipotente e buono, Padre, Figlio e Spirito Santo, confermare in me questo proposito e accettare e gradire il dono che ti faccio in questo momento con tutto il cuore, dal profondo di me stessa. Come mi hai dato ispirazione e volontà per offrirtelo, dammi anche grazia e forza per non mancare di parola. O Signore, tu sei il mio Dio, il Dio del mio cuore, il Dio della mia anima, il Dio del mio Spirito; come tale ti riconosco e ti adoro per tutta l’eternità. Viva Gesù!



Capitolo XXI
CONCLUSIONE DELLA PRIMA PURIFICAZIONE

Fatta la promessa, rimani molto attenta e apri bene il cuore per ascoltare con tutta l’anima le parole di assoluzione che il Salvatore della tua anima, assiso sul trono della misericordia, pronuncerà lassù in Cielo, davanti agli Angeli e ai Santi, nello stesso istante in cui, in suo nome, il sacerdote ti assolverà quaggiù in terra.
La schiera dei Beati gioisce per la tua felicità e canta il cantico spirituale di una gioia che non ha confronti; tutti ti accolgono e abbracciano il tuo cuore che ha ritrovato la grazia e la santità.
È un ottimo contratto, Filotea: tu doni ora te stessa alla Maestà di Dio e ottieni in cambio che Egli si doni a te per l’eternità.
Non ti resta più che prendere la penna e apporre la firma all’atto della tua promessa; dopo di che, ti recherai all’altare; così anche Dio firmerà e apporrà il suo sigillo a conferma dell’assoluzione e ti prometterà il paradiso; per mezzo del sacramento anzi, sarà Lui stesso il sigillo di garanzia sul tuo cuore nuovo. Così la tua anima sarà libera dal peccato e da tutti gli affetti al peccato.
Ma siccome questi affetti rispuntano facilmente nell’anima, a causa della nostra infermità e della nostra concupiscenza, che può essere mortificata, ma non eliminata, finché vivremo su questa terra, io ti darò dei consigli: se li segui ti terrai lontana dal peccato mortale e dai suoi affetti così mai più il peccato avrà posto nel tuo cuore. Visto poi che gli stessi consigli sono utili anche per una purificazione più radicale, prima di darteli, voglio spendere qualche parola per chiarirti che cosa intendo per purezza totale, che è quella alla quale desidero guidarti.


Capitolo XXII
BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO AL PECCATO VENIALE

A misura che il giorno cresce, scopriamo meglio nello specchio le macchie e le impurità del nostro volto; così, a misura che la luce interiore dello Spirito Santo illumina le nostre coscienze, distinguiamo con maggiore chiarezza i peccati, le tendenze e le imperfezioni che possono impedirci di raggiungere la vera devozione. La stessa luce che ci fa notare queste tare e questa zavorra, ci anima al desiderio di mondarcene e di liberarcene.
Scoprirai dunque, cara Filotea, che oltre al peccato mortale e agli affetti al peccato mortale, di cui ti sei già liberata con gli esercizi sopra indicati, nell’anima tu conservi ancora molte tendenze e affetti ai peccati veniali. Non dico che scoprirai dei peccati veniali, ma degli affetti e delle tendenze ad essi; ora, sono due cose ben diverse: non saremo mai liberi completamente dai peccati veniali, almeno per un lungo tempo; ma possiamo benissimo non avere affetto ai peccati veniali. Infatti è ben diverso dire una frottola una volta o due, in allegria, in cosa di poca importanza, dal trovare gusto a mentire ed essere incalliti in quel genere di mancanza.
Dico che bisogna liberare la propria anima da tutti gli affetti ai peccati veniali, ossia non bisogna, in alcun modo, incoraggiare deliberatamente la volontà a rimanere nel peccato veniale; sarebbe una debolezza troppo grande conservare consapevolmente nella nostra coscienza un proposito che dispiace a Dio, quale la volontà di voler fare cosa a Lui non gradita.
Il peccato veniale, per piccolo che sia, dispiace a Dio, anche se non in misura da volere, per questo, dannarci o perderci. Se il peccato veniale gli dispiace, la volontà e l’affetto ad esso, sono un chiaro proposito di voler dispiacere alla Maestà divina. E com’è possibile che un’anima per bene, non soltanto voglia dispiacere a Dio, ma sia attaccata al desiderio di dispiacergli?
Questi affetti, Filotea, sono direttamente contrari alla devozione, come gli affetti al peccato mortale lo sono alla carità: indeboliscono le forze dello spirito, impediscono le consolazioni divine, aprono la porta alle tentazioni; se è vero che non uccidono l’anima, la rendono però gravemente inferma.
Le mosche morenti, dice il Saggio, rovinano e corrompono il pregio dell’unguento: con ciò vuol dire che le mosche le quali non si fermano che pochissimo sull’unguento e ne succhiano solo passando, rovinano solo quello che prendono e lasciano il resto intatto; ma quando vi cadono dentro morte, gli tolgono il pregio e nessuno più lo vuole.
Allo stesso modo, i peccati veniali, che capitano in un’anima devota senza soffermarsi per molto tempo, non le recano un danno molto grave; ma se quei peccati rimangono nell’anima a causa dell’affetto che c’è in noi per essi, questi le fanno perdere senz’altro il pregio dell’unguento, ossia la santa devozione.
I ragni non uccidono le api, ma ne contaminano e ne corrompono il miele, e le ostacolano con le loro ragnatele, di modo che le api non possono più lavorare; questo quando tessono ragnatele per fermarsi. Così, il peccato veniale non uccide l’anima, ma corrompe la devozione e intralcia talmente le potenze dell’anima con le cattive abitudini e tendenze, che essa non riesce più ad attuare la prontezza della carità, nella quale consiste la devozione; questo avviene quando il peccato veniale alberga nella nostra coscienza per l’affetto che gli portiamo.
Dire qualche bugia, è cosa da nulla; come pure dire qualche parola fuori posto, superare un po’ i giusti limiti nell’agire, negli sguardi, negli abiti, nelle battute, negli scherzi, nei balli, purché, appena presa coscienza di questi ragni spirituali, li respingiamo e li buttiamo fuori, come fanno le api con i ragni veri.
Ma se permettiamo loro di fermarsi nei nostri cuori, e per di più ci affezioniamo a trattenerli e moltiplicarli, presto troveremo che il nostro miele è andato perduto e l’alveare della nostra coscienza contaminato e disfatto. Ma, ripeto ancora una volta, che senso ha che una anima generosa trovi gusto a dispiacere a Dio, si affezioni ad essergli sgradita e voglia quello che sa bene che Dio non vuole?


Capitolo XXIII
BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO ALLE COSE INUTILI E PERICOLOSE

I giochi, i balli, i banchetti, le feste, gli spettacoli, in sé non sono cose cattive, ma indifferenti, e possono essere vissute in bene o in male. Sono tuttavia sempre pericolose e ancor più pericoloso è attaccarsi ad esse. Anche se è permesso giocare, danzare, agghindarsi, assistere a spettacoli onesti, fare banchetti; esserci attaccati è contrario alla devozione e può nuocere e costituire pericolo. Il male non è farli, ma affezionarsi.
È da insensati seminare nella terra del nostro cuore affetti così vuoti e insulsi: occupano lo spazio destinato ai buoni sentimenti, e impediscono che la linfa della nostra anima nutra buone tendenze.
Gli antichi Nazirei non solo si astenevano dal vino e da tutto ciò che poteva ubriacarli, ma anche dall’uva, sia matura che acerba, non perché l’uva, magari acerba, ubriachi, ma perché c’era pericolo che mangiando uva acerba venisse la voglia di mangiarne di matura, e mangiandone poi di matura nascesse il desiderio di assaggiare il mosto e bere vino. Non dico che non dobbiamo fare uso di queste cose pericolose, ma insisto che non dobbiamo impegnarvi l’affetto se non vogliamo rovinare la devozione.
I cervi che hanno messo su troppo grasso, si ritirano in disparte e si nascondono nei cespugli, sapendo che, se per caso dovessero essere attaccati, il grasso non permetterebbe loro di correre agilmente: il cuore dell’uomo, quando si carica di affetti inutili, superflui o pericolosi, non riesce più a correre con prontezza, agilità e facilità dietro al suo Dio, che è il centro della devozione.
Ai bambini piacciono farfalle e le inseguono; nessuno trova da ridire perché sono bambini. Ma vedere uomini maturi attaccarsi a simili cose e correre dietro a tali bagatelle, sarebbe davvero uno spettacolo non solo ridicolo, ma penoso. Lo stesso si deve dire di quelle cose che ho detto sopra, perché, non soltanto sono inutili, ma inseguendole rischiamo di diventare degli originali e dei disordinati.
Ecco perché, cara Filotea, ti dico che bisogna liberarsi da quegli affetti e ti ripeto che, se anche le relative azioni non sono sempre contrarie alla devozione, di sicuro gli affetti a tali azioni le recano sempre danno.


Capitolo XXIV
OCCORRE LIBERARSI DALLE CATTIVE INCLINAZIONI

Ci sono poi in noi altre tendenze naturali le quali, visto che non hanno origine dai nostri peccati personali, e non sono nemmeno veri e propri peccati, né mortali, né veniali, noi le chiamiamo imperfezioni, e i loro atti difetti o mancanze.
S. Paola, per esempio, stando al racconto di S. Girolamo, era fortemente portata alla tristezza e ai rimpianti, tanto che in occasione della morte dei figli e del marito, corse il pericolo di morire di dolore: quella era un’imperfezione, non un peccato, giacché era contro il suo gusto e la sua volontà.
Alcuni sono per natura loro di spirito leggero, altri burberi, altri ancora incapaci di ascoltare; alcuni sono portati ad indignarsi di tutto, altri a montare in collera, altri ad innamorarsi; se guardiamo bene troviamo pochissima gente che non abbia qualche imperfezione. Ora, benché siano spontanee e naturali, si riesce, con cura e attenzione, a correggerle, o almeno a temperarle, e qualche volta addirittura anche a correggerle e ad eliminarle totalmente: Filotea, io ti dico allora che devi farlo!
Se si è trovato il modo di trasformare le mandorle amare in mandorle dolci, semplicemente facendo un’incisione alla base per farne uscire il succo, perché dovrebbe essere impossibile far uscire da noi le tendenze perverse per diventare migliori?
Non c’è temperamento al mondo che, per buono che sia, non possa essere reso cattivo dalle cattive abitudini; al contrario, non esiste temperamento così perverso che, con la grazia di Dio in primo luogo, e poi con lo sforzo e l’impegno, non possa essere corretto e migliorato.
Per questo ora ti darò dei consigli e ti proporrò esercizi, attraverso i quali, potrai liberare la tua anima dagli affetti pericolosi, dalle imperfezioni e da tutti gli affetti ai peccati veniali; in tal modo renderai sempre più forte la tua coscienza contro il peccato mortale.
Dio faccia la grazia di praticarli bene!

Augustinus
25-01-04, 14:22
SECONDA PARTE
Contiene diversi consigli per l’elevazione dell’anima a Dio
per mezzo dell’Orazione e dei Sacramenti.

Capitolo I
NECESSITÀ DELL’ORAZIONE

1.Poiché l’orazione illumina l’intelletto con la chiarezza della luce di Dio e scalda il cuore al calore dell’amore celeste, nulla l’eguaglia nel purificare l’intelletto dall’ignoranza e il cuore dagli affetti disordinati; è un’acqua di benedizione che fa rinverdire e rifiorire le piante dei nostri buoni desideri, monda le anime dalle imperfezioni e attenua nei cuori l’ardore delle passioni. 1.Ma più di ogni altra, ti consiglio l’orazione mentale, che impegna il cuore a meditare sulla vita e la passione di Nostro Signore: se Lo contempli spesso nella meditazione, il cuore e l’anima ti si riempiranno di Lui; se consideri il suo modo di agire, prenderai le sue azioni a modello delle tue. È Lui la luce del mondo: è dunque in Lui, da Lui e per mezzo di Lui che possiamo essere illuminati e trovare la chiarezza; è l’albero del desiderio all’ombra del quale dobbiamo rinfrescarci; è la fontana viva in Giacobbe che lava tutte le nostre iniquità.
I bambini, a forza di ascoltare le mamme e balbettare dietro loro, imparano la loro lingua; avverrà lo stesso per noi se ci terremo vicino al Salvatore con la meditazione: osservando le sue parole, le sue azioni e i suoi affetti, impareremo, con il suo aiuto, a parlare, agire e volere come Lui. Fermiamoci qui, o Filotea, e credimi: non possiamo raggiungere il Padre che passando per questa porta; come il vetro di uno specchio non potrebbe chiudere la nostra visuale se dietro non fosse ricoperto di stagno o di piombo, allo stesso modo, la divinità non potrebbe essere da noi contemplata in questo mondo, se non si fosse unita alla sacra umanità del Salvatore, la cui vita e morte costituisce il soggetto più adatto, piacevole, dolce e utile che ci sia dato per la meditazione ordinaria. Non per nulla il Salvatore si chiama il pane disceso dal cielo; come il pane può essere mangiato con ogni sorta di vivande, così il Salvatore può essere meditato, considerato e cercato in tutte le nostre orazioni e azioni. Molti autori hanno utilmente suddiviso la Vita e la Morte di Nostro Signore in molti punti per favorirne la meditazione.
1.Ogni giorno consacra all’orazione un’ora prima del pranzo, perché lo spirito sarà più libero e più fresco per il riposo della notte. Mai più di un’ora, se non per espresso consiglio del tuo padre spirituale. 1.Se ti è possibile, compi questo esercizio in chiesa; vi troverai comodità e discreta tranquillità, perché quivi né il padre, né la madre, né la moglie, né il marito, né qualunque altro può impedirti di rimanere in pace per un’ora, mentre a casa, con tutti gli impegni, sarebbe problematico trovare modo di essere lasciati in pace per un’ora. 1.Inizia ogni orazione, sia mentale che vocale, mettendoti alla presenza di Dio; mantienti fedele a questo principio senza eccezioni, e, in breve, ti accorgerai del profitto che te ne viene. 1.Se mi ascolti, dirai il Padre nostro, l’Ave Maria e il credo in latino; ma imparerai nella tua lingua il significato delle parole che dici, affinché pur dicendole nel linguaggio comune della Chiesa, tu sia in grado di assaporare il senso meraviglioso e delizioso di queste preghiere che devono essere dette concentrando profondamente la mente sul loro significato, provocando reazione nei tuoi affetti; non andare in fretta per dirne molte, ma studiati piuttosto di dire quelle che dici con il cuore. Un solo Padre nostro, detto con sentimento, vale più di molti recitati in fretta e di corsa. 1.Dire il Rosario è un modo molto utile di pregare, purché tu sappia dirlo: per questo devi avere qualche libretto che te lo insegni. È cosa buona dire anche le Litanie del Signore, della Madonna, dei Santi e tutte le altre preghiere che puoi trovare nei Manuali approvati e nel libro delle Ore; ma a un patto: se hai il dono dell’orazione mentale, conservale il primo posto; e ricordati che, se dopo quella, o a causa degli affari o per altri motivi, non puoi fare preghiere vocali, non devi preoccupartene. Accontentati di dire, prima e dopo la meditazione, il Padre nostro, l’Ave Maria e il Credo. 1.Se mentre sei impegnata nell’orazione vocale, senti il cuore attirato all’orazione interiore o mentale, non resistere, lascia dolcemente scivolare il tuo spirito e non darti pensiero perché non hai finito le orazioni vocali che ti eri proposta; l’orazione mentale compiuta al loro posto è più gradita a Dio e più utile alla tua anima. Faccio eccezione per l’Ufficio divino, se sei tenuta a dirlo; in tal caso si tratta di un dovere da compiere. 1.Se ti dovesse capitare di trascorrere tutta la mattinata senza fare orazione mentale a causa degli affari o di qualche altro motivo (però fa il possibile perché questo non capiti mai), rimedia al pomeriggio, possibilmente lontano dai pasti, perché se dovessi fare orazione in piena digestione, finiresti per assopirti e oltretutto recheresti anche danno alla salute.
Che se poi non riesci a fare orazione nemmeno nel corso di tutta la giornata, rimedia al vuoto moltiplicando le orazioni giaculatorie, leggendo qualche passo di un libro di devozione, facendo qualche penitenza che elimini il difetto e prendi una ferma risoluzione di rimetterti in carreggiata il giorno dopo.


Capitolo II
BREVE METODO DI MEDITAZIONE e, in primo luogo, LA PRESENZA DI DIO
PRIMO PUNTO DELLA PREPARAZIONE

È possibile, Filotea, che tu non sappia come va condotta l’orazione mentale: ai giorni nostri pochi lo sanno ed è un male. È per questo che brevemente e con semplici parole ti espongo un metodo, in attesa che tu, leggendo libri sull’argomento e soprattutto con la pratica, ne raggiunga una conoscenza più profonda e completa.
* *
Inizio dalla preparazione che consta di due momenti: primo, mettersi alla presenza di Dio; secondo, invocarne l’assistenza.
Per metterti alla presenza di Dio ti propongo quattro vie, che, all’inizio, possono esserti utili.

1.La prima è una viva e attenta presa di coscienza della onnipresenza di Dio: Dio è in tutto e dappertutto e non c’è luogo o cosa in questo mondo che non manifesti la sua presenza; noi siamo simili agli uccelli che sono circondati dall’aria ovunque indirizzino il loro volo: ovunque andiamo o ci fermiamo Dio ci è presente.
Tutti sanno questa verità, ma non tutti sono attenti a prenderne coscienza.. I ciechi, pur non vedendo il Principe al cui cospetto si trovano, non per questo non tengono un contegno rispettoso se sono avvertiti di tale presenza; però, non vedendolo, dimenticano facilmente la sua presenza; di conseguenza ancor più facilmente dimenticano il contegno rispettoso. Noi siamo così, Filotea: pur sapendo che Dio è presente, non lo vediamo; è la fede che ci ricorda la sua presenza. Non vedendolo materialmente con gli occhi ce ne dimentichiamo molto spesso e ci comportiamo come se Dio fosse molto lontano. Sappiamo bene che è presente in tute le cose, ma non ci pensiamo, ed è quindi come se non lo sapessimo. Tornando alla preghiera, devi dire al tuo cuore con tutto te stesso: Cuor mio, Dio è proprio qui!
1.La seconda via per mettersi alla presenza di Dio è pensare che non soltanto Dio è presente nel luogo in cui ti trovi, ma in modo particolare è presente nel tuo cuore e nel profondo del tuo spirito, ai quali dà vita e forza, quale cuore del tuo cuore e spirito del tuo spirito; come l’anima infatti è diffusa in tutto il corpo e presente in ogni parte di esso, e tuttavia ha nel cuore la sua sede privilegiata, similmente Dio, pur essendo presente dappertutto, sceglie la sua sede particolare nel nostro spirito: per questo Davide chiamava Dio, il Dio del suo cuore, e S. Paolo diceva che noi viviamo, ci muoviamo e siamo Dio.
Pensando a questa verità, procurerai di avere nel tuo cuore un grande rispetto per Dio, perché ivi è presente in modo particolare.
1.La terza via è di pensare al nostro Salvatore, che, nella propria umanità, vede dal cielo tutte le persone della terra e, in modo particolare, i cristiani suoi figli, e tra essi, particolarmente quelli che sono in preghiera, di cui nota gli atti e il comportamento. Questa non è fantasia, ma la pura verità; perché, anche se noi non lo vediamo, Lui dall’alto ci guarda. S. Stefano così lo vide durante il suo martirio.
Possiamo dire, a buon diritto, con la Sposa: Eccolo dietro la parete che guarda dalle finestre e si affaccia dal cancello.
1.Una quarta via può essere quella di ricorrere alla immaginazione e rappresentarci il Salvatore nella sua umanità vicino a noi, proprio come siamo soliti fare con gli amici, quando diciamo: vedo il tale che fa questo, mi sembra proprio di vederlo, e simili espressioni. Se poi ti trovi in un luogo dove c’è il Santissimo Sacramento dell’altare, non sarebbe più soltanto una presenza immaginaria, ma reale; le specie e le apparenze del pane sono come una tenda da dietro la quale Nostro Signore, realmente presente, ci vede e pensa a noi, anche se non lo vediamo nella sua forma.
Serviti di una di queste quattro vie per metterti alla presenza di Dio prima dell’orazione; non pretendere di impiegarle tutte insieme, ma una alla volta, con semplicità e brevità.


Capitolo III
SECONDO PUNTO DELLA PREPARAZIONE: L’INVOCAZIONE

Ecco come devi fare l’invocazione: una volta che la tua anima si sente alla presenza di Dio, deve umiliarsi in profondo sentimento di rispetto, perché sa di essere indegna di trovarsi di fronte alla sovrana Maestà di Dio; ma poiché sa anche che è la sua immensa Bontà che vuole così, gli chiede la grazia di servirlo bene e di adorarlo nella meditazione che si accinge a compiere.
Se ti sembra opportuno, puoi anche servirti di qualche Parola concisa e piena di ardore come le seguenti di Davide: Non respingermi dalla tua presenza, o Dio, e non privarmi della grazia del tuo santo Spirito. Risplenda il tuo volto sulla tua serva. Voglio ammirare le tue meraviglie. Dammi intelletto e capirò la tua Legge e la osserverò con tutto il cuore. Sono la tua serva, dammi lo Spirito; e altre simili.
Ti sarà utile aggiungere l’invocazione all’Angelo custode e a tutti i Santi presenti nel mistero sul quale vuoi meditare. Per esempio, se mediti su quello della morte del Signore, potrai invocare la madonna, S. Giovanni, la Maddalena, il buon Ladrone perché ti facciano partecipe dei sentimenti e dei movimenti interiori ricevuti in quel mistero. Se mediti sulla tua morte potrai invocare il tuo buon Angelo, che sarà presente in quel momento, affinché ti ispiri pensieri adatti; e così per gli altri misteri.


Capitolo IV
TERZO PUNTO DELLA PREPARAZIONE: LA PRESENTAZIONE DEL MISTERO

Dopo i due punti indicati per iniziare e che sono comuni a tutte le meditazioni, ce n’è un terzo che non è comune a tutte. C’è chi lo chiama ricostruzione del luogo, chi lezione interiore.
In fin dei conti si tratta soltanto di presentare alla tua immaginazione su cui vuoi meditare, ricostruendolo nella sua realtà storica.
Per esempio, se vuoi meditare su Nostro Signore in croce, devi immaginare di trovarti sul monte Calvario e rivedere tutto ciò che avvenne e si disse nel giorno della Passione; o se preferisci, ed è la stessa cosa, immaginarti che la crocifissione di Nostro Signore avvenga proprio nel luogo in cui ti trovi, seguendo il racconto degli Evangelisti.
Puoi procedere allo stesso modo meditando sulla morte, come ti ho detto nella meditazione sulla stessa; come pure per quella sull’inferno e simili misteri dove ci troviamo di fronte a cose sensibili e visibili; per gli altri misteri: sulla grandezza di Dio, l’eccellenza delle virtù, il fine per il quale siamo stati creati, non possiamo usare questo procedimento basato sull’immaginazione, perché si tratta di realtà invisibili. Tuttavia possiamo sempre servirci di qualche similitudine o qualche paragone per aiutarci nella meditazione; ma non sono cose facili. Voglio parlartene con molta semplicità perché non vorrei che tu ti sentissi obbligata a impegnarti in invenzioni che ti farebbero soltanto distrarre.
Aiutandoci con l’immaginazione, chiudiamo il nostro spirito nel mistero che vogliamo meditare, perché non si metta a correre qua e là. Proprio come si chiude un uccellino in gabbia o si lega lo sparviero alla catenella perché rimanga sul pugno. Qualcuno ti dirà che è meglio servirsi semplicemente della riflessione di fede e di una operazione esclusivamente mentale e spirituale, quando vogliamo rappresentarci questi misteri, o anche tener presente che tutto avviene all’interno del proprio spirito; ma sono modi troppo sottili per l’inizio, e fino a che Dio non ti innalzi un po’, ti consiglio, Filotea, di rimanere nella valle che ti vado indicando.


Capitolo V
SECONDA PARTE DELLA MEDITAZIONE: LE CONSIDERAZIONI

All’operazione dell’immaginazione segue quella dell’intelletto, che noi chiamiamo meditazione; non è altro che una riflessione, o anche più di una, per muovere i nostri affetti verso Dio e le cose divine: in ciò la meditazione differisce dallo studio e da altri modi di pensare e di riflettere, che non si prefiggono l’acquisizione della virtù o dell’amor di Dio, ma qualche altro fine come il diventare dotti, per poi scriverne o dissertarne.
Dopo aver dunque rinchiuso il tuo spirito, come ho detto, nell’ambito del soggetto su cui vuoi meditare, o con l’immaginazione, se si tratta di un soggetto sensibile, o per semplice presentazione, se non è sensibile, ti metterai a riflettere sul medesimo, seguendo la traccia che ti ho indicato con gli esempi concreti di meditazioni presentate nella prima parte.
Se il tuo spirito ci si trova a suo agio, si sente illuminato e ricava frutto da una delle riflessioni, fermati e non andare oltre; proprio come le api che non lasciano il fiore fintanto che vi trovano miele. Ma se in nessuna delle considerazioni ti trovi a tuo agio, dopo aver provato e insistito per un po’, passa ad un’altra; tutta l’operazione deve essere sempre molto semplice e procedere senza fretta.


Capitolo VI
TERZA PARTE DELLA MEDITAZIONE: AFFETTI E PROPOSITI

La meditazione arricchisce la volontà, che è la parte affettiva della nostra anima, di buoni movimenti, quali l’amore di Dio e del prossimo, il desiderio del Paradiso e della sua gloria, lo zelo per la salvezza delle anime, l’imitazione della vita di Nostro Signore, la pietà per gli altri, l’ammirazione, la gioia, il timore di cadere in disgrazia di Dio, del suo giudizio, dell’inferno, l’odio per il peccato, la fiducia nella bontà e nella misericordia di Dio, la vergogna per i disordini della vita passata: il nostro spirito deve esprimersi ed allargarsi il più possibile in questi affetti.
Tuttavia, cara Filotea, non soffermarti troppo sugli affetti generali, ma mutali subito in propositi specifici e dettagliati per correggerti e liberarti dai difetti. Per esempio, la prima Parola che Nostro Signore disse sulla Croce, farà sorgere senz’altro nella tua anima un affetto che ti spingerà all’imitazione, ossia il desiderio di perdonare ed amare i tuoi nemici. Io ti dico che questo è poco se non ci aggiungi un proposito così formulato: Coraggio, allora, d’ora in poi non mi offenderò più di certe parole cattive del tal vicino o della tal vicina, del mio domestico o della mia domestica; e nemmeno di quelle ingiurie sprezzanti che mi sono stae rivolte da quell’altro. Al contrario farò questa o quella cosa gentile per conquistarlo, e così per gli altri.
In tal modo, Filotea, in poco tempo correggerai le tue colpe, mentre, poggiando soltanto sugli affetti, ci metteresti molto di più e con un risultato dubbio.


Capitolo VII
LA CONCLUSIONE E IL MAZZETTO SPIRITUALE
La meditazione va conclusa con tre azioni da compiersi con la massima umiltà.

a. La prima, il ringraziamento: diciamo grazie a Dio per gli affetti e i propositi che ci ha ispirato e per la bontà e misericordia che ci ha manifestato nei misteri meditati. b.la seconda, l’offerta: offriamo a Dio la sua stessa bontà, la misericordia, la morte, il sangue, le virtù del Figlio e, insieme, i nostri affetti e propositi. c.la terza è la supplica con la quale chiediamo e scongiuriamo Dio di comunicarci le grazie e le virtù del Figlio suo; di benedire i nostri affetti e propositi perché possiamo dar loro seguito; poi pregheremo per la Chiesa, per i Pastori, i parenti, gli amici e gli altri, confidando nell’intercessione della Madonna, degli Angeli e degli Santi. Infine è cosa buona aggiungere il Padre Nostro e l’Ave Maria, le preghiere comuni a tutti i cristiani.

A tutto ciò aggiungo che è necessario comporre un mazzetto di devozione; ed eccoti cosa voglio dire: chi passeggia in un bel giardino non ne esce volentieri senza cogliere qualche fiore da odorare e conservare: similmente il nostro spirito, dopo che si è immerso in un mistero con la meditazione, deve scegliere uno o due, o anche tre punti, che lo hanno colpito favorevolmente, e che sono più adatti al proprio progresso spirituale, per conservarli per il resto della giornata ed ogni tanto aspirarne il profumo. Questo si deve operare nel posto nel quale si è meditato, rimanendo fermi o passeggiando in solitudine per qualche tempo.



Capitolo VIII
CONSIGLI MOLTO UTILI SULLA MEDITAZIONE

Uscendo dalla meditazione, Filotea, devi portare con te soprattutto i propositi e le decisioni prese, per metterle in pratica immediatamente, nella giornata. È questo il frutto irrinunciabile della meditazione; se manca, non soltanto la meditazione è inutile, ma spesso anche dannosa perché le virtù meditate, ma non praticate, gonfiano lo spirito di presunzione e finiamo per credere di essere quello che ci eravamo proposto di essere: noi potremo diventare come ci siamo proposti di essere soltanto quando i propositi saranno pieni di vita e solidi; non quando sono fiacchi e inconsistenti e quindi destinati a non venire attuati.
Occorre, con ogni mezzo, fare sforzi per metterli in atto, approfittando di tutte le occasioni sia piccole che grandi: per esempio, se ho preso la risoluzione di conquistare con la dolcezza il cuore di coloro che mi offendono, cercherò, nel corso della giornata, di incontrarli per salutarli amabilmente; e se non mi sarà dato di incontrarli, perlomeno parlerò bene di loro e pregherò Dio per loro.
Uscendo dall’orazione che ha impegnato il cuore, devi fare attenzione a non provocargli scosse; rischieresti di rovesciare il balsamo raccolto con l’orazione. Intendo dire che, possibilmente, devi rimanere un po’ in silenzio e riportare per gradi il tuo cuore dall’orazione agli affari, conservando il più a lungo possibile i sentimenti e gli affetti fioriti in te. Un uomo che ha ricevuto in un bel vaso di porcellana un liquore di gran pregio da portare a casa, cammina con attenzione, senza voltarsi di lato, ma guarda solo davanti a sé, per paura di inciampare in un sasso o mettere un piede in fallo e tiene contemporaneamente d’occhio il vaso per non rovesciarlo.
Tu devi fare la stessa cosa uscendo dalla meditazione: non distrarti di colpo, ma guarda soltanto davanti a te: ossia se devi incontrare qualcuno e prestargli attenzione, fallo pure, adattati alla necessità; ma senza perdere di vista il tuo cuore, perché il liquore prezioso dell’orazione si perda il meno possibile.
Devi abituarti a passare dall’orazione a qualsiasi attività e occupazione che comporta la tua professione, anche quando può sembrare molto distante dagli affetti avuti nell’orazione. Voglio dire che un avvocato deve saper passare dall’orazione alla difesa della causa; il commerciante agli affari; la donna sposata ai doveri del suo matrimonio e della casa, con dolcezza e serenità, senza mettersi in angustia. Infatti essendo entrambi secondo la volontà di Dio, bisogna passare dall’una agli altri in umiltà e devozione.
Qualche volta ti potrà capitare di sentirti trascinare dalla commozione immediatamente dopo la preparazione: in tal caso, Filotea, allenta le briglie e non pretendere di seguire il metodo che ti ho indicato; è vero che ordinariamente le considerazioni devono precedere gli affetti e i propositi, ma se lo Spirito Santo ti concede gli affetti prima delle considerazioni, non devi insistere a voler correre dietro alle considerazioni, visto che hanno il solo scopo di muovere gli affetti. In breve; in qualunque momento ti si presentano gli affetti, devi accoglierli e far loro posto, poco importa se prima o dopo le considerazioni.
Ho messo gli affetti dopo tutte le considerazioni, soltanto per distinguere i vari momenti dell’orazione; è la regola generale: ma mai devi comprimere gli affetti. Lasciali sgorgare appena manifestano la presenza.
Questo lo dico per tutti gli affetti, compreso il ringraziamento, l’offerta e la preghiera, che si possono fare in ogni momento durante le considerazioni; non bisogna frenarli, proprio come ti ho detto per gli affetti, anche se dopo, a conclusione della meditazione, debbono essere ripetuti nuovamente.
Quanto invece ai propositi, devi formarli soltanto alla fine della meditazione, dopo gli affetti, perché, ricordandoci situazioni familiari e dettagliate, rischierebbero di farci distrarre se li facessimo insieme agli affetti.
Tra gli affetti e i propositi, è bene far ricorso al colloquio, e parlare un po’ con Nostro Signore, con gli Angeli e con i personaggi del mistero, con i Santi e con se stessi, con i peccatori ed anche con le creature insensibili, come fa Davide nei Salmi e gli altri Santi nel corso delle loro meditazioni e orazioni.


Capitolo IX
LE ARIDITÀ CHE CI AFFLIGGONO NELLE MEDITAZIONI

Se ti capita, o Filotea, di non provare alcuna attrattiva né alcuna consolazione nella meditazione, ti prego di non agitarti, ma apri la porta alle preghiere vocali: lamentati di te stessa con Nostro Signore, confessa la tua indegnità, pregalo di aiutarti, bacia la sua immagine, rivolgigli le parole di Giacobbe: Io non ti lascio, Signore, finché tu non mi abbia benedetto; o quelle della Cananea: Sì, Signore, io sono un cane, ma i cani mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei padroni. Altre volte prendi un libro e leggilo con attenzione fino a che il tuo spirito si riprenda pienamente; qualche volta sprona il cuore con atti e movimenti di devozione esteriore: prostrati per terra, metti le mani in croce sul petto, abbraccia il Crocifisso; questo, si capisce, se ti trovi in luogo appartato.
E se, dopo tutto ciò, sei come prima, per quanto grande sia la tua aridità, non avvilirti, ma rimani con devoto contegno davanti a Dio. Quanti cortigiani, nel corso dell’anno, fanno cento volte l’anticamera del principe senza speranza di potergli parlare, ma soltanto per essere visti da lui e compiere il loro dovere. Così, mia cara Filotea, noi dobbiamo recarci all’orazione semplicemente per compiere il nostro dovere e dimostrare la nostra fedeltà. Che se poi piace alla divina Maestà di rivolgerci la parola e fermarsi con noi con le sue sante ispirazioni e consolazioni interiori, questo sarà per noi un grande onore e motivo di un piacere delizioso; ma se non ci fa questa grazia, non rivolgendoci la parola, come se non ci vedesse e come se non fossimo alla sua presenza, non per questo dobbiamo andarcene, anzi, al contrario, dobbiamo rimanere lì, davanti alla somma Bontà, con un contegno devoto e sereno; gradirà molto la nostra pazienza e noterà la nostra fedeltà e la nostra perseveranza; e quando ritorneremo davanti a Lui, ci favorirà e si fermerà con noi con le sue consolazioni, facendoci assaporare tutto il fascino dell’orazione.
Ma anche se non dovesse farlo, accontentiamoci, Filotea; è già un grandissimo onore trovarci presso di Lui, al suo cospetto.


Capitolo X
ESERCIZIO DEL MATTINO

Oltre a questa orazione mentale strutturata e completa, e altre preghiere vocali da dire durante il giorno, ci sono altre cinque forme di preghiere brevi e che sono come prolungamenti e fioriture della grande orazione. La prima è quella del mattino, che è una preparazione generale alla giornata. Ecco come devi farla:

1.Ringrazia e adora Dio dal profondo di te stessa per la grazia che ti ha fatto nel conservarti la notte passata; e se in essa tu avessi peccato, chiedigli perdono. 1.Tu sai bene che il giorno presente ti è concesso perché tu possa acquistare quello futuro nell’eternità; a questo fine farai un fermo proposito di spendere bene la giornata. 1.Cerca di prevedere gli affari, gli incontri, le situazioni in cui ti troverai nel corso della giornata, per servire Dio, e quali tentazioni potranno sopraggiungere per offenderlo: a causa della collera, della vanità o di qualche altra mancanza di controllo; e, con un fermo proposito, preparati a impiegare bene i mezzi che ti saranno offerti di servire Dio e progredire nella devozione; per contro, preparati a evitare, o combattere e vincere, tutto ciò che potresti incontrare e che sia contro la tua salvezza e la gloria di Dio.
Non basta prendere questa risoluzione, occorre predisporre i mezzi per attuarla. Per esempio, se prevedo di dover trattare un affare con una persona passionale e pronta alla collera, non soltanto devo fare il proposito di non reagire alle sue sfuriate, ma devo preparare delle frasi gentili per prevenirla, o prevedere la presenza di una persona capace di moderarla. Se prevedo la visita ad un malato, mi organizzerò per l’ora, le parole di consolazione da dirgli, gli aiuti da portare, e così per gli altri casi.
1.Dopo di ciò, umiliati davanti a Dio e riconosci che da sola nulla potresti fare di quanto ti sei proposta, sia per fuggire il male che per operare il bene.
E come se tu avessi il cuore in mano, offrilo con tutti i propositi alla Maestà divina e supplicala di prenderti sotto la sua protezione per portare a compimento le tue iniziative; per far questo serviti delle seguenti parole o di simili: Signore, eccoti questo povero e miserabile cuore che, per tua bontà ha avuto buoni affetti; ma è troppo debole e insignificante per riuscire a fare il bene che vorrebbe, se non lo sostieni con la tua celeste benedizione; io te la chiedo, Padre buono, per i meriti della Passione di tuo Figlio, al quale io consacro questa giornata e tutta la vita. Invoca la Madonna, il tuo Angelo e i Santi, perché ti stiano vicini. Ma tutte queste operazioni spirituali devono essere fatte brevemente e con vivacità, possibilmente prima di uscire dalla camera, affinché, in forza di questo esercizio, tutto quello che farai nel corso della giornata, sia coperto dalla benedizione di Dio.
Ti prego, Filotea, non trascurarlo mai!


Capitolo XI
L’ESERCIZIO DELLA SERA E L’ESAME DI COSCIENZA

Prima del pranzo materiale hai fatto la meditazione, che è come un pranzo spirituale; allo stesso modo, prima di cena devi fare una piccola cena devota e spirituale, o almeno uno spuntino. Trova un po’ di tempo prima di cena, inginocchiati davanti a Dio, raccogli il tuo spirito vicino a Gesù Cristo crocifisso (che ti rappresenterai per mezzo di una riflessione semplice, come un’occhiata interiore), ravviva nel tuo cuore l’ardore della meditazione del mattino, per mezzo di una dozzina di vivaci aspirazioni, di atti di umiltà, e di slanci pieni d’amore verso il divin Salvatore della tua anima; se lo preferisci, potrai anche riprendere i punti più salienti della meditazione del mattino o scuoterti con qualche altro pensiero, a tuo piacere.
Quanto all’esame di coscienza, che ognuno deve fare prima di coricarsi, tutti sanno come deve essere fatto.

1.Ringrazia Dio che ti ha conservato nel corso della giornata appena terminata. 1.Esamina il comportamento che hai tenuto nel corso della giornata : per facilitarti il compito rifletti dove, con chi e come sei stato impegnato. 1.Se trovi qualcosa di fatto bene, ringrazia Dio; se al contrario hai fatto qualche cosa di male, in pensieri, in parole ed in opere, chiedi perdono a Dio, con il proposito di confessartene alla prima occasione e correggerti seriamente. 1.Poi affida il tuo corpo, la tua anima, la Chiesa, i parenti, gli amici alla divina Provvidenza; prega la Madonna, il buon Angelo e i Santi di vegliare su di noi e per noi; e con la benedizione di Dio, va a prenderti quel riposo che Dio ha voluto che ci fosse necessario.

Questo esercizio non deve mai essere tralasciato, come del resto quello del mattino; con quello del mattino spalanchi la tua finestra al sole di giustizia, con quello della sera, la sbarri alle tenebre dell’inferno.


Capitolo XII
IL RACCOGLIMENTO SPIRITUALE

Ora, cara Filotea, ti auguro tanta buona volontà per seguire di cuore il mio consiglio: in questo capitolo ti porto a conoscenza di uno dei modi più sicuri per progredire spiritualmente.
Durante il giorno mantieniti alla presenza di Dio con uno dei quattro mezzi che ti ho indicato (vedi cap. II); dà uno sguardo all’azione di Dio e alla tua. Scoprirai che Dio ha sempre gli occhi rivolti verso di te e ti guarda con infinito amore. Tu dirai allora: O Dio, perché anch’io non ti guardo senza stancarmi, come tu guardi me? Perché tu pensi tanto a me e io così poco a Te? Dove ci troviamo, anima mia? Il nostro posto è in Dio; ma dove ci troviamo? Allo stesso modo che gli uccelli hanno i nidi sugli alberi per potercisi rifugiare quando ne sentono il bisogno, e i cervi hanno i loro cespugli e i loro rifugi, dove si raccolgono e si mettono al riparo, godendosi il fresco e l’ombra in estate, così, o Filotea, il nostro cuore, ogni giorno, deve cercare e trovare un posto per potersi, all’occorrenza, raccogliere: o sul Calvario, o nelle piaghe di Nostro Signore, o in qualche luogo vicino. Potrà quivi sostare e ritemprarsi, pur tra le occupazioni esteriori, e difendersi, se necessario, come in una fortezza, dalle tentazioni.
Beata l’anima che in tutta sincerità potrà dire al Signore: Tu sei il mio rifugio, il mio bastone di sicurezza, il tetto contro la pioggia, l’ombra che mi difende dal caldo.
Ricordati sempre, Filotea, di raccoglierti spesso nella solitudine del tuo cure, mentre materialmente ti trovi coinvolta nelle conversazioni e negli affari; quella solitudine mentale non deve in alcun modo essere impedita da quelli che ti stanno intorno; infatti non si trovano intorno al tuo cuore, ma al tuo corpo; il tuo cuore può rimanere in solitudine in compagnia di Dio.
Questo esercizio lo faceva anche Davide in mezzo a tutte le occupazioni, come ci risulta da un’infinità di passi dei Salmi, come, quando dice: Signore, io sono sempre con Te. Vedo il mio Dio costantemente davanti a me. Ho alzato gli occhi verso di te, mio Dio, che abito in Cielo. I miei occhi sono sempre in Dio.
Abitualmente le conversazioni non sono così impegnative che non si possa, ogni tanto, sottrarre il cuore per condurlo in quella solitudine divina.
I genitori di Santa Caterina da Siena le avevano tolto ogni comodità di luogo e di tempo per pregare e meditare; Nostro Signore le ispirò di farsi un piccolo oratorio spirituale nella propria anima, nel quale si raccoglieva mentalmente e così, pur in mezzo a tutte le occupazioni esteriori, poteva consacrarsi a quella santa solitudine di cuore. In seguito, quando il mondo l’assillava, non ne soffriva alcun danno, perché, come essa diceva, si chiudeva nella sua cameretta interiore, nella quale restava in dolce compagnia con il suo celeste sposo. Per questo consigliava ai suoi figli spirituali di procurarsi una camera nel proprio cuore per potervi sostare.
Raccogli dunque qualche volta il tuo spirito nel tuo cure e lì, isolata dagli altri, potrai parlare con Dio, cuore a cuore, della tua anima e dirai con Davide: Ho vegliato e sono stato simile al pellicano nella solitudine; come un uccello notturno o un gufo tra le macerie, o come il passero solitario sul tetto.
Queste parole, oltre al senso letterale (provano che quel grande Re prendeva qualche ora di solitudine per contemplare le cose spirituali), prese nel senso mistico, ci indicano tre luoghi di ritiro, come tre eremi, nei quali possiamo trovare la solitudine, seguendo l’esempio del Salvatore che sul Monte Calvario è come il pellicano del deserto, che, con il proprio sangue, ridà la vita ai piccoli morti; nella nascita in una stalla abbandonata, assomiglia al gufo tra le rovine che si lamenta e piange le nostre mancanze e i nostri peccati; nel giorno dell’ascensione è come il passero che si isola e sale al Cielo che è il tetto del mondo. In questi tre luoghi anche noi possiamo raccoglierci pur essendo circondati dal frastuono delle nostre occupazioni.
Al Beato Eleazaro, conte di Arian in Provenza, che si trovava lontano da casa da molto tempo, la sua devota e casta Delfina mandò un messo per chiedere notizie della salute. Eleazaro rispose: “Sto bene, mia cara; se vuoi vedermi, cercami nella piaga del costato del dolce Gesù, perché è là che abito e là mi potrai trovare. Invano mi cercheresti altrove”. Quello sì che era un cavaliere cristiano!


Capitolo XIII
LE ASPIRAZIONI, LE GIAGULATORIE E I BUONI PENSIERI

Ci raccogliamo in Dio perché aspiriamo a Lui e aspiriamo a Lui per poterci in Lui raccogliere, di modo che l’aspirazione a Dio e il raccoglimento spirituale si sostengono a vicenda, ed entrambi hanno origine e nascono dai buoni pensieri.
Aspira dunque spesso a Dio, Filotea, con slanci del cuore brevi ma ardenti: canta la sua bellezza, invoca il suo aiuto, gettati in ispirito ai piedi della croce, adora la sua bontà, interrogalo spesso sulla tua salvezza, donagli mille volte al giorno la tua anima, fissa i tuoi occhi interiori sulla sua dolcezza, tendigli la mano come fa un bambino con il papà, perché ti guidi; mettilo sul petto come un profumato mazzolino di fiori, innalzalo nella tua anima come uno stendardo e conduci il tuo cuore in mille modi alla ricerca dell’amore di Dio, e scuotilo perché giunga ad un appassionato e tenero amore per questo Sposo divino.
Questo è il modo di innalzare le orazioni giaculatorie, che il grande S. Agostino consigliava con tanto zelo alla devota Proba. Se il nostro spirito si mette a frequentare con intimità e familiarità il suo Dio, o Filotea, rimarrà profumato delle sue perfezioni; questo esercizio non disturba l’andamento della giornata perché può trovare posto tra gli affari e le occupazioni, senza recar loro alcun pregiudizio, poiché, nel raccoglimento spirituale, come in questi slanci interiori, si operano soltanto piccole e brevi interruzioni che non nuocciono a quello che stiamo facendo, ma anzi sono di giovamento.
Il pellegrino che prende un sorso di vino per sollevare il cuore e rinfrescare la bocca, benché per fare questo sosti un po’, non si può dire che interrompa il viaggio, anzi recupera le forze per poi portarlo a termine con più celerità e maggior facilità; si ferma per poter proseguire più speditamente.
Esistono molte raccolte di aspirazioni vocali, che sono veramente utili; ma, se tu mi ascolti, non devi legarti a nessuna formula, ma dire dentro di te o a voce, quelle che ti suggerirà il cuore sul momento; te ne suggerirà a volontà!
È vero che ci sono certe massime che possiedono una forza particolare per dare soddisfazione al cuore in questo campo, come gli slanci profusi così abbondantemente nei Salmi di Davide, le varie invocazioni del nome di Gesù, e le espressione d’amore che si trovano nel Cantico dei Cantici. Anche i Canti spirituali possono servire allo scopo, purché siano cantati con attenzione.
Voglio farti un paragone: coloro che si amano di un amore umano e naturale, hanno quasi costantemente il pensiero rivolto alla persona amata, il cuore trabocca di amore per lei, la bocca non fa che tesserne le lodi, e quando l’amata è assente manifestano la loro passione con lettere e non c’è albero su cui non lascino inciso il loro amore; allo stesso modo coloro che amano Dio non possono passare un momento senza pensare a Lui, respirare per Lui, tendere a Lui, parlare di Lui, e vorrebbero, se fosse possibile, incidere sul petto di tutti gli uomini il santo nome di Gesù.
Tutte le creature ti invitano a questo. Non c’è creatura che non proclami la lode dell’Amato; dice S. Agostino, seguendo S. Antonio, che tutto ciò che esiste al mondo parla, magari con un linguaggio muto, del proprio amore; tutte le cose ti incitano a buoni pensieri, da cui vengono, per forza, slanci e aspirazioni a Dio. Eccone qualche esempio:
S. Gregorio, Vescovo di Nazianzo, raccontava al popolo che, mentre un giorno passeggiava lungo la riva del mare, guardava le onde che, giungendo sulla spiaggia, lasciavano conchiglie e chiocciolette, ciuffi d’erba, ostriche e altri rifiuti che il mare rigettava, si potrebbe quasi dire, sputava sulla spiaggia; poi, ritornava con altre onde, riprendeva e inghiottiva di nuovo una parte del tutto. Gli scogli invece rimanevano ben saldi, nonostante che le onde li investissero con violenza. E fece questa riflessione: i deboli, come conchiglie, chiocciole e ciuffi d’erba si lasciano trascinare un momento nell’afflizione, un altro nella gioia, in balia delle onde della sorte; ma la gente che ha coraggio, rimane salda e immobile in mezzo a qualsiasi bufera. Da questo pensiero passava allo slancio di Davide: Signore, salvami, perché le acque sono penetrate fino in fondo all’anima; Signore, salvami dalle acque profonde; sono trascinato in fondo al mare, la tempesta mi fa affondare. Era un momento in cui era nella sofferenza, perché massimo aveva iniziato i suoi maneggi per usurpargli la Diocesi.
S. Fulgenzio, Vescovo di Ruspe, trovandosi in una assemblea di nobili romani che veniva arringata da Teodorico re dei Goti, guardando tutta quella gente elegante, ognuno al proprio posto secondo il grado e il censo, disse: O Dio, quanto deve essere bella la Gerusalemme celeste se è tanto solenne la Roma terrestre! Se a coloro che amano la vanità in questo mondo è concesso tanto splendore, quale deve essere nell’altro mondo la gloria riservata agli amanti della verità!
Si dice che S, Anselmo, Arcivescovo di Canterbury, per nascita onore delle nostre montagne, era eccezionale nel saper ricavare buoni pensieri: un leprotto, inseguito dai cani, si rifugiò sotto il cavallo del santo Vescovo, che, per caso, passava da quelle parti, per cercare protezione contro la morte che lo minacciava. I cani tutt’intorno abbaiavano, ma non avevano il coraggio di violare l’immunità cui la loro preda si era affidata; tutto il seguito scoppiò a ridere a quella scena. Ma non il grande Anselmo che, sospirando e con le lacrime agli occhi disse: Voi ridete, ma non ride la povera bestiola; i nemici dell’anima, perduta nel labirinto di molti peccati, l’aspettano al passaggio della morte per rapirla e sbranarla, ed essa, spaventata, cerca ovunque rifugio e protezione; se non ne trova ai suoi nemici non importa proprio nulla e se la ridono. E se ne andò pensieroso.
Costantino il Grande aveva scritto una lettera a S. Antonio; ciò meravigliò molto i religiosi che gli stavano intorno. Antonio disse: Perché vi meravigliate che un Re scriva ad un uomo? Ammirate piuttosto che Dio eterno abbia scritto la sua legge ai mortali, anzi, abbia loro parlato direttamente per mezzo del Figlio!
S. Francesco, vedendo una pecora, tutta sola in mezzo ad un gregge di capre, disse al suo compagno: Guarda com’è dolce quella pecora in mezzo a quelle capre; così era Nostro Signore, dolce e umile in mezzo ai Farisei!
Un’altra volta, vedendo un agnello sbranato da un maiale piangendo esclamò: Piccolo agnellino, quanto mi ricordi la morte del mio Salvatore.
Un grande personaggio e anche grande santo del nostro tempo, Francesco Borgia, quand’era ancora Duca di Candia, mentre andava a caccia si immergeva in molti pensieri spirituali come questo: Ammira come il falco ritorni sul pugno, si lasci bendare gli occhi e legare alla pertica, mentre gli uomini sono così ribelli alla voce di Dio!
Il grande S. Basilio diceva che la rosa tra le spine è un insegnamento per gli uomini: Le cose più gradevoli di questo mondo, o mortali, sono frammiste a sofferenza. Niente è schietto: il rimpianto è sempre unito alla gioia, la vedovanza al matrimonio, la premura al risultato, l’umiliazione alla gloria, il prezzo agli onori, la ripugnanza alle delizie, la malattia alla buona salute.
La rosa, dice il nostro Santo, è un bel fiore, ma mi dà una grande tristezza, perché mi ricorda il mio peccato, a causa del quale la terra è stata condannata a produrre spine.
Un’anima devota, vedendo il cielo stellato, che si specchia nell’acqua limpida di un ruscello dirà: Mio Dio, queste stelle le avrò sotto i piedi quando mi avrai accolto nelle tue tende. E come le stelle del cielo le vedi specchiate sulla terra, allo stesso modo gli uomini della terra li vedi riflessi nel cielo della sorgente purissima della carità divina.
Ci sarà anche chi, vedendo scorrere un fiume dirà: La mia anima non avrà riposo finché non si immerga nel mare profondo di Dio che è la sua origine.
S. Francesca Romana, un giorno, mentre contemplava un ruscello, sulla cui sponda si era fermata a pregare, fu rapita in estasi e, senza sosta, ripeteva queste belle parole: La grazia del mio Dio scende con la dolcezza e la soavità di questo ruscello.
Un altro, vedendo gli alberi in fiore, esclamerà: Perché solo io sono senza fiori nel giardino della Chiesa?
Un altro, osservando dei pulcini raccolti sotto la chioccia, dirà: Signore, conservaci sotto la protezione delle tua ali.
Un altro ancora, alla vista del girasole, penserà: Quando avverrà, Dio mio, che la mia anima segua le attrattive della tua bontà?
Vedendo poi delle viole del pensiero coltivate, belle a vedersi, ma senza profumo, dirà: Ecco come sono i miei pensieri, belli a chiacchiere, ma poi non sanno di niente!
Ecco, Filotea, come si possono ricavare buoni pensieri e sante ispirazioni dalle situazioni di questa vita mortale. Infelici sono coloro che distolgono le creature dal loro Creatore per ricondurle al peccato; beati invece quelli che indirizzano le creature alla gloria del loro Creatore e si servono del poco che sono per fare onore alla verità. S. Gregorio di Nazianzo dice di avere l’abitudine di indirizzare tutte le cose al profitto spirituale. Leggi il devoto epitaffio che S. Girolamo ha composto per S. Paola: è bello constatare come sia ricco delle ispirazioni e dei santi pensieri che la Santa sapeva ricavare da qualsiasi incontro.
Nell’esercizio del raccoglimento spirituale e delle preghiere giaculatorie si trova la profonda radice della devozione: può supplire alla mancanza di tutte le altre forme di orazione. Ma se manca questo non c’è modo di rimediare.
Senza questo esercizio non è possibile la vita contemplativa, anzi sarà mal condotta anche quella attiva; senza questo il riposo è ozio, il lavoro preoccupazione; perciò ti supplico di abbracciarlo con tutto il cuore, senza staccartene mai!


Capitolo XIV
COME ASCOLTARE LA SANTA MESSA

1.Non ti ho ancora parlato del sole degli esercizi spirituali: il santissimo e sommo Sacrificio e Sacramento della Messa, centro della religione cristiana, cuore della devozione, anima della pietà, mistero ineffabile che manifesta l’abisso della carità divina; per suo mezzo Dio si unisce realmente a noi e ci comunica, in modo meraviglioso, le sue grazie e i suoi doni. 1.L’orazione innalzata in unione a questo Sacrificio divino possiede una forza da non potersi esprimere a parole, o Filotea. Per mezzo suo l’anima abbonda di doni celesti, perché abbraccia l’Amato, che la ricolma talmente di profumi e di soavità spirituali, che essa assomiglia a una colonna di fumo di legni aromatici, di mirra, di incenso e di tutte le essenze che usa il profumiere, secondo quanto dice il Cantico. 1.Organizzati in modo da partecipare ogni giorno alla santa Messa, per offrire assieme al sacerdote, a Dio Padre, il sacrificio del Redentore, per il tuo bene e quello di tutta la Chiesa. Gli Angeli sono sempre presenti in gran numero per onorare questo santo mistero; lo dice S. Giovanni Crisostomo: il trovarsi uniti ad essi per lo stesso fine ci incoraggerà nello sforzo di migliorarci.
Il coro della Chiesa trionfante e quello della Chiesa militante si uniranno a Nostro Signore in questa azione divina, per rapire il cuore di Dio Padre e conquistarci la sua misericordia; questo con Lui, in Lui e per Lui. È motivo di grande felicità per un’anima offrire devotamente i propri affetti per u n bene così prezioso e desiderabile.
1.Se per causa di forza maggiore non puoi essere presente con il corpo alla celebrazione di questo incomparabile Sacrificio, ci devi andare almeno con il cuore per parteciparvi spiritualmente.
A una certa ora del mattino, recati in chiesa spiritualmente, se non ti è dato altro modo; unisci la tua intenzione a quella di tutti i cristiani, e compi nel luogo dove ti trovi gli stessi atti interiori come se tu fossi realmente presente alla celebrazione della Santa Messa in qualche chiesa.
1.Per partecipare convenientemente alla Santa Messa o corporalmente o con la mente, occorre:

1.Dall’inizio fino a che il sacerdote salga l’altare, fa con lui la preparazione: ossia, mettiti alla presenza di Dio, riconosci le tue indegnità e chiedi perdono delle tue colpe. 2.Dal momento in cui il sacerdote giunge all’altare fino al Vangelo, considera, con una riflessione semplice e generica, la venuta di Nostro Signore in questo mondo e la sua Vita. 3.Da dopo il Vangelo fino al Credo, rifletti sulla predicazione del Salvatore; protesta di voler vivere e morire nella fede e nell’obbedienza alla sua santa Chiesa Cattolica. 4.Da dopo il Credo fino al Padre nostro, occupa il cuore ai misteri della Morte e Passione del nostro Redentore, attuati e essenzialmente rappresentati in questo santo Sacrificio, che tu offri a Dio Padre assieme al sacerdote ed al resto del popolo per la gloria di Dio Padre e la salvezza degli uomini. 5.Da dopo il Padre nostro fino alla Comunione, impegnati a far nascere nel cuore mille slanci; esprimi il desiderio ardente di giungere ad essere per sempre unita al Salvatore in un amore eterno. 6.Dalla Comunione fino alla fine, ringrazia la Maestà divina per l’Incarnazione, la Vita, la Morte, la Passione e l’Amore che ci dimostra in questo santo Sacrificio; pregalo in forza di questo, di essere sempre benigno con te, con i tuoi parenti, con i tuoi amici e con tutta la Chiesa; poi umiliati con tutto il cuore e ricevi con devozione la benedizione divina che nostro Signore ti impartisce per mezzo del suo ministro.

Ma se durante la Messa vuoi fare la tua meditazione sui misteri che stai seguendo giorno per giorno, non è necessario che tu segua queste indicazioni; sarà sufficiente che all’inizio manifesti la tua intenzione di voler adorare e offrire questo santo Sacrificio per mezzo della meditazione e dell’orazione, poiché in tutte le meditazioni ci sono, o esplicitamente o implicitamente, le operazioni sopra indicate.


Capitolo XV
GLI ALTRI ESERCIZI PUBBLICI E COMUNI

Oltre a ciò, Filotea, le Domeniche e le Feste devi assistere, per quello che potrai, al canto delle Ore e dei Vespri; quelli sono giorni consacrati a Dio e bisogna fare qualcosa di più in suo onore e gloria.
Proverai una infinita dolcezza spirituale, secondo quanto afferma S. Agostino nelle Confessioni: all’inizio della conversione, assistere agli Uffici divini, lo commuoveva fino alle lacrime.
E poi (e voglio dirlo una volta per tutte), si ricava sempre maggior frutto e più consolazione dalle celebrazioni pubbliche della Chiesa, che non dalle devozioni personali; perché Dio ha così voluto dando la preferenza assoluta agli atti di comunità su quelli privati.
Entra volentieri nelle Confraternite che trovi sul posto, soprattutto in quelle le cui pratiche offrono un frutto maggiore e più edificazione. Facendo così ti renderai molto gradita a Dio. È vero che Dio non ti fa obbligo di far parte delle Confraternite, ma te lo raccomanda la Chiesa che, a significare questo suo desiderio, le arricchisce di indulgenze e di altri privilegi.
E poi, è sempre una cosa molto ben fatta unirsi ad altri e cooperare con essi per la riuscita di buoni progetti. Benché possa capitare di fare anche in privato pratiche di pietà altrettanto buone come quelle che si fanno in comune nell’ambito della Confraternita, e addirittura di trovare più trasporto in quelle private, ciononostante Dio è glorificato maggiormente dall’unione agli altri e dal contributo che noi diamo ai fratelli e al prossimo in un atto comune.
Questo vale per tutte le preghiere e le devozioni pubbliche, alle quali, nella misura del possibile, dobbiamo dare il contributo del nostro buon esempio per l’edificazione del prossimo e il nostro affetto per la gloria di Dio e l’unione dei cuori in azioni comuni.


Capitolo XVI
BISOGNA ONORARE E INVOCARE I SANTI

Spesso Dio ci fa giungere le sue ispirazioni per mezzo degli Angeli; perciò anche noi dobbiamo fare la stessa cosa indirizzando a Lui le nostre aspirazioni con lo stesso mezzo.
Le anime sante dei defunti che ora si trovano in Paradiso, in compagnia degli Angeli, uguali ad essi, come dice Nostro Signore, hanno lo stesso ufficio: ispirarci con le loro preghiere e portare a Dio le nostre aspirazioni. Uniamo, Filotea, i nostri cuori a questi spiriti celesti e a queste anime beate: come il piccolo usignolo impara a cantare stando con i grandi, così, con questo scambio con i Santi, noi riusciremo a pregare e a cantare le lodi di Dio: Canterò i Salmi, dice Davide, davanti agli Angeli.
Onora, riverisci e rispetta con amore speciale la santa e gloriosa Vergine Maria: ella è Madre del nostro Padre sovrano e perciò anche nostra cara nonna. Ricorriamo aLei quali nipotini, gettiamoci sulle sue ginocchia con assoluta fiducia; in ogni momento, in ogni circostanza, facciamo appello a questa dolce Madre, invochiamo il suo amore materno e, facendo ogni sforzo per imitare le sue virtù, abbiamo per Lei un sincero cuore di figli.
Renditi molto amico degli Angeli; impara a vederli sempre presenti, anche se invisibili, nella tua vita; soprattutto ama e rispetta quello della Diocesi in cui ti trovi, quelli delle persone con le quali vivi, e in modo particolare il tuo; pregali spesso, prendi l’abitudine di lodarli, confida nel loro aiuto e nella loro assistenza per tutte le circostanze tanto spirituali che materiali, perché si prendano a cuore i tuoi progetti.
Il grande Pietro Favre, primo sacerdote, primo predicatore, primo lettore di Teologia della santa Compagnia di Gesù, e primo compagno del Beato Ignazio, fondatore della stessa, tornando un giorno dalla Germania, dove aveva reso grandi servizi in onore di Nostro Signore, sostando nella nostra Diocesi, sua patria d’origine, raccontava che attraversando molti paesi eretici, aveva ricevuto infinite consolazioni nel salutare gli Angeli protettori delle parrocchie e diceva di averne sperimentato sensibilmente l’assistenza: lo avevano protetto dalle imboscate degli eretici, avevano reso molte anime aperte e docili nel ricevere la dottrina della salvezza. Lo esponeva con tanto calore che una donna, allora giovane, avendolo udito direttamente dalla sua bocca, lo ripeteva agli uditori ancora con profonda commozione, quattro anni fa, ossia sessanta anni dopo!
L’anno scorso ho avuto la consolazione di consacrare un altare nel luogo dove nacque quel santo prete, nel villaggio di Villaret, tra le nostre più aspre montagne.
Scegliti qualche santo particolare la cui vita e i cui esempi maggiormente ti invitano all’imitazione e nella cui intercessione ti trovi ad avere maggior fiducia: come quello del nome che porti e che ti è stato assegnato nel Battesimo.


Capitolo XVII
COME VA ASCOLTATA LA PAROLA DI DIO

Devi essere devota alla Parola di Dio: sia che tu l’oda in conversazioni familiari assieme ai tuoi amici spirituali, sia nella solennità di un sermone, devi ascoltarla sempre con attenzione e rispetto. Ricavane profitto: non lasciarla cadere a terra, ma accoglila nel tuo cuore come un unguento prezioso, seguendo l’esempio della Santissima Vergine, che conservava con cura nel proprio, tutte le lodi dette in onore del Figlio.
Ricordati che Nostro Signore accoglie le parole che gli rivolgiamo nelle preghiere, nella misura nella quale accogliamo quelle che Egli ci rivolge con la predicazione. Conserva presso di te sempre qualche buon libro di devozione, come quello di S. Bonaventura, il Combattimento Spirituale di Scupoli, le Confessioni di S. Agostino, le Lettere di S. Girolamo e simili. Tutti i giorni leggine un brano con grande devozione, come leggeresti lettere inviate personalmente a te dai Santi del Cielo, per indicarti il cammino e darti coraggio di avviarti in esso.
Leggi anche le Storie e le vite dei santi, nelle quali puoi vedere la vita cristiana, come in uno specchio; adatta le loro azioni ai casi della tua vita secondo il tuo stato. Benché molte azioni dei Santi non siano imitabili in senso letterale, da gente che vive nel mondo, hanno senz’altro qualche cosa da insegnarci o da vicino o da lontano; per esempio, puoi imitare la solitudine di Paolo, primo eremita, con il tuo raccoglimento spirituale e con quello reale, cose di cui in parte abbiamo parlato (cap.XII) e in parte parleremo (Parte V). Puoi imitare l’estrema povertà di S. Francesco con gli esercizi di povertà che ti proporremo (parte III), e così per il resto.
Ti accorgerai che ci sono episodi più illuminanti di altri per la nostra vita, come la vita della Beata Madre Teresa, che è notevole per questo; la vita dei primi Gesuiti, quella di S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, di S. Luigi di Francia, di S. Bernardo, i fioretti di S. Francesco e altre.
Ce ne sono anche di quelle che sono più adatte per essere ammirate che imitate, come quella di S. Maria Egiziaca, S. Simeone stilita, le due Caterine, da Siena e da Genova, di S. Angela e altre simili, che non per questo non sono una prova piacevole del grande amore di Dio.


Capitolo XVIII
COME VANNO ACCOLTE LE ISPIRAZIONI

Chiamiamo ispirazioni gli inviti, i movimenti, i rimproveri, i rimorsi interiori, i lumi e le cognizioni che Dio genera in noi prevenendo il nostro cuore con le sue benedizioni, con attenzione e affetto di Padre per svegliarci, scuoterci, spingerci, attirarci verso la virtù, l’amore celeste, i buoni propositi: in breve, verso tutto ciò che ci mette in cammino per il nostro bene eterno.
Lo Sposo lo chiama bussare alla porta e bussare al cuore della Sposa, svegliarla se dorme, invocarla e chiamarla quand’è assente, invitarla a gustare il miele e a cogliere i frutti e i fiori nel suo giardino, a cantare e a fare udire la voce alle sue orecchie.
Tre sono i movimenti che si susseguono nella promessa sposa prima di giungere al matrimonio: in primo luogo le viene proposto il matrimonio, poi ella lo trova di suo gradimento, infine dà il suo consenso.
Allo stesso modo, quando Dio vuole compiere in noi, per mezzo di noi e con noi un’opera di rilievo, in primo luogo ce la propone ispirandocela; poi tocca a noi esprimerci dicendo se ci piace; in terzo luogo aderiamo con il sì.
Lo stesso processo lo seguiamo per cadere nel peccato: anche il tal caso i movimenti sono tre: la tentazione, il compiacimento, il consenso.
Per conquistare le virtù i gradini sono sempre tre: l’ispirazione, che è il contrario della tentazione; il compiacimento nell’ispirazione che è il contrario del compiacimento nella tentazione; il consenso all’ispirazione, che è il contrario del consenso alla tentazione.
Anche se l’ispirazione dovesse insistere per tutto l’arco della nostra vita, se non la trovassimo bella e piacevole, non saremmo in alcun modo accetti a Dio; anzi la sua divina Maestà ne sarebbe offesa, come lo fu nei confronti degli Israeliti, che aveva inseguito inutilmente per quarant’anni chiamandoli alla conversione senza trovare in essi risposta. Giurò che mai più li avrebbe fatti entrare nella sua pace.
Così un signore che abbia per molto tempo corteggiato una giovane donna, sarebbe molto contrariato, se, dopo tutto, lei non volesse saperne di matrimonio.
Il piacere che si prova nelle ispirazioni è un avvio determinante alla gloria di Dio e in tal modo si comincia ad essere graditi alla divina Maestà; benché questo compiacimento non sia ancora un consenso pieno, perlomeno è una disposizione favorevole.
Se è vero che è un buon segno e cosa molto utile compiacersi nell’ascolto della Parola di Dio, tanto che possiamo considerarlo un’ispirazione esteriore, è cosa altrettanto buona e gradita a Dio compiacersi nell’ispirazione interiore: è quel piacere di cui parla la Sposa quando dice: la mia anima si è sciolta di piacere, quand’ho udito la voce dell’amato.
Il gentiluomo è soddisfatto quando vede che la dama che egli serve è contenta del suo servizio.
In conclusione è il consenso che completa l’atto virtuoso: perché anche se ispirati e contenti dell’ispirazione, neghiamo poi il consenso a Dio, siamo degli ingrati e offendiamo gravemente la Maestà divina, perché il disprezzo sembra ancora maggiore. È quanto capitò alla Sposa, perché, pur avendole il canto del suo Amato toccato il cuore di piacere, ella non gli aprì la porta e si scusò con una ragione sciocca. Lo Sposo si indignò, passò oltre e se ne andò.
Così un gentiluomo che dopo aver corteggiato lungamente una donna e averle reso gentilmente servizio, si vede alla fine respinto e disprezzato, avrà senz’altro più motivo di risentimento di quanto ne avrebbe avuto se fosse stato subito accolto male e trattato peggio.
Risolviti, Filotea, ad accettare di buon cuore tutte le ispirazioni che Dio vorrà mandarti. Quando ti giungeranno accoglile come ambasciatrici del Re del Cielo, che vuole unirsi in matrimonio con te. Ascolta con cuore sereno quello che ti propongono; considera l’amore che te le ha fatte mandare e trattale bene.
Acconsenti con un’adesione piena d’amore e fedele all’ispirazione; in modo che Dio, che non sei in grado di costringere, si sentirà fortemente obbligato dal tuo affetto. Ma prima di dare il consenso alle ispirazioni per cose importanti e straordinarie, per non rischiare di cadere in inganno, consigliati sempre con la tua guida, perché esamini se l’ispirazione è vera o falsa. Se il nemico vede un’anima pronta a consentire alle ispirazioni, gliene propone subito di false per trarla in inganno; cosa che gli sarà impossibile se ella, con umiltà, ubbidirà a chi la conduce.
Una volta dato il consenso, bisogna far sì che abbia seguito e l’ispirazione si attui: questo è il culmine della virtù autentica. Consentire nel cuore senza passare ai fatti, è come piantare una vigna senza volerne frutto. A questo scopo è molto utile praticare l’esercizio del mattino e il raccoglimento spirituale, indicati sopra. Il tal modo non solo ci prepariamo a fare in modo generico il bene, ma concretamente lo realizziamo.


Capitolo XIX
LA SANTA CONFESSIONE

Il nostro Salvatore ha lasciato alla sua Chiesa il sacramento della Penitenza o Confessione perché potessimo purificarci dalle nostre iniquità, per numerose che siano, tutte le volte che ci infanghiamo.
Perciò, Filotea, non tollerare mai per lungo tempo che il tuo cure rimanga contagiato dal peccato, disponendo tu di un rimedio sempre pronto e facile da applicare. La leonessa che si è unita ad un leopardo corre immediatamente a lavarsi per togliere da sé il lezzo, perché il leone, avvertendolo, non si adombri e si irriti. L’anima che ha acconsentito al peccato deve avere orrore di se stessa e ripulirsi immediatamente, per rispetto alla Maestà divina che sempre la segue. Perché vogliamo lasciarci morire spiritualmente quando abbiamo a disposizione un rimedio così sicuro?
Confessati devotamente e umilmente ogni otto giorni, e, se puoi, ogni volta fai la comunione, anche se non avverti nella coscienza il rimorso di alcun peccato mortale. In tal caso, con la confessione, non soltanto riceverai l’assoluzione dei peccati veniali confessati, ma anche una grande forza per evitarli in avvenire, una grande chiarezza per distinguerli e una efficace grazia per rimediare a tutto il danno che ti hanno causato. Praticherai la virtù dell’umiltà, dell’obbedienza, della semplicità e della carità; con il solo atto della Confessione praticherai più virtù che con qualsiasi altro.
Abbi sempre un sincero dispiacere dei peccati che confessi, per piccoli che siano, e prendi una ferma decisione di correggerti. Molti si confessano dei peccati veniali per abitudine, quasi meccanicamente, senza pensare minimamente ad eliminarli; e così per tutta la vita ne saranno dominati e perderanno molti beni e frutti spirituali.
Se, per esempio, ti confessi di aver mentito senza recar danno, o di aver detto qualche parola grossolana, o di aver giocato troppo, pentiti e fa proposito di correggerti; è un abuso confessare un peccato, sia mortale che veniale, senza aver intenzione di emendarsene, perché la Confessione è stata istituita proprio per quello scopo.
Non fare accuse generiche, come fanno molti, in modo macchinale, tipo queste: Non ho amato Dio come era mio dovere; Non ho ricevuto i Sacramenti con il rispetto dovuto, e simili. Ti chiarisco il motivo: Ciò dicendo tu non offri alcuna indicazione particolare che possa dare al confessore un’idea dello stato della tua coscienza; tutti i Santi del Paradiso e tutti gli uomini della terra potrebbero dire tranquillamente la stessa cosa. Cerca qual è la ragione specifica dell’accusa, una volta trovata, accusati della mancanza commessa con semplicità e naturalezza.
Se, per esempio, ti accusi di non avere amato il prossimo come avresti dovuto, può darsi che si sia trattato di un povero veramente bisognoso che tu non hai aiutato come avresti potuto o per negligenza, o per durezza di cuore, o per disprezzo; vedi un po’ tu il motivo!
Similmente non accusarti di non aver pregato Dio con la dovuta devozione; ma specifica se hai avuto delle distrazioni volontarie perché non hai avuto cura di scegliere il luogo, il tempo e il contegno atti a favorire l’attenzione nella preghiera; accusati con semplicità di quello in cui trovi di aver mancato, senza ricorrere a quelle espressioni generiche che, nella confessione, non fanno né caldo né freddo.
Non accontentarti di raccontare i tuoi peccati veniali solo come fatto; accusati anche del motivo che ti ci ha portato.
Non dimenticarti, per esempio, di dire che hai mentito senza coinvolgere nessuno; ma chiarisci, se è stato per vanità, se era per vantarti o scusarti, o per gioco, o per cocciutaggine. Se hai peccato nel gioco, specifica se è stato per soldi, o per il piacere della conversazione, e così via.
Dì anche se sei rimasto per lungo tempo nel tuo male, perché, in genere, il tempo aggrava il peccato. C’è molta differenza tra la vanità di un momento, che ha occupato il nostro spirito sì e no per un quarto d’ora, e quella nella quale il nostro cuore è rimasto immerso per uno, due o tre giorni!
In conclusione, bisogna esporre il fatto, il motivo e la durata dei nostri peccati; perché, anche se comunemente non siamo obbligati ad essere così esatti nel dichiarare i nostri peccati veniali, anzi non siamo nemmeno obbligati a confessarli, è pur sempre vero che coloro che vogliono pulire per bene l’anima per raggiungere più speditamente la santa devozione, devono avere molta cura di descrivere al medico spirituale il male, per piccolo che sia, se vogliono guarire.
Non trascurare di aggiungere quanto serve per far capire il tipo dell’offesa, come il motivo che ti ha fatto montare in collera, o ti ha fatto accettare il vizio di qualcuno. Per esempio, se un uomo che non mi va a genio, mi provoca con qualche leggera parola per ischerzo, io la prendo a male e monto in collera: cosa che se l’avesse fatta un altro che mi è simpatico, l’avrei accettata, anche se avesse caricato la dose.
Preciserò dunque con chiarezza: Mi sono lasciato trasportare a parole di collera contro una persona, perché ho preso a male ciò che mi aveva detto, non per le parole in se stesse, ma perché mi è antipatico colui che le ha dette.
E se fosse necessario precisare le parole per farti capire meglio, penso che faresti bene a dirle. Accusandoci in questo modo, con naturalezza, non solo mettiamo fuori i peccati fatti, ma anche le cattive inclinazioni, le usanze, le abitudini e le altre radici del peccato, in modo che il padre spirituale abbia una chiara conoscenza del cuore che gli è affidato e quindi predisponga i rimedi più opportuni. Tuttavia non fare il nome di chi ha eventualmente cooperato al tuo peccato, almeno finché ti sarà possibile.
Fa attenzione a numerosi peccati che vivono e spadroneggiano, spesso senza essere avvertiti, nella coscienza e accusali per potertene liberare; a questo fine leggi attentamente i Capitoli VI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXV e XXXVI della III parte e il Capitolo VIII della IV parte.
Non cambiare facilmente di confessore, ma scegline uno e rendigli conto della tua coscienza nei giorni che avrai stabilito; e digli con naturalezza e franchezza i peccati commessi; di tanto in tanto, ogni mese o ogni due mesi, digli anche a che punto sei con le inclinazioni, benché in quelle non ci sia peccato; digli se sei afflitta dalla tristezza, dal rimpianto, se sei invece portata alla gioia, al desiderio di acquisire ricchezze, e simili inclinazioni.


Capitolo XX
LA COMUNIONE FREQUENTE

Si dice che Mitridate, re del Ponto, avesse inventato un veleno con il quale aveva talmente rinvigorito il proprio organismo, che, quando volle avvelenarsi per sfuggire alla schiavitù dei Romani, non riuscì a portare a compimento il proposito.
Il Salvatore ha istituito l’augusto sacramento dell’Eucarestia, che contiene realmente la sua carne e il suo sangue, affinché chi ne mangia viva eternamente. Ecco perché, chiunque vi ricorre spesso con devozione, rinforza talmente la salute e la vitalità dell’anima, che è quasi impossibile che rimanga avvelenata dai cattivi affetti di qualunque sorta siano.
Non è possibile nutrirsi di questo cibo di vita e continuare a vivere gli affetti di morte; allo stesso modo che gli uomini nel paradiso terrestre non avrebbero potuto morire quanto al corpo in virtù del frutto della vita del Signore vi aveva collocato, così essi non possono morire spiritualmente in virtù di questo sacramento di vita.
Se è vero che i frutti più teneri, soggetti a corrompersi, come le ciliegie, le albicocche e le fragole, si conservano facilmente tutto l’anno una volta canditi nello zucchero e nel miele, nessuna meraviglia che i nostri cuori, benché fragili e deboli, siano resi immuni dalla corruzione del peccato quando sono trattati con quello zucchero e quel miele che sono la carne e il sangue incorruttibili del Figlio di Dio. O Filotea, i cristiani che saranno condannati, resteranno senza parola allorché il Giudice giusto rinfaccerà loro il torto che hanno avuto di lasciarsi morire spiritualmente, quando era loro così facile mantenersi in vita e buona salute nutrendosi del suo Corpo offerto a tal fine. Miserabili, dirà loro. Come avete potuto lasciarvi morire, quando avevate l’ordine di nutrirvi del cibo di vita?
“Io non lodo e non biasimo il fatto di ricevere la comunione eucaristica tutti i giorni; ma consiglio ed esorto ciascuno a fare la comunione tutte le Domeniche, purché lo spirito non abbia affetti al peccato”.
Sono parole testuali di S. Agostino, al quale mi associo non biasimando e non lodando chi fa la comunione tutti i giorni; lascio la decisione su questo punto alla discrezione del Padre spirituale di chi vorrà prendere decisioni a questo proposito; infatti le disposizioni per accostarsi così di frequente alla santa comunione devono essere di un livello di perfezione, che non è opportuno dare in materia un parere generico. D’altra parte, siccome tali disposizioni, benché richiedono un livello di perfezione alto, possono trovarsi in molte anime buone, non è nemmeno bene distogliere e dissuadere tutti. Va deciso dopo aver preso in esame lo stato interiore di ciascuno in particolare.
Sarebbe imprudente consigliare a tutti indiscriminatamente la comunione frequente; ma sarebbe ugualmente imprudente biasimare chi la facesse, soprattutto quando c’è di mezzo il parere di un prudente direttore di spirito. Bella la risposta di S, Caterina da Siena, quando, a proposito della sua comunione quotidiana, le fu citato S. Agostino che non loda e non biasima chi si comunica tutti i giorni: Ebbene, disse, poiché S. Agostino non lo biasima, prego anche voi di fare altrettanto, e mi basta.
Ma vedi bene, Filotea, che S. Agostino esorta e consiglia con forza di fare la comunione tutte le domeniche; falla anche tu più spesso che puoi. Giacché, io lo credo, tu non hai alcun affetto al peccato mortale, e nemmeno al peccato veniale, sei nella disposizione richiesta da S. Agostino, e anche qualcosa di più; perché non solo non hai l’affetto a peccare, ma non hai nemmeno l’affetto al peccato. Sicché se il tuo padre spirituale lo trova bene, puoi fare la comunione anche più spesso di ogni domenica.
Possono tuttavia sorgere molte difficoltà, non da parte tua, ma da parte di coloro che vivono con te, che potrebbero consigliare al tuo saggio direttore di non farti comunicare così spesso. Se, per esempio, tu sei sottomessa a qualcuno, e coloro cui devi obbedienza e rispetto siano così mal istruiti e così strani da sentirsi inquieti e turbati nel vederti fare la comunione così spesso, nel caso, tutto considerato, sarà bene andare incontro alla loro malattia e fare la comunione soltanto ogni quindici giorni; ciò solo nel caso che la difficoltà non possa esse superata in altro modo. In questo campo non bisogna dare direttive generali, occorre stare a quanto dice il padre spirituale; tuttavia mi sento in obbligo di affermare con certezza che la massima distanza tra una comunione e l’altra non deve superare il mese, almeno in quelli che intendono servire Dio devotamente.
Se sai essere molto prudente, non c’è né madre, né moglie, né marito, né padre che ti impedisca di comunicare spesso: e sai perché. Perché il giorno in cui avrai fatto la comunione, non diminuirai la cura per quello che fa parte dei doveri del tuo stato, anzi sarai più dolce e gentile e non rifiuterai l’adempimento di nessun dovere; la conseguenza sarà che gli altri non avranno alcun interesse a distoglierti da questo esercizio che non causa loro alcun pregiudizio; a meno che non siano gretti e incapaci di ragionare; in tal caso, come già detto, usa condiscendenza, secondo il consiglio del tuo direttore.
Devo aggiungere una parola per la gente sposata: Dio, nell’antica Legge, trovava cosa fatta male che i creditori esigessero il loro debito nei giorni di festa; ma non se l’aveva a male se il debitore pagava e rendeva il debito a chi lo esigeva. È cosa poco conveniente, benché non sia un grande peccato, chiedere la soddisfazione del debito coniugale nel giorno in cui si è fatta la comunione; ma non è sconveniente, anzi direi che è meritorio, renderlo. Ecco perché a causa di tali doveri, nessuno deve essere privato della Comunione, quando la sua devozione lo spinge a chiederla. Nella Chiesa primitiva i cristiani comunicavano tutti i giorni, pur essendo sposati e benedetti da tanti figli; ecco perché ho detto che la comunione frequente non deve generare alcuna sorta di problemi né ai papà, né alle mamme, né ai mariti, né alle mogli purché l’anima che si accosta alla comunione sia prudente e discreta.
Quanto alle malattie corporali non ce n’è alcuna che impedisca questa santa partecipazione, eccetto quelle che causano vomito molto frequente.
Per fare la comunione ogni otto giorni occorre non avere peccati mortali e non avere affetto al peccato veniale, e avere un grande desiderio di fare la comunione; ma per fare la comunione tutti i giorni, oltre a ciò, bisogna aver superato la maggior parte delle cattive inclinazioni ed avere il parere favorevole del padre spirituale.


Capitolo XXI
COME BISOGNA FARE LA COMUNIONE

La preparazione alla santa Comunione comincia la sera precedente, con molte aspirazioni e slanci d’amore. Ritirati per tempo in camera tua, prima del solito; così il mattino seguente sarai pronta per alzarti più presto. Se durante la notte dovessi svegliarti, metti subito nel cuore e sulla bocca qualche pensiero odoroso, per profumare la tua anima e prepararla a ricevere lo sposo che veglia mentre dormi e si prepara ad arricchirti di infinite grazie e favori se sei pronta a riceverli.
Al mattino alzati con grande gioia per la felicità che speri e, dopo esserti confessata, va, con grande fiducia, ma anche con grande umiltà, a ricevere quel cibo celeste che ti nutre per l’immortalità. Dopo aver pronunciato le sante parole: Signore, non sono degna, non muovere più né la testa né le labbra, non per pregare e ancor meno per sospirare, ma apri dolcemente e mediamente la bocca e, alzando la testa quel tanto che basta perché il sacerdote veda quello che fa, ricevi piena di fede, di speranza e di carità Colui al quale, il quale, per il quale e nel quale tu credi, speri, bruci d’amore.
Filotea, immaginati che, simile all’ape che dopo aver raccolto sui fiori la rugiada del cielo, e il succo più squisito della terra lo trasforma in miele e lo trasporta nella sua arnia; il sacerdote sull’altare prende tra le mani il Salvatore del mondo, vero Figlio di Dio, simile a rugiada discesa dal cielo e vero Figlio della Vergine, simile a fiore sbocciato dalla terra della nostra umanità, e lo offre in cibo di soavità alla tua bocca e al tuo corpo.
Appena Gesù è in te scuoti il cuore perché venga a rendere omaggio al re della salvezza; esamina con lui la tua situazione interiore, pensa che hai in te e che c’è venuto per la tua felicità; accoglilo meglio che puoi e comportati in modo tale che si veda, da tutte le tue azioni, che Dio è con te.
Ma se non avessi la grazia di comunicare realmente nella santa Messa, comunicati almeno con il cuore e lo spirito, unendoti con un ardente desiderio alla carne del Salvatore.
La tua prima intenzione nella comunione deve essere di progredire, fortificarti e stabilizzarti nell’amore di Dio; perché quello che ti è dato soltanto per amore, tu lo devi ricevere con amore. Non è possibile immaginare il Salvatore impegnato in un’azione più piena di amore e più tenera di questa, nella quale, si può dire che distrugga se stesso riducendosi in cibo per entrare nelle nostre anime e unirsi intimamente al cuore e al corpo dei fedeli.
Se ti domandano perché tu fai la comunione così spesso, rispondi che è per imparare ad amare Dio, per purificarti dalle imperfezioni, per liberarti dalle miserie, per consolarti nelle afflizioni, per trovare sostegno nelle debolezze. Rispondi che sono due le categorie di persone che devono fare spesso la comunione: i perfetti, perché, essendo ben disposti, farebbero molto male a non accostarsi alla sorgente della perfezione; e gli imperfetti, per poter camminare verso la perfezione; i forti per non rischiare di scoprirsi deboli, e i deboli per diventare forti; i malati per guarire e i sani per non ammalarsi; tu poi, creatura imperfetta, debole e ammalata, hai bisogno di comunicare spesso con la perfezione, la forza e il medico.
Rispondi che coloro i quali non hanno molte occupazioni, devono fare la comunione perché ne hanno il tempo; quelli invece che sono molto occupati, la devono fare perché ne hanno bisogno, perché chi lavora molto ed è carico di preoccupazioni deve nutrirsi di cibi sostanziosi e mangiare spesso.
Comunicati spesso, Filotea, più spesso che puoi, secondo il parere del tuo padre spirituale; e credimi, le lepri, qui da noi, sulle nostre montagne, in inverno diventano bianche perché non vedono e non mangiano che neve; anche tu, a forza di adorare e di nutrirti di bellezza, di bontà e della stessa purezza di questo Divin Sacramento, diventerai bella, santa e pura.

Augustinus
25-01-04, 14:26
TERZA PARTE
Contiene molti consigli per l’esercizio delle virtù

Capitolo I
LA SCELTA NECESSARIA NELL’ESERCIZIO DELLE VIRTÙ

Come la regina delle api non esce mai senza essere circondata da tutto il suo piccolo popolo, così la carità non entra mai in un cuore senza condurre al suo seguito tutte le altre virtù. Come un buon capitano le mantiene tutte in esercizio e le impiega in vari compiti, come soldati: chi per un servizio, chi per un altro; chi in un modo, chi in un altro; chi prima e chi dopo; chi in questo luogo chi in quell’altro.
Il giusto è come un albero piantato lungo un corso d’acqua che porta i frutti nella sua stagione. Quando la carità entra in un’anima, produce in essa frutti di virtù, ciascuno a suo tempo.
La musica briosa, tanto gradevole in sé, può essere fuori luogo in un lutto. Sono molti ad avere il difetto che ora ti dico: siccome si sono impegnati in una determinata virtù, si intestardiscono a volerla praticare in tutte le circostanze, e vogliono o piangere senza interruzione o ridere senza fine; proprio come certi antichi filosofi. Anzi, fanno di peggio: trovano da ridire e coprono di biasimo quelli che non li seguono nell’esercizio delle “loro” virtù.
L’Apostolo dice che bisogna rallegrarsi con quelli che sono contenti e piangere con quelli che sono afflitti; dice anche che la carità è paziente e benevola, aperta e prudente, accondiscendente.
Ci sono, a dire il vero, delle virtù che hanno un impiego quasi universale, per cui, non soltanto non devono essere praticate separatamente, ma anzi devono arricchire delle loro qualità gli atti di tutte le altre virtù. Per esempio, le occasioni di praticare la forza, la magnanimità, la munificenza, non sono molto frequenti; altre virtù invece, come la dolcezza, la temperanza, l’onestà e l’umiltà devono dare colore e splendore agli atti di tutte le altre virtù. Non è che non ci siano virtù superiori in eccellenza; ma il fatto è che queste sono richieste con maggior frequenza. Lo zucchero è più buono del sale, ma il sale ha un impiego più frequente e più generale. Questa è la ragione per la quale occorre avere sempre pronta una buona provvista di queste virtù generali. Si può dire che il loro impiego sia necessario quasi ininterrottamente.
Nell’esercizio delle virtù dobbiamo dare la precedenza a quelle più utili al compimento del nostro dovere, non a quelle che ci piacciono di più. A Santa Paola piacevano le asprezze delle mortificazioni corporali per godere più facilmente delle dolcezze dello spirito, ma il suo primo dovere era l’obbedienza ai superiori; questa è la ragione per la quale S. Girolamo dice che era da riprendere perché si dava a digiuni incontrollati contro il parere del suo Vescovo.
Gli Apostoli, per contro, istituiti per predicare il Vangelo e distribuire il pane celeste alle anime, giudicarono cosa molto ben fatta, per poter esercitare tale mansione senza distrazioni, tralasciare la pratica della virtù della cura dei poveri, che pure, in sé, è ottima.
Ogni vocazione ha le sue virtù particolari: le virtù proprie di un Vescovo non sono quelle di un principe; le virtù adatte ad un soldato non sono quelle di una donna sposata; quelle di una vedova, sono altre ancora. È vero che tutti devono possedere tutte le virtù, ma questo non vuol dire che debbano praticarle allo stesso modo; ognuno deve impegnarsi in modo tutto speciale in quello proprie dello stato cui è stato chiamato.
Tra le virtù che non riguardano in modo specifico il nostro stato, dobbiamo dare la preferenza alle migliori e non alle più appariscenti. Alla vista le comete sembrano più grandi delle stelle e ai nostri occhi hanno una dimensione maggiore; e invece non sono nemmeno paragonabili alle stelle, né per grandezza, né per luminosità; ci sembrano più grandi solo perché sono più vicine a noi e composte di materiale più grossolano di quello delle stelle.
Lo stesso avviene per certe virtù che, per il fatto che sono più vicine a noi, sono sensibili e direi quasi palpabili, il popolino le stima molto e le preferisce.
Per questo rimane più colpito dall’elemosina materiale che da quella spirituale; antepone il cilicio, il digiuno, la nudità, la disciplina e le mortificazioni del corpo alla dolcezza, alla bontà, alla modestia e altre mortificazioni del cuore: se vogliamo essere onesti, queste ultime sono di molto migliori.
Tu, Filotea, devi scegliere le virtù più consistenti, non quelle che godono di maggior stima; le più efficaci, non le più appariscenti; le migliori, non le più onorate.
È bene che ognuno scelga l’esercizio particolarmente intenso di qualche virtù, non per questo abbandonando le altre , ma per tenere sempre abitualmente il proprio spirito ordinato e occupato.
Una giovane donna, bellissima, splendida più del sole, vestita come una regina, cinta di una corona di olivo, apparve a S. Giovanni, Vescovo di Alessandria e gli disse: Sono la figlia primogenita del Re, se mi accetti come amica ti condurrò alla sua presenza. La riconobbe, era la Misericordia verso i poveri che Dio voleva da lui. Vi si consacrò con tanta assiduità che fu chiamato S. Giovanni Elemosiniere.
Eulogio di Alessandria desiderava compiere qualche cosa di speciale per il Signore: siccome non aveva abbastanza salute per abbracciare la vita dell’eremita o per porsi sotto l’obbedienza di un altro, accolse presso di sé un emarginato dalla società, campione di ogni vizio e ladroneria, per esercitare nei suoi confronti la carità e la mortificazione; per farlo ancora meglio fece voto di onorarlo, trattarlo e servirlo come un domestico nei confronti del suo padrone e signore. Ad un certo momento, sia l’uno che l’altro, ebbero la tentazione di separarsi; chiesero consiglio al grande S. Antonio che disse: Figli miei, guardatevi bene dal separarvi uno dall’altro; siete oramai prossimi alla vostra fine, e se l’Angelo non vi trova insieme, correte grande pericolo di perdere le vostre corone.
Il Re S. Luigi considerava un premio visitare gli ospedali e serviva gli ammalati di persona.
S.Francesco amava tanto la povertà, che la chiamava la sua signora; S. Domenico invece, amava tanto la predicazione, che ne ha dato il nome ai suoi Frati. S. Gregorio il Grande, sull’esempio di Abramo, trattava i pellegrini con affetto, e il Re della gloria gli fece lo stesso onore che aveva fatto al Patriarca Abramo presentandosi a lui in veste di pellegrino.
Tobia esercitava la virtù della sepoltura dei morti. S. Elisabetta, che pure era una grande principessa, amava l’abiezione di se stessa. S. Caterina da Genova, rimasta vedova, si consacrò al servizio degli ospedali. Cassiano racconta che una ragazza devota, volendo esercitare la virtù della pazienza, ricorse a S. Atanasio, che le pose a fianco una vedova triste, collerica, dispettosa, insofferente che, aggredendola senza interruzione, le diede modo di praticare alla perfezione la dolcezza e la condiscendenza.
Tra i Servitori di Dio c’è chi si impegna nel servizio dei malati, chi ad aiutare i poveri, chi a promuovere la conoscenza della dottrina cristiana tra i piccoli, chi a radunare le anime perdute o smarrite, chi a preparare le chiese e ad ornare gli altari, chi a procurare la pace e la concordia tra gli uomini.
In ciò imitano i ricamatori, i quali, su fondi diversi, dispongono in studiata varietà le sete, l’oro, l’argento, per formare fiori di ogni specie; la stessa cosa fanno quelle anime pie che iniziano uno speciale esercizio di devozione. Tale devozione serve loro da fondo per il ricamo spirituale, sul quale poi impostano le variazioni di tutte le altre virtù; in tal modo mantengono i loro atti e i loro affetti uniti e ordinati proprio in forza del rapporto in cui mantengono le singole virtù con la principale. Per tale motivo il loro spirito appare nel suo bel vestito di broccato d’oro ricamato e trapunto di vari motivo all’ago.
Quando siamo combattuti da qualche vizio, abbracciamo la virtù contraria, sempre che siamo in condizione di farlo, riconducendo le altre a quella. In tal modo sconfiggeremo il nemico e continueremo a progredire in tutte le virtù.
Se sono combattuto dall’orgoglio e dalla collera, devo assolutamente chinarmi e piegarmi all’umiltà e alla dolcezza; per riuscirvi, ricorrerò all’orazione, ai Sacramenti, alla prudenza, alla costanza, alla sobrietà.
Prendo il paragone del cinghiale, il quale, per rendere aguzze le zanne di difesa le sfrega e le appuntisce con l’aiuto degli altri denti, il che fa sì che tutti ne risultino affilati e taglienti; allo stesso modo, l’uomo virtuoso, che ha iniziato l’opera della perfezione, deve limare e affilare quella virtù della quale sente maggiormente il bisogno per la propria difesa; e questo per mezzo dell’esercizio delle altre virtù, che, a loro volta, mentre affilano quella, ne traggono vantaggio, migliorano e risultano meno ruvide.
Così capitò a Giobbe, che esercitando in modo particolare la virtù della pazienza, a causa di tante tentazioni cui era sottoposto, finì col diventare perfettamente santo e virtuoso in tutte le virtù e sotto ogni aspetto.
Secondo quanto dice S. Gregorio di Nazianzo, può capitare che, per un solo atto perfetto di una virtù, qualcuno raggiunga l’apice di tutte le virtù. Come esempio porta Raab che, per aver praticato in modo perfetto l’ospitalità, giunse a somma gloria; ciò si deve intendere solo per i casi in cui l’atto è stato veramente perfetto, e animato da un grande fervore di carità.


Capitolo II
CONTINUAZIONE DEL MEDESIMO DISCORSO SULLA SCELTA DELLA VIRTÙ

Molto bene dice S. Agostino quando afferma che coloro i quali iniziano il cammino della devozione commettono certi errori che, stando al rigore dei canoni sulla perfezione, sono biasimevoli; ma per un altro verso sono lodevoli perché sono segno della grande pietà che seguirà; ne sono in certo modo l’avvio.
Il timore servile, frutto d’ignoranza, che genera scrupoli eccessivi nelle anime di coloro che escono dall’abitudine al peccato, all’inizio può essere una virtù raccomandabile; fa prevedere con sicurezza una retta coscienza in futuro. Se lo stesso timore dovesse persistere in coloro che hanno già fatto un certo progresso, sarebbe un segno negativo; perché nel cuore di costoro deve dominare l’amore che, per gradi, elimina il timore servile.
Agli inizi, S. Bernardo era rigido e rude con coloro che si ponevano sotto la sua direzione: diceva loro, per prima cosa, che era necessario abbandonare il corpo per continuare verso di Lui solo con lo spirito. Quando ascoltava le loro confessioni, aggrediva con tale severità ogni loro difetto, per piccolo che fosse, e faceva pressioni con tanta forza su quei poveri principianti, che volendo spingerli con troppa forza verso la perfezione, finiva per farli rinunciare e tornare indietro. Sotto quelle pressioni ininterrotte si scoraggiavano e si sentivano incapaci di affrontare una salita così ripida e così lunga.
Se rifletti un po’, Filotea, giungi alla conclusione che si trattava di uno zelo molto bruciante di un’anima perfetta che consigliava a quel grande santo quel tipo di metodo. Quello zelo era senz’altro una grande virtù in sé, ma una virtù che pur essendo tale, nel caso specifico era da riprovare. Dio stesso gli apparve e lo corresse e colmò la sua anima di uno spirito dolce, soave, amabile e tenero, che lo resero totalmente un altro. Si accusò di essere troppo rigido e severo e si trasformò in un uomo tanto cordiale e arrendevole con tutti, da potergli applicare il detto: Tutto a tutti, per conquistare tutti.
S.Girolamo racconta che la sua cara figlia spirituale S. Paola, non solo era portata all’esagerazione, ma era testarda nella pratica delle mortificazioni corporali, fino a non volersi arrendere al parere contrario che il suo Vescovo, S. Epifanio, le aveva espresso al riguardo. Oltre a ciò, si era lasciata andare talmente al pianto per la morte dei suoi, che aveva rischiato di morire. S. Girolamo conclude: Mi direte che anziché tessere le lodi di questa santa, sto scrivendone critiche e rimproveri. Ma, davanti a Gesù, che ella ha servito e che io voglio servire, affermo che non mento né pro né contro, come cristiano di una cristiana; voglio dire che io ne sto scrivendo la storia e non un panegirico; i suoi vizi sono virtù per gli altri. Intende dire cjìhe gli scarti e i difetti di S. Paola sarebbero state virtù in un’anima meno perfetta; se consideriamo seriamente le cose troveremo degli atti che vengono considerati difetti in coloro che sono perfetti, che potrebbero essere considerate grandi perfezioni in coloro che sono imperfetti. In uno che esce dalla malattia è buon segno avere le gambe gonfie, perché dimostra che la natura ha già ripreso vigore e si sbarazza degli umori superflui; ma lo stesso sintomo sarebbe cattivo indizio in una persona non malata, perché starebbe ad indicare che la natura non ha sufficiente vigore per eliminare e assorbire gli umori.
Filotea, bisogna avere una buona opinione di quelli che vediamo impegnati nella pratica delle virtù, anche se frammiste a imperfezioni; anche i Santi le hanno praticate in tal modo.
Per quello che ci riguarda personalmente, dobbiamo impegnarci ad esercitarle molto seriamente, non soltanto con fedeltà, ma anche con prudenza. A tal fine facciamo nostro il consiglio del Saggio: Non fare affidamento sulla tua prudenza, ma su quella di coloro che Dio ti ha dato per guidarti.
Ci sono alcune cose che molti considerano virtù, e invece non lo sono affatto! Bisogna che te ne parli in po’. Sono le estasi, i rapimenti, l’insensibilità, l’impassibilità, l’unione deificante, le elevazioni, le trasformazioni e simili perfezioni su cui si dilungano alcuni libri, che promettono l’elevazione dell’anima fino alla contemplazione puramente intellettuale, all’adesione essenziale dello spirito e alla vita superiore.
Vedi, Filotea, queste perfezioni non sono virtù; sono piuttosto ricompense che Dio concede come premio alle virtù o, meglio ancora, saggi della felicità della vita futura, che, qualche volta, il Signore fa intravedere agli uomini per far loro desiderare il tutto lassù in paradiso.
Questa non è una ragione per esigere tali grazie, anche perché non sono in nessun modo necessarie per servire e amare Dio, che deve essere la nostra unica aspirazione. Non sono grazie che possono essere conquistate con lavoro e impegno perché, più che di azioni si tratta di passioni, che siamo in grado di ricevere, ma non di procurare.
Aggiungo che noi abbiamo iniziato un cammino per diventare persone oneste, gente devota, uomini pii, donne pie; ecco perché dobbiamo impegnarci seriamente. Se poi Dio ha deciso di innalzarci fino a quelle perfezioni angeliche, sapremo essere anche dei buoni angeli; in attesa, con molta semplicità, umiltà e devozione, esercitiamoci alle piccole virtù, messe da Nostro Signore alla portata del nostro impegno e del nostro lavoro: e sono, ad esempio, la pazienza, la bontà, la mortificazione del cuore, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà, la castità, la dolcezza nei confronti del prossimo, la sopportazione delle sue imperfezioni, la diligenza e il fervore delle cose sante.
Lasciamo volentieri le altezze alle anime grandi: non siamo capaci di un ruolo così elevato nel servizio di Dio. Saremo già contenti di poterlo servire in cucina o come fornai, di essere suoi servi, suoi facchini, magari suoi camerieri; è Lui soltanto che può decidere di chiamarci a far parte degli intimi e del consiglio privato.
È così, Filotea. Perché questo Re di gloria non dà ai suoi servi le ricompense secondo il livello dei compiti assegnati, ma secondo l’amore e l’umiltà che hanno messo nell’esercitarli.
Saul cercava le asine di suo padre e trovò il regno di Israele; Rebecca abbeverò i cammelli di Abramo e divenne sposa del figlio; Ruth, dopo aver spigolato dietro ai mietitori di Booz, si coricò ai suoi piedi, ma egli la volle al suo fianco e divenne sua sposa.
La pretesa di cose straordinarie così alte ed elevate è facilmente occasione di illusioni, inganni, e falsità. Capita qualche volta che coloro i quali pensano di essere angeli non siano nemmeno uomini come si deve; in loro, alla prova dei fatti, trovi soltanto sfoggio di parole e termini magniloquenti, ma vuoto di sentimenti e assenze di opere.
Tuttavia non è bene disprezzare e censurare in modo temerario; Benediciamo Dio per la superiorità degli altri, ma rimaniamo nel nostro cammino, che corre più a valle ma è più sicuro, meno appariscente, ma più alla portata della nostra insufficienza e della nostra pochezza; e se noi ci manteniamo in quello con umiltà e fedeltà, Dio ci innalzerà a grandezze maggiori.


Capitolo III
LA PAZIENZA

Voi avete bisogno di pazienza, affinché, facendo la volontà di Dio, meritiate di conseguire la sua promessa, dice l’Apostolo. Il Salvatore aveva detto: con la pazienza conquisterete la padronanza delle vostre anime.
Dominare la propria anima è la massima aspirazione dell’uomo, e il dominio dell’anima è commisurato al livello della pazienza!
Ricordati spesso che Nostro Signore ci ha salvato soffrendo con costanza; è nello stesso modo che noi potremo operare la nostra salvezza, sopportando la sofferenza, le afflizioni, le ingiurie, le contraddizioni, i dispiaceri con la maggior dolcezza che ci sarà possibile.
Non limitare la tua pazienza a un genere determinato di ingiurie o di afflizioni, ma estendile a tutte quelle che il Signore ti manderà o permetterà che tu incontri. Alcuni vogliono sopportare soltanto le tribolazioni che procurano onore, come per esempio: essere feriti in guerra, essere prigionieri di guerra, essere maltrattati a causa della religione, diventare poveri per una lite da cui sono usciti vincitori. Io dico che costoro non amano la tribolazione, ma soltanto l’onore che ne deriva. Il vero paziente, ossia chi vuole servire Dio, sopporta con animo uguale le tribolazioni unite al disonore e quelle che danno onore. Se ci disprezzano, ci attaccano e ci accusano i cattivi, per un uomo di coraggio è una vera gioia; ma se quelli che ci attaccano, ci accusano e ci maltrattano, sono gente per bene, amici, i genitori, altri parenti, allora sì che va bene!
Ho una stima maggiore per la dolcezza con la quale S. Carlo Borromeo sopportò a lungo gli attacchi che gli sferrava pubblicamente dal pulpito un predicatore di fama, appartenente ad un Ordine rigorosissimo nell’ortodossia, che non per tutti gli altri attacchi sopportati.
Le punture delle api fanno più male di quelle delle mosche; allo stesso modo il male che riceviamo dalla gente per bene e le opposizioni che ci fanno, risultano molto più difficili da sopportare che qualunque altra. Capita abbastanza spesso che due brave persone, entrambi con la migliore intenzione di questo mondo, per divergenza di opinione, si facciano guerra senza quartiere, accanendosi l’uno contro l’altro.
Non essere paziente soltanto nel momento culminante della tribolazione, ma anche in tutti gli inconvenienti e i guai che si trascina dietro. Molti accetterebbero anche di avere qualche guaio a condizione di non soffrirne conseguenze. Non sono dispiaciuto di essere caduto in povertà, dirà uno, però questo nuovo stato di cose mi impedisce di essere utile agli amici, di educare i miei figli e di vivere in modo decoroso, come avrei voluto.
Dirà un altro: Io non mi preoccuperei se la gente non dicesse che è colpa mia. C’è anche quello che non tiene in alcun conto le maldicenze contro di lui e le sopporterebbe volentieri se i presenti non prestassero fede al maldicente. Altri ancora accettano di provare qualche conseguenza del male, ma, a loro parere, tutte sono troppe! Non si impazientiscono, dicono, di essere malati, ma solo perché non hanno il denaro per farsi curare; trovano anche la scusa che in tale stato sono di peso agli altri. Io dico, Filotea, che occorre sopportare con pazienza, non solo lo stato di malattia, ma anche la malattia che Dio vuole, nel luogo dove vuole, circondati dalle persone che vuole, e con gli inconvenienti che vuole; e così per tutte le altre tribolazioni.
Quando sarai colpita dal male, contrapponi tutti i rimedi che Dio ha messo a tua disposizione; agire diversamente sarebbe tentare la divina Maestà: ma, una volta fatto ciò, aspetta con una fiducia totale, l’effetto che Dio vorrà loro concedere. Se Dio crede bene che i rimedi vincano il male, tu lo ringrazierai con umiltà; ma se invece crede bene di permettere che il male vinca i rimedi, benedicili con pazienza.
Io sono del parere di San Gregorio: quando ti accusano giustamente di qualche colpa realmente commessa, umiliati molto, confessa che meriti l’accusa che ti è stata mossa. Se poi sei accusata ingiustamente, discolpati con calma, prova che non sei colpevole: hai l’obbligo di rispettare la verità anche per il buon esempio al prossimo. Ma se dopo la tua sincera e onesta spiegazione dei fatti a tua discolpa, gli altri insistono nel caricare su di te le responsabilità dei fatti, non angustiarti in alcun modo e non cercare altre strade per far accettare la versione autentica dei fatti. Sai perché? Dopo che hai reso il suo alla verità, rendilo ora all’umiltà.
Lamentati meno che puoi per i torti che ricevi; è un fatto certo che chi abitualmente si lamenta finisce per peccare. È colpa dell’amor proprio che ingigantisce per professione i torti subiti: ma quello che più ti raccomando e di non andare a lamentarti con persone facili all’indignazione e a pensare male. Se proprio non puoi fare a meno di lamentarti con qualcuno, sia per riparare l’offesa, sia per calmare te stessa, rivolgiti a persone calme e piene di amore di Dio. Se non farai così, il tuo cuore, invece di ricavarne serenità, sarà spinto ad essere ancora più inquieto: invece di toglierti la spina che ti punge appena, te la conficcherebbero più profondamente nel piede. Ci sono poi alcuni che quando sono ammalati, afflitti o offesi da qualcuno, stanno bene attenti a non lamentarsi e a dimostrare troppa permalosità; a loro parere, ed è vero, ciò darebbe prova di grande debolezza e di mancanza di generosità; ma poi, nel fondo di loro stessi, desiderano intensamente che qualcuno li compatisca e si danno da fare con mille arti a tale scopo. Vogliono che tutti sappiano che loro sono afflitti, ma anche pazienti e coraggiosi! Ti pare che quella sia pazienza? Chiamala come vuoi, ma quella è soltanto una finta pazienza. In fondo è soltanto un’abile e studiata ambizione, è vanità: ne ricavano gloria, ma non davanti a Dio!
Il vero paziente non si lamenta del male e non desidera essere compatito; ne parla con naturalezza, sincerità e semplicità, senza lamenti, senza rimpianti, senza esagerazioni; se lo compatiscono, sopporta con pazienza i compatimenti, a meno che addirittura siano per mali che non ha; in tal caso, con molta umiltà, farà notare che quel male non l’ha e poi si manterrà con animo sereno nella pace tra la verità e la pazienza, ammettendo sì il male, ma senza lamentele.
Nelle contrarietà che ti piomberanno addosso nell’esercizio della devozione, e vedrai che non mancheranno, ricordati della parola di nostro Signore: La donna quando partorisce provi dolori molto forti, ma tutto dimentica alla vista del bambino, perché ha dato un uomo alla vita. Nella tua anima hai concepito il figlio più meraviglioso di questo mondo, Gesù Cristo. Prima che sia dato completamente alla luce e generato, può darsi che ti procuri ansia e sofferenza; ma fatti animo perché, passati quei dolori, ti rimarrà la gioia senza fine di aver dato tale uomo al mondo. Per quello che ti riguarda sarà generato totalmente solo quando l’avrai formato completamente nel tuo cuore e nelle tue azioni con l’imitazione della sua vita.
Quando sarai malata, offri i tuoi dolori, gli inconvenienti e le debolezze per il servizio del Signore, e chiedigli, con insistenza, di unirli a quanto Egli ha sopportato per te. Obbedisci al medico, prendi le medicine, i cibi e gli altri rimedi per amore di Dio; ricordati del fiele che egli ha preso per amore nostro.
Desidera pure di guarire per servirlo, ma non rifiutare di essere ammalata per obbedirgli; e preparati anche alla morte, se quella a lui piacesse, per lodarlo e gioire con Lui. Le api nel periodo in cui fanno il miele, vivono e si nutrono con una sostanza molto amara; lo stesso avviene per noi: non potremo mai compiere atti di grande dolcezza e pazienza, fare il miele delle buone virtù, finché non saremo capaci di mangiare il pane dell’amarezza e vivere tra le sofferenze. Il miele ricavato dai fiori di timo, piccola erba amara è, senza confronti, il migliore; lo stesso è della virtù esercitata nell’amarezza delle tribolazioni più vili, basse e abbiette.
Guarda spesso con gli occhi interiori Gesù cristo crocifisso, spogliato, bestemmiato, calunniato, abbandonato, oppresso da ogni sorta di mali, tristezze e ansie, e pensa che tutte le tue sofferenze non sono in alcun modo paragonabili alle sue, né per intensità, né per numero; e pensa che mai riuscirai a soffrire per Lui quello che Egli ha sofferto per te.
Considera i tormenti atroci sopportati dai Martiri e le sofferenze che tante persone sopportano e che sono, senza confronto, più penose delle tue, e poi dì a te stessa: Le contrarietà che mi affliggono sono consolazioni e le mie spine sono rose a confronto di coloro che vivono in una morte continua, oppressi da croci infinitamente più gravose e questo senza aiuti, senza consolazioni, senza alcun sollievo.


Capitolo IV
L’UMILTÀ ESTERIORE

Disse il profeta Eliseo ad una povera vedova: Prendi tutti i vasi vuoti che hai e riempili d’olio. Per ricevere la grazia di Dio nei nostri cuori, dobbiamo vuotarli di noi stessi. Il gheppio, stridendo e fissando gli uccelli da preda, li mette in fuga per una forza misteriosa; per questo è il preferito delle colombe, che vicine a lui si sentono sicure. Allo stesso modo l’umiltà respinge Satana e conserva in noi le grazie e i doni dello Spirito Santo. È per questo che i Santi, e in modo particolare il Re dei Santi e sua Madre, onorano e amano l’umiltà più di tutte le altre virtù morali.
Sono diverse le ragioni per le quali dobbiamo considerare vana la gloria che ci viene attribuita: o perché non è in noi, o anche perché, pur essendo in noi, non è nostra; o anche perché, pur essendo in noi ed essendo nostra, non è meritata. La nobiltà della stirpe, il favore dei potenti, la popolarità, sono glorie che non hanno radice in noi, ma o nei nostri predecessori o nella stima degli altri. C’è gente che va superba e altera perché cavalca un bel destriero, perché ha un bel pennacchio sul cappello, perché indossa vestiti meravigliosi. Non ti pare che quella gente sia un po’ matta? Se proprio vogliamo parlare di gloria, spetta al cavallo, allo struzzo, al sarto. Ci vuole proprio un bel coraggio per prendere in prestito un po’ di stima da un cavallo, da una piuma, da una piega dell’abito!
Altri si sentono importanti e si danno delle arie per un bel paio di baffi all’insù, per una barba ben curata, per i capelli ricciuti, per le mani delicate; perché sanno danzare, giocare, cantare; e non ti pare che anche questi abbiano una rotellina fuori posto? Vorrebbero aumentare il proprio pregio e la propria reputazione con cose frivole e insulse!
Ci sono poi quelli che, per quel poco che sanno, esigono onore e rispetto dal mondo intero; tutti dovrebbero, secondo loro, precipitarsi a imparare qualcosina alla loro scuola. Loro si sentono maestri, la gente li considera soltanto dei pedanti. Ci sono anche quelli che sono convinti di essere molto belli e credono che tutti li corteggino.
Tutto ciò è tremendamente vuoto, sciocco e senza senso; la gloria che proviene da “valori” così insignificanti deve essere ritenuta vana, sciocca e frivola.
Il bene vero si conosce come il vero balsamo: la prova della genuinità del balsamo si fa distillandolo nell’acqua; se va a fondo e rimane sommerso è valutato finissimo e prezioso. Allo stesso modo per sapere
se un uomo è veramente saggio, sapiente, generoso, nobile, bisogna vedere se le sue doti tendono all’umiltà, alla modestia, al nascondimento; in tal caso si tratta di doti genuine; ma se galleggiano e si mettono in mostra sono false e tanto maggiori saranno gli sforzi che faranno per farsi notare, tanto più sarà evidente che non sono doti autentiche.
Le perle nate e cresciute all’aperto, al vento e al rumore dei tuoni, hanno soltanto l’involucro di perle, dentro sono vuote. Allo stesso modo le virtù e le belle qualità degli uomini, nate e cresciute nell’orgoglio, nell’esaltazione di sé e nella vanità, hanno soltanto l’apparenza del bene, senza linfa, senza midollo e senza solidità. Gli onori, la stirpe, le dignità sono come lo zafferano: più lo calpesti e più si rinforza e rende bene. Essere belli, quando ci si tiene, perde il suo pregio: la bellezza per piacere deve essere disinvolta; la scienza ci rende ridicoli quando ci gonfia e degenera in pedanteria.
Se siamo puntigliosi per la stirpe, per il rango, per i titoli, offriamo le nostre qualità all’esame sindacatore degli altri, alla loro inchiesta su di noi, all’indagine e così ci ritroveremo le nostre credute qualità svuotate e scostanti; sì, perché l’onore che è bello quand’è ricevuto in dono, diventa dozzinale e di nessun pregio quando è preteso, cercato e mendicato.
Quando il pavone fa la ruota per farsi notare, drizzando le sue belle piume, scopre tutto il resto e fa vedere da tutte le parti ciò che ha di meno bello; i fiori sono belli quando sono piantati in terra; una volta staccati appassiscono. Il profumo della mandragora può esserci di aiuto per capire: coloro che la odorano da lontano e di passaggio, ne rimangono conquistati; ma coloro che la odorano da vicino e con insistenza ne rimangono intontiti o addirittura ammalati; lo stesso avviene per gli onori che danno una dolce consolazione a chi li gode da lontano e solo leggermente senza spenderci troppo e diventare ansioso; ma chi ci si attacca e se ne ciba, merita di essere biasimato e ripreso.
La ricerca e l’amore della virtù ci rende già un po’ virtuosi; la ricerca e l’amore degli onori invece, ci rende soltanto meritevoli di disprezzo e di rimprovero. Le persone serie non perdono tempo nell’inutile groviglio di gerarchie, di onori, di saluti; hanno altro da fare! Questo è un terreno per il perditempo.
Chi può avere perle non va alla ricerca di conchiglie: coloro che tendono alla virtù, non si agitano alla caccia di onori.
Ognuno ha diritto di rimanere nel proprio rango senza mancare di umiltà, a condizione che ciò avvenga con naturalezza e senza contese.
Mi sembra che si possa fare un paragone con quelli che tornano dal Perù i quali, oltre all’oro e all’argento, portano con sé anche scimmie e pappagalli; costano poco e non pesano molto per il carico della nave; così è di coloro che tendono alla virtù senza per questo lasciare il loro rango e gli onori inerenti; a condizione che ciò non sottragga loro troppo tempo e troppa attenzione e che sia senza gravarsi di dubbi, d’inquietudine, di dispute e di contese. Tuttavia non parlo di coloro la cui dignità è in rapporto con una carica pubblica e nemmeno di alcune situazioni particolari nelle quali le conseguenze potrebbero incidere negativamente; in tali casi ognuno deve rimanere al posto che gli compete con prudenza e discrezione, accompagnate sempre da carità e cortesia.


Capitolo V
L’UMILTÀ INTERIORE

Tu, Filotea, mi chiedi di condurti avanti nell’umiltà: quello che ho detto finora riguarda più il campo della saggezza che quello dell’umiltà; quindi andiamo avanti.
Molti non vogliono pensare alle grazie che Dio ha loro dato personalmente, non ne hanno il coraggio perché temono di cadere nella vanagloria e nel vuoto compiacimento. E qui si sbagliano: S. Tommaso d’Aquino dice che il mezzo per giungere all’amore di Dio è il pensiero dei suoi benefici; meglio li conosciamo e più amiamo Dio.
Direi proprio che niente può umiliarci di fronte alla misericordia di Dio quanto i suoi benefici, e niente può umiliarci di fronte alla sua giustizia quanto le nostre offese. Pensiamo a quello che Egli ha fatto per noi e a quello che noi abbiamo fatto contro di Lui; e, come dobbiamo pensare ai nostri peccati più piccoli, dobbiamo pensare alle sue grazie più piccole. Non dobbiamo temere che il conoscere i doni che ha posto in noi ci gonfi; è sufficiente che abbiamo sempre presente questa verità: ciò che di buono c’è in noi non viene da noi.
Rifletti: i muli, animali pesanti e maleodoranti, non cessano di essere tali solo perché sono carichi di mobili preziosi e profumati appartenenti al principe. Che cosa abbiamo di buono che non ci sia stato dato?
E se ci è stato dato, perché insuperbircene? È proprio il contrario: la seria riflessione sui doni ricevuti ci rende umili; la conoscenza genera la riconoscenza.
Ma se poi, vedendo i doni di Dio in noi, venisse a solleticarci in qualche modo la vanità, c’è sempre pronto un rimedio infallibile: pensiamo alla nostra ingratitudine, alla nostra imperfezione, alla nostra miseria: se pensiamo ai guai che abbiamo combinato quando Dio non era con noi, scopriremo subito che quanto di buono riusciamo ad imbastire con Lui, non è nel nostro stile e del nostro sacco. Ne proveremo gioia sincera perché il bene c’è, ma ne daremo il merito a Dio perché Lui solo ne è l’autore.
La Santa Vergine dice che Dio opera in lei meraviglie, e lo fa soltanto per umiliarsi e dare gloria a Dio; la mia anima magnifica il Signore, dice, perché ha fatto in me cose grandi.
Spesso diciamo che non siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in pubblico secondo quanto diciamo. È proprio il contrario: fingiamo di fuggire e di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler essere gli ultimi, seduti proprio all’ultimo angolino della tavola, ma soltanto per passare con grande onore a capotavola.
L’umiltà vera non finge di essere umile, a fatica dice parole di umiltà; perché è suo intendimento non solo nascondere le altre virtù, ma soprattutto vorrebbe riuscire a nascondere se stessa; se le fosse lecito mentire, o addirittura scandalizzare il prossimo, prenderebbe atteggiamenti arroganti e superbi, per potercisi nascondere e vivere completamente ignorata e nascosta.
Eccoti il mio parere, Filotea: o evitiamo di dire parole di umiltà, oppure diciamole con profonda convinzione, profondamente rispondente alle parole. Non abbassiamo gli occhi senza umiliare il cuore; non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo esserlo per davvero. Questa è la mia regola generale e non faccio alcuna eccezione; aggiungo soltanto questo: la buona educazione esige qualche volta che cediamo la precedenza a persone che certamente non l’accetteranno; questa non è doppiezza o falsa umiltà: in tal caso l’offerta della precedenza è un segno d’onore, e poiché non ci è concesso di tributarlo a chi di dovere secondo il merito, non è cosa fatta male darne almeno un piccolo segno. Questo vale anche per alcune espressioni di onore e di rispetto che, strettamente prese, non sembrano rispecchiare la verità: ma lo sono abbastanza se colui che le pronuncia ha seriamente l’intenzione di onorare e dimostrare rispetto a colui cui sono indirizzate. Anche se le parole hanno un significato che va oltre la nostra intenzione, non facciamo nulla di male a servircene quando l’uso è corrente. Personalmente preferirei che le parole fossero rispondenti, il più fedelmente possibile, ai nostri pensieri, e questo per poter seguire sempre e dappertutto la linea della semplicità e della spontaneità affettuosa.
L’uomo sinceramente umile sarebbe più contento se fosse un altro, anziché lui stesso, a dire di lui che è un miserabile, un nulla, un buono a nulla; o, perlomeno, se sa che si dice, non si oppone, ma approva di cuore. Perché, se è vero che ne è convinto, è naturale che ne sia contento di vedere condivisa la sua opinione.
Molti affermano che vogliono lasciare l’orazione mentale ai perfetti perché essi non ne sono degni; altri protestano che non hanno il coraggio di fare spesso la comunione, perché non si sentono sufficientemente purificati; altri ancora dicono di temere di essere causa di disonore per la devozione se ci si impegnano, a causa della loro enorme miseria e fragilità; altri rifuggono dal mettere i loro talenti al servizio di Dio e del prossimo perché, dicono, conoscono la loro debolezza e potrebbero inorgoglirsi vedendosi strumenti di qualche cosa di buono; temono di consumarsi facendo luce agli altri. Tutte queste preoccupazioni sono soltanto inganni, una sorta di umiltà non soltanto falsa, ma perversa, per mezzo della quale, con molta sottigliezza e senza dirlo, si critica l’operato di Dio, o almeno si tenta di coprire di umiltà l’orgoglio della propria opinione, della propria indole, della propria pigrizia.
Domanda a Dio un segno dall’alto, dal cielo o dal basso, dal profondo del mare, dice il Profeta all’infelice Acaz, che risponde: No, non lo domanderò e non tenterò il Signore! È veramente perverso. Ostenta un grande sentimento di rispetto verso Dio e, colorando d’umiltà la sua presunzione, rifiuta la grazia di cui Dio vuole dargli un segno. Non pensa che rifiutare i doni che Dio vuole darci è orgoglio! Dobbiamo ricevere i doni che Dio ci manda; l’umiltà è obbedire e seguire da vicino i suoi disegni. Dio vuole che noi siamo perfetti e unendoci a Lui esige che lo seguiamo da vicino il più possibile. Il superbo, che confida solo in se stesso, ha infinite ragioni per non porre mano ad alcuna iniziativa; ma l’umile trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio, che si compiace di manifestare la sua potenza nella nostra debolezza e far trionfare la sua misericordia basandola sulla nostra miseria.
Molto umilmente e santamente dobbiamo tentare tutto quello che è giudicato opportuno per il nostro progresso spirituale da coloro che hanno la responsabilità della nostra anima.
Pensare di sapere ciò che non si sa, è stupidità manifesta; voler fare il sapiente in un campo in cui sappiamo benissimo di essere ignoranti, è una vanità insopportabile; per conto mio non vorrei fare il sapiente nemmeno in quello che so, ma nemmeno atteggiarmi a ignorante.
Quando lo richiede la carità, bisogna dare al prossimo, con franchezza e dolcezza allo stesso tempo, non soltanto quanto gli è utile all’istruzione, ma anche ciò che gli fa piacere. L’umiltà nasconde e copre le virtù per conservarle, le lascia vedere quando lo esige la carità, per accrescerle, svilupparle e perfezionarle.
L’umiltà richiama alla mente quell’albero delle isole di Tilo che di notte chiude e protegge i suoi bei fiori di colore incarnato e li dischiude soltanto quando si alza il sole, sicché la gente del paese dice che questo fiore di notte dorme. Così fa l’umiltà che copre e nasconde tutte le virtù e le perfezioni umane e le lascia apparire solo per il servizio della carità, perché è una virtù del cielo, non della terra, divina, non umana: è il vero sole delle virtù sulle quali deve sempre brillare. Si può concludere che le forme di umiltà che portano pregiudizio alla carità, sono certamente false.
Non vorrei atteggiarmi a matto, ma nemmeno a saggio: perché se l’umiltà mi impedisce di fare il saggio, la semplicità e la franchezza mi impediscono di fare il matto; se è vero che la vanità è contraria all’umiltà, è anche vero che l’artificio, l’affettazione e la finzione sono contrarie alla franchezza ed alla semplicità.
E anche se qualche celebre servitore di Dio ha fatto il matto per essere schernito dal mondo, ammiriamolo pure, ma non imitiamolo. Per lasciarsi andare a quegli eccessi quei Servi di Dio hanno avuto motivi personali fuori dall’ordinario che non ci autorizzano a trarre conclusioni per noi.
Davide, saltando e danzando più di quanto sembrasse opportuno, davanti all’Arca dell’alleanza, non voleva fare il matto; ma, molto semplicemente e senza artifici, con quelle danze voleva dimostrare la gioia straordinaria di cui traboccava il suo cuore.
Quando sua moglie Micol glielo rimproverò cime una follia, non fece caso all’umiliazione, ma continuò a manifestare con naturale schiettezza la sua gioia e diede prova di saper accettare un po’ di disprezzo per il suo Dio.
Per questo io ti dico che, se a seguito di atti di una vera e schietta devozione, sarai stimata persona di poco conto, degna di disprezzo o pazza, l’umiltà ti farà gioire per quel fortunato attacco che non ha le sue ragioni in te, ma in coloro che ti attaccano.


Capitolo VI
L’UMILTÀ CI FA AMARE L’ABIEZIONE

Procedo oltre, Filotea, e ti dico di amare l’abiezione sempre e in tutto. Ma, mi chiederai, che cosa vuol dire amare la propria abiezione? In latino abiezione vuol dire umiltà e umiltà vuol dire abiezione; di modo che, quando la Madonna nel suo Cantico dice che, poiché il Signore ha visto l’umiltà della sua serva, tutte le generazioni la chiameranno beata, vuol dire che il Signore, con bontà, ha guardato la sua abiezione, la sua meschinità, la sua bassezza, per colmarla di grazia e di favori. C’è tuttavia differenza tra la virtù dell’umiltà e l’abiezione; l’abiezione è la pochezza, la bassezza e la meschinità che alberga in noi, senza che ci pensiamo; la virtù dell’umiltà invece, è la conoscenza veritiera e l’ammissione della nostra abiezione.
L’apice dell’umiltà così intesa consiste non soltanto nel riconoscere la nostra abiezione, ma nell’amarla ed esserne contenti; non per mancanza di coraggio o di generosità, ma per esaltare maggiormente la Maestà divina e dare al prossimo una stima maggiore che a noi stessi. Ti incoraggio a questo e, per essere più esplicito, ti dirò che, tra i mali che ci affliggono, alcuni sono spregevoli, altri onorati; a quelli onorati molti si adattano, ma nessuno vuol saperne di quelli spregevoli. Prendi, per esempio, un devoto eremita, coperto di cenci e tremante dal freddo: tutti onoreranno il suo abito a brandelli e proveranno compassione per la sua sofferenza; ma se un povero artigiano, un povero galantuomo o una povera ragazza si trovano nelle stesse condizioni, verranno coperti di disprezzo, derisi e la loro povertà sarà spregevole.
Se un Religioso accetta con devozione un duro richiamo dal superiore, o un figlio dal padre, tutti chiameranno quel comportamento mortificazione, obbedienza, saggezza; se un cavaliere o una dama dovessero subire, per amore di Dio, la stessa cosa da parte di qualcuno, di qualunque cosa si tratti, tutti la chiameranno codardia o vigliaccheria: ecco un altro male spregevole.
Poni il caso che uno abbia un tumore al braccio e un altro al volto: il primo soffre soltanto il male, ma il secondo, con il male, si trova il disprezzo, l’isolamento e l’abiezione.
Io ti dico che non soltanto devi amare il male, il che è opera della virtù della pazienza; tu devi amare anche l’abiezione, e questo è opera dell’umiltà.
Ci sono poi delle virtù disprezzate e delle virtù onorate: la pazienza, la dolcezza, la semplicità e la stessa umiltà, per i mondani , sono virtù vili e da disprezzare; per contro stimano molto la prudenza, il valore, la liberalità.
Ci sono addirittura atti della stessa virtù che a volte sono disprezzati e a volte onorati; prendi, ad esempio, l’elemosina o il perdono delle offese; sono entrambi atti di carità: la prima è onorata da tutti, il secondo è disprezzato dal mondo. Un giovanotto o una ragazza che non si lasciano trascinare ai disordini di una brigata dissoluta nel parlare, nel giocare, nel ballare, nel bere, nel vestire come loro, saranno scherniti e criticati e il loro riserbo sarà chiamato bigottismo o esibizionismo. Amare queste conseguenze vuol dire amare la propria abiezione.
Passiamo a un altro campo: la visita agli ammalati. Se ti mandano dal più reietto secondo il mondo, per te sarà un’abiezione; per questo l’amerai. Se ti mandano da gente bene sarà un’abiezione secondo lo spirito, perché il merito e le virtù saranno minori; amerai anche quella abiezione. Se si cade nel bel mezzo della strada, oltre al male, ci trovi la vergogna; anche questa va amata. Ci sono alcune colpe che non comportano altro male all’infuori dell’abiezione; l’umiltà non esige che le commettiamo apposta, ma, che una volta commesse, non ce ne preoccupiamo. Si tratta di certe sciocchezze, mancanze di educazione, o sbadataggini, che vanno evitate finché si è in tempo, per comportarsi educatamente e con prudenza; ma una volta che ci siamo caduti, bisogna accettare l’abiezione che ne consegue ed accettarla di cuore per amore dell’umiltà.
Ma vado oltre: se per collera o mancanza di controllo, mi sono lasciata andare a parole indecorose o offensive di Dio e del prossimo, me ne pentirò sinceramente e sarò profondamente dispiaciuta per l’offesa che cercherò di riparare meglio che potrò; ma non lascerò passare l’occasione per accettare volentieri l’abiezione e il disprezzo che ricadranno su di me. Se fosse possibile separare le due cose, respingerei con forza il peccato e terrei umilmente l’abiezione.
Ma pur amando l’abiezione che deriva dal male, non bisogna arrendersi alle fatalità del male che ne è la causa; bisogna correre ai ripari. Occorre farlo in modo efficace e con cura, soprattutto poi, quando il male è soltanto una conseguenza.
Se sono afflitta da un male spregevole al volto, farò di tutto per guarire, senza far nulla perché sia dimenticata l’abiezione che me ne è venuta. Se ho commesso qualche cosa che non offende alcuno, non cercherò scuse, perché, pur trattandosi di un difetto, non è permanente; se mi scusassi sarebbe solo per evitare l’abiezione che me ne viene. Questo l’umiltà non lo permette. Ma, se per disattenzione o leggerezza, ho offeso o scandalizzato qualcuno, riparerò l’offesa con qualche scusa che risponda a verità; perché in tal caso, il male ha radici e la carità esige che lo sradichi.
Qualche volta capita anche che la verità esiga che poniamo rimedio all’abiezione per il bene del prossimo, al quale è necessaria la nostra buona reputazione; in tal caso pur togliendo l’abiezione dagli occhi del prossimo, per impedirne lo scandalo, dobbiamo rinchiuderla e nasconderla nel nostro cuore perché ne sia edificato.
Tu, Filotea, vuoi sapere quali sono le abiezioni migliori: ti dico subito, e senza esitazione, che quelle più utili all’anima e più gradite a Dio, sono quelle che incontriamo per caso o che sono legate alla nostra condizione; la ragione è che non le abbiamo scelte noi, ma le abbiamo ricevute come Dio ce le ha mandate. E Lui sa scegliere sempre meglio di noi. Se fosse necessario scegliere, ricordati che le più grandi sono le migliori; e sai quali sono le più grandi? Quelle maggiormente contrarie alle nostre inclinazioni, sempre, beninteso, in linea con la nostra vocazione. Te lo dico una volta per sempre: la nostra scelta e la nostra preferenza rovina, o almeno diminuisce, tutte le nostre virtù. Chi ci farà la grazia di poter dire con il grande Re Davide: “Ho scelto di essere abietto nella casa del Signore. Piuttosto che abitare nelle tende dei peccatori”?
Il solo che lo può, cara Filotea, è Colui che per innalzare noi, è vissuto e morto come obbrobrio degli uomini e abiezione del popolo.
Ti ho detto molte cose che potranno sembrarti dure quando ci rifletterai sopra; ma, credimi, risulteranno più dolci dello zucchero e del miele, quando le metterai in atto.


Capitolo VII
COME VA CONSERVATO IL BUON NOME PRATICANDO L’UMILTÀ

Per una virtù ordinaria non ci si scomoda a lodare, ad onorare, a dare gloria a chi la possiede; questo si fa soltanto quando la virtù è eccellente.
Con la lode, infatti non vogliamo portare gli altri ad avere stima per le ottime qualità di qualcuno; con l’onore facciamo sapere a tutti che quella stima noi l’abbiamo; la gloria, poi, a mio parere, è il lustro della reputazione che scaturisce dalla somma di molte lodi e onori: possiamo dire che le lodi e gli onori sono come pietre preziose, dalla composizione delle quali, come un gioiello, nasce la gloria.
L’umiltà non accetta che noi pensiamo di essere migliori e che abbiamo diritto di essere anteposti agli altri; non permette nemmeno che andiamo alla caccia di lodi, di onori, di gloria, cose che devono essere tributate soltanto all’ottimo.
Accetta il consiglio del Saggio che dice di aver cura del nostro buon nome, perché il buon nome è la stima, non dell’ottimo, ma soltanto di una semplice e ordinaria prudenza e onestà di vita, che l’umiltà non ci impedisce di riconoscere in noi stessi; di conseguenza non ci vieta di desiderarne il relativo buon nome.
È vero che l’umiltà disprezzerebbe il buono nome se la carità non ne avesse bisogno; ma visto che è uno dei fondamenti della società umana, e che, senza di essa, noi siamo addirittura dannosi per la gente e non soltanto inutili, a motivo dello scandalo che daremmo; la carità richiede e l’umiltà di buon grado accetta, che noi desideriamo e conserviamo con cura il buon nome.
Prendi a paragone le foglie degli alberi che, di per sé, non valgono gran che, e tuttavia rendono un grande servizio, non solo nel dare un bell’aspetto all’albero, ma anche nel proteggere i frutti finché sono teneri; è la stessa cosa per il buon nome che, per sé, non è da considerare fortemente; tuttavia è molto utile, non soltanto come abbellimento della vita, ma anche per proteggere le nostre virtù, in modo particolare quelle ancora tenere e deboli.
L’obbligo di conservare il buon nome e di essere realmente come la gente ci stima, esige che abbiamo un coraggio generoso sostenuto da una forte e dolce violenza.
Conserviamo le nostre virtù, cara Filotea, perché sono gradite a Dio, grande e sommo fine di tutte le nostre azioni; ma allo stesso modo che coloro i quali vogliono conservare i frutti, non si accontentano di fare marmellate, ma li sigillano in vasi adatti alla conservazione, così, pur rimanendo l’amore di Dio la principale garanzia per le nostre virtù, possiamo servirci, a tale scopo, anche del buon nome e con utilità.
Tuttavia nella difesa del nostro buon nome non dobbiamo essere troppo zelanti, esatti e puntigliosi: quelli che sono delicati e sensibili in modo esagerato per tutto ciò che concerne la loro reputazione, assomigliano a quelli che ingurgitano medicine per il minimo disturbo: costoro, infatti, volendo proteggere la loro salute, la rovinano del tutto; così, chi vuole, con troppa premura, proteggere il proprio buon nome, lo perde del tutto, e sai perché? La tenerezza verso se stessi rende strani, ribelli, insopportabili, pasto ideale per i maldicenti.
Non dar peso e disprezzare l’ingiuria e la calunnia, ordinariamente è un rimedio molto efficace del risentimento, della contestazione, della vendetta: il dispetto le rende evanescenti; chi se ne inquieta, invece, dà l’impressione di confessare.
I coccodrilli fanno del male soltanto a coloro che ne hanno paura; la maldicenza fa del male solo a chi se ne preoccupa.
Il timore eccessivo di perdere il buon nome dimostra mancanza di fiducia nel suo fondamento, che è la vita onesta. Le città dotate di ponti di legno su grandi fiumi, ad ogni alluvione temono di vederli travolti; quelle invece che sono dotate di ponti in pietra, temono soltanto in caso di piene eccezionali. Similmente coloro che hanno un’anima cristiana con solide basi, non fanno abitualmente caso alle alluvioni delle lingue malefiche; coloro invece che si sentono deboli, temono di essere travolti ad ogni occasione.
Chi vuol godere di un buon nome nei confronti di tutti, lo perde proprio nei confronti di tutti: merita di perdere l’onore chi vuole mendicarlo da coloro che il vizio ha reso indiscutibilmente infami e senza onore.
Il buon nome è l’insegna che indica dove alloggia la virtù; è evidente che la virtù viene prima. Ecco perché, se ti dicono: sei un ipocrita perché ti sei incamminata nella devozione; se ti considerano un uomo senza carattere perché hai perdonato un’ingiuria, lascia correre, non farci caso. Per prima cosa abbi presente che tali giudizi sono emessi da persone vuote e superficiali; quand’anche poi il buon nome si perdesse davvero, l’importante è non perdere la virtù e non deviare dal suo cammino; mi pare logico che si dia la preferenza ai frutti sulle foglie, ossia ai beni spirituali interiori su quelli esteriori. Va bene essere gelosi del proprio buon nome, ma non idolatri! È vero che non bisogna scandalizzare l’occhio dei buoni, ma nemmeno si deve contentare quello dei cattivi. La barba è un ornamento adatto al volto dell’uomo e i capelli a quello della donna: se si strappano alla radice i peli dal mento o i capelli dalla testa , probabilmente non rispunteranno più; ma se li tagli soltanto, o magari anche li radi, rispunteranno molto presto, più forti e più folti. Lo stesso avviene per il buon nome: la lingua dei maldicenti può tagliarlo o anche addirittura raderlo, giacché, dice Davide, è come un rasoio affilato; ma niente paura! Rispunterà presto più bello di prima e anche più forte! Se invece il nostro buon nome viene distrutto dai nostri vizi, dalle vigliaccherie, dalla nostra cattiva condotta, beh! Allora possiamo aspettare tutto il tempo che vogliamo, e non rispunterà! Sarà inutile l’attesa perché abbiamo estirpato la radice.
La radice del buon nome è la bontà e l’onestà della vita; finché sono presenti in noi, possono sempre rigenerare il buon nome giustamente conquistato.
Lascia quella vuota conversazione, quell’attività inutile, quell’amicizia frivola, quella compagnia equivoca, se danneggiano il tuo buon nome, perché il buon nome vale più di tutte quelle vuote soddisfazioni; ma se la gente mormora, riprova o calunnia perché ti impegni nella pietà per avanzare nella devozione e nel cammino verso il bene eterno, lascia abbaiare i cani contro la luna; anche se dovessero riuscire a costruire un’opinione negativa sul tuo buon nome, e in tal modo tagliare e radere i capelli e la barba del buon nome, sta tranquilla che presto rispunterà. Il rasoio della maldicenza sarà utile al tuo onore, come la roncola alla vigna, perché la rende copiosa di frutti.
Teniamo sempre gli occhi fissi a Gesù Cristo crocifisso, camminiamo al suo servizio con fiducia e semplicità, accompagnata da saggezza e devozione: sarà lui a proteggere il nostro buon nome. Se permette che ci sia tolto è solo per darcene uno migliore o per favorirci nella crescita dell’umiltà. Ricorda bene che un’oncia di umiltà vale più di mille libre di onore.
Se veniamo ripresi ingiustamente, opponiamo serenamente la verità alla calunnia; se persiste, insistiamo nell’umiltà. Mettiamo il nostro buon nome, unitamente alla nostra anima nelle mani di Dio,; non potremo trovare migliore garanzia.
Serviamo Dio nella buona e nella cattiva fama, sull’esempio di S. Paolo; potremo così dire con Davide: Mio Dio, è soltanto per Te che ho sopportato l’obbrobrio e che ho tollerato che la vergogna coprisse il mio volto.
Faccio eccezione per certi crimini talmente atroci e infamanti che nessuno deve accettare di vedersene attribuita la paternità; anzi bisogna liberarsi anche del sospetto se si può fare nel rispetto della giustizia.
La stessa eccezione va fatta per le persone dal cui buon nome dipende l’edificazione di molti; in tali casi è necessario perseguire la riparazione del torto ricevuto, e questo secondo la più rigorosa morale teologica.


Capitolo VIII
LA DOLCEZZA VERSO IL PROSSIMO E IL RIMEDIO CONTRO L’IRA

Il sacro crisma che, per tradizione apostolica, la Chiesa usa nelle confermazioni e nelle benedizioni, è composto di olio di oliva e balsamo: questi due elementi ricordano, tra l’altro, le due meravigliose virtù che risplendevano in modo particolare nella persona di Nostro Signore. Egli ce le ha raccomandate personalmente, quasi che, per mezzo di esse soltanto, il nostro cuore possa essere consacrato al suo servizio e trascinato ad imitarlo: Imparate da me, dice, che sono mite e umile di cuore.
L’umiltà ci fa crescere in perfezione davanti a Dio e la dolcezza davanti al prossimo. Il balsamo che, come ho detto sopra, scende sempre a fondo, raffigura l’umiltà, e l’olio di oliva, che rimane sempre in superficie, raffigura la dolcezza e la bonomia, che superano tutte le virtù ed eccellono quali splendidi fiori della carità che, stando a s. Bernardo, raggiunge la perfezione quando non è soltanto paziente, ma anche dolce e affabile.
Fa attenzione, Filotea: questo mistico crisma composto di dolcezza e di umiltà deve trovarsi dentro al tuo cuore; l’abile inganno del nemico, infatti, è quello di far sì che molti si fermino alle parole ed agli atteggiamenti esterni di queste due virtù, per cui, nella loro imperdonabile superficialità, pensano di essere umili e dolci, mentre non lo sono affatto; e si tradiscono perché, nonostante la loro cerimoniosa dolcezza e umiltà, alla minima parola leggermente scortese, alla più piccola ingiuria, scattano con un’arroganza inaspettata.
Si dice che coloro i quali si sono immunizzati per mezzo del controveleno chiamato comunemente “la grazia di S. Paolo”, se vengono punti o morsicati d una vipera, non si gonfiano, a condizione che “la grazia” fosse di prima qualità. Quando l’umiltà e la dolcezza sono vere e sincere capita la stessa cosa: ci difendono dal gonfiore e dal bruciore che le ingiurie abitualmente provocano nei nostri cuori. Ne consegue che se reagisci mostrandoti orgogliosa, gonfia d’ira, indispettita, allorché sei punta e morsicata dalle male lingue, vuole dire che la tua umiltà e la tua dolcezza non sono profonde e sincere ma soltanto superficiali ed epidermiche.
Il santo ed illustre Patriarca Giuseppe, quando dall’Egitto rispedì i fratelli a casa del padre, diede loro un consiglio: Per via, non adiratevi.
A te dico la stessa cosa, Filotea. Questa vita terrena è soltanto un cammino versa quella beata, non adiriamoci dunque per la strada gli uni contro gli altri; camminiamo tranquillamente e in pace con i fratelli e i compagni di viaggio.
Con chiarezza, e senza eccezioni, ti dico: Se ti è possibile, non inquietarti affatto, non deve esistere alcun pretesto perché tu apra la porta del cuore all’ira. S. Giacomo, senza tanti giri di parole, dice chiaramente: L’ira dell’uomo non opera la giustizia di Dio.
Bisogna resistere seriamente al male e reprimere i vizi di coloro di cui abbiamo la responsabilità, con costanza e con decisione, ma sempre con dolcezza e serenità. Niente calma un elefante infuriato come la vista di un agnellino e nulla attenua la violenza delle cannonate come la lana.
La correzione dettata dalla passione, anche quando ha basi ragionevoli, ha molto meno efficacia di quella che viene unicamente dalla ragione; questo perché l’anima ragionevole sa cedere alla ragione, ma rifiuta di piegarsi alla passione ed alla tirannia. Di modo che la ragione accompagnata dalla passione è odiosa, perché la sua giusta autorità è avvilita dall’alleanza con la tirannia.
I Principi, quando fanno visita con un seguito di pace, onorano e danno gioia ai popoli; ma quando arrivano con i soldati, anche se è per il bene pubblico, la loro visita è sempre sgradita e apportatrice di danni; perché, anche qualora riescano a far osservare rigorosamente la disciplina ai loro soldati, non potranno mai riuscire ad impedire che scoppi qualche disordine, in cui il civile ha la peggio e viene oppresso.
Allo stesso modo, quando domina la ragione e distribuisce pacificamente castighi, correzioni, rimproveri, anche se lo fa con rigore e severità, tutti le vogliono bene ugualmente e approvano il suo operato; ma se porta con sé l’ira, la collera, la stizza, che, dice S. Agostino, sono i suoi soldati, da amabile diventa piuttosto temibile e il cuore ne esce sempre maltrattato e calpestato. Dice sempre S. Agostino, scrivendo a Profuturo: È meglio chiudere la porta all’ira giusta e imparziale, anche se di minime proporzioni, perché, una volta entrata, è molto difficile farla uscire, poiché entra come un piccolo germoglio, e in brevissimo tempo, cresce e diventa un albero.
Che se poi giunge fino alla notte e il sole tramonta sulla nostra ira, ciò che l’Apostolo proibisce, si tramuta in odio e non te ne liberi più. Perché essa si nutre di mille false convinzioni. Non si è mai trovato un uomo adirato il quale fosse convinto che la sua ira era ingiusta.
Meglio imparare a vivere senza collera, che volersi servire con moderazione e saggezza della collera, e quando, a causa della nostra imperfezione e debolezza, ci coglie di sorpresa, è meglio respingerla immediatamente che voler entrare in trattativa con essa. E sai perché? Per poco che tu le conceda, diventa subito padrona della piazza e fa come il serpente che, dove riesce a far passare la testa, fa passare tutto il corpo.
Ma come faccio a respingerla? Dirai. Semplicissimo, ti rispondo. Al primo allarme raccogli tutte le tue forze, non con precipitazione e violenza, ma con dolcezza, tuttavia con serio impegno. Hai notato quello che accade nelle sedute di molti senati e parlamenti? Gli uscieri che gridano: zitti là o zitti qui, fanno più confusione di quelli che vorrebbero far tacere. Allo stesso modo, può capitarci che quando con forza vogliamo reprimere la collera, provochiamo più agitazione nel nostro cuore di quanta non ne avrebbe causata la collera; il cuore così agitato non riesce più ad essere padrone di se stesso.
Dopo questo sforzo compiuto con calma, segui il consiglio che S. Agostino, già vecchio, diede al giovane Vescovo Ausilio: Fa ciò che deve fare un uomo; e se ti capita ciò che l’uomo di Dio dice nel Salmo: Il mio occhio è turbato da grande collera, ricorri a Dio e grida: Abbi misericordia di me, Signore; e così egli stenderà la sua mano destra e reprimerà la tua collera.
Voglio dire che bisogna invocare l’aiuto di Dio, quando ci sentiamo agitati dalla collera, ad imitazione degli Apostoli, sballottati sul mare dal vento e dalla tempesta: comanderà alle nostre passioni e subentrerà una grande calma. Ma non mi stancherò mai di ripeterti che l’orazione che si fa contro la collera in atto che ci sta travolgendo, deve essere fatta con dolcezza, tranquillità, non con violenza. È una norma generale per tutti i rimedi contro questo male.
Di più, appena ti accorgi che ti sei lasciata andare a qualche atto di collera, rimedia con un atto di dolcezza, nei confronti della stessa persona con cui ti sei irritata.
Rimedio sovrano contro la menzogna, è correggerla subito, appena uno si accorge di averla detta; per la collera bisogna agire nello stesso modo: appena ti accorgi di esserci caduta, ripara subito con un atto contrario di dolcezza. C’è un detto che fa al caso nostro: la piaga recente si cura meglio.
Fa qualche cosa di più: quando sei calma e senza alcun motivo di collera, fa rifornimento di dolcezza e di affabilità, parlando e agendo, nelle tue azioni piccole e grandi, nel modo più cortese che ti sarà possibile, ricordandoti che la Sposa, nel Cantico dei Cantici, non soltanto ha il miele sulle labbra e sulla lingua, ma anche nel petto, ove non c’è soltanto miele, ma anche latte. Perché non basta avere la parola dolce nei confronti del prossimo, bisogna averla anche nel petto, ossia nell’intimo della nostra anima. Non basta nemmeno avere la dolcezza del miele, che è aromatico e profumato, e raffigura la dolcezza della conversazione educata con gli estranei, ma bisogna avere anche la dolcezza del latte verso i familiari e i vicini: in questo mancano seriamente quelli che sono angeli per la strada e diavoli in casa.


Capitolo IX
LA DOLCEZZA VERSO NOI STESSI

Uno dei metodi più efficaci per conseguire la dolcezza è quello di esercitarla verso se stessi, non indispettendosi mai contro di sé e contro le proprie imperfezioni. È vero che la ragione richiede che quando commettiamo errori ne siamo dispiaciuti e rammaricati, ma non che ne proviamo un dispiacere distruttivo e disperato, carico di dispetto e di collera. E in questo molti sbagliano grossolanamente perché si mettono in collera, poi si infuriano perché si sono infuriati, diventano tristi perché si sono rattristati, e si indispettiscono perché si sono indispettiti. In tal modo conservano il cuore come frutta candita a bagno nella collera: può anche sembrare che la seconda collera elimini la prima, ma in realtà è soltanto per fare spazio maggiore alla seconda, alla prima occasione.
C’è di più: queste collere e amarezze contro di se stessi portano all’orgoglio e sono soltanto espressione di amor proprio, che si tormenta e si inquieta per le imperfezioni. Il dispiacere che dobbiamo avere per le nostre mancanze deve essere sereno, ponderato e fermo; un giudice punisce molto meglio i colpevoli quando emette sentenze ragionevoli in ispirito di serenità, che quando procede con aggressività e passione. In tal caso non punirebbe le colpe secondo la loro natura, ma secondo la propria passione. Allo stesso modo noi puniamo molto meglio noi stessi se usiamo correzioni serene e ponderate e non aspre, precipitose e colleriche; tanto più che queste correzioni fatte con irruenza non sono proporzionate alle nostre colpe ma alle nostre inclinazioni.
Per esempio, chi è attaccato alla castità, andrà su tutte le furie e sarà inconsolabilmente amareggiato per la minima colpa contro di essa, e poi farà le matte risate per una gravissima maldicenza commessa. Per contro, chi odia la maldicenza, andrà in crisi per una leggera mormorazione e non darà peso ad una grave mancanza contro la castità; e così via. E questo capita perché la coscienza di costoro non giudica secondo ragione, ma secondo passione.
Devi credermi, Filotea: le osservazioni di un papà, se fatte con dolcezza e cordialità, hanno molta più efficacia per correggere il figlio, della collera e delle sfuriate. La stessa cosa avviene quando il nostro cuore è caduto in qualche colpa: se lo riprendiamo con osservazioni dolci e serene e gli dimostriamo più compassione che passione, lo incoraggiamo a correggersi, il pentimento sarà molto più profondo e lo compenetrerà più di quanto non farebbe un pentimento pieno di dispetto, di ira e di minacce.
Per conto mio, posto che ci tenessi molto a non cadere nel vizio di vanità, e ciononostante ci fossi caduto, e seriamente, non vorrei correggere il mio cuore con parole come le seguenti: Guarda quanto sei miserabile e abominevole; dopo tante risoluzioni, guarda come ti sei lasciato travolgere! Muori di vergogna, non azzardarti più ad alzare gli occhi verso il cielo; cieco, svergognato, traditore e sleale con il tuo Dio, e simili cose. Io procederei invece, ragionevolmente, con compassione: Coraggio, mio povero cuore, eccoci caduti nella trappola da cui avevamo promesso di stare lontano; rialziamoci e liberiamocene per sempre, invochiamo la misericordia di Dio e speriamo in essa; d’ora in poi ci darà la sua assistenza per renderci più decisi, rimettiamoci in cammino con umiltà.
Coraggio, d’ora in poi stiamo in guardia, Dio ci aiuterà, ce la faremo. E su questa correzione vorrei costruire un solido e fermo proposito di non ricaderci più, prendendo i mezzi più idonei a tal fine, compreso il parere del mio direttore spirituale.
Se poi qualcuno pensasse di non essere sufficientemente scosso da questo tipo di correzione, potrebbe servirsi di un richiamo o di un rimprovero duro e forte per provocare una vergogna profonda, purché, dopo aver rudemente sgridato e strapazzato il proprio cuore, chiuda con una consolazione, ponendo termine alla sua amarezza e al suo corruccio con una dolce e santa fiducia in Dio, ad imitazione di quel grande penitente che, vedendo un’anima afflitta, la risollevava in questo modo: Perché sei triste, anima mia? Perché mi turbi? Spera in Dio, io lo benedirò ancora perché è la salvezza del mio volto e il mio vero Dio.
Rialza dunque dolcemente il tuo cuore quando cade, umiliati grandemente davanti a Dio alla conoscenza della tua miseria; ma non meravigliarti della tua caduta: è naturale che l’infermità sia malata, che la debolezza sia debole, e la miseria sia misera. Disprezza con tutte le forze l’offesa che Dio ha ricevuto da te e, con coraggio e fiducia nella sua misericordia, rimettiti nel cammino della virtù, che avevi abbandonato.


Capitolo X
LE OCCUPAZIONI VANNO AFFRONTATE CON ATTENZIONE,
MA SENZA PRECIPITAZIONE E FRETTA ECCESSIVA

La cura e la diligenza che dobbiamo mettere nelle nostre occupazioni non hanno nulla in comune con l’ansia, l’apprensione e la fretta eccessiva.
Gli Angeli hanno cura della nostra salvezza e la procurano con diligenza, ma senza ansia, apprensione e fretta; la cura e la diligenza sono espressione della loro carità, mentre l’ansia, l’apprensione e la fretta sarebbero contrarie al loro stato di beatitudine; giacché la cura e la diligenza possono essere compagne della serenità e della pace dello spirito; non invece l’ansia, la preoccupazione, e ancor meno l’angustia precipitosa.
Sii dunque accurata e diligente in tutte le responsabilità che ti saranno affidate, Filotea; se Dio te le ha affidate, tu ne devi avere grande cura; ma se ti è possibile, non cadere nell’ansia e nell’apprensione, ossia non affrontarle con cuore inquieto, ansioso e tormentato.
Non agire con precipitazione nel compimento dei tuoi doveri: la precipitazione turba la ragione e il giudizio, e ci impedisce di compiere bene proprio quello verso cui ci precipitiamo!
Quando Nostro Signore riprende Marta, dice: Marta, Marta, sei ansiosa e ti agiti per molte cose. Vedi, se ella fosse stata semplicemente premurosa, non si sarebbe agitata; ma è proprio perché era preoccupata e inquieta che si affretta e si agita, ed è proprio questo che Nostro Signore le rimprovera.
I fiumi che scorrono dolcemente nella pianura portano grandi battelli con ricche merci; le piogge che cadono dolcemente sulla campagna la rendono feconda di foraggi e di grano; ma i torrenti ed i corsi d’acqua che precipitano a valle con rapide e cascate, rovinano le campagne circostanti e non sono utili al traffico; lo stesso fanno le piogge violente e tempestose che travolgono i terreni lavorati e rovinano i pascoli. Un lavoro fatto con violenza e precipitazione non riesce mai bene: Bisogna affrettarsi con calma, dice l’antico proverbio.
Colui che ha fretta, dice Salomone, corre il rischio di inciampare e urtare contro tutto. Facciamo sempre abbastanza presto quando facciamo bene.
I fuchi fanno molto più rumore e si spostano con molta più fretta della api, ma producono soltanto cera, non miele. Più o meno fanno la stessa cosa coloro che si affrettano con un’ansia bruciante e con un’apprensione disordinata: finiscono con il fare poco e male!
Le mosche non ci danno noia per la mole, ma per il numero: allo stesso modo si può dire che le occupazioni importanti non ci mettono in agitazione come le piccole, perché queste si presentano molto numerose.
Accetta in pace le incombenze che ti capitano, e cerca di portarle a termine con ordine, una dopo l’altra. Se vuoi farle tutte in una volta e disordinatamente, farai soltanto sforzi che ti angustieranno e prostreranno il tuo spirito; e finirai quasi sempre schiacciato sotto il loro peso e senza risultato.
In tutte le tue occupazioni appoggiati completamente alla Provvidenza di Dio, che è la sola che possa dare compimento ai tuoi progetti; tuttavia, da parte tua, lavora dolcemente per cooperare con essa , e sii certa che se confidi in Dio, il risultato che conseguirai sarà sempre il migliore per te, sia che ti sembri personalmente buono che cattivo.
Fa come i bambini che con una mano si aggrappano a quella del papà e con l’altra raccolgono le fragole e le more lungo le siepi; anche tu fai lo stesso: mentre con una mano raccogli e ti servi dei beni di questo mondo, con l’altra tinti aggrappata al Padre celeste, volgendoti ogni tanto verso di Lui, per vedere se le tue occupazioni e i tuoi affari sono di suo gradimento. Fa attenzione a non lasciare la sua mano e la sua protezione, pensando così di raccogliere e accumulare di più. Se il Padre celeste ti lascia non farai più nemmeno un passo, ma finirai subito a terra. Voglio dire, Filotea, che quando sarai in mezzo agli affari e alle occupazioni ordinarie, che non richiedono un’attenzione molto accurata e assidua, guarda Dio più delle occupazioni; quando gli affari sono così importanti che richiedono tutta la tua attenzione per riuscire bene, ogni tanto dà uno sguardo a Dio, come fanno coloro che navigano in mare i quali per raggiungere il porto previsto, guardano più il cielo che la nave. Così Dio lavorerà con te, in te e per te, e il tuo lavoro sarà accompagnato dalla gioia.


Capitolo XI
L’OBBEDIENZA

Soltanto la carità ci eleva alla perfezione; ma l’obbedienza, la povertà e la castità sono i tre grandi mezzi per acquistarla. L’obbedienza consacra il nostro cuore, la castità il nostro corpo, e la povertà i nostri beni all’amore e al servizio di Dio: sono i tre bracci della croce spirituale, che poggiano sul quarto che è l’umiltà.
Non intendo parlare di queste virtù in quanto oggetto di voto pubblico; riguarda soltanto i religiosi; e nemmeno in quanto oggetto di voto privato, perché il voto aggiunge sempre grazie e meriti a tutte le virtù. Tuttavia per portarci a perfezione non è necessario che siano oggetto di voto; l’importante è che siano vissute.
Quando sono legate al voto, soprattutto se pubblico, mettono l’uomo nello stato di perfezione; per metterlo invece semplicemente nella perfezione è sufficiente viverle. C’è molta differenza tra lo stato di perfezione e la perfezione: tutti i vescovi e i religiosi sono nello stato di perfezione, ma non per questo sono nella perfezione, il che si vede anche troppo!
Sforziamoci, Filotea, di mettere bene in pratica queste tre virtù, ciascuno secondo la propria vocazione; è vero che non ci mettono nello stato di perfezione, ma ci daranno l’autentica perfezione; tutti siamo obbligati a praticare queste tre virtù, anche se non tutti allo stesso modo.
Due sono i generi d’obbedienza: l’obbligatoria e la volontaria. In forza dell’obbligatoria devi obbedire umilmente ai tuoi superiori ecclesiastici, come il papa, il vescovo, il parroco e i loro rappresentanti; devi poi obbedire ai tuoi superiori civili, ossia il principe e i magistrati da lui preposti al governo del tuo paese; poi devi ubbidire anche ai tuoi superiori familiari, ossia tuo padre, tua madre, il padrone e la padrona. Questa obbedienza si chiama obbligatoria perché nessuno può dispensarsi dall’obbligo di ubbidire ai superiori sunnominati, perché è Dio che ha dato loro l’autorità di comandare e di governare, ognuno nei suoi limiti. Fa dunque quello che ti è comandato. È necessario. Ma per essere perfetto devi seguire i loro consigli e anche i loro desideri e le preferenze nella misura in cui te lo permettono la prudenza e la carità. Obbedisci quando ti ordinano una cosa gradevole, come mangiare, prendere un po’ di ricreazione; può anche sembrare che non ci sia grande virtù ad obbedire in queste cose. È certo che sarebbe un difetto grave disobbedire.
Obbedisci alle cose indifferenti, quali indossare un abito anziché un altro, passare per una strada anziché per un’altra, cantare o tacere; sarà un’obbedienza molto preziosa. Obbedisci nelle cose difficili, aspre e dure; quella sarà un’obbedienza perfetta.
Obbedisci poi con dolcezza, senza repliche; con prontezza, senza ritardi; con gioia, senza tristezza; soprattutto obbedisci con amore, per amore di colui che, per amor nostro, si è fatto obbediente fino alla morte in Croce, e che, come dice S. Bernardo, preferì rinunciare alla vita piuttosto che all’obbedienza.
Per imparare ad obbedire con facilità ai tuoi superiori, accondiscendi senza difficoltà alla volontà dei tuoi pari, cedendo al loro parere in ciò che non ha nulla di male, lasciando da parte un comportamento litigioso ed aspro; adattati volentieri ai desideri dei tuoi inferiori nei limiti del ragionevole, senza prendere atteggiamenti intransigenti d’autorità, almeno finché si comportano bene.
È falso credere che da religioso o da religiosa ci sarebbe più facile obbedire; sarebbe la stessa cosa. Se ora troviamo difficile ed arduo obbedire a coloro che Dio ci ha preposto, nulla cambierebbe mutando stato!
Chiamiamo obbedienza volontaria quella cui ci leghiamo per nostra scelta, e che non ci è imposta da alcuno. Abitualmente il principe e il vescovo non li scegliamo noi, né il padre, né la madre; qualche volta nemmeno il marito. Ma scegliamo invece il confessore e il direttore spirituale. Ora, sia che alla scelta si aggiunga il voto di obbedirgli, come fece S. Teresa che, oltre all’obbedienza solenne votata al superiore dell’Ordine, si era obbligata con voto semplice, ad obbedire al P. Graziano; o anche senza voto, si prometta obbedienza a qualcuno, questa rimarrà sempre un’obbedienza volontaria, perché è decisa dalla nostra volontà in base alla nostra scelta.
Bisogna ubbidire a tutti i superiori, a ciascuno nel campo che lo riguarda. Per ciò che riguarda lo Stato e la cosa pubblica, bisogna ubbidire alle autorità civili; per ciò che riguarda il campo religioso, ai vescovi; per le cose di casa, al padre, al marito, al padrone; per la guida personale dell’anima al confessore e al direttore.
Fatti indicare dal padre spirituale gli esercizi di pietà che devi praticare; riusciranno meglio ed avranno doppia grazia e doppio valore: la prima, per se stessi, perché sono pii esercizi; l’altra la ricevono dall’obbedienza che li ha prescritti e in virtù della quale sono compiuti. Gli obbedienti sono dei fortunati, perché il Signore non permetterà mai che si perdano.


Capitolo XII
LA NECESSITÀ DELLA CASTITÀ

La castità è il giglio delle virtù; rende gli uomini simili agli Angeli. Niente è bello se non è puro, e la purezza degli uomini è la castità. Alla castità si dà il nome di onestà, e alla sua conservazione, onore, Viene anche chiamata integrità e il contrario corruzione. Gode di gloria tutta speciale perché è la bella e splendida virtù dell’anima e del corpo.
Non è mai permesso prendere piaceri impudichi dai nostri corpi, poco importa in che modo. Li legittima soltanto il matrimonio che, con la sua santità, compensa il discredito insito nel piacere. Anche nel matrimonio bisogna avere cura che l’intenzione sia onesta, perché se ci dovesse essere qualche sconvenienza nel piacere che si prende, ci sia sempre l’onestà nell’intenzione che lo ha cercato.
Il cuore casto è come la madreperla, che può ricevere soltanto le gocce d’acqua che scendono dal cielo, giacché può accogliere soltanto i piaceri del matrimonio, che viene dal cielo. Fuori da ciò non deve nemmeno tollerare il pensiero voluttuoso, volontario e prolungato.
Come primo grado in questa virtù, Filotea, guarda di non accogliere in te alcun genere di piacere inammissibile e proibito, quali sono tutti quelli che si prendono fuori del matrimonio, o anche nel matrimonio, se si prendono contro le regole del matrimonio.
Come secondo grado, taglia, per quanto ti sarà possibile, anche i piaceri inutili e superflui, benché permessi e leciti.
Per il terzo, non legare il tuo affetto ai piaceri e alle soddisfazioni che sono comandate e prescritte; è vero che bisogna prendere i piaceri necessari, ossia quelli che sono legati al fine e alla natura stessa del santo matrimonio, ma non per questo devi impegnare in essi il cuore e lo spirito.
Del resto, tutti hanno molto bisogno di questa virtù. Coloro che vivono nella vedovanza devono avere una castità coraggiosa, che non soltanto disprezza le occasioni presenti e le future, ma resiste alle fantasie che i piaceri leciti provati nel matrimonio possono suscitare nel loro spirito, che per questo sono più sensibili alle suggestioni poco oneste.
È questa la ragione per cui S. Agostino ammira la purezza del suo caro Alipio, che aveva completamente dimenticato e non teneva in alcun conto i piaceri carnali, che aveva conosciuto, almeno in parte, nella sua giovinezza. Prendi a paragone i frutti: un frutto sano e intero può essere conservato o nella paglia o nella sabbia o nelle proprie foglie; ma una volta intaccato, è impossibile conservarlo se non facendone marmellata con l’aggiunta di miele o di zucchero; così avviene per la castità non ancora ferita e contaminata: sono tanti i modi per conservarla, ma una volta intaccata, può conservarla soltanto una devozione eccellente che, come ho detto spesso, è l’autentico miele e lo zucchero delle anime.
Le vergini hanno bisogno di una devozione semplice e delicata, per bandire dal loro cuore ogni genere di pensieri curiosi ed eliminare con un disprezzo totale ogni genere di piacere immondo che, a essere sinceri, non meritano nemmeno di essere considerato dagli uomini, visto che i somari e i porci li superano in questo campo.
Quelle anime pure stiamo bene attente; senza alcun dubbio dovranno sempre avere per certo che la castità è incomparabilmente molto meglio di tutto ciò che le è contrario; il nemico, infatti, dice S. Girolamo, spinge fortemente le vergini al desiderio di provare il piacere. A tal fine lo rappresenta loro molto più attraente e delizioso di quanto non sia; questo le turba molto, dice quel Padre, perché pensano che quello che non conoscono sia più dolce.
La piccola farfalla ci è maestra: vedendo la fiamma così bella vuol provare se non sia altrettanto dolce; e, spinta da questo desiderio, non si arrende finché, alla prima prova, ci rimane. I giovani agiscono allo stesso modo: si lasciano talmente affascinare dal falso e vuoto luccichio delle fiamme del piacere che, dopo averci girato intorno con mille pensieri curiosi, finiscono per cadere e perdersi. In questo sono più sciocchi delle farfalle, perché quelle, in una certa misura, hanno motivo di pensare che il fuoco sia anche buono perché è veramente bello; mentre questi sanno bene che quello che vogliono è disonesto, ma non per questo tagliano la stima folle ed esagerata che hanno del piacere.
Per gli sposati dico che è sicuro, anche se la gente comune non riesce a pensarlo, che la castità è loro molto necessaria; per essi non consiste nell’astenersi in modo totale dai piaceri carnali, ma nel sapersi moderare. Ora, a mio parere, il comando: Adiratevi e non peccate, è più difficile di quest’altro: Non adiratevi affatto. Riesce più facile evitare la collera che controllarla. Lo stesso si può dire dei piaceri carnali: è più facile astenersene completamente che essere moderati.
È vero che la grazia del sacramento del matrimonio dà una forza particolare per attenuare il fuoco della concupiscenza, ma la debolezza di coloro che ne usufruiscono passa facilmente alla permissività, poi alla dissoluzione, dall’uso all’abuso.
Molti ricchi sono ladri, non per bisogno, ma per avarizia. Così molta gente sposata ruba piaceri disordinati solo per mancanza di padronanza e lussuria, benché abbiano un campo legittimo sufficientemente ampio nel quale muoversi; la loro concupiscenza assomiglia a un fuoco fatuo, che balla qua e là senza fermarsi in alcun luogo.
È sempre pericoloso prendere medicine troppo forti, perché qualora se ne prenda più della giusta dose, o anche se la medicina non è stata ben preparata, ce ne viene del danno: il matrimonio è stato istituito, in parte, anche quale rimedio della concupiscenza; senz’altro è un rimedio di ottima efficacia, ma , attenzione, perché è molto forte, di conseguenza può essere molto pericoloso se non è usato con discrezione.
Aggiungo che i casi della vita, oltre alle lunghe malattie, spesso separano i mariti dalle mogli. Ecco perché gli sposati hanno bisogno di due generi di castità: la prima, per essere capaci di vivere in astinenza assoluta quando sono separati, nelle occasioni cui ho appena accennato; la seconda, per essere capaci di moderarsi, quando vivono insieme.
S. Caterina da Siena vide tra i dannati dell’inferno molti che erano tormentati con supplizi particolarmente atroci per avere profanato la santità del matrimonio: e questo era loro capitato, diceva, non per la gravità del peccato in sé, perché gli omicidi e le bestemmie sono più gravi, ma perché coloro che li avevano commessi vi avevano preso l’abitudine senza più farci caso, e così avevano persistito negli stessi per lungo tempo.
Vedi dunque che la castità è necessaria a tutti. Procura di essere in pace con tutti, dice l’Apostolo, e di possedere la santità senza di cui nessuno vedrà Dio. Ora, per santità, secondo S. Girolamo e S. Giovanni Crisostomo, intende la castità.
Filotea, è proprio vero, nessuno vedrà Dio se non è casto, nessuno abiterà nella sua santa tenda se non è puro di cuore; e, come dice il Salvatore stesso: I cani e i peccatori di sensualità ne saranno esclusi, e beati i puri di cuore perché vedranno Dio.


Capitolo XIII
CONSIGLI PER CONSERVARE LA CASTITÀ

Filotea, tienti lontana dagli inganni e dagli allettamenti della sensualità. È un cancro che corrode impercettibilmente; e da inizi invisibili ti porta in breve a situazioni incontrollabili; è più facile evitarlo che guarirlo.
I corpi umani assomigliano a vasi di vetro che non possono essere trasportati insieme senza porre qualche cosa tra l’uno e l’altro; senza tale precauzione, il rischio di mandarli in pezzi è molto grande. Anche la frutta ci può insegnare qualcosa: infatti anche se la frutta che trasporti è sana e matura al punto giusto, rischi di ammaccarla tutta sballottandola, se non metti qualcosa tra un frutto e l’altro. Anche l’acqua, per limpida che sia, quando la versi in un vaso, se ci mette il muso un animale sporco la sua limpidezza è svanita. Non permettere mai, Filotea, che qualcuno ti tocchi in modo screanzato, né per leggerezza, né per amicizia; è vero che, volendo, la castità può essere conservata anche in simili situazioni, che sanno più di leggerezza che di malizia; ma la freschezza del fiore della castità ne soffre sempre e ci perde qualche cosa. Se poi uno si lascia toccare in modo disonesto, è la fine totale della castità.
La castità ha la sua radice nel cuore, ma è il corpo la sua abitazione; ecco perché si perde a causa dei sensi esteriori del corpo e per i pensieri e i desideri del cuore. Guardare, ascoltare, parlare, odorare, toccare cose disoneste è impudicizia se il cuore vi si immerge e ci prende piacere. S. Paolo taglia corto: La fornicazione non deve nemmeno essere nominata tra di voi.
Le api evitano nel modo più assoluto di toccare le carogne, ma non basta: fuggono e non riescono nemmeno a sopportare il lezzo che ne emana. Nel Cantico dei Cantici, la Sposa dalle mani distilla mirra, profumo che preserva dalla corruzione; le sue labbra sono coperte di un nastro rosso, segno del pudore delle sue parole; i suoi occhi assomigliano a quelli di una colomba per la loro purezza; il suo naso è incorruttibile come i cedri del Libano. È così l’anima devota deve essere: casta, pura, onesta di mani, di labbra, di orecchie, di occhi e di corpo.
A questo proposito ti riporto quello che dice il padre [del deserto] Cassiano, come uscito dalla bocca del grande S. Basilio, che disse un giorno, parlando di se stesso: Non ho mai conosciuto donne eppure non sono vergine. La castità si può perdere in tanti modi quanti sono i generi di impudicizie e di lascivie, che poi, secondo che sono grandi o piccole, l’indeboliscono, la feriscono, o la fanno morire del tutto. Certe familiarità, certe passioncelle leggere e un po’ sensitive, a voler essere nel giusto, non ledono gravemente la castità; tuttavia la indeboliscono, la rendono malaticcia e offuscano il suo splendore. Ci sono poi altre familiarità e passioni, che non sono soltanto indiscrete, ma viziose; non soltanto leggere, ma disoneste; non soltanto sensitive, ma carnali; la castità da queste ne rimarrà sempre almeno ferita e paralizzata. Ho detto almeno, perché abitualmente muore e scompare del tutto quando le leggerezze e le lascivie danno alla carne il massimo del piacere voluttuoso, perché in tal caso, la castità perisce nel modo più indegno, perverso e infelice che si possa immaginare. È peggio di quando si perde per fornicazione, adulterio e incesto, perché questi ultimi sono soltanto peccati, ma gli altri, dice Tertulliano, nel libro dell’Impudicizia, sono ‘mostri’ di iniquità e di peccato.
Cassiano non crede, e io nemmeno, che S. Basilio si riferisca a queste sregolatezze, quando dice di non essere più vergine; penso che si riferisse soltanto ai cattivi pensieri di sensualità che, pur non avendo contaminato il corpo, avevano contaminato il cuore, della cui castità, abitualmente, le anime riservate sono molto gelose.
Nel modo più assoluto, Filotea, non frequentare le persone licenziose, soprattutto se in più, sono anche svergognate, il che avviene quasi sempre; sai perché? Sono come i caproni che, leccando i mandorli dolci, li rendono amari.
Quelle anime maleodoranti e quei cuori infetti non riescono a conversare con alcuno, poco importa di quale sesso, senza trascinarlo in qualche modo nell’impudicizia. Hanno il veleno negli occhi e nell’alito come i basilischi.
Frequenta piuttosto le persone caste e virtuose, pensa e leggi spesso cose sante, perché la Parola di Dio è casta e rende casti coloro che vi si compiacciono; sicché Davide la paragona al topazio, pietra preziosa, che ha la proprietà di calmare l’ardore della concupiscenza.
Tienti sempre vicino a Gesù Cristo crocifisso; fallo spiritualmente con la meditazione e realmente con la santa Comunione: perché allo stesso modo che coloro i quali si coricano sull’erba detta “agnus castus” diventano casti e puri, se tu riposi il cuore su Nostro Signore, che è il vero Agnello casto e immacolato, scoprirai presto che la tua anima e il tuo corpo sono mondati da tutte le sozzure e le sensualità.


Capitolo XIV
LA POVERTÀ DI SPIRITO OSSERVATA NELLE RICCHEZZE

Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli; infelici dunque i ricchi di spirito, perché li aspetta la miseria dell’inferno.
Il ricco di spirito è quello che ha le ricchezze nel cuore e il cuore nelle ricchezze; il povero di spirito è colui che non ha né le ricchezze nel cuore, né il cuore nelle ricchezze. Gli alcioni fanno i nidi in forma di palma e vi lasciano soltanto una piccola apertura in alto. Li piazzano sulla riva del mare e li costruiscono così solidi e impermeabili che se anche le onde dovessero travolgerli, le acque non penetrano; anzi rimangono sempre a galla in mezzo al mare, sul mare e padroni del mare.
Così deve essere il tuo cuore, cara Filotea, aperto soltanto al cielo, e impenetrabile alle ricchezze e ai beni caduchi. Se possiedi delle ricchezze, non impegnare il cuore in esse; fa in modo di dominarle sempre e, pur essendo in mezzo ad esse, comportati come se ne fossi senza. Non affogare quel dono del cielo, che è il cuore, nei beni della terra; conservalo sempre superiori ad essi, sopra di essi, senza smarrirlo in essi.
Possedere del veleno ed essere avvelenati non è la stessa cosa: i farmacisti possiedono quasi sempre del veleno per servirsene in varie circostanze, ma non per questo sono avvelenati; non hanno il veleno nel corpo, ma nel laboratorio. Allo stesso modo puoi possedere ricchezze senza esserne avvelenata: questo se lo hai in casa o nel portafoglio, ma non nel cuore.
Essere ricco di fatto e povero nel cuore è una gran fortuna per il cristiano; in tal modo ha gli agi della ricchezza in questo mondo e il merito della povertà per ‘altro!
Sai, Filotea? Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida. Non si possiede mai abbastanza; si scopre sempre un motivo per avere di più: quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili.
Mosè vide la fiamma che bruciava un cespuglio senza consumarlo; al contrario il fuoco dell’avarizia, consuma e divora l’avaro senza mai bruciarlo. Tra gli ardori e i calori più forti, egli si vanta di provare la più riposante freschezza di questo mondo, e ritiene la sua sete insaziabile una sete naturale e piacevole.
Se desideri lungamente, ardentemente e con ansia i beni che non possiedi, hai un bel dire che non li vuoi acquistare ingiustamente. Non sarà per questo che cesserai di essere un autentico avaro. Chi brama di bere con arsura, con insistenza e con ansia, anche se desidera bere solo acqua, dimostra chiaramente di aver la febbre.
Filotea, non so fino a che punto sia un giusto desiderio voler possedere giustamente quello che un altro giustamente già possiede; con questo desiderio noi vogliamo fare il comodo nostro incomodando gli altri. Chi già possiede giustamente un bene, non ha forse più ragioni di conservarlo giustamente, che noi di volerglielo portar via giustamente? E perché vogliamo allungare il nostro desiderio sul suo bene per portarglielo via? Ma anche volendo supporre che questo nostro desiderio sia giusto per davvero, di sicuro non è caritatevole; è certo che noi saremmo molto contrariati se qualcuno, anche giustamente volesse impadronirsi di quello che giustamente possediamo noi! Questo è il peccato di Acab, che voleva impossessarsi giustamente della vigna di Nabot, mentre Nabot giustamente voleva conservarla. La desiderò con tanto ardore, così a lungo e tormentandosi che finì con l’offendere Dio.
Aspetta, Filotea, a desiderare il bene del prossimo che il prossimo abbia il desiderio di disfarsene; in tal caso il suo desiderio renderà il tuo più che giusto, addirittura caritatevole.
Sì, sono d’accordo che tu abbia cura di accrescere il tuo patrimonio e le tue possibilità, ma sempre con giustizia, con calma e carità.
Sì, sono d’accordo che tu abbia cura di accrescere il tuo patrimonio e le tue possibilità, ma sempre con giustizia, con calma e carità.
Se sei molto attaccata ai beni che possiedi, se ne sei tutta presa e ci metti dentro il cuore e i pensieri, e temi con un timore intenso e ossessivo di perderli, credimi, hai ancora la febbre. Chi ha la febbre beve l’acqua che gli offrono con un’ingordigia, una bramosia e una soddisfazione che i sani abitualmente non manifestano. Non è possibile trovare molta soddisfazione in una cosa, se non nutriamo per la stessa molto affetto.
Se capita che tu perda dei beni e che il tuo cuore rimanga desolato, fortemente afflitto, credi a me, Filotea, vuol dire che lì c’era molto del tuo affetto. Infatti l’afflizione per la cosa perduta è la prova più certa dell’affetto che si aveva per essa.
E allora non desiderare con una brama travolgente e definita il bene che non hai; non impegnare troppo il cuore in quello che possiedi; non disperarti per i rovesci che potranno colpirti. Avrai allora qualche motivo di pensare che, pur essendo ricca di fatto, non lo sei di affetto, ma sei povera di spirito e quindi felice, perché il Regno dei cieli è tuo.


Capitolo XV
COME DEVE ESSERE PRATICATA LA POVERTA REALE
RIMANENDO RICCHI DI FATTO

Il pittore Parrasio, dipingendo il popolo di Atene, ebbe un’idea geniale: lo rappresentò con espressioni sempre diverse: di collera, di rabbia, di incostanza, di cortesia, di clemenza, di misericordia, di alterigia, di superbia, di umiltà, di vanità, di timidezza, e tutto ciò contemporaneamente; io, cara Filotea, vorrei mettere allo stesso modo contemporaneamente nel tuo cuore la ricchezza e la povertà, una grande cura e un grande disprezzo dei beni temporali.
Devi avere più cura tu di rendere i tuoi beni utili e fruttuosi di quanta non ne abbia la gente di mondo. Infatti i giardinieri dei grandi principi non sono forse più accurati e diligenti nel coltivare ed abbellire i giardini loro affidati che se fossero di loro proprietà? E perché? P semplice: pensano che quei giardini appartengono ai principi e ai re nelle grazie dei quali vogliono entrare con quel servizio.
Filotea, tutto quello che possediamo non è nostro: Dio ce l’ha affidato e vuole che lo rendiamo fruttuoso e utile; se ne abbiamo cura per bene il nostro servizio gli sarà accetto. Deve essere una cura maggiore e più continua di quella che la gente del mondo ha per i propri beni. Essi si impegnano soltanto per amore di se stessi, noi invece lavoriamo per amore di Dio.
Se metti a confronto questi due amori arrivi alla conclusione che, poiché l’amore di sé è un amore violento, turbolento e ossessivo, anche la cura dei beni fondata su di esso sarà agitata, rabbiosa e piena di paure; per contro poiché l’amore di Dio è dolce, sereno e tranquillo, la cura dei beni fondata su di esso sarà serena, dolce e tranquilla. Cerchiamo di essere calmi nella cura dei nostri beni temporali, sia per conservarli, sia anche, all’occasione, per accrescerli, se la nostra condizione lo richiede. Questa è la volontà di Dio e noi dobbiamo realizzarla per amore.
Ma fa attenzione agli inganni dell’amor proprio; sa così bene scimmiottare l’amore di Dio, che a volte sembra proprio lui! Per impedire questo equivoco, ossia che la cura dei beni temporali si tramuti in avarizia, oltre a quanto ti ho indicato nel capitolo precedente, dobbiamo molto spesso praticare una povertà reale ed effettiva, pur vivendo circondati da tutte le ricchezze che Dio ci ha dato.
Comincia col disfarti di un po’ dei tuoi beni dandoli di tutto cuore ai poveri: dare significa impoverirsi nella misura in cui si dà, e più darai e più sarai povera. t vero che Dio ti ricompenserà, non soltanto nell’altro mondo, ma anche in questo; infatti niente rende gli affari tanto prosperi quanto l’elemosina. Tuttavia, in attesa mancherai di quello che hai dato!
Ed è una santa e ricca povertà quella procurata dall’elemosina.
Ama i poveri e la povertà; è questo amore che ti farà sinceramente povera, giacché, come dice la Scrittura, noi assomigliamo alle cose che amiamo. L’amore rende simili gli amanti. Chi è infermo e io non sono come lui? dice S. Paolo. Avrebbe anche potuto dire: Chi è povero e io non lo sono come lui? L’amore lo rendeva simile a quelli che amava.
Se dunque ami i poveri parteciperai realmente della loro povertà e sarai povera con loro. Se è vero che ami i poveri, frequentali spesso: sii contenta quando vengono a casa tua e tu va a trovarli a casa loro. Parla volentieri con loro, sii contenta se ti vengono vicino in chiesa, per strada, ovunque. Usa un linguaggio semplice con loro, parlando come usano parlare tra di loro. Devi invece essere ricca di mano, distribuendo loro con abbondanza dei tuoi beni.
Vuoi fare ancora di più, Filotea? Non accontentarti di essere povera come i poveri, ma sii più povera dei poveri. E come? Il servo è minore del padrone: e allora tu fatti serva dei poveri. Va a servirli nei loro giacigli quando sono ammalati, intendo di persona, con le tue mani; sii la loro cuoca a tue spese; sii la loro cameriera, la loro lavandaia. Filotea, questo servizio vale più di una corona reale.
Sono preso da sconfinata ammirazione ogni volta che penso allo zelo con il quale S. Luigi lo mise in pratica: io considero quel monarca uno dei più grandi re della terra, ma di una grandezza che abbraccia tutti i settori. Spesso serviva alla tavola dei poveri che manteneva a sue spese; e quasi tutti i giorni tre li faceva sedere alla sua mensa e spesso mangiava con amore quello che rimaneva nei loro piatti. Quando visitava gli ammalati negli ospizi, e lo faceva spesso, abitualmente serviva quelli che erano colpiti dalle malattie più ributtanti, come lebbrosi, cancerosi e simili; li serviva a capo scoperto e in ginocchio, rispettando in essi la persona del Salvatore del mondo; dimostrava loro una tenerezza che soltanto una madre premurosa ha per il proprio figlio.
S. Elisabetta, figlia del re d’Ungheria, si univa abitualmente ai poveri e qualche volta, per divertimento, si vestiva poveramente tra le sue dame e diceva loro: Se fossi povera, mi vestirei così.
Cara Filotea, quel principe e quella principessa erano poveri sul serio in mezzo alle ricchezze ed erano ricchi nella loro povertà.
Beati quelli che sono poveri in questo modo, perché di essi è il regno dei cieli. Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto freddo e mi avete vestito; possedete il regno che vi è stato preparato fin dalla creazione del mondo, dirà nel giudizio finale il Re dei poveri a coloro che a loro volta avranno voluto essere re, dominando le cose materiali.
Tutti, prima o poi, incontriamo situazioni nelle quali sperimentiamo la mancanza di qualche comodità e ne sentiamo il peso. Ci capita, ad esempio, di ospitare una persona che vorremmo e dovremmo trattare con riguardo e non c’è modo a causa dell’ora; oppure ti capita di avere gli abiti belli in un luogo mentre ti servirebbero in un altro per presentarti meglio; ti può capitare ancora che in cantina i vini si siano voltati in aceto e ti rimane solo un vino cattivo e aspro; oppure ti trovi in campagna in una bicocca dove manca tutto: il letto, la camera, un tavolo, il personale!
Capita spesso di avere bisogno di qualche cosa anche se si è ricchi; in tal caso bisogna saper essere poveri in quello che manca.
Filotea, sii contenta in queste situazioni, accettale volentieri e sopportale serenamente.
Quando ti capiteranno rovesci che ti impoveriranno, o molto o poco, quali la grandine, il fuoco, le inondazioni, la siccità, le ruberie, i processi, allora sì che è il tempo di praticare la povertà; accetta serenamente la diminuzione dei beni, adattati con pazienza e costanza all’impoverimento.
Esaù si presentò a suo padre con le mani coperte di peli, e Giacobbe lo imitò; ma siccome il pelo che copriva le mani di Giacobbe non apparteneva alla sua pelle, ma ai guanti, se lo poteva togliere senza scorticarsi; al contrario il pelo di Esaù apparteneva alla sua pelle; era peloso per natura; chi avesse voluto levarglielo gli avrebbe causato un atroce dolore, lo avrebbe fatto urlare e si sarebbe difeso.
Quando i nostri beni sono legati al cuore, se la grandine, i ladri o gli imbroglioni ce ne strappano una parte, che urla, che agitazione, che tormento ne abbiamo! Ma se i nostri beni sono attaccati a noi solo per la cura che Dio vuole che ne abbiamo e non sono attaccati al cuore, se ce li strappano, non sarà per quello che daremo in smanie e cadremo in svenimento.
I vestiti degli uomini e degli animali differiscono proprio in questo: i vestiti delle bestie fanno parte della loro carne, quelli degli uomini sono soltanto sovrapposti, per poterli indossare e togliere quando si vuole.


Capitolo XVI
COME PRATICARE LA RICCHEZZA DI SPIRITO NELLA POVERTÀ REALE

Se sei povera di fatto, cara Filotea, cerca di esserlo anche nello spirito; fa di necessità virtù, e considera la pietra preziosa della povertà per quello che vale. Il mondo non apprezza il suo splendore che rimane ugualmente meraviglioso e unico.
Coraggio, Filotea, sei in buona compagnia: Nostro Signore, la Madonna, gli Apostoli, tanti Santi e Sante sono stati poveri, pur avendo avuto la possibilità di essere ricchi, se l’avessero voluto. Quante persone del mondo, vincendo contrasti, a volte durissimi, sono andati alla ricerca, con un amore impareggiabile, di madonna Povertà nei chiostri e negli ospedali. E hanno tanto sofferto per trovarla! Lo testimoniano S. Alessio, S. Paola, S. Paolino, S. Angela e tanti altri. Per te, Filotea, la Povertà si è scomodata personalmente ed è venuta a trovarti; l’hai incontrata senza bisogno di cercarla nella sofferenza. Abbracciala perché è l’amica del cuore di Gesù Cristo, che è nato, vissuto e morto con lei vicino; per tutta la vita l’ha avuta per governante.
La tua povertà, Filotea, ha due grandi privilegi che possono procurarti molto merito.
Il primo è che non l’hai scelta tu, ma è la volontà di Dio che ti ha creata povera senza alcun concorso della tua volontà. Ora ciò che riceviamo dalla volontà di Dio senza altri interventi, gli è gradito di più, se noi l’accettiamo di cuore e per amore della sua santa volontà; quando c’è poco di nostro, c’è molto di DIO.
L’accettazione pura e semplice della volontà di Dio rende purissima la sofferenza.
Il secondo privilegio di questa povertà è quello di essere povera sul serio. Una povertà lodata, corteggiata, stimata, aiutata e assistita assomiglia piuttosto alla ricchezza, o, perlomeno, non è povera del tutto; ma una povertà disprezzata, isolata, rinfacciata e abbandonata è veramente povera. Così è abitualmente la povertà della gente che vive nel mondo: non sono poveri perché l’hanno voluto, ma perché ci si sono trovati, e di questo non si tiene conto; e per il fatto che di questo non si tiene conto, la loro povertà è più povera di quella dei religiosi, benché, d’altra parte, questa abbia un valore più grande e raccomandabile, a motivo del voto e dell’intenzione per cui è stata scelta.
Non lamentarti, dunque, cara Filotea, della tua povertà; ci si lamenta soltanto di ciò che ci dispiace; e se la povertà ti dispiace, non sei povera nello spirito, ma anzi ricca nel cuore. Non lamentarti di non essere aiutata come si dovrebbe; in questo consiste il valore della povertà. Voler essere poveri e non volerne patire gli inconvenienti, è una pretesa assurda. È pretendere l’onore della povertà e gli agi delle ricchezze.
Non vergognarti di essere povera e di chiedere l’elemosina per carità; accetta con umiltà quello che ti verrà dato e sopporta l’eventuale rifiuto con dolcezza. Ricordati spesso del viaggio che la Madonna fece in Egitto per portare in salvo il Figlio, e quanto disprezzo, povertà e miseria dovette sopportare! Se vivrai così sarai molto ricca nella tua povertà.


Capitolo XVII
L’AMICIZIA E, PRIMA DI TUTTO, LA CATTIVA E LA FRIVOLA

L’amore occupa il primo posto tra le passioni dell’anima: è il re di tutti i movimenti del cuore, fa convergere tutto a sé e ci rende simili a ciò che amiamo.
Fa attenzione, Filotea, a non amare cose cattive: saresti irrimediabilmente e subito cattiva anche tu!
L’amicizia è l’amore più pericoloso: gli altri amori possono anche fare a meno di comunicare, l’amicizia invece è fondata essenzialmente proprio sulla comunicazione. Di norma è impossibile che l’amicizia non ci faccia partecipare delle qualità della persona amata.
Non ogni amore è amicizia.

1.Si può amare senza essere riamati; in tal caso c’è amore, ma non amicizia, perché l’amicizia è un amore ricambiato. Se non è ricambiato non è amicizia. 2.Non basta che sia ricambiato l’amore: le parti che si amano, devono saperlo. Se non lo sanno, avranno tutto l’amore che vogliono, ma non ci sarà amicizia.

3. In più coloro che si amano, devono avere qualche bene in comune a base della loro amicizia.
L’amicizia si differenzia secondo la diversità dei modi di comunicare e i modi di comunicare si differenziano secondo i beni che costituiscono l’oggetto dello scambio: se si tratta di beni falsi e vani, l’amicizia è falsa e vana; se si tratta di beni veri, l’amicizia è vera; e migliori saranno i beni, migliore sarà l’amicizia. Infatti, allo stesso modo che il miele raccolto dalle gemme dei fiori più deliziosi è il migliore, così l’amore fondato sullo scambio di un bene squisito è ottimo.
Esiste in Eraclea del Ponto un genere di miele velenoso, che fa impazzire coloro che ne mangiano. t velenoso perché viene raccolto dalla pianta dell’aconito, presente in abbondanza in quella regione. Lo stesso è dell’amicizia fondata sullo scambio di beni vuoti e viziosi: risulterà totalmente falsa e cattiva. Lo scambio di piaceri carnali è semplicemente un’attrazione reciproca e un’esca bestiale che, tra gli uomini, non merita di essere chiamata con il nome di amicizia; parola che del resto non ci si sogna nemmeno di usare quando ci si riferisce agli stessi rapporti tra i somari e i cavalli; e se nel matrimonio lo scambio si riducesse a questo, non sarebbe possibile alcuna amicizia; ma siccome, oltre a ciò, c’è lo scambio della vita, dell’iniziativa, degli affetti e di una indissolubile fedeltà, ecco perché l’amicizia nel matrimonio è vera e santa.
L’amicizia fondata sullo scambio del piacere dei sensi è grossolana e non merita il nome di amicizia; così pure quella fondata su virtù frivole e inutili, perché sono virtù che dipendono dai sensi.
Do il nome di piaceri dei sensi a quelli che sono legati in modo diretto e principale ai sensi esteriori, quali sono il piacere di ammirare la bellezza, di ascoltare una voce dolce, di toccare e simili.
Do il nome di virtù frivole a certe abilità e qualità inutili che gli spiriti deboli chiamano virtù e perfezioni. Ascolta quello che dicono la maggior parte delle
ragazze, delle donne e dei giovanotti in genere: non esiteranno a dire che Tizio è molto virtuoso, ha tante perfezioni, perché balla bene, sa destreggiarsi abilmente in tutti i giochi, sa vestirsi con gusto, canta bene, ha una brillante conversazione, ha un bell’aspetto. I ciarlatani considerano migliori tra loro quelli che meglio riescono nell’arte di fare i buffoni.
Siccome tutto ciò riguarda i sensi, per tale ragione le amicizie che hanno tali fondamenti si chiamano sensuali, vane e frivole e meriterebbero più di essere chiamate follie che amicizie.
Di questo genere sono abitualmente le amicizie dei giovani che riguardano i baffi, i capelli, lo sguardo, gli abiti, il sussiego, la parlantina. Sono virtù caratteristiche dell’età degli amanti, che hanno virtù poco solide, come la loro peluria del mento e hanno il senno in bocciolo. Tali amicizie sono soltanto passeggere e fondono come neve al sole.



Capitolo XVIII
LE PASSIONCELLE (I FLIRTS)

Quando queste allegre amicizie hanno luogo tra persone di diverso sesso, senza alcuna intenzione di giungere al matrimonio, si chiamano passioncelle; sono soltanto aborti, o meglio ancora, fantasie di amicizie; ma non si deve dare loro il nome di amicizie o di amori perché sono vuote e senza senso. Cionondimeno i cuori degli uomini e delle donne vi rimangono catturati e si impegolano e si allacciano tra di loro in affetti vani e leggeri, che hanno per fondamento soltanto quegli scambi frivoli e quelle sciocche attrattive di cui ho appena parlato.
Benché questi sciocchi amori finiscano abitualmente per naufragare ed affogare in carnalità e lascivie molto volgari, bisogna riconoscere che non è mai la prima intenzione degli interessati tale conclusione. Altrimenti non sarebbero passioncelle, ma impudicizie dichiarate.
A volte potranno anche trascorrere molti anni, senza che capiti tra coloro che sono afflitti da questa follia, un solo gesto che sia contrario alla santità del corpo. Gli interessati si limiteranno, con varie scuse, a stemperare i loro cuori in auguri, desideri, sospiri, complimenti e simili scemenze e vanità.
Alcuni vogliono soltanto appagare il cuore nel dare e ricevere amore seguendo la loro inclinazione all’amore; nella scelta degli amori costoro non riflettono minimamente: è loro sufficiente seguire il gusto e l’istinto; sicché, quando incontrano una persona piacevole, senza pensare al lato interiore, né al comportamento morale della stessa, danno subito la stura alle loro passioncelle e si impigliano in una rete dalla quale in seguito, faticheranno molto per liberarsi.
Altri vi si lasciano andare per vanità perché pensano che non è piccola gloria prendere e legare i cuori con l’amore; costoro, poiché fanno la loro scelta per vanità, collocano le loro tagliole e tendono le loro reti in luoghi privilegiati, eccelsi, distinti e illustri.
Altri ancora sono spinti contemporaneamente dalla tendenza all’amore e dalla vanità, e agiscono in questo modo perché, pur avendo il cuore fortemente attirato dall’amore, vogliono aggiungervi anche un po’ di gloria.
Simili amicizie sono cattive, folli e vane:
cattive, perché vengono e finiscono nel peccato della carne; rubano l’amore, e di conseguenza anche il cuore, a Dio, alla moglie, al marito, a chi era dovuto; folli perché non hanno basi, né motivazioni serie; vane, perché non recano alcuna utilità, nessun onore, nessuna gioia. Al contrario, ci fanno perdere tempo, offuscano l’onore, e non offrono alcun piacere, a meno che non si voglia chiamare piacere l’ansia di attendere e sperare, senza sapere né quello che si vuole, né che cosa si attende.
Questi spiriti piccoli e deboli sono persuasi che c’è un non so che nelle testimonianze di amore che ricevono, ma non saprebbero precisare che cos’è; per questo la loro brama è insaziabile ed alimenta, senza soste, nel loro cuore, eterne diffidenze, gelosie e tormenti.
S. Gregorio di N’azianzo, scrivendo contro le donne vanitose, dice meraviglie, a questo proposito; cito un brano che egli indirizza alle donne, ma va molto bene anche per gli uomini: “ La tua bellezza naturale è sufficiente per tuo marito; se poi vuoi che sia per molti uomini, come una rete tesa per molti uccelli, che succederà? Ti piacerà colui che ti troverà bella, ad occhiata risponderai con occhiata, a sguardo con sguardo; presto verranno i sorrisi e le frasettine d’amore, all’inizio, fatte scivolare di nascosto, ma presto si giungerà alla familiarità e al chiacchiericcio manifesto. Sta attenta, lingua mia chiacchierona, a non dire quello che verrà dopo; ma questa verità voglio dirla: niente di tutto ciò che i giovanotti e le donne dicono o fanno insieme in quelle folli galanterie va senza grosse ferite. Tutte le passioncelle sono legate insieme e si susseguono tutte, proprio come un ferro preso da una calamita che, a sua volta, attira altri ferri uno dopo l’altro “.
Come ha ragione questo santo Vescovo! Che cosa vuoi fare? Dare amore, non è vero? Nessuno può dare volontariamente amore senza necessariamente riceverne in cambio; in questo gioco chi prende è preso. L’erba chiamata aproxis, alla sola vista riceve e genera fuoco: così sono anche i nostri cuori. Appena vedono un’anima che brucia d’amore per loro, si infiammano immediatamente per lei.
Voglio stare al gioco, dirà qualcuno, ma poco per volta t’inganni: quel fuoco è forte e penetrante più di quanto sembri. Pensi di non essere colpito che da una scintilla, e ti accorgi che in un baleno tutto il cuore è incendiato, ridotti in cenere i tuoi propositi e in fumo il tuo buon nome. Grida il Saggio: Chi avrà compassione di un incantatore morso da un serpente? E io grido con lui: pazzo e insensato, pensavi di domare l’amore per dosarlo a tuo piacimento! Volevi divertirti con lui, ma egli ti ha punto e morso profondamente. Sai cosa dirà la gente? Rideranno di te perché hai voluto incantare l’amore e, pieno di presunzione, ti sci messo in seno una serpe pericolosa che ti ha rovinato e ci hai rimesso l’anima e l’onore.
Mio Dio, che cieca pazzia è mai questa? Rischiare in questo modo, con garanzie così fragili, la parte più nobile della nostra anima! Sì, Filotea, perché Dio vuole l’uomo solo per l’anima, l’anima solo per la volontà e la volontà solo per l’amore. Non abbiamo amore a sufficienza nemmeno per ciò che è necessario! Voglio dire: già è molto se ne abbiamo abbastanza per amare Dio; ciononostante, miserabili come siamo, lo disperdiamo e dilapidiamo in cose sciocche, vane e frivole, come se ne avessimo troppo! Quel grande Dio che aveva riservato per sé soltanto l’amore delle nostre anime, quale riconoscenza per la creazione, la conservazione e la Redenzione, esigerà un conto rigoroso delle sottrazioni che avremo fatto; pensa: ha detto che ci chiederà conto delle parole oziose; come vuoi che non ce lo chieda delle amicizie oziose, sciocche, pazze e dannose?
Il noce reca molto danno ai campi e alle vigne in cui è piantato, perché è grande ed assorbe tutte le sostanze della terra, che così non riesce a nutrire anche le altre piante; il suo fogliame è così folto che fa un’ombra grande e spessa. Per di più attira i passanti che, per prenderne i frutti rovinano e calpestano tutt’intorno.
Queste passioncelle producono danni simili all’anima; l’occupano talmente e condizionano così potentemente i suoi movimenti, che essa non è più disponibile per alcun’altra opera buona; le foglie, ossia i chiacchiericci, i divertimento e i corteggiamenti sono così frequenti che non lasciano spazio; infine attirano così numerose le tentazioni, le distrazioni, i sospetti e tutto ciò che vi si accompagna, sicché il cuore ne è rovinato e calpestato.
In breve, queste passioncelle, non solo allontanano l’amore celeste, ma anche il timore di Dio; prostrano lo spirito, indeboliscono il buon nome. In una parola è il giocattolo delle corti, ma la peste dei cuori!


Capitolo XIX
LE VERE AMICIZIE

Ama tutti, Filotea, con un grande amore di carità, ma legati con un rapporto di amicizia soltanto con coloro che possono operare con te uno scambio di cose virtuose. Più le virtù saranno valide, più l’amicizia sarà perfetta.
Se lo scambio avviene nel campo delle scienze, la tua amicizia sarà, senza dubbio, molto lodevole; più ancora se il campo sarà quello delle virtù, come la prudenza, la discrezione, la fortezza, la giustizia.
Ma se questo scambio avverrà nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana, allora sì, che si tratterà di un’amicizia perfetta. Sarà ottima perché viene da Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché sarà eterna in Dio.
L bello poter amare sulla tetra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come faremo eternamente nell’altro. Non parlo qui del semplice amore di carità, perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell’amicizia spirituale, nell’ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito. A ragione quelle anime felici possono cantare: Com’è bello e piacevole per i fratelli abitare insieme. Ed è vero, perché il delizioso balsamo della devozione si effonde da un cuore all’altro con una comunicazione ininterrotta, di modo che si può veramente dire che Dio ha effuso la sua benedizione e la sua vita su simile amicizia per i secoli dei secoli.
Mi sembra che tutte le altre amicizie siano soltanto fantasmi a confronto di questa e i loro legami anelli di vetro e di giaietto, a confronto del legame della devozione che è tutta di oro fino.
Non stringere amicizie di altro genere; intendo dire quelle che dipendono da te. Non devi lasciar cadere, né disprezzare quelle che la natura e i doveri precedenti ti obbligano a intrattenere: quali quelle con i parenti, i soci, i benefattori, i vicini e altri; ripeto, mi riferisco a quelle che tu scegli liberamente di persona.
Può darsi che qualcuno ti dica che non bisogna avere alcun genere di particolare affetto o amicizia, perché ciò ingombra il cuore, distrae lo spirito, dà luogo ad invidie; ma si sbagliano. Negli scritti di molti santi e devoti autori, hanno letto che le amicizie particolari e gli affetti fuori dell’ordine sono molto dannosi per i religiosi; pensano che la regola valga per tutti, ma su questo ci sarebbe molto da dire.
Premesso che in un monastero ben ordinato, il progetto comune è di tendere tutti insieme alla vera devozione, è evidente che non sono necessari questi scambi particolari, per timore che, mentre si cerca in particolare ciò che è comune, non si passi dalle particolarità alle parzialità. Ma per coloro che vivono tra la gente del mondo e abbracciano la vera virtù, è indispensabile stringere un’alleanza reciproca con una santa amicizia; infatti appoggiandosi ad essa, ci si fa coraggio, ci si aiuta, ci si sostiene nel cammino verso il bene.
Coloro che camminano in piano non hanno bisogno di prendersi per mano, ma coloro che si trovano in un cammino scabroso e scivoloso si sostengono l’un l’altro per camminare con maggiore sicurezza. I religiosi non hanno bisogno di amicizie particolari, ma coloro che vivono nel mondo, sì, per darsi reciprocamente sicurezza e aiuto in tutti i passaggi pericolosi che devono affrontare. Nel mondo, non tutti tendono allo stesso fine, non tutti hanno lo stesso spirito; bisogna dunque riflettere e stringere amicizie secondo i nostri programmi; questa particolarità crea veramente una parzialità, ma è una santa parzialità che non crea divisioni se non quella del bene dal male, delle pecore dalle capre, delle api dai fuchi, che sono separazioni necessarie.
IR fuor di dubbio, e nessuno si sogna di negarlo, che Nostro Signore nutrisse un’amicizia più tenera e personale per Giovanni, Lazzaro, Marta, Maddalena; lo dice la Scrittura. Sappiamo che S. Pietro aveva una predilezione per Marco e per Santa Petronilla; S. Paolo per S. Timoteo e S. Tecla. S. Gregorio di Nazianzo si gloria cento volte dell’amicizia che aveva per S. Basilio e così la descrive: “ Si aveva l’impressione che in noi due ci fosse una sola anima con due corpi. P, vero che non bisogna prestare fede a coloro che dicono che tutto è in tutto; tuttavia è vero che tutti e due eravamo in ciascuno e ciascuno nell’altro; coltivare la virtù e ordinare i programmi della nostra vita alle speranze future; questo era il modo di uscire da questa terra mortale, prima di morire “.
S. Agostino dice che S. Ambrogio voleva molto bene a S. Monica, per le rare virtù che ammirava in lei, ed ella gli voleva bene come a un angelo di Dio.
Ma ho torto a farti perdere tempo per una cosa così chiara. S. Girolamo, S. Agostino, S. Gregorio, S. Bernardo e tutti i più grandi Servi di Dio hanno avuto amicizie personali senza pregiudizio per la loro perfezione. S. Paolo, rimproverando ai Gentili il disordine morale della vita, li accusa di essere gente senza affetto, ossia gente incapace di amicizia. S. Tommaso, come del resto tutti i buoni filosofi, dice che l’amicizia è una virtù: certamente parla dell’amicizia personale perché, dice, la vera amicizia non può essere estesa a molte persone.
La perfezione dunque, non consiste nel non avere amicizie, ma nell’averne una buona, santa e bella.


Capitolo XX
LA DIFFERENZA TRA LE VERE AMICIZIE E QUELLE FUTILI

Fa attenzione, Fílotea: voglio metterti in guardia perché tu non corra pericolo. Non so se tu sappia che il miele di Eraclea, molto velenoso, assomiglia incredibilmente al miele comune; e il pericolo di prendere uno per l’altro è reale, come pure quello di mischiarli: nel qual caso l’inganno è anche peggiore perché la buona qualità dell’uno non impedisce l’effetto velenoso dell’altro.
Bisogna fare attenzione a non lasciarsi trarre in inganno nelle amicizie, soprattutto quando si stringono tra persone di sesso diverso, poco importa per quale motivo; spesso Satana si sostituisce a coloro che amano.
Si comincia sempre dall’amore virtuoso, ma, se non si è molto saggi, si insinua presto l’amore frivolo, poi si passa all’amore sensuale, poi a quello carnale; il pericolo esiste persino nell’amore spirituale, se non si fa molta attenzione; benché in questo sia molto più difficile la confusione e l’equivoco, perché la sua purezza e il suo nitore rendono più evidenti le brutture che Satana vuole insinuarvi: ecco perché il diavolo, quando ci prova, fa le cose con maggior finezza e tenta di far scivolare le brutture quasi impercettibilmente.
Distinguerai l’amicizia mondana da quella santa e virtuosa, esattamente come si distingue il miele di Eraclea dall’altro: il miele di Eraclea è più dolce al palato dei miele ordinario; è l’aconito che gli aumenta la dolcezza; così fa abitualmente l’amicizia mondana che sforna a ripetizione quantità enormi di parole melliflue, una pioggia di frasette appassionate e di lodi sulla bellezza, la grazia e le qualità sensuali: l’amicizia sana invece ha un linguaggio semplice e schietto, loda soltanto la virtù e la grazia di Dio, unico suo fondamento.
Il miele di Eraclea, una volta ingoiato, provoca dei capogiri; allo stesso modo l’amicizia futile provoca dei disorientamenti di spirito che rendono insicura la persona nella castità e nella devozione. La conducono a sguardi languidi, vezzosi, insistiti; a carezze sensuali, a sospiri equivoci, a piccole lamentele di non essere amati a sufficienza; ad artifici ben mascherati, ma abili e cattivanti: galanterie, abuso di baci e altre libertà e familiarità che portano alla volgarità e sono sicuro presagio di una imminente resa dell’onestà.
L’amicizia santa, invece, ha occhi semplici e casti; gli atti di cortesia sono controllati e schietti; se ci sono sospiri, saranno per il cielo, le libertà solo per lo spirito, i lamenti saranno soltanto perché Dio non è abbastanza amato, prova infallibile dell’onestà.
Il miele di Eraclea turba la vista; l’amicizia mondana turba il senno, di modo che coloro che ne sono colpiti, pensano di agire bene mentre agiscono male, e sono convinti che le loro scuse, i loro pretesti, e le loro parole sono motivi validi. Temono la luce e amano le tenebre. L’amicizia santa invece ha gli occhi luminosi e non si nasconde, anzi si fa vedere volentieri dalla gente per bene.
Infine il miele di Eraclea lascia un forte sapore amaro in bocca: avviene lo stesso nelle false amicizie che si tramutano e finiscono in parole e richieste carnali e degne delle fogne; in caso di rifiuto, esploderanno le ingiurie, le calunnie, le imposture, le tristezze, le confessioni e le gelosie che si concludono quasi sempre nell’abbrutimento e in isterismi; l’amicizia pulita è sempre uguale nell’onestà, educata e amabile, e si muta soltanto in una unione degli spiriti più pura e più perfetta, immagine vivente dell’amicizia beata che regna in Cielo.
S.Gregorio di Nazianzo dice che il pavone quando fa la ruota, emette il suo verso caratteristico e si pavoneggia, eccitando le femmine che l’odono, alla lubricità. Allo stesso modo, quando vedi un uomo pavoneggiarsi, agghindarsi e così parato, avvicinarsi per fare chiacchiericcio, per sussurrare, mercanteggiare alle orecchie di una donna matura o di una giovane, e tutto senza alcuna intenzione di matrimonio, beh, sta certa che è soltanto per tentarla a qualche impudicizia; la donna onorata turerà le proprie orecchie per non udire il verso di quel pavone e la voce dell’incantatore che vuole sedurla; se ascolterà sarà l’inizio della perdita del cuore.
I giovani che fanno gesti leziosi, smancerie, e carezze, o dicono parole che non vorrebbero che fossero udite dai loro padri, madri, mariti, mogli o confessori, dimostrano in tal modo che si stanno occupando non proprio dell’onore e della coscienza.
La Madonna rimase turbata vedendo un Angelo in sembianza di uomo, perché era sola e la stava lodando con molta solennità: non dimentichiamo che erano lodi celesti! 0 Salvatore del mondo! La purezza teme un Angelo in forma umana; perché la nostra purità non dovrebbe temere un uomo, anche se in sembianza di Angelo, quando tesse lodi sensuali o almeno umane?


Capitolo XXI
CONSIGLI E RIMEDI PER COMBATTERE LE CATTIVE AMICIZIE

Ma che cosa fare per combattere gli amori futili, le stranezze, le pazzie, le brutture cui ho accennato? Appena ne avverti i primi sintomi, volgiti subito dall’altra parte e, respingendo nel modo più assoluto quelle stupidità, corri presso la Croce del Salvatore, afferra la sua corona di spine e cingine il tuo cuore di modo che quelle piccole volpi non possano avvicinarsi.
Sta bene attenta a non scendere a patti con il nemico; non dire: lo ascolterò, ma poi non farò nulla di quanto mi suggerirà; gli presterò orecchio, ma gli rifiuterò il cuore. Filotea, in tali circostanze, devi essere intransigente: il cuore e le orecchie sono collegati, e com’è impossibile arrestare un torrente che scende a valle dalla montagna, così è difficile impedire che l’amore entrato in un orecchio non scenda presto nel cuore.
Secondo Alcmeone le capre respirano per le orecchie e non per le froge; Aristotele lo nega; io non ne so niente, ma di certo so che il nostro cuore respira per l’orecchio, e siccome inspira ed espira i suoi pensieri per mezzo della lingua, respira anche per l’orecchio, per mezzo del quale riceve i pensieri degli altri. Proteggiamo dunque scrupolosamente le nostre orecchie dai colpi d’aria delle parole inutili; in caso contrario ben presto il nostro cuore ne sarà contagiato.
Sotto nessun pretesto devi ascoltare proposte oscene di alcun genere: è questo il solo caso in cui non corri pericolo di essere incivile e scortese.
Ricordati che hai consacrato il cuore a Dio, gli hai dato il tuo amore, e sarebbe un sacrilegio sottrargliene anche una briciola soltanto; rinnova la tua offerta con mille propositi e promesse e rimani in quelle come un cervo nel suo rifugio e poi invoca Dio. Egli ti verrà in aiuto: prenderà il tuo amore sotto la sua protezione, per farlo vivere unicamente in Lui.
Se poi sei già incappata nelle reti di quei futili amori, allora sento l’obbligo di dirti che ti sarà difficile sbarazzartene. Mettiti alla presenza della divina Maestà, riconosci l’enormità della tua miseria, la tua debolezza, la tua vanità; poi con l’impegno massimo di cui sarai capace, detesta quegli amori già iniziati, rinnega la sciocca manifestazione che ne hai fatto, rinuncia a tutte le promesse ricevute e, con una volontà forte e risoluta, decidi nel cuore e risolviti a mai più ricominciare quei giochi e quelle schermaglie d’amore.
Se poi ti è possibile allontanarti fisicamente dalla persona coinvolta, sono d’accordissimo, perché, allo stesso modo che coloro i quali sono stati morsi da un serpente, non possono guarire facilmente in presenza di coloro che già sono stati morsi a loro volta, la persona ferita d’amore difficilmente riuscirà a guarire da quella passione, finché sarà vicina a quella ferita dallo stesso morso.
Il mutamento del luogo è molto utile per calmare la febbre e l’agitazione causate sia dal dolore che dall’amore. Il ragazzo di cui parla S. Ambrogio nel II libro della Penitenza, ritornò da un lungo viaggio completamente guarito dai futili amori che l’avevano attanagliato prima; alla sciocca amante che, incontrandolo gli disse: Non mi conosci? sono sempre la stessa! Sì, certo, rispose, ma sono io che non sono più lo stesso. La lontananza aveva operato in lui quel felice mutamento.
S. Agostino dice che per alleviare il dolore per la morte dell’amico si allontanò da Tagaste, dove quegli era morto, e se ne andò a Cartagine.
Ma chi non può allontanarsi? Deve troncare ogni conversazione privata, gli incontri segreti, gli sguardi languidi, i sorrisi e in genere tutti gli scambi e gli ammiccamenti che possono nutrire questo fuoco maleodorante e fuligginoso. Se poi le circostanze esigono che si rivolga la parola al complice, deve essere per dichiarare, con una coraggiosa, breve e seria protesta, il divorzio definitivo che abbiamo giurato. Grido a voce alta, a chiunque sia caduto in questi lacci passionali: taglia, tronca, spezza. Non bisogna perdere tempo a discutere queste futili amicizie; bisogna strapparle non perdere tempo a sciogliere i nodi; bisogna spezzarli è tagliarli; tanto quei cordoni e quei legami non hanno alcun pregio.
Non bisogna avere riguardi per un amore che è contrario all’amore di Dio.
Ma, dopo avere in questo modo spezzate le catene di quell’infame schiavitù, è possibile che resti qualche strascico. I marchi e le piaghe dei ferri rimarranno impressi nei piedi, ossia negli affetti. Non fa nulla, Filotea, se tu hai concepito per il tuo male tutto l’orrore che merita; se farai così non sarai più agitata dalle ansie; proverai soltanto un forte orrore per quell’amore infame e per tutto quello ad esso collegato e sarai libera da ogni altro affetto per la persona che hai lasciato; ti rimarrà soltanto un amore purissimo per Iddio.
Se poi, a causa dell’imperfezione del pentimento, rimane in te qualche inclinazione cattiva, procura per la tua anima una solitudine mentale, come ti ho già insegnato, e ritirati in essa con tutte le tue facoltà, e con mille slanci ripetuti dello spirito, rinuncia alle tue inclinazioni, rinnegale con tutte le forze; datti alla lettura dei Libri santi più di quanto non sei solita fare, confessati e comunicati più spesso, con umiltà e sincerità parla di tutte queste suggestioni e tentazioni al tuo direttore spirituale, se ti è possibile; o almeno con qualche anima dalla fede profonda e molto prudente; sta certa che il Signore ti libererà da tutte le passioni, se tu continuerai fedelmente questi esercizi.
Ma, mi dirai, non è ingratitudine rompere così drasticamente un’amicizia? lo ti dico: quant’è bella l’ingratitudine che ti rende accetta a Dio! Filotea, non sarà ingratitudine, ma anzi un’azione meritoria in favore del tuo amante; perché, spezzando i tuoi legami, romperai anche i suoi; e se anche, sul momento, non saprà apprezzare la sua felicità, lo farà ben presto e con te canterà in ringraziamento: 0 Signore, tu hai spezzato i miei legami, io ti sacrificherò la vittima di lode e invocherò il tuo santo Nome.


Capitolo XXII
QUALCHE ALTRO CONSIGLIO A PROPOSITO DELLE AMICIZIE

L’amicizia richiede un intenso scambio tra coloro che si vogliono bene: diversamente non può nascere e tanto meno mantenersi. Ecco perché avviene spesso che agli scambi che sono alla base dell’amicizia, se ne aggiungano molti altri che si insinuano insensibilmente da cuore a cuore: e così gli affetti, le tendenze e le opinioni passano in continuazione da uno all’altro.
Questo soprattutto quando all’affetto si aggiunge la stima; in tal caso apriamo il cuore all’amico con molta larghezza per cui, con essa, entrano con facilità in noi tutte le sue tendenze e le sue opinioni, poco importa se siano buone o cattive.
Le api che raccolgono il miele di Eraclea cercano soltanto il miele, ma con esso succhiano anche le qualità velenose dell’aconito sul quale fanno la raccolta.
A questo proposito, Filotea, bisogna mettere in pratica la parola che il Salvatore delle anime nostre era solito ripetere e che gli antichi ci hanno insegnato: Sii abile cambiavalute, batti buona moneta; ossia, non accettare il denaro falso con il buono, né l’oro di bassa lega con l’oro fino; separa il metallo prezioso dal vile. Fa’ attenzione perché nessuno va esente da imperfezioni.
E che motivo c’è di ricevere alla rinfusa difetti e imperfezioni dell’amico assieme alla sua amicizia? È evidente che bisogna volergli bene nonostante le sue imperfezioni, ma non bisogna voler bene alle sue imperfezioni e prenderle su di noi; l’amicizia richiede che ci comunichiamo il bene, non il male.
A somiglianza di coloro che cavano la ghiaia dal Taro e separano l’oro che trovano Per portarlo via, mentre lasciano il resto sulla riva del fiume, coloro che comunicano con l’amico devono saper separare la sabbia delle imperfezioni e non lasciarla penetrare nelle loro anime.
S. Gregorio di Nazianzo ci dice che molti, i quali volevano bene e ammiravano S. Basilio, erano talmente portati alla sua imitazione, che lo scimmiottavano anche nelle sue imperfezioni esteriori, nel suo modo di parlare lentamente e con lo spirito assorto e pensoso, nel taglio della barba e nel modo di camminare. Noi vediamo dei mariti, delle mogli, dei figli, degli amici, che hanno tanta stima dei loro amici, dei loro padri, dei loro mariti, delle loro mogli, che per condiscendenza o imitazione, prendono da loro, assieme all’amicizia, mille piccole tendenze cattive.
Questo non deve accadere: ciascuno ne ha abbastanza dei propri difetti senza bisogno di caricarsi anche di quelli degli altri; aggiungo che l’amicizia non soltanto non lo richiede, ma al contrario, ci obbliga a darci reciprocamente una mano per liberarci da tutte le forme di imperfezione.
È fuor di dubbio che bisogna sopportare con dolcezza l’amico nelle sue imperfezioni, ma non incoraggiarlo in quelle, e ancor meno trasferirle in noi.
Parlo soltanto di imperfezioni; quanto ai peccati non bisogna accettarli e sopportarli nemmeno nell’amico. Un’amicizia che lascia morire l’amico senza prestargli aiuto, è un’amicizia debole e cattiva; vedere un amico che muore di un ascesso e non avere il coraggio di dare il colpo di bisturi per salvarlo, non è amicizia.
L’amicizia vera e vitale non sopravvive tra i peccati. Si dice che, dove si adagia, la salamandra spegne il fuoco; il peccato distrugge l’amicizia in cui si annida: se si tratta di un peccato passeggero, l’amicizia lo mette immediatamente in fuga con la correzione; ma se ci rimane e ci si ferma, l’amicizia perisce immediatamente, perché per vivere ha bisogno della virtù; da qui risulta molto chiaro che non è possibile peccare per amicizia.
L’amico diventa nemico quando vuole condurci al peccato e merita di perdere l’amicizia se vuol condurre l’amico alla rovina e alla dannazione; una delle prove più sicure di una falsa amicizia è vederla praticata tra persone viziose, qualunque sia il genere di peccato che le accomuna. Se colui al quale vogliamo bene è preda del vizio, la nostra amicizia è sicuramente viziosa; giacché se non può avere per base una solida e sincera virtù, è giocoforza che sia fondata su una virtù apparente o su qualche aspetto sensuale.
Una società costituita tra i commercianti per il profitto temporale ha soltanto l’apparenza di vera amicizia. Essa non ha per fine l’amore delle persone, ma l’amore del denaro.
Infine eccoti due massime, fondamentali colonne della vita cristiana; una è del Saggio: Chi teme Dio incontrerà una buona amicizia; l’altra è di S. Giacomo: L’amicizia di questo mondo è nemica di Dio.


Capitolo XXIII
GLI ESERCIZI DELLA MORTIFICAZIONE ESTERIORE

Coloro che si intendono di agricoltura e di coltiva2ione di alberi da frutta assicurano che se si incide una parola su una mandorla intatta e poi si rimette nel suo nocciolo, si richiude e si salda a perfezione, e si pianta, tutte le mandorle che produrrà l’albero che ne nascerà porteranno scritta la parola incisa nella mandorla piantata.
Non ho mai approvato il metodo di coloro che per riformare l’uomo cominciano dall’esterno: dal contegno, dall’abito, dai capelli. Mi sembra che si debba cominciare dal di dentro: Convertitevi a me con tutto il cuore, dice Dio. Figlio mio, dammi il tuo cuore; e questo perché è il cuore la sorgente delle azioni, per cui le azioni sono secondo il cuore.
Lo Sposo divino invita l’anima e le dice: Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio. È proprio vero perché chi ha Gesù nel cuore lo ha ben presto anche in tutte le azioni esteriori.
Ecco perché, cara Filotea, prima di tutto, voglio incidere e scrivere nel tuo cuore questo santissimo Motto: VIVA GESÙ; e sono sicuro che in seguito la tua vita, vero albero nato dal cuore, come il mandorlo dal nocciolo, produrrà tutte le azioni, ossia i suoi frutti, segnati dallo stesso motto della salvezza. Quel dolce Gesù, che sarà vivente nel tuo cuore, lo si vedrà nei tuoi occhi ‘ sulla tua bocca, nelle tue mani e persino dai tuoi capelli; e potrai dire sinceramente, sull’esempio di S. Paolo: Vivo sì, ma non più io; è Cristo che vive in me. A dirla in breve, chi conquista il cuore e dell’uomo conquista tutto l’uomo.
Ma proprio questo cuore, dal quale vogliamo cominciare, ha bisogno di essere educato su come darsi una linea di condotta e un comportamento, di modo che non si manifesti soltanto la santa devozione, ma anche una profonda saggezza con altrettanta discrezione. A tal fine eccoti alcuni consigli.
Se sei in condizione di sopportare il digiuno, farai bene a digiunare qualche giorno in più di quelli che comanda la Chiesa; perché, oltre all’effetto ordinario del digiuno, che è quello di liberare lo spirito, sottomettere la carne, praticare la virtù e accrescere l’eterna ricompensa in cielo, il digiuno ci dà modo di dominare i nostri appetiti, e mantenere la sensualità e il corpo sottomessi allo spirito; e anche se i digiuni non saranno molti, il nemico quando si accorgerà che sappiamo digiunare, ci temerà di più.
Il mercoledì, il venerdì e il sabato sono i giorni che i primi cristiani più facilmente consacravano alla astinenza: scegline uno tra di essi per digiunare, secondo quanto ti consiglierà la tua devozione e la discrezione del tuo direttore spirituale.
Ripeto volentieri quanto dice S. Girolamo a Leta: I digiuni lunghi ed esagerati mi indispongono molto, soprattutto se sono effettuati da persone in giovane età. Ho sperimentato che il somarello fiacco cerca di deviare dal sentiero; ossia, i giovani che si ammalano per digiuni eccessivi, si girano facilmente verso le cose delicate. I cervi corrono goffamente in due circostanze: quando sono troppo grassi e quando sono troppo magri. Anche noi siamo molto fragili di fronte alle tentazioni sia quando il nostro corpo è troppo pasciuto, come quando è troppo debole; nel primo caso è presuntuoso nel suo benessere, nell’altro è disperato nel suo malessere; quando è troppo grasso non riusciamo a portarlo, quando è troppo magro lui non porta noi. La mancanza di misura nei digiuni, nelle flagellazioni, nell’uso del cilicio, nelle asprezze rende molte persone incapaci di consacrare gli anni migliori della vita ai servizi della carità; questo avvenne anche a S. Bernardo che si pentì in seguito di aver abusato di penitenze troppo dure; chi ha trattato con troppa durezza il proprio corpo all’inizio, finirà col blandirlo alla fine. Non pensi che se quei tali avessero agito con più senno, se gli avessero riservato un trattamento sempre uguale e adeguato ai suoi compiti ed alle sue occupazioni avrebbero fatto meglio?
Il digiuno e il lavoro domano e prostrano la carne.
Se il lavoro che fai ti è necessario, o è molto utile alla gloria di Dio, sono dei parere che sia meglio per te affrontare la fatica del lavoro che quella del digiuno; questo è il pensiero della Chiesa che dispensa anche dai digiuni comandati quelli che si consacrano a lavori utili al servizio di Dio e del prossimo.
C’è chi fa fatica a digiunare, chi invece a servire gli ammalati, un altro a visitare i prigionieri, a confessare, a predicare, consolare gli afflitti, Pregare ed altri esercizi simili: queste ultime fatiche valgono di più di quella del digiuno, perché, oltre a darci ugualmente il dominio sulla carne, in Più ci offrono frutti molto più apprezzabili.
Come principio generale è meglio conservare forze corporali più di quanto serve, che perderne più di quanto è necessario; si può sempre fiaccarle, volendolo; ma non sempre basta volerlo, per recuperarle.
Mi sembra che dobbiamo avere una grande considerazione per la frase che Nostro Signore, Salvatore e Redentore disse ai suoi discepoli: Mangiate ciò che vi sarà presentato Io sono del parere che sia maggiore virtù mangiare senza scelta ciò che ti viene presentato, e nell’ordine in cui ti viene presentato, senza far caso se sia di tuo gusto o meno, che scegliere sempre quanto c’è di peggiore. Perché se anche questo ultimo modo di agire sembra più austero, l’altro denota maggiore mortificazione, perché non ti porta soltanto alla rinuncia al tuo gusto, ma anche alla scelta personale; e mi sembra che non sia una mortificazione da poco piegare il proprio gusto alle circostanze del caso e tenerlo sottomesso alle situazioni fortuite; in Più questo genere di mortificazione passa inosservato, non dà noia ad alcuno ed è di un valore ineguagliabile quanto a buona educazione!
Mettere da parte un cibo per prenderne un altro, piluccare e assaggiare tutto senza mai trovare nulla di ben preparato e a puntino, giocare a fare il misterioso ad ogni boccone. Tutto ciò manifesta un cuore da mollusco, sensibile solo ai piatti e alle scodelle. Ammiro di più S. Bernardo che beve olio per acqua o vino per colpa di altri, che se avesse bevuto assenzio per propria scelta; quello che fece disse chiaramente che non faceva caso a quello che beveva!
E in questa indifferenza a ciò che si mangia e a ciò che si beve si trova la perfezione di questa parola: Mangiate ciò che vi sarà presentato.
Faccio eccezione per i cibi che nuocciono alla salute o che disturbano lo spirito, come sono, per molti, i cibi caldi e le spezie che riscaldano e che gonfiano; o anche certe circostanze nelle quali la natura deve essere sostenuta, per avere la forza di affrontare qualche impegno per la gloria di Dio. Una sobrietà costante e moderata è molto meglio che le privazioni violente fatte di tanto in tanto, intervallate da periodi di grande rilassatezza.
Se presa con moderazione, la disciplina dà meravigliosi risultati nel risvegliare il desiderio della devozione. Il cilicio domina potentemente il corpo, ma il suo uso abitualmente non è consigliabile agli sposati, alle persone di costituzione delicata, o a quelli che devono sopportare altre grosse fatiche. Tuttavia si può impiegare, volendo, nei giorni forti di penitenza, sempre che il confessore sia d’accordo.
La notte, ciascuno secondo la propria costituzione, deve prendersi il tempo sufficiente per dormire; questo per poter essere pienamente sveglio e fresco di giorno. Si aggiunga che la Sacra Scrittura in cento modi, l’esempio dei Santi e motivi di ordine naturale, ci raccomandano fortemente, come momento più ricco e producente del giorno, il mattino. Oltre a ciò pensa che Nostro Signore viene chiamato Sole che sorge, la Madonna Alba del giorno.
Penso che tutto ciò indichi che è segno di virtù coricarsi di buon’ora la sera per potersi alzare per tempo il mattino. Certamente è il tempo più bello, il più dolce e il meno occupato; anche gli uccelli ci invitano, al mattino per tempo, a lodare Dio; di modo che l’alzarsi presto giova alla salute e alla santità.
Balaam, cavalcando la sua asina, stava recandosi a trovare Balac; ma siccome la sua intenzione non era retta, l’Angelo lo attendeva sulla strada con la spada sguainata per ucciderlo. L’asina, che vedeva l’Angelo, si fermò tre volte rifiutandosi di avanzare; Balaam la prendeva ferocemente a bastonate per farla avanzare; alla terza volta si coricò del tutto sotto Balaam e, per un grande prodigio, parlò e disse: Che cosa ti ho fatto? Perché mi hai già bastonato tre volte? Subito si apersero gli occhi a Balaam che vide l’Angelo, il quale gli disse: Perché hai percosso la tua asina? Se non ti avesse tenuto lontana) da me io ti avrei ucciso e lei l’avrei risparmiata! Rispose allora Balaam: Signore, ho peccato perché non sapevo che ti eri posto contro di me sulla via.
Vedi, Filotea, Balaam ha fatto il male e bastona e percuote la povera asina che non c’entra per nulla.
È quello che avviene spesso nella nostra vita. Guarda per esempio quella donna; cade malato il figlio o i marito, e subito ricorre al digiuno, alla disciplina, al cilicio, come fece Davide in un caso simile, Cara amica, tu percuoti il povero asino, affliggi il tuo corpo, che non ha niente a che fare con il tuo male. Non è lui che ha provocato la spada di Dio contro di te; correggi Piuttosto il cuore che idolatra il marito e che tollera mille vizi nel figlio, e lo conduce all’orgoglio, alla vanità, all’ambizione.
Ci sarà qualche altro che cadrà pesantemente nel peccato di lussuria: il rimorso interiore aggredirà la sua coscienza con la spada in pugno per trapassarla di santo timore; e subito, riprendendo la padronanza del cuore griderà: carne traditrice, corpo traditore, tu mi hai rovinato. E subito infierirà a grandi colpi sulla carne, con digiuni sregolati, discipline senza criterio, cilici insopportabili. Povero te, se il tuo corpo potesse parlare come l’asina di Balaam! Ti direbbe: Miserabile, perché mi percuoti? t contro te, anima mia, che Dio prepara la vendetta; sei tu la criminale; perché mi conduci alle cattive conversazioni? Perché impieghi i miei occhi, le mie mani, le mie labbra nei piaceri? Perché mi turbi con cattive fantasie? Fa buoni pensieri e io non avrò cattivi movimenti, frequenta la gente onesta e lo non sarò agitato dalla concupiscenza. Sei tu che mi getti nel fuoco e poi pretendi che non arda. Mi getti il fumo negli occhi e non vuoi che gli occhi si infiammino.
In questi casi Dio ti dice: Percuoti spezza fendi, strapazza prima il tuo cuore, perché è contro di esso che sono adirato.
Per guarire il prurito non serve molto lavarsi e fare il bagno, quanto piuttosto purificare il sangue e rinfrescare il fegato. Allo stesso modo per sanare i nostri vizi, è bene, sì, mortificare la carne, ma più ancora e necessario purificare i nostri affetti e rinnovare il nostro cuore.
Per chiudere, ricordati di non dare mai seguito a penitenze corporali senza aver avuto il parere favorevole del tuo direttore spirituale.


Capitolo XXIV
LE CONVERSAZIONI E LA SOLITUDINE

Ricercare le conversazioni e fuggirle sono due estremi ugualmente riprovevoli in una devozione civile quale è quella che vado proponendoti.
La fuga dalla conversazione tradisce un senso di superiorità e disprezzo nei confronti del prossimo; la ricerca, per contro, tradisce tendenza all’ozio e alla professione di perditempo.
Bisogna amare il prossimo come se stessi e, per dimostrargli amore, non bisogna evitare di incontrarlo; ma per dimostrare che vogliamo bene anche a noi stessi, occorre rimanere con noi quando ne abbiamo I’opportunità. E questa l’abbiamo quando siamo soli: Pensa a te stesso, dice S. Bernardo, e poi agli altri. Se dunque nulla ti impone di far visite o riceverne a casa tua, rimani in te stessa e conversa con il tuo cuore. Ma se ti capita di trovarti in compagnia o, per qualche giusto motivo devi andare a cercarla tu stessa, vacci con Dio, Filotea, e guarda il prossimo con cuore contento e occhio felice.
Vengono chiamate cattive conversazioni quelle che si tengono con intenzione perversa, o anche se quelli che vi partecipano sono viziosi, scriteriati, dissoluti; da quelle bisogna stare lontano, come fanno le api che si tengono lontane dai gruppi di tafani e di calabroni.
Allo stesso modo che quelli i quali sono stati morsi da cani arrabbiati, sudano, hanno il fiato e la saliva pericolose, soprattutto per i bambini e le persone di costituzione delicata, quei viziosi depravati costituiscono sempre un pericolo e un rischio per coloro che li frequentano, soprattutto se si tratta di persone dalla devozione ancora tenera e delicata.
Ci sono conversazioni che hanno il solo scopo di divertire, servono per distrarsi un po’ dalle occupazioni serie; a quelle è chiaro che non dobbiamo consacrarci; lasciamo loro soltanto il tempo libero destinato a riposarci.
Altre conversazioni hanno per fine la buona educazione, come, ad esempio, lo scambio di visite e certe riunioni che si fanno per onorare il prossimo: direi che per quelle non bisogna farsi scrupolo nel disertarle. Però nemmeno essere troppo incivili dimostrando per esse disprezzo. Facciamo con moderazione il nostro dovere, evitando in ugual misura di essere rozzi e leggeri.
Rimangono le conversazioni utili, quali quelle delle persone devote e virtuose: Filotea, ritieni una grande grazia incontrarne spesso. La vigna piantata tra gli olivi dà un’uva grassa che sa di oliva; un’anima che si trovi a frequentare spesso gente di virtù partecipa necessariamente delle loro qualità.
I fuchi da soli non fanno miele, ma in compagnia delle api qualche cosa riescono a fare. La conversazione con le anime devote ci aiuta molto nell’esercizio della devozione.
In ogni conversazione occorre dare sempre la preferenza alla spontaneità, alla semplicità, alla dolcezza, alla misura. C’è gente che si comporta e si muove con tanto studio che tutti ne sono annoiati, Uno che non volesse mai spostarsi senza cadenzare il passo, che non volesse parlare senza cantare, sarebbe davvero un peso per tutti; non è diverso per quelli che hanno sempre un contegno studiato e agiscono soltanto con mosse calcolate; rendono impossibile la conversazione; la gente di questo tipo è ammalata di presunzione.
In via ordinaria la nostra conversazione deve essere dominata da una gioia moderata. S. Romualdo e S. Antonio vengono molto lodati perché, nonostante tutte le austerità, avevano sempre il volto e le parole illuminate di gioia, allegria e civiltà.
Sta allegra con chi è contento, ti ripeto con l’Apostolo; sii sempre contenta, ma in Nostro Signore, e la tua moderazione sia nota a tutti gli uomini.
Per gioire in Nostro Signore, è necessario che ‘1 motivo della tua gioia, non solo sia lecito, ma anche onesto. Dico questo perché ci sono cose lecite che poi risultano disoneste; per mettere in evidenza, per esempio, la tua modestia, sta attenta a non diventare insolente, il che è sempre da riprovare. Fare lo sgambetto a uno, mettere in ombra un altro, pungere un terzo> fare del male a un menomato, sono scherni e soddisfazioni stupide, insolenti e anche cattive.
Ma oltre alla solitudine mentale, nella quale ti è sempre possibile rifugiarti anche in mezzo alle più rumorose compagnie, e di cui ti ho già parlato, (P. Il, C. XII), devi amare anche la solitudine locale e reale; non voglio spedirti nel deserto, come S. Maria Egiziaca, S. Paolo, S. Antonio, Arsenio e gli altri padri eremiti, ma penso che ogni tanto ti farebbe bene rimanere sola in camera tua, nel tuo giardino o altrove, dove ti sia possibile raccogliere il tuo spirito nel tuo cuore e ritemprare la tua anima con buoni propositi e santi pensieri, o con qualche buona lettura, come faceva quel santo vescovo di Nazianzo che parlando di se stesso diceva: Passeggiavo con me stesso al tramonto del sole e trascorrevo il tempo in riva al mare; ho questa abitudine per riposarmi e liberarmi un po’ dalle preoccupazioni quotidiane.
Abbiamo anche l’esempio di S. Ambrogio riferito da S. Agostino ci racconta che spesso entrava in camera sua (non ‘chiudeva mai la porta a nessuno), e lo guardava leggere. Aspettava un po’, poi se ne andava per non disturbarlo e, senza dir parola, pensando che il tempo che rimaneva a quel grande pastore per ritemprare e distendere il proprio spirito, dopo il carico di una giornata di lavoro, non doveva essergli tolto.
Anche Nostro Signore agì allo stesso modo con gli Apostoli dopo che gli avevano raccontato le loro fatiche nella predicazione e nel ministero: Venite in disparte, disse loro, e riposatevi un po’.


Capitolo XXV
IL BUON GUSTO E IL SENSO DELLA MISURA NEL VESTIRE

S. Paolo vuole che le donne devote, vale anche per gli uomini, vestano abiti decenti, ornandosi con modestia e misura. Il decoro degli abiti e degli altri ornamenti si deduce dalla stoffa, dal taglio, dalla pulizia.
Per quello che riguarda la pulizia deve essere costante e generale; per quanto ci è possibile non lasciamo sugli abiti tracce di sporcizia e segni di trascuratezza. La pulizia esteriore indica, in una certa misura, l’onestà interiore. Dio stesso esige la pulizia esteriore in coloro che si avvicinano al suo altare, e hanno la principale responsabilità della devozione.
Per quello che riguarda la stoffa e il taglio degli abiti, il decoro va collegato a diverse circostanze: di tempo, di età, di rango, di ambiente, di situazioni. Abitualmente ci si veste meglio nei giorni di festa, tenuto conto anche della solennità che ricorre; in tempo di penitenza, come in Quaresima, si veste in tono molto dimesso; se vai a nozze ti vesti con l’abito adatto alle nozze; se vai a un funerale, con l’abito adatto al funerale; se vai dal principe, alzi il tono; se resti con i domestici, ti adegui a loro.
La donna sposata, quand’è col marito, deve ornarsi per piacere a lui, se lo facesse quando lui è lontano sarebbe lecito chiedersi agli occhi’ di chi voglia essere piacente.
Alle ragazze sono permessi più fronzoli, perché hanno il giusto diritto di voler piacere a molti anche se deve essere soltanto per conquistarne uno in vista del matrimonio.
Niente di male che anche le vedove, che cercano marito, si ornino con una certa evidenza, purché non esibiscano leggerezze; sono già madri di famiglia, hanno passato i dispiaceri della vedovanza; si ha il diritto di giudicarle persone di spirito maturo e formato.
Le vere vedove, che s ‘ i sentono tali non solo nel corpo, ma anche nel cuore, devono rinunciare a tutti gli ornamenti; per esse c’è l’umiltà, la modestia, la devozione. Se vogliono dare amore agli uomini, non sono vedove vere, e se non ne vogliono dare, perché vanno in giro con le insegne? Chi non vuole più ricevere clienti, deve togliere l’insegna. Ci si diverte sempre alle spalle delle persone anziane che vogliono fare i belli: le pazzie si possono permettere solo ai giovani!
Sii sempre in ordine, Filotea; non ci deve essere niente in te che sappia di trasandato, di approssimativo, di raffazzonato: sarebbe segno di disprezzo per quelli che incontri, andare da loro con un abito indecoroso; d’altra parte evita l’affettazione, la vanità, la ricercatezza, le follie. Fin che ti è possibile rimani semplice e modesta; è il più bell’ornamento della bellezza e la miglior copertura in caso che la bellezza non ci fosse!
S. Pietro chiede, in modo particolare alle giovani donne, di non portare i capelli esageratamente increspati, arricciati, inanellati, ritorti a modo di serpente. Gli uomini tanto smidollati da perdere tempo in queste civetterie, sono additati da tutti come ermafroditi, e le donne vanitose sono considerate arrendevoli in fatto di castità. Se poi sono virtuose non è che si veda tanto in mezzo a tante scemenze e stupidaggini. Dicono, per difendersi, che non pensano male; ma io dico, come del resto ho già detto, che al male ci pensa il diavolo.
Da parte mia vorrei che il devoto e la devota che seguono i miei consigli fossero quelli vestiti sempre con più gusto nella brigata, ma i meno ricercati e affettati; come dice il proverbio, vorrei che fossero ornati di grazia, di gentilezza e di dignità. S. Luigi lo esprime molto bene: Ci si deve vestire secondo la propria condizione, di modo che i saggi e i buoni non possano dire: ti sei caricato troppo; e i giovani: ti sei tirato troppo giù.
Ma in caso che i giovani non fossero soddisfatti del nostro decoro, poco danno, atteniamoci al parere dei saggi!


Capitolo XXVI
SUL PARLARE E IN PRIMO LUOGO COME SI DEVE PARLARE DI DIO

I medici, dall’esame della lingua di un paziente, si fanno un’opinione fondata sul suo stato di salute; per noi le informazioni valide sullo stato della nostra anima sono le parole: Dalle tue parole, dice il Salvatore, sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato. Quando proviamo un dolore, subito vi portiamo la mano sopra; lo stesso fa la lingua sull’amore che proviamo.
Per cui, Filotea, se sei molto innamorata di Dio, parlerai spesso di Dio nelle conversazioni familiari con i i tuoi domestici, con gli amici, con i vicini: perché, la bocca del giusto mediterà la sapienza, e la sua lingua parlerà con giudizio. A somiglianza delle api, che con la loro boccuccia trattano solo il miele, la tua lingua sarà sempre profumata del suo Dio, e il tuo più grande piacere sarà quello di sentir fluire dalle tue labbra lodi e benedizioni al suo nome, proprio come si dice di S. Francesco d’Assisi, il quale, dopo che aveva pronunciato il santo nome del Signore, ripassava la lingua sulle labbra per continuare ad assaporare la più grande dolcezza del mondo.
Ma quando parli di Dio, ricordati che stai parlando di Dio, ossia che lo devi fare con rispetto e devozione, non prendendo atteggiamento di sufficienza o il tono di una predica, ma con spirito di dolcezza, di carità e di umiltà, facendo scendere, come ben sai e come si dice della Sposa nel Cantico dei Cantici, il miele delizioso della devozione e delle cose divine, goccia a goccia, ora nell’orecchio dell’uno, ora nell’orecchio dell’altro; e pregherai Dio nell’intimo della tua anima che voglia far scendere quella santa rugiada fino al cuore di quelli che ascoltano. Questo compito angelico va condotto con dolcezza e soavità; bisogna evitare il tono della correzione; bisogna procedere per modo di ispirazione; sai bene che la soavità dei modi e l’amabilità nel proporre qualche buon suggerimento, compiono meraviglie ed hanno la forza di un invito irresistibile per i cuori.
Non parlare mai di Dio e di devozione tanto per dire di averlo fatto, o per fare due chiacchiere; ma sempre con attenzione e devozione; questo te lo dico per impedirti di cadere in una sciocca vanità che si riscontra in molti che fanno professione di persone devote. Ad ogni piè sospinto dicono parole sante e piene di fervore, quasi per modo di battute, senza nemmeno pensarci. Dopo averle dette sono convinti di essere lo specchio delle parole che hanno detto; invece, proprio non lo sono!


Capitolo XXVII
L’ONESTÀ NELLE PAROLE E IL RISPETTO DOVUTO ALLE PERSONE

Dice S. Giacomo: Se uno non pecca in parole è un uomo perfetto. Fa scrupolosamente attenzione a non lasciarti sfuggire alcuna parola sconveniente; anche se non la dici con cattiva intenzione, coloro che l’odono, possono prenderla in tal senso. Se la parola sconveniente cade in un cuore debole, si estende e si allarga come una goccia d’olio su un lenzuolo; e qualche volta si impadronisce in modo tale del cuore da riempirlo di mille pensieri e tentazioni oscene.
Tu sai che il veleno per il corpo entra dalla bocca; quello per il cuore entra dall’orecchio e la lingua che lo propina è assassina, anche se il veleno propinato non consegue l’effetto perché ha trovato immunizzati i cuori degli uditori. Se gli altri non sono morti non è perché mancasse la volontà di uccidere.
Nessuno venga a dirmi che non ci pensa: Nostro Signore, che conosce i pensieri, ha detto che la bocca parla dell’abbondanza del cuore. Se il pensiero non ce lo mettiamo noi, sta pur certa che ce lo mette il diavolo e anche molto! t il suo segreto: servirsi di cattive parole per trafiggere i cuori di chi gli capita a tiro.
Si dice che quelli che mangiano l’erba detta angelica, hanno sempre l’alito dolce e gradevole; coloro che hanno nel cuore l’onestà e la castità, che è una virtù angelica, usano sempre parole educate e pulite. Quanto alle cose indecenti e folli, l’apostolo non vuole nemmeno che se ne faccia il nome, e ci assicura che niente corrompe i buoni costumi quanto le conversazioni invereconde.
Se queste parole indecenti sono dette di nascosto, in modo studiato e sottile, sono ancora più velenose; infatti più un dardo è appuntito e più profondamente penetra nel corpo; così, più una parola cattiva è sottile e più penetra nei nostri cuori.
Coloro che pensano di essere gentiluomini perché usano tali parole nelle conversazioni, non hanno idea di che cosa sono le conversazioni; devono essere simili a sciami di api raccolte insieme per ricavare il miele da qualche dolce e virtuoso argomento, e non un mucchio di vespe che si uniscono per succhiare marciume.
Se qualche stupido ti dice parole indecenti, fa vedere che le tue orecchie non vogliono udirle: interessati ad altro o manifesta la tua ripugnanza in qualche modo; sarà la tua prudenza a indicarti quello opportuno.
Uno dei difetti peggiori dello spirito è quello di essere beffardo: Dio odia molto questo vizio e sappiamo che lo ha punito con castighi esemplari.
Nessun vizio è così contrario alla carità, e più ancora alla devozione, quanto il disprezzo e la derisione del prossimo.
La derisione e la beffa non vanno senza disprezzo; è per questo che è un peccato molto grave, e i moralisti hanno ragione di dire che la derisione è il modo peggiore di offendere il prossimo con parole; le altre offese salvano sempre, in una certa misura, la stima per la persona; la derisione invece non la risparmia in nulla.
Cosa molto diversa sono le battute scherzose tra amici; si fanno in allegria e gioia serena. Si tratta addirittura di una virtù cui i Greci davano il nome di eutrapelia: noi diciamo buona conversazione. È il modo di prendersi una onesta e amabile ricreazione sulle situazioni buffe cui i difetti degli uomini danno occasione.
Bisogna soltanto stare attenti a non passare dagli scherzi sereni alla derisione. La derisione provoca al riso per mancanza di stima e per disprezzo del prossimo; invece la battuta allegra e la burla scherzosa provocano al riso per la “ trovata “, gli accostamenti imprevedibili fatti in confidenza e schiettezza amichevole; e sempre con molta cortesia di linguaggio.
S. Luigi quando le persone bigotte volevano parlargli di argomenti impegnativi dopo il pranzo, era solito dire: Ora non è tempo di dotte discussioni, ora è tempo di allegria e di scherzi; ciascuno dica quello che si sente. in tal modo andava incontro alla nobiltà che lo circondava per ricevere gentilezze da Sua Maestà. Filotea, l’importante è passare il tempo di ricreazione in modo tale da conservare per devozione il pensiero della santa eternità.


Capitolo XXVIII
I GIUDIZI TEMERARI

Non giudicare e non sarai giudicato, dice il Salvatore delle nostre anime; non condannare e non sarai condannato. Dice l’apostolo: Non giudicare prima del tempo, ossia fino a che non venga il Signore che svelerà il segreto nascosto nelle tenebre, e manifesterà i pensieri dei cuori. I giudizi temerari sono severamente riprovati da Dio! 1 giudizi emessi dai figli degli uomini sono temerari perché gli uomini non sono autorizzati ad emettere giudizi gli uni sugli altri; ciò facendo usurpano l’ufficio che Nostro Signore si è riservato; in più sono temerari perché la principale malizia del peccato dipende dall’intenzione e dal disegno del cuore, che è per noi il segreto delle tenebre; sono temerari perché ciascuno è sufficientemente occupato a giudicare se stesso, senza mettersi a giudicare anche il prossimo.
Per non correre il rischio di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: fermiamoci invece a giudicare noi stessi. Nostro Signore ci ha proibito la prima cosa e l’apostolo ci comanda la seconda quando dice: Se noi giudichiamo noi stessi, non verremo giudicati. Noi facciamo invece esattamente il contrario: non manchiamo mai di fare quello che ci era stato proibito, sentenziando a dritta e a manca sul prossimo; giudicare noi stessi, che sarebbe poi quello che ci è stato comandato, chi si sogna di farlo?
Bisogna correre ai ripari partendo dalle cause dei giudizi temerari. Ci sono dei cuori acidi, amari e aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono; costoro, secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno giudicare il prossimo senza rigore e asprezza. Simili persone hanno tanto bisogno di cadere tra le mani di un consumato medico spirituale, perché, dato che l’amarezza di cuore è loro connaturale, vincerla è difficile; benché per sé non sia peccato, anzi soltanto un’imperfezione, tuttavia è da ritenersi pericolosa, perché introduce nell’anima, e ve li fissa, il giudizio temerario e la maldicenza.
Altri fanno giudizi temerari, non per acidità, ma per orgoglio; pensano che nella misura in cui abbassano l’onore degli altri, alzano il proprio! Sono spiriti arroganti e presuntuosi, pieni di ammirazione per se stessi, che si collocano così in alto nella propria stima, da vedere tutto il resto come cose piccole e basse: Non sono come gli altri uomini, diceva quel Fariseo.
In alcuni questo orgoglio non è tanto evidente e si manifesta soltanto in un certo compiacimento nel considerare i difetti degli altri per assaporare con maggior piacere il bene contrario di cui si sentono dotati. Questo compiacimento è così segreto e impercettibile che, se non si è forniti di una buona vista, non lo si può scoprire; e persino quelli che ne sono affetti, non se ne accorgono se non si fa loro notare.
Altri poi, per lusingarsi e trovare scuse nei confronti di se stessi, o per attenuare i rimorsi delle loro coscienze, pensano molto volentieri che gli altri siano contagiati dal vizio al quale si sono dati, o da qualche altro equivalente; pensano che il fatto di trovarsi ad essere in molti colpevoli dello stesso crimine, riduca la gravità.
Molti si lasciano andare al giudizio temerario per il solo piacere di filosofeggiare e fare gli indovini sulle abitudini e i capricci della gente, quasi per esercitarsi! Che se poi, per disgrazia, qualche volta azzeccano i loro giudizi, l’audacia e la brama di andare avanti diventa tanto forte in essi, che solo a fatica si può riuscire a distoglierli. Altri ancora giudicano per passione e pensano sempre bene di ciò che amano e sempre male di ciò che odiano. Soltanto in un caso, sorprendente fin che si vuole, ma reale, l’eccesso di amore spinge ad emettere un giudizio negativo su ciò che si ama: come risultato è mostruoso, ma lo spieghi facilmente se pensi che viene da un amore equivoco, imperfetto, agitato, malato, che si chiama gelosia, che, come tutti sanno, per un semplice sguardo, per il minimo sorriso di questo mondo, condanna le persone accusandole di perfidia e di adulterio.
Infine, spesso e molto, contribuiscono alla formazione di sospetti e giudizi temerari il timore, l’ambizione e altre simili debolezze dello spirito.
Quali sono i rimedi? Coloro che bevono un estratto di un oppiaceo detto ofiusa, che cresce in Etiopia, credono di vedere ovunque serpenti e altre cose orribili: coloro che hanno trangugiato orgoglio, invidia, ambizione, odio, vedono tutte le cose come cattive e riprovevoli; chi ha bevuto l’oppiaceo, se vuol guarire, deve bere vino di palma; la stessa cosa devono fare i viziosi di cui sopra.
Bevi più che puoi il sacro vino della carità; ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare giudizi temerari.
La carità teme l’incontro con il male, tanto meno lo cerca; quando ci si imbatte volge altrove lo sguardo e fa finta di niente, anzi chiude gli occhi prima di vederlo, alle prime avvisaglie e finisce con il credere, con santa semplicità, che quello non era male, ma soltanto un’ombra o un fantasma del male; se poi l’evidenza la costringe ad ammettere che è proprio male, se ne allontana immediatamente e cerca di dimenticarne l’aspetto.
Per tutti i mali il grande rimedio è la carità; in modo particolare per questo. Tutto sembra giallo agli occhi degli ammalati gravi di itterizia; si dice che per guarirli da questo male bisogna obbligarli a mettere un po’ d’erba detta celidonia sotto la pianta dei piedi.
Il peccato del giudizio temerario è un’itterizia spirituale, che, agli occhi di coloro che ne sono affetti, trasforma tutte le cose in cattive; chi vuole guarirne, non deve curare gli occhi, ossia l’intelletto, ma gli affetti, che sono i piedi dell’anima: se i tuoi affetti sono dolci, se sono caritatevoli, anche i tuoi giudizi lo saranno.
Voglio raccontarti tre esempi notevoli.
Isacco aveva detto che Rebecca era sua sorella, Abimelech vide che gioiva con lei, ossia che l’accarezzava con tenerezza, e subito concluse che era sua moglie: un occhio maligno avrebbe invece pensato che era la sua amante, o caso mai, se realmente era sua sorella, che erano due incestuosi; Abimelech segue l’interpretazione più benevola del fatto. Bisogna agire sempre in questo modo, Filotea, interpretando sempre in favore del prossimo; e se un’azione avesse cento aspetti, tu ferma sempre la tua attenzione al più bello.
La Madonna era incinta: S. Giuseppe lo vedeva bene. D’altra parte la vedeva tutta santa, tutta pura, tutta angelica; non poteva credere che fosse rimasta incinta mancando al suo onore. Decide allora di abbandonarla, lasciando a Dio il giudizio. Benché ci fossero tutte le circostanze evidenti per farsi una cattiva opinione di quella Vergine, egli non volle giudicarla. Perché? Perché era giusto, dice lo Spirito di Dio. L’uomo giusto quando non può scusare né il fatto né l’intenzione, di chi sa per altre vie essere uomo per bene, rifiuta di giudicare, se lo toglie dallo spirito, lascia a Dio solo la sentenza.
Il Salvatore non può scusare completamente il peccato di coloro che lo stanno crocifiggendo; ne diminuisce la malizia, adducendo l’ignoranza. Quando non ci è possibile scusare il peccato, rendiamolo almeno degno di compassione, attribuendolo alla causa più comprensibile che si possa pensare, quali l’ignoranza e la debolezza.
Ma allora, non è mai permesso giudicare il prossimo? No, mai! t Dio solo, Filotea, che giudica i colpevoli secondo giustizia. t vero che si serve della voce dei magistrati per renderla intelligibile alle nostre orecchie: sono il suo tramite e i suoi interpreti e devono pronunciare soltanto quello che hanno sentito da Lui, quasi come oracoli. Se agiscono diversamente, seguendo le loro passioni, in tal caso chi giudica sono loro e dovranno renderne conto essendo a loro volta giudicati, perché agli uomini, in quanto uomini, è proibito di giudicare.
Vedere o conoscere una cosa, non è giudicare, perché il giudizio, stando al detto della Scrittura, presuppone la necessità di chiarire una difficoltà, che può essere piccola o grande, vera o apparente; infatti dice che coloro i quali non credono sono già giudicati; non ci sono dubbi sulla loro condanna eterna. Non c’è nulla di male nel dubitare del prossimo, perché non è proibito dubitare, ma giudicare! Tuttavia non e permesso dubitare o sospettare se non proprio quando rigorosamente non se ne può fare a meno, e siamo costretti a dubitare da motivi e ragioni serie. Al di fuori di ciò i dubbi e i sospetti sarebbero temerari.
Se qualche occhio maligno avesse visto Giacobbe mentre baciava Rachele vicino al pozzo, e se avesse visto Rebecca accettare in dono braccialetti e orecchini da Eleazaro, forestiero in quel paese, avrebbe, senza alcun dubbio, pensato male di quei due modelli di virtù, ma senza ragione e senza fondamento; perché quando un’azione è per se stessa indifferente, tirarne cattive conclusioni è un sospetto temerario, a meno che siamo costretti al sospetto da molte indicazioni inequivocabili.
Concludere da un’azione mal fatta la condanna della persona è un giudizio temerario; ma su questo, tra breve, parlerò con maggior chiarezza.
E per finire ti dico che chi ha molta cura della propria coscienza non è quasi mai portato ai giudizi temerari; come le api vedendo la nebbia o il tempo nuvoloso s ‘ i rifugiano nelle loro arnie a sistemare il miele, allo stesso modo i pensieri delle anime buone non si posano su oggetti confusi, né sulle azioni poco chiare del prossimo. Anzi, per evitare il pericolo, si raccolgono all’interno del loro cuore per curare i buoni propositi del proprio emendamento. Soltanto un’anima insulsa può perdere tempo ad esaminare la vita degli altri.
Faccio eccezione per quelli che hanno la responsabilità di altri, sia in famiglia che nella società: per essi gran parte della coscienza sta nel guardare e vegliare su quella degli altri.
Adempiano al loro dovere con amore; al di fuori di ciò, si comportino come tutti.




Capitolo XXIX
LA MALDICENZA

Il giudizio temerario causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla maldicenza, vera peste delle conversazioni. Vorrei avere un carbone ardente del santo altare per passarlo sulle labbra degli uomini, per togliere loro la perversità e mondarli dal loro peccato, proprio come il Serafino fece sulla bocca di Isaia.
Se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. A chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si grava, rimane l’obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della maldicenza commessa. Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri; ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell’anima; la vita civile che consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti. uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla. Dice S. Bernardo che sia colui che sparla come colui che ascolta il maldicente, hanno il diavolo addosso, uno sulla lingua e l’altro nell’orecchio. Davide, riferendosi ai maldicenti dice: Hanno affilato le loro lingue come quelle dei serpenti.
Il serpente ha la lingua biforcuta, a due punte, come dice Aristotele; tale e quale è quella del maldicente, che con un sol morso ferisce e avvelena l’orecchio di chi ascolta e il buon nome di colui di cui parla male.
Per questo ti scongiuro, carissima Filotea, di non sparlare mai di alcuno, né direttamente, né indirettamente. Sta attenta a non attribuire delitti e peccati inesistenti al prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare il bene che sai esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto meno poi devi sminuirlo a parole; agendo in questo modo offenderesti seriamente Dio, soprattutto se dovessi accusare falsamente il prossimo o negassi la verità a lui favorevole; mentire e contemporaneamente nuocere al prossimo è doppio peccato.
Coloro che per seminare maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di piccole frasi gentili, o peggio di scherno, sono i maldicenti più sottili e più velenosi.
Protesto, dicono, che gli voglio bene e che per il resto è un galantuomo, ma, continuano, la verità va detta: ha avuto torto nel commettere quella perfidia; quella è una ragazza virtuosissima, ma si è lasciata sorprendere..., e simili piccole cornici!
Non capisci dov’è l’arte? Chi vuol scoccare una freccia, la tira più che può a sé, ma è soltanto per scagliarla con maggior forza: si può anche avere l’impressione che costoro tirino a sé la maldicenza, ma è soltanto per scoccarla con maggior sicurezza, per farla penetrare più a fondo nel cuore di coloro che ascoltano.
La maldicenza portata sotto forma di scherno è la più cattiva di tutte; fa pensare alla cicuta che, di per sé, non è un veleno molto forte, anzi ha un’azione lenta e facilmente vi si può porre rimedio, ma se viene ‘1 vino, è senza scampo; lo stesso è di una presa con maldicenza che, di natura sua, secondo il detto, entrerebbe da un orecchio e uscirebbe dall’altro e che invece penetra fortemente nella mente degli ascoltatori quando è presentata in un contesto di parole sottili e gioviali.
Dice Davide: Hanno il veleno dell’aspide sotto le loro labbra. La puntura dell’aspide è quasi impercettibile, e il suo veleno dà sulle prime un prurito gradevole, che allarga così il cuore e le viscere e favorisce così l’assorbimento del veleno, contro il quale non ci sarà più nulla da fare.
Non dire mai: Il tale è un ubriacone, anche se l’hai visto ubriaco davvero; quello è un adultero, perché l’hai visto in adulterio; è incestuoso perché l’hai sorpreso in quella disgrazia; una sola azione non ti autorizza a classificare la gente. Il sole si fermò una volta per favorire la vittoria di Giosuè e si oscurò un’altra volta per la vittoria del Salvatore; a nessuno viene in mente per questo di dire che il sole è immobile e oscuro.
Noè si ubriacò una volta; e così anche Lot e questi, in più, commise anche un grave incesto: non per questo erano ubriaconi, e non si può dire che quest’ultimo fosse incestuoso. E non si può dire che S. Pietro fosse un sanguinario perché una volta ha versato sangue, né che fosse bestemmiatore perché ha bestemmiato una volta.
Per classificare uno vizioso o virtuoso bisogna che abbia fatto progressi e preso abitudini; è dunque una menzogna affermare che un uomo è collerico o ladro, perché l’abbiamo visto adirato o rubare una volta soltanto.
Anche se un uomo è stato vizioso per lungo tempo, sì rischia di mentire chiamandolo vizioso.
Simone il lebbroso chiamò Maddalena peccatrice, perché lo era stata prima; mentì, perché non lo era più, anzi era una santa penitente; e Nostro Signore la difese. Quell’altro Fariseo vanesio considerava grande peccatore il pubblicano, ingiusto, adultero, ladro; ma si ingannava, perché proprio in quel momento era giustificato.
Poiché la bontà di Dio è così grande che basta un momento per chiedere e ottenere la sua grazia, come facciamo a sapere che uno, che era peccatore ieri, lo sia anche oggi? Il giorno precedente non ci autorizza a giudicare quello presente, e il presente non ci autorizza a giudicare il passato. Solo l’ultimo li classificherà tutti.
Non potremo mai dire che un uomo è cattivo senza pericolo di mentire. In caso che sia necessario parlare possiamo dire che ha commesso tale o tal’altra azione cattiva, che ha condotto una vita disordinata in tale periodo, che agisce male al presente; ma non è lecito da ieri tirare delle conclusioni per oggi, né da oggi per ieri, e ancor meno da oggi per domani.
Se è vero che bisogna essere molto attenti a non parlare mai male del prossimo, però bisogna anche guardarsi dall’estremo opposto, in cui cadono alcuni, i quali, per paura di fare della maldicenza, lodano e dicono bene del vizio.
Se ti imbatti in un maldicente senza pudore, per scusarlo, non dire che è una persona libera e franca; di una persona apertamente vanesia, non dire che è generosa e senza complessi; le libertà pericolose non chiamarle semplicità e ingenuità; non camuffare la disobbedienza con il nome di zelo, l’arroganza con il nome di franchezza, la sensualità con il nome di amicizia.
Cara Filotea, per fuggire il vizio della maldicenza, non devi favorire, accarezzare, e nutrire gli altri vizi; ma con semplicità e franchezza, devi dire male del male e biasimare le cose da biasimare; solo se agiamo in questo modo diamo gloria a Dio.
Fa però attenzione ed attienti a quello che ora ti dirò.
Si possono lodevolmente biasimare i vizi degli altri, anzi è necessario e richiesto, quando lo esige il bene di colui di cui si parla o di chi ascolta.
Facciamo degli esempi: supponi che in presenza di ragazze vengano raccontate delle licenziosità commesse da Tizio e da Caia: è una cosa senz’altro pericolosa; oppure supponi che si parli della dissolutezza verbale di un tale o di una tale, sempre esemplificando; o ancora di una condotta oscena: se io non biasimo chiaramente quel male, o, peggio, tento di scusarlo, quelle tenere anime che ascoltano, avranno la scusa per lasciarsi andare a qualche cosa di simile; il loro bene esige che, con molta franchezza, biasimi all’istante quelle sconcezze. Potrei riservarmi di farlo in un altro momento soltanto se sapessi di ricavarne sicuramente un miglior risultato togliendo allo stesso tempo importanza ai colpevoli.
P, necessaria anche un’altra cosa: per parlare del soggetto devo averne l’autorità, o perché sono uno di quelli più in evidenza nel gruppo; nel qual caso se non parlo, avrò l’aria di approvare il vizio: se invece nel gruppo non godo di molta considerazione, devo guardarmi bene dal fare censure.
Più di tutto Poi è necessario che io sia ponderato ed esatto nelle parole, per non dirne una sola di troppo: per esempio. se devo riprendere le eccessive libertà di quel giovanotto e di quella ragazza, perché chiaramente esagerate e pericolose, devo saper conservare la misura per non gonfiare la cosa nemmeno di un soffio.
Se c’è soltanto qualche sospetto, dirò soltanto quello; se si tratta di sola imprudenza, non dirò di più; se non c’è né imprudenza, né sospetto di male, ma soltanto materia perché qualche spirito malizioso faccia della maldicenza, non dirò niente del tutto o dirò soltanto quello che è,
Quando parlo del prossimo, la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità.
Un’ultima cosa: pur riprendendo il vizio, devi fare attenzione a non coinvolgere la persona che lo porta. Ti concedo di parlare liberamente soltanto dei peccatori infami, pubblici e conosciuti da tutti, ma anche in questo caso lo devi fare con spirito di carità e di compassione, non con arroganza e presunzione; tanto meno per godere del male altrui. farlo per quest’ultimo motivo è prova di un cuore vile e spregevole.
Faccio eccezione per i nemici dichiarati di Dio e della Chiesa; quelli vanno screditati il più possibile: ad esempio, le sette eretiche e scismatiche con i loro capi. È carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove.
Tutti si prendono la libertà di giudicate e censurare i governanti e parlar male di intere reazioni, lasciandosi guidare dalla simpatia: Filotea, non commettere quest’errore. Tu, oltre all’offesa a Dio, corri il rischio di scatenare mille rimostranze.
Quando senti parlare male, se puoi farlo con fondatezza, metti in dubbio l’accusa; se non è possibile, dimostra compassione per il colpevole, cambia discorso, ricorda e richiama alla mente dei presenti che coloro i quali non sbagliano lo devono soltanto a Dio. Riporta in se stesso il maldicente con buone maniere; se sai qualche cosa di bene della persona attaccata, dilla.


Capitolo XXX
ALTRI CONSIGLI SUL PARLARE

Il tuo modo di parlare sia pacato, schietto, sincero, senza fronzoli, semplice e veritiero. Tienti lontano dalla doppiezza, dall’astuzia e dalle finzioni. t vero che non tutte le verità devono sempre essere dette; ma per nessun motivo è lecito andare contro la verità.
Abituati a non mentire coscientemente, né per scusa, né per altro, ricordandoti che Dio è il Dio della verità. Se hai mentito inavvertitamente e puoi rimediare spiegando e correggendo, fallo subito: le scuse sincere hanno più delicatezza e più forza convincente per scusarci di qualunque menzogna.
Qualche volta è permesso, con prudenza e discrezione, alterare e nascondere la verità con un giro di parole; ma soltanto per motivi seri; quando lo richiedono, senza ombra di dubbio, la gloria di Dio e il suo servizio. Fuori di ciò, i giri di parole o le astuzie verbali sono pericolose perché, come dice la Parola di Dio, lo Spirito Santo non abita in un’anima falsa e doppia.
Nessuna finezza è migliore e più desiderabile della semplicità.
La prudenza mondana e le arti della carne sono caratteristiche dei figli di questo secolo; i figli di Dio invece camminano senza astuzie e hanno il cuore senza misteri. Chi cammina con semplicità, dice il Saggio, avanza con fiducia. La menzogna, la doppiezza, la simulazione sono segni di uno spirito debole e vile.
S. Agostino, nel IV libro delle Confessioni, dice che l’anima sua e quella del suo amico formavano un’anima sola, e che odiava la vita dopo la morte dell’amico, perché non se la sentiva di vivere a metà e, nello stesso tempo, temeva di morire, perché in tal modo anche l’amico avrebbe cessato di vivere totalmente. In seguito queste parole gli parvero troppo artificiose e studiate e così, nel Libro delle Ritrattazioni, le sconfessa e le chiama inezie. Cara Filotea, pensa quanto quella bella e sant’anima fosse sensibile all’affettazione delle parole! Senza dubbio il parlare in modo schietto, senza fronzoli e con sincerità, è un prezioso ornamento della vita cristiana.
“Ho detto, farò attenzione alle mie vie per non peccare in parole; Signore, metti le sentinelle alla mia bocca e una porta a chiusura delle mie labbra “ cantava Davide.
È un consiglio del grande Re S. Luigi: Non contraddire mai nessuno a meno che non sia peccato o dal consenso ne consegua un grave danno; questo ti eviterà contestazioni e litigi. Quando è necessario contraddire qualcuno e opporsi all’opinione di un altro, bisogna usare molta dolcezza e una grande abilità, senza aver l’aria di aggredire chicchessia; non ci si guadagna mai a prendere le cose con asprezza. Il parlare poco, tanto raccomandato dagli antichi saggi, non va inteso nel senso di dire poche parole, ma di non dirne di inutili. Nel campo delle parole non si guarda alla quantità, ma alla qualità. Secondo me bisogna evitare i due estremi: darsi troppo un contegno sostenuto e severo, rifiutandosi di partecipare alla conversazione familiare, il che mi sembra che denoti mancanza di fiducia e anche un certo disprezzo degli altri; d’altra parte il ciarlare e il cicalare senza soste, senza mai lasciare spazio agli altri per dire una sola parola, sarebbe segno di leggerezza e insulsaggine.
S.Luigi trovava che non fosse ben fatto, quando si è in compagnia, parlare all’orecchio o fare conciliaboli; questo per non dare il sospetto che si stesse parlando di qualcuno. Diceva: Chi si trova a tavola, in buona compagnia, e ha da dire una cosa allegra e simpatica, la deve dire in modo che tutti la odano; se invece si tratta di un affare di importanza, non parli affatto.


Capitolo XXXI
PASSATEMPI E DIVERTIMENTI E, IN PRIMO LUOGO,
QUELLI LECITI E LODEVOLI

Ogni tanto è necessario rilassare lo spirito e il corpo con qualche divertimento.
S.Giovanni Evangelista, secondo quanto riferisce Cassiano, un giorno fu sorpreso da un cacciatore mentre accarezzava per divertimento una pernice che gli si era posata sulla mano; il cacciatore gli chiese come mai lui, uomo di tanto valore, perdesse il suo tempo in una cosa tanto insignificante e senza frutto; S. Giovanni gli chiese di rimando: E tu, perché non tieni il tuo arco sempre teso? Per il timore, rispose il cacciatore, che, rimanendo sempre curvo, al momento opportuno non abbia più la forza di distendersi. E per un replicò l’apostolo, perché ti meravigli se lascio per un po’ il rigore e la concentrazione dello spirito per distrarmi un po’ e consacrarmi poi, con maggior vi. gore alla contemplazione? Essere tanto rigidi, rustici e selvatici da non voler permettere né a sé, né agli altri alcun genere di divertimento, senza alcun dubbio è un vizio!
Prendere una boccata d’aria, fare due passi, fermarsi in conversazioni gioviali e piacevoli, suonare il liuto o qualche altro strumento, fare della musica, andare a caccia, sono divertimenti così onesti che per usarne bene basta la prudenza comune a tutti, quella che assegna ad ogni cosa un posto, un luogo, un tempo e la misura.
1 giochi nei quali la vittoria premia e ricompensa la destrezza e l’inventiva del corpo e dello spirito, come il gioco della pallacorda, della palla, della pallamaglio, il gioco della giostra, gli scacchi e altri giochi da tavolino, di natura loro, sono divertimenti buoni e onesti.
Bisogna guardarsi soltanto dagli eccessi, sia per il tempo che vi si spende, sia per il denaro che vi si impegna; se tu vi consacri troppo tempo, diventa un’occupazione, non più un divertimento: non ne traggono giovamento né lo spirito, né il corpo, anzi alla fine ti troverai stordito e stanco.
Dopo che hai giocato cinque o sei ore agli scacchi, ti trovi stanco morto e vuoto nello spirito; se giochi a lungo a pallacorda, non ti diverti, ma ti ammazzi di fatica. Se poi la posta, ossia ciò che si mette in palio, è troppo alta, si altera la serenità dei giocatori. Inoltre, mi sembra un’ingiustizia mettere grossi premi per la destrezza e l’inventiva in cose di così poca importanza, anzi, direi di nessuna utilità, come il gioco.
Ma soprattutto, Filotea, sta attenta a non impegnare il tuo affetto; un gioco sarà onesto fin che vuoi, ma metterci dentro il cuore e il proprio affetto è sempre male! Non dico che non si debba provar piacere mentre si gioca, non sarebbe più un divertimento, ma ti dico di non impegnarci il cuore per desiderarlo, perderci tempo e agitarti.


Capitolo XXXII
I GIOCHI PROIBITI

Il gioco dei dadi, delle carte e simili, nei quali la vittoria dipende più dalla fortuna che altro, non soltanto sono divertimenti pericolosi, come il ballo ma, di natura loro, sono semplicemente cattivi e riprovevoli. P per questo che sono proibiti tanto dalle leggi civili che da quelle ecclesiastiche.
Ma dov’è tutto questo male? mi chiederai.
In questi giochi non è la ragione che dà la vittoria, ma il caso, che spesso favorisce chi di per sé, quanto a destrezza e ingegno, non meriterebbe niente: sotto questo aspetto la ragione è umiliata. Tu mi dirai: Ma ci siamo messi d’accordo! Questo vale soltanto per dimostrare che chi vince non fa torto agli altri, ma ciò non toglie che il patto non sia ragionevole e il gioco nemmeno; perché la vittoria, che deve essere il premio della destrezza, diventa premio del caso, che non merita nessun premio, visto che non dipende, in alcun modo, da noi!
Aggiungi che questi giochi hanno il nome di divertimenti e sono fatti per questo; e invece proprio non lo sono, ma sono soltanto occupazioni a tempo pieno.
Non è forse un’occupazione tenere lo spirito caricato e teso da un’attenzione continua, e agitato da insistenti inquietudini, ansie e paure? Riesci a trovare una tensione più triste, più lugubre e più desolata di quella di un giocatore? Non si può parlare, non si può ridere, nemmeno tossire, altrimenti i giocatori si stizziscono.
Infine nel gioco non c’è gioia se non vinci. E non ti sembra che sia una gioia perversa, giacché si può conseguire soltanto per mezzo della sconfitta e del dispiacere del compagno? t davvero una gioia senza onore.
Sono queste le tre ragioni per cui questi giochi sono proibiti. Il grande Re S. Luigi, sapendo che suo fratello, il Conte di Angiò e il nobile Gautier de Nemours stavano giocando, malato com’era, si alzò e, barcollando, si recò in camera loro, prese i tavolini da gioco, i dadi e una parte del denaro e gettò tutto in mare dalla finestra, e si corrucciò molto contro di loro.
La santa e casta Sara, parlando a Dio della propria innocenza, per metterla in evidenza, dice: Tu sai, Signore, che non mi sono mai fermata a parlare con i giocatori.


Capitolo XXXIII
I BALLI E I PASSATEMPI LECITI MA PERICOLOSI

Di natura loro, le danze e i balli sono cose indifferenti, ma il modo abituale di dar corso a questi passatempi, manifesta una forte inclinazione e tendenza al male. Per tale motivo costituiscono sempre un certo pericolo.
Ci si dà alle danze di notte e, col favore delle tenebre e dell’oscurità, è facile farci scivolare qualche libertà equivoca e insinuatrice, per un soggetto che, di natura sua, tende fortemente al male; si veglia a lungo, il che guasta la mattinata del giorno seguente e quindi la possibilità di servire Dio in essa; in una parola è sempre follia cambiare il giorno con la notte, la luce con le tenebre, le buone azioni con le follie.
Tutti fanno a gara nell’essere vanitosi al ballo e si sa che la vanità dispone fortemente agli affetti equivoci e agli amori riprovevoli e pericolosi; nelle danze tutto ciò trova un terreno ideale.
Filotea, sai cosa dicono i medici delle zucche e dei funghi? Che non valgono niente. Ti dico la stessa cosa delle danze: i balli migliori non sono buoni a nulla.
Se ti capita di dover mangiare delle zucche, fa attenzione che almeno siano preparate bene: se ti trovi in una situazione per cui non ti è possibile trovare plausibili giustificazioni per dispensarti dal ballo, cura che la danza sia ‘ben preparata’.
Con che cosa la devi condire? Modestia, dignità e retta intenzione.
Riferendosi ai funghi, i medici dicono dì mangiarne pochi e di rado, perché, per quanto ben preparati, la quantità li rende velenosi. Filotea, danza poco e raramente; diversamente rischieresti di affezionartici.
Secondo Plinio, i funghi, proprio perché sono spugnosi e porosi, assorbono facilmente tutto ciò che di infetto c’è intorno, e se si trovano vicino a un serpente ne assorbono il veleno. I balli, le danze e simili riunioni equivoche ordinariamente assorbono tutti i vizi e i peccati che dominano in un ambiente: le dispute, le invidie, le beffe, gli amori folli. Allo stesso modo che il ballo apre i pori del corpo di coloro che vi si impegnano, contemporaneamente apre anche i pori del cuore; per cui, se qualche serpente, approfittando dell’occasione, viene a sussurrare qualche parola lasciva all’orecchio, qualche corteggiamento, qualche moina, o addirittura qualche basilisco viene a gettare sguardi impudichi, occhiate d’amore, i cuori sono molto arrendevoli e si lasciano facilmente conquistare ed avvelenare.
Questi divertimenti, Filotea, abitualmente sono fuori posto e risultano pericolosi: dissipano lo spirito di devozione, indeboliscono le forze, intiepidiscono la carità, e risvegliano nell’anima mille generi di affetti perversi; questa è la ragione per cui occorre servirsene con grande prudenza.
Dopo i funghi si raccomanda di bere vino della migliore qualità; io ti dico che dopo le danze devi ricorrere a qualche santa e buona riflessione, per bloccare le impressioni pericolose che il piacere che hai provato potrebbe aver risvegliato nella tua anima. E quali?
1. Mentre tu ti davi alle danze, molte anime bruciavano nel fuoco dell’inferno per i peccati commessi nel ballo o per colpa del ballo.
2. Molti religiosi e persone devote, mentre tu bal1avi, erano alla presenza di Dio, cantavano le sue lodi e ne contemplavano la bellezza. Hanno impiegato il loro tempo molto meglio di te!
3. Mentre tu danzavi, molte anime morivano tra grandi sofferenze; milioni di uomini e donne combattevano con il male nei loro letti, negli ospedali, nelle strade. Pativano per la gotta, i calcoli, il delirio. E non trovavano riposo! Tu non ne hai compassione? Non pensi che un giorno ti lamenterai come loro, mentre altri danzeranno come ora fai tu?
4. Nostro Signore, la Madonna, gli Angeli e i Santi ti hanno visto al ballo: come hai fatto loro pena! Hanno visto il tuo cuore affogarsi in simile follia e tutta presa da quella sciocchezza.
5. Mentre tu ballavi il tempo scorreva e ti sei avvicinata alla morte; guarda come sogghigna e ti invita al ballo; al suo ballo, nel quale i violini saranno i gemiti dei circostanti e il passo di danza sarà uno solo, quello dalla vita alla morte.
Quella danza è il solo vero ‘passatempo’ dei mortali; in un momento passi dal tempo all’eternità della felicità o del tormento.
Ho notato per tua comodità queste brevi riflessioni; ma Dio te ne suggerirà altre a questo fine, se tu hai il suo timore.


Capitolo XXXIV
QUANDO È PERMESSO GIOCARE E DANZARE

Giocare e danzare è lecito quando si fa per divertimento e non per affetto; deve essere per breve tempo
e non fino a stancarsi o stordirsi, e di rado. Chi lo facesse spesso, trasformerebbe il divertimento in lavoro.
Ma quando si può giocare e danzare?
Le occasioni per la danza e il gioco, di per sé moralmente indifferenti, sono abbastanza frequenti; quelle per i giochi proibiti sono più rare, e quanto più tali giochi sono biasimevoli e pericolosi tanto più rare saranno le occasioni in cui saranno permessi.
In breve: gioca e danza alle condizioni che ti ho indicato, quando te lo consiglieranno la prudenza e la discrezione per accondiscendere e far piacere all’onesta compagnia nella quale ti troverai; la condiscendenza è figlia della carità e come tale rende buone le azioni indifferenti e permesse quelle pericolose.
Riesce persino a togliere la malizia a quei giochi che sono del tutto cattivi: per cui i giochi d’azzardo, che di per sé sono riprovevoli, cessano di esserlo se, qualche volta, è una ragionevole condiscendenza che ti ci conduce.
Mi ha edificato leggere nella vita di S. Carlo Borromeo che era arrendevole con gli Svizzeri in certi campi nei quali ordinariamente era molto severo, e che il Beato Ignazio di Loyola, invitato a giocare, accettò. Di S. Elisabetta d’Ungheria sappiamo che giocava e danzava quando si trovava in riunioni fatte per divertirsi; e questo senza pregiudizio della devozione, che era tanto radicata nella sua anima che aumentava in mezzo alla pompa e alle vanità cui l’esponeva la sua condizione, proprio come avviene per gli scogli intorno al lago di Rieti che crescono se battuti dalle onde; col vento i grandi fuochi divampano con maggior violenza, ma i piccoli si spengono del tutto se non li proteggiamo.


Capitolo XXXV
BISOGNA ESSERE FEDELI NELLE GRANDI E NELLE PICCOLE OCCASIONI

Nel Cantico dei Cantici lo Sposo confessa che la Sposa gli ha rapito il cuore con uno sguardo e un capello. Tra tutte le parti del corpo umano nessuna è più nobile dell’occhio, sia per la sua perfezione come organo, sia per la sua attività; e niente è più trascurabile di un capello. Lo Sposo divino in tal modo vuole farci capire che non gli sono accette soltanto le opere importanti dei devoti, ma anche le minori e quelle che sembrano di nessun conto. Sarà contento di noi soltanto se avremo cura di servirlo bene nelle cose importanti e di rilievo come nelle piccole e insignificanti; sia con le une che con le altre, possiamo rapirgli il cuore per amore.
Preparati dunque, Filotea, a soffrire un gran numero di grosse afflizioni per il Signore, fors’anche il martirio; deciditi a fargli dono di quanto hai di più prezioso, sempre che si degni di accettare: padre, madre, fratello, marito, moglie, figli, i tuoi occhi e la tua vita; a tutto ciò devi preparare il cuore.
Quando la Divina Provvidenza non ti manda afflizioni acute e pesanti, insomma non ti chiede gli occhi, donale almeno i capelli: voglio dire, sopporta con dolcezza le piccole offese, gli inconvenienti insignificanti, quelle sconfitte da poco sempre all’ordine del giorno; per mezzo di tutte queste piccole occasioni, usate con amore e direzione, conquisterai totalmente il suo cuore e lo farai tuo.
I piccoli gesti quotidiani di carità, un mal di testa, un mal di denti, un lieve malessere, una stranezza del marito o della moglie, un vaso rotto, un dispetto, una smorfia, la perdita di un guanto, di un anello, di un fazzoletto; quel piccolo sforzo per andare a letto presto la sera e alzarsi al mattino di buon’ora per pregare, per fare la comunione; quella piccola vergogna che si prova a fare in pubblico un atto di devozione; a farla breve, tutte le piccole contrarietà accettate e abbracciate con amore fanno infinitamente piacere alla Bontà divina, che, per un bicchiere d’acqua, ha promesso il mare della felicità completa ai fedeli; e siccome queste occasioni si presentano in continuazione, servirsene bene è un mezzo sicuro per accumulare grandi ricchezze spirituali.
Quando nella vita di S. Caterina da Siena ho letto tanti rapimenti ed elevazioni di spirito, tante parole
di sapienza e persino di predicazioni tenute da lei, ho avuto la certezza che con quell’occhio di contemplazione aveva rapito il cuore dello Sposo celeste; ma mi ha consolato nella stessa misura vederla in cucina girare umilmente lo spiedo, attizzare il fuoco, preparare il cibo, impastare il pane e fare tutti gli uffici più umili della casa, con un coraggio pieno di amore e di dilezione per il Signore. Ho uguale stima per la piccola e semplice meditazione che faceva consacrandosi a quei compiti così umili e disprezzati, come per le estasi e i rapimenti così frequenti in lei, e che forse le furono concessi proprio in ricompensa di quell’umiltà e di quell’abiezione.
Ecco com’era la sua meditazione: mentre preparava da mangiare per suo padre, pensava di prepararlo per Nostro Signore, come S. Marta; per lei sua madre le ricordava la Madonna; i fratelli, gli Apostoli. In tal modo pensava nel suo spirito di servire tutta la corte celeste e si adoperava in quei piccoli lavori con molta dolcezza, perché sapeva che quella era la volontà di Dio.
Ti ho presentato quest’esempio, Filotea, perché tu ti renda conto quanto sia importante indirizzare bene tutte le nostre azioni, per vili che siano, al servizio della divina Maestà.
A questo scopo ti consiglio vivamente di imitare la donna forte tanto lodata da Salomone e che poneva mano alle imprese forti, alte e generose senza trascurare di filare e girare il fuso: Ella ha posto mano a cose grandi e la sua mano gira il fuso. Poni mano a cose forti, applicandoti alla meditazione e all’orazione, all’uso dei sacramenti, a donare amore a Dio e alle anime, a spargere buoni pensieri nei cuori, a fare insomma opere grandi e importanti secondo la tua vocazione; ma non dimenticare il fuso e la conocchia, ossia pratica quelle piccole e umili virtù che crescono come
fiori ai piedi della Croce: il servizio dei poveri, la visita ai malati, la cura della famiglia, con tutto quello che comporta, con una diligenza che non ti lascerà mai tempo per l’ozio; e in tutte queste faccende cerca di avere pensieri simili a quelli che, come ti ho detto, aveva S. Caterina in tali situazioni.
Le grandi occasioni di servire Dio si presentano raramente, le piccole invece le hai sempre: ora, chi sarà fedele nel piccolo, dice il Salvatore, avrà un incarico grande. Fa dunque tutto in nome di Dio, e tutto sarà fatto bene. Sia che tu mangi, sia che tu beva, sia che tu dorma, sia che ti diverta, sia che tu giri lo spiedo, purché tu porti avanti bene le tue faccende, trarrai sempre grande profitto al cospetto di Dio, perché fai tutte le cose che Dio vuole che tu faccia.


Capitolo XXXVI
BISOGNA ESSERE GIUSTI E RAGIONEVOLI

Siamo uomini soltanto perché siamo dotati di ragione, eppure è cosa estremamente difficile trovare un uomo veramente ragionevole, perché l’amor proprio abitualmente offusca la ragione, e insensibilmente ci conduce a mille generi di ingiustizie e cattiverie, piccole sì, ma pericolose, che, come le piccole volpi di cui parla il Cantico dei Cantici, distruggono le vigne: essendo piccole nessuno ci fa caso ma siccome sono numerose, producono seri danni. ‘Non pensare che quello che ora dirò siano cattiverie e discorsi senza fondamento.
Per poco accusiamo immediatamente il prossimo, mentre scusiamo noi stessi anche nel molto; vogliamo
vendere a prezzo molto alto e comperare a buon mercato; vogliamo che si faccia giustizia in casa degli altri, per casa nostra, misericordia e comprensione; pretendiamo che si prendano sempre in buona parte le nostre parole, ma siamo suscettibili e permalosi a quelle degli altri.
Pagando, vorremmo che il prossimo ci cedesse quello che è suo; non è più giusto che si tenga quello che è suo e noi il nostro denaro? Ce l’abbiamo con lui perché non vuole piegarsi a noi, ma non ti pare che dovrebbe essere lui ad avercela con noi perché vogliamo farlo piegare?
Se ci piace un esercizio disprezziamo tutto il resto e sentenziamo su tutto quello che non è di nostro gusto. Se qualcuno dei nostri dipendenti ha un modo di fare sgarbato, o ci riesce antipatico, può fare qualunque cosa, la prenderemo sempre per traverso; non cessiamo di umiliarlo e siamo pronti al rimprovero; al contrario, se qualcuno ci va a genio, può fare quello che vuole, lo scuseremo sempre.
Ci sono dei figli veramente buoni e bravi, ma invisi ai loro papà e alle loro mamme solo a causa di difetti fisici e magari poi sono preferiti quelli viziosi, perché hanno delle belle qualità fisiche. In ogni campo diamo la preferenza ai ricchi sui poveri, anche se non sono di stirpe più nobile o più virtuosi; diamo la preferenza anche a quelli vestiti meglio.
Esigiamo con scrupolo i nostri diritti, ma pretendiamo che gli altri siano remissivi nel chiedere i loro; conserviamo il nostro posto con puntiglio, ma vogliamo che gli altri siano umili e condiscendenti; ci lamentiamo con facilità del prossimo, ma poi guai se uno si lamenta di noi! Quello che facciamo per gli altri ci sembra sempre tanto, ciò che gli altri fanno per noi, nulla, almeno ci sembra.
Assomigliamo alle pernici di Pafiagonia che hanno due cuori: ne abbiamo uno dolce e cortese per noi, e uno duro, severo, intransigente per il prossimo. Usiamo due pesi: uno per pesare le nostre comodità, caricando il più possibile, l’altro per pesare quelle del prossimo, alleggerendo più che possiamo.
La Scrittura dice che le labbra ingannatrici hanno parlato in un cuore e in un cuore: con ciò vuol dire che hanno due cuori; avere due pesi: uno forte, per riscuotere e un altro leggero, per pagare, è cosa abominevole davanti a Dio.
Filotea, sii costante e giusta nelle tue azioni: mettiti sempre al posto del prossimo e metti lui al tuo e così giudicherai rettamente; quando compri fa la venditrice e quando vendi fa la compratrice e vedrai che riuscirai a vendere e comprare secondo giustizia.
Si tratta di piccole ingiustizie, che non obbligano alla restituzione, perché ci limitiamo rigorosamente nei termini a nostro favore; ma non per questo è un motivo per non correggerci. Sono grosse mancanze contro la ragionevolezza e la carità; se si guarda bene sono veri imbrogli: ma che ci vuole in fin dei conti a vivere con generosità, nobiltà di cuore, cortesia, e con un cuore signore, costante e ragionevole?
Ricordati di esaminare spesso il tuo cuore, Filotea, per vedere se verso il prossimo si comporta come vorresti che si comportasse lui nei tuoi confronti se tu fossi al suo posto; qui sta la ragionevolezza.
Traiano, rimproverato dai suoi confidenti perché rendeva, secondo loro, la Maestà imperiale troppo accessibile, rispose: E sì, perché non dovrei essere per i cittadini quel tipo di imperatore che io vorrei incontrare se io stesso fossi semplice cittadino?

Capitolo XXXVII
I DESIDERI

Tutti sanno che bisogna tenersi lontano dai desideri di cose viziose, perché il desiderio del male ci rende cattivi. Ti dico di più, Filotea: non desiderare le cose che sono pericolose per l’anima, come i balli, i giochi e i passatempi in genere; non desiderare le cariche e gli onori, nemmeno le visioni e le estasi, perché in queste cose c’è un grave pericolo di vanità e di inganno. Non desiderare le cose molto lontane nel tempo, ossia che per lungo tempo non potranno capitare, cosa che fanno molti stancando ed impoverendo inutilmente i loro cuori; per di più si mettono in una situazione di continua agitazione.
Se un giovane desidera fortemente ricevere un incarico prima del tempo, a che gli serve, dico io, quel desiderio? Se una donna sposata desidera essere religiosa, che senso ha? Se desidero comprare i beni del mio vicino prima che sia disposto a vendere, non sto perdendo il tempo? Se quando sono malato desidero predicare e dire la santa Messa, visitare gli altri malati e fare tutto quello che fanno quelli che sono in buona salute, non sono desideri inutili? giacché in quelle occasioni non sono in grado di realizzarli! Questi desideri inutili occupano il posto di altri che dovrei avere, ossia, essere molto paziente, molto rassegnato, molto mortificato, molto obbediente e molto dolce nelle mie sofferenze; questo è quello che vuole Dio per ora!
Generalmente abbiamo le voglie come le donne incinte, che vogliono le ciliege fresche in autunno e l’uva fresca in primavera!
Proprio non approvo che una persona tenuta a qualche dovere o a qualche vocazione, si diverta a desiderare un altro genere di vita diverso da quello che conviene al suo stato attuale. Ciò distrae il cuore e lo rende fiacco per i doveri che gli sono propri.
Se desidero la solitudine dei Certosini perdo il mio tempo, e questo desiderio occupa il posto di quello che dovrei avere di impegnarmi seriamente al mio dovere attuale. Vorrei che nemmeno si desiderasse di avere uno spirito migliore o un giudizio migliore, perché questi desideri sono frivoli ed occupano il posto del desiderio che ciascuno deve avere di coltivare il proprio così com’è. Non vorrei nemmeno che si desiderassero i mezzi che non si hanno per servire Dio. Questo per i desideri che distraggono il cuore; quanto invece al semplice augurio, non porta alcun danno; l’importante è che non sia troppo insistente.
Desidera le croci solo nella misura in cui sarai riuscita a sopportare quelle incontrate; è una pazzia desiderare il martirio e non avere la forza di sopportare un’ingiuria. Il nemico spesso fa nascere in noi forti desideri per eroismi impossibili e che non si verificheranno mai, per distoglierci dalle piccole occasioni presenti, dalle quali per piccole che siano, potremmo trarre grande profitto. Nella nostra immaginazione combattiamo contro i mostri africani e poi di fatto ci lasciamo uccidere da serpentelli che incontriamo sulla nostra strada; questo perché siamo distratti.
Non desiderare le tentazioni; sarebbe temerità: ma impegna il tuo cuore a saperle attendere con coraggio e a saperti difendere quando arriveranno.
La varietà dei cibi, soprattutto poi se la quantità è grande, carica sempre lo stomaco e, se è debole, lo rovina. Non riempire la tua anima di troppi desideri: non di quelli mondani perché ti distruggerebbero totalmente, ma nemmeno di quelli spirituali, perché ti appesantirebbero. Quando l’anima è purificata si sente libera dai cattivi umori, ritrova un forte appetito dei cibi spirituali, e come un’affamata, desidera mille generi di esercizi di pietà, di mortificazione, di penitenza, di umiltà, di carità, di orazione. Avere buon appetito, Filotea, è buon segno, ma rifletti bene se poi sarai in grado di digerire tutto quello che vuoi inghiottire.
Con il parere del tuo padre spirituale, tra tanti desideri, scegli quelli che puoi attuare e portare a compimento ora; e impegnati seriamente su quelli: vedrai che Dio te ne ispirerà degli altri; a suo tempo, porterai a compimento anche quelli. In questo modo non perderai il tuo tempo in desideri inutili.
Fa attenzione, Filotea, non ti chiedo di accantonare nessun genere di desideri; ti chiedo soltanto di metterli in ordine. Quelli che non puoi realizzare ora, mettili da parte, in un angolino del tuo cuore, fino a che non giunga il loro momento; nel frattempo realizza quelli che sono maturi e di stagione.
Quello che dico non vale soltanto per i desideri spirituali, ma anche per quelli del mondo: se non riusciamo ad agire in questo modo saremo sempre anime inquiete e nell’affanno.


Capitolo XXXVIII
CONSIGLI PER GLI SPOSATI

Il Matrimonio è un grande Sacramento, lo dico in Gesù Cristo e nella sua Chiesa; e deve essere onorato da tutti, in tutti e nella sua totalità, ossia in tutte le sue componenti.
Da tutti, perché anche le nubili devono onorarlo con umiltà; in tutti, perché è ugualmente santo tra i poveri e tra i ricchi; nella sua totalità, perché la sua origine, il suo fine, i suoi vantaggi, la sua forma e la sua materia sono santi.
È il vivaio del cristianesimo, che popola la terra di fedeli per completare il numero degli eletti in cielo; ne consegue che la difesa del bene del Matrimonio è molto importante per la società perché è l’origine e la sorgente di tutti i ruscelli che le danno vita.
Piacesse a Dio che il suo amatissimo Figlio fosse invitato a tutte le nozze come lo fu a quelle di Cara! Il vino della gioia e della benedizione non mancherebbe mai; e invece ce n’è appena un po’ per cominciare: il motivo è che è stato invitato Adone al posto di Nostro Signore e Venere al posto di Maria Santissima.
Chi vuole avere degli agnelli molto belli e pezzati, come Giacobbe, deve agire come lui: offriva alla vista delle pecore che stavano per partorire dei bastoncini colorati in vario modo; similmente chi vuole che il matrimonio sia felice, durante le nozze deve pensare alla santità e alla dignità di questo Sacramento; se poi invece di pensare alla santità ci si lascia andare a mille distrazioni, a feste, a banchetti e a chiacchiere e tutto finisce lì, nessuna meraviglia che i risultati siano poi diversi da quelli attesi.
Esorto soprattutto gli sposi all’amore reciproco che lo Spirito Santo tanto insistentemente raccomanda loro nella Scrittura. Sposi cari, se vi amate reciprocamente soltanto di amore naturale, non fate gran che: anche le coppie di tortore si amano così. Se vi amate di un amore umano, non aggiungete gran che: anche i pagani si amavano in tal modo. Ma io vi dico con il grande Apostolo: Mariti, amate le vostre mogli come Gesù Cristo ama la sua Chiesa; mogli, amate i vostri mariti come la Chiesa ama il suo Salvatore.
t stato Dio a presentare Eva al nostro primo padre Adamo e a dargliela in moglie: amici miei, è Dio che con la sua mano invisibile, ha stretto il nodo del sacro vincolo del vostro matrimonio e vi ha consegnato uno all’altra e viceversa. Come potete allora amarvi di un amore che non sia santo, sacro e divino?
Il primo effetto di questo amore è l’unione indissolubile dei vostri cuori. Se incolli tra loro due tavolette di abete, servendoti di una buona colla, si uniranno in modo tale che ti sarà più facile spaccarle altrove che nel punto nel quale le hai incollate; Dio unisce l’uomo e la donna con il proprio sangue; ecco perché questa unione è così forte che sarà più facile che l’anima si separi dal corpo che il marito dalla moglie. Questa unione va intesa in primo luogo riferita al cuore, all’affetto, all’amore e non al corpo.
Il secondo effetto di questo amore deve essere la fedeltà inviolabile di uno per l’altra. Anticamente i sigilli erano incisi negli anelli che si portavano al dito, cosa che del resto afferma anche la Sacra Scrittura: ecco la ragione della cerimonia degli anelli, che si compie alle nozze. La Chiesa, tramite il sacerdote, benedice un anello e in primo luogo lo consegna all’uomo, per significare che in questo modo marca e sigilla il suo cuore con questo Sacramento, perché in esso non entri mai più il nome o l’amore di un’altra donna, finché vivrà colei che gli è stata data; poi lo sposo mette l’anello nella mano della sposa perché anche lei sappia che mai più in seguito il suo cuore dovrà accogliere affetto per un altro uomo diverso da quello che il Signore le ha dato, finché vivrà su questa terra.
Il terzo frutto del matrimonio è la legittima generazione dei figli e la loro crescita. Voi, sposi, godete di un onore molto grande, giacché Dio, volendo Moltiplicare le anime che lo lodino e lo benedicano per l’eternità, vi ha scelto per cooperare a un così grande disegno, affidandovi la generazione dei corpi nei quali egli fa scendere come gocce celesti le anime che crea appositamente per infonderle in quei corpi.
Per tutto questo, voi mariti dovete nutrire per le vostre mogli un amore tenero, costante e profondo: per questo la donna è stata tratta dalla costola più vicina al cuore del primo uomo: perché egli l’amasse profondamente e teneramente.
Le debolezze e le infermità delle vostre donne, sia di corpo che di spirito, non devono provocare nessun genere di disprezzo, ma piuttosto una dolce e amorevole comprensione, perché è Dio che le ha create così; infatti per tale condizione dipendono da voi e a voi ne viene maggiore onore e rispetto; sono per tale motivo strettamente legate a voi quali compagne e voi ne siete i capi responsabili.
E voi, mogli, amate con tenerezza e cordialità i mariti che Dio vi ha dato, ma non dimenticate di mettere nel vostro amore anche rispetto e cortesia; è per questo che Dio li ha creati più vigorosi e risoluti, e ha voluto che la donna dipendesse dall’uomo, ossa delle sue ossa, carne della sua carne, e fosse generata da una sua costola, presa sotto il suo braccio, per indicare che deve stare sotto la protezione ed essere guidata dal marito. In tutta la Sacra Scrittura si raccomanda insistentemente questa sottomissione, che poi la stessa Scrittura rende dolce, non solo perché vi chiede di accettarla con amore, ma perché raccomanda ai vostri mariti di fare la loro parte, con grande amore, tenerezza e dolcezza: Mariti, dice S. Pietro, abbiate un comportamento discreto con le vostre mogli, perché sono fragili come vasi di cristallo; e portate loro onore.
Vi esorto a rendere sempre più forte questo amore reciproco, ma fate attenzione che non si muti in alcuna forma di gelosia; capita spesso che le mele più delicate e più mature abbiano il verme; la stessa cosa può capitare tra gli sposi: dall’amore più ardente e premuroso può nascere il verme della gelosia che guasta e fa marcire tutto. Comincia con le discussioni, poi le discordie e infine le divisioni. La gelosia non potrà mai entrare dove c’è un’amicizia reciproca fondata sulla virtù sincera; infatti la gelosia è segno di un amore sensuale e che cresce dove trova una virtù manchevole, incostante e diffidente.
Ed è per questo che è una sciocca pretesa voler esaltare l’amicizia con la gelosia; la gelosia è soltanto segno dell’ampiezza e dello spessore dell’amicizia; ma non della sua buona qualità, della sua bellezza, della sua perfezione. La perfezione dell’amicizia esige certezza nella presenza di virtù in colui che si ama; la gelosia presuppone invece l’incertezza sulla presenza di tali virtù.
Se voi, mariti, volete che le vostre donne siano fedeli, insegnatelo loro con il vostro esempio. Dice S. Gregorio Nazianzeno: “ Con che faccia pretendete la pudicizia dalle vostre mogli, se poi siete voi a vivere nell’impudicizia? Come potete domandare loro ciò che non fate voi? “. Volete che siano caste? Comportatevi castamente con loro e, come dice S. Paolo: Ciascuno sappia possedere il proprio vaso in santità. Se al contrario, voi insegnate loro cose disoneste, non meravigliatevi poi se le perderete e con disonore.
Voi, mogli, il cui onore è legato inseparabilmente alla pudicizia e all’onestà, conservate gelosamente la vostra gloria e non permettete che alcun genere di dissolutezza offuschi la bellezza del vostro buon nome. Temete ogni sorta di attacco, per piccolo che sia, non tollerate alcun corteggiamento nei vostri confronti. Dovete sospettare di chi viene a lodare la vostra bellezza e la vostra gentilezza, perché chi loda una merce che non può acquistare per lo più è fortemente tentato di rubarla. Se poi alla lode delle tue qualità aggiunge il disprezzo per tuo marito, ti offende gravemente perché è evidente che, non solo vuole perderti, ma ti considera già a metà perduta; infatti il contratto è mezzo concluso con il secondo acquirente quando si è stanchi del primo!
Ci sono donne, sia dell’antichità che dei nostri tempi, che hanno l’abitudine di portare pendagli con un certo numero di perle alle orecchie, per il piacere di sentirle tintinnare, una contro l’altra, almeno così dice Plinio! Ed ora, se permetti, ti dico il mio parere: io so che Isacco, grande amico di Dio, mandò a Rebecca, come primo segno del suo amore, degli orecchini; penso che quell’ornamento mistico voglia significare che la prima cosa che un marito ha il diritto di aspettarsi dalla moglie, e che la moglie deve gelosamente conservare per lui, è l’orecchio; non deve lasciarvi entrare alcuna parola o altro, al di fuori del dolce tintinnio pieno d’amore, fatto di parole caste e pudiche, figurate nelle perle orientali del Vangelo: bisogna ricordarsi sempre che le anime sono avvelenate per le orecchie, come il corpo per la bocca.
L’amore e la fedeltà unite insieme generano sempre libertà e confidenza; ecco perché i Santi e le Sante nel matrimonio hanno usato di molte reciproche carezze, carezze piene d’amore, ma caste; tenere, ma sincere.
Isacco e Rebecca, la coppia più casta dell’antichità, furono visti dalla finestra mentre si accarezzavano in tale maniera che, benché non ci fosse nulla di disonesto, Abimelech concluse che non potevano essere che marito e moglie. Il grande S. Luigi re, rigorosissimo con se stesso, era tenerissimo con la moglie, tanto da meritare quasi di essere richiamato per le carezze eccessive; penso che piuttosto avrebbe meritato una lode per il modo con il quale sapeva dimenticare il suo spirito militare e coraggioso per far posto a quelle piccole attenzioni che hanno il pregio di conservare l’amore coniugale; infatti, benché quelle piccole dimostrazioni di semplice e schietta amicizia non leghino i nostri cuori, servono tuttavia ad avvicinarli e sono un piacevole complemento della reciproca conservazione.
S.Monica, quand’era incinta del grande S. Agostino, lo consacrò con rinnovate offerte, alla religione cristiana e al servizio della gloria di Dio, come ci riferisce egli stesso confessandoci che aveva già assaporato “ il sale di Dio nel seno di sua madre “.
È un grande esempio per le donne cristiane: offrire alla maestà divina il frutto del loro seno, anche prima che veda la luce, perché Dio, che accetta le offerte di un cuore umile e pieno di buona volontà, abitualmente asseconda gli affetti delle madri in tali condizioni.
Ne sono testimoni Samuele, S. Tommaso d’Aquino, S. Andrea da Fiesole e molti altri. La madre di S. Bernardo, degna madre di così grande figlio, prendeva in braccio i figli appena nati e li offriva a Gesù Cristo, e da quel momento voleva loro bene come a cosa consacrata a Dio e che da Lui le era stata affidata; cosa che I, riuscì così perfettamente che tutti e sette divennero grandi santi.
Ma una volta venuti al mondo, quando cominciano ad avere l’uso di ragione, i papà e le mamme devono avere grande cura di imprimere nel cuore dei loro figli il timore di Dio.
La buona regina Bianca compì particolarmente bene questo dovere nei confronti del Re S. Luigi, suo figlio, dicendogli spesso: “ Caro figlio, preferirei vederti morto sotto i miei occhi, che vederti commettere un sol peccato mortale “; la qual cosa rimase talmente impressa nel cuore di quel santo figlio, che, come raccontava egli stesso, non ci fu mai giorno della sua vita nel quale non se ne ricordasse, e si impegnasse con tutte le sue forze, a restare fedele a quella raccomandazione.
Nel nostro modo di parlare, le stirpi e le generazioni sono chiamate ‘casa’; gli Ebrei chiamano anche la generazione dei figli ‘costruzione della casa’, perché è in questo senso che si dice che Dio edificò delle case per mezzo delle levatrici d’Egitto.
Questo per dimostrare che impiegare molti beni mondani non equivale a costruire una buona casa; ma allevare i figli nel timore di Dio e nella virtù, quello sì che è costruire una casa solida.
In questo campo non ci si deve risparmiare nessun genere di fatica e di lavoro, perché i figli sono la corona del padre e della madre.
S. Monica contrastò con tanto amore e costanza le cattive inclinazioni di S. Agostino, che, dopo averlo seguito per terra e per mare, si può dire che lo rese felicemente suo figlio con la conversione, più di quanto non lo fosse stato per la generazione del corpo.
S. Paolo lascia alle donne la cura e la responsabilità della casa; molti sono di questa opinione e sostengono che la devozione della donna porta più frutto alla famiglia di quella del marito; il motivo è che i mariti conducono una vita molto più fuori dalle pareti domestiche, per cui non possono avere tanta influenza nell’indirizzare i figli alla virtù.
È questa considerazione che fa dire a Salomone, nei Proverbi, che tutta la felicità di una casa dipende dalla cura e dall’attività di quella donna forte che egli ci descrive.
Nella Genesi si dice che Isacco vedendo che sua moglie Rebecca era sterile, pregò il Signore per lei o, com’è detto nel testo ebraico, pregò il Signore di fronte a lei, perché pregavano uno da un lato e uno dall’altro del luogo di preghiera: e la preghiera del marito fatta in questo modo fu esaudita.
L’unione che si realizza tra marito e moglie nella santa devozione è la più fruttuosa che si possa dare; per questo devono, a gara, incoraggiarsi reciprocamente ad acquisirla. Ci sono dei frutti, come la mela cotogna, che, per la loro asprezza, sono buoni soltanto in marmellata; altri frutti poi sono talmente teneri e delicati che non possono essere conservati se non canditi, come le ciliege e le albicocche.
Similmente le mogli devono augurarsi che i loro mariti siano canditi con lo zucchero della devozione, perché l’uomo senza devozione è un animale spietato, aspro e rude; i mariti devono augurarsi che le loro donne siano devote, perché senza la devozione, la donna è molto fragile e predisposta a lasciare la virtù o a permettere che venga offuscata.
S. Paolo ha detto che l’uomo infedele è santificato dalla donna fedele, e la donna infedele dall’uomo fedele, perché nella stretta alleanza del matrimonio, facilmente l’uno può attrarre l’altro alla virtù e viceversa. P, una vera benedizione quando l’uomo e la donna fedele si santificano reciprocamente in un autentico timore del Signore.
L’aiuto reciproco deve essere così grande che mai avvenga che entrambi siano adirati contemporaneamente e improvvisamente, perché tra loro non si devono vedere dissensi e litigi. Le mosche da miele non possono fermarsi dove c’è eco, rimbombo o clamore di voci; lo stesso è dello Spirito Santo che non entra in una casa dove ci sono dispute, contese, urla che si accavallano e litigi.
S. Gregorio Nazianzeno dice che già al suo tempo gli sposi festeggiavano l’anniversario del matrimonio. Mi piacerebbe che si introducesse questa abitudine, purché non fosse la copertura per divertimenti mondani e sensuali, ma che i mariti e le mogli, confessati e comunicati in quel giorno, raccomandassero a Dio, con un fervore più intenso che d’abitudine, il progresso del loro matrimonio, e rinnovassero i buoni propositi di santificarlo sempre più con un’amicizia e una fedeltà reciproca; sarebbe il modo di riprendere fiato in Nostro Signore per sopportare sempre meglio il peso della loro vocazione.


Capitolo XXXIX
L’ONESTA DEL LETTO MATRIMONIALE

Il letto matrimoniale deve essere immacolato, dice l’apostolo, ossia non contaminato da impudicizie e altre innominabili brutture.
Il matrimonio è stato istituito nel paradiso terrestre, dove ancora non c’era stata alcuna sregolatezza sensuale, né altra disonestà.
C’è una certa analogia tra i piaceri legati al sesso e quelli legati al cibo: sia gli uni che gli altri riguardano la carne; l’unica differenza è che i primi, per la loro brutale violenza, vengono chiamati semplicemente carnali. Per cui parlerò degli uni, intendendo con ciò illustrare anche gli altri, soprattutto riguardo ad alcuni dettagli scabrosi, che non mi sembra opportuno affrontare direttamente.
1. Il mangiare ha per fine la conservazione della vita: ora mangiare semplicemente per nutrire e conservare la persona è una cosa buona, santa e comandata; la stessa cosa va detta per l’uso del matrimonio: ciò che esige la generazione dei figli e la moltiplicazione delle persone è una cosa buona e molto santa, perché ne è il fine principale.
2. Mangiate non per conservare la vita ma per il piacere di continuare ad intrattenerci con gli altri e scambiare con essi cortesie, è cosa molto giusta e onesta: allo stesso modo, la reciproca e legittima soddisfazione delle parti nel santo matrimonio, è chiamato da S. Paolo dovere; ma è un dovere così grande che non permette che nessuna delle due parti possa esimersene senza il libero e volontario consenso dell’altra, nemmeno per consacrarsi agli esercizi di devozione, il che mi ha fatto dire sull’argomento la frase che ho inserito nel capitolo sulla santa Comunione; quindi ancor meno ci si deve dispensare con scuse capricciose di pretese virtù immaginarie o peggio ancora perché si è adirati o si prova un sentimento di disprezzo.
3. Coloro che mangiano per il dovere di stare in compagnia, devono farlo disinvoltamente e non per forza; per di più devono anche dare l’impressione di avere appetito. Similmente il dovere coniugale deve essere reso sempre fedelmente, con franchezza e nella speranza di generare figli, anche se si dovesse realizzare qualche condizione che lo escluda.
4. Mangiare non per i due motivi suindicati, ma solo per soddisfare l’appetito, si può anche accettare, ma non lodare; il semplice piacere dell’appetito sensuale non può essere motivo sufficiente per rendere lodevole un’azione; è già molto che la renda accettabile.
5. Mangiare non per appetito, ma per ingordigia, è cosa più o meno riprovevole; dipende dalla misura degli eccessi.
6. L’eccesso nel mangiare non si valuta soltanto dalla quantità esagerata che si ingurgita, ma anche dal modo e dalla maniera di mangiare. Sembra strano, Filotea, eppure il miele così appropriato e salutare per le api, qualche volta fa loro male fino a renderle malate: quando in primavera ne mangiano troppo, l’eccesso dà loro la dissenteria che qualche volta le conduce fino alla morte; alla stessa conclusione giungono quando si impiastricciano di miele la testolina e le alucce.
In verità, il rapporto matrimoniale che di natura sua è così santo, giusto e raccomandabile, tanto utile alla società, in certi casi può diventare pericoloso per gli interessati; sì, perché qualche volta rende le loro anime molto malate di peccato veniale, questo con i semplici eccessi; ma qualche altra volta le fa addirittura morire con il peccato mortale, come quando viola e perverte l’ordine naturale stabilito per la generazione dei figli, nel qua] caso, in proporzione alla gravità della violazione di quell’ordine, i peccati, sempre mortali, possono risultare più o meno esecrabili. Siccome la procreazione dei figli è il primo e principale fine del matrimonio, non ci si può mai scostare dall’ordine da esso richiesto, anche se per causa di qualche altra circostanza non dovesse essere conseguito: esempi, la sterilità o la gravidanza in corso, nei quali casi evidentemente non c’è procreazione; in tali circostanze il commercio corporale non cessa di essere giusto e santo, sempre che siano osservate le regole per la generazione, perché nessuna circostanza potrà mai togliere valore alla legge imposta dal fine principale del matrimonio.
L’azione infame ed esecrabile commessa da Onan nel matrimonio, era detestabile agli occhi di Dio, come dice il testo sacro nel capitolo trentottesimo della Genesi; e benché qualche eretico del nostro tempo, più biasimevole dei Cinici, dei quali parla S. Girolamo nel commento alla lettera agli Efesini, abbia voluto sostenere che era l’intenzione perversa che Dio detestava, la Scrittura non lascia dubbi, e dice chiaramente che era la cosa in sé che davanti a Dio era detestabile e abominevole.
7. È indice sicuro di uno spirito di accattone, villano, abietto e senza onore pensare ai cibi e alla scorpacciata prima del pasto; peggio ancora quando dopo ci si sofferma sul piacere provato nel rimpinzarsi, parlandone e pensandoci, immergendo lo spirito nel ricordo della voluttà provata trangugiando vivande; proprio come fanno alcuni che prima del pranzo hanno il loro spirito sullo spiedo e dopo il pranzo nel piatto. Sono veri lavandini da cucina, sono quelli di cui parla S. Paolo quando dice che hanno fatto del ventre il loro dio.
La gente rispettabile pensa alla tavola quando si siede, e dopo il pasto si lava le mani e la bocca per non sentire più né l’odore, né il sapore di quello che ha mangiato. L’elefante è un gran bestione, ma è il più degno degli animali ed ha buon senso: voglio raccontarvi un aspetto della sua onestà. Non cambia mai femmina e ama teneramente quella che ha scelto, con la quale si accoppia soltanto ogni tre anni e per cinque giorni; si circonda di tanto segreto che non è mai stato possibile sorprenderlo in quell’atto; si fa vedere apertamente il sesto giorno quando si reca al fiume per un bagno totale, perché non vuole rientrare nel branco senza essersi totalmente purificato.
Sembra quasi che il comportamento così bello e onesto di quest’animale inviti gli sposi a non rimanere impantanati col cuore nelle sensualità e nei piaceri provati secondo la loro condizione; ma una volta passati, bisogna lavarne il cuore e gli affetti, purificarsi il più presto possibile, per potere in seguito, in libertà di spirito, affrontare le altre azioni più pulite ed elevate del proprio stato.
In questo consiglio è racchiusa la pratica della meravigliosa dottrina che S. Paolo consegna ai Corinzi; dice: Il tempo è breve, coloro che hanno moglie si comportino come se non l’avessero. Perché, secondo S. Gregorio, avere una donna come se non si avesse vuol dire prendere assieme a lei i piaceri corporali in modo tale da non essere distolti dalle aspirazioni dello spirito. Quello che si dice del marito, si applica logicamente anche alla moglie.
Coloro che usano del mondo, continua l’apostolo, siano come se non ne usassero. Tutti si servano pure del mondo, secondo la propria vocazione, ma senza impegnare l’affetto, in modo da essere sempre liberi e pronti a servire Dio senza che il mondo ci sia di ostacolo.
Dice S. Agostino: “ t il grande male dell’uomo pretendere di godere di quelle cose di cui deve soltanto servirsi, e volersi servire di quelle per le quali deve soltanto provare gioia “. Noi dobbiamo godere delle cose spirituali e di quelle corporali soltanto servircene; quando noi trasformiamo in godimento l’uso delle cose corporali, anche la nostra anima da ragionevole diventa bruta e bestiale.
Penso di aver detto tutto quello che volevo dire, ed essere riuscito a far capire senza dirlo quello che non voleva dire.

Capitolo XL
CONSIGLI ALLE VEDOVE

S. Paolo, scrivendo a Timoteo, dice a tutti i vescovi: Onora le vedove che sono veramente vedove. Ora, per essere veramente vedove sono richieste queste tre condizioni:
1. La vedova deve essere non soltanto vedova di corpo, ma anche di cuore, ossia deve aver deciso, con una ferma risoluzione, di mantenersi nello stato di una casta vedovanza; coloro che sono vedove in attesa di risposarsi, sono separate dagli uomini solo quanto al piacere del corpo, ma sono già unite a loro con la volontà del cuore. Se la vera vedova, per sentirsi più stabile nello stato di vedovanza, vuole offrire in voto a Dio il suo corpo e la sua castità, aggiungerà un bell’ornamento alla vedovanza e metterà al sicuro la sua decisione. Infatti, una volta fatto il voto, vedendo che non è più in suo potere lasciare la castità senza lasciare il paradiso, sarà custode così gelosi del suo proposito, che non permetterà nemmeno a semplici pensieri di matrimonio, di fermarsi nel suo spirito anche per un attimo, in modo tale che quel voto costituirà una solida barriera tra la sua anima e ogni progetto che sia contrario alla decisione presa.
S. Agostino consiglia con particolare insistenza questo voto alla vedova cristiana; e l’antico e dotto Origene va molto oltre, perché consiglia alle donne sposate di destinarsi e votarsi alla castità vedovile in caso che i mariti dovessero morire prima di loro; questo perché tra i piaceri sensuali che potrebbero provare nel matrimonio, possano avere anche i meriti di una casta vedovanza con questo voto anticipato.
Il voto rende le opere che ne sono l’oggetto, più gradite a Dio, dà coraggio nell’affrontarle, e non offre a Dio soltanto le opere, che sono il frutto della nostra buona volontà, ma gli fa dono anche della volontà stessa, che è come dire l’albero che produce le opere buone.
Con la semplice castità noi facciamo dono del nostro corpo a Dio, riservandoci la libertà di concedergli in altra occasione, anche i piaceri dei sensi: col voto di castità, invece, gli facciamo un dono assoluto e irrevocabile, senza riservarci la facoltà di cambiare; in tal modo ci rendiamo felicemente schiavi di Colui il cui servizio è molto meglio di tutti i regni. Approvo fino in fondo il parere di quei due grandi uomini, per cui mi piacerebbe che le persone che se la sentono di seguire i loro consigli, lo facessero con prudenza, santità e fermezza, dopo aver bene esaminato il loro coraggio. invocato l’ispirazione celeste e ascoltato il consiglio di qualche saggio e devoto direttore; in tal modo tutto sarebbe fatto con maggior frutto.
2. Inoltre, bisogna che la rinuncia alle seconde nozze si faccia senza secondi fini e con semplicità, per rivolgere con maggiore purezza tutti i propri affetti a Dio, e unire il proprio cuore, con tutte le sue parti, a quello della divina Maestà; anche il desiderio di lasciare ricchezze ai figli o qualche altro progetto urnano, può offrire alla vedova motivo di rimanere nella vedovanza, e probabilmente ne riceverà anche lodi, ma non davanti a Dio, giacché davanti a Dio niente può ricevere lode autentica se non è fatto per Lui.
3. Oltre a ciò, la vedova, per essere veramente vedova, deve vivere staccata dalle gioie dei mondo e privarsene volontariamente. S. Paolo dice che la vedeva che vive nelle delizie è già morta da viva. Pretendere di essere vedova e poi compiacersi di essere corteggiata, coperta di gentilezze, esaltata; pretendere di essere sempre presente ai balli, alle danze, ai festini; profumarsi, agghindarsi, far di tutto per essere piacente, vuoi dire essere vedova corporalmente viva, ma morta nell’anima. a vuoi che abbia il fatto che l’insegna inalberata per indicare la casa di Adone e dell’amor profano sia composta di piume bianche che si innalzano a guisa di pennacchio, oppure di un velo nero, steso con sapiente maestria come una rete sul volto? Anzi, spesso il nero dona anche più del bianco e mette in maggior risalto i colori. La donna che ha già esperienza di come piacere agli uomini, è più abile nel lanciare inviti pericolosi al loro spirito. La vedova che vive compiacendosi in queste futili vanità, pur vivendo, è morta; a voler chiamare le cose con il loro nome, è soltanto un fantasma di vedova.
Il tempo di potare è venuto, nella nostra terra si è udito il tubare della tortora, dice il Cantico. Il taglio delle cose inutili di questo mondo è richiesto a chiunque voglia vivere devotamente; ma è assolutamente indispensabile alla vera vedova, che, come una casta tortora ha da poco smesso di piangere, gemere e lamentarsi per la morte del marito.
Quando Noemi tornò da Moab a Betlemme, le donne della città che l’avevano conosciuta giovane sposa, dicevano tra loro: Non è costei Noemi? Ma essa rispondeva: Vi prego, non chiamatemi Noemi, perché Noemi significa graziosa e bella, ma chiamatemi Mara perché il Signore ha riempito il mio cuore di amarezza: parlava così perché le era morto il marito. Allo Stesso modo la vedova devota non ci tiene ad essere chiamata bella e graziosa; si accontenta di essere ciò che Dio vuole che ella sia, umile e abietta ai suoi occhi.
Le lampade alimentate con olio aromatico emanano un profumo più gradevole quando si spegne la fiamma: similmente le vedove che hanno avuto un amore puro nel loro matrimonio, spandono il profumo della virtù di castità più penetrante ancora quando si spegne la loro fiamma, ossia quando si è spento il marito con la morte. Amare il marito quand’è in vita, è cosa abituale tra le donne; ma amarlo tanto che dopo la morte non se ne accetti un altro, è un livello d’amore che appartiene soltanto alle vedove vere. Sperare in Dio, quando si ha l’appoggio del marito non è un fatto raro; ma sperare in Dio quando tale appoggio viene a mancare, e cosa meritevole di grande lode: questa è la ragione per la quale nella vedovanza si manifesta più facilmente la consistenza delle virtù presenti nel matrimonio.
La vedova che ha figli ancora bisognosi di lei per la formazione e la guida, soprattutto per quello che riguarda l’anima e il loro avvenire, non può e non deve abbandonarli per nessuna ragione; l’apostolo Paolo dice chiaramente che è obbligata ad averne cura, per fare quello che hanno fatto con lei mamma e papà, e anche perché, se nessuno ha cura dei suoi, e principalmente di quelli della sua famiglia, sarebbe da considerare peggio di un infedele.
Ma se i figli sono oramai autosufficienti, la vedova deve raccogliere tutti i suoi affetti e pensieri per impegnarli più puramente al suo avanzamento nell’amore di Dio.
Se non è costretta in coscienza da cause di forza maggiore a immischiarsi nelle faccende materiali, come, per esempio, i processi, il mio consiglio è che se ne stia completamente fuori, e nella condotta degli affari segua il metodo più pacifico e tranquillo che le sarà possibile, anche se non dovesse risultare il più fruttuoso. il pericolo di danno A mio parere occorrerebbe che fosse realmente preoccupante per meritare di essere messo a confronto con il bene di una santa serenità. Lasciamo che i processi e simili pasticci distraggano il cuore e aprano la porta ai nemici della castità; perché, per far piacere a coloro che ci devono sostenere, si hanno spesso modi di fare poco devoti e poco graditi a Dio.
L’orazione deve costituire un costante esercizio per la vedova; siccome ella deve ormai nutrire amore soltanto per Iddio, trovo naturale che le sue parole siano quasi esclusivamente rivolte a Dio. Il ferro in vicinanza di un diamante non viene attratto dalla calamita; ma se allontani il diamante, immediatamente il ferro scatta verso la calamita. Mi sembra che l’esempio si possa applicare alla vedova: mentre il marito era in vita, il suo cuore non poteva lanciarsi completamente in Dio; ma appena il marito è morto, ella è libera di seguire con prontezza la scia dei profumi celesti, dicendo, come la Sposa: Signore, ora che sono tutta mia, prendimi come tutta tua; trascinami con te, corriamo al profumo dei tuoi unguenti.
L’esercizio delle virtù proprie della santa vedova sono il totale riserbo, la rinuncia agli onori, al rango, alle riunioni, ai titoli e simili vanità; il servizio dei poveri e degli ammalati, la consolazione degli afflitti, l’iniziazione delle ragazze alla vita devota, e quella di rendersi un perfetto esempio di ogni virtù per le giovani donne.
La pulizia e la semplicità sono i due abbellimenti per i loro abiti; l’umiltà e la carità i due ornamenti per le loro azioni; l’onestà e il tratto gentile, l’ornamento della loro conversazione; il riserbo e la pudicizia, l’ornamento dei loro occhi; e Gesù Cristo Crocifisso l’unico amore del loro cuore.
Per concludere, nella Chiesa, la vera vedova è una violetta di marzo, che spande intorno a sé un profumo incomparabile di devozione, e si tiene sempre nascosta sotto le larghe foglie della sua umiltà, e con i colori meno sgargianti che indossa, testimonia la mortificazione; cresce nei luoghi freschi e non coltivati, non vuol essere agitata dalle conversazioni della gente di mondo, per meglio proteggere la freschezza del cuore dal desiderio dei beni, degli onori e, perché no? dal calore di un’amore che potrebbe invaghirla. Sarà molto felice, dice il santo Apostolo, perseverando in quella via.
Avrei molte altre cose da dire a questo proposito; ma avrò detto tutto esortando la vedova custode premurosa dell’onore della propria condizione, a leggere attentamente le belle lettere che il grande S. Girolamo scrisse a Furia e a Salvia, e a tutte quelle altre signore che ebbero la fortuna di essere figlie spirituali di un tale padre; non c’è nulla da aggiungere a quello che scrive loro; al più solo questo consiglio: la vera vedova non deve mai biasimare o censurare coloro che passano a seconde nozze e magari anche alle terze . alle quarte; in certe situazioni è Dio che così dispone per la propria maggior gloria. Bisogna avere sempre davanti agli occhi quella dottrina degli Antichi: in cielo il posto alla vedovanza e alla verginità è assegnato soltanto dall’umiltà che le accompagna.


Capitolo XLI
UNA PAROLA ALLE VERGINI

Voi che siete vergini, se aspirate al matrimonio, conservate gelosamente il primo amore per il primo marito. Penso che sia un grave inganno offrire al posto di un cuore integro e sincero, un cuore già usato, adulterato e consumato nell’amore.
Ma se la vostra felicità vi chiama alle caste e verginali nozze spirituali, e volete per sempre rimanere vergini, conservate l’amore nel modo più delicato possibile, per lo Sposo divino che, essendo la Purezza incarnata, nulla gradisce quanto questa virtù. A Lui dobbiamo tutte le primizie, ma principalmente quelle dell’amore.
Le lettere di S. Girolamo vi offrono tutti i consigli del caso; e giacché la vostra condizione vi obbliga all’obbedienza, scegliete una guida, per poter più santamente, sotto la sua condotta, consacrare il vostro cuore e il vostro corpo alla sua divina Maestà.

Augustinus
25-01-04, 14:28
QUARTA PARTE
Contiene i consigli opportuni contro le tentazioni più correnti

Capitolo I
NON BISOGNA LASCIARSI SCORAGGIARE DALLE CHIACCHIERE DELLA GENTE

Appena la gente si accorgerà che hai deciso di seguire la vita devota, scoccherà contro di te mille frecciatine di compatimento e altrettanti dardi di pesante maldicenza: i più arrabbiati daranno al tuo cambiamento il nome di ipocrisia, di bigotteria, di tradimento; diranno che il mondo ti ha voltato le spalle ed allora ti sei consolata volgendoti a Dio; i tuoi amici poi, da parte loro, si affretteranno a somrnergerti di rimproveri, tanto prudenti e pieni di carità, a loro avviso. Sanno già che diventerai triste, perderai credito di fronte alla gente, sarai insopportabile, invecchierai prima del tempo, le cose di casa tua andranno a rotoli; ti ricorderanno che bisogna vivere nel mondo stando alle sue regole, che l’anima si può salvare anche senza tante storie; e simili sciocchezze.
Filotea, credimi, sono tutte chiacchiere stupide e inutili; a quella brava gente non importa proprio niente né della tua salute, né dei tuoi affari.
Se voi foste del mondo, dice il Salvatore, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma siccome voi non siete del mondo, vi odia. Ho visto gentiluomini e dame passare intere notti di seguito a giocare agli scacchi e alle carte.
Esiste forse un’occupazione più vuota, più triste e più massacrante di quella? Eppure la brava gente non mette parola: gli amici non se ne sono minimamente preoccupati; se invece noi facciamo un’ora di meditazione, oppure ci vedono alzarci al mattino un po’ più presto pararci alla santa Comunione, tutti si precipitano dal medico per farci curare dallo stato ansioso e dall’itterizia. Passa trenta notti a ballare e nessuno troverà da ridire; per la sola veglia della notte di Natale, il giorno dopo, chi ha la tosse e chi il mal
di pancia.
Chi non si accorge subito che il mondo è un giudice ingiusto? Gentile ed accomodante con i suoi figli, ma duro e senza pietà per i figli di Dio.
Per andare a genio al mondo dobbiamo andare a braccetto con lui. E poi non riesci ad accontentarlo nemmeno lo stesso perché è matto: t venuto Giovanni, dice il Salvatore, che non mangia e non beve e voi dite che ha il diavolo; è venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve e voi dite che è un samaritano.
È proprio vero, Filotea, se per far piacere agli altri, ci lasciamo andare a ridere, a giocare, a ballare con la gente di mondo, il mondo ne sarà scandalizzato; se non lo facciamo ci accuserà 1 di essere ipocriti e tristi; se ci vestiamo bene, penserà che abbiamo un motivo nascosto; se andiamo alla buona, ci farà passare per gente senza educazione; la nostra allegria sarà per lui dissolutezza, la mortificazione, tristezza; ci guarda tanto di traverso che per quanto ci sforziamo, non gli andremo mai a genio. Le nostre imperfezioni le ingigantisce e le classifica peccati, i nostri peccati veniali li fa mortali; i nostri peccati di debolezza li trasforma in peccati di malizia. Dovrebbe invece sapere, come dice S. Paolo, la carità è benigna, il mondo, al contrario, è cattivo; dovrebbe sapere anche che la carità non pensa male; a contrario, i mori pensa sempre ma e, e se proprio non gli riesce di accusare le nostre azioni, accusa le nostre intenzioni. I montoni possono avere le corna o non averle, essere bianchi o essere neri, il lupo, appena gli riuscirà, li sbranerà. È un po’ la stessa cosa per noi fare quello che vogliamo, il mondo ci farà sempre guerra; se ci fermiamo un po’ davanti al confessore, si chiederà che cosa gli stiamo raccontando; se invece ci sbrighiamo, dirà che abbiamo taciuto metà! Sorveglierà tutti i nostri movimenti e per un piccolo scatto di collera dirà che siamo insopportabili; la cura dei nostri affari la chiamerà avarizia, la nostra dolcezza, stupidità; quanto ai figli del mondo, la loro collera è sincerità, la loro avarizia abilità amministrativa; le libertà che si prendono, franchezza: i ragni rovinano sempre l’opera delle api!
Filotea, lasciamo perdere questo cieco: lascialo urlare finché non si stancherà, come fa il barbagianni per spaventare gli uccelli del giorno. Restiamo fermi nei nostri propositi, sarà la perseveranza a dimostrare che è sul serio e con sincerità che ci siamo votati a Dio e incamminati nella vita devota.
Le comete e i pianeti hanno apparentemente la stessa luminosità; solo che le comete scompaiono in poco tempo, perché hanno soltanto una luminosità transitoria, mentre i pianeti godono di una luce continua; lo stesso si può dire dell’ipocrisia e della virtù; esternamente si assomigliano molto, ma volendo, si possono distinguere con sicurezza l’una dall’altra: l’ipocrisia non dura nel tempo e si scioglie come nebbia al sole, mentre la virtù autentica rimane stabile e costante.
Non è un vantaggio da poco, per ben cominciare il cammino della devozione, ricevere calunnie e improperi: evitiamo, in tal modo, il pericolo della vanità e dell’orgoglio, che sono come le levatrici d’Egitto, cui l’infernale Faraone aveva dato l’ordine di uccidere i nati maschi di Israele il giorno stesso della nascita.
Noi siamo crocifissi per il mondo e il mondo è crocifisso per noi; il mondo ci considera pazzi? e noi consideriamolo matto!


Capitolo II
È NECESSARIO FARSI CORAGGIO

La luce, che pure è bella e desiderabile per i nostri occhi, li abbaglia quando sono stati per lungo tempo al buio; prima di familiarizzarti con gli abitanti di un paese che non conosciamo, per quanto siano cortesi e premurosi, ti trovi, per un po’ di tempo, disorientata. Similmente, cara Filotea, può capitare che, a questo cambiamento di rotta della tua vita interiore, tu rimanga seriamente sconvolta e questo addio totale alle follie e alle stupidità del mondo, ti causi qualche momento di sofferta tristezza e di scoraggiamento. Se dovessi trovarti realmente in simile situazione, abbi un po’ di pazienza, te ne prego: vedrai che non è nulla! Si tratta soltanto di un po’ di disorientamento di fronte alla novità; quando questo momento sarà passato avrai consolazioni a non finire. Sulle prime è facile che ti dispiaccia essere privata della gloria di cui gli sciocchi e gli adulatori ti circondavano nella tua vanità; ma sul serio vorresti perdere quella eterna che il Signore ti darà sulla sua parola di verità?
I vuoti divertimenti e i passatempi ai quali hai sacrificato gli anni passati ti torneranno alla mente per adescare il cuore e riprenderselo; ma come potresti avere il coraggio di rinunciare a una felicità eterna per
leggerezze così ingannevoli? Credi a me, se sarai perseverante, non passerà molto tempo che sarai ricolma di dolcezze così deliziose e piacevoli, fatte di autentico miele, che dovrai ammettere che il mondo ha soltanto del fiele a confronto! Un solo giorno di devozione vale più di mille anni di vita di mondo.
Ora ti accorgi che la montagna della perfezione cristiana è terribilmente alta: dirai, Dio mio, e come ci arriverò? Coraggio, Filotea, quando le larve delle api cominciano a prendere forma si chiamano ninfe; non sanno ancora volare sui fiori, né sui monti, né sulle colline, per raccogliere miele; ma piano piano, nutrendosi del miele preparato dalle api anziane, quelle piccole ninfe mettono le ali e si fortificano, e cosí in seguito potranno volare ovunque, alla ricerca del miele.
È vero, noi siamo ancora piccole larve nella devozione, non riusciamo a salire secondo il nostro progetto, che è addirittura quello di raggiungere la vetta della perfezione cristiana; ma, piano piano, prendiamo forma con i nostri desideri e i nostri propositi, cominciamo a mettere le ali; abbiamo motivo di sperare che un giorno saremo api spirituali e voleremo; nel frattempo viviamo del miele degli insegnamenti così ricchi che i devoti prima di noi ci hanno lasciato, e preghiamo Iddio che ci arricchisca di penne come di colomba, per poter volare non soltanto nel tempo della vita presente, ma anche raggiungere il riposo nell’eternità della futura.


Capitolo III
LA NATURA DELLE TENTAZIONI E LA DIFFERENZA
TRA SENTIRE LA TENTAZIONE E ACCONSENTIRE AD ESSA

Immagina, Filotea, una giovane principessa molto amata dal suo sposo; pensa ora che qualcuno mai intenzionato, per trascinarla a disonorare il letto nuziale, le invii un infame messaggio d’amore per portare avanti con lei il suo esecrando disegno.
Per prima cosa il messaggero propone alla principessa l’intenzione del suo padrone; in un secondo momento la principessa trova piacevole o ripugnante la proposta e la stessa ambasceria; in terzo luogo, dice di sì o dice di no.
Allo stesso modo Satana, il mondo e la carne, vedendo un’anima sposa al Figlio di Dio, le mandano tentazioni e suggerimenti con i quali: l. il peccato viene proposto; 2. a quella proposta prova piacere o prova dispiacere; 3. infine acconsente o rifiuta. I gradini per scendere al male sono tre: la tentazione, la dilettazione, il consenso.
È vero che questi tre momenti non sempre è facile distinguerli chiaramente in ogni genere di peccato, ma sono molto evidenti e distinti concretamente nei peccati di chiara gravità.
Anche se la tentazione ad un peccato ci tormentasse tutta la vita, non potrebbe renderci sgraditi alla divina Maestà; l’essenziale è che non ci piaccia e che non acconsentiamo. Il motivo è che nella tentazione noi non siamo attivi, ma passivi, e siccome non proviamo alcun piacere, non possiamo essere colpevoli.
S.Paolo sofferse lungamente le tentazioni della carne e non per questo dispiaceva a Dio; anzi Dio era glorificato nelle tentazioni; la Beata Angela da Foligno provava tentazioni carnali così crudeli che, solo al racconto, si prova compassione per lei. Anche le tentazioni patite da S. Benedetto e S. Francesco, allorché uno si gettò nella neve e l’altro nelle spine per mitigarle, erano terribili; ma non per questo persero la grazia di Dio; anzi la grazia in essi aumentò.
Devi essere molto coraggiosa, Filotea, quando sei afflitta da tentazioni, e non sentirti mai vinta finché ti disgustano; tieni sempre presente la differenza che c’è tra sentire e acconsentire; è possibile sentirle pur continuando a provarne dispiacere, ma invece non è possibile acconsentire senza provare piacere in esse; il motivo è presto detto: il piacere è il gradino al consenso.
I nostri nemici possono presentarci tutti gli inviti e le esche che vogliono, possono piazzarsi sulla soglia della porta dei nostro cuore cercando di entrare, possono farci tutte le promesse immaginabili; finché da parte nostra saremo decisi a rifiutare, non e possibile che offendiamo Dio.
Ricordati l’esempio della principessa il principe sposo non può incolparla del messaggio che le è stato inviato, se ella non si è compiaciuta. Tuttavia tra l’anima e quella principessa c’è una differenza: la principessa, dopo aver ricevuto la proposta peccaminosa, se lo vuole, può cacciare il messaggero e non più ascoltarlo; mentre non è sempre in potere dell’anima non continuare a provare la tentazione, anche se è in suo potere non acconsentire: ecco perché, anche se la tentazione persiste e rimane a lungo, non può nuocerci finché la troviamo disgustosa.
Quanto alla dilettazione che può seguire la tentazione, siccome abbiamo due parti nell’anima, una inferiore e l’altra superiore, e visto anche che l’inferiore non sempre segue la superiore, anzi se ne mantiene indipendente, può capitare spesso che la parte inferiore si compiaccia nella tentazione, senza il consenso, anzi contro il gradimento della parte superiore: è questa la lotta e la guerra descritta da S. Paolo, quando dice che la sua carne brama contro il suo spirito, che c’è una legge delle membra e una dello spirito, e altre cose simili.
Hai mai visto, Filotea, un grande bracere con il fuoco coperto sotto la cenere? quando diecidodici ore dopo vieni per cercare il fuoco, ne trovi soltanto un po’ nel mezzo, e si fatica a trovarlo; tuttavia c’era, visto che si può trovare! E con quello si possono riaccendere tutti gli altri carboni spenti. La stessa cosa avviene della carità, che è la nostra vita spirituale, soffocata da grandi e violente tentazioni: la tentazione provoca alla dilettazione la parte inferiore e può dare l’impressione di coprire tutta l’anima di cenere e ridurre l’amore di Dio allo stremo, perché non si trova più da nessuna parte, meno che al centro del cuore, nascosto in fondo allo spirito; sembra proprio che non ci sia più e si fatica a trovarlo.
Eppure c’è e c’è sul serio, perché anche se tutto è torbido nella nostra anima e nel nostro corpo, noi abbiamo fatto il proposito di non acconsentire al peccato e nemmeno alla tentazione; la dilettazione che piace al nostro uomo esteriore, dispiace a quello interiore, e anche se circonda da ogni parte la nostra volontà, l’importante è che non sia entrata in essa: da ciò appare evidente che si tratta di una dilettazione involontaria, e quindi che non può essere peccato.


Capitolo IV
DUE BEGLI ESEMPI IN PROPOSITO

Avresti senz’altro piacere di capire bene ciò che ti sto dicendo ed io non ho difficoltà ad allungare il discorso per chiarirlo ancora meglio.
Il giovane di cui parla S. Girolamo, che, steso e legato molto morbidamente con nastri di seta su di un dolce letto, era provocato con ogni genere di toccamenti sensuali e seduzioni da parte di una donna perversa che si era coricata con lui per scuotere la sua resistenza, ti pare che non dovesse provare certe sensazioni? Non credi che i suoi sensi fossero presi dal piacere, e la sua immaginazione soffocata dalla presenza di tutte quelle voluttà? lo non lo metto in dubbio, eppure in mezzo a quella tormenta del male, sballottato da una così terribile tempesta di tentazioni, tra tante voluttà che lo attraggono da ogni parte, dimostra che il suo cuore non è ancora vinto e la sua volontà non si arrende in alcun modo; e poiché il suo spirito vede che tutto gli è contro, e non ha sotto la sua volontà più alcuna parte del corpo che la lingua, se la tronca con un morso e la sputa in faccia a quella donna di malaffare che, con il piacere, lo tormentava più crudelmente di quanto non avrebbero saputo fare i carnefici con i tormenti; il tiranno che aveva dubitato,
per piegarlo, della forza dei tormenti, aveva riposto la sua fiducia, per vincerlo, nella forza dei piaceri: ma si era sbagliato.
Stupenda anche la storia del combattimento di S. Caterina da Siena, sempre sullo stesso tema. Eccola in breve.
Lo spirito maligno aveva avuto licenza da Dio di attaccare la castità di quella santa vergine con tutta la rabbia che voleva, purché non la toccasse.
Si mise dunque all’opera, insinuandole nel cuore ogni sorta di oscenità e, per creare in lei un’emozione ancora più forte, le si presentò con i suoi diavoli in sembianza di uomini e donne, che si esibivano davanti a lei, in ogni genere di oscenità e di sconcezze aggiungendo parole e inviti indecenti; benché tutte quelle manifestazioni fossero esteriori, cionondimeno per mezzo dei sensi penetravano molto profondamente nel cuore della giovane donna; il cuore ne era saturo. Libera da questa tormenta di oscenità e di piaceri carnali le rimaneva soltanto la sottile e pura volontà superiore. Questo durò per molto tempo; finché un giorno le apparve Nostro Signore. Gli chiese subito: “ Dov’eri, mio dolce Signore, quando il mio cuore era così pieno di tenebre e di brutture? “ Rispose il Signore: “ Figlia mia, mi trovavo nel tuo cuore “. “ E come, replicò lei, potevi abitare nel mio cuore, dove c’erano tante oscenità? Tu abiti in luoghi così malfamati? “ Le rispose Nostro Signore: “ Dimmi un po’, quegli sporchi pensieri del tuo cuore ti davano piacere o tristezza, amarezza o diletto? “ E lei: “ Grande amarezza e tristezza”. Replicò il Signore: “Chi era a mettere quella grande tristezza e amarezza nel tuo cuore, se non io che mi tenevo nascosto nel profondo della tua anima? Credimi, figlia mia, se io non fossi stato presente, quei pensieri che premevano intorno alla tua volontà senza poterla piegare, senza di me l’avrebbero vinta e vi sarebbero penetrati, e il tuo libero arbitrio li avrebbe accolti con piacere, e così avrebbero dato la morte alla tua anima; ma siccome dentro c’ero io, inculcavo disgusto e resistenza al tuo cuore, di modo che con tutte le forze non cedesse alla tentazione. Non potendo annientare la tentazione, come avrebbe voluto, provava un disgusto ancora maggiore e un odio profondo contro di lei e contro se stessa; e così quei tormentierano un grande merito ed una grande vittoria per te, una grande crescita della tua virtù e della tua forza “.
Vedi bene, Filotea, quanto quel fuoco fosse nascosto sotto la cenere, e la tentazione e il diletto fossero penetrati nel cuore e avessero assediato la volontà, che sola, sostenuta dal suo Salvatore, resisteva nelle amarezze, nei tormenti; rimanendo salda nel rifiuto del male che le veniva proposto, rifiutando costantemente il consenso al Peccato che la opprimeva da ogni parte.
Quale sconforto per un’anima che ama Dio, non sapere nemmeno se Egli è in lei o meno e se l’amore divino, per il quale lotta, è completamente spento in essa o no! Ma è l’apice della perfezione dell’amore celeste far soffrire e lottare l’amante per amore, senza sapere se possiede quell’amore per il quale e per mezzo del quale lotta!


Capitolo V
INCORAGGIAMENTO ALL’ANIMA CHE SI TROVA NELLE TENTAZIONI

Cara Filotea, quei terribili attacchi e quelle tentazioni così forti, sono permesse da Dio soltanto contro le anime che Egli ha deciso di innalzare al suo meraviglioso e ineguagliabile amore; ma non per questo, superato l’ostacolo, hanno la certezza di giungervi; è capitato Parecchie volte che quelli che erano rimasti saldi di fronte a quei violenti attacchi, non abbiano poi corrisposto al favore di Dio, e così, in seguito, sono caduti nella trappola di tentazioni da nulla! Dico questo perché, se dovesse capitarti di essere tormentata da una tentazione molto forte, sappi che Dio vuole favorirti in modo tutto speciale e renderti più grande al suo cospetto; ciononostante devi rimanere umile e guardinga, e non illuderti di poter vincere le piccole tentazioni solo perché hai vinto le grandi, se non rimani fedele alla Maestà divina.
Se dunque ti capita di provare qualche tentazione e anche il piacere che ne consegue, mentre la volontà rifiuta il proprio consenso, sia alla tentazione che al piacere che l’accompagna, non turbarti minimamente, perché Dio non è offeso.
Quando un uomo è svenuto e non dà più alcun segno di vita, gli si posa la mano sul cuore e, per tenue che sia il battito, se ne conclude che è vivo; e con l’aiuto di qualche sostanza medicamentosa o qualche impacco gli si fanno riprendere le forze e i sentimenti.
Allo stesso modo, capita qualche volta che, per la violenza delle tentazioni, sembra che la nostra anima sia stata completamente abbandonata dalle proprie forze e, come fosse svenuta, sembra non dare più segni di vita spirituale e di movimento; se vogliamo sincerarci di come stiano esattamente le cose, mettiamole la mano sul cuore: se il cuore e la volontà spiritualmente pulsano ancora, ossia se sono fedeli nel rifiutare e consentire a seguire la tentazione e il piacere, nessun timore! Finché nel nostro cuore c’è il movimento del rifiuto, stiamo pur certi che la carità, vita delle nostre anime, vive in noi, e Gesù Cristo nostro Salvatore dimora nelle nostre anime anche se nascosto in un angolo. E così, con l’esercizio assiduo dell’orazione, dei sacramenti e della fiducia in Dio, le nostre forze ritorneranno e con esse la nostra vita piena e piacevole.


Capitolo VI
IN CHE MODO LA TENTAZIONE E LA DILETTAZIONE
POSSONO ESSERE PECCATO

La principessa, di cui abbiamo parlato, non può nulla contro la proposta disonesta che le viene fatta, giacché, come abbiamo supposto, le giunge suo malgrado. Se, al contrario, con qualche civetteria avesse dato motivo alla proposta, con cenni d’intesa a colui che la corteggia, senza dubbio sarebbe responsabile della proposta; e anche se ora si comportasse innocentemente, meriterebbe ugualmente biasimo e punizione.
Può capitare qualche volta che la sola tentazione ci metta in peccato, perché ne siamo la causa. Per esempio, so che se gioco, mi adiro facilmente e bestemmio e che il gioco mi è di trampolino a quei peccati: io pecco tutte le volte che gioco e sono colpevole di tutte le tentazioni che mi capiteranno nel gioco. Così pure, se so che certe conversazioni mi portano alla tentazione e alla caduta, e io mi ci metto ugualmente, senza dubbio sono colpevole di tutte le tentazioni che vi incontrerò. Quando la dilettazione che deriva dalla tentazione può essere evitata, accettarla è sempre peccato nella misura che il piacere che ci si trova e il consenso che le si dà è più o meno pieno, persistente nel tempo o solo di breve durata.
È sempre cosa biasimevole per la giovane principessa, di cui abbiamo parlato, se non soltanto ascolta la lurida e disonesta proposta che le viene avanzata, ma, dopo averle prestato orecchio, vi prende piacere e vi ferma sopra il proprio cuore provandone contento; benché ella non abbia l’intenzione di consentire all’atto materiale proposto, cionondimeno acconsente all’adesione spirituale del suo cuore, al godimento che ne ricava; è sempre disonesto aderire con il cuore o con il corpo a un proposito contro l’onestà; la disonestà ha la sua sede nell’adesione del cuore, tanto che senza di quella anche l’adesione del corpo non sarebbe peccato. Quando dunque sarai tentata a qualche peccato, pensa se hai dato volontariamente motivo a quella tentazione; in tal caso la tentazione è già peccato, per il pericolo nel quale ti sei gettata. Questo va detto per quando potevi facilmente evitare l’occasione e l’avevi prevista, o almeno avresti dovuto prevederla. Ma se non hai offerto alcun appiglio alla tentazione, in nessun modo ti può essere imputata a peccato.
Quando la dilettazione che segue la tentazione, poteva essere evitata, e non si è fatto, in qualche modo il peccato è sempre presente secondo che ci si è soffermati poco o molto, e secondo il motivo che ha dato origine al piacere che vi abbiamo provato.
Una donna che non ha dato occasione al corteggiamento e tuttavia prende piacere in esso, è ugualmente da biasimare se il piacere che prende consiste proprio nell’essere corteggiata. Per esempio, se il galante che vuole corteggiarla, suona divinamente il liuto e lei ne gode, non perché le fa la corte, ma per l’arte e la dolcezza del suo liuto, non c’è peccato; sarebbe però molto saggio per lei non rimanere troppo a lungo su quel piacere, per timore di passare dal piacere della musica a quello del suonatore!
Così pure, se qualcuno mi propone qualche stratagemma pieno di inventiva e di astuzia, per vendicarmi del mio avversario, e io non ne godo e non consento alla vendetta proposta, ma mi compiaccio nell’originalità della trovata, non faccio alcun peccato, anche se è opportuno che non ci perda troppo tempo a trovarla una bella invenzione; potrei anche finire col provare un certo piacere nel pensare alla vendetta in sé.
Qualche volta rimaniamo sorpresi da qualche sensazione piacevole che segue immediatamente la tentazione, prima ancora che ce ne siamo accorti; per lo più è soltanto un leggerissimo peccato veniale, che potrebbe anche diventare più grave se, dopo che abbiamo preso coscienza del pericolo, per negligenza ci fermiamo un po’ a contrattare con il piacere, per sapere se dobbiamo accettarlo o se dobbiamo respingerlo; potrebbe essere anche più grave, se, dopo aver avvertito il pericolo, ci fermassimo su quello per vera negligenza, senza alcun proposito di liberarcene.
Ma quando volontariamente e deliberatamente abbiamo deciso di godere di tale piacere, anche soltanto questo proposito, è già di per sé grave peccato, se l’oggetto del nostro piacere è chiaramente cattivo.
È molto grave per una donna coltivare amori peccaminosi anche se ha l’intenzione di mai concedersi fisicamente all’amante.


Capitolo VII
RIMEDI PER LE TENTAZIONI GRAVI

Appena avverti in te qualche tentazione, fa come i bambini quando scorgono il lupo o l’orso in campagna; si precipitano immediatamente tra le braccia del papà o della mamma e se non possono fare altro, strillano chiamandoli in aiuto. Similmente ricorri a Dio, chiedendogli la sua misericordia e il suo aiuto; è il rimedio che ci insegna Nostro Signore: Pregate per non entrare in tentazione.
Se nonostante tutto, la tentazione insiste e si accresce, in ispirito corri ad abbracciare la santa Croce,come se tu vedessi realmente davanti a te Gesù crocifisso; protesta che non cederai mai alla tentazione e chiedigli aiuto contro la stessa; finché la tentazione rimarrà, tu insisti nel protestare che mai cederai. Mentre fai queste proteste e insisti nel negare il tuo consenso, non guardare in faccia la tentazione; guarda soltanto Nostro Signore; se tu dovessi guardare la tentazione, soprattutto nei momenti di maggiore intensità, il tuo coraggio potrebbe anche vacillare.
Distrai il tuo spirito con qualche occupazione buona e lodevole; tali occupazioni entreranno nel tuo cuore, lo occuperanno e così elimineranno le perverse suggestioni del maligno.
Il rimedio sicuro contro tutte le tentazioni, grandi e piccole, è quello di aprire il proprio cuore e di dire tutto quello che ci tormenta al nostro direttore spirituale: le tentazioni, le nostre reazioni, gli affetti. La prima condizione che il maligno impone all’anima che vuole sedurre, è il silenzio, esattamente come fanno quegli uomini che tentano di sedurre le donne e le ragazze; per prima cosa impongono loro di non farne parola con i papà e con i mariti: tutto diverso è il modo di agire di Dio; nelle sue ispirazioni ci chiede di farlo sapere subito a chi ha la nostra responsabilità e ai direttori spirituali.
Che se poi, dopo tutto ciò, la tentazione si ostina a tormentarci e a perseguitarci ci resta soltanto di ostinarci, anche da parte nostra, ) nel protestare di non voler consentire; perché, come le ragazze non possono essere date a marito finché dicono di no, così l’anima, per quanto turbata, non sarà ferita finché dice di no!
Non discutere con il nemico e non dargli una sola parola di risposta, tranne quella con la quale lo fece stare zitto Nostro Signore: Va indietro, Satana, tu adorerai il Signore tuo Dio e solo a Lui servirai.
La donna casta non deve rispondere una sola parola e non deve guardare in faccia lo spasimante tanto volgare che ha osato farle proposte disoneste; ma lo deve piantare in asso su due piedi, e all’istante rivolgere il cuore al proprio sposo e rinnovare il giuramento di fedeltà a lui promesso, senza perdere tempo in tentennamenti; allo stesso modo, l’anima devota, vedendosi attaccata da qualche tentazione, non deve perdere tempo a discutere e a rispondere, ma volgersi a Cristo Gesù suo Sposo, rinnovargli la sua fedeltà e la promessa di appartenergli sempre.


Capitolo VIII
BISOGNA RESISTERE ALLE PICCOLE TENTAZIONI

È fuor di dubbio che bisogna combattere le grandi tentazioni con un coraggio travolgente, e la vittoria che riporteremo ci sarà di molto aiuto; tuttavia avviene che si tragga un profitto ancora maggiore nel combattere le piccole; il motivo è intuibile: le prime sono grandi, le altre sono molte; di modo che si può dire che la vittoria su queste equivale alla vittoria su quelle.
I lupi e gli orsi sono fuor di dubbio più pericolosi delle mosche, ma, quanto a farci esercitare la pazienza, le mosche con la loro importunità e la noia che ci arrecano, la vincono di molto!
È facile non essere assassini, ma molto difficile evitare le piccole collere che trovano continuamente occasioni. t abbastanza facile per un uomo e una donna non cadere in adulterio, ma non altrettanto facile impedirsi le occhiate, innamorarsi o fare innamorare, procurare emozioni e piccoli piaceri, dire e ascoltare parole di civetteria.
È raro che sia necessario mettere in guardia il marito o la moglie da un modo di agire spregiudicato che costituisca pericolo per il corpo; ma non lo è altrettanto quando si tratta di pericolo per il cuore. È abbastanza facile non profanare il letto matrimoniale, ma non altrettanto non compromettere l’amore matrimoniale; è facile non rubare i beni altrui, non altrettanto non corteggiarli e non desiderarli; è molto facile non portare falsa testimonianza in tribunale, non altrettanto non mentire in conversazione; molto facile non ubriacarsi, non altrettanto mantenersi sobri; molto facile non desiderare la morte altrui, non altrettanto non desiderargli qualche accidente; molto facile non disonorare, non altrettanto non nutrire sentimenti di disprezzo.
Si può concludere che le piccole tentazioni di collera’ di sospetto, di gelosia, di invidia, di antipatia, di stranezza, di vanità, di doppiezza, di affettazione, di astuzia, di pensieri indecenti, sono abituali anche per coloro che sono già più incamminati nella devozione e più risoluti! Ecco perché, cara Filotea, è necessario che ci prepariamo con grande cura e diligenza a questo combattimento; sii certa che tutte le vittorie che riporterai contro questi piccoli nemici, saranno tante pietre preziose incastonate nella corona di gloria che Dio ti prepara in Paradiso.
Ecco perché sostengo che, in attesa di lottare bene e con valore, contro le grandi tentazioni, se verranno, nel frattempo difendiamoci bene da questi piccoli e deboli attacchi.


Capitolo IX
COME RIMEDIARE ALLE PICCOLE TENTAZIONI

Quanto alle piccole tentazioni di vanità, di sospetto, di tristezza, di gelosia, di invidia, di passioncelle e simili trabocchetti che, come mosche e moscerini, ci volano davanti agli occhi e ci pungono ora sulla guancia, ora sul naso, non ci è dato di liberarci completamente dal loro fastidio; la migliore resistenza che si possa loro opporre è di non innervosirci; allo stesso modo, le piccole tentazioni possono darci molto fastidio, ma non possono nuocerci, purché ci sia sempre in noi la ferma decisione di servire Dio.
Disprezza questi piccoli attacchi, non degnarli nemmeno di un pensiero, anzi lasciali pure ronzare intorno alle tue orecchie finché ne avranno voglia; che volino pure qua e là intorno a te, come le mosche; se poi dovessero pungerti o posarsi un attimo sul tuo cuore, cacciali e basta! Non metterti a combatterli <) a rispondere loro; compi atti contrari, quelli che vuoi, ma soprattutto di amore di Dio.
Se vuoi darmi ascolto, non intestardirti a voler opporre alle tentazioni che provi, la virtù opposta: questo sarebbe accettare il confronto. Ma, dopo aver compiuto un atto della virtù opposta, se hai avuto tempo di inquadrare il genere della tentazione, tornerai semplicemente con il tuo cuore a fianco di Cristo Gesù crocifisso, e con un atto di amore gli bacerai i piedi.
È il mezzo migliore per vincere il nemico, tanto nelle piccole tentazioni come nelle grandi: l’amore di Dio contiene in sé tutta la perfezione di tutte le virtù; per questo è il rimedio migliore contro tutti i vizi.
Se in tutte le tentazioni prendi l’abitudine di ricorrere per principio a questo rimedio, non sarai più obbligata ad indagare ed esaminare di che tentazione si tratta; ma, con tutta semplicità, quando ti sentirai turbata, farai ricorso al rimedio sicuro che, oltretutto, è così temibile per il maligno, il quale quando si accorge che le sue tentazioni ci spingono all’amore di Dio, smette di tentarci.
Ecco quello che volevo dirti per le piccole ma frequenti tentazioni; chi volesse perdere tempo nei dettagli, si annoierebbe e non ne ricaverebbe niente!


Capitolo X
COME FORTIFICARE IL CUORE CONTRO LE TENTAZIONI

Ogni tanto dà uno sguardo alla tua anima per vedere quali sono le passioni che più vi spadroneggiano; una volta scoperte, imposta la tua vita in modo esattamente contrario nei pensieri, nelle parole, nelle azioni.
Per esempio, se ti senti portata alla passione della vanità, pensa spesso alla miseria di questa vita terrena, quanto queste vanità peseranno sulla coscienza nel giorno della morte, quanto siano indegne di un cuore generoso. Pensa che sono soltanto giochi e divertimenti per bambini, e altre simili riflessioni.
Parla spesso contro la vanità, e anche se hai l’impressione di farlo malvolentieri, non perdere occasione per disprezzarla, perché così, almeno per il tuo buon nome, ti troverai impegnata contro di essa; e a forza di parlarne male, finirai per odiarla, pur avendo avuto all’inizio per essa dell’affetto.
Compi numerosi atti di abiezione e di umiltà, anche se hai l’impressione di farli controcuore; in questo modo ti abituerai all’umiltà e indebolirai la vanità; di modo che, quando giungerà la tentazione, la tua inclinazione non le sarà più di appoggio e avrai più forza per combatterla.
Se sei portata all’avarizia, pensa spesso alla follia di questo peccato che ci rende schiavi di quello che è stato creato per il nostro servizio; pensa che al momento della morte dovrai lasciare tutto, e lasciare i tuoi beni a chi in breve tempo li dissiperà e al quale quei beni saranno causa di rovina e di dannazione, e altri simili pensieri.
Pronunciati con forza contro l’avarizia, loda molto il disprezzo del mondo, fatti violenza per elargire spesso elemosine e carità, e lascia perdere qualche occasione per accumulare ricchezze.
Se hai la tendenza ad innamorarti e a far innamorare con una certa facilità, pensa spesso quanto sia pericoloso questo divertimento, sia per te che per gli altri; pensa quanto sia cosa indegna profanare e impiegare in passatempi il più nobile sentimento della nostra anima; e quanto sia biasimevole come segno di una estrema leggerezza di spirito. Parla spesso in favore della purezza e semplicità di cuore, e compi più che puoi, atti coerenti, evitando le affettazioni e le smancerie.
In conclusione, in tempo di pace, ossia quando le tentazioni del peccato cui vai soggetta non ti angustiano, compi molti atti della virtù opposta e, se le occasioni si presentano, va loro incontro; è così che renderai forte il tuo cuore contro la futura tentazione.


Capitolo XI
L’AGITAZIONE

L’agitazione non è una semplice tentazione, ma una fonte dalla quale e a causa della quale ci vengono molte tentazioni: per questo te ne parlo un po’.
La tristezza è la sofferenza di spirito che noi proviamo per il male che si trova in noi contro la nostra volontà, sia che si tratti di un male esteriore, come povertà, malattia, disprezzo, oppure anche interiore, come ignoranza, aridità, ripugnanza, tentazione.
Quando l’anima avverte in sé un male, prova contrarietà: questa è la tristezza; subito desidera liberarsene e cerca il mezzo per disfarsene; fin qui ha ragione, perché ciascuno, per natura, tende al bene e fugge ciò che reputa male.
Se l’anima cerca i mezzi per liberarsi dal suo male per amore di Dio, li cercherà con pazienza, dolcezza, umiltà e serenità, aspettando la propria liberazione più dalla bontà e dalla Provvidenza di Dio che dai propri sforzi, dalle proprie capacità e dalla propria diligenza. Se invece cerca la propria liberazione per amor proprio, si agiterà e si altererà nella ricerca dei mezzi, come se dipendesse più da lei che da Dio: non dico che lo pensi, ma si comporta come se lo pensasse.
Se non trova subito quello che sta cercando, entra in uno stato di grande agitazione ed impazienza, che non le tolgono il male, ma anzi lo peggiorano; l’anima entra in uno stato di angoscia e smarrimento senza confini, con un tale cedimento del coraggio e della forza, che le sembra che il suo male sia senza rimedio. A questo punto la tristezza, che in partenza era giusta, genera l’agitazione; e l’agitazione in seguito aumenta la tristezza, il che è molto pericoloso.
L’agitazione è uno dei mali peggiori che possa colpire l’anima, eccettuato il peccato. Allo stesso modo che le sedizioni e i turbamenti interni di uno Stato lo rovinano completamente e lo rendono incapace di opporre resistenza agli aggressori esterni, così il nostro cuore, quando è turbato e agitato dentro di sé, perde la forza di conservare le virtù che aveva acquistato e, nello stesso tempo, perde anche la capacità di resistere alle tentazioni del nemico, il quale, come dice il proverbio, in tal caso, si impegna a fondo per pescare in acque torbide.
L’agitazione viene da un desiderio smodato di liberarci dal male che ci opprime o di acquistare il bene che speriamo; tuttavia nulla peggiora il male e allontana il bene quanto l’agitazione e la precipitazione. Gli uccelli rimangono presi nelle reti e nei lacci, soprattutto perché quando vi si impigliano, si dibattono e si agitano disperatamente per venirne fuori, e così si inviluppano sempre più.
Quando dunque sentirai il desiderio di essere liberata da qualche male e di pervenire a qualche bene, prima di tutto mettiti calma e serena, fa calmare il tuo intelletto e la tua volontà, e poi, con moderazione e dolcezza, insegui pure il sogno del tuo desiderio, prendendo con ordine i mezzi idonei; quando dico con moderazione, non intendo dire con negligenza, ma senza precipitazione, senza turbamento e agitazione; diversamente, invece di raggiungere l’oggetto del tuo desiderio, rovinerai tutto e ti troverai peggio di prima.
La mia anima è sempre nelle mie mani, Signore, e non ho dimenticato la tua legge, diceva Davide.
Rifletti più di una volta al giorno, ma almeno sera e mattina, se è vero che hai il dominio della tua anima; esaminati per renderti conto se non te l’abbia sottratta qualche passione o l’agitazione. Mantieni il cuore ai tuoi ordini, oppure ti è sfuggito di mano per impegolarsi in qualche passione sregolata di amore, di odio, di invidia, di ingordigia, di paura, di noia, di gioia?
Se per caso si fosse smarrito, prima di tutto, trovalo! Riportalo con garbo alla presenza di Dio, e sottoponi di nuovo i tuoi affetti e i tuoi desideri all’obbedienza e alla guida della sua divina volontà. Dobbiamo comportarci come coloro che temono di perdere qualche cosa che sta loro molto a cuore e la tengono molto stretta. Seguendo il grande Re Davide, diremo: Mio Dio, la mia anima è in pericolo, ecco perché la tengo sempre stretta nella mia mano; e così non ho dimenticato la tua legge.
Per piccoli che siano e di poca importanza, non permettere ai tuoi desideri di provocare agitazione in te; e sai perché? ai piccoli seguiranno quelli più grandi e quelli più impegnativi e troveranno il tuo cuore già aperto al turbamento e al disordine.
Quando ti accorgerai che stai per cadere nell’agitazione, raccomandati a Dio e decidi di non fare assolutamente nulla di quanto pretende da te il desiderio, finché l’agitazione non sia completamente sopita, a meno che non si tratti di cosa che non può essere differita; nel qual caso, con un impegno dolce e sereno, devi contenere la spinta del tuo desiderio, controllandolo e moderandolo nella misura del possibile, e realizza quello che devi realizzare non seguendo il tuo desiderio, ma seguendo la ragione.
Se puoi manifestare la tua agitazione a chi ha la guida della tua anima, o almeno a qualche amico nel quale hai fiducia, ma che sia devoto, fallo senza esitazione: presto ritroverai la calma perché la comunicazione delle sofferenze del cuore fa all’anima lo stesso effetto che il salasso al corpo di chi ha una febbre insistente: è il rimedio dei rimedi.
S. Luigi di Francia diceva al figlio: “ Se hai nel cuore un malessere, dillo subito al tuo confessore o ad una brava persona, e così il tuo male diverrà leggero per il conforto che ne hai avuto “.


Capitolo XII
LA TRISTEZZA

Dice S. Paolo che la tristezza secondo Dio opera la penitenza per la salvezza; la tristezza del mondo, invece, opera la morte. La tristezza può essere quindi buona o cattiva: dipende dagli effetti che produce in noi.
È certo che ne fa più di cattivi che di buoni, perché di fatto i buoni effetti sono soltanto due: la misericordia e la penitenza; quelli cattivi invece sono sei: l’angoscia, la pigrizia, lo sdegno, la gelosia, l’invidia, l’impazienza. Il che ha fatto dire al Saggio: La tristezza ne uccide molti e non giova a nulla; infatti contro due soli rigagnoli buoni che zampillano dalla sorgente della tristezza, ce ne sono sei di cattivi!
Il nemico si serve della tristezza per portare le sue tentazioni contro i buoni; da un lato cerca di rendere allegri i peccatori nei loro peccati, e dall’altro cerca di rendere tristi i buoni nelle loro opere buone; e come non gli riuscirebbe di attrarre al male se non presentandolo in modo piacevole, così non potrebbe distogliere dal bene se non facendolo trovare sgradevole.
Il maligno gode nella tristezza e nella malinconia, perché lui è, e lo sarà per l’eternità, triste e malinconico; per cui vorrebbe che tutti fossero così!
La cattiva tristezza turba l’anima, la mette in agitazione, le dà paure immotivate, genera disgusto per l’orazione, assopisce e opprime il cervello, priva l’anima di consiglio, di proposito, di senno, di coraggio e fiacca le forze. In conclusione, è come un duro inverno che cancella tutta la bellezza della terra e manda in letargo gli animali; infatti la tristezza toglie ogni bellezza all’anima e la rende quasi paralizzata e impotente in tutte le sue facoltà.
Filotea, se mai dovesse capitarti di essere afflitta da questa cattiva tristezza, metti in atto i seguenti rimedi. Dice S. Giacomo: Se qualcuno è triste, preghi: la preghiera è il rimedio più efficace perché innalza lo spirito a Dio, nostra unica gioia e consolazione; nella preghiera poi, serviti di affetti e parole interiori ed esteriori, che portano alla fiducia e all’amore di Dio, come: 0 Dio di misericordia, mio buon Signore, Salvatore mio misericordioso, Dio del mio cuore, mia gioia, mia speranza, mio caro Sposo, Amore dell’anima mia, e simili.
Combatti con forza la tendenza alla tristezza; e anche se hai l’impressione che tutto quello che stai facendo in quel frangente rimanga distante e freddo, triste e fiacco, non rinunciare a farlo; il nemico che vuole per mezzo della tristezza far morire le nostre buone opere, vedendo che non sospendiamo di farle, e che compiute con sforzo valgono di più, cesserà di tormentarci.
Canta dei canti spirituali; spesso il maligno abbandona il campo di fronte a quest’arma. Un esempio ci viene dallo spirito maligno che assediava e possedeva Saul, la cui violenza era dominata soltanto dalla salmodia.
È cosa buona occuparsi in atti esteriori e variarli più che possiamo, per distrarre l’anima dall’oggetto della tristezza, purificare e riscaldare gli spiriti; questo perché la tristezza è una passione fredda e arida.
Compi atti esteriori di fervore, anche se non ci trovi alcuna attrattiva: abbraccia il Crocifisso stringendolo al cuore, baciagli i piedi e le mani, alza gli occhi e le mani al cielo, indirizza la tua Voce a Dio con parole di amore e di fiducia simili a queste: Il mio Amore è mio e io sono sua. Il mio Amore è come un mazzetto di mirra che riposa sul mio seno. I miei occhi si posano su di te, o mio Dio, e dicono: Quando mi consolerai? 0 Gesù, sii Gesù per me; Viva Gesù, e anche la mia anima vivrà. Chi mi separerà dall’amore del mio Dio? E simili.
La disciplina moderata è buona contro la tristezza, perché questa mortificazione esteriore volontaria, chiama la consolazione interiore e l’anima, provando dolori dal di fuori, si distrae da quelli che l’affliggono di dentro. La frequenza alla Santa Comunione è ottimo rimedio; perché questo pane celeste dà forza al cuore e gioia allo spirito.
Manifesta tutti i tuoi sentimenti, gli affetti, i pensieri alla tua guida e confessore, con umiltà e sincerità; cerca la conversazione di persone spirituali e frequentale più che puoi in tali circostanze.
In conclusione, rimettiti tra le mani di Dio, e preparati a sopportare con pazienza questa fastidiosa tristezza, come giusta punizione per le tue stupide gioie; e sii certa che Dio, dopo averti messa alla prova, ti libererà da questo male.


Capitolo XIII
LE CONSOLAZIONI SPIRITUALI E SENSIBILI
E COME BISOGNA COMPORTARSI CON ESSE

Dio porta avanti la vita di questo meraviglioso mondo in un continuo avvicendamento: al giorno segue la notte, all’autunno, l’inverno, all’inverno la primavera; un giorno non è mai la monotona ripetizione di un altro; ce ne sono di nuvolosi, di piovosi, di secchi, di agitati dal vento; tutta questa varietà conferisce all’universo una grande bellezza.
La stessa cosa avviene per l’uomo, che, secondo gli antichi, è un piccolo mondo; perché non si trova mai nella stessa condizione, e la sua vita scorre su questa terra come le acque che scrosciano e ondeggiano in un continuo turbinio di movimenti; e ora lo alzano verso la speranza, ora lo prostrano nella paura, ora lo spingono verso la destra della consolazione, ora verso la sinistra dell’afflizione, e non si dà mai un giorno solo, anzi nemmeno un’ora sola, che sia identica all’altra.
Voglio darti un consiglio fondamentale: dobbiamo sforzarci di conservare una continua ed inattaccabile uguaglianza di cuore in una simile varietà di situazioni; e benché intorno a noi tutto muti in continuazione, dobbiamo rimanere saldamente fermi per guardare, tendere e protendere sempre al nostro Dio.
Qualunque rotta prenda la nave, sia che faccia vela verso ponente o verso levante, verso mezzogiorno o verso settentrione, qualunque sia il vento che la spinge, l’ago della bussola sarà sempre rivolto alla bella stella e al polo.
Anche se tutto dovesse capovolgersi, non soltanto intorno a noi, ma anche dentro di noi, nonostante tutto, per sempre e costantemente, la punta del nostro cuore, il nostro spirito, la nostra volontà superiore, che è la nostra bussola, deve guardare senza sosta e tendere stabilmente verso l’amore di Dio suo Creatore, suo Salvatore, suo unico e supremo bene. E questo indipendentemente dal fatto che la nostra anima sia nella tristezza o nella gioia, nella dolcezza o nell’amarezza, in pace o nel turbamento, nella luce o nelle tenebre, nella tentazione o nella serenità, nel piacere o nel disgusto, nella aridità o nella tenerezza, sia infine che il sole la bruci o che la rugiada la rinfreschi!
Sia che tu viva o tu muoia, dice l’apostolo, sei in Dio. Chi ci separerà dalla carità e dall’amore di Dio? Niente mai potrà separarci da quest’amore: né la tribolazione, né l’angoscia, né la morte, né la vita, né il dolore presente, né il timore degli eventi futuri, né le arti dello spirito maligno, né la grandezza delle consolazioni, né la tenerezza, né l’aridità: nulla dovrà mai separarci da questa santa carità fondata su Gesù Cristo.
Questo proposito così saldo di non abbandonare Dio e il suo tenero amore, è il contrappeso necessario perché le nostre anime si conservino nella santa uguaglianza in mezzo all’intreccio delle varie spinte che la natura di questa vita porta con sé.
Allo stesso modo che le api sorprese dal vento in aperta campagna, afferrano dei sassetti per potersi bilanciare nel volo e non essere facilmente travolte dalla tempesta, la nostra anima, che ha con forza e decisione abbracciato il prezioso amore di Dio, rimane salda in mezzo alla varietà e alternarsi di consolazioni e afflizioni, tanto spirituali che temporali, esteriori e interiori.
Ma oltre a questi insegnamenti di carattere generale, abbiamo bisogno di qualche indicazione specifica.
1. Ripeto che la devozione non consiste nella dolcezza, soavità, consolazione e tenerezza sensibile del cuore, che ci porta alle lacrime e ai sospiri e ci dà una certa gradevole e sensibile emozione in qualche esercizio di pietà. No, cara Filotea, queste emozioni e la devozione non sono nemmeno parenti! Ci sono molte anime che godono di queste tenerezze e consolazioni e che, non per questo, cessano di essere viziose, e di conseguenza non hanno un vero amore di Dio e, ancor meno, una vera devozione. Saul, mentre perseguitava a morte il povero Davide, fuggiasco davanti a lui nel deserto di Engaddi, un giorno penetrò tutto solo in una caverna in cui era nascosto Davide con i suoi; Davide in quell’occasione avrebbe potuto ucciderlo molto facilmente, ma gli risparmiò la vita; non solo, ma non volle nemmeno spaventarlo. Lo lasciò uscire e poi lo chiamò per dimostrargli in tal modo la propria innocenza e fargli sapere che lo aveva avuto alla sua mercè. E cosa non fece mai allora Saul per dimostrare che il suo cuore era commosso di fronte a Davide? Lo chiamò figlio mio, si mise a piangere ad alta voce, a lodarlo, ad esaltarne la bontà, a pregare Dio per lui, a predirne la futura grandezza, a raccomandargli i posteri. Come avrebbe potuto manifestare una maggiore dolcezza e tenerezza di cuore? Ciononostante nulla era cambiato nella sua anima, e continuò la persecuzione contro Davide, inesorabile come prima.
Ci sono persone che assomigliano a Saul, che riflettendo sulla bontà di Dio e sulla Passione del Salvatore, provano momenti di forte commozione e sospirano, versano lacrime, pregano e rendono grazie con modi molto sensibili. Si direbbe che sono presi da una fortissima devozione. Ma quando si giunge alla prova, ci si accorge che assomigliano ai temporali passeggeri di una estate molto calda, allorché cadono sulla terra grossi goccioloni senza penetrare in profondità e sono utili soltanto a far crescere funghi; infatti tutte quelle lacrime e tutte quelle tenerezze cadono su un cuore vizioso e non lo penetrano, per cui non gli sono di alcun giovamento. Nonostante tutte le apparenze, quella brava gente non si priverà di una sola lira di quanto possiede dopo averlo accumulato poco onestamente; non rinuncerà a uno solo degli affetti perversi, a un briciolo dei propri agi per il servizio del Salvatore sul quale ha pianto. I buoni movimenti che ha provato, sono soltanto funghi spirituali che, non solo non sono vera devozione, ma spesso sono soltanto astuzie del maligno, il quale distrae le anime con queste piccole consolazioni; e così le rende contente e soddisfatte di modo che non cercano la vera e solida devozione, che consiste in una volontà costante, decisa, pronta e operante di attuare ciò che sappiamo essere gradito a Dio.
Un bambino piangerà teneramente se vede assestare un colpo di bisturi alla mamma per un salasso; ma, se nello stesso tempo, sua madre, per la quale sta piangendo, gli dovesse chiedere la mela o il cartoccio di confetti che ha in mano, vedresti che non vuole cederle nulla. Molte delle nostre devozioni sono simili: quando pensiamo al colpo di lancia che trafisse il cuore di Gesù Cristo Crocifisso, piangiamo teneramente. Filotea, è cosa ben fatta piangere sulla morte e sulla passione dolorosa del nostro Padre e Redentore; ma perché non vogliano dargli il nostro cuore, la mela che @abbiamo in mano e che egli ci chiede con tanta insistenza, l’unico frutto d’amore che il Salvatore ci chiede? Perché non vogliamo lasciargli i nostri piccoli affetti, i nostri piccoli piaceri e le soddisfazioni? Egli vuole strapparcele dalle mani e non ci riesce, perché sono i nostri confetti e noi ne siamo molto più golosi che della sua grazia celeste.
Questi sono sentimenti da bambini, teneri ma deboli, fantasiosi, ma senza seguito.
La devozione non consiste in queste tenerezze e in questi affetti sensibili, che a volte provengono dalla natura talmente debole e impressionabile da assorbire tutte le impressioni che le si vogliono dare. Altre volte vengono dal maligno che per impacciarci nel cammino provoca la nostra immaginazione alla tensione che ci porta a quei risultati inutili.
2. Queste emozioni e dolcezze affettuose, qualche volta possono anche risultare utili perché provocano nell’anima il desiderio della devozione, danno conforto allo spirito, aggiungono alla presenza della devozione una santa gioia e una serena allegria che rende le nostre azioni spigliate e piacevoli anche esteriormente.
Questo gusto per le cose divine faceva esclamare a Davide: 0 Signore, quanto dolci sono le tue parole al mio palato, sono più dolci del miele alla mia bocca. La più piccola consolazione che ci viene dalla devozione, in ogni modo, vale più di tutte le gioie del mondo.
Il seno e il latte, ossia i favori dello sposo divino, per l’anima, sono migliori del vino più pregiato, ossia dei piaceri della terra: chi li ha assaporati considera tutte le altre consolazioni fiele e assenzio.
Chi mastica erba scitica (=monocotiledone) ne riceve una tale dolcezza che non prova più né fame né sete; allo stesso modo coloro ai quali Dio ha concesso la manna celeste delle soavità e delle consolazioni interiori, non possono più desiderare né ricevere le consolazioni del mondo; o almeno non possono trovarvi piacere o impegnarvi i loro affetti.
Sono piccoli assaggi delle dolcezze immortali che Dio concede alle anime che lo cercano; sono zuccherini che egli porge ai suoi figli più piccoli per invogliarli; sono bevande toniche che offre loro per sostenerli, e qualche volta sono anticipi delle eterne ricompense.
Si dice che Alessandro Magno, veleggiando in alto mare, scoprì per la prima volta l’Arabia felice guidato dai profumi che il vento gli aveva portato; questo diede coraggio sia a lui che ai suoi compagni. Allo stesso modo anche noi, nel mare di questa vita terrena, riceviamo dolcezze e soavità che ci fanno pregustare le delizie di quella Patria celeste alla quale tendiamo ed aspiriamo. ed aspiriamo.
3. Ma, mi dirai, dato che ci sono consolazioni sensibili buone che vengono da Dio, e ce ne sono anche di inutili, pericolose e persino dannose, che provengono dalla natura o anche dal nemico, come potrò distinguere le une dalle altre e riconoscere le cattive e le inutili in mezzo alle buone? È dottrina comune, cara Filotea, circa gli affetti e le passioni della nostra anima, che le possiamo riconoscere dai loro frutti. 1 nostri cuori sono alberi, gli affetti e le passioni i rami, le opere e le azioni i frutti. È buono il cuore che ha buoni affetti e sono buoni gli affetti e le passioni che producono in noi buoni frutti e sante azioni.
Se le dolcezze, le tenerezze e le consolazioni ci rendono più umili, pazienti, trattabili, caritatevoli e comprensivi nei confronti del prossimo, più pronti a mortificare le nostre concupiscenza e le cattive inclinazioni, più costanti nei nostri esercizi, più docili e disponibili nei confronti di coloro ai quali dobbiamo obbedire, più semplici nella nostra vita, in tal caso possiamo essere certi, Filotea, che vengono da Dio; ma se le dolcezze sono tali solo per noi, ci rendono strani, aspri, puntigliosi, impazienti, cocciuti, orgogliosi, presuntuosi, duri nei confronti del prossimo e, già pensando di essere dei santarelli, rifiutiamo di sottometterci alla direzione e alla correzione, si tratta, fuor di dubbio, di consolazioni false e dannose: un buon albero produce esclusivamente buoni frutti.
4. Allorché riceviamo dolcezze e consolazioni,
a) dobbiamo umiliarci profondamente davanti a Dio; stiamo bene attenti a non dire, provando quelle dolcezze: come sono santa! Filotea, quelli sono doni che non ci rendono migliori, perché, come ho già detto, la devozione non consiste in questo. Diciamo invece: Com’è buono il Signore con quelli che sperano in lui, con l’anima che lo cerca! Chi ha dello zucchero in bocca non può dire che sia la sua bocca ad essere dolce, ma deve dire che è lo zucchero che è dolce; la dolcezza spirituale che ci viene data è senz’altro ottima e ottimo anche Dio che ce la dà, ma non se ne conclude che sia buono anche chi la riceve!
b) Riconosciamo di essere ancora bambini bisognosi di latte e che, se ci vengono date queste zollette di zucchero, è perché abbiamo ancora lo spirito tenero e delicato, che ha bisogno di allettamenti e di lusinghe per essere attirato all’amore di Dio.
c) Tenendo presente tutto ciò, in linea di massima, prendiamo l’abitudine di ricevere con umiltà quelle grazie e quei favori, stimandoli molto grandi, non tanto perché lo sono in se stessi, ma ancor più perché vengono dalla mano di Dio, che li pone nel nostro cuore. Proprio come una madre che, per dimostrare affetto al figlio, gli mette in bocca con la propria mano, una dopo l’altra, le zollette di zucchero e le caramelle; se il bambino è sensibile apprezza molto di più la dolcezza, la grazia e la carezza della mamma, che lo zucchero delle caramelle. Vedi, Filotea, possedere delle dolcezze è molto, ma la dolcezza più grande è sapere che è Dio con la sua mano amorevole e materna a depositarcele in bocca, nel cuore, nell’anima, nello spirito.
d) Dopo averle ricevute con molta umiltà, serviamocene attentamente secondo l’intenzione di Colui che ce le ha date. Perché Dio ci ha dato queste dolcezze? Per renderci amabili con tutti e pieni di amore verso di Lui. La mamma dà una caramella al bambino per averne un bacio! E allora baciamo questo Salvatore che ci fa dono di tante dolcezze. Baciare il Salvatore, lo sai bene, vuol dire obbedirgli, osservare i suoi comandamenti, fare la sua volontà, seguire i suoi desideri; in breve: abbracciamolo teneramente con obbedienza e fedeltà.
Quando riceviamo consolazioni spirituali, dobbiamo essere ancora più attenti ad agire bene e ad umiliarci. e) Ogni tanto, poi, bisogna saper rinunciare a queste dolcezze, tenerezze e consolazioni; bisogna staccarne il cuore e protestare che, pur accettandole con umiltà ed amandole, perché è Dio che ce ne fa dono per attirarci al suo amore, tuttavia non sono quelle che noi cerchiamo, ma soltanto Dio e il suo santo amore. Non cerchiamo le consolazioni, ma il Consolatore; non le dolcezze, ma il nostro dolce Salvatore; non le che è la Soavità del cielo e della sentimento dobbiamo Prepararci a santo amore di Dio, anche se in non dovessimo mai incontrare alcuna consolazione. Noi vogliamo dire sul Calvario quello che diciamo sul Tabor: Signore, è bello stare qui con te, sia che io ti veda sulla Croce, come nella tua Gloria.
f) Infine, se ti dovesse capitare di trovarti in molte consolazioni, tenerezze, lacrime e dolcezze, o qualche altro favore divino da esse dipendente, ti consiglio di riferirne fedelmente alla tua guida spirituale, per sapere come devi comportarti e regolarti, perché sta scritto: Hai trovato il miele? Mangiane soltanto per star bene!


Capitolo XIV
LE ARIDITA E LE STERILITÀ DELLO SPIRITO

Quando ti troverai nelle consolazioni, cara Filotea, farai dunque come ti ho detto; ma il bel tempo, così gradevole, non durerà in eterno; anzi qualche volta ti capiterà di sentirti così vuota e lontana dal sentimento della devozione, che avrai la sensazione che la tua anima sia una terra deserta, senza frutti, arida, senza sentieri e senza piste per camminare verso Dio; senza nemmeno un filo d’acqua della sua grazia per irrigarla. L’aridità è tale che tutto fa temere che l’anima sarà presto ridotta simile a un terreno totalmente incolto e abbandonato. L’anima che si trova in questo stato, sinceramente merita compassione, soprattutto quando la sensazione di aridità è molto profonda; in tal caso l’anima si ciba giorno e notte di lacrime, proprio come Davide, mentre il nemico, per farla disperare, la deride con mille angustie e le chiede: Poveretta! e dov’è il tuo Dio? In quale via lo troverai? Chi potrà darti la gioia della sua santa grazia?
Che farai in simili occasioni, Filotea? Guarda da dove viene il male: spesso siamo noi stessi causa delle nostre aridità e sterilità.
l. Come la madre rifiuta lo zucchero al figlio soggetto ai vermi, così Dio ci priva delle consolazioni quando noi ne ricaviamo vuote emozioni e andiamo soggetti ai vermi della presunzione. Dio mio, hai fatto bene ad umiliarmi! Sì, perché prima che tu mi umiliassi io ti avevo offeso.
2. Quando trascuriamo di raccogliere le dolcezze e le delizie dell’amore di Dio nel tempo opportuno, il Signore le allontana da noi per punire la nostra pigrizia. L’israelita che non raccoglieva la manna di buon mattino, una volta sorto il sole, non gli era più possibile, perché si scioglieva.
3. A volte ci adagiamo in un letto di soddisfazioni sensuali e di consolazioni caduche, come la Sposa del Cantico dei Cantici. Lo Sposo delle nostre anime bussa alla porta del nostro cuore, ci invita a ricominciare di nuovo i nostri esercizi spirituali, ma noi vogliamo mercanteggiare, perché ci dispiace lasciare quelle gioie, e separarci dalle false soddisfazioni; allora egli passa oltre e ci lascia nella nostra pigrizia. In seguito poi, quando lo cercheremo, faticheremo molto a trovarlo. Ce lo meritiamo, perché siamo stati sleali e infedeli al suo amore e abbiamo rifiutato di viverne l’esperienza per seguire l’amore delle cose del mondo.
Se hai la farina d’Egitto, non puoi avere la manna del cielo! Le api odiano tutti i profumi artificiali; le soavità dello Spirito Santo non possono convivere con le delizie artificiali del mondo.
4. La doppiezza e la finzione nella confessione e nei colloqui spirituali con la propria guida, provoca l’aridità e la sterilità: dopo che hai mentito allo Spirito Santo, perché ti meravigli se ti priva della sua consolazione? Tu non vuoi essere semplice e spontanea come un bambino, e allora non avrai le caramelle destinate al bambino!
5. Ti sei ben ubriacata delle gioie mondane, perché ti meravigli allora se le delizie spirituali ti vengono a nausea? Dice un antico proverbio che le colombe ubriache trovano amare le ciliege. Ha colmato di beni gli affamati, dice la Madonna, e i ricchi li ha lasciati a mani vuote. i ricchi di piaceri mondani non possono ricevere quelli spirituali.
6. Hai conservato bene i frutti delle consolazioni ricevute. In tal caso ne riceverai delle altre, perché a colui che ha sarà dato ancora di più ma a quello che ha perso tutto per propria colpa sarà ‘tolto anche quello che non ha; ossia sarà privato anche delle grazie che gli erano destinate. Osserva come la pioggia dia vita alle piante che hanno ancora del verde; ma a quelle che non ne hanno Più, toglie anche la vita che non hanno, perché le fa marcire del tutto.
Per molte di queste cause noi perdiamo le consolazioni devote e cadiamo nell’aridità e sterilità di spirito; esaminiamo la nostra coscienza per vedere se vi scopriamo manchevolezza in questo campo. Nota però, Filotea, che non devi fare questo esame con agitazione e troppo puntiglio; ma dopo aver obiettivamente preso in esame le eventuali colpe a questo proposito, se scopri che la causa dei male è dentro di te, ringrazia Dio, perché il male quando se ne scopre la causa, per metà è già guarito. Se, al contrario, non trovi nulla che, secondo te, possa essere la causa di questa aridità, non impegnarti in un esame più accurato, ma, con tutta semplicità, senza scendere a dettagli, fa quello che ora ti dirò:
1. Umiliati profondamente davanti a Dio, riconoscendo il tuo nulla e la tua miseria: Che cosa ne è di me quando sono affidata a me stessa? Signore, sono soltanto terra arida, con enormi crepe da tutte le parti, con una grande sete di pioggia dal cielo, che il vento dissipa e riduce in polvere.
2. Invoca Dio e domandagli la sua gioia: Rendimi, Signore, la gioia della tua salvezza. Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice. Partiti da qui, vento secco, che inaridisci la mia anima; e tu, brezza gentile di consolazione, vieni e soffia nel mio giardino; i tuoi buoni affetti spanderanno soavi profumi.
3. Va dal tuo confessore, aprigli bene il cuore, svelagli tutti i nascondigli della tua anima, accetta i consigli che ti darà, con grande semplicità e umiltà. Dio ama infinitamente l’obbedienza, per cui aggiunge spesso efficacia ai consigli che si ricevono da altri, soprattutto quando si tratta delle guide delle anime, anche se non c’è nessuna esteriorità apparente; pensa a Naaman: il Signore rese per lui prodigiose le acque del Giordano, nelle quali Eliseo, senza alcuna ragione apparente, gli aveva ordinato di bagnarsi.
4. Ma, dopo tutto, niente è così utile e così fruttuoso, in tali aridità e sterilità, come il non affezionarsi e attaccarsi al desiderio di essere liberati. Non dico che non bisogna, con molta semplicità, aspirare alla liberazione; ma dico che non ci si deve affezionare, anzi bisogna rimettersi con semplicità nelle mani della Provvidenza di Dio, affinché si serva di noi tra le spine e nel deserto, fin che gli piacerà. Diciamo a Dio in tale frangente: Padre, se è possibile, allontana da me questo calice; ma aggiungiamo con grande coraggio: tuttavia sia fatta la tua volontà e non la mia, e fermiamoci lì, con tutta la calma possibile. Dio vedendoci in quella santa indifferenza ci consolerà con molte grazie e favori, come quando vide Abramo deciso a privarsi del suo figlio Isacco. Gli bastò vederlo indifferente nell’accettare, e lo consolò con una visione molto gradita e con dolcissime benedizioni. In ogni genere di afflizioni, sia corporali che spirituali, e nella diminuzione, o addirittura sparizione della devozione sensibile, che ci può capitare, dobbiamo dire con tutto il cuore e con profonda sottomissione: Il Signore mi ha dato delle consolazioni, il Signore me le ha tolte; sia benedetto il suo santo Nome!
Se perseveriamo nell’umiltà, ci colmerà dei suoi deliziosi favori, come fece con Giobbe, che, in tutte le tribolazioni si espresse con queste parole.
5. Infine, Filotea, tra tutte le nostre aridità e sterilità, non perdiamo il coraggio, ma aspettiamo con pazienza, il ritorno delle consolazioni. Continuiamo il nostro abituale modo di vivere; non tralasciamo per questo motivo nessun esercizio di devozione, anzi, se ci è possibile, moltiplichiamo le buone azioni; e se non possiamo presentare allo sposo la marmellata, gli daremo la frutta secca; per lui fa lo stesso, a condizione che il cuore che gliela offre, sia decisamente risoluto ad amarlo.
Quando la primavera è bella, le api fanno più miele e si occupano meno delle ninfe, perché con il bel tempo si divertono molto a fare la raccolta sui fiori, tanto che dimenticano di occuparsi delle ninfe; ma quando la primavera è fredda e nuvolosa, si occupano di più delle ninfe e fanno meno miele, perché non potendo uscire per fare la raccolta del polline, occupano il tempo ad accrescere e moltiplicare la loro stirpe.
Capita spesso, Filotea, che l’anima, trovandosi in una bella primavera di consolazioni spirituali, si distragga talmente nel desiderio di accumularle e assaporarle, che, per l’abbondanza delle piacevoli delizie, si occupa molto meno delle opere buone. Al contrario quando si trova nell’asprezza e nell’aridità spirituale, a misura che si vede privata dei sentimenti piacevoli della devozione, moltiplica le opere concrete e interiormente genera più copiose le vere virtù, quali la pazienza, l’umiltà, l’abiezione di sé, la rassegnazione, l’abnegazione dell’amor proprio.
Molti, specialmente le donne, cadono nel grave errore di credere che il servizio che noi rendiamo a Dio
senza piacere, senza tenerezza di cuore e senza sentimento, sia meno gradito alla Maestà divina; al contrario, le nostre azioni sono come le rose che, quando sono fresche, sono più belle, quando invece sono secche emanano un profumo più acuto: lo stesso avviene per le nostre opere; quelle fatte con tenerezza di cuore piacciono più a noi, dico a noi, perché noi guardiamo soltanto il nostro piacere; quelle invece compiute con aridità e sterilità, sono più profumate e hanno più valore davanti a Dio. Sì, cara Filotea, in tempo di aridità, la volontà ci trascina al servizio di Dio quasi per forza, e per conseguenza, deve essere più vigorosa e costante che in tempo di tenerezze.
Non vale gran che servire un principe in tempo di pace, negli agi della corte; ma servirlo nella durezza della guerra, in mezzo ai torbidi e alle persecuzioni, è un vero segno di costanza e di fedeltà.
La Beata Angela da Foligno dice che “l’orazione più gradita a Dio è quella che si fa per forza e costrizione”, ossia quella che facciamo, non per il piacere che vi troviamo, o perché vi siamo portati, ma soltanto per piacere a Dio; ed è la nostra volontà che ci trascina quasi a forza, facendo violenza alle aridità e alle ripugnanze che vi si oppongono,
Dico la stessa cosa per ogni sorta di buone opere, perché più noi proviamo contrarietà a compierle, sia quelle interiori che quelle esteriori, più godono del favore e della stima di Dio. Nelle virtù, minore è l’interesse da parte nostra e più vi splende in tutta la sua purezza l’amore di Dio. Facilmente il bambino bacia la mamma che gli regala lo zuccherino, ma se la bacia dopo che gli ha dato assenzio o fiele, allora sì che è segno che le vuole veramente molto bene!


Capitolo XV
UN ESEMPIO NOTEVOLE, A CONFERMA E CHIARIMENTO
DI QUANTO È STATO DETTO

Per dare maggior credito a quanto ho detto, voglio presentarti un brano molto eloquente della storia di S. Bernardo; te lo trascrivo prendendolo da un dotto e giudizioso scrittore. Ecco cosa dice:
è cosa ordinaria per quasi tutti quelli che si pongono al servizio di Dio e non sono ancora esperti nell’affrontare le privazioni della grazia e le alternanze della vita spirituale, quando viene loro a mancare il gusto della devozione sensibile, e quella gradita luce che invita a sollecitare il cammino verso Dio, perdere d’un colpo il respiro, e cadere nella paura e nella tristezza del cuore.
La gente saggia dà questa spiegazione: la natura ragionevole non può rimanere a lungo affamata e senza qualche soddisfazione, sia essa celeste o terrestre. Le anime innalzate al di sopra di se stesse in virtù di piaceri superiori, dimenticano facilmente tutte le cose sensibili; la s ‘ tessa cosa avviene quando per disposizione divina viene loro tolta la gioia spirituale: trovandosi senza consolazioni sensibili, e non essendo ancora abituate a saper attendere con pazienza il ritorno del vero sole, provano l’impressione di non essere più in cielo né sulla terra ma sepolte in una notte senza fine: di modo che, come lattanti che vengono svezzati, piagnucolano e si lamentano perché non hanno più le mammelle da succhiare e diventano noiosi e insopportabili, soprattutto a se stessi.
Ecco cosa capitò, lungo il cammino di cui stiamo parlando, a uno dei monaci di nome Goffredo di Peronne, da poco entrato al servizio di Dio. Trovandosi improvvisamente arido, privo di consolazioni e preso dalle tenebre interiori, gli ritornarono alla mente gli amici del mondo, i parenti, le ricchezze lasciate da poco, e fu assalito da una forte tentazione che non riuscì a nascondere; uno di quelli, con cui era maggiormente in confidenza, se ne accorse e, avendolo avvicinato con molta discrezione e parole gentili, gli chiese a tu per tu: “ Che cosa ti succede, Goffredo? Come mai, contrariamente al tuo solito, sei così pensoso e afflitto? “ Rispose Goffredo accompagnando le parole con un profondo sospiro: “ Fratello caro, nella mia vita non sarò mai felice”. L’altro, mosso a pietà da tali parole, spinto da zelo fraterno, corse subito a raccontare tutto al padre comune S. Bernardo, che, sentendo il pericolo, entrò in chiesa e pregò Dio per lui. Nel frattempo Goffredo, oppresso da tristezza, poggiata la testa su una pietra, si addormentò.
Dopo un po’ entrambi si alzarono: l’uno dall’orazione con la grazia impettata, l’altro dal sonno, così contento e sereno, che l’amico si meravigliò molto di un cambiamento così radicale e improvviso, e non poté trattenersi dal muovergli amichevolmente un rimprovero per quello che gli aveva risposto prima. Goffredo allora disse: “ Se prima ti ho detto che mai sarei stato felice, ora ti garantisco che non sarò mai triste! “ Questa è stata la conclusione della tentazione di quel devoto monaco, Filotea; ma voglio farti notare alcune cose in questo racconto:
l. Ordinariamente a chi entra al suo servizio, Dio dà un saggio delle gioie celesti, per far uscire dai piaceri terreni e incoraggiare a cercare l’amore divino, come una mamma che per invogliare e attirare il bambino a succhiare la mammella ci mette sopra un po’ di miele.
2. È sempre lo stesso buon Dio che qualche volta, secondo i suoi saggi disegni, ci toglie il latte e il miele delle consolazioni, per farci divezzare, e insegnarci a mangiare il pane secco e più solido di una devozione forte, esercitata alle prove del disgusto e delle tentazioni.
3. Qualche volta, mentre siamo afflitti da aridità e sterilità, scoppiano terribili burrasche; in tal caso dobbiamo combattere con costanza le tentazioni, perché quelle non vengono da Dio, ma dobbiamo sopportare pazientemente le aridità, perché quelle Dio le ha permesse per esercitarci.
4. Non dobbiamo mai perderci di coraggio quando siamo afflitti da guai interiori, e non dire come il buon Goffredo: Non sarò mai felice, perché nella notte dobbiamo aspettare la luce; viceversa anche nel mezzo del più bel tempo spirituale che possa capitarci, non bisogna dire: Io non avrò più guai! Dice infatti il Saggio che nei giorni felici bisogna ricordarsi della sventura. Bisogna sperare nelle difficoltà e temere nella prosperità, e sia nell’un caso che nell’altro, umiliarsi.
5. Confidare il proprio male a qualche amico spirituale che possa aiutarci è un ottimo rimedio.
Infine, a conclusione di questa raccomandazione così necessaria, ti faccio notare che, in questo come del resto in tutte le cose, il buon Dio e il maligno vogliono esattamente l’opposto: Dio vuole condurci con le aridità a una grande purezza di cuore, alla totale rinuncia al nostro interesse personale in tutto ciò che riguarda il suo servizio, a una perfetta spogliazione di noi stessi; il maligno cerca di servirsi delle stesse difficoltà per scoraggiarci, farci ritornare ai piaceri sensuali, e infine renderci tediosi a noi stessi e agli altri, per denigrare e screditare la santa devozione.
Ma se rifletti agli insegnamenti che ti ho dato, aumenterai di molto la tua perfezione continuando l’esercizio della devozione anche in mezzo alle afflizioni interiori, sulle quali non voglio chiudere il discorso senza dire ancora una parola.
Qualche volta, la nausea, la sterilità e l’aridità provengono da indisposizioni fisiche; il che può capitare per le veglie eccessive, per le fatiche e i digiuni; che ci ammazzano di stanchezza, ci intontiscono, ci fiaccano e ci gravano anche di altre infermità. t vero che dipendono dal corpo, ma coinvolgono anche lo spirito, per lo stretto legame che li unisce. In tali circostanze, bisogna ricordarsi di fare sempre molti atti di virtù con la punta dello spirito e la volontà superiore; anche se tutta la nostra anima sembra dormire ed essere presa dal sopore e dalla stanchezza, non è per questo che gli atti del nostro spirito saranno meno graditi a Dio; in quei momenti possiamo dire come la Sposa: Dormo, ma il mio cuore veglia; e, come ho già detto, se è indubitabile che in tali circostanze c’è meno soddisfazione, è sicuro però che c’è più merito e virtù.
In tali situazioni il rimedio è di rinvigorire il corpo con qualche opportuno trattamento e qualche distrazione; è per questo che Francesco comandava ai suoi frati di essere moderati nel lavoro, in modo da non fiaccare il fervore dello spirito.
E a proposito di questo glorioso Padre, una volta fu preso e agitato da una malinconia di spirito così profonda tanto che non poteva impedirsi di tradirlo nel comportamento. Non riusciva più a conversare con i suoi religiosi e, se se ne allontanava, era peggio. L’astinenza e la macerazione della carne lo opprimevano, l’orazione non gli dava più alcun sollievo.
Rimase in quello stato due anni, tanto che sembrava che Dio lo avesse completamente abbandonato. Alla fine, dopo aver umilmente sopportato quella rude tempesta, il Salvatore gli ridiede in un attimo tutta la sua beata serenità.
Questo per dirti che i più grandi servi di Dio sono soggetti a queste burrasche; e noi piccoli tra tutti, non dobbiamo meravigliarci se qualche cosetta capita anche a noi.

Augustinus
25-01-04, 14:29
QUINTA PARTE
Contiene esercizi e consigli per rinnovare l’anima e confermarla nella devozione


Capitolo I
OGNI ANNO BISOGNA RINNOVARE I BUONI PROPOSITI
PER MEZZO DEI SEGUENTI ESERCIZI

Il primo punto di questi esercizi è riconoscere l’importanza dei buoni propositi. La nostra natura umana facilmente si allontana dai buoni sentimenti per la fragilità e le cattive inclinazioni della carne, che appesantiscono l’anima e la trascinano continuamente in basso, se essa non reagisce proiettandosi di frequente in alto per mezzo di buoni propositi. Proprio come gli uccelli che cadrebbero presto in terra se non moltiplicassero gli slanci e i colpi d’ala per tenersi in volo.
Perciò, cara Filotea, hai bisogno di rinnovare e ripetere molto spesso i buoni propositi già formulati di servire Dio; se non farai così correrai il pericolo di ricadere nel tuo primo stato, o piuttosto diciamo, in uno stato ancora peggiore. Le cadute spirituali ci precipitano sempre più in basso di quanto non fossimo prima di iniziare il cammino della devozione.
Un orologio, per buono che sia, bisogna caricarlo e dargli la corda almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera, e inoltre, almeno una volta all’anno, bisogna smontarlo completamente, per togliere la ruggine accumulata, raddrizzare i pezzi storti e sostituire quelli troppo consunti.
La stessa cosa deve fare chi ha seriamente cura del proprio cuore; lo deve ricaricare in Dio, sera e mattina, per mezzo degli esercizi indicati sopra; deve inoltre ripetutamente riflettere sul proprio stato, raddrizzarlo e ripararlo; e, infine, deve smontarlo almeno una volta all’anno, e controllare accuratamente tutti i pezzi, ossia tutti i suoi sentimenti e le sue passioni, per riparare tutti i difetti che vi scopre.
E, allo stesso modo che l’orologiaio unge con olio speciale gli ingranaggi, le molle e tutte le parti meccaniche dell’orologio, affinché tutti i movimenti siano più dolci, e la ruggine abbia meno presa, così la persona devota, dopo aver smontato il proprio cuore per rinnovarlo, deve ungerlo con i Sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia. Questo esercizio ti farà recuperare le forze indebolite dal tempo, ti riscalderà il cuore, farà riprendere vigore ai tuoi buoni propositi e rifiorire le virtù del tuo spirito.
Gli antichi cristiani lo praticavano accuratamente nell’anniversario del Battesimo di Nostro Signore, nel quale, come dice S. Gregorio vescovo di Nazianzo, rinnovavano la professione e le promesse proprie di quel sacramento: facciamo così anche noi, cara Filotea, preparandoci molto volentieri e impegnandoci con molta serietà.
Quando hai scelto il tempo adatto, secondo il parere del tuo padre spirituale, dopo esserti ritirata in solitudine spirituale e reale, un po’ più del solito, farai una, o due, o tre meditazioni sui punti seguenti, attenendoti al metodo che ti ho indicato nella seconda parte.


Capitolo II
CONSIDERAZIONI SUL BENEFICIO CHE DIO CI HA FATTO CHIAMANDOCI
AL SUO SERVIZIO, SEGUENDO LA PROMESSA
INDICATA NELLA PARTE PRIMA AL CAPITOLO VENTI

1.Considera i punti della tua promessa.

Primo: hai lasciato, respinto, detestato, messo da parte per sempre il peccato mortale;
Secondo: hai dedicato e consacrato la tua anima, il tuo cuore, il tuo corpo, con tutto ciò che ad essi è collegato, al servizio di Dio;
Terzo: se dovesse capitarti di cadere in qualche cattiva azione, ti rialzeresti immediatamente con la grazia di Dio.
Non ti sembra che questa sia una promessa bella, giudiziosa, degna e generosa? Pensa bene, nel tuo intimo, quanto questa promessa sia santa, ragionevole e desiderabile.
2. Considera a chi hai promesso: hai promesso a Dio. Se la parola d’onore data agli uomini in cosa ragionevole ci obbliga strettamente, quanto più quella data a Dio! Signore, diceva Davide, è a te che il mio cuore ha promesso; il mio cuore ti ha lanciato questa buona parola; io non la dimenticherò mai.
3. Considera davanti a chi hai promesso: c’era tutta la corte celeste, la Santa Vergine, San Giuseppe, il tuo buon Angelo, S. Luigi e tutti ti guardavano e facevano cenni di gioia e di approvazione alle tue parole e guardavano con occhi pieni di amore il tuo cuore prostrato ai piedi del Salvatore al cui servizio si stava consacrando. Ci fu gioia speciale, per quel motivo, nella Gerusalemme celeste, e ora sarà ricordato quel momento se di cuore rinnoverai la tua promessa.
4. Considera con quali mezzi hai fatto quella promessa. Quanto fu buono e cortese Dio con te in quella circostanza! Non fosti invitata con dolci insistenza dello Spirito Santo? Le corde con le quali Dio tirò la tua barchetta a quel porto di salvezza, furono soltanto di amore e di carità, ricordi? Ti invogliava con il suo zucchero divino, con i sacramenti, la lettura, l’orazione. Cara Filotea, tu dormivi e Dio vegliava su di te e faceva su di te pensieri di pace e meditava per te meditazioni di amore.
5. Considera in quale epoca Dio ti ha portato a quella grande promessa; è stato nel fiore degli anni. Che felicità imparare presto ciò che riusciamo a sapere sempre troppo tardi! S. Agostino, attirato al servizio di Dio all’età di trent’anni, esclamava: 0 Eterna Bontà, come ho potuto conoscerti così tardi? Ti vedevo, ma non ci facevo caso!
Anche tu potrai dire: 0 eterna Dolcezza, perché non ti ho conosciuto prima? Riconosci però, che nemmeno ora tu lo meriteresti. Consapevole della grazia che Dio ti fa chiamandoti nella giovinezza, digli con Davide: Mio Dio, tu mi hai toccato e illuminato fin dalla mia giovinezza, e per sempre annuncerò la tua misericordia.
Se è avvenuto nella vecchiaia, Filotea, è una grande grazia che, dopo aver abusato della sua grazia negli anni precedenti, Dio abbia voluto chiamarti prima della morte e abbia fermato la tua corsa alla rovina, nel tempo in cui, se non fosse intervenuto, ti saresti resa eternamente infelice.
6. Considera gli effetti di questa chiamata: penso che troverai in te dei cambiamenti in meglio, se confronti quello che sei con quello che eri. Non ti sembra una cosa buona saper parlare con Dio nell’orazione, trovare felicità nella volontà di amarlo, aver calmato e pacificato molte passioni che ti tormentavano, aver evitato molti peccati che opprimevano la tua coscienza e, infine, aver fatto la Comunione tanto più spesso, unendoti così a quella perenne sorgente di grazia? Grandi sono quelle grazie! Devi pesarle sulla bilancia del cammino verso Dio.
È la mano destra di Dio che ha operato tutto ciò. La mano buona di Dio, dice Davide, ha fatto prodigi, la destra mi ha sollevato. Non morirò, ma vivrò e racconterò con il cuore, con la bocca e con le opere le meraviglie della tua bontà,
Dopo tutte queste considerazioni, che, come vedi, ti arricchiscono di santi affetti, devi concludere semplicemente con un ringraziamento e una preghiera affettuosa per ricavarne frutto, ritirandoti con umiltà e grande confidenza in Dio, riservandoti di compiere 10 sforzo di formulare i propositi dopo il secondo punto di questo esercizio.


Capitolo III
ESAME SUL PROGRESSO FATTO DALLA NOSTRA ANIMA NELLA VITA DEVOTA

Questo secondo punto dell’esercizio è un po’ lungo; non è necessario che tu lo metta in pratica tutto in una volta, ma piano piano, gradatamente, cominciando, come primo momento, da ciò che riguarda il tuo comportamento verso Dio; poi, per il secondo, ciò che riguarda te stessa; il terzo, ciò che riguarda il prossimo e il quarto riservalo ad una riflessione sulle passioni.
Non si richiede, e non è nemmeno opportuno, che tu li faccia in ginocchio, tranne l’inizio e la fine, che comprende gli affetti.
Gli altri punti dell’esame li puoi fare utilmente passeggiando, meglio ancora stando a letto, se ti capita di rimanerci per un po’, non mezzo addormentata, ma ben sveglia! Per poter fare bene l’esercizio devi prima aver letto i punti con attenzione.
Tieni presente che tutto il secondo punto richiede, in linea di massima, tre giorni e due notti, consacrandovi, beninteso, qualche ora sia del giorno che della notte; perché se tu dovessi compiere questo esercizio in tempi molto distanti tra loro, perderebbe in forza e lascerebbe tracce troppo deboli.
Dopo ogni punto dell’esame, terrai nota di ciò in cui hai scoperto di aver mancato o di essere carente; quali sono i principali squilibri di cui hai sofferto; questo per risolverti a prendere consiglio, a deciderti e dare coraggio al tuo spirito.
Anche se nei giorni in cui farai questo esercizio e negli altri, non è richiesto che ti isoli completamente dalle compagnie, tuttavia devi isolarti almeno in parte, soprattutto verso sera, per poterti coricare prima e prendere il riposo del corpo e dello spirito, indispensabile per riflettere.
Durante il giorno devi elevare frequenti aspirazioni a Dio, alla Madonna, agli Angeli e a tutta la Gerusalemme celeste; tutto deve essere fatto con cuore pieno di amore di Dio e della perfezione della propria anima.
Per cominciare bene questo esame devi dunque:
1. Metterti alla presenza di Dio.
2. Invocare lo Spirito Santo: domandagli luce e chiarezza per poterti ben conoscere, come faceva S. Agostino, che, in ispirito di umiltà, esclamava davanti a Dio: Chi sei tu e chi sono io?
Protesta che non vuoi prendere nota del tuo progresso per gioire in te stessa, ma per rallegrarti in Dio; tanto meno per averne gloria, ma per dare gloria a Dio e ringraziarlo.
3. Se, com’è probabile, scoprirai di aver fatto progressi insignificanti o addirittura di avere fatto dei regressi, prometterai che, nonostante tutto, non ti abbatterai e non ti lascerai intiepidire dallo scoraggiamento e dalla stanchezza di cuore, ma al contrario, con l’aiuto della grazia di Dio, vuoi prendere più coraggio e più animo, vuoi umiliarti e porre rimedio ai difetti.
Ciò fatto, rifletti con calma e serenità come ti sei comportata finora con Dio, con il prossimo e con te stessa.


Capitolo IV
ESAME DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI CONFRONTI DI DIO

1. Qual è l’atteggiamento del tuo cuore di fronte al peccato mortale? Sei decisamente risoluta a non commetterlo mai, qualunque cosa ti capiti? E questo proposito, lo hai mantenuto dal momento che l’hai fatto?
il fondamento della vita spirituale consiste proprio in questo fermo proposito.
2. Qual è l’atteggiamento del tuo cuore di fronte ai Comandamenti di Dio? Li trovi giusti, dolci, di tuo gradimento? Figlia mia, a chi ha il gusto sano e lo stomaco in ordine, piacciono i cibi buoni e ripugnano i guasti.
3. Qual è l’atteggiamento del tuo cuore di fronte al peccato veniale? ]@ quasi impossibile non commetterne qualcuno qua e là; ma ce n’è qualcuno al quale ti senti più particolarmente portata? Peggio ancora, ce n’è forse qualcuno cui sei affezionato?
4. Qual è l’atteggiamento del tuo cuore di fronte alle pratiche di pietà? Ti piacciono? Le stimi? Non ti indispettiscono? Non ne sei stanca? Verso quali ti senti attratta e verso quali no? Ascoltare la Parola di Dio, leggerla, parlarne, meditare, innalzarti a Dio, confessarti, ricevere consigli spirituali, regolare gli affetti. Quale di queste azioni ripugna al tuo cuore? Se trovi qualche cosa a cui il tuo cuore si piega con maggiore difficoltà, ricerca da dove viene questo disgusto, quale ne sia la causa. 5. Qual è l’atteggiamento del tuo cuore di fronte a Dio? Piace al tuo cuore ricordarsi di Dio? Ne prova una gradevole dolcezza? Dice Davide: Mi sono ricordato di Dio e ne ho provato diletto. Provi nel tuo cuore una certa facilità ad amarlo e una particolare soddisfazione nell’assaporare questo amore? Non senti rinascerti il cuore nel pensare all’immensità di Dio, alla sua bontà, alla sua dolcezza? Se ti viene il pensiero di Dio in mezzo alle occupazioni del mondo e alle vanità, si fa spazio in te, conquista il tuo cuore? Non hai l’impressione che il tuo cuore si volga dalla parte di Dio e in un certo modo gli vada incontro? Senza dubbio ci sono delle anime di questo tipo!
Se il marito di una donna torna da lontano, appena questa donna si accorge del suo ritorno e sente la sua voce, anche se presa da molte faccende e trattenuta da un affare che non ammette rinvii, pur nell’assillo delle occupazioni, senza dubbio il suo cuore non sarà trattenuto e lascerà tutti gli altri pensieri per rivolgersi soltanto al marito. La stessa cosa avviene per le anime seriamente innamorate di Dio: anche se sono occupatissime, quando si avvicina loro il pensiero di Dio, dimenticano tutto il resto, per la gioia che provano al ritorno di questo caro pensiero. Questo è un ottimo segno.
6. Qual è l’atteggiamento del tuo cuore di fronte a Gesù Cristo Dio e Uomo? Ti piace vivere vicino a Lui? Le api sono contente quando possono stare intorno al miele, come le vespe intorno al putridume! Allo stesso modo le anime buone provano la loro gioia intorno a Gesù Cristo e provano una profonda dolcezza d’amore nei suoi confronti; i cattivi invece sono contenti solo nelle vanità.
7. Qual è il comportamento del tuo cuore nei confronti della Madonna, dei Santi, del tuo buon Angelo? Li ami fortemente? Hai una speciale fiducia nella loro benevolenza? Ti piacciono le loro immagini, le loro vite, le loro lodi?
8. Per quello che riguarda la tua lingua, come parli di Dio? Ti. piace parlarne bene secondo la tua condizione e le tue capacità? Ti piace cantare cantici spirituali?
9. Quanto alle opere, rifletti se ti sta a cuore la gloria esteriore di Dio e se ti piace fare qualche cosa in suo onore; coloro che amano Dio, infatti, amano anche il decoro della sua casa.
10. Riesci a scoprire in te di avere lasciato qualche affetto e rinunciato a qualche cosa per Dio?
È un segno sicuro d’amore privarsi di qualche cosa in favore di chi amiamo. Finora che cosa hai lasciato per amore di Dio?


Capitolo V
ESAME DEL NOSTRO STATO NEI CONFRONTI DI NOI STESSI

1. In che modo vuoi bene a te stesso? Non ti ami un po’ troppo come abitante di questo mondo? Se è così, avrai il desiderio di rimanere sempre qui, e avrai molta cura di mettere radici su questa terra; ma se ti vuoi bene per il Cielo, avrai il desiderio di lasciare questo basso mondo quando piacerà a Dio, o almeno lo accetterai!
2. Conservi un buon ordine nell’amore per te stesso? Quello che ci rovina è essenzialmente l’amore disordinato per noi stessi. L’amore ordinato esige che vogliamo più bene all’anima che al corpo; che, più di ogni altra cosa, abbiamo il desiderio di acquistare la virtù, che teniamo più in considerazione l’onore di Dio che quello terreno che passa. Il cuore ordinato dice spesso in se stesso: Cosa diranno gli Angeli se penso la tal cosa? Non si chiederà: Cosa diranno gli uomini?
3. Che genere di amore hai per il tuo cuore? Non ti inquieti di doverlo servire nei suoi malanni? Tu lo devi aiutare e farlo aiutare quando lo tormentano le sue passioni, e lasciare tutto per quello.
4. Che cosa pensi di essere davanti a Dio? Niente senza dubbio! Per una mosca sentirsi nulla di fronte a una montagna non è grande umiltà; lo stesso si dica per una favilla o una scintilla di fronte al sole; l’umiltà consiste nel non sentirsi superiori agli altri e nel non pretendere di essere stimati dagli altri. A che punto sei a questo proposito?
5. Quanto alla lingua, non ti capita di vantarti o per un verso o per l’altro? Non ti elogi un po’ quando parli di te?
6. Quanto alle azioni, non prendi dei piaceri contrari alla tua salute? Voglio dire: piaceri sciocchi e inutili, troppe veglie senza scopo e simili.


Capitolo VI
ESAME DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI CONFRONTI DEL PROSSIMO

Bisogna amare il marito o la moglie con un amore dolce e sereno, fermo e costante; per prima cosa deve essere così perché è Dio che lo vuole e lo comanda.
Lo stesso vale per i genitori e i figli, per gli amici, ciascuno al suo posto.
In generale, qual è il tuo comportamento nei confronti del prossimo? Lo ami cordialmente per amore di Dio? Per saperlo con certezza, devi richiamare alla tua mente certa gente noiosa e sempre col broncio; è proprio in quel caso che sei chiamata a dar prova del tuo amore di Dio verso il prossimo. Ancor più, poi, nei confronti di chi ti fa del male, o con fatti o con parole.
Esamina bene il tuo cuore per vedere se è sincero nei loro confronti e se sei molto contrariata nel doverli amare.
Sei pronta a parlar male del prossimo, soprattutto di quelli con i quali c’è antipatia? Fai del male al prossimo, sia direttamente che indirettamente? Per poco che tu ci rifletta con serenità, te ne accorgerai facilmente.


Capitolo VII
ESAME SUGLI AFFETTI DELLA NOSTRA ANIMA

Mi sono dilungato su questi punti, il cui esame ci dà modo di conoscere il progresso spirituale compiuto; l’esame dei peccati lasciamolo alle confessioni di coloro che non si danno alcun pensiero di progredire.
Tuttavia bisogna lavorare su ciascuno di questi punti con calma, riflettendo sulle situazioni nelle quali si è trovato il nostro cuore a partire dal momento della nostra decisione. Pensiamo anche agli errori commessi di un certo peso.
Ma, per abbreviare il tutto, dobbiamo restringere l’esame alla ricerca delle nostre passioni; e se ci angustia prendere in considerazione così accuratamente i dettagli come ho detto, possiamo procedere anche in un altro modo e chiederci chi siamo stati noi e in che modo ci siamo comportati:
nel nostro amore verso Dio, verso il prossimo, verso noi stessi;
nell’odio verso il peccato che alberga in noi, verso il peccato che si trova negli altri. Dobbiamo operare per sterminarli entrambi;
nei nostri desideri circa i beni terreni, i piaceri e gli onori;
nel timore dei pericoli di peccare e dei rovesci di fortuna: si temono troppo questi e poco quelli;
nella speranza molto facilmente riposta nel mondo e nelle creature, e troppo poco in Dio e nelle cose eterne;
nella tristezza, se essa è eccessiva per cose vane; nella gioia, se è eccessiva per cose che non la meritano.
Quali sono infine gli affetti che tengono legato il nostro cuore? Quali passioni lo occupano? In che cosa particolarmente si è rovinato? Attraverso le passioni dell’anima, saggiandole una dopo l’altra, si può riconoscere il suo stato: proprio come un suonatore di violino che pizzica tutte le corde, e accorda quelle che trova stonate o tendendole o allentandole; allo stesso modo, dopo aver saggiato l’amore, l’odio, il desiderio, il timore, la speranza, la tristezza e la gioia della nostra anima, se non le troviamo accordate con l’aria che vogliamo suonare, che è la gloria di Dio, potremo accordarle con la grazia di Dio e il consiglio del nostro padre spirituale.


Capitolo VIII
AFFETTI DA COMPIERE DOPO L’ESAME

Dopo aver serenamente preso in considerazione ogni punto dell’esame, e preso coscienza del tuo stato, passerai agli affetti in questo modo.
Ringrazia Dio per il piccolo miglioramento che hai trovato in te dal momento della promessa iniziale, e riconosci che è stata soltanto la sua misericordia che l’ha operato in te e per te.
Umiliati fortemente davanti a Dio, riconosci che se il progresso è stato limitato, è solo per colpa tua: sei tu che non hai corrisposto con fedeltà, coraggio e costanza alle ispirazioni, illuminazioni e movimenti che ti ha dato nell’orazione e in altri momenti.
Promettigli di lodarlo per sempre per le grazie che ti ha concesso, per farti uscire dal dominio delle tue inclinazioni e compiere questo piccolo passo avanti.
Domandagli perdono delle infedeltà e delle slealtà con le quali hai corrisposto.
Offrigli il tuo cuore perché ne prenda possesso in modo totale.
Supplicalo che ti dia la forza di una fedeltà assoluta.
Invoca i Santi: la Santa Vergine, il tuo Angelo, il tuo Patrono, S. Giuseppe e altri cui sei devota.


Capitolo IX
CONSIDERAZIONI ADATTE A RINNOVARE 1 BUONI PROPOSITI

Dopo aver portato a termine l’esame, e aver parlato con qualche degna guida spirituale dei difetti e dei relativi rimedi, prenderai le considerazioni seguenti, facendone una al giorno in forma di meditazione. Vi consacrerai il tempo abituale dell’orazione e quanto alla preparazione e agli affetti, userai lo stesso metodo che hai impiegato nelle meditazioni della prima Parte. Quindi, prima di ogni altra cosa, ti metterai alla presenza di Dio, chiederai la sua grazia per collocarti stabilmente nel suo santo amore e nel suo servizio.


Capitolo X
PRIMA CONSIDERAZIONE: IL VALORE DELLE NOSTRE ANIME

Considera la nobiltà e il valore della tua anima, che ha un intelletto che può conoscere tutto il mondo visibile, non solo, ma anche l’esistenza degli angeli e del paradiso; conosce l’esistenza di un Dio supremo, buono e ineffabile; conosce che c’è un’eternità e conosce anche quello che serve per vivere con dignità in questo mondo, per unirsi poi agli angeli in paradiso e per godere di Dio per l’eternità.
La tua anima in più è dotata di una volontà nobilissima che è in grado di amare Dio e non può odiarlo in se stesso.
Osserva com’è generoso il tuo cuore. Niente di corrotto riesce ad attirare e a far posare le api, che si posano soltanto sui fiori; allo stesso modo il tuo cuore può trovare il suo riposo solo in Dio. Nessuna creatura può appagarlo. Pensa pure ai divertimenti preferiti e più forti che in altri tempi hanno occupato il tuo cuore, e dovrai sinceramente ammettere che erano carichi di ansia molesta, di pensieri pungenti, di preoccupazioni inopportune, in mezzo a cui il tuo povero cuore era veramente smarrito.
Quando il nostro cuore corre verso le creature, lo fa con precipitazione, pensando di poter appagare i propri desideri; ma appena le ha incontrate, si accorge di dover ricominciare perché niente lo accontenta; Dio non permette che il nostro cuore trovi un luogo dove riposare, come la colomba uscita dall’arca di Noè; in tal modo sarà costretto a tornare a Dio da cui era partito. Il nostro cuore, di natura sua, è meraviglioso! Perché allora, contro la sua volontà, vogliamo costringerlo a servire le creature? Devi dire: Anima mia, tu che sei in grado di capire e di volere Dio, perché ti vuoi perdere in cose minori? Puoi tendere all’eternità, perché allora vuoi contentarti degli attimi? Era un motivo di rimpianto del figliuol prodigo: avrebbe potuto vivere da signore alla mensa di suo padre, e non aveva da mangiare a quella delle bestie! Anima mia, tu sei fatta per Iddio, sarai infelice se ti accontenti di meno!
Innalza fortemente la tua anima con queste considerazioni, ricordale che è eterna e fatta per l’eternità; dalle coraggio a questo proposito.


Capitolo XI
SECONDA CONSIDERAZIONE: IL PREGIO DELLE VIRTÙ

Pensa che soltanto la devozione e le virtù sono in grado di dare la felicità alla tua anima su questa terra; guarda come sono belle! Metti a confronto le virtù e i vizi per convincertene: pensa, per esempio, alla soavità della Pazienza a confronto con la vendetta; la dolcezza, a confronto con l’ira e l’amarezza; l’umiltà a confronto con l’arroganza e l’ambizione; la generosità contro l’avarizia, la bontà contro l’invidia, la morigeratezza contro gli eccessi!
Le virtù esercitate hanno un pregio unico: rallegrano l’anima con una dolcezza e una soavità che non ha l’uguale; i vizi, invece, la lasciano stanca e disorientata. E allora perché non vogliamo metterci all’opera per raggiungere queste dolcezze?
Prendiamo i vizi: se uno ne ha pochi, non è felice; se ne ha molti, è infelice del tutto; per le virtù, invece, chi ne ha poche, è già in parte felice e questa felicità aumenta con le virtù.
La vita devota è bella, dolce, gradevole e soave: addolcisce le tribolazioni e rende soavi le consolazioni. Senza di lei il bene è male, i piaceri sono carichi di agitazione, di confusione, di cedimenti.
Chi conosce la devozione può dire a buon diritto con la Samaritana: Signore, dammi di quell’acqua! Questa invocazione torna spesso in Santa Teresa e in S. Caterina da Genova, anche se in circostanze diverse.


Capitolo XII
TERZA CONSIDERAZIONE: L’ESEMPIO DEI SANTI

Considera l’esempio dei Santi di ogni genere: hanno fatto di tutto per amare Dio ed essere suoi devoti. Guarda i Martiri così decisi nei loro propositi; pensa a quali tormenti hanno sofferto per rimanere fedeli! ma soprattutto quelle incantevoli e meravigliose donne, più splendide dei gigli per candore, più rosse delle rose per amore, le une a dodici, le altre a tredici, quindici, venti, venticinque anni, e che hanno sofferto innumerevoli torture, piuttosto che venir meno alla loro promessa, non solo quanto alla professione di fede, ma anche per affermare la devozione: le une hanno preferito la morte alla perdita della verginità, le altre l’hanno preferita piuttosto che lasciare il servizio dei sofferenti, o di consolare i dubbiosi, seppellire i morti. Veramente in tali circostanze, il sesso debole ci ha dato una lezione di forza e di costanza.
Pensa a tanti santi Confessori: con quanta forza hanno disprezzato il mondo, come sono stati irremovibili nei loro propositi: niente li ha distolti. Li avevano abbracciati senza riserva e li hanno mantenuti senza eccezioni! Ricordi cosa dice S. Agostino di sua madre S. Monica? Con quanta fermezza aveva portato avanti il disegno di servire Dio nel matrimonio e nella vedovanza! E ricordi cosa dice S. Girolamo della sua cara figlia Paola? E sempre in mezzo a difficoltà senza numero. ad ostacoli sempre nuovi!
Che cosa non riusciremo a fare sorretti da simili Patroni? Erano come siamo noi, lo facevano per lo stesso Dio, per mezzo delle stesse virtù: e perché non potremo fare anche noi la stessa cosa, secondo la nostra condizione e la nostra vocazione, per tener fede ai nostri propositi e alla nostra promessa?


Capitolo XIII
QUARTA CONSIDERAZIONE: L’AMORE DI GESFJ CRISTO PER NOI

Pensa all’amore con il quale Gesù Cristo Nostro Signore ha tanto sofferto in questo mondo e particolarmente nell’orto degli Olivi e sul monte Calvario: quell’amore riguardava te! Per mezzo di tutte quelle fatiche e quelle sofferenze Egli otteneva da Dio Padre buoni propositi e promesse per il tuo cuore, e con lo stesso mezzo otteneva anche ciò che ti è necessario per mantenere, nutrire, rinforzare e portare a compimento quei propositi.
E tu, proposito, come sei prezioso, poiché sei figlio di una madre così importante come la Passione del Salvatore! Quanto deve volerti bene la mia anima, poiché sei stato così caro al cuore del mio Gesù! Salvatore dell’anima mia, sei morto per acquistarmi i miei propositi, fammi la grazia di morire piuttosto che lasciarli perdere! Vedi, mia cara Filotea, è certo che il cuore del nostro caro Gesù vedeva il tuo dall’altare della Croce e l’amava; in forza di quell’amore otteneva per lui tutti i beni che avrà per sempre, tra i quali i propositi. Sì, cara Filotea, noi tutti possiamo dire come Geremia: Signore, prima che esistessi mi hai guardato e chiamato per nome; in quanto la sua divina Bontà ha preparato nel suo amore e nella sua misericordia tutti i mezzi generali e specifici della nostra salvezza, e quindi anche i nostri buoni propositi.
Questo è certo: come una donna incinta prepara la culla, la biancheria, le fasce e prevede anche una balia per il figlio che spera avere, benché ancora non sia venuto al mondo, così Nostro Signore, che porta in seno te e vuole generarti alla salvezza e farti sua figlia, sull’albero della croce prepara quanto ti è necessario: la tua culla spirituale, la tua biancheria e le fasce, la tua nutrice e quanto ti è necessario alla felicità. E sono tutti i mezzi, le inclinazioni, le grazie con cui vuole attirare la tua anima alla perfezione.
Dio mio, come dovremmo imprimere profondamente in noi tutto questo!
È mai possibile che io sia stata amata con tanta dolcezza dal Salvatore, tanto che ha pensato a me personalmente anche in tutte le piccole circostanze attraverso le quali mi ha attirato a sé? Quanto dobbiamo dunque amare, avere caro e impiegare bene tutto questo per il nostro bene! t veramente meraviglioso: il cuore pieno d’amore del mio Dio pensava a Filotea, l’amava e le procurava mille mezzi di salvezza, come se non avesse avuto alcun’altra anima al mondo cui pensare; proprio come il sole che mentre illumina un angolo della terra, lo inonda di luce come se non rischiarasse nient’altro, ma solo quell’angolo. Nostro Signore, infatti, pensava e si prendeva cura di tutti i suoi figli e pensava a ciascuno di noi come se non avesse dovuto pensare a nessun altro.
S. Paolo dice: Mi ha amato e si è donato a me; è come se dicesse: per me soltanto, come se non avesse fatto nulla per tutto il resto.
Questo, Filotea, deve essere impresso nella tua anima, per avere caro e nutrire il tuo buon proposito che è costato così caro al cuore del Salvatore!


Capitolo XIV
QUINTA CONSIDERAZIONE: L’AMORE DI DIO PER NOI

Considera l’amore eterno che Dio ti ha portato, perché già prima che Nostro Signore Gesù Cristo, in quanto uomo soffrisse in Croce per te, la sua divina Maestà, nel suo immenso amore, ti inseriva nei suoi
disegni e ti amava immensamente.
Ma quando ha cominciato ad amarti? Da quando ha cominciato ad essere Dio. E quando ha cominciato ad essere Dio? Mai, perché lo è sempre stato, senza inizio e senza fine, e così ti ha sempre amato dall’eternità; ti stava preparando le grazie e i favori che poi ti ha donato. Lo fa dire al Profeta: Ti ho amato (parla anche a te), con una carità senza fine; ti ho attirato a me perché avevo compassione di te.
Ha pensato anche a spingerti a fare il buon proposito di servirlo. Quali meravigliosi propositi sono questi se Dio stesso li ha pensati, meditati, progettati dall’eternità! Quanto devono essere cari e preziosi. Quanto dovremmo essere disposti a soffrire piuttosto che perderne un briciolo soltanto! Nemmeno se tutto il mondo dovesse perire, perché il mondo intero vale meno di un’anima e un’anima non vale nulla senza i suoi buoni propositi!


Capitolo XV
AFFETTI GENERALI SULLE PRECEDENTI CONSIDERAZIONI
E CONCLUSIONE DELL’ESERCIZIO

0 cari e buoni propositi, voi siete il bell’albero della vita che Dio ha piantato di sua mano al centro del mio cuore e il Salvatore vuole irrigare con il suo sangue per farlo fruttificare; preferisco morire mille volte che permettere che un ventaccio qualunque ti sradichi.
No, né la vanità, né le delizie, né le ricchezze e nemmeno le tribolazioni mi strapperanno dal mio proposito.
Sei tu Signore, che l’hai piantato dopo aver conservato dall’eternità questo bell’albero per il mio giardino: quante anime non sono state favorite in questo modo!
E come potrò io mai umiliarmi abbastanza vinto dalla tua misericordia? 0 belli e santi propositi, se io vi conservo, voi conserverete me; se vivete nella mia anima, la mia anima vivrà in voi. Vivete dunque, per sempre, o propositi, siete eterni nella misericordia del mio Dio; rimanete e vivete eternamente in me; che io non vi abbandoni mai!
Dopo questi affetti devi precisare i mezzi idonei a mantenere questi buoni propositi e devi promettere di volertene servire fedelmente; l’orazione frequente, i sacramenti ‘ le buone opere, l’emendamento dalle colpe scoperte nel secondo punto, l’eliminazione delle cattive occasioni, l’osservanza dei consigli che ti verranno dati in proposito.
Fatto ciò, come per riprendere fiato e forze, prometti mille volte che sarai perseverante nei tuoi propositi e, come se tu avessi il cuore, l’anima e la volontà in mano, dedica, consacra, sacrifica, immola quest’ultima a Dio, promettendo di non volerla più riprendere, ma di abbandonarla nelle mani della sua divina Maestà per seguire in tutto e ovunque i suoi Comandamenti.
Prega Dio che ti rinnovi completamente, che benedica la tua rinnovata promessa e la fortifichi; invoca la Vergine, il tuo Angelo, S. Luigi e altri Santi.
In questo clima di commozione del cuore va ai piedi del tuo padre spirituale, accusati delle principali colpe che avrai scoperto di aver commesso dopo la confessione generale’ e ricevi l’assoluzione come avevi fatto la prima volta, pronuncia davanti a lui la promessa e firmala e infine unisci il tuo cuore rinnovato al suo Principe e Salvatore, nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.


Capitolo XVI
I RICORDI DA CONSERVARE DOPO QUESTO ESERCIZIO

Il giorno in cui avrai fatto questo rinnovamento e in quelli che seguiranno, dovrai ripetere spesso con il cuore e con la bocca quelle ardenti parole di S. Paolo, di S. Agostino, di S . Caterina da Genova e altri: No, non mi appartengo più; sia che viva, sia che muoia, appartengo al mio Salvatore; non sono più io e non ho più niente di mio: il mio io è Gesù, il mio possesso è essere sua; o mondo, tu sei sempre lo stesso; anch’io sono sempre stata la stessa; ma d’ora in poi non sarò più me stessa. No, non saremo più noi stessi. perché il nostro cuore sarà cambiato e il mondo che ci ha ingannato tante volte, rimarrà ingannato in noi questa volta, perché, accorgendosi solo poco a poco del mutamento avvenuto in noi, penserà che noi siamo sempre degli Esaù, mentre siamo dei Giacobbe.
Bisogna che questi esercizi penetrino il cuore, e quando lasciamo la riflessione e la meditazione, dobbiamo tornare ai nostri affari e alle conversazioni con moderazione, per non versare subito il liquore dei nostri buoni propositi; quel liquore deve permeare e penetrare bene tutte le parti dell’anima, ma il tutto sempre senza sforzo né dello spirito, né del corpo.


Capitolo XVII
RISPOSTA A DUE OBIEZIONI CHE POSSONO ESSERE MOSSE
A QUESTA INTRODUZIONE

Cara Filotea, il mondo ti dirà che questi esercizi e questi consigli sono così numerosi che chi volesse osservarli dovrebbe tralasciare qualunque altra occupazione. Cara Filotea, se facessimo qualche altra cosa, faremmo sempre abbastanza, perché faremmo ciò che dovremmo fare in questo mondo!
Non vedi dov’è l’inganno? Se si dovessero fare questi esercizi tutti i santi giorni, a dir il vero ci occuperebbero completamente, ma si richiede di metterli in pratica in tempi e in luoghi opportuni, secondo le circostanze. Pensa quante Leggi ci sono nei Digesti e nel Codice e che devono essere osservate; ma va da sé che ciascuna va osservata secondo le circostanze e non che si debbano osservare tutte insieme e tutti i giorni.
Del resto Davide, carico di affari molto importanti, praticava esercizi di pietà in numero molto maggiore di quanti non te ne abbia indicato io. S. Luigi Re, ammirevole sia in pace che in guerra, e che amministrava la giustizia e trattava gli affari con molta oculatezza, ascoltava due Messe tutti i giorni, diceva Vespri e Compieta con il Cappellano, faceva la meditazione, visitava gli ospedali, tutti i venerdì si confessava e si dava la disciplina, ascoltava spesso la predicazione, teneva di frequente conferenze spirituali; con tutto ciò non perdeva una sola occasione per operare il bene pubblico e vi si impegnava con solerzia e la sua corte era magnifica e splendida come non era mai stata con i suoi predecessori.
Fa dunque con coraggio questi esercizi come te li ho indicati, e Dio ti darà tempo ed energia per compiere tutti i doveri del tuo stato; ti assicuro che lo farà anche se dovesse fermare il sole come fece per Giosuè. Facciamo sempre abbastanza quando Dio lavora con noi.
Si dirà che io do per scontato quasi ovunque che la mia Filotea abbia il dono dell’orazione mentale; è chiaro invece che non tutti l’hanno, per cui questa Introduzione non potrebbe servire a tutti. È vero, l’ho dato per scontato, e so anche che non tutti hanno il dono dell’orazione mentale; ma è altrettanto vero che tutti possono averlo, magari appena abbozzato: è sufficiente che abbiano delle buone guide e che abbiano voglia di impegnarsi per acquistarlo visto che la cosa merita.
Se si dovesse trovare qualcuno totalmente sprovvisto di questo dono a tutti i livelli, ciò che penso possa capitare soltanto molto di rado, il saggio padre spirituale indicherà all’interessato il modo di rimediare alla lacuna applicando maggiore attenzione nella lettura e nell’ascolto delle riflessioni che ho suggerito nelle meditazioni.


Capitolo XVIII
TRE ULTIMI E IMPORTANTI CONSIGLI PER QUESTA INTRODUZIONE

Il primo giorno di ogni mese rinnova la promessa che si trova nella prima parte, dopo la meditazione, e ad ogni momento prometti di volerla mantenere, e dì con Davide: Mai, per tutta l’eternità, dimenticherò le tue giustificazioni, mio Dio, perché in quelle mi hai dato la vita. E quando avvertirai qualche cedimento nella tua anima, prendi in mano la tua promessa, prostrati con grande spirito di umiltà e pronunciala con tutto il cuore e proverai un grande sollievo.
Fa aperta professione di voler essere devota; non ti dico di essere devota, ma di volerlo essere, e non vergognarti degli atti comuni che si richiedono per condurci all’amore di Dio. Ammetti con franchezza che ti sforzi di meditare, che preferiresti morire che peccare di nuovo gravemente, che vuoi frequentare i sacramenti e seguire i consigli del tuo direttore, anche se non e sempre necessario farne il nome, e questo per molte ragioni.
Questa franchezza nel confessare che vogliamo servire Dio e che ci siamo consacrati al suo amore con speciale affetto è molto gradita alla divina Maestà la quale non vuole che abbiamo vergogna di Lui e della Croce; e poi respingi le molte carezze che il mondo vorrebbe farti per tirarti dalla parte opposta; il nostro buon nome ci obbliga a continuare.
I filosofi si proclamavano filosofi per poter essere lasciati vivere da filosofi, noi ci dobbiamo presentare come persone desiderose della devozione perché la gente ci lasci vivere devotamente.
Se qualcuno ti dice che si può vivere devotamente senza praticare questi consigli e questi esercizi, non dire che non è vero, ma rispondi amabilmente che la tua infermità è tale che richiede aiuti maggiori e sostegni che agli altri non sono necessari.
Infine, carissima Filotea, ti scongiuro per tutto ciò che c’è di più sacro in Cielo e sulla terra, per il battesimo che hai ricevuto, per il seno che ha allattato Gesù Cristo, per il cuore caritatevole con il quale ti ha amato, per le viscere della misericordia nella quale speri, continua a perseverare in questo felice cammino della vita devota.
I nostri giorni scorrono, la morte è alle porte. “ La tromba, dice S. Gregorio di Nazianzo, suona la ritirata; ciascuno si prepari perché il giudizio è vicino “. La madre di S. Sinforiano al figlio che veniva condotto al martirio, gridava: “ Figlio, figlio mio, ricordati della vita eterna; guarda il Cielo e pensa a Colui che vi regna; ben presto avrà fine la breve corsa di questa vita “.
Filotea, tu dirai la stessa cosa: guarda il Cielo e non lasciarlo per la tetra; guarda l’inferno e non gettarti in esso per gli attimi che fuggono; guarda Gesù Cristo, non rinnegarlo per alcuna cosa al mondo; quando la fatica della vita devota ti sembrerà dura, canta con S. Francesco:
Tutta la pena mi è diletto per il bene che m’aspetto.
Viva Gesù, al quale, con il Padre e lo Spirito Santo sia onore e gloria, ora e sempre, nei secoli dei secoli.
Amen!

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Augustinus
23-01-05, 11:56
P. III, cap. 9. Oeuvres, Annecy, 1983, t. 3, pp. 166 s.

Fra gli usi che dovremmo saper fare della dolcezza, il migliore è quello di applicarla a noi stessi, senza provare mai risentimento né contro di noi, né contro le nostre imperfezioni. Infatti, anche se la ragione vuole che, una volta compiuto un errore, ne siamo contristati e pentiti, tuttavia è necessario non indulgere in un dispiacere arido e amaro, stizzoso e collerico. Ne segue che commettono un grande errore tutti quelli che, dopo la collera, si irritano per essersi irritati, si affliggono della loro stessa afflizione, si stizziscono della propria stizza. In questo modo tengono continuamente il cuore immerso a macerarsi nella collera. Senza parlare poi del fatto che tali risentimenti, collere, stizze che proviamo contro noi stessi, tendono all'orgoglio e la loro origine e l'amore di sé, amore che si preoccupa e si turba della nostra imperfezione.

Il dispiacere che proviamo per le nostre mancanze deve dunque essere pacato, calmo e fermo. Possiamo correggerci più con un pentimento sereno e costante che mediante reazioni piene di acrimonia, affrettate e colleriche; tanto più che tali reazioni impetuose sono motivate non tanto dalla gravità oggettiva della colpa commessa, quanto dal disordine delle nostre inclinazioni. Per esempio colui che predilige la castità, mentre proverà risentimento e acredine sproporzionati alla mancanza anche minima commessa in tale campo, non farà invece che sorridere di una grossolana maldicenza da lui provocata e sostenuta.

Risollevate dunque il cuore con dolcezza quando cadrà, umiliandovi davanti a Dio, perché avete conosciuto la vostra miseria, ma senza meravigliarvene in nessun modo. Detestate con tutte le forze l'offesa fatta a Dio e con gran coraggio e fiducia riprendete il cammino.

Augustinus
23-01-05, 11:57
GIOVANNI PAOLO II

DISCORSO AI VESCOVI NELLA CAPPELLA DEL SEMINARIO DI S. IRENEO
PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

Lione (Francia), 6 ottobre 1986

Cari confratelli nell’episcopato.

1. Sono molto sensibile alle parole che mi ha appena rivolto mons. Vilnet a nome di tutti voi, introducendo così l’incontro che sono lieto d’avere questa sera con voi. Vorrei anche esprimervi la mia gratitudine per l’invito a celebrare con voi il bicentenario di san Giovanni–Maria Vianney, e per la cura che avete posto nell’organizzare questo viaggio. Non potendovi nominare tutti, permettetemi di rendere un omaggio particolare al card. Decourtray e agli altri vescovi che mi accolgono calorosamente nelle loro diocesi. Nel corso di questo nuovo pellegrinaggio in mezzo al popolo di Dio in Francia, è stata mia gioia procedere, qui a Lione, alla beatificazione di padre Antonio Chevrier che si aggiunge ai numerosi operai del Vangelo la cui santità s’irradia al di là delle vostre frontiere, come un riflesso prezioso della luce di Cristo.

Il nostro incontro prelude alle visite “ad limina” in cui ben presto potremo riflettere insieme sulle questioni che vi preoccupano. Questa sera vorrei restare nell’ambito di questo pellegrinaggio presso i santi del vostro paese. Tra coloro che contrassegnano questa regione, due figure di vescovi possono ispirarci. Ritornerò altrove sul messaggio teologico e pastorale di primo piano che ci ha lasciato sant’Ireneo, secondo vescovo di Lione. Per questa sera, ho scelto di fermarmi qualche istante su san Francesco di Sales, prima di andare a venerare la sua tomba e incontrare la Chiesa di Annecy.

Sulla soglia dei tempi moderni, egli rappresenta per noi una figura esemplare. Ricordo che il mio predecessore Giovanni XXIII aveva annotato nel suo Diario dell’anima (p. 208): “Che bella figura d’uomo, di sacerdote, di vescovo!”. E aggiunge che desidera imitarlo: “Un amore grande, ardente, per Gesù Cristo e la sua Chiesa; una tranquillità di spirito inalterabile; una dolcezza incomparabile col prossimo, ecco tutto!”. Non ci potrebbe essere miglior invito a metterci alla scuola del santo di Annecy, lui che ricordava la sua ordinazione episcopale in questi termini: “Dio mi aveva tolto a me stesso per prendermi a sé e darmi al popolo, vale a dire che mi aveva trasformato da ciò che ero per me in ciò che sarei stato per loro” (Lettera DCCCXXXI).

2. Se guardiamo vivere Francesco di Sales nella sua diocesi, ad Annecy o nel corso delle sue visite, lo vediamo in effetti interamente disponibile a tutto il suo popolo. Un testimone gli attribuiva questa annotazione: “La casa di un vescovo deve essere come una fontana pubblica alla quale i poveri e i ricchi hanno pari diritto di avvicinarsi e attingere acqua” (secondo processo, tomo II, p. 1295). Egli trova incessantemente la forza di accogliere, in un amore del prossimo senza riserve. È impressionante sentirlo esprimere la sua ammirazione per i fedeli in una specie di atto di fede: Dio, “io l’ho incontrato... tra le nostre più alte e aspre montagne dove molte anime semplici lo tenevano per caro e lo adoravano in tutta verità e sincerità...” (Lettera a Madame de Chantal, ottobre 1606).

Predicatore instancabile, catechista, guida spirituale, egli fonda la propria azione su alcune convinzioni che rimangono nostre, al di là delle grandi differenze nel tessuto sociale. Il Vangelo, Francesco di Sales lo proclama a indirizzo di tutti, senza distinzione di origine, di professione o di compito. Egli crede che tutti, sin dall’infanzia e lungo tutta la vita, debbano essere illuminati, al fine di formare una comunità, come al tempo degli apostoli, animata da una fede viva, spontaneamente praticante un’efficace carità reciproca.

È stata spesso sottolineata la sua preoccupazione di formare cristiani di élite che prendano a cuore tutta l’esigenza del Vangelo. In realtà, lavora molto a condurli su questa strada, senza volerli distaccare da tutto il popolo né allontanarli dai loro doveri familiari e sociali. Sapeva adattare il suo linguaggio al tipo di cultura di questi fedeli. Quando scriveva, era “sempre guardando la gente che vive nella morsa del mondo”. Quando li raggruppava in “confraternite”, era per creare focolari irradianti in un popolo cristiano la cui vita sociale non deve distaccarsi dalla fede e dalla vita ecclesiale.

Bisogna anche ricordare quanto questo vescovo ha sofferto per la divisione dei cristiani. Con passione ha lavorato a ristabilire l’unità del popolo di Dio. Per quanto dipendeva da lui, la sua azione era contrassegnata dalla ricerca della verità in un dialogo impregnato di ardente carità fraterna.

3. Considerando che il sacerdote è uno col suo vescovo, Francesco di Sales accordava un posto privilegiato ai suoi rapporti col clero. Le difficoltà che incontrava sono segnate dalle condizioni di un’altra epoca. Ma era anche un tempo di cambiamenti, il tempo di un necessario ritorno all’essenziale. Preoccupato della fedeltà dei sacerdoti ai loro impegni, al loro dedicarsi a tutti i cristiani, egli è fraterno con loro, vicino nella preghiera, ma anche capace di dire nettamente che cosa gli sembra debba essere corretto nella loro azione. Tiene alla concertazione nelle assemblee annuali del clero. Desidera l’unità della diocesi innanzitutto attraverso i sacerdoti. Ricorderò due punti significativi su cui insisteva.

Nei limiti troppo ristretti, ai suoi occhi, dei suoi mezzi, egli compie grandi sforzi per la formazione intellettuale e spirituale del clero. Una sana dottrina fondata sulla Scrittura e i Padri è indispensabile a coloro che devono rispondere a una domanda crescente, in un’epoca in cui le correnti culturali divergenti e le condizioni di vita scuotono la coesione del popolo cristiano. Francesco di Sales è stato in prima linea, egli stesso fedele allo studio. Prendeva conoscenza di ciò che proponevano i teologi e le scuole spirituali. Ed era pronto a comunicare ai suoi confratelli il frutto di una assimilazione illuminata e meditativa della Tradizione. Si pensi qui allo sforzo teologico che nella sua epoca aveva compiuto il vescovo Ireneo.

Altra preoccupazione costante di Francesco di Sales: che i sacramenti fossero degnamente celebrati. Egli dà l’esempio di un grande rispetto della liturgia. Promuove l’accesso all’Eucaristia. Incoraggia i sacerdoti a divenire buoni confessori: nel suo “Memoriale ai confessori” li chiama a rendere vicina l’infinita misericordia di Dio che perdona, con cuore paterno, senza stancarsi di assistere i penitenti “in tutto ciò di cui avranno bisogno da voi per la salvezza delle loro anime”.

In una parola ricorderò l’importanza che il fondatore della Visitazione accordava alla vita religiosa: luogo di perfezione evangelica, testimonianza trascinante che egli desiderava vicina all’insieme dei cristiani. Se non è riuscito a portare a termine la riforma dei monasteri “in commenda”, ha aperto una strada che ci è familiare grazie a un’amichevole vicinanza ai cistercensi e a una frequente collaborazione in particolare con gli ordini mendicanti.

Queste poche annotazioni non ricoprono tutte le forme della collaborazione che portate avanti coi sacerdoti, i religiosi e le religiose, né di tutto l’appoggio che date loro. Che san Francesco di Sales vi ispiri in questa funzione fondamentale del vostro ministero!

4. Vescovo, Francesco di Sales ha spesso manifestato un’attiva solidarietà coi suoi confratelli nell’episcopato, vivamente consapevole del fatto che gli scambi tra di loro non potevano che servire la missione di tutta la Chiesa. Alla sua epoca, e secondo i suoi carismi, questo assumeva la forma di rapporti amichevoli, di scambi di idee e di emulazione spirituale. A modo suo, egli prefigurò la collaborazione intensa che voi portate avanti, in modo strutturato, nei vostri incontri regionali e nazionali.

Con una problematica diversa da oggi, dibattiti senza fine avevano allora luogo sul ruolo e sull’autorità del vescovo di Roma. Ricorderò il punto cui giunge Francesco di Sales quando conclude la sua analisi del problema: bisogna che si predichino in modo tranquillo – lui dice “con dolcezza” – “questi due punti: l’unità ecclesiastica e cristiana, l’amore e la dedizione alla Santa Sede, legame di questa unione e comunione ecclesiastica” (Lettera a mons. Germonio, marzo 1612). Permettetemi di dire soltanto che il nostro incontro questa sera, nel corso del mio pellegrinaggio nel vostro paese, è un lieto segno di questa unione e di questa comunione.

5. Agli inizi del XVII secolo, un vescovo si trovava coinvolto nella vita della città in modo del tutto diverso da oggi, e in funzione di concezioni giuridiche in gran parte diverse. Tuttavia, in Francesco di Sales, la maniera d’agire e i veri centri di interesse rimangono ancora esemplari.

Si potrebbe bene applicargli il titolo di “esperto in umanità” che Paolo VI rivendicava per la Chiesa. Infatti, nell’effervescenza intellettuale del suo tempo che osservava con partecipazione, Francesco di Sales sapeva operare un lucido discernimento: egli è permeato innanzitutto del rispetto dell’uomo e della sua libertà. Di conseguenza, si interessa a un’educazione equilibrata per ragazzi e ragazze.

Quale che fosse il dibattito o il negoziato in cui era coinvolto, si trovava in lui un libero conciliatore di ogni spirito partigiano, un uomo di pace. Quando il suo popolo soffre violenza, egli sa alzare la voce e prendere le sue difese. Poco gli importava di incorrere in critiche, dal momento che poneva senza ambiguità le sue parole e i suoi atti nell’ordine evangelico della carità.

Possiamo noi oggi, di fronte all’inquietudine e alla violenza, di fronte a troppi attentati alla vita e alla dignità umana, meritare al nostro servizio episcopale il titolo che semplici fedeli davano a Francesco di Sales: “Autore di pace”!

6. Cari confratelli nell’episcopato, nel terminare l’evocazione di alcuni tratti che mi sembrano suggestivi in Francesco di Sales, ricorderò anche la confessione che talvolta faceva: il compito era gravoso, la moltitudine dei problemi da affrontare gli pesava, la stanchezza si faceva sentire. Scriveva un giorno a un amico, non senza humour: “La mia anima è quasi tutta scucita da tanti scossoni che ha patito... compie allora un ritiro per "ridar carica all’orologio... e farlo suonare più preciso"”. Al termine di uno di questi periodi di ripresa spirituale, confida alla madre de Chantal: “Sento al fondo del mio cuore una nuova fiducia di meglio servire Dio "in santità e giustizia tutti i giorni" della mia vita” (Lettera MCCV).

È un bene per noi avere come esempio e come intercessore questo vescovo che aveva raggiunto un ammirevole equilibrio nella santità. Egli univa armoniosamente il rigore di uno spirito giusto, la necessaria autorità del pastore, una prudenza riflessiva, l’umiltà del servitore di Dio e dei suoi fratelli, il calore amichevole nel dialogo, l’entusiasmo comunicativo di un cuore conquistato dall’amore di Dio.

Nella sua riflessione sull’amore di Dio, Francesco di Sales riconosceva in Maria l’unica perfezione in questo amore. Le aveva dedicato la propria opera. Disse un giorno: “Il grande bene per noi è l’essere figli, benché indegni, di questa gloriosa Madre”.

Insieme a voi, chiedo alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, di intercedere per voi e per tutti i vostri diocesani, e prego Dio di colmarvi dei suoi doni e delle sue benedizioni.

Augustinus
23-01-05, 11:58
GIOVANNI PAOLO II

PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

OMELIA

Annency (Francia), 7 ottobre 1986

1. “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28).

Il Vangelo di oggi ci ricorda queste parole familiari. Conosciamo a memoria l’annuncio dell’angelo. Lo ripetiamo ogni giorno nella nostra preghiera. Oggi, la Chiesa ci ricorda queste parole e tutti gli avvenimenti riferiti dal Vangelo di san Luca, poiché il 7 ottobre è dedicato a Nostra Signora del Rosario.

Sono lieto di celebrare questa festa con voi in Savoia, in questa terra segnata da tanti uomini e donne che hanno ricevuto il messaggio della salvezza. Di generazione in generazione hanno risposto ad esso con il dono di sé, per costruire la Chiesa di Cristo. Tra di essi, dopo i martiri del III secolo, molti santi hanno costellato la vostra storia, nel servizio della città, nella vita monastica, nel ministero pastorale, nelle missioni lontane. Prima di ricordare il messaggio delle due grandi figure che Annecy venera, nominerò soltanto san Pierre de Tarentaise e il beato Pierre Favre nato a Villaret, primo compagno di sant’Ignazio.

In questo giorno anche noi dobbiamo prendere coscienza del fatto che il cristiano è l’uomo dell’annunciazione. Non soltanto ripetiamo le parole dell’angelo a Maria, in una preghiera familiare – non solo tre volte al giorno l’Angelus ci ricorda l’evento di Nazaret – ma l’annunciazione segna in profondità il cristiano. Maria di Nazaret, per prima, ha ricevuto da Dio un messaggio di salvezza; per prima, ella ha risposto ad esso con la fede. Come lei, ogni cristiano è il soggetto di questo messaggio di salvezza e il soggetto di questa fede.

2. L’avvenimento verificatosi a Nazaret apre il nuovo cammino sul quale Dio conduce tutta l’umanità. Ciò che l’annunciazione significa è, in un certo senso, la sintesi di tutti i misteri che Dio ha voluto nella pienezza dei tempi, entrando nella storia dell’uomo secondo il disegno eterno del suo amore.

Vediamo la Vergine di Nazaret agli albori del tempo nuovo che è il tempo definitivo, in un certo senso, l’ultimo tempo. In lei, per mezzo di lei, il Dio dell’alleanza desidera andare più lontano di quanto non avessero fatto fino allora “l’alleanza”, la “fede”, la “religione”. Questa prospettiva può stupire, ma può anche incutere timore. Poiché le prime parole dell’annunciazione sono: “Non temere, Maria”. Le parole che seguono sono presenti nella nostra memoria. La Vergine Maria diverrà la Madre del Figlio, che chiamerà Gesù. E sarà Figlio dell’Altissimo, Figlio di Dio. In lui si adempiranno tutte le promesse messianiche dell’antica alleanza, quelle che si ricollegano all’eredità del patriarca Giacobbe e al re Davide. In questo Figlio, si realizza il regno di Dio stesso, quel regno che “non avrà mai fine”.

3. In questa festa di Nostra Signora del Rosario, dobbiamo prendere coscienza, in modo nuovo, del fatto che ogni cristiano è l’uomo dell’annunciazione. Lo testimoniano con una straordinaria eloquenza le due figure che vogliamo rievocare ad Annecy, sulla strada del pellegrinaggio del Papa, qui ad Annecy: san Francesco di Sales, santa Giovanna di Chantal. È nel loro santuario di Annecy che oggi viene il Vescovo di Roma per rileggere con voi, cari fratelli e sorelle, il messaggio di fede, di speranza e di amore che balza fuori dalla loro vita e dalla loro missione nella Chiesa, messaggio che conserva per noi tutta la sua forza.

4. Dottore dell’amore, san Francesco di Sales ha valorizzato incessantemente la fonte viva dell’alleanza di Dio con gli uomini: Dio ci ama, Dio ci accompagna in ogni momento della nostra vita, con un amore paziente e fedele; Dio infonde in noi il suo desiderio di ciò che è buono, un’attrazione verso ciò che è bello e vero. Nella sua Provvidenza, Dio ci dà la vita per essere a sua immagine e somiglianza. E Dio ci chiama a condividere sempre ciò che fa la grandezza della sua vita, l’amore perfetto. gli ci concede la libertà interiore, ci rende capaci di godere della certezza di essere amati e di rispondere con fermezza a questo amore.

Fratelli e sorelle, questo grande vescovo conosceva anche la debolezza dell’uomo, la sua difficoltà nel rispondere con una fede costante al messaggio d’amore dell’alleanza. Egli sapeva che spesso noi cerchiamo la forza di amare più in noi stessi che in un’accoglienza generosa del dono di Dio. Per questo Francesco di Sales era instancabile nel mostrare ai suoi fratelli la pazienza e la tenerezza di Dio pronto a perdonare, a salvare. Egli non cessa di trasmettere la buona novella dell’annunciazione: il Figlio dell’Altissimo, nato da Maria, viene per unirsi all’umanità. In un mondo disorientato la presenza di Gesù riapre la “ferita dell’amore”, risana i cuori smarriti, offre un’alleanza di perdono e di rinnovamento. Nella sua infinita santità, Gesù ci attira sul cammino della santità.

Come il saggio della Scrittura, Francesco di Sales sa che essere “attenti alla Parola” fa trovare la felicità, che confidare nel Signore ci rende beati (cf. Pr 16,20). Egli stesso è tanto permeato dalla Sacra Scrittura che essa “più che la regola dei suoi pensieri, ne è divenuta la sostanza” (Cardinal Pie). gli condurrà i suoi fratelli a meditare la vita di Gesù, a dimorare presso il Signore; così, ci dice: “Impariamo, con la sua grazia, a parlare, ad agire, a volere come lui” (Introduzione alla vita devota, II, 1). Ci invita a pronunciare il santo nome di Gesù conferendo all’invocazione tutta la sua forza: “Occorre che avvenga per mezzo del solo amore divino che, da solo, esprime Gesù nella nostra vita sigillandolo nel nostro cuore” (Lettera CDXXVIII).

5. Tornando incessantemente all’amore di Dio vissuto grazie al Cristo, Francesco di Sales si ricollega alla grande tradizione espressa da sant’Agostino: “Per noi vivere è amare” – “vita nostra dilectio est” (Enarr. in Ps. 54, 7). Egli stesso scrive: “Tutto è all’amore, nell’amore, per l’amore e di amore nella santa Chiesa”. (Opere, IV, p. 4). Grande servitore della Chiesa; ha sempre agito con questo spirito.

Sacerdote, poi vescovo di questa diocesi, egli ha vissuto in un’epoca in cui bisognava ritrovare un nuovo slancio. Egli contribuirà vigorosamente a mettere in atto le riforme del Concilio di Trento concluso poco prima della sua nascita. A tale proposito possiamo trarre frutto dal suo esempio, vent’anni dopo il Concilio Vaticano II, anche se le circostanze sono assai diverse: le sue riforme non otterranno alcun effetto se non si accompagneranno a un profondo rinnovamento spirituale.

Francesco di Sales amò il popolo di cui era il pastore. Per condurlo sulle vie del Vangelo, egli si era totalmente donato, al punto di lasciarsi assorbire in ogni momento, nella sua vita, nel corso delle sue visite nelle parrocchie. I sacerdoti trovavano in lui una fraterna accoglienza e lui li formava nella generosità apostolica che egli stesso esercitava fino al limite delle sue forze. Egli prediligeva celebrare la Messa col suo popolo e predicare spesso la parola di Dio. Catechizzava volentieri i bambini. Manifestava una paziente carità per guidare quanti gli chiedevano consiglio e anche per soccorrere i poveri, vivendo egli stesso da povero. Abbiamo ascoltato nella lettura dei Proverbi (16,19) un versetto che egli mise in pratica: “È meglio essere umile con i poveri che spartire il bottino con i superbi”. Si rendeva disponibile a chi gli chiedeva di ascoltarlo in confessione, tanto stimava i benefici del sacramento della misericordia. Come dice il Salmo (33, 19): “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti”.

Nella sua azione pastorale, Francesco di Sales aveva un acuto senso della missione che è propria di ciascun vescovo. Egli sapeva che in tale missione, il servizio dell’unità rappresenta una priorità. Egli si trovò ad adempierla quando una grave lacerazione si era appena prodotta tra i cristiani della sua regione. Nel clima che allora regnava, lo ha fatto con tutta la sua fede, con tutto il suo amore, con tutta la sua generosità. Possa il Signore ispirare oggi il nostro dialogo di fratelli ancora separati! Possa egli affermare in noi una comune volontà di riconciliazione nella verità e nella carità, perché ritroviamo presto l’unità tanto desiderata!

6. In Francesco di Sales ammiriamo l’uomo della Chiesa permeato dell’amore divino. Si può dire che egli è un vero saggio che realizza quanto dicono i Proverbi (16,21–22): “Un cuore sapiente è proclamato saggio; il linguaggio dolce aumenta la dottrina. Fonte di vita è la prudenza...”.

Sì, questo mistico attingeva giornalmente, nell’intimità col Signore, una sorprendente capacità di condurre i suoi fratelli verso la vita perfetta, sapendo comprendere le persone più diverse. La sua influenza era largamente dovuta al fatto che ciascuno si sentiva rispettato nella sua condizione personale. Proponeva tutte le esigenze evangeliche, ne mostrava l’accesso agli uomini e alle donne, ai laici e ai religiosi, ai giovani e agli anziani, agli sposi e ai celibi, ai ricchi e ai poveri, ai letterati e agli ignoranti, ai principi e ai contadini, ai soldati e ai commercianti. A tutti rivelava l’accordo profondo della libertà interiore con la volontà di Dio. A ciascuno rivolgeva l’appello alla santità secondo la sua condizione e le sue attitudini. Quel saggio che si definiva “totalmente uomo” (Lettera CDXVIII) era così vicino ai suoi fratelli che sapeva condividere con tutti la saggezza stessa di Dio.

Dotato di grande discernimento negli incontri individuali, Francesco di Sales è intervenuto anche nelle questioni e nei dibattiti del suo tempo, con una moderazione che suscitava fiducia. Egli ha meritato l’appellativo di “conciliatore”. Implicato nelle discussioni teologiche o nei conflitti della città, egli aveva ascoltato l’appello del Salmo (33,15): “Cerca la pace e perseguila”, o la massima contenuta nei Proverbi (16,32): “Chi domina se stesso val più di chi conquista una città”.

Tra i santi che hanno portato il messaggio evangelico ai loro contemporanei in tanti modi, Francesco di Sales fa parte di quelli che hanno saputo trovare un linguaggio meravigliosamente adeguato. Oggi diremmo che egli era uomo di comunicazione. Nelle sue lettere e nei suoi libri egli cattura l’attenzione con uno stile in cui traspare la sua esperienza spirituale e al tempo stesso la sua profonda conoscenza degli uomini. Patrono dei giornalisti, di quanti hanno la missione di scrivere, possa egli ispirare il loro lavoro in una conoscenza lucida di coloro ai quali si rivolgono, nel rispetto fraterno di quelli con i quali essi condividono la verità!

7. La vostra città onora, con il suo grande vescovo, santa Giovanna di Chantal, che resta la più vicina a lui. Ella chiamava Francesco di Sales il suo “beato padre” poiché egli fu, in una mirabile amicizia, l’interprete rispettoso e la guida illuminata della sua coscienza. Ci è gradito ricordarla perché il suo itinerario è stato straordinariamente ricco. Giovanna di Chantal ha vissuto, seguendo con fervore il semplice cammino della fede, le tappe della vita di una donna che risplende per saggezza umana e spirituale.

Fanciulla, sposa, madre, vedova, in pochi anni della maternità, ella sviluppò la sua fede e mise in pratica la carità curando i malati e dando ai poveri un aiuto rispettoso. Addolorata dalla morte del suo sposo, la sofferenza la segnò ancora in molti modi. Essa conobbe la difficoltà del perdono, l’angoscia per il futuro dei suoi figli. Altri lutti la colpirono dolorosamente. E per di più, non bisogna dimenticarlo, in tutte le tappe della sua vita, la fede di Giovanna di Chantal fu più volte scossa. Il dubbio e l’oscurità si impadronirono di lei al momento di intraprendere il suo cammino, in una reale sofferenza. La santità è contrassegnata da questi conflitti. Lungo questa strada, lei che amava recitare i salmi, ha potuto meditare su queste parole: “Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato. Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia” (Sal 33,5.9).

Sì, dichiarerà la sua decisione di donarsi interamente al Signore “in una totale fiducia”. Ella proseguirà il suo cammino abbandonandosi all’amore puro di Dio. Ella sarà liberata dai timori, in Dio troverà la sua pace.

8. Nel corso della sua vita, felice e poi ferita, ella riceve il messaggio di salvezza e diventa una vera serva della alleanza. Ed ecco che Giovanna intraprende il cammino di queste montagne, nello spirito stesso della Vergine dell’annunciazione che si reca in visita ad Elisabetta: ella è tutta sottomessa alla parola della salvezza, tutta in adorazione del Verbo incarnato, rende grazie per le “meraviglie di Dio”, è pronta ad esercitare una carità umile e quotidiana. È pronta a fondare con Francesco di Sales la Visitazione.

Oggi noi rendiamo grazie per l’azione complementare di questi due santi, per il mirabile centro di contemplazione che è la Visitazione, modellato dalla loro ricca amicizia spirituale. Madre comune, Giovanna di Chantal fonda la Visitazione con dolcezza e sicurezza. Ella “pone le radici dell’unione” nell’amore reciproco, nell’umiltà, nella semplicità e nella povertà. Avendo “tutto affidato a Dio”, “rivestita di nostro Signore Crocifisso”, ella è una incomparabile maestra di preghiera, nel portare le sue sorelle e molte altre persone a conoscere come lei “una grande libertà interiore... una sorta di preghiera tutta cordiale e intima” (cf. Memorie della Madre di Chaugy).

“Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode” (Sal 33,2).

9. Cari fratelli e sorelle, è bene rivolgere il nostro sguardo a questi grandi testimoni dell’annunciazione che tanto profondamente hanno segnato la vostra storia. Vi ringrazio di avermene dato l’occasione accogliendomi in questo pellegrinaggio che desideravo compiere da tempo su invito insistente di mons. Jean Sauvage e poi del suo successore, mons. Hubert Barbier. Li saluto qui cordialmente insieme con l’arcivescovo di Chambery, mons. Claude Feidt, e gli altri vescovi qui presenti, come pure il venerato cardinale Léon–Etienne Duval, arcivescovo di Algeri, che, per l’occasione, è tornato nel suo paese natale. Ringrazio anche le autorità civili che hanno molto facilitato la mia venuta. Saluto voi tutti, sacerdoti, religiosi, religiose e laici di questa regione, popolo attivo e cordiale di Savoia, apprezzo la vostra fedeltà a santa Giovanna di Chantal e a san Francesco di Sales che diceva: “Sono savoiardo sotto tutti gli aspetti, per nascita e per sentimento” (Lettera MCLXXXVII). Rivolgo alla Chiesa d’Annecy e di Savoia i miei ferventi voti perché la testimonianza viva dei due grandi santi sia un modello e un punto di riferimento in questi tempi in cui i cristiani si trovano di fronte a una situazione nuova e attraversano tante difficoltà.

Che i pastori, i religiosi e le religiose, i laici di cui san Francesco di Sales ha così bene sottolineato la vocazione cristiana come un precursore del Concilio Vaticano II, sì, che tutti cooperino nella fiducia per conferire alla vita ecclesiale il dinamismo di uno slancio nuovo! Nei ministeri, nella vita sacramentale e liturgica, in tutte le iniziative che contribuiscono all’evangelizzazione, che tutti si ispirino all’ardore pastorale di san Francesco, alla luce che emana dalla “Madre comune” della Visitazione! Che questi testimoni privilegiati vi aiutino ad attingere alle sorgenti inesauribili dell’amore divino per animare ogni vostra azione.

Che la saggezza salesiana, in cui le qualità spirituali e la santità si uniscono a quelle di una saggezza umana, posta al servizio di tutti, vi permetta di illuminare con la verità i problemi di questo tempo, di rispettare la vocazione di ciascuno laddove Dio “l’ha seminata” e di far comprendere l’appello a entrare per mezzo della grazia nell’alleanza con la Sapienza eterna!

10. Nella festa di Nostra Signora del Rosario, affido tutti questi voti a quella che san Francesco di Sales ha chiamato “la dolce Madre dei cuori, la Madre del santo Amore” (Lettera CMXXXVI).

Con la preghiera del Rosario, cerchiamo di estendere il nostro sguardo, nella fede, su tutti i misteri che l’annunciazione contiene come una sorgente: i misteri gaudiosi dell’incarnazione, i misteri dolorosi del sacrificio della croce, i misteri gloriosi della risurrezione.

Così, in modo semplice e umile, desideriamo tutti seguire il modello della “Serva del Signore”. Custodiamo nel più profondo del nostro cuore tutto il mistero divino della nostra vocazione in Cristo.

Con Maria, ciascuno di noi e tutti insieme, desideriamo diventare gli “uomini dell’annunciazione”.

Augustinus
23-01-05, 12:00
GIOVANNI PAOLO II

LETTERA AL VESCOVO DI ANNECY (FRANCIA)
IN OCCASIONE DEL QUARTO CENTENARIO
DELL’ORDINAZIONE EPISCOPALE
DI SAN FRANCESCO DI SALES

A Monsignor YVES BOIVINEAU Vescovo di Annecy

1. L'8 dicembre festeggerà il quarto centenario dell'ordinazione episcopale di San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa, suo predecessore, "una delle più grandi figure della Chiesa e della storia" (Paolo VI, Angelus, 29 gennaio 1967). Sacro "Principe Vescovo di Ginevra", l'8 dicembre 1602, colui che il re Enrico IV chiamava in maniera elogiativa "la fenice dei Vescovi", poiché, diceva, "è un uccello raro sulla terra", dopo aver rinunciato ai fasti di Parigi e alla proposta del re che voleva donargli una sede episcopale importante, divenne il Pastore e l'evangelizzatore instancabile della sua terra savoiarda, che amava sopra ogni cosa, poiché, ammetteva, "sono savoiardo in tutti i sensi, per nascita e dovere". Lasciandosi guidare dai Padri della Chiesa, attingeva dalla preghiera e da una grande conoscenza meditata della Scrittura la forza necessaria a compiere la sua missione e guidare il popolo di Dio.

Come il mio predecessore, Papa Paolo VI, che scrisse la lettera Sabaudiae gemma in occasione del quarto centenario della sua nascita (29 gennaio 1967), prego Dio di far rifiorire e risplendere nella Chiesa una vita spirituale mirabile, grazie all'insegnamento del santo Vescovo di Ginevra, che resta fonte di luce per i nostri contemporanei, come lo fu nel suo tempo.

Consigliere di Papi e di principi, dotato di grandi qualità spirituali, pastorali e diplomatiche, Francesco di Sales fu un uomo di unità in un'epoca in cui le divisioni costituivano una piaga nel fianco della Chiesa. Si preoccupò in modo particolare di ristabilire l'unità della sua Diocesi e di mantenere la comunione nella fede, fondando la sua azione sulla fiducia in Dio, sulla carità che può tutto, sull'ascesi e sulla preghiera, come sottolineò in un autentico discorso programmatico subito dopo la sua ordinazione sacerdotale, poiché è così, diceva, che si vive la regola cristiana e che ci si comporta veramente come figli di Dio (cfr Harangue pour le prévôté: Oeuvres complètes, edizione di Annecy, VII, p. 99 e seg.). Spiegherà in seguito quello che in verità è la carità teologale: "La carità è un amore di amicizia, un'amicizia di dilezione, una dilezione di preferenza, ma di preferenza incomparabile, sovrana e soprannaturale, che è come un sole in tutta l'anima per abbellirla con i suoi raggi, in tutte le facoltà spirituali per perfezionarle, in tutte le potenze per moderarle, nella volontà, come sua sede, per risiedervi e farle prediligere e amare il suo Dio sopra ogni cosa" (Traìté de l'amour de Dieu: Oeuvres Complètes, IV, p. 165).

2. Avendo come modello san Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, s'impegnò a diffondere con fedeltà e inventiva l'insegnamento del Concilio di Trento e a metterne in opera le disposizioni pastorali. Riorganizzò la sua Diocesi, che visitò completamente in due occasioni, soffrendo nel proprio cuore per la dolorosa situazione di Ginevra, la sua sede episcopale che era passata alla Riforma calvinista. Si preoccupò di formare sacerdoti, in particolare istituendo per essi conferenze mensili, al fine di dare al gregge senza pastore dei Pastori misericordiosi, capaci di insegnare il mistero cristiano e di celebrare sempre più degnamente i sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione. Ebbe particolarmente a cuore di far scoprire al clero e ai fedeli che la penitenza è un momento di incontro con l'amore del Signore, il quale accoglie tutti coloro che gli chiedono umilmente perdono. Si preoccupò anche di riformare gli ordini monastici, come scrisse a Papa Paolo V nel novembre 1606 (Oeuvres complètes, XXIII, p. 325).

3. Dottore dell'amore divino, Francesco di Sales non aveva pace finché i fedeli non accoglievano l'amore di Dio, per viverlo in pienezza, volgendo il loro cuore a Dio e unendosi a Lui (cfr Traité de l'amour de Dieu: Oeuvres complètes, IV, p. 40 e seg.). Fu così che, sotto la sua guida, numerosi cristiani intrapresero la via della santità. Egli mostrò loro che tutti sono chiamati a vivere un'intensa vita spirituale, qualunque sia la loro situazione o la loro professione, poiché "la Chiesa è un giardino reso variopinto da fiori infiniti, gliene occorrono dunque di diverse grandezze, di diversi colori, di diversi profumi, insomma, di diverse perfezioni. Poiché tutti hanno il loro prezzo, la loro grazia e il loro splendore, e insieme, nell'unione delle loro varietà, fanno una perfezione molto gradevole di bellezza" (Traité de l'amour de Dieu: Oeuvres Complètes, IV, p. 111).

Uomo di bontà e dolcezza, che sapeva manifestare la misericordia e la pazienza di Dio a quanti incontrava, propose una spiritualità esigente ma serena, fondata sull'amore, poiché amare Dio "è la somma felicità dell'anima per questa vita e per l'eternità" (Lettre à Mère Marie-Jacqueline Favre, 10 marzo 1612: Oeuvres complètes, XV, p. 180). Con grande semplicità, formò ogni persona alla preghiera: "Deve prostrarsi dinanzi a Dio e restare lì davanti ai suoi piedi; Egli comprenderà, attraverso questa umile condotta, che è sua e che vuole il suo aiuto, sebbene non possa parlare" (Lettre à Jeanne Françoise Frémyot de Chantal, 14 ottobre 1604: Oeuvres complètes, XII, p. 325). S'impegnò a condurre le anime fino ai vertici della perfezione, preoccupato di unire le persone attorno a ciò che è al centro dell'esistenza, la vita in intimità con il Signore, mediante la quale l'uomo può ricevere la perfezione e divenire migliore (cfr Traité de l'amour de Dieu: Oeuvres complètes, IV, p. 49). Si preoccupava di permettere a tutti di ritornare a Cristo e di ripartire da Cristo, per condurre un'esistenza buona, poiché Dio ha dato a ognuno di governare le proprie facoltà, che è opportuno porre sotto il primato della volontà (cfr Traité de l'amour de Dieu: Oeuvres complètes, IV, pp. 23-24).

Come santa Giovanna de Chantal, che possiamo ascoltare le sue esortazioni a essere fedeli alle meditazioni sulla Vita e sulla Morte di Cristo: è questa la porta del cielo! Meditandole spesso, impareremo a conoscere i tesori che contengono. L'anima deve restare nella contemplazione della Croce e nella meditazione della Passione (cfr L'étendard de la Sainte Croix: Oeuvres complètes, II). La perfezione consiste nell'essere conformi al Figlio di Dio, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo, in perfetta obbedienza (cfr Traité de l'amour de Dieu: Oeuvres complètes XI, 15, V, pp. 291 e seg.): "Il perfetto abbandono fra le mani del Padre celeste e la perfetta accettazione in quel che riguarda la divina volontà sono la quintessenza della vita spirituale ...

Qualsiasi ritardo nella nostra perfezione proviene solo dalla mancanza di abbandono ed è certamente vero che occorre iniziare, proseguire e concludere la vita spirituale a partire da lì, imitando il Salvatore che ha realizzato ciò con straordinaria perfezione, all'inizio, durante e alla fine della sua vita" (Sermon pour le Vendredi Saint, 1622: Oeuvres Complétes, X, p. 389).

4. Fu anche attraverso un carteggio particolarmente ricco che accompagnò, con grande delicatezza e una pedagogia progressiva adattata a ogni situazione, usando felicemente immagini molto colorite, le anime che si affidavano alla sua direzione spirituale, affinché ogni atto buono e ogni vittoria sul peccato fossero come "pietre preziose (che) saranno messe nella corona di gloria che Dio ci prepara nel suo Paradiso" (Introduction à la Vie dévote, IV, 8: Oeuvres complètes, III, p. 307).

Poiché era appassionato di Dio e dell'uomo, il suo sguardo sulle persone era fondamentalmente ottimista e non mancava mai di invitarle, secondo la sua espressione, a fiorire laddove erano state seminate. Ancora oggi, e me ne rallegro, le opere di Francesco di Sales fanno parte della letteratura classica; è il segno che il suo insegnamento sacerdotale ed episcopale trova un'eco nel cuore degli uomini e soddisfa le loro aspirazioni profonde. Invito i Pastori e i fedeli e lasciarsi istruire dal suo esempio e dai suoi scritti, che restano di grande attualità.

Come non ricordare in questa circostanza santa Giovanna de Chantal, con la quale fondò l'Ordine della Visitazione Santa Maria, desideroso di proporre, in modo originale e innovatore, uno stile di vita religiosa aperto al maggior numero di donne possibile, che avrebbe messo al primo posto la contemplazione.

Rendendo grazie per la testimonianza di vita sacerdotale ed episcopale dell'Apostolo del Chablais, come pure per le sue opere, prego il Signore di far levare nel mondo di oggi un numero sempre crescente di uomini e donne che sappiano vivere la spiritualità salesiana e proporla ai nostri contemporanei, affinché tutti abbiano "una fede vigile" che "fa non solo buone operazioni, ma che penetra anche e comprende con sottigliezza e prontezza le verità rivelate" al fine di trasmetterle al mondo (Sermon pour le jeudi après le premier dimanche de Carême, 1622: Oeuvres complètes, XI, p. 220).

5. Infine, il mio auspicio è quello del Dottore dell'amore divino: che "Dio solo sia il vostro riposo e la vostra consolazione!" (Lettre à Mademoiselle de Soulfour, 16 gennaio 1603: Oeuvres complètes, XII, p. 163).

Affidandola all'intercessione della Vergine Maria, l'Immacolata Concezione, e di San Francesco di Sales, le imparto di tutto cuore un'affettuosa Benedizione Apostolica. L'imparto anche volentieri ai Vescovi della regione, ai sacerdoti e ai fedeli della Savoia, della Svizzera e del Piemonte, alle religiose della Visitazione, ai membri dei diversi Istituti salesiani e a tutte le persone che vivono della spiritualità salesiana, ai giornalisti, agli scrittori e a tutte le persone che lavorano nei mezzi di comunicazione sociale, dei quali è il santo Patrono e a tutti coloro che si uniscono alle festività di questo anniversario.

Dal Vaticano, 23 novembre 2002

GIOVANNI PAOLO II

Augustinus
23-01-05, 12:02
PAOLO VI

EPISTOLA APOSTOLICA

SABAUDIAE GEMMA

NEL IV CENTENARIO DELLA NASCITA DI SAN FRANCESCO DI SALES
DOTTORE DELLA CHIESA

Epistola apostolica ai Cardinali, Arcivescovi e Vescovi e agli altri Ordinari di Francia, Svizzera e Piemonte.

DILETTI FIGLI NOSTRI E VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Immortale onore di Annecy

San Francesco di Sales, gemma della Savoia e della Svizzera, è una grandissima gloria di Annecy, - città rinomata per i suoi monti, per il lago e i suoi dintorni, ma ancor più per i suoi storici monumenti sacri e profani, - poiché il vicino villaggio di Thorens si gloria di avergli dato i natali. Ricorrendo quest'anno il quarto centenario della sua nascita, si è ivi lodevolmente stabilito di onorarne la memoria con pubbliche feste e varie manifestazioni.

Di queste solennità Ce ne ha per tempo dato annunzio il venerabile Fratello Giovanni Sauvage, Vescovo di Annecy, informandoCi pure che, data la grandezza del Santo e l'importanza dell'avvenimento, egli intende invitare il maggior numero possibile di Vescovi della Francia e di altri paesi, per prender parte alla commemorazione e comune esultanza.

Seguendo le orme di Pio XI

Noi lodiamo e approviamo pienamente quanto il solerte Pastore ha stabilito. Anzi, sull'esempio del Nostro Predecessore Pio XI di felice memoria, il quale onorava il terzo centenario della morte di san Francesco di Sales con la Lettera Enciclica Rerum omnium, anche Noi, diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, vogliamo mandarvi questa Lettera, per dimostrare a tutti che, secondo il desiderio del Vescovo di Annecy, prendiamo volentieri parte a queste celebrazioni, e fin d'ora ne auspichiamo l'esito più felice. E lo facciamo con tutto il cuore, anche perché, fin dalla prima età e poi maturi di anni, abbiamo sempre particolarmente venerato l'illustre Vescovo di Ginevra, e Ci è perciò cosa graditissima aggiungere splendore al suo nome.

Vi esortiamo quindi caldamente ad onorare in questa felice occasione il Dottore dell'amore divino e della dolcezza evangelica con sapiente riflessione e fervore di vera pietà. Presago il Nostro cuore Ci dice che ciò porterà frutti copiosi.

Lampada che arde e brilla

Nelle vostre regioni il santo Dottore della Chiesa fu sempre lucerna che arde e risplende (Cf Gv 5,35); di là irradiò più nitido il suo celeste splendore, e ancor oggi offre ampia materia di studio. E ciò perché egli fu soprattutto vostro, poiché lasciò profondi ricordi di sé a Parigi, a Lione, in Borgogna, a Ginevra, in Svizzera, e a Torino, ma soprattutto nella Savoia. Per un naturale legame con queste illustri terre, ha influito nel sentimento e nel tenore di vita cristiana anche degli uomini più insigni per virtù, come pochi o forse nessun altro dell'età sua e di quelle seguenti. Non v'è dubbio che, per l'esempio delle sue virtù, per la prudenza dei consigli e per l'insegnamento ascetico, influì grandemente quale maestro del clero in Francia, facendo rifiorire colà il genuino spirito sacerdotale; servì non poco a stimolare san Vincenzo de' Paoli a fondare la Congregazione dei Preti della Missione e delle Figlie della Carità; aiutò e precedette con la sua grande autorità e l'inventiva fiamma del suo genio superiore i tre formatori di quel clero: Pierre de Bérulle, san Giovanni Eudes e Jean Olier.

Infatti, grande è il suo insegnamento e la sua autorità nelle vostre regioni, e la spiritualità ed i costumi ovunque chiaramente risentono della dolcezza del Sales.

Ora poi, nella ricorrenza di questa circostanza, la sua memoria rispunta come una stella, e attirando a sé lo sguardo e la contemplazione, non elargirà forse generosamente luce, calore, sapienza e soavità? Certamente: tanto più che per varie ragioni egli si presenta adeguato alle attuali necessità.

Provvidi insegnamenti per l'epoca postconciliare

Dalla storia ecclesiastica appare chiaro che i Concili Ecumenici ebbero il loro pieno risultato adeguato alle speranze, quando, durante o dopo la loro celebrazione, santi ecclesiastici e pastori di esimia virtù cercarono di rendersi essi stessi legge viva e parlante e di eseguire le volontà e le deliberazioni dei Concili.

Tutti i migliori cristiani oggi desiderano ardentemente che tali uomini, esimii per santità, sorgano a risplendere e a combattere. E forse tra voi sta per apparire l'aurora di questo splendido giorno.

Comunque sia, bisogna avere fiducia: abbiamo una guida, un consigliere, un maestro che aiuterà e precederà voi, e con voi molti altri confratelli nell'Episcopato. Camminando innanzi a voi, vi aiuterà a compiere integralmente l'opera di salvezza e di santificazione.

Noi siamo certi che la verità, gioconda a conoscersi, convincerà tutti, se è studiata. Nessuno più e meglio del Sales, tra i recenti Dottori della Chiesa, ha saputo con il profondo intuito della sua sagacia, prevenire le deliberazioni del Concilio. Egli sarà di aiuto con l'esempio della vita, con l'abbondanza di una dottrina pura e sana, e con il suo sicuro metodo di spiritualità, aperto alla cristiana perfezione di persone di ogni stato e condizione. Tre cose si propongono: imitare, abbracciare, seguire. Se poi si considera l'indole e la forma delle virtù di san Francesco di Sales, è difficile darne una descrizione, poiché non appare a prima vista e con assoluta certezza, quale sia la loro natura e la loro caratteristica più eminente. Differisce stella da stella, gemma da gemma e un albero dall'altro, ed ogni bellezza si distingue per qualità sue proprie.

La bellezza risplende al massimo ed è perfetta quando assomma armoniosamente la varietà di molte bellezze. Così in un giardino lussureggiante, risaltano per la loro bellezza le erbe, gli alberi, i fiori e la loro fragranza e colore; ma più bello si presenta allo sguardo, se una giusta proporzione ed una adatta disposizione aggiungono in perfetta armonia bellezza a bellezza, così che dall'insieme risalti maggiormente la leggiadria e l'amabile grazia delle varie bellezze distinte.

Un simile accostamento e complesso di virtù piace e si ammira in Francesco di Sales.

Viene quindi spontaneo alla mente di applicare a lui ciò che san Gregorio Nazianzeno in un suo ardente discorso diceva di sant'Atanasio: «Esaltando Atanasio, io esalto la virtù, poiché parlare di lui è lodare la virtù, avendo egli posseduto o, più veramente, possedendo come sommate insieme tutte le virtù. Tutti infatti vivono per Dio, coloro che vissero secondo Dio, anche se hanno lasciato questa vita» (GREGORIO NAZIANZENO, Oratio XXI, In laudem magni Athanasii episcopi Alexandrini, 1: PG 35, 1082-1083.).

Acuta intuizione di mente, intelligenza forte e chiara, giudizio penetrante, incredibile amorevolezza e bontà, sorridente soavità di volto e di parola, quieto ardore di spirito sempre operoso, rara semplicità di vita non senza un modesto vanto del suo lignaggio, pace serena e tranquilla, moderazione sempre inalterata e sicura, non però disgiunta da fortezza - la dolcezza nasce da chi è forte - con la quale sapeva amare teneramente, ma anche essere fermo e raggiungere il suo intento; sublime elevatezza di mente e amore della bellezza, desideroso di dare agli altri i sommi beni: il cielo e la poesia; zelo quasi infinito per le anime e amore di Dio, che quale fulgidissimo sole precede in lui le altre virtù: e tutte queste doti la sovrabbondanza della grazia divina sublimò e accrebbe: ecco le linee principali che, con altre simili, tracciano la sublime figura del Sales.

Molteplice zelo pastorale

Con queste doti di natura e di grazia si consacrò tutto alla Chiesa, e con molteplici cure rese fruttuoso il campo che gli era stato affidato. Esercitò il suo ministero pastorale anche in mezzo ai pericoli e alle insidie, scrisse libri pieni di sapienza, restaurò la sacra eloquenza e la profuse a guisa di largo fiume, riportò molti monasteri dalla scaduta disciplina al pieno vigore dell'osservanza religiosa e, insieme con santa Giovanna Francesca di Chantal, a lo unita da vincolo di spirituale soprannaturale amicizia, fondò l'istituto della Visitazione della Beata Vergine Maria. Questo Istituto, la cura e la gloria sua più illustre, con la grazia divina ebbe tanto splendida fioritura da potersi contare, quando egli passò da pesta vita, un ingente numero di monasteri di suore di quella denominazione.

Dispiegò tutto il suo zelo nel coltivare e fomentare dovunque la santità, giudicando così di aiutare nel miglior modo la Chiesa nel suo secolo contaminato dalla corruzione. Lasciò quindi ai posteri un esempio e una testimonianza, nei quali potessero continuamente rispecchiarsi.

Ma non meno illustri della santità della sua vita sono gli insegnamenti che egli ci ha lasciato, così adatti alle necessità del nostro tempo. Eccone alcuni principali, che sono come il cardine di ritolti altri.

La Chiesa, nel corso dei tempi, non può risplendere nella sua santità, senza l'ornamento di santi sacerdoti. E il sacerdote, più di qualunque cristiano, è un altro Cristo; la sua santità irradia da Cristo, sacerdote eterno e perfezionatore della fede, diventando così segno vivente della grazia di Cristo. La sincera devozione alla Vergine Madre di Dio diviene necessaria ad ogni fedele, ma soprattutto al sacerdote, poiché essa, oltre gli altri singolari benefici, è il modello del nostro amore a Dio, a Cristo e alla Chiesa; essa, che è la più dolce fra tutte, la Madre della grazia, l'esempio di ogni virtù, presenta nitidissimo l'ideale della perfezione evangelica.

Primato della carità

E nel coro delle virtù il primato spetta alla carità, non solo perché è la più importante, ma anche perché dà efficacia e armonia alle altre, giacché la virtù è l'ordine dell'amore. Per legge del Creatore, nell'uomo l'anima presiede al corpo, e tra le facoltà dell'anima eccelle la volontà che ha per suo re ed artefice l'amore. Con la carità dunque, quando risplende ed è ardente e operosa, tocchiamo l'apice della perfezione evangelica, ci uniamo intimamente con Dio, sommo bene e fonte di beatitudine, e, siccome Dio è carità, diventiamo simili a Dio per la partecipazione della sua natura. Con il Corpo di Cristo, cioè la Chiesa in cielo e in terra, noi siamo compaginati dalla carità, e siamo tenuti uniti da questo vincolo comune. Il famoso Trattato dell'amore di Dio è giustamente compendiato da questa celebre definizione della carità: «La carità è un amore di amicizia, una amicizia di dilezione, una dilezione di preferenza, ma di preferenza incomparabile, somma e soprannaturale, che è come un sole in tutta l'anima per abbellirla dei suoi raggi, in tutte le facoltà spirituali per perfezionarle, in tutte le potenze per governarle. Ma la carità risiede nella volontà, come sua sede, per abitarvi e farle preferire e amare Dio sopra tutte le cose. Beata l'anima nella quale è diffusa questa santa dilezione, perché con essa le vengono tutti i beni» (ST. FRANÇOIS DE SALES, Œuvres (édition complète), t. IV (Annecy, 1984), p. 165: Traité de l'amour de Dieu, livre II, chap. 22).

Il nuovo fiorisce sull'antico

Pare qui opportuno spiegare brevemente perché san Francesco di Sales sia un Dottore moderno e tanto adatto al tempo presente. Lo si deve chiamare Dottore originale e moderno, non perché rompe i legami di continuità con i più antichi, che anzi la sua dottrina è radicalmente aderente alla fede della Chiesa, alla sacra Tradizione, alla dottrina dei santi Padri; nel campo poi ascetico e mistico prende non poco specialmente da sant'Ignazio di Loyola, dal beato Giovanni d'Avita, da Luigi di Granata, da santa Teresa d'Avita, da san Giovanni della Croce - da questi indirettamente - e dalla scuola dei maestri italiani di ascetica.

Egli cerca però di porre l'antica dottrina sotto una nuova luce, di metterla sapientemente al servizio della vita moderna, opportunamente adattandola alle sue molteplici necessità. Non v'è dubbio che si serve anche dell'ausilio dell'arte, per giungere dalla verità al bene per una via rivestita dei fiori della pura bellezza. Egli infatti era stato formato alla scuola di Giovanni Maldonado a Parigi, e a quella di Antonio Possevino a Padova, e aveva acquisito una profonda cultura letteraria.

Sopraumanesimo cristocentrico

Egli quindi sa congiungere l'umanesimo con la ricerca e l'ascesa mistica, e sviluppare in sé e nei discepoli un graduale armonico affinamento di tutte le facoltà umane ( «Je suís tant homme que rien plus»: Œuvres, t. XIII (Lyon, 1904), p. 330; lettre du 2 novembre 1607 à la Baronne de Chantal; cf Œuvres, t. XX (Lyon, 1918), p. 216: «Il n'y a point d'âme au monde, comme je pense, qui chérissent plus cordialment, tendrement et, pour le dire tout à la bonne foi, plus amoureusement que moi; car il a plu à Dieu de faire mon cœur ainsi... je suís le plus affectif du monde».). Non si vuol dire con questo che il culto del bello sbocci spontaneamente nel fiore della mistica, ma che l'amore di Dio, scendendo dall'alto, non distrugge le facoltà naturali, anzi le eleva, le ordina e armonizza tra loro, ed esprime al vivo ogni forma di bellezza e tutta la perfezione della natura umana.

Perciò il suo, più che «umanesimo devoto», si deve chiamare «sopraumanesimo cristocentrico», accostandosi esso sotto ogni aspetto alla santità integrale che si addice all'uomo. E poiché si è venuti a parlare di santità, è qui opportuno toccare brevemente e correggere l'opinione di quanti ritengono che la vera santità, quale la propone la Chiesa cattolica, non riguarda né obbliga tutti i cristiani, ma solo qualcuno, sia singolarmente preso, sia associato ad altri per mezzo dei voti religiosi.

Questo vecchio errore ricompare in astrusi e aperti cavilli di certuni, i quali, sconcertati e sconcertatori, falsamente distinguono la perfezione cristiana della perfezione evangelica, e frappongono assurde distanze tra gli atti di carità dei monaci, dei sacerdoti, dei laici, oppure distorcono a false interpretazioni i decreti del recente Concilio Ecumenico, dove è chiaramente sancito e vivamente auspicato che anche tutti i fedeli e ogni classe di laici devono tendere con cuore indiviso alla santità della vita (Cf CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, cap. V, n. 40: AAS 57, 1965, pp. 44-45; Decreto Apostolicam actuositatem, cap. I, n. 4: AAS 58, 1966, pp. 840-842; Cost. pastorale Gaudium et spes, parte II, cap. I, n.48: AAS 58, 1966, pp. 1067-1069), poiché la grazia divina ne offre loro la possibilità.

Vocazione universale alla santità

Queste varie forme di santità sono proposte dal santo Vescovo di Ginevra con il nome significativo di devozione. «L'amore di Dio, quando fa che ci eleviamo a Lui con frequenza, prontezza e slancio, si chiama devozione» (Œuvres, t. III (Annecy, 1893), p. 15: Introduction à la vie dévote, partie I chap. 1).

E san Francesco di Sales insistentemente esorta e sospinge tutte le persone, pur diverse tra loro per sesso, censo e condizione, per ché, infiammate da santi desideri, sentano e vivano questa devozione.

La santità non è prerogativa dell'uno o dell'altro ceto; ma a tutti i cristiani è rivolto il pressante invito: «Amico, sali più in alto» (Lc 14,10); tutti sono vincolati dall'obbligo di salire il monte di Dio, anche se non tutti per la stessa via. «La devozione dev'essere esercitata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal cameriere, dal principe, dalla vedova, dalla giovane, dalla sposa. Ancor più, la pratica della devozione deve essere adattata alle forze, agli affari e ai doveri di ognuno. Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente che il Vescovo volesse vivere solitario come un Certosino? E se i mariti non volessero mettere a parte più denaro di quel che fanno i Cappuccini, se l'artigiano stesse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse ogni giorno ad ogni sorta di incontri per il servizio del prossimo, come un Vescovo, questa devozione non sarebbe ridicola, sregolata e insopportabile?... No, Filotea, la devozione, quando è vera, non guasta nulla, anzi perfeziona tutto; quando invece si rende contraria ai legittimi impegni di ciascuno, essa è certamente falsa» (Œuvres t. III. (Annecy, 1893), pp. 19-20: Introduction à la vie dévote, partie I, chap. 3).

A questo proposito gioverà richiamare un'altra sua bellissima sentenza, con cui egli interpreta allegoricamente il comando che Dio diede alla terra di germogliare verzura che facesse il seme, ed alberi fruttiferi che producessero il frutto della loro specie (Gn 1,11). «Non vediamo noi per esperienza che le piante e i frutti non hanno la loro giusta crescenza e maturità, se non quando producono i grani e i semi, che servano alla produzione di erbe e di alberi della stessa specie? Così le nostre virtù non hanno la loro giusta misura e sufficienza, fino a che non producono in noi desideri di progresso, i quali, come semente spirituale, servano a produrre nuovi gradi di virtù. E mi sembra che la terra del nostro cuore abbia ricevuto l'ordine di far germogliare le erbe delle virtù, che portino i frutti delle opere sante, ognuna secondo la sua specie; ogni cosa ha l'ordine di produrre desideri e propositi di accrescimento, di progresso quotidiano nella perfezione. La virtù che non ha il grano e il seme di questi desideri, non è affatto sufficiente e matura» (Œuvres, t. V (Annecy, 1894), p. 82: Traité de l'amour de Dieu. lib. VIII, chap. 8).

Metodo di ecumenismo

Nel Decreto conciliare sull'Ecumenismo è stabilito: «Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è più alieno dall'ecumenismo, quanto quel falso irenismo, dal quale viene a soffrirne la purezza della dottrina cattolica e ne viene oscurato il senso genuino e preciso... Inoltre nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà» (CONC. VAT. II, Decreto sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, cap. II, n. 11: AAS 57, 1965, p. 99). Nel trattare con gli eterodossi, san Francesco di Sales prevenne di secoli i nostri tempi e le nostre abitudini; il suo metodo tiene una via luminosa, che dev'essere anche oggi imitata. Si trova in lui somma integrità di vita, somma dolcezza e benignità. Non è mai violento nelle dispute, ama gli erranti mentre corregge gli errori; e se le sue posizioni sono diverse, egli non usa mai l'opposizione polemica, e avvicina la lucerna alla lucerna; tenace nell'amare, nel pregare e nell'illuminare, sa pazientare a lungo, sa ricondurre gradatamente gli erranti alla pienezza della verità, dalla quale non è lecito ad alcuno di allontanarsi, e che nessuno ha il permesso di diminuire. E quali i suoi frutti? Per opera sua, nella sola provincia di Châlons-sur-Saône settantadue mila uomini ritornarono all'unione con la Sede Apostolica.

Modello degli scrittori cattolici

Non meno che nel discutere, ebbe singolare disposizione allo scrivere. Quanta abbondanza di dottrina nei libri da lui composti, quanta chiarezza di pensiero, quanta nativa grazia ed aurea eleganza! L'argomento si svolge armonico: la lettura è sommamente piacevole, istruttiva, stimolante.

Quando scrive, come quando predicava al popolo, i suoi lettori, come una volta i suoi uditori, hanno un solo timore: che egli abbia a finire troppo presto. La sua parola possiede la dote più eccelsa dell'arte, la costante vivacità che Pindaro ha così splendidamente espresso: «Se uno si esprime in modo esimio, le sue parole hanno una risonanza immortale: varcano terre feracissime e il mare; e la luce delle insigni gesta è raggio che mai si estinguerà» (PINDARO, Isth., Od. IV, vv. 45-47).

Dato agli scrittori e giornalisti cattolici quale efficace Patrono celeste, li richiami con l'esempio, li diriga con l'autorità, affinché, non mai fallaci a motivo di lucro né ingannati da pregiudizi, ma imbevuti dello spirito di Cristo e onesti cultori della verità, compiano il loro dovere per il bene comune, e possano rendersi benemeriti della fede cattolica, della quale sono servitori. Così facendo ottempereranno lodevolmente al Decreto sui mezzi di comunicazione sociale (cap. 14) del Concilio Ecumenico Vaticano II, e non tradiranno dolorosamente la speranza e l'attesa in loro riposta.

Ecclesiologia

Alla genuina immagine del santo Vescovo di Ginevra mancherebbe ora un tratto importantissimo, se si passasse sotto silenzio la sua eccellente e ricca dottrina sul mistero della Chiesa, sulla sua ampiezza, natura e autorità. Quanto amorosa fu la sua riverenza - dote comune del resto a tutti i Santi - e quanto il suo costante e amabile zelo fu pieno di rispetto verso la Chiesa, madre e maestra, dove sulla cattedra dell'unità è riposta la dottrina della verità!

Quali siano i fondamenti della Chiesa, e dove siano riposti, egli lo dichiarò con tanta sicurezza da poter servire non poco alla chiara interpretazione della Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Ecumenico. Tralasciando altri passi, riportiamo questo: «Nostro Signore è fondamento e fondatore, fondamento senz'altro fondamento, fondamento della Chiesa naturale, mosaica ed evangelica, fondamento perpetuo e immortale, fondamento della Chiesa militante e trionfante, fondamento di se stesso, fondamento della nostra fede, speranza e carità, e del valore dei Sacramenti. San Pietro è fondamento e non fondatore di tutta la Chiesa, fondamento, ma fondato su un altro fondamento che è nostro Signore, fondamento della sola Chiesa evangelica, fondamento soggetto a successione, fondamento della Chiesa militante, non di quella trionfante, fondamento per partecipazione, fondamento di servizio, non di dominio, e in nessun modo fondamento della nostra fede, speranza e carità, né del valore dei sacramenti...

I fondamenti della Chiesa

Tuttavia, nell'autorità e nel governo san Pietro ha sorpassato tutti gli altri di tanto quanto il capo supera le membra; poiché egli è stato costituito pastore ordinario e capo supremo della Chiesa, gli altri sono stati pastori inviati e designati in altre parti della Chiesa, con potere e autorità su tutta la Chiesa, altrettanto piena che in san Pietro, senonché san Pietro era loro comune capo, e loro pastore come di tutta la cristianità.

Così essi furono fondamento della Chiesa con lui e al pari di lui, quanto alla conversione delle anime e per dottrina; ma quanto all'autorità e al governo, essi lo furono in modo disuguale, perché san Pietro era il capo ordinario non solo delle altre parti di tutta la Chiesa, ma anche degli Apostoli. Infatti, nostro Signore aveva edificato su di lui tutta la sua Chiesa, della quale essi erano non solo parti, ma le parti principali e più nobili» (Œuvres, t. I (Annency, 1892), pp. 237-238 e 239: Controverses, pars II, cap. VI, art. 2).

Abramo e san Pietro

È anche molto opportuno che con intelligente giudizio e profonda riflessione si mediti la similitudine che il Sales suggerisce tra Abramo e san Pietro. L'uno e l'altro sono pietra, padre dei credenti, padre di molte genti, cioè di una discendenza, promessa - in premio della fede in Cristo - all'uno come arena del mare e moltitudine di stelle rutilanti in cielo, all'altro come immenso gregge di pecore e di agnelli. «Poiché, se Abramo fu così chiamato per il fatto di dover essere padre di molti popoli, san Pietro ha ricevuto questo nome perché su di lui come su solida pietra, doveva essere fondata la moltitudine dei cristiani. Per questa rassomiglianza san Bernardo chiama la dignità di san Pietro: Patriarcato di Abramo» (Cf ibid. p. 230; SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE, De consideratione, lib. II, cap. 8, n. 15: PL 182, 751).

Con queste profonde aspirazioni, con questi propositi di vita, con questa piena affermazione di integra fede cattolica, impreziosite quanto meglio potete le celebrazioni del quarto Centenario della nascita di san Francesco di Sales. Nel mutuo legame della comunione dei Santi, il grande Dottore, sorgente di luce per la santa Chiesa, risponderà al nostro ossequio con l'aiuto dei suoi meriti e della sua potente e pietosa preghiera presso Dio.

Preghiera finale

Questa sapientissima guida delle anime vi impetri la dolce mansuetudine del divino Redentore, il quale ci ha insegnato ad essere miti e umili di cuore, e come tali, a possedere la terra.

Il Dottore della direzione spirituale introduca in folta schiera i suoi discepoli nelle deliziose e sante vie, che egli ha tracciato con norme adatte; susciti una fiamma più ardente di carità, riaccenda negli uomini il desiderio della salute eterna, insegnando ai suoi devoti ad amare non a parole ma con le opere, sinceramente (Cf 1 Gv 3,18), sostenga i Vescovi nel fedele compimento del loro dovere, lui che ne è l'onore e il modello; con premurosa cura assista l'Istituto delle suore della Visitazione da lui fondato, custodisca benigno la famiglia Salesiana di san Giovanni Bosco, e le altre che da lui hanno preso il metodo, i principi e la forma di vita spirituale; agli scrittori e giornalisti cattolici inculchi e ottenga che si accostino il più possibile alla verità con pura coscienza e lealtà incensurabile; con la sua potente preghiera sia propizio ad Annecy e alla Savoia, sua dolce terra natale, perché abbia a rifiorire e s'ingemmi dell'antica pietà, a Ginevra, sede della sua dignità episcopale, alla Svizzera e al Piemonte ottenga un accrescimento di luce e di pace evangelica; e infine, a quanti in suo onore celebreranno queste feste centenarie, conceda che cresca in essi, secondo il suo insegnamento, «l'albero del desiderio della santità» («L'arbre du désir de sainteté»: Œuvres, t. XXII (Annency 1902), p. 264: lettre du 3 mai 1604 à la Baronne de Chantal); impetri a tutti l'abbondanza dei migliori doni celesti.

Con il vivo desiderio che san Francesco di Sales, con la sua caratteristica benignità, assista Noi pure nell'adempire con rettitudine, fortezza, soavità il Nostro ministero in mezzo a tante difficoltà e novità impreviste, a voi, diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, al clero e al popolo affidato alle vostre cure, di cuore impartiamo l'Apostolica Benedizione, auspice e pegno di grazia copiosa e di celeste dolcezza.

Dato a Roma presso san Pietro, il 29 gennaio 1967, quarto anno del Nostro Pontificato.

PAOLO PP. VI

http://img251.imageshack.us/img251/7715/guardians4desales9di6yo.jpg http://www.oceansbridge.com/paintings/collections/92-saints/big/Carlo_Maratta_XX_The_Virgin_Appears_to_St._Francis _de_Sales_(St._Francis_de_Sales).jpg Carlo Maratta, La Vergine appare a S. Francesco di Sales, 1660 circa

Augustinus
22-02-05, 14:45
GIOVANNI PAOLO II

LETTERA APOSTOLICA

IL RAPIDO SVILUPPO

AI RESPONSABILI
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

1. Il rapido sviluppo delle tecnologie nel campo dei media è sicuramente uno dei segni del progresso dell'odierna società. Guardando a queste novità in continua evoluzione, appare ancor più attuale quanto si legge nel Decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II Inter mirifica, promulgato dal mio venerato predecessore, il servo di Dio Paolo VI, il 4 dicembre 1963: «Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto ai nostri giorni, l'ingegno umano, con l'aiuto di Dio, ha tratto dal creato, la Madre Chiesa accoglie e segue con speciale cura quelle che più direttamente riguardano lo spirito dell'uomo e che hanno aperto nuove vie per comunicare, con massima facilità, notizie, idee e insegnamenti d'ogni genere».[1]

I. Un fecondo cammino sulla scia del Decreto Inter mirifica

2. Ad oltre quarant'anni dalla pubblicazione di quel documento appare quanto mai opportuno tornare a riflettere sulle «sfide» che le comunicazioni sociali costituiscono per la Chiesa, la quale, come fece notare Paolo VI, «si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi».[2] La Chiesa, infatti, non è chiamata soltanto ad usare i media per diffondere il Vangelo ma, oggi più che mai, ad integrare il messaggio salvifico nella 'nuova cultura' che i potenti strumenti della comunicazione creano ed amplificano. Essa avverte che l'uso delle tecniche e delle tecnologie della comunicazione contemporanea fa parte integrante della propria missione nel terzo millennio.

Mossa da questa consapevolezza, la comunità cristiana ha compiuto passi significativi nell'uso degli strumenti della comunicazione per l'informazione religiosa, per l'evangelizzazione e la catechesi, per la formazione degli operatori pastorali del settore e per l'educazione ad una matura responsabilità degli utenti e destinatari dei vari strumenti della comunicazione.

3. Molteplici sono le sfide per la nuova evangelizzazione in un mondo ricco di potenzialità comunicative come il nostro. In considerazione di ciò nella Lettera enciclica Redemptoris missio ho voluto sottolineare che il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, capace di unificare l'umanità rendendola — come si suol dire — «un villaggio globale». I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Si tratta di un problema complesso, poiché tale cultura, prima ancora che dai contenuti, nasce dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con tecniche e linguaggi inediti.

La nostra è un'epoca di comunicazione globale, dove tanti momenti dell'esistenza umana si snodano attraverso processi mediatici, o perlomeno con essi devono confrontarsi. Mi limito a ricordare la formazione della personalità e della coscienza, l'interpretazione e la strutturazione dei legami affettivi, l'articolazione delle fasi educative e formative, l'elaborazione e la diffusione di fenomeni culturali, lo sviluppo della vita sociale, politica ed economica.

In una visione organica e corretta dello sviluppo dell'essere umano, i media possono e devono promuovere la giustizia e la solidarietà, riportando in modo accurato e veritiero gli eventi, analizzando compiutamente le situazioni e i problemi, dando voce alle diverse opinioni. I criteri supremi della verità e della giustizia, nell'esercizio maturo della libertà e della responsabilità, costituiscono l'orizzonte entro cui si situa un'autentica deontologia nella fruizione dei moderni potenti mezzi di comunicazione sociale.

II. Discernimento evangelico e impegno missionario

4. Anche il mondo dei media abbisogna della redenzione di Cristo. Per analizzare con gli occhi della fede i processi e il valore delle comunicazioni sociali può essere di indubbio aiuto l'approfondimento della Sacra Scrittura, la quale si presenta come un «grande codice» di comunicazione di un messaggio non effimero ed occasionale, ma fondamentale per la sua valenza salvifica.

La storia della salvezza racconta e documenta la comunicazione di Dio con l'uomo, comunicazione che utilizza tutte le forme e le modulazioni del comunicare. L'essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, per accogliere la rivelazione divina e per intessere un dialogo d'amore con Lui. A causa del peccato, questa capacità di dialogo a livello sia personale che sociale si è alterata, e gli uomini hanno fatto e continuano a fare l'amara esperienza dell'incomprensione e della lontananza. Dio però non li ha abbandonati e ha inviato loro il suo stesso Figlio (cfr Mc 12, 1-11). Nel Verbo fatto carne l'evento comunicativo assume il suo massimo spessore salvifico: è così donata all'uomo, nello Spirito Santo, la capacità di ricevere la salvezza e di annunciarla e testimoniarla ai fratelli.

5. La comunicazione tra Dio e l'umanità ha raggiunto dunque la sua perfezione nel Verbo fatto carne. L'atto d'amore attraverso il quale Dio si rivela, unito alla risposta di fede dell'umanità, genera un dialogo fecondo. Proprio per questo, facendo nostra, in un certo modo, la richiesta dei discepoli «insegnaci a pregare» (Lc 11,1), possiamo domandare al Signore di guidarci a capire come comunicare con Dio e con gli uomini attraverso i meravigliosi strumenti della comunicazione sociale. Ricondotti nell'orizzonte di tale comunicazione ultima e decisiva, i media si rivelano una provvidenziale opportunità per raggiungere gli uomini in ogni latitudine, superando barriere di tempo, di spazio e di lingua, formulando nelle modalità più diverse i contenuti della fede ed offrendo a chiunque è in ricerca approdi sicuri che permettano di entrare in dialogo con il mistero di Dio rivelato pienamente in Cristo Gesù.

Il Verbo incarnato ci ha lasciato l'esempio di come comunicare con il Padre e con gli uomini, sia vivendo momenti di silenzio e di raccoglimento, sia predicando in ogni luogo e con i vari linguaggi possibili. Egli spiega le Scritture, si esprime in parabole, dialoga nell'intimità delle case, parla nelle piazze, lungo le strade, sulle sponde del lago, sulle sommità dei monti. L'incontro personale con Lui non lascia indifferenti, anzi stimola ad imitarlo: «Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti» (Mt 10,27).

Vi è poi un momento culminante in cui la comunicazione si fa comunione piena: è l'incontro eucaristico. Riconoscendo Gesù nella «frazione del pane» (cfr Lc 24,30-31), i credenti si sentono spinti ad annunciare la sua morte e risurrezione e a diventare coraggiosi e gioiosi testimoni del suo Regno (cfr Lc 24,35).

6. Grazie alla Redenzione, la capacità comunicativa dei credenti è sanata e rinnovata. L'incontro con Cristo li costituisce nuove creature, permette loro di entrare a far parte di quel popolo che Egli si è conquistato con il suo sangue morendo sulla Croce, e li introduce nella vita intima della Trinità, che è comunicazione continua e circolare di amore perfetto e infinito tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

La comunicazione permea le dimensioni essenziali della Chiesa, chiamata ad annunciare a tutti il lieto messaggio della salvezza. Per questo essa assume le opportunità offerte dagli strumenti della comunicazione sociale come percorsi dati provvidenzialmente da Dio ai nostri giorni per accrescere la comunione e rendere più incisivo l'annuncio.[3] I media permettono di manifestare il carattere universale del Popolo di Dio, favorendo uno scambio più intenso e immediato tra le Chiese locali, alimentando la reciproca conoscenza e la collaborazione.

Rendiamo grazie a Dio per la presenza di questi potenti mezzi che, se usati dai credenti con il genio della fede e nella docilità alla luce dello Spirito Santo, possono contribuire a facilitare la diffusione del Vangelo e a rendere più efficaci i vincoli di comunione tra le comunità ecclesiali.

III. Cambiamento di mentalità e rinnovamento pastorale

7. Nei mezzi della comunicazione la Chiesa trova un sostegno prezioso per diffondere il Vangelo e i valori religiosi, per promuovere il dialogo e la cooperazione ecumenica e interreligiosa, come pure per difendere quei solidi principi che sono indispensabili per costruire una società rispettosa della dignità della persona umana e attenta al bene comune. Essa li impiega volentieri per fornire informazioni su se stessa e dilatare i confini dell'evangelizzazione, della catechesi e della formazione e ne considera l'utilizzo come una risposta al comando del Signore: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).

Missione certamente non facile in questa nostra epoca, in cui va diffondendosi la convinzione che il tempo delle certezze sia irrimediabilmente passato: per molti l'uomo dovrebbe imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all'insegna del provvisorio e del fuggevole.[4] In questo contesto, gli strumenti di comunicazione possono essere usati «per proclamare il Vangelo o per ridurlo al silenzio nei cuori degli uomini».[5] Ciò rappresenta una sfida seria per i credenti, soprattutto genitori, famiglie e quanti sono responsabili della formazione dell'infanzia e della gioventù. Con prudenza e saggezza pastorale vanno incoraggiati nella comunità ecclesiale coloro che hanno particolari doti per operare nel mondo dei media, perché diventino professionisti capaci di dialogare con il vasto mondo mass-mediale.

8. Valorizzare i media non tocca però solamente agli «addetti» del settore, bensì a tutta la Comunità ecclesiale. Se, come è stato già rilevato, le comunicazioni sociali interessano diversi ambiti dell'espressione della fede, i cristiani devono tenere conto della cultura mediatica in cui vivono: dalla liturgia, somma e fondamentale espressione della comunicazione con Dio e con i fratelli, alla catechesi che non può prescindere dal fatto di rivolgersi a soggetti che risentono dei linguaggi e della cultura contemporanei.

Il fenomeno attuale delle comunicazioni sociali spinge la Chiesa ad una sorta di revisione pastorale e culturale così da essere in grado di affrontare in modo adeguato il passaggio epocale che stiamo vivendo. Di questa esigenza devono farsi interpreti anzitutto i Pastori: è infatti importante adoperarsi perché l'annuncio del Vangelo avvenga in modo incisivo, che ne stimoli l'ascolto e ne favorisca l'accoglimento.[6] Una particolare responsabilità, in questo campo, è riservata alle persone consacrate, che dal proprio carisma istituzionale sono orientate all'impegno nel campo delle comunicazioni sociali. Formate spiritualmente e professionalmente, esse «prestino volentieri il loro servizio, secondo le opportunità pastorali [...] affinché da una parte siano scongiurati i danni provocati dall'uso viziato dei mezzi e dall'altra venga promossa una superiore qualità delle trasmissioni, con messaggi rispettosi della legge morale e ricchi di valori umani e cristiani».[7]

9. È proprio in considerazione dell'importanza dei media che già quindici anni or sono giudicavo inopportuno lasciarli all'iniziativa di singoli o di piccoli gruppi, e suggerivo di inserirli con evidenza nella programmazione pastorale.[8] Le nuove tecnologie, in particolare, creano ulteriori opportunità per una comunicazione intesa come servizio al governo pastorale e all'organizzazione dei molteplici compiti della comunità cristiana. Si pensi, ad esempio, a come internet non solo fornisca risorse per una maggiore informazione, ma abitui le persone ad una comunicazione interattiva.[9] Molti cristiani stanno già utilizzando in modo creativo questo nuovo strumento, esplorandone le potenzialità nell'evangelizzazione, nell'educazione, nella comunicazione interna, nell'amministrazione e nel governo. Ma a fianco di internet vanno utilizzati altri nuovi media e verificate tutte le possibili valorizzazioni di strumenti tradizionali. Quotidiani e giornali, pubblicazioni di varia natura, televisioni e radio cattoliche rimangono molto utili in un panorama completo della comunicazione ecclesiale.

Mentre i contenuti vanno naturalmente adattati alle necessità dei differenti gruppi, il loro scopo dovrebbe sempre essere quello di rendere le persone consapevoli della dimensione etica e morale dell'informazione.[10] Allo stesso modo, è importante garantire formazione ed attenzione pastorale ai professionisti della comunicazione. Spesso questi uomini e queste donne si trovano di fronte a pressioni particolari e a dilemmi etici che emergono dal lavoro quotidiano; molti di loro «sono sinceramente desiderosi di sapere e di praticare ciò che è giusto in campo etico e morale», e attendono dalla Chiesa orientamento e sostegno.[11]

IV. I media, crocevia delle grandi questioni sociali

10. La Chiesa, che in forza del messaggio di salvezza affidatole dal suo Signore è anche maestra di umanità, avverte il dovere di offrire il proprio contributo per una migliore comprensione delle prospettive e delle responsabilità connesse con gli attuali sviluppi delle comunicazioni sociali. Proprio perché influiscono sulla coscienza dei singoli, ne formano la mentalità e ne determinano la visione delle cose, occorre ribadire in modo forte e chiaro che gli strumenti della comunicazione sociale costituiscono un patrimonio da tutelare e promuovere. È necessario che anche le comunicazioni sociali entrino in un quadro di diritti e doveri organicamente strutturati, dal punto di vista sia della formazione e della responsabilità etica che del riferimento alle leggi ed alle competenze istituzionali.

Il positivo sviluppo dei media a servizio del bene comune è una responsabilità di tutti e di ciascuno.[12] Per i forti legami che i media hanno con l'economia, la politica e la cultura, è necessario un sistema di gestione che sia in grado di salvaguardare la centralità e la dignità della persona, il primato della famiglia, cellula fondamentale della società, ed il corretto rapporto tra i diversi soggetti.

11. S'impongono alcune scelte riconducibili a tre fondamentali opzioni: formazione, partecipazione, dialogo.

In primo luogo occorre una vasta opera formativa per far sì che i media siano conosciuti e usati in modo consapevole e appropriato. I nuovi linguaggi da loro introdotti modificano i processi di apprendimento e la qualità delle relazioni umane, per cui senza un'adeguata formazione si corre il rischio che essi, anziché essere al servizio delle persone, giungano a strumentalizzarle e condizionarle pesantemente. Questo vale, in modo speciale, per i giovani che manifestano una naturale propensione alle innovazioni tecnologiche, ed anche per questo hanno ancor più bisogno di essere educati all'utilizzo responsabile e critico dei media.

In secondo luogo, vorrei richiamare l'attenzione sull'accesso ai media e sulla partecipazione corresponsabile alla loro gestione. Se le comunicazioni sociali sono un bene destinato all'intera umanità, vanno trovate forme sempre aggiornate per rendere possibile un'ampia partecipazione alla loro gestione, anche attraverso opportuni provvedimenti legislativi. Occorre far crescere la cultura della corresponsabilità.

Da ultimo, non vanno dimenticate le grandi potenzialità che i media hanno nel favorire il dialogo, divenendo veicoli di reciproca conoscenza, di solidarietà e di pace. Essi costituiscono una risorsa positiva potente, se messi a servizio della comprensione tra i popoli; un'«arma» distruttiva, se usati per alimentare ingiustizie e conflitti. In maniera profetica il mio venerato predecessore, il Beato Giovanni XXIII, nell'Enciclica Pacem in terris, aveva già messo in guardia l'umanità da tali potenziali rischi.[13]

12. Grande interesse desta la riflessione sul ruolo «dell'opinione pubblica nella Chiesa» e «della Chiesa nell'opinione pubblica». Incontrando gli editori dei periodici cattolici, il mio venerato predecessore Pio XII ebbe a dire che qualcosa mancherebbe nella vita della Chiesa se non vi fosse l'opinione pubblica. Questo stesso concetto è stato ribadito in altre circostanze,[14] e nel Codice di Diritto Canonico è riconosciuto, a determinate condizioni, il diritto all'espressione della propria opinione.[15] Se è vero che le verità di fede non sono aperte ad interpretazioni arbitrarie e il rispetto per i diritti degli altri crea limiti intrinseci all'espressione delle proprie valutazioni, non è meno vero che in altri campi esiste tra i cattolici uno spazio per lo scambio di opinioni, in un dialogo rispettoso della giustizia e della prudenza.

Sia la comunicazione all'interno della comunità ecclesiale che quella della Chiesa con il mondo richiedono trasparenza e un modo nuovo di affrontare le questioni connesse con l'universo dei media. Tale comunicazione deve tendere a un dialogo costruttivo per promuovere nella comunità cristiana un'opinione pubblica rettamente informata e capace di discernimento. La Chiesa ha la necessità e il diritto di far conoscere le proprie attività, come altre istituzioni e gruppi, ma al tempo stesso, quando necessario, deve potersi garantire un'adeguata riservatezza, senza che ciò pregiudichi una comunicazione puntuale e sufficiente sui fatti ecclesiali. È questo uno dei campi dove maggiormente è richiesta la collaborazione tra fedeli laici e Pastori, giacché, come opportunamente sottolinea il Concilio, «da questi familiari rapporti tra i laici e i Pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa: in questo modo infatti si è fortificato nei laici il senso della loro responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all'opera dei Pastori. E questi, aiutati dall'esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e più giustamente sia in materia spirituale che temporale, così che tutta la Chiesa, sostenuta da tutti i suoi membri, possa compiere con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo».[16]

V. Comunicare con la forza dello Spirito Santo

13. Per i credenti e per le persone di buona volontà la grande sfida in questo nostro tempo è sostenere una comunicazione veritiera e libera, che contribuisca a consolidare il progresso integrale del mondo. A tutti è chiesto di saper coltivare un attento discernimento e una costante vigilanza, maturando una sana capacità critica di fronte alla forza persuasiva dei mezzi di comunicazione.

Anche in questo campo i credenti in Cristo sanno di poter contare sull'aiuto dello Spirito Santo. Aiuto ancor più necessario se si considera quanto amplificate possano risultare le difficoltà intrinseche della comunicazione a causa delle ideologie, del desiderio di guadagno e di potere, delle rivalità e dei conflitti tra individui e gruppi, come pure a motivo delle umane fragilità e dei mali sociali. Le moderne tecnologie aumentano in maniera impressionante la velocità, la quantità e la portata della comunicazione, ma non favoriscono altrettanto quel fragile scambio tra mente e mente, tra cuore e cuore, che deve caratterizzare ogni comunicazione al servizio della solidarietà e dell'amore.

Nella storia della salvezza Cristo si è presentato a noi come «comunicatore» del Padre: «Dio, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,2). Parola eterna fatta carne, Egli, nel comunicarsi, manifesta sempre rispetto per coloro che ascoltano, insegna la comprensione della loro situazione e dei loro bisogni, spinge alla compassione per la loro sofferenza e alla risoluta determinazione nel dire loro quello che hanno bisogno di sentire, senza imposizioni o compromessi, inganno o manipolazione. Gesù insegna che la comunicazione è un atto morale: «L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio, poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» (Mt 12,35-37).

14. L'apostolo Paolo ha un chiaro messaggio per quanti sono impegnati nella comunicazione sociale — politici, comunicatori professionisti, spettatori: «Bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri [...] Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano» (Ef 4,25.29).

Agli operatori della comunicazione, e specialmente ai credenti che operano in questo importante ambito della società, applico l'invito che fin dall'inizio del mio ministero di Pastore della Chiesa universale ho voluto lanciare al mondo intero: «Non abbiate paura!».

Non abbiate paura delle nuove tecnologie! Esse sono «tra le cose meravigliose» — «inter mirifica» — che Dio ci ha messo a disposizione per scoprire, usare, far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di figli suoi, eredi del suo Regno eterno.

Non abbiate paura dell'opposizione del mondo! Gesù ci ha assicurato «Io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

Non abbiate paura nemmeno della vostra debolezza e della vostra inadeguatezza! Il divino Maestro ha detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Comunicate il messaggio di speranza, di grazia e di amore di Cristo, mantenendo sempre viva, in questo mondo che passa, l'eterna prospettiva del Cielo, prospettiva che nessun mezzo di comunicazione potrà mai direttamente raggiungere: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo: queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,9).

A Maria, che ci ha donato il Verbo della vita e di Lui ha serbato nel cuore le imperiture parole, affido il cammino della Chiesa nel mondo d'oggi. Ci aiuti la Vergine Santa a comunicare con ogni mezzo la bellezza e la gioia della vita in Cristo nostro Salvatore.

A tutti la mia Benedizione!

Dal Vaticano, 24 gennaio 2005, memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

IOANNES PAULUS II

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NOTE

[1] Decr. Inter mirifica, 1.

[2] Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975): AAS 68 (1976), 35.

[3] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 18-24: AAS 81 (1989), 421-435; cfr Pont. Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Istr. past. Ætatis novæ (22 febbraio 1992), 10: AAS 84 (1992), 454-455.

[4] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio (14settembre 1998), 91: AAS 91 (1999), 76-77.

[5] Pont. Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Istr. past. Ætatis novæ (22 febbraio 1992), 4: AAS 84 (1992), 450.

[6] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale, Pastores gregis, 30: L'Osservatore Romano, 17 ottobre 2003, p.6.

[7] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale, Vita consecrata (25 marzo 1996), 99: AAS 88 (1996), 476.

[8] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 37: AAS 83 (1991), 282-286.

[9] Cfr Pont. Consiglio delle Comunicazioni Sociali, La Chiesa e internet (22 febbraio 2002), 6, Città del Vaticano, 2002, pp.13-15.

[10] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Inter mirifica, 15-16; Pont. Commissione per le Comunicazioni Sociali, Istr. past. Communio et progressio (23 maggio 1971), 107: AAS 63 (1971), 631-632; Pont. Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Istr. past. Ætatis novæ (22 febbraio 1992), 18: AAS 84 (1992), 460.

[11] Cfr Pont. Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Istr. past. Aetatis novae (22 febbraio 1992), 19: AAS 84 (1992), 460.

[12] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2494.

[13] Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la 37a Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2003): L'Osservatore Romano, 25 gennaio 2003, p.6.

[14] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 37; Pont. Commissione per le Comunicazioni Sociali, Istr. past. Communio et progressio (23 maggio 1971),114-117: AAS 63 (1971), 634-635.

[15] Can. 212, §3: «In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l'integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l'utilità comune e la dignità della persona»; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 15, §3.

[16] Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 37.

Augustinus
24-01-06, 22:38
Visitazione della Beata Vergine Maria a S. Elisabetta (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144750)

S. Giovanna Francesca de Chantal (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=185188)

Trovò ispirazione in S. Francesco di Sales: S. Giovanni Bosco sacerdote ed educatore (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=83021)

Degna figlia spirituale: S. Margherita Maria Alacocque (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144852)

Augustinus
25-01-06, 10:21
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 388-394

29 GENNAIO

SAN FRANCESCO DI SALES,
VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA

Ecco venire alla culla del dolce Figlio di Maria l'angelico vescovo Francesco di Sales, degno di occuparvi un posto distinto per la soavità della sua virtù, per l'amabile infanzia del suo cuore, per l'umiltà e la tenerezza del suo amore. Eccolo giungere circondato da una magnifica scorta: settantaduemila eretici sottomessi alla Chiesa dall'influsso della sua carità; un intero Ordine di ancelle del Signore concepito nel suo amore, realizzato dal suo genio celeste; tante migliaia di anime conquistate alla pietà dai suoi insegnamenti tanto sicuri quanto liberali, che gli hanno meritato il titolo di Dottore.

Dio lo diede alla Chiesa per consolarla delle bestemmie dell'eresia la quale andava predicando che la fede romana era sterile per la carità; pose questo vero ministro del vangelo di fronte agli accaniti seguaci di Calvino; e l'ardore della carità di Francesco di Sales sciolse il ghiaccio di quei cuori ostinati. Se avete degli eretici da convincere - diceva il dotto cardinale du Perron - potete mandarli da me; se avete degli eretici da convertire, indirizzateli al vescovo di Ginevra.

Francesco di Sales si erge dunque, in mezzo al suo secolo, come vivente immagine di Cristo che apre le braccia e chiama i peccatori alla penitenza, gli erranti alla verità, i giusti al progresso verso Dio, e tutti alla fiducia e all'amore. Lo Spirito divino si era posato su di lui con tutta la sua forza e tutta la sua dolcezza: era logico, nei giorni in cui abbiamo celebrato la discesa di quello Spirito sul Verbo nelle acque del Giordano, non dimenticare il rapporto che corre fra il grande Vescovo e il suo divin Capo. Un giorno di Pentecoste, ad Annecy, Francesco era all'altare, per offrire il divin Sacrificio. Una colomba entrata nella Cattedrale, fu spaventata dai canti e dalla moltitudine del popolo. Dopo aver volteggiato a lungo, andò a posarsi, con grande emozione dei fedeli, sul capo del santo Vescovo: chiaro simbolo della dolcezza di Francesco come il globo di fuoco che apparve, durante i sacri Misteri, sul capo di san Martino indicava l'ardore che divorava il cuore dell'Apostolo delle Gallie.

Un'altra volta, nella Festa della Natività della Vergine, Francesco stava officiando i Vespri, nella Collegiale di Annecy. Era assiso su un trono i cui bassorilievi rappresentavano l'Albero profetico di Jesse, che ha prodotto, secondo l'oracolo di Isaia, il virgineo ramo da cui è uscito il fiore divino sul quale si è posato lo Spirito d'amore. Si stavano cantando i Salmi allorché, da una fessura della vetrata del coro, dalla parte dell'Epistola, una colomba penetra nella Chiesa. Dopo aver volteggiato per qualche tempo, dice lo storico, andò a posarsi sulla spalla del santo Vescovo, e di qui sui suoi ginocchi, donde la presero i ministri assistenti. Dopo i Vespri, Francesco, desideroso di allontanare da sé la favorevole applicazione che quel simbolo ispirava naturalmente al popolo, salì sulla cattedra, e si affrettò a togliere qualunque idea d'un favore celeste che fosse stato fatto alla sua persona, celebrando Maria che, piena della grazia dello Spirito Santo, ha meritato di essere chiamata la colomba tutta bella, nella quale non v'è alcuna macchia.

Se si vuoi trovare fra i discepoli del Salvatore il tipo di santità che fu elargito al santo Prelato, la mente e il cuore corrono subito a Giovanni, il discepolo prediletto. Francesco di Sales è al pari di lui l'Apostolo della carità; e la semplicità dell'Evangelista che stringe un uccellino fra le sue venerabili mani, è madre di quella graziosa innocenza che è nel cuore del Vescovo di Ginevra. Giovanni, al solo vederlo, a sol sentirne la voce, faceva amare Gesù; e i contemporanei di Francesco dicevano: O Dio, se tale è la bontà del Vescovo di Ginevra, quale deve mai essere la tua!

Questo rapporto fra l'amico di Cristo e Francesco di Sales si rivelò ancora nell'istante supremo, allorché il giorno stesso di san Giovanni, dopo aver celebrato la santa Messa e aver comunicato di sua mano le dilette figlie della Visitazione, sentì quel mancamento che doveva recare alla sua anima la liberazione dai legami del corpo. Si strinsero attorno a lui; ma la sua conversazione era ormai nel cielo. Volò verso la sua patria l'indomani, nella festa dei santi Innocenti in mezzo ai quali aveva diritto di riposare eternamente per il candore e la semplicità della sua anima.

Il posto di Francesco di Sales sul calendario era dunque segnato in compagnia dell'Amico del Salvatore e di quelle tenere vittime che la Chiesa paragona a un grazioso mazzo di rose; e se è stato impossibile collocare la sua memoria nell'anniversario della sua dipartita da questo mondo perché quei due giorni sono occupati dalla solennità di san Giovanni e da quella dei Bambini di Betlemme, per lo meno la santa Chiesa ha potuto ancora celebrare la sua festa nel periodo di tempo consacrato ad onorare la Nascita dell'Emmanuele.

Spetta dunque a questo amante del neonato Re rivelarci le attrattive del Bambino della mangiatoia. Cercheremo il suo pensiero, per nutrircene nella sua corrispondenza, dove riproduce con tanta soavità i pii sentimenti che si effondevano dal suo cuore davanti ai misteri della Natività.

Verso la fine dell'Avvento del 1619, scriveva a una religiosa della Visitazione per esortarla a disporre il cuore alla venuta dello Sposo celeste: "Dilettissima figlia, ecco il piccolo caro Gesù che sta per nascere in nostra commemorazione, nelle prossime feste; e poiché egli nasce per visitarci da parte del suo eterno Padre, mentre i pastori e i re verranno in cambio a visitarlo alla culla, penso, che egli è nello stesso tempo il Padre e il Figlio di Santa Maria della Visitazione.

Orsù, accarezzalo; dagli ospitalità insieme con tutte le nostre sorelle, cantagli dei bei cantici, e soprattutto adoralo con forza e dolcezza, e in lui adora la sua povertà, la sua umiltà, la sua obbedienza e la sua dolcezza, sull'esempio della sua santissima Madre e di san Giuseppe; prendi una delle sue care lacrime, dolce rugiada del cielo, e mettitela sul cuore, affinché questo non provi mai altra tristezza se non quella che allieta il dolce Bambino; e quando gli raccomanderai la tua anima, raccomandagli di quando in quando anche la mia, che è certo tutta tua.

Saluto affettuosamente la diletta schiera delle nostre sorelle, che io considero come semplici pastorelle che vegliano sui loro greggi, cioè sui loro affetti e che, avvertite dall'Angelo, vanno a rendere omaggio al divino Bambino, e in pegno della loro eterna servitù gli offrono il più bello fra i loro agnelli, cioè il loro amore, senza riserve ne eccezioni".

Alla vigilia della Nascita del Salvatore, gustando in anticipo le gioie della notte che darà alla terra il suo Redentore, Francesco si effonde con la sua figlia prediletta, Giovanna Francesca di Chantal, e la invita a gustare insieme con lui le bellezze del divino Bambino e a trar profitto dalla sua visita.

"Il grande piccolo Bambino di Betlemme sia per sempre la delizia e l'amore del nostro cuore, dilettissima madre mia e figlia mia! Oh, come è bello questo povero tenero bimbo! Mi par di vedere Salomone sul suo trono d'avorio, ornato d'oro e di disegni, che non ebbe uguali fra i regni, come dice la Scrittura, come questo re non ebbe uguali in gloria e magnificenza. Ma amo cento volte di più vedere il caro bambino nella mangiatoia che vedere tutti i re sui loro troni.

Ma se io lo vedo sulle ginocchia della sua santa Madre o fra le sue braccia, con la boccuccia che sembra un bocciolo di rosa attaccata al suo purissimo seno, o Dio! lo trovo magnifico, su quel trono non solo più di Salomone sul suo trono d'avorio, ma anche più di quanto l'eterno figlio del Padre non lo fosse stato in cielo; perché se il cielo ha più dell'essere visibile, la Santa Vergine possiede più perfezioni invisibili; e una goccia di latte che fluisce castamente dal suo santo seno vale più di tutti gli effluvi celesti. Il grande san Giuseppe ci faccia partecipi della sua consolazione, e la santa Madre del suo amore: e il Bambino voglia spargere per sempre i suoi meriti nei nostri cuori!

Ti prego, sta il più dolcemente possibile presso il celeste bambino: egli non cesserà di amare il tuo diletto cuore così come è, senza tenerezza e senza sentimento. Vedi come riceve l'alito del grosso bue e dell'asino che non hanno alcun affetto e sentimento? E come non riceverà le aspirazioni del nostro povero cuore il quale, per quanto attualmente privo di tenerezza, tuttavia si mostra totalmente e con fermezza ai suoi piedi per essere eternamente servo fedele del suo e di quello della sua santa Madre e del grande governatore del piccolo Re?".

La notte santa è passata portando la Pace agli uomini di buona volontà; Francesco cerca ancora il cuore della figlia che Gesù gli ha affidata, per versarvi tutte le dolcezze che ha provate nella contemplazione del mistero d'amore.

"Viva, Gesù! Quanto è dolce questa notte, figlia mia dilettissima! I cieli, canta la Chiesa, stillano miele da ogni parte; e io penso che i santi Angeli che fanno risonare nell'aria il loro magnifico cantico, vengono per raccogliere il miele celeste sui gigli dove si è posato, sul petto della dolcissima Vergine e di san Giuseppe. Temo, figlia diletta, che quei divini Spiriti si confondano fra il latte che esce dal purissimo seno e il miele celeste che è attaccato ad esso. Che dolcezza vedere il miele succhiare il latte!

Ma dimmi, figlia diletta, sono io forse tanto ambizioso se pensassi che i nostri buoni Angeli, il mio e il tuo, si trovarono anch'essi nella magnifica schiera di musici celesti che cantarono in quella notte? Oh, Dio! Se si compiacessero di intonare nuovamente, alle orecchie del nostro cuore, quella celeste canzone, che gioia, che gaudio! Li supplico di farlo, affinché sia gloria al cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà.

Tornando dunque dai santi Misteri, io saluto così la mia figlia diletta; poiché credo che anche i pastori, dopo aver adorato il celeste Bambino che il cielo aveva loro annunciato, si riposarono un poco. Ma, oh, Dio! Quanta soavità, penso, nel loro sonno! Sembrava ad essi di sentire ancora la sacra melodia degli Angeli che li aveva salutati così dolcemente con il loro cantico, e di vedere sempre il dolce Bambino e la Madre ai quali erano andati a far visita.

Che cosa potremmo dare al nostro piccolo Re, che non abbiamo ricevuto da lui e dalla sua divina liberalità? Orsù, io gli offrirò, dunque nella santa Messa solenne, la dilettissima figlia che egli mi ha data. O Salvatore delle anime nostre, rendila tutta d'oro per la carità, tutta di mirra per la mortificazione e tutta d'incenso per la preghiera, e quindi ricevila fra le braccia della tua protezione; il tuo cuore dica al suo: Io sono la tua salvezza nei secoli dei secoli".

Parlando altrove a un'altra sposa di Cristo, la esorta in questi termini a nutrirsi della dolcezza del neonato: "La tua anima, come una mistica ape, non abbandoni mai quel caro piccolo Re, e faccia il suo miele attorno a lui, in lui e per lui; lo prenda anzi su di lui, che ha le labbra adorne di grazia e sulle quali, più beatamente di quanto si vide su quelle di sant'Ambrogio, le santi api, radunate in sciame, si danno al loro dolce e grazioso lavoro".

È necessario far punto, ma indugiamoci ancora un poco per udirlo narrare le bellezze del santissimo Nome di Gesù, dato al Salvatore nei dolori della Circoncisione. Così egli scrive alla sua santa cooperatrice:

"O Gesù, riempi il nostro cuore del sacro balsamo del tuo Nome divino, affinché la soavità del suo odore si effonda in tutti i nostri sensi, e si spanda in tutte le nostre azioni. Ma per rendere questo cuore capace di ricevere cosi dolce liquore, circoncidilo, e strappane tutto ciò che può tornare sgradito ai tuoi santi occhi. O Nome glorioso, che la bocca del Padre celeste ha chiamato dall'eternità, sii per sempre l'emblema dell'anima nostra, affinché, come tu sei Salvatore, essa sia eternamente salva! O Vergine santa, che, prima fra tutti, hai pronunciato quel Nome di salvezza, ispiraci il modo di pronunciarlo come si conviene, affinché tutto spiri in noi la salvezza che il tuo seno ci ha apportata.

Figlia dilettissima, era giusto scrivere la prima lettera di quest'anno a Nostro Signore e a Maria Vergine; ecco ora la seconda con la quale, figlia mia ti auguro il buon anno, e consacro il nostro cuore alla divina bontà. Possiamo trascorrere in modo tale quest'anno che esso ci serva di fondamento per l'anno eterno! Proprio questa mattina, nel destarmi, ho gridato alle tue orecchie: Viva Gesù! E avrei voluto spargere questo olio santo su tutta la superficie della terra.

Quando un balsamo è ben chiuso in una fiala, nessuno sa distinguere quale liquido contenga, se non chi ve l'ha messo; ma quando si è aperta la fiala e si è versata qualche goccia, ognuno dice: è un balsamo. Figlia diletta, il nostro amato Gesù Bambino era tutto pieno del balsamo di salvezza; ma non lo si conosceva finché con il coltello dolcemente crudele è stata lacerata la sua carne divina; e allora si è saputo che egli è tutto balsamo e olio diffuso, e che è il balsamo di salvezza. Per questo san Giuseppe e la Vergine, e quindi tutto il vicinato, cominciano ad esclamare: Gesù! - che significa Salvatore.

Piaccia a questo divino Bambino bagnare i nostri cuori nel suo sangue, e renderli odorosi del suo santo Nome, affinché le rose dei buoni desideri che abbiamo formulati, siano tutte imporporate del suo colore, e tutte odoranti del suo unguento!".

VITA. - San Francesco nacque nella Savoia il 21 agosto 1567. Studiò a Parigi e quindi a Padova. Ordinato sacerdote il 18 ottobre 1593 e fatto Prevosto della chiesa di Ginevra, si dedicò con molte fatiche e con successo alla conversione dei Protestanti del Chiablese, e ne ricondusse 72.000 alla fede cattolica. Consacrato Vescovo di Ginevra 1'8 dicembre 1602, fondò otto anni più tardi l'Ordine della Visitazione, scrisse libri d'una dottrina celeste e diffuse in ogni parte i raggi della sua santità con il suo zelo, la sua dolcezza, la sua misericordia verso i peccatori e tutte le altre virtù. Morì a Lione il 28 gennaio 1622. Alessandro VII lo canonizzò il 19 aprile 1665 e Pio IX lo ha dichiarato Dottore della Chiesa il 19 luglio 1877. Il suo corpo riposa nella casa della Visitazione ad Annecy.
Conquistatore pacifico delle anime, Pontefice amato da Dio e dagli uomini, noi celebriamo in te la dolcezza dell'Emmanuele. Avendo imparato da lui ad essere dolce ed umile di cuore, tu hai, secondo la sua promessa, posseduto la terra (Mt 5,4). Nessuno ti ha potuto resistere: i settari più ostinati, i peccatori più induriti, le anime più tiepide, tutto ha ceduto alla tua parola e ai tuoi esempi. Ci piace contemplarti, presso la culla del Bambino che viene ad amarci, mentre associ la tua gloria a quella di Giovanni e degli innocenti: Apostolo come il primo, semplice come i figli di Rachele! Stabilisci per sempre il nostro cuore in questa beata compagnia; ci insegni essa infine che il giogo dell'Emmanuele è dolce, e il suo peso leggero.

Riscalda le anime nostre al fuoco della tua carità, e fomenta in esse il desiderio della perfezione. Dottore delle vie spirituali, introducici in quella santa Via di cui hai tracciato le leggi; rianima nei nostri cuori l'amore del prossimo, senza il quale non potremmo sperare di possedere l'amore di Dio; iniziaci al tuo zelo per la salvezza delle anime; insegnaci la pazienza e il perdono delle ingiurie, affinché ci amiamo tutti, non soltanto con la bocca e con le parole - come dice Giovanni il tuo modello - ma nelle opere e nella verità (1 Gv 3,18). Benedici la Chiesa della terra; il tuo ricordo è vivo nella sua mente come se tu l'avessi or ora lasciata per quella del cielo, poiché tu non sei più soltanto il Vescovo di Ginevra, ma l'oggetto dell'amore e della fiducia dell'universo intero.

Affretta la conversione generale dei seguaci dell'eresia calvinista. Le tue preghiere hanno già fatto progredire l'opera del ritorno, e il sacrificio dell'Agnello si offre oggi pubblicamente nella protestante Ginevra. Procura al più presto il pieno trionfo di Santa Madre Chiesa. Estirpa in mezzo a noi gli ultimi residui dell'eresia giansenista, che si disponeva a seminare la sua zizzania nei giorni stessi in cui il Signore ti ritoglieva da questo mondo. Purifica le nostre regioni dalle massime e dalle abitudini pericolose che hanno ereditate dai tempi in cui trionfava quella perversa setta. Benedici con tutta la tenerezza del tuo cuore paterno il santo Ordine che hai fondato e che hai consacrato a Maria sotto il titolo della sua Visitazione. Conservalo nello stato di costante edificazione della Chiesa; fa' che progredisca, e dirigilo affinché si conservi il tuo spirito nella famiglia della quale sei il padre. Proteggi l'episcopato di cui sei stato il decoro e il modello; chiedi a Dio, per la sua Chiesa, Pastori formati alla tua scuola, ardenti del tuo zelo ed emuli della tua santità. Ricordati, infine, della Francia, con la quale hai contratto così stretti legami. Essa si commosse alla fama delle tue virtù, desiderò il tuo apostolato e ti diede la tua più fedele collaboratrice. Tu hai arricchito la sua lingua con i tuoi meravigliosi scritti, e dal suo seno stesso sei partito per andare a Dio: dall'alto del cielo, ritienila anche come tua patria.

Augustinus
24-01-07, 15:37
http://img85.imageshack.us/img85/3094/02le2.jpg

Augustinus
24-01-07, 15:48
http://www.latribunedelart.com/Etudes_2004/Cambiaso_-_Crucifixion.jpg Ottavio Cambiaso, SS. Francesco di Sales, Antonio abate, Agostino e Maria Maddalena de' Pazzi ai piedi del Crocifisso, 1652-60, Cattedrale di S. Maria Assunta, Bastia

http://img408.imageshack.us/img408/4702/crespigr4td.jpg Antonio Crespi, S. Francesco di Sales, XVIII sec.

http://www.memo.fr/Media/PER_MOY_033.jpg

http://img186.imageshack.us/img186/3072/1801li5.jpg

Augustinus
24-01-08, 08:49
St. Francis de Sales

Bishop of Geneva, Doctor of the Universal Church; born at Thorens, in the Duchy of Savoy, 21 August, 1567; died at Lyons, 28 December, 1622. His father, François de Sales de Boisy, and his mother, Françoise de Sionnaz, belonged to old Savoyard aristocratic families. The future saint was the eldest of six brothers. His father intended him for the magistracy and sent him at an early age to the colleges of La Roche and Annecy. From 1583 till 1588 he studied rhetoric and humanities at the college of Clermont, Paris, under the care of the Jesuits. While there he began a course of theology. After a terrible and prolonged temptation to despair, caused by the discussions of the theologians of the day on the question of predestination, from which he was suddenly freed as he knelt before a miraculous image of Our Lady at St. Etienne-des-Grès, he made a vow of chastity and consecrated himself to the Blessed Virgin Mary. In 1588 he studied law at Padua, where the Jesuit Father Possevin was his spiritual director. He received his diploma of doctorate from the famous Pancirola in 1592. Having been admitted as a lawyer before the senate of Chambéry, he was about to be appointed senator. His father had selected one of the noblest heiresses of Savoy to be the partner of his future life, but Francis declared his intention of embracing the ecclesiastical life. A sharp struggle ensued. His father would not consent to see his expectations thwarted. Then Claude de Granier, Bishop of Geneva, obtained for Francis, on his own initiative, the position of Provost of the Chapter of Geneva, a post in the patronage of the pope. It was the highest office in the diocese, M. de Boisy yielded and Francis received Holy Orders (1593).

From the time of the Reformation the seat of the Bishopric of Geneva had been fixed at Annecy. There with apostolic zeal, the new provost devoted himself to preaching, hearing confessions, and the other work of his ministry. In the following year (1594) he volunteered to evangelize Le Chablais, where the Genevans had imposed the Reformed Faith, and which had just been restored to the Duchy of Savoy. He made his headquarters in the fortress of Allinges. Risking his life, he journeyed through the entire district, preaching constantly; by dint of zeal, learning, kindness and holiness he at last obtained a hearing. He then settled in Thonon, the chief town. He confuted the preachers sent by Geneva to oppose him; he converted the syndic and several prominent Calvinists. At the request of the pope, Clement VIII, he went to Geneva to interview Theodore Beza, who was called the Patriarch of the Reformation. The latter received him kindly and seemed for a while shaken, but had not the courage to take the final steps. A large part of the inhabitants of Le Chablais returned to the true fold (1597 and 1598). Claude de Granier then chose Francis as his coadjutor, in spite of his refusal, and sent him to Rome (1599).

Pope Clement VIII ratified the choice; but he wished to examine the candidate personally, in presence of the Sacred College. The improvised examination was a triumph for Francis. "Drink, my son", said the Pope to him. "from your cistern, and from your living wellspring; may your waters issue forth, and may they become public fountains where the world may quench its thirst." The prophesy was to be realized. On his return from Rome the religious affairs of the territory of Gex, a dependency of France, necessitated his going to Paris. There the coadjutor formed an intimate friendship with Cardinal de Bérulle, Antoine Deshayes, secretary of Henry IV, and Henry IV himself, who wished "to make a third in this fair friendship" (être de tiers dans cette belle amitié). The king made him preach the Lent at Court, and wished to keep him in France. He urged him to continue, by his sermons and writings, to teach those souls that had to live in the world how to have confidence in God, and how to be genuinely and truly pious - graces of which he saw the great necessity.

On the death of Claude de Granier, Francis was consecrated Bishop of Geneva (1602). His first step was to institute catechetical instructions for the faithful, both young and old. He made prudent regulations for the guidance of his clergy. He carefully visited the parishes scattered through the rugged mountains of his diocese. He reformed the religious communities. His goodness, patience and mildness became proverbial. He had an intense love for the poor, especially those who were of respectable family. His food was plain, his dress and his household simple. He completely dispensed with superfluities and lived with the greatest economy, in order to be able to provide more abundantly for the wants of the needy. He heard confessions, gave advice, and preached incessantly. He wrote innumerable letters (mainly letters of direction) and found time to publish the numerous works mentioned below. Together with St. Jane Frances de Chantal, he founded (1607) the Institute of the Visitation of the Blessed Virgin, for young girls and widows who, feeling themselves called to the religious life, have not sufficient strength, or lack inclination, for the corporal austerities of the great orders. His zeal extended beyond the limits of his own diocese. He delivered the Lent and Advent discourses which are still famous - those at Dijon (1604), where he first met the Baroness de Chantal; at Chambéry (1606); at Grenoble (1616, 1617, 1618), where he converted the Ambrose Maréchal de Lesdiguières. During his last stay in Paris (November, 1618, to September, 1619) he had to go into the pulpit each day to satisfy the pious wishes of those who thronged to hear him. "Never", said they, "have such holy, such apostolic sermons been preached." He came into contact here with all the distinguished ecclesiastics of the day, and in particular with St. Vincent de Paul. His friends tried energetically to induce him to remain in France, offering him first the wealthy Abbey of Ste. Geneviève and then the coadjutor-bishopric of Paris, but he refused all to return to Annecy.

In 1622 he had to accompany the Court of Savoy into France. At Lyons he insisted on occupying a small, poorly furnished room in a house belonging to the gardener of the Visitation Convent. There, on 27 December, he was seized with apoplexy. He received the last sacraments and made his profession of faith, repeating constantly the words: "God's will be done! Jesus, my God and my all!" He died next day, in the fifty-sixth year of his age. Immense crowds flocked to visit his remains, which the people of Lyons were anxious to keep in their city. With much difficulty his body was brought back to Annecy, but his heart was left at Lyons. A great number of wonderful favours have been obtained at his tomb in the Visitation Convent of Annecy. His heart, at the time of the French Revolution, was carried by the Visitation nuns from Lyons to Venice, where it is venerated today. St. Francis de Sales was beatified in 1661, and canonized by Alexander VII in 1665; he was proclaimed Doctor of the Universal Church by Pope Pius IX, in 1877.

The following is a list of the principal works of the holy Doctor:

(1) "Controversies", leaflets which the zealous missioner scattered among the inhabitants of Le Chablais in the beginning, when t hese people did not venture to come and hear him preach. They form a complete proof of the Catholic Faith. In the first part, the author defends the authority of the Church, and in the second and third parts, the rules of faith, which were not observed by the heretical ministers. The primacy of St. Peter is amply vindicated.

(2) "Defense of the Standard of the Cross", a demonstration of the virtue

of the True Cross;
of the Crucifix;
of the Sign of the Cross;
an explanation of the Veneration of the Cross.

(3) "An Introduction to the Devout Life", a work intended to lead "Philothea", the soul living in the world, into the paths of devotion, that is to say, of true and solid piety. Every one should strive to become pious, and "it is an error, it is even a heresy", to hold that piety is incompatible with any state of life. In the first part the author helps the soul to free itself from all inclination to, or affection for, sin; in the second, he teaches it how to be united to God by prayer and the sacraments; in the third, he exercises it in the practice of virtue; in the fourth, he strengthens it against temptation; in the fifth, he teaches it how to form its resolutions and to persevere. The "Introduction", which is a masterpiece of psychology, practical morality, and common sense, was translated into nearly every language even in the lifetime of the author, and it has since gone through innumerable editions.

(4) "Treatise on the Love of God", an authoritative work which reflects perfectly the mind and heart of Francis de Sales as a great genius and a great saint. It contains twelve books. The first four give us a history, or rather explain the theory, of Divine love, its birth in the soul, its growth, its perfection, and its decay and annihilation; the fifth book shows that this love is twofold - the love of complacency and the love of benevolence; the sixth and seventh treat of affective love, which is practised in prayer; the eight and ninth deal with effective love, that is, conformity to the will of God, and submission to His good pleasure. The last three resume what has preceded and teach how to apply practically the lessons taught therein.

(5) "Spiritual Conferences"; familiar conversations on religious virtues addressed to the sisters of the Visitation and collected by them. We find in them that practical common sense, keenness of perception and delicacy of feeling which were characteristic of the kind-hearted and energetic Saint.

(6) "Sermons". - These are divided into two classes: those composed previously to his consecration as a bishop, and which he himself wrote out in full; and the discourses he delivered when a bishop, of which, as a rule, only outlines and synopses have been preserved. Some of the latter, however, were taken down in extenso by his hearers. Pius IX, in his Bull proclaiming him Doctor of the Church calls the Saint "The Master and Restorer of Sacred Eloquence". He is one of those who at the beginning of the seventeenth century formed the beautiful French language; he foreshadows and prepares the way for the great sacred orators about to appear. He speaks simply, naturally, and from his heart. To speak well we need only love well, was his maxim. His mind was imbued with the Holy Writings, which he comments, and explains, and applies practically with no less accuracy than grace.

(7) "Letters", mostly letters of direction, in which the minister of God effaces himself and teaches the soul to listen to God, the only true director. The advice given is suited to all the circumstances and necessities of life and to all persons of good will. While trying to efface his own personality in these letters, the saint makes himself known to us and unconsciously discovers to us the treasures of his soul.

(8) A large number of very precious treatises or opuscula.

Migne (5 vols., quarto) and Vivès (12 vols., octavo, Paris) have edited the works of St. Francis de Sales. But the edition which we may call definitive was published at Annecy in 1892, by the English Benedictine, Dom Mackey: a work remarkable for its typographical execution, the brilliant criticism that settles the text, the large quantity of hitherto unedited matter, and the interesting study accompanying each volume. Dom Mackey published twelve volumes. Father Navatel, S.J., is continuing the work. We may give here a brief résumé of the spiritual teaching contained in these works, of which the Church has said: "The writings of Francis de Sales, filled with celestial doctrine are a bright light in the Church, pointing out to souls an easy and safe way to arrive at the perfection of a Christian life." (Breviarium Romanum, 29 January, lect. VI.).

There are two elements in the spiritual life: first, a struggle against our lower nature; secondly, union of our wills with God, in other words, penance and love. St. Francis de Sales looks chiefly to love. Not that he neglects penance, which is absolutely necessary, but he wishes it to be practised from a motive of love. He requires mortification of the senses, but he relies first on mortification of the mind, the will, and the heart. This interior mortification he requires to be unceasing and always accompanied by love. The end to be realized is a life of loving, simple, generous, and constant fidelity to the will of God, which is nothing else than our present duty. The model proposed is Christ, whom we must ever keep before our eyes. "You will study His countenance, and perform your actions as He did" (Introd., 2nd part, ch. i). The practical means of arriving at this perfection are: remembrance of the presence of God, filial prayer, a right intention in all our actions, and frequent recourse to God by pious and confiding ejaculations and interior aspirations.

Besides the Institute of the Visitation, which he founded, the nineteenth century has seen associations of the secular clergy and pious laymen, and several religious congregations, formed under the patronage of the holy Doctor. Among them we may mention the Missionaries of St. Francis de Sales, of Annecy; the Salesians, founded at Turin by the Venerable Don Bosco, specially devoted to the Christian and technical education of the children of the poorer classes; the Oblates of St. Francis de Sales, established at Troyes (France) by Father Brisson, who try to realize in the religious and priestly life the spirit of the holy Doctor, such as we have described it, and such as he bequeathed it to the nuns of the Visitation.

Bibliography

MACKEY, OEuvres de St François de Sales (Annecy, 1892-); CHARLES-AUGUSTE DE SALES, Histoire du Bienheureux François de Sales (2nd ed., Paris, 1885); CAMUS, Esprit de S. François de Sales (2d ed., Paris, 1833); and in Collection S. Honore d'Eylau (Paris, 1904); Vie de S. François de Sales by HAMON (Paris); PÉRENNÈS (Paris); DE MARGERIE (Paris); STROWSKI, St. François de Sales (Paris); Annales Salesiennes in Revu Mensuelle (Paris, 1906, etc.). MACKEY has given an English translation of the Letters to Persons in the World, and of the Letters to Persons in Religion (London); he has also published noteworthy articles on St. Francis de Sales as an Orator (London) and St. Francis de Sales as a Director in Am. Eccl. Rev. (1898).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VI, New York, 1909 (http://www.newadvent.org/cathen/06220a.htm)

Augustinus
24-01-08, 08:51
Visitation Order

The nuns of the Visitation of Mary, called also Filles de Sainte-Marie, Visitandines, and Salesian Sisters, were founded in 1610 at Annecy in the Duchy of Savoy by St. Francis de Sales, Bishop of Geneva, and by St. Jane de Chantal. Their aim was to secure the benefit of the religious life for persons who had neither the physical strength nor the attraction for the corporal austerities at that time general in religious orders. St. Francis wished especially to apply in souls of good will and in a permanent institution the spiritual method dear to him: to reach God chiefly through interior mortification and to endeavour to do in every action only the Divine Will with the greatest possible love. The Visitation is therefore the principal work of St. Francis de Sales, the perpetuation of his doctrine and spirit, the living commentary on the "Introduction à la vie dévote" and the "Traité de l'amour de Dieu".

At first the founder had not a religious order in mind; he wished to form a congregation without external vows, where the cloister should be observed only during the year of novitiate, after which the sisters should be free to go out by turns to visit the sick poor. This was why he called his institute the Visitation. The project was quite different from the idea realized later by St. Vincent de Paul in the Sisters of Charity, for what the bishop desired above all was the contemplative life; to this he added visitation of the sick, but merely by way of devotion. The undertaking was begun on Trinity Sunday, 6 June, 1610. The Baronne de Chantal, a widow, native of Burgundy, was destined to be the first superioress. Marie-Jacqueline Favre, daughter of the Savoyard juris-consult Antoine Favre, and Mlle Charlotte de Brechard, a Burgundian, accompanied the foundress as did also a servant, Anne-Jacqueline Coste, destined to be the first outdoor sister of the Visitation. After having receive the bishop's blessing they assembled in the house of "la Galerie", still standing, in a suburb of Annecy. Trials, especially those arising from ridicule, were not wanting to the young congregation. People did not readily understand the mild and simple rule of the new institute. Superficial observers did not take into account that the bishop was in his conduct and direction really the most mortified of all the saints. Nevertheless the novices arrived, and the names of two, Peronne-Marie de Chatel and Marie-Amee de Blonay, have remained noted in the history of the Visitation.

When the establishment was an accomplished fact (1615) Archbishop de Marquemont of Lyons undertook to persuade the founder to follow the common practice and erect his congregation into a religious order under the Rule of St. Augustine, with the cloister imposed by the Council of Trent. At first the saint resisted. It cost him much to abandon the sick poor and leave to his daughters only the apostolate of prayer and sacrifice, but he eventually yielded. He then (1616) undertook the compilation of the "Constitutions pour les religieuses de la Visitation Sainte-Marie". The Church has thus characterized this work: "He had added to the rule of St. Augustine constitutions which are admirable for wisdom, discretion, and sweetness" (Brev. Rom., 29 Jan., sixth lesson). At once the founder opened the door of the monastery to all of good will. No severity, however great, could prevent the weak and infirm from coming "there to seek the perfection of Divine love". He expressly ordered the reception at the Visitation not only of virgins but also of widows, on condition that they were legitimately freed from the care of their children; the aged, provided they were of right mind; the crippled, provided they were sound in mind and heart; even the sick, except those who had contagious diseases.

Austerities of the cloister, like rising at night, sleeping on hard surfaces, were suppressed. Instead of chanting the canonical office in the middle of the night the sisters recited the Little Office of the Blessed Virgin at half-past eight in the evening. There was no perpetual abstinence nor prolonged fast. Besides the ordinary fast days of the Church, he retained only that on every Friday and certain vigils. Corporal mortifications properly so called were limited to the use of discipline every Friday. But the wise legislator was careful to give to interior mortification what he withdrew from exterior mortification. His first concern was for poverty, which is nowhere so strict as in the Visitation, where everything is absolutely in common. No sister may "have as property anything however little, or under any pretext whatever". Not only the rooms and the beds, but medals, crosses, rosary beads, even pictures, are changed every year in order that the sisters may never come to consider them as their own. Next comes obedience. Whether general or particular it extends to every moment of the day, and the superior is to be obeyed as a mother, "carefully, faithfully, promptly, simply, frankly, and cordially". The most trying mortification is perhaps that of the common life as understood by St. Francis de Sales. The day of the Visitandine is divided from 5 a. m. until 10 p. m. into a multitude of short exercises which keep her occupied every instant in duties determined by her rule. An hour of mental prayer in the morning and a half-hour in the evening, Mass, Office, spiritual readings, and examens of conscience succeed one another, and keep the religious in perpetual contemplation. Silence, recollection, modesty of demeanour prepare for and facilitate prayer. Two recreations of an hour each relax without dissipating the mind; the sisters should talk with cordiality and simplicity only of agreeable and piously cheerful topics.

A little book based on St. Francis de Sales and which St. Jane de Chantal added from the first to the Constitutions of the order, namely, the "Directoire spirituel pour les actions journalieres", gives the practical means of fulfilling the Constitutions in the spirit of the holy founder, the method of performing each of the daily actions under the eye of God, in dependence on Him, and in union with the Divine Model, Jesus Christ. It may be said that the "Directoire" is the mould of the Visitandines. The sisters wear a black habit. The gown is made a sac, rather full, and is confined by a girdle. On the head they wear a veil of black taminy. A black bandeau encircles the brow; a guimpe or barbette of white linen covers the neck, from which is suspended a silver cross; a large chaplet hangs at the belt. There are three grades among the sisters: the choir sisters who sing the Office; the associate sisters dispensed from the Office because of their health, but in other respects the same as the first grade; and finally the lay sisters who wear a white veil and are engaged in domestic tasks; they have no voice in the chapter but they make the same vows and are as much religious as the others. The communities are cloistered. The outdoor sisters who make publicly only the vow of obedience are charged with the external service of the house. Each convent is governed by a superior whom all the sisters elect by secret ballot. She is chosen for three years at the end of which time she is eligible for election for three more years. When this time is ended she is ineligible for the subsequent term. A council of four other sisters assist her in the government of the house. An assistant replaces her when it is necessary. All the houses of the order are independent of one another. Circulars sent from time to time keep all acquainted with the events of each convent. There is no superior general, no visitor general, nor general chapter. In doubts regarding observance, recourse is had to the house of Annecy, the sainte source, which actually exercises no authority, but whose right to advise is recognized as that of an elder sister. The first superior of each convent is the bishop of the diocese and it is under his direct and immediate care. Two priests are charged by the bishop with the care of the convent, one with the title of superior, the other with that of confessor.

Such are the chief rules of the Visitation, their most striking characteristic being moderation and common sense. Made for generous souls, there is nothing about them which could weaken the body, while they overlook nothing which could mortify the spirit. For three centuries the Visitation has never stood in need of reform and each century has brought to the Church and the world its contingent of holy souls. The Order of the Visitation of Mary was canonically erected in 1618 by Paul V who granted it all the privileges enjoyed by the other orders. A Bull of Urban VIII solemnly approved it in 1626. At the first centenary of the institute in 1710 came renewed praise for its Constitutions "admirable for wisdom, discernment, and mildness, and which open up a certain easy and united path" to religious perfection. The Visitation developed rapidly. As early as the third year the house of "la Galerie" was too small; it was necessary to purchase an estate and build not far from the lake the convent which kept the name of the first convent of Annecy. The church still exists; the remainder of the building was destroyed during the French Revolution. Lyons (1615) was the first foundation with Mother Favre as superior; Moulines (1616) was the second with Mother de Brechard. Grenoble (1618), Bourges (1618), and Paris (1619) followed in close succession. When St. Francis de Sales died (1622) there were already 13 convents established. At the death of St. Jane de Chantal (1641) there were 86. The Bull of Clement XI at the first centenary of the foundation mentions 147. In the seventeenth century the order was confined to France and especially to Savoy; in the eighteenth century it extended to Italy, Germany, Spain, Switzerland, Poland, and the Low Countries. There were 167 houses in 1792 when the French Revolution dispersed and closed all the convents it reached. The foreign houses retained the traditions of the founders. The storm passed and as early as 1800 the convents of the Visitation began gradually to be restored in all parts of France. That of Annecy was not restored until 1824.

The convent of Georgetown was the first house of the Visitation founded in the United States (see sub-article below). The Visitation of Georgetown founded that of Mobile 1833 and in the same year that of Kaskaskia, which was transferred to St. Louis in 1844. In 1837 it founded the Visitation of Baltimore, that of Frederick in 1846, and Philadelphia in 1848. These various convents founded others, and at present there are in the United States 21 houses of the Visitation in relation with Annecy. England has two convents, Westbury, now transferred to Harrow, London, and that of Roseland, Walmer, Kent, which is the ancient convent of Vilna, Poland. The last Visitation convent founded in an English-speaking country is that of Ottawa, Canada, founded by sisters from Annecy in 1910. At the third centenary of the order, 6 June, 1910, the Visitation numbered 170 convents: 56 in France and 12 other French houses which the religious persecution compelled to go into exile; 30 in Italy; 2 in Switzerland; 7 in Austria; 1 in Russian Poland; 4 in Belgium; 1 in Holland; 2 in England; 17 in Spain; 3 in Portugal (these convents were driven into exile by the Revolution in 1910); 21 in the United States; 1 in Canada; 11 in Latin America; and 2 in Syria.

The first Visitandines, emulating their foundress, had nearly all received extraordinary gifts of prayer. The process of beatification of Mother de Brechard was even begun but was abandoned to make way for that of Mother de Chantal. It was Blessed Margaret Mary Alacoque (q.v.), a Visitandine of Paray-le- Monial in Burgundy, to whom the Sacred Heart of Jesus was manifested, in order that the devotion to the Sacred Heart might be communicated to the Church. Another Visitandine, Venerable Anne-Madeleine Remusat of the second convent of Marseilles, was the propagator of devotion to the Sacred Heart at the time of the plague of Marseilles in 1722; her cause was introduced in 1891. The cause of Venerable Marie de Sales Chappuis, superioress of the Visitation convent of Troyes (d. in 1875), was introduced in 1879 and the process of her beatification is proceeding rapidly. A religious of exalted virtue, she encouraged a number of souls both within and without the cloister in that path of confidence, generosity, obedience to the Divine Will, of fidelity to the duty of the present moment, which was inculcated by St. Francis de Sales. In the course of the process of beatification her authentic writings have been carefully examined and approved by the Sacred Congregation of Rites (Decree of 21 Sept., 1892). The Visitandines are contemplatives, and in order that they might not be turned aside from the chief aim the founder often recurs in his letters to the necessity of not imposing external duties which would divert them from their first vocation. Nevertheless, even in the time of St. Francis de Sales the Visitation several times accepted temporarily the mission of reforming foreign communities or even houses of penitent women, and God has blessed their devotion. It was likewise the need of the times which at a certain period led many convents to open within their cloisters boarding-schools for young girls. These boarding-schools which still exist in certain communities have done great good to youth. The instruction given at the Visitation is generally solid and on a par with that of the most serious schools. But what especially characterizes the schools of the Visitation and the pupils themselves is the strong education of will and character. In a constantly serene and maternal atmosphere the child leans at an early age self-denial, a sense of duty, and of responsibility to God for every action. The mistress's methods of going to God become to a certain extent those of the children.

Bibliography

HAMON, Hist. de St. Francois de Sales, ed. GONTHIER AND LETOURNEAUX (Paris, 1909); BOUGAUD, Hist. de ste Chantal (Paris, 1865); ST. FRANCIS DE SALES, Lettres, in Oeuvres, XIV (Annecy, 1908); Regles, de st Augustin et constitutions pour les soeurs de la Visitation (Annecy, 1889); Annee sainte des religieuses de la Visitation Ste Marie (Annecy, 1871); DE CHAUGY, Vie de quatre des premieres meres de l'ordre de la Visitation Ste. Marie, ed. VEUILLOT (Paris, 1852).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XV, New York, 1912 (http://www.newadvent.org/cathen/15481a.htm)

Augustinus
24-01-08, 08:53
Oblates of Saint Francis de Sales

A congregation of priests founded originally by Saint Francis de Sales at the request of Saint Jane de Chantal. The establishment at Thonon was a preparatory step toward carrying out his design, the accomplishment of which was prevented by his death. With Saint Jane Frances de Chantal's encouragement and assistance, Raymond Bonal of Agde, in France, carried out his plan but this congregation died out at the beginning of the eighteenth century. Two hundred years later it was revived by Ven. Mother Marie de Sales Chappuis, who died in the odour of sanctity, 7 October, 1875, and Abbé Louis Alexander Alphonse Brisson, a professor in the Seminary of Troyes. In 1869 Father Brisson began Saint Bernard's College, near Troyes. In September, 1871, Father Gilbert (died 10 November, 1909) joined him, and Mgr Ravinet, Bishop of Troyes, received them and four companions into the novitiate. The Holy See approved temporarily their constitutions, 21 Dec., 1875. The first vows were made 27 August, 1876. The definitive approbation of their constitution was given on 8 December, 1897. The members of the institute are of two ranks, clerics and lay-brothers. The postulate lasts from six to nine months; the novitiate from one year to eighteen months. For the first three years the vows are annual, after that perpetual. The institute is governed by a superior general elected for life, and five counsellors general elected at each general chapter, which takes place every ten years. The congregation gradually developed in France. It numbered seven colleges and five other educational houses when the Government closed them all, 31 July, 1903. The founder retired to Plancy where he died 2 February, 1908. The mother-house was transferred to Rome, and the congregation divided into three provinces, Latin, German, and English. The first comprises France, Belgium, Italy, Greece, and South America; the second Austria, the German Empire and the southern half of its South-west African colony; the third, England, United States, and the north-western part of Cape Colony. Each province is administered by a provincial, appointed by the superior general and his council for ten years. He is assisted by three counsellors elected at each provincial chapter, which meets every ten years, at an interval of five years between the regular general chapters.

The Latin province has a scholasticate at Albano. In 1909 the church of Sts. Celsus and Julian in Rome was given to the Oblates. The novitiate for the Latin and German provinces is in Giove (Umbria). The Ecole Commerciale Ste Croix, in Naxos (Greece), has about fifty pupils, and the College St. Paul at Piræus (Athens) about two hundred. Four Fathers, stationed in Montevideo (Uruguay) are occupied with mission work. They have a flourishing Young Men's Association. In Brazil, three Fathers have the district of Don Pedrito do Sul (11,000 square miles with a Catholic population of 20,000). The headquarters of the Uruguay-Brazil mission is at Montevideo, Uruguay. One Oblate is stationed in Ecuador, where before the Revolution of 1897 the congregation had charge of the diocesan seminary of Riobamba, several colleges, and parishes. In 1909 a school for the congregation was opened at Dampicourt, Belgium. The German province has a preparatory school of about forty students in Schmieding (Upper Austria). They have charge of St. Anne's (French) church in Vienna, also the church of Our Lady of Dolours in Kaasgrahen, Vienna, which is served by six Oblates. At Artstetten, the Archduke Francis Ferdinand gave them charge of the parish (1907) and assisted them to build a school. With the consent of the German Government, Cardinal Fischer gave them the church of Marienburg in 1910. Several Fathers are engaged in mission work. The English province founded its novitiate in Wilmington, Delaware, 23 September, 1903, and transferred it to Childs, Md. (1907). A scholasticate is attached. The Fathers in Wilmington conduct a high school for boys, and are chaplains of several religious communities, the county alms-house, the state insane hospital, the Ferris Industrial School for boys, and the county and state prison. In 1910 the parish of St. Francis de Sales, Salisbury, Md. (1209 square miles with a population of 70,000), was confided to the Oblates.

In Walmer (Kent, England) they have a boarding school for boys, the chaplaincy of the Visitation Convent and Academy of Roselands, and a small parish in Faversham. To this province belongs the Vicariate Apostolic of the Orange River. (For the Vicariate Apostolic of the Orange River and the Apostolic Prefecture of Great Namaqualand, see ORANGE RIVER, VICARIATE APOSTOLIC OF THE.)

Bibliography

HAMMON, Vie de St. François de Sales (1909), I, 428 seq., 487; II, 164, 275; Œuvres de Ste de Chantal, ed. PLON, IV, 593; VII, 602; Catholic World, LXXIV, 234-245; Echo of the Oblates of St. Francis de Sales, I, 6-8, 145-51.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XI, New York, 1911 (http://www.newadvent.org/cathen/11187a.htm)

Augustinus
24-01-08, 13:14
http://www.lectura.fr/docspub/galerie/48/458_grande.jpg

Augustinus
24-01-08, 13:27
http://www.latribunedelart.com/Nouvelles_breves/Breves_2007/1_06/Caro_Francois_Sales.jpg Lorenzo De Caro, La gloria di S. Francesco di Sales, XVIII sec., Musée du Louvre, Parigi

Augustinus
24-01-08, 14:36
http://www.donbosco-torino.it/image/New/01-San_Francesco_di_Sales.jpg

Augustinus
29-01-09, 09:07
http://santiebeati.it/immagini/Original/22400/22400U.JPG

Augustinus
29-01-09, 09:13
http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisdeSales/St%20Francis%20de%20Sales-FounderSaint-uprdtl.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisdeSales/St%20Francis%20de%20Sales-FounderSaint.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisdeSales/St%20Francis%20de%20Sales-FounderSaint-RTrib.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisdeSales/St%20Francis%20de%20Sales-FounderSaint-lwdtl.jpg Adamo Tadolini, S. Francesco di Sales, 1845, Basilica di S. Pietro, Città del Vaticano, Roma

Augustinus
29-01-09, 09:14
http://www.fransalians.com/sfs-writer(1).jpg

Augustinus
29-01-09, 09:21
http://www.oblates.us/sfsheart.jpg

http://www.donbosco-torino.it/image/New/01-Chiesa_Francesco_Sales-03b.jpg

Augustinus
29-01-09, 16:14
DIE 29 JANUARII

SANCTI FRANCISCI SALESII
EPISCOPI, CONFESSORIS ET ECCLESIÆ DOCTORIS

Duplex

Missa In médio, de Communi Doctorum, præter Orationem sequentem, et dicitur Credo.

Oratio

DEUS, qui ad animárum salútem beátum Francíscum Confessórem tuum atque Pontíficem ómnibus ómnium factum esse voluísti: concéde propítius; ut, caritátis tuæ dulcédine perfúsi, ejus dirigéntibus mónitis ac suffragántibus méritis, ætérna gáudia consequámur. Per Dóminum.

Secreta

SANCTI Francísci Pontificis tui atque Doctóris nobis, Dómine, pia non desit orátio: quæ et múnera nostra concíliet; et tuam nobis indulgéntiam semper obtíneat. Per Dóminum.

Postcommunio

UT NOBIS, Dómine, tua sacrifícia dent salutem: beátus Francíscus Póntifex tuus et Doctor egrégius, quaésumus, præcátor accédat. Per Dóminum.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-29jan=lat.htm)

Augustinus
29-01-09, 17:00
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/Z48VWB/08-521788.jpg Jean Morin, Ritratto di S. Francesco di Sales, XVII sec., musée de Port-Royal des Champs, Magny-les-Hameaux

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/VGJ2TE/02-009178.jpg Grégoire Huret, S. Francesco di Sales, XVII sec., castello di Versailles e di Trianon, Versailles

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/LF2NR9/95-010253.jpg Nicolas Guy Brenet, S. Francesco di Sales, XVIII sec., castello, Blois

Augustinus
29-01-09, 21:21
http://img210.imageshack.us/img210/7059/stfrancesdesales2uq8.jpg

Holuxar
29-01-17, 19:20
Domenica 29 gennaio 2017: DOMENICA QUARTA DOPO L'EPIFANIA E SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA…






Quarta domenica dopo l’Epifania (http://www.unavoce-ve.it/pg-epifania-dom4.htm)
Guéranger, L'anno liturgico - San Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa (http://www.unavoce-ve.it/pg-29gen.htm)
Guéranger, L'anno liturgico - Quarta Domenica dopo l'Epifania (http://www.unavoce-ve.it/pg-epifania-dom4.htm)





4° d. l'Epifania (Santa Messa) (https://www.youtube.com/watch?v=MucWa8VniJQ)don Floriano (https://www.youtube.com/watch?v=MucWa8VniJQ)
https://www.youtube.com/watch?v=MucWa8VniJQ
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
Omelie IT - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/omelie-it.php)
SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php)







San Francesco di Sales - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-francesco-sales/)
http://www.sodalitium.biz/san-francesco-sales/
“29 gennaio, San Francesco di Sales, Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa (Thorens-Glières, 21 agosto 1567 – Lione, 28 dicembre 1622).
“San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, Confessore e Dot­tore della Chiesa, speciale Patrono presso Dio di tutti gli Scrit­tori cattolici, che con la pubblicazione di giornali ed altri scritti illu­strano, promuovono e difendono la sapienza cristiana; il quale se ne andò in cielo il ventotto Dicembre, ma si venera principalmente in questo giorno per la traslazione del suo corpo”.
O glorioso San Francesco, che irradiato dalla luce della fede, fosti tanto penetrato ed innamorato delle grandi verità della nostra religione, che per istruire gli increduli sostenesti le più dure fatiche esponendo più volte la preziosa tua vita, ottienici una fede così viva e così ferma, che siamo irremovibili a qualsiasi suggestione degli spirituali nemici e che, lungi dall’arrossire di mostrarci veri cristiani, abbiamo a gloriarcene fino alla morte. Così sia.”


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/84-0008a-195x300.jpg








“Carlo Di Pietro - Sursum Corda (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/)
Preghiera al Santo del giorno.
San Francésco di Sales, Vescovo di Ginévra, Confessore e Dottore della Chiesa, speciale Patrono presso Dio di tutti gli Scrittori cattolici, che con la pubblicazione di giornali ed altri scritti illustrano, promuovono e difendono la sapienza cristiana; il quale se ne andò in cielo il ventotto Dicembre, ma si venera principalmente in questo giorno per la traslazione del suo corpo.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare San Francésco di Sales, Vescovo di Ginévra, Confessore e Dottore della Chiesa, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Vescovo e Dottore, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, San Francésco di Sales, Vescovo di Ginévra, Confessore e Dottore della Chiesa, possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr (https://www.facebook.com/hashtag/sdgcdpr)”


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Ligue Saint Amédée (https://www.facebook.com/SaintAmedee/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
“Dimanche 29 Janvier : Quatrième de l'Epiphanie”
“29 Janvier : Saint François de Sales, Évêque de Genève et Docteur de l'Église (1567-1622)”



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“Entre les exercices des vertus, nous devons préférer celui qui est plus conforme à notre devoir, et non pas celui qui est plus conforme à notre goût. - Saint François de Sales”
“L'homme est la perfection de l'univers, l'esprit est la perfection de l'homme, l'amour est la perfection de l'esprit, et la charité est la perfection de l'amour. - Saint François de Sales”











Radio Spada (https://www.facebook.com/radiospadasocial/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
"Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico http://www.radiospada.org e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com"
“29 gennaio 2017: DOMENICA QUARTA DOPO L'EPIFANIA
MESSA
EPISTOLA (Rm 13,8-10). - Fratelli: Non vi resti con nessuno che il debito dello scambievole amore; perché chi ama il prossimo ha adempito la legge. Difatti, "non commettere adulterio; non ammazzare; non rubare; non dire il falso testimonio; non desiderare" e qualunque altro comandamento che ci possa essere, si riassume in questa parola: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". L'amore non fa alcun male al prossimo: è dunque l'amore il compimento della legge.
La santa Chiesa non cessa di esortare i fedeli, per bocca dell'Apostolo, a praticare la scambievole carità, in questo tempo in cui il Figlio di Dio da una così grave prova del suo amore per gli uomini dei quali si è degnato di assumere la natura. L'Emmanuele viene a noi come legislatore: ora, egli ha riassunto tutta la sua legge nell'amore; è venuto per unire ciò che il peccato aveva diviso. Entriamo in queste intenzioni, e adempiamo volentieri la legge che ci viene imposta.
Adoriamo la potenza dell'Emmanuele che è venuto a sedare la tempesta in mezzo alla quale stava per perire il genere umano. Nella loro angoscia, tutte le generazioni l'avevano invocato, ed esclamavano: Signore, salvaci; periamo! Quando fu giunta la pienezza dei tempi, egli è uscito dal suo riposo, ed è bastato un suo ordine per infrangere la forza dei nemici. La malizia dei demoni, le tenebre dell'idolatria, la corruzione pagana, tutto ha ceduto davanti a lui. I popoli si sono convertiti a lui l'uno dopo l'altro; dal seno della loro cecità e della loro miseria, hanno detto: Chi è costui davanti al quale nessuna forza può resistere? Ed hanno abbracciato la sua legge. Questa forza dell'Emmanuele, che abbatte gli ostacoli nel momento stesso in cui gli uomini si turbano per il suo apparente riposo, si mostra spesso negli annali della sua Chiesa. Quante volte egli ha scelto, per salvare tutto, l'istante in cui gli uomini credevano che tutto fosse perduto! Lo stesso avviene nella vita del fedele. Spesso le tentazioni ci agitano, le loro onde sembrano sommergerci, e tuttavia la nostra volontà rimane saldamente attaccata a Dio. È perché Gesù dorme in fondo alla barca, e ci protegge con quel sonno. Se poi le nostre suppliche subito lo risvegliano, è piuttosto per proclamare il trionfo suo e nostro, perché egli ha già vinto, e noi abbiamo vinto con lui.
PREGHIAMO
O Dio, che conosci assai bene, l'umana fragilità, in mezzo a tanti pericoli, ai quali non possiamo resistere, donaci la salute dell'anima e del corpo affinché vinciamo col tuo aiuto ciò che soffriamo per i nostri peccati.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 244-245.”


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“29 GENNAIO 2017: SAN FRANCESCO DI SALES,
VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA
Ecco venire alla culla del dolce Figlio di Maria l'angelico vescovo Francesco di Sales, degno di occuparvi un posto distinto per la soavità della sua virtù, per l'amabile infanzia del suo cuore, per l'umiltà e la tenerezza del suo amore. Eccolo giungere circondato da una magnifica scorta: settantaduemila eretici sottomessi alla Chiesa dall'influsso della sua carità; un intero Ordine di ancelle del Signore concepito nel suo amore, realizzato dal suo genio celeste; tante migliaia di anime conquistate alla pietà dai suoi insegnamenti tanto sicuri quanto liberali, che gli hanno meritato il titolo di Dottore.
Dio lo diede alla Chiesa per consolarla delle bestemmie dell'eresia la quale andava predicando che la fede romana era sterile per la carità; pose questo vero ministro del vangelo di fronte agli accaniti seguaci di Calvino; e l'ardore della carità di Francesco di Sales sciolse il ghiaccio di quei cuori ostinati. Se avete degli eretici da convincere - diceva il dotto cardinale du Perron - potete mandarli da me; se avete degli eretici da convertire, indirizzateli al vescovo di Ginevra.
Francesco di Sales si erge dunque, in mezzo al suo secolo, come vivente immagine di Cristo che apre le braccia e chiama i peccatori alla penitenza, gli erranti alla verità, i giusti al progresso verso Dio, e tutti alla fiducia e all'amore. Lo Spirito divino si era posato su di lui con tutta la sua forza e tutta la sua dolcezza: era logico, nei giorni in cui abbiamo celebrato la discesa di quello Spirito sul Verbo nelle acque del Giordano, non dimenticare il rapporto che corre fra il grande Vescovo e il suo divin Capo. Un giorno di Pentecoste, ad Annecy, Francesco era all'altare, per offrire il divin Sacrificio. Una colomba entrata nella Cattedrale, fu spaventata dai canti e dalla moltitudine del popolo. Dopo aver volteggiato a lungo, andò a posarsi, con grande emozione dei fedeli, sul capo del santo Vescovo: chiaro simbolo della dolcezza di Francesco come il globo di fuoco che apparve, durante i sacri Misteri, sul capo di san Martino indicava l'ardore che divorava il cuore dell'Apostolo delle Gallie.
Un'altra volta, nella Festa della Natività della Vergine, Francesco stava officiando i Vespri, nella Collegiale di Annecy. Era assiso su un trono i cui bassorilievi rappresentavano l'Albero profetico di Jesse, che ha prodotto, secondo l'oracolo di Isaia, il virgineo ramo da cui è uscito il fiore divino sul quale si è posato lo Spirito d'amore. Si stavano cantando i Salmi allorché, da una fessura della vetrata del coro, dalla parte dell'Epistola, una colomba penetra nella Chiesa. Dopo aver volteggiato per qualche tempo, dice lo storico, andò a posarsi sulla spalla del santo Vescovo, e di qui sui suoi ginocchi, donde la presero i ministri assistenti. Dopo i Vespri, Francesco, desideroso di allontanare da sé la favorevole applicazione che quel simbolo ispirava naturalmente al popolo, salì sulla cattedra, e si affrettò a togliere qualunque idea d'un favore celeste che fosse stato fatto alla sua persona, celebrando Maria che, piena della grazia dello Spirito Santo, ha meritato di essere chiamata la colomba tutta bella, nella quale non v'è alcuna macchia.
Se si vuoi trovare fra i discepoli del Salvatore il tipo di santità che fu elargito al santo Prelato, la mente e il cuore corrono subito a Giovanni, il discepolo prediletto. Francesco di Sales è al pari di lui l'Apostolo della carità; e la semplicità dell'Evangelista che stringe un uccellino fra le sue venerabili mani, è madre di quella graziosa innocenza che è nel cuore del Vescovo di Ginevra. Giovanni, al solo vederlo, a sol sentirne la voce, faceva amare Gesù; e i contemporanei di Francesco dicevano: O Dio, se tale è la bontà del Vescovo di Ginevra, quale deve mai essere la tua!
Questo rapporto fra l'amico di Cristo e Francesco di Sales si rivelò ancora nell'istante supremo, allorché il giorno stesso di san Giovanni, dopo aver celebrato la santa Messa e aver comunicato di sua mano le dilette figlie della Visitazione, sentì quel mancamento che doveva recare alla sua anima la liberazione dai legami del corpo. Si strinsero attorno a lui; ma la sua conversazione era ormai nel cielo. Volò verso la sua patria l'indomani, nella festa dei santi Innocenti in mezzo ai quali aveva diritto di riposare eternamente per il candore e la semplicità della sua anima.
Il posto di Francesco di Sales sul calendario era dunque segnato in compagnia dell'Amico del Salvatore e di quelle tenere vittime che la Chiesa paragona a un grazioso mazzo di rose; e se è stato impossibile collocare la sua memoria nell'anniversario della sua dipartita da questo mondo perché quei due giorni sono occupati dalla solennità di san Giovanni e da quella dei Bambini di Betlemme, per lo meno la santa Chiesa ha potuto ancora celebrare la sua festa nel periodo di tempo consacrato ad onorare la Nascita dell'Emmanuele.
Spetta dunque a questo amante del neonato Re rivelarci le attrattive del Bambino della mangiatoia. Cercheremo il suo pensiero, per nutrircene nella sua corrispondenza, dove riproduce con tanta soavità i pii sentimenti che si effondevano dal suo cuore davanti ai misteri della Natività.
Verso la fine dell'Avvento del 1619, scriveva a una religiosa della Visitazione per esortarla a disporre il cuore alla venuta dello Sposo celeste: "Dilettissima figlia, ecco il piccolo caro Gesù che sta per nascere in nostra commemorazione, nelle prossime feste; e poiché egli nasce per visitarci da parte del suo eterno Padre, mentre i pastori e i re verranno in cambio a visitarlo alla culla, penso, che egli è nello stesso tempo il Padre e il Figlio di Santa Maria della Visitazione.
Orsù, accarezzalo; dagli ospitalità insieme con tutte le nostre sorelle, cantagli dei bei cantici, e soprattutto adoralo con forza e dolcezza, e in lui adora la sua povertà, la sua umiltà, la sua obbedienza e la sua dolcezza, sull'esempio della sua santissima Madre e di san Giuseppe; prendi una delle sue care lacrime, dolce rugiada del cielo, e mettitela sul cuore, affinché questo non provi mai altra tristezza se non quella che allieta il dolce Bambino; e quando gli raccomanderai la tua anima, raccomandagli di quando in quando anche la mia, che è certo tutta tua.
Saluto affettuosamente la diletta schiera delle nostre sorelle, che io considero come semplici pastorelle che vegliano sui loro greggi, cioè sui loro affetti e che, avvertite dall'Angelo, vanno a rendere omaggio al divino Bambino, e in pegno della loro eterna servitù gli offrono il più bello fra i loro agnelli, cioè il loro amore, senza riserve ne eccezioni".
Alla vigilia della Nascita del Salvatore, gustando in anticipo le gioie della notte che darà alla terra il suo Redentore, Francesco si effonde con la sua figlia prediletta, Giovanna Francesca di Chantal, e la invita a gustare insieme con lui le bellezze del divino Bambino e a trar profitto dalla sua visita.
"Il grande piccolo Bambino di Betlemme sia per sempre la delizia e l'amore del nostro cuore, dilettissima madre mia e figlia mia! Oh, come è bello questo povero tenero bimbo! Mi par di vedere Salomone sul suo trono d'avorio, ornato d'oro e di disegni, che non ebbe uguali fra i regni, come dice la Scrittura, come questo re non ebbe uguali in gloria e magnificenza. Ma amo cento volte di più vedere il caro bambino nella mangiatoia che vedere tutti i re sui loro troni.
Ma se io lo vedo sulle ginocchia della sua santa Madre o fra le sue braccia, con la boccuccia che sembra un bocciolo di rosa attaccata al suo purissimo seno, o Dio! lo trovo magnifico, su quel trono non solo più di Salomone sul suo trono d'avorio, ma anche più di quanto l'eterno figlio del Padre non lo fosse stato in cielo; perché se il cielo ha più dell'essere visibile, la Santa Vergine possiede più perfezioni invisibili; e una goccia di latte che fluisce castamente dal suo santo seno vale più di tutti gli effluvi celesti. Il grande san Giuseppe ci faccia partecipi della sua consolazione, e la santa Madre del suo amore: e il Bambino voglia spargere per sempre i suoi meriti nei nostri cuori!
Ti prego, sta il più dolcemente possibile presso il celeste bambino: egli non cesserà di amare il tuo diletto cuore così come è, senza tenerezza e senza sentimento. Vedi come riceve l'alito del grosso bue e dell'asino che non hanno alcun affetto e sentimento? E come non riceverà le aspirazioni del nostro povero cuore il quale, per quanto attualmente privo di tenerezza, tuttavia si mostra totalmente e con fermezza ai suoi piedi per essere eternamente servo fedele del suo e di quello della sua santa Madre e del grande governatore del piccolo Re?".
La notte santa è passata portando la Pace agli uomini di buona volontà; Francesco cerca ancora il cuore della figlia che Gesù gli ha affidata, per versarvi tutte le dolcezze che ha provate nella contemplazione del mistero d'amore.
"Viva, Gesù! Quanto è dolce questa notte, figlia mia dilettissima! I cieli, canta la Chiesa, stillano miele da ogni parte; e io penso che i santi Angeli che fanno risonare nell'aria il loro magnifico cantico, vengono per raccogliere il miele celeste sui gigli dove si è posato, sul petto della dolcissima Vergine e di san Giuseppe. Temo, figlia diletta, che quei divini Spiriti si confondano fra il latte che esce dal purissimo seno e il miele celeste che è attaccato ad esso. Che dolcezza vedere il miele succhiare il latte!
Ma dimmi, figlia diletta, sono io forse tanto ambizioso se pensassi che i nostri buoni Angeli, il mio e il tuo, si trovarono anch'essi nella magnifica schiera di musici celesti che cantarono in quella notte? Oh, Dio! Se si compiacessero di intonare nuovamente, alle orecchie del nostro cuore, quella celeste canzone, che gioia, che gaudio! Li supplico di farlo, affinché sia gloria al cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Tornando dunque dai santi Misteri, io saluto così la mia figlia diletta; poiché credo che anche i pastori, dopo aver adorato il celeste Bambino che il cielo aveva loro annunciato, si riposarono un poco. Ma, oh, Dio! Quanta soavità, penso, nel loro sonno! Sembrava ad essi di sentire ancora la sacra melodia degli Angeli che li aveva salutati così dolcemente con il loro cantico, e di vedere sempre il dolce Bambino e la Madre ai quali erano andati a far visita.
Che cosa potremmo dare al nostro piccolo Re, che non abbiamo ricevuto da lui e dalla sua divina liberalità? Orsù, io gli offrirò, dunque nella santa Messa solenne, la dilettissima figlia che egli mi ha data. O Salvatore delle anime nostre, rendila tutta d'oro per la carità, tutta di mirra per la mortificazione e tutta d'incenso per la preghiera, e quindi ricevila fra le braccia della tua protezione; il tuo cuore dica al suo: Io sono la tua salvezza nei secoli dei secoli".
Parlando altrove a un'altra sposa di Cristo, la esorta in questi termini a nutrirsi della dolcezza del neonato: "La tua anima, come una mistica ape, non abbandoni mai quel caro piccolo Re, e faccia il suo miele attorno a lui, in lui e per lui; lo prenda anzi su di lui, che ha le labbra adorne di grazia e sulle quali, più beatamente di quanto si vide su quelle di sant'Ambrogio, le santi api, radunate in sciame, si danno al loro dolce e grazioso lavoro".
È necessario far punto, ma indugiamoci ancora un poco per udirlo narrare le bellezze del santissimo Nome di Gesù, dato al Salvatore nei dolori della Circoncisione. Così egli scrive alla sua santa cooperatrice:
"O Gesù, riempi il nostro cuore del sacro balsamo del tuo Nome divino, affinché la soavità del suo odore si effonda in tutti i nostri sensi, e si spanda in tutte le nostre azioni. Ma per rendere questo cuore capace di ricevere cosi dolce liquore, circoncidilo, e strappane tutto ciò che può tornare sgradito ai tuoi santi occhi. O Nome glorioso, che la bocca del Padre celeste ha chiamato dall'eternità, sii per sempre l'emblema dell'anima nostra, affinché, come tu sei Salvatore, essa sia eternamente salva! O Vergine santa, che, prima fra tutti, hai pronunciato quel Nome di salvezza, ispiraci il modo di pronunciarlo come si conviene, affinché tutto spiri in noi la salvezza che il tuo seno ci ha apportata.
Figlia dilettissima, era giusto scrivere la prima lettera di quest'anno a Nostro Signore e a Maria Vergine; ecco ora la seconda con la quale, figlia mia ti auguro il buon anno, e consacro il nostro cuore alla divina bontà. Possiamo trascorrere in modo tale quest'anno che esso ci serva di fondamento per l'anno eterno! Proprio questa mattina, nel destarmi, ho gridato alle tue orecchie: Viva Gesù! E avrei voluto spargere questo olio santo su tutta la superficie della terra.
Quando un balsamo è ben chiuso in una fiala, nessuno sa distinguere quale liquido contenga, se non chi ve l'ha messo; ma quando si è aperta la fiala e si è versata qualche goccia, ognuno dice: è un balsamo. Figlia diletta, il nostro amato Gesù Bambino era tutto pieno del balsamo di salvezza; ma non lo si conosceva finché con il coltello dolcemente crudele è stata lacerata la sua carne divina; e allora si è saputo che egli è tutto balsamo e olio diffuso, e che è il balsamo di salvezza. Per questo san Giuseppe e la Vergine, e quindi tutto il vicinato, cominciano ad esclamare: Gesù! - che significa Salvatore.
Piaccia a questo divino Bambino bagnare i nostri cuori nel suo sangue, e renderli odorosi del suo santo Nome, affinché le rose dei buoni desideri che abbiamo formulati, siano tutte imporporate del suo colore, e tutte odoranti del suo unguento!".
VITA. - San Francesco nacque nella Savoia il 21 agosto 1567. Studiò a Parigi e quindi a Padova. Ordinato sacerdote il 18 ottobre 1593 e fatto Prevosto della chiesa di Ginevra, si dedicò con molte fatiche e con successo alla conversione dei Protestanti del Chiablese, e ne ricondusse 72.000 alla fede cattolica. Consacrato Vescovo di Ginevra 1'8 dicembre 1602, fondò otto anni più tardi l'Ordine della Visitazione, scrisse libri d'una dottrina celeste e diffuse in ogni parte i raggi della sua santità con il suo zelo, la sua dolcezza, la sua misericordia verso i peccatori e tutte le altre virtù. Morì a Lione il 28 gennaio 1622. Alessandro VII lo canonizzò il 19 aprile 1665 e Pio IX lo ha dichiarato Dottore della Chiesa il 19 luglio 1877. Il suo corpo riposa nella casa della Visitazione ad Annecy.
Conquistatore pacifico delle anime, Pontefice amato da Dio e dagli uomini, noi celebriamo in te la dolcezza dell'Emmanuele. Avendo imparato da lui ad essere dolce ed umile di cuore, tu hai, secondo la sua promessa, posseduto la terra (Mt 5,4). Nessuno ti ha potuto resistere: i settari più ostinati, i peccatori più induriti, le anime più tiepide, tutto ha ceduto alla tua parola e ai tuoi esempi. Ci piace contemplarti, presso la culla del Bambino che viene ad amarci, mentre associ la tua gloria a quella di Giovanni e degli innocenti: Apostolo come il primo, semplice come i figli di Rachele! Stabilisci per sempre il nostro cuore in questa beata compagnia; ci insegni essa infine che il giogo dell'Emmanuele è dolce, e il suo peso leggero.
Riscalda le anime nostre al fuoco della tua carità, e fomenta in esse il desiderio della perfezione. Dottore delle vie spirituali, introducici in quella santa Via di cui hai tracciato le leggi; rianima nei nostri cuori l'amore del prossimo, senza il quale non potremmo sperare di possedere l'amore di Dio; iniziaci al tuo zelo per la salvezza delle anime; insegnaci la pazienza e il perdono delle ingiurie, affinché ci amiamo tutti, non soltanto con la bocca e con le parole - come dice Giovanni il tuo modello - ma nelle opere e nella verità (1Gv 3,18). Benedici la Chiesa della terra; il tuo ricordo è vivo nella sua mente come se tu l'avessi or ora lasciata per quella del cielo, poiché tu non sei più soltanto il Vescovo di Ginevra, ma l'oggetto dell'amore e della fiducia dell'universo intero.
Affretta la conversione generale dei seguaci dell'eresia calvinista. Le tue preghiere hanno già fatto progredire l'opera del ritorno, e il sacrificio dell'Agnello si offre oggi pubblicamente nella protestante Ginevra. Procura al più presto il pieno trionfo di Santa Madre Chiesa. Estirpa in mezzo a noi gli ultimi residui dell'eresia giansenista, che si disponeva a seminare la sua zizzania nei giorni stessi in cui il Signore ti ritoglieva da questo mondo. Purifica le nostre regioni dalle massime e dalle abitudini pericolose che hanno ereditate dai tempi in cui trionfava quella perversa setta. Benedici con tutta la tenerezza del tuo cuore paterno il santo Ordine che hai fondato e che hai consacrato a Maria sotto il titolo della sua Visitazione. Conservalo nello stato di costante edificazione della Chiesa; fa' che progredisca, e dirigilo affinché si conservi il tuo spirito nella famiglia della quale sei il padre. Proteggi l'episcopato di cui sei stato il decoro e il modello; chiedi a Dio, per la sua Chiesa, Pastori formati alla tua scuola, ardenti del tuo zelo ed emuli della tua santità. Ricordati, infine, della Francia, con la quale hai contratto così stretti legami. Essa si commosse alla fama delle tue virtù, desiderò il tuo apostolato e ti diede la tua più fedele collaboratrice. Tu hai arricchito la sua lingua con i tuoi meravigliosi scritti, e dal suo seno stesso sei partito per andare a Dio: dall'alto del cielo, ritienila anche come tua patria.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 388-394.”





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29 gennaio (24 gennaio) - S. Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa (https://forum.termometropolitico.it/244618-29-gennaio-24-gennaio-s-francesco-di-sales-vescovo-e-dottore-della-chiesa.html)
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MISSALE ROMANUM - Die 29 Januarii. S. Francisci Salesii Episcopi, Confessoris et Ecclesiæ Doctoris (http://www.unavoce-ve.it/mr-29jan=lat.htm)
http://www.unavoce-ve.it/mr-29jan=lat.htm
Guéranger, L'anno liturgico - San Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa (http://www.unavoce-ve.it/pg-29gen.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-29gen.htm
“29 GENNAIO SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA”

Quarta domenica dopo l’Epifania (http://www.unavoce-ve.it/pg-epifania-dom4.htm)
Guéranger, L'anno liturgico - Quarta Domenica dopo l'Epifania (http://www.unavoce-ve.it/pg-epifania-dom4.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-epifania-dom4.htm





Luca, Sursum Corda!

Holuxar
29-01-18, 21:54
29 GENNAIO 2018: SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA…



MISSALE ROMANUM - Die 29 Januarii. S. Francisci Salesii Episcopi, Confessoris et Ecclesiæ Doctoris (http://www.unavoce-ve.it/mr-29jan=lat.htm)
http://www.unavoce-ve.it/mr-29jan=lat.htm

Guéranger, L'anno liturgico - San Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa (http://www.unavoce-ve.it/pg-29gen.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-29gen.htm





San Francesco di Sales - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-francesco-sales/)
http://www.sodalitium.biz/san-francesco-sales/
“29 gennaio, San Francesco di Sales, Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa (Thorens-Glières, 21 agosto 1567 – Lione, 28 dicembre 1622).
“San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, Confessore e Dot¬tore della Chiesa, speciale Patrono presso Dio di tutti gli Scrit¬tori cattolici, che con la pubblicazione di giornali ed altri scritti illustrano, promuovono e difendono la sapienza cristiana; il quale se ne andò in cielo il ventotto Dicembre, ma si venera principalmente in questo giorno per la traslazione del suo corpo”.
O glorioso San Francesco, che irradiato dalla luce della fede, fosti tanto penetrato ed innamorato delle grandi verità della nostra religione, che per istruire gli increduli sostenesti le più dure fatiche esponendo più volte la preziosa tua vita, ottienici una fede così viva e così ferma, che siamo irremovibili a qualsiasi suggestione degli spirituali nemici e che, lungi dall’arrossire di mostrarci veri cristiani, abbiamo a gloriarcene fino alla morte. Così sia.”


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Siria: dall?Occidente arrivano armi "umanitarie" - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/siria-dalloccidente-arrivano-armi-umanitarie/)
“Siria: dall’Occidente arrivano armi "umanitarie".
Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza - Comunicato n. 11/18 del 29 gennaio 2018, San Francesco di Sales.”






Ligue Saint Amédée (http://www.saintamedee.ch/)
http://www.saintamedee.ch/
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
29 janvier : Saint François de Sales, Évêque de Genève et Docteur de l'Église (1567-1622) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/29-janvier-saint-francois-de-sales)
“29 Janvier : Saint François de Sales, Évêque de Genève et Docteur de l'Église (1567-1622)”


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Dal 22 GENNAIO al 30 GENNAIO NOVENA A SAN GIOVANNI BOSCO:


Novena a Don Bosco (http://www.preghiereperlafamiglia.it/novena-a-don-bosco.htm)
Novena a San Giovanni Bosco (http://www.preghiereperlafamiglia.it/novena-a-san-giovanni-bosco.htm)







Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org/)
https://www.facebook.com/radiospadasocial/?fref=nf

“29 gennaio 2018: LUNEDÌ DI SETTUAGESIMA.”


“Il 29 gennaio 904 viene esaltato al Sommo Pontificato Papa Sergio III dei conti di Tuscolo.”


“29 GENNAIO 2018: SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA.”


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Luca, Sursum Corda!

Holuxar
01-02-19, 02:22
29 GENNAIO 2019: SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA…



«29 GENNAIO SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA»
Guéranger, L'anno liturgico - San Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa (http://www.unavoce-ve.it/pg-29gen.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-29gen.htm


«MISSALE ROMANUM - Die 29 Januarii. S. Francisci Salesii Episcopi, Confessoris et Ecclesiæ Doctoris»
http://www.unavoce-ve.it/mr-29jan=lat.htm




http://www.sodalitium.biz/san-francesco-sales/
«29 gennaio, San Francesco di Sales, Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa (Thorens-Glières, 21 agosto 1567 – Lione, 28 dicembre 1622).
“San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, Confessore e Dottore della Chiesa, speciale Patrono presso Dio di tutti gli Scrittori cattolici, che con la pubblicazione di giornali ed altri scritti illustrano, promuovono e difendono la sapienza cristiana; il quale se ne andò in cielo il ventotto Dicembre, ma si venera principalmente in questo giorno per la traslazione del suo corpo”.
O glorioso San Francesco, che irradiato dalla luce della fede, fosti tanto penetrato ed innamorato delle grandi verità della nostra religione, che per istruire gli increduli sostenesti le più dure fatiche esponendo più volte la preziosa tua vita, ottienici una fede così viva e così ferma, che siamo irremovibili a qualsiasi suggestione degli spirituali nemici e che, lungi dall’arrossire di mostrarci veri cristiani, abbiamo a gloriarcene fino alla morte. Così sia.»
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http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/francesco-sales-1-195x300.jpg



"Sante Messe - Sodalitium."
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium."
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I.M.B.C. a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio, Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11).”





«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
http://www.domusmarcellefebvre.it/
III domenica dopo l'Epifania - (Omelia)
https://www.youtube.com/watch?v=zHEiqmjKQNk
III dom. dopo l'Epifania
https://www.youtube.com/watch?v=vqLfMJ2qKmo
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»





https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«MARTIROLOGIO ROMANO, 1955. Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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«29 GENNAIO 2019: SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA»
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«NOVENA DI MEDITAZIONI IN PREPARAZIONE DELLA FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA SANTISSIMA (da VIA DELLA SALUTE di S. Alfonso Maria de' Liguori) Festa: 2 Febbraio.»





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«Carlo Di Pietro - Sursum Corda.»


https://www.agerecontra.it/category/sursum-corda/
https://www.agerecontra.it/tag/carlo-di-pietro/
https://www.agerecontra.it/2019/01/approfondimenti-limbo-castighi-di-dio-laicita-ecumenismo-infallibilita-della-chiesa-etc/
“Segnaliamo una serie di approfondimenti e dossier utili a conoscere e conservare la fede cattolica: contro l’ignoranza e le falsificazioni moderne.
Condanne della Chiesa all’eresia chiamata «ecumenismo»
Breve ricerca sui castighi per i trasgressori della legge divina
Limbo: il destino eterno dei bambini non battezzati e non nati
Quando il Papa è infallibile? Quando la Chiesa è infallibile?
Breve ricerca sulla laicità e sulla separazione fra Chiesa e Stato
Spiegare la misericordia di Dio
Sant’Alfonso sull’ecumenismo e sul dialogo interreligioso
Appunti sulla questione del cosiddetto «Papa eretico»
Abbiamo realizzato per i nostri Associati del nuovo DVD+R Dizionario di erudizione Storico Ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni. Suddivisa in 109 Volumi (di cui 6 per gli Indici e gli Aggiornamenti), è la principale opera scritta dal Cavalier Gaetano Moroni (1802-1883), bibliofilo, erudito, nonché Aiutante di camera dei Pontefici Gregorio XVI e Pio IX.
Preghiamo per i nostri Sacerdoti e Religiosi/e, per le vocazioni, per le famiglie, per la gioventù, per le intenzioni della nostra Associazione e per la conversione dei modernisti affidandoci alla potente intercessione di San Giovanni di Dio.
Ossequi, Carlo Di Pietro.”




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«29 GENNAIO 2019: SAN FRANCESCO DI SALES, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA»

“[GLORIE DEL CARDINALATO] S.E.R. Ignazio Gabriele I Tappouni (Mossul, 3 novembre 1879 - Beirut, 29 gennaio 1969). Sacerdote nel 1902, Vescovo nel 1913. Dal 1913 al 1912 al 1921 Vicario patriarcale dell'Eparchia di Mardin dei Siri; dal 1921 al 1929 Arcieparca di Aleppo dei Siri. Arrestato dai Turchi nel 1918 per un anno patì il carcere e la minaccia dell'esecuzione. Nel 1929 viene eletto Patriarca di Antiochia dei Siri. Pio XI nel 1935 gli conferisce la Porpora e il titolo dei Santi XII Apostoli. Fu benemerito nella difesa del Cattolicesimo in Siria.”







Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»

29 janvier : Saint François de Sales, Évêque de Genève et Docteur de l'Église (1567-1622) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/29-janvier-saint-francois-de-sales)
“29 janvier : Saint François de Sales, Évêque de Genève et Docteur de l'Église (1567-1622)”
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Lodato sempre sia il Santissimo nome di Gesù, Giuseppe e Maria!!!
Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!
Luca, Sursum Corda – Habemus Ad Dominum!!!