Mjollnir
26-01-03, 00:35
L’arcivescovo uscente di Milano, Carlo Maria Martini, durante l’incontro dal significativo titolo Israele radice santa, tenutosi al Centro San Fedele della sua citta’ in occasione della Giornata dell’Ebraismo, ha pronunciato un discorso di cui il quotidiano la Repubblica – cogliendo l’occasione dei 75 anni dell’insigne prelato – ha voluto pubblicare in data 14 Febbraio, una sintesi con quest’altro significativo titolo: “Quel giorno a Gerusalemme scoprii le mie radici”.
Era noto da tempo che il cardinal Martini desiderava, lasciando per anzianita’ la guida della sua diocesi, recarsi a vivere, pregare e studiare a Gerusalemme. Ma solo ora, nel discorso citato, rivela pubblicamente i legami “sottili” che lo vincolano alla citta’ santa dei 3 monoteismi abramici. Egli racconta con commosso ricordo del suo primo viaggio di studi in Medio Oriente, nel 1959, e della singolare coincidenza che lo vide celebrare “da solo sulla pietra del Sepolcro” una messa allo scadere esatto del 7° anniversario della sua prima celebrazione. Poi svela l’intuizione colà avuta di una vita che non finisce mai, che scoppia, deborda, abbraccia l’Universo, cui seguì, di lì a poco, visitando i pozzi dell’antica Gabaon, ove Salomone chiese in sogno a YHWH il dono della sapienza, una caduta che gli fece assaporare l’esperienza della morte, ma senza paura, ché lì scoprì come è bello morire in questa terra, e fu quello, confida, il primo momento in cui ho fortemente avvertito le mie radici esistenziali legate a quella terra, a quei luoghi. Un sentimento accresciutosi con un’altra esperienza di parecchi anni dopo, allorche’ era rettore del Pontificio Istituto Biblico di Roma ed in tale veste si recava spesso a Gerusalemme.
Qui, di nuovo, una sera appena giunto a Roma, continua a raccontare sentii quasi con prepotenza questa percezione: io sono nato qui, a Gerusalemme. Puo’ sembrare qualcosa di irrazionale, una percezione che ha l’unica ragione logica nel cuore. Mi pareva di essere davvero nato lì, di essere sempre vissuto a contatto con quelle pietre. Alle radici esistenziali si aggiungevano quindi le radici storiche: essere parte di queste pietre, di questa storia, di questa realtà che si tocca con le mani.
Non si farebbe fatica a leggere queste confessioni – di grande forza e sincerità quali è ovvio aspettarsi da un uomo, da un sacerdote e da un gesuita del valore di Martini – seguendo gli insegnamenti di un Giuliano Kremmerz su ciò che è il cosiddetto uomo storico che dorme in ognuno di noi. Ma preferiamo leggerle sulla base di quella non meno forte e straordinariamente sincera affermazione di Pio XI, anche lui già arcivescovo di Milano, che irritò alquanto il Mussolini del 1938, il quale con lo stesso pontefice aveva concluso 9 anni prima i Patti Lateranensi in nome di “quella Roma onde Cristo è romano”: noi siamo spiritualmente dei semiti.(1)
Era già stato, nel IV secolo, proprio il primo grande vescovo di Milano, Ambrogio, a chiamare, pur provenendo da famiglia senatoria, maiores nostri Gesù, Zorobabele e Sansone: “Mai – osserva Marco Baistrocchi – sino ad allora un vero romano, specialmente di famiglia senatoria, avrebbe mai potuto configurare, anche se solo ipoteticamente, l’idea di poter surrogare o sovrapporre ai propri avi quelli appartenenti ad un’altra nazione appena debellata, ad irrilevanti popolazioni poste ai margini periferici dell’Impero”(2). Che dunque Roma non sia mai stata altro, da un punto di vista autenticamente cristiano, che la capitale, espugnata e finalmente asservita, della potenza spirituale e politica che aveva vinto ed umiliato la patria d’elezione della buona novella, non puo’ essere più esplicito. Pertanto le voci cristiane che sempre + rimarcano con piena ragione le origini giudaiche del cristianesimo, manifestando contestualmente la volonta’ di un ritorno alla centralità spirituale di Gerusalemme, vanno con attenzione ascoltate, per comprendere i segni dei tempi.
Gia’ fu significativo quanto accadde nel 1997 a Graz, in Austria, all’Assemblea Ecumenica, cui parteciparono oltre 10.000 persone. Da alcuni teologi di punta, tra cui il biblista italiano Bruno Forte, fu avanzata la proposta di espungere dalla bibbia, e di conseguenza dalla liturgia delle varie confessioni cristiane, il nome “Dio” (dal latino Deus) per sostituirlo con l’antico termine ebraico, ovvero col tetragramma: YHWH. Come è noto, gli ebrei non pronunciano le 4 lettere; incontrandole, dicono invece “Signore”. A tale uso dovrebbero quindi, secondo le proposte di Graz, adeguarsi anche cattolici e protestanti. Marco Garzonio, inviato del Corriere della Sera nella capitale della Stiria, spiegò allora che 3 sono le ragioni di questa opzione giudaizzante(3):
costituita dal rispetto per gli ebrei, cioè verso coloro che Giovanni Paolo II ci tiene siano considerati fratelli maggiori dei cristiani, superando ogni avversione verso quello che fino a ieri era considerato il popolo deicida;
rappresentata da una maggiore apertura al mistero della trascendenza divina, che l’impronunciabilità del tetragramma garantirebbe, cosi’ come favorirebbe la convergenza ecumenica nel nuovo villaggio globale;
in evidente connessione con la 1° è data da una esplicita volontà di ritorno alle origini del cristianesimo, riconoscendo la piena identità ebraica del suo fondatore e dei suoi primi discepoli.
Non a caso Bruno Forte (ved. articolo di Garzonio) si è così espresso: Gesù ebreo, ed ebreo per sempre, non ha mai pronunciato il tetragramma. Lui per primo ha sempre detto “Signore”. Non ci resta che imitarlo anche in questo, se vogliamo essere suoi autentici discepoli.
Ma il richiamo a YHWH è davvero una garanzia di apertura ad un’universale paternità divina, nella quale possa riconoscersi non solo il mondo giudaico-cristiano, ma il mondo intero, così come si è andato dicendo a Graz? Enzo Mandruzzato, buon filologo e parimenti dotto in cose greco-latine e cose giudaico-cristiane, così descrive la nascita del culto di YHWH, ovvero, come lui dice, della “potente idea ebraica”. “[…] l’offerta di tutto il popolo a una sola divinità, ignota, senza nome, senza immagini, di cui non si capta che l’esistenza, cioè tutto: YHWH, colui che è, che si rivelerà quando e come vorrà e quanto i suoi imprevedibili servi meriteranno. Si ha come l’impressione che avessero scoperto un dio vacante. “Fede cieca” nel senso pieno ed esatto, “fedeltà” senza prove, contropartite e crediti. Le parole che ricorrono, cioè che pesano di + nell’Antico Testamento sono signore e servo (schiavo): tali sono i rapporti tra sovrano e sudditi, padri e figli, potenti e deboli, uomo e donna; al cospetto del suo Dio geloso, Israele è donna, schiava, e ogni infedeltà è imperdonabile.
Tutti nell’antichità avevano il terrore di offendere o solo di trascurare qualche divinità suscettibile: al contrario, gli ebrei offendono, sfidano, rifiutano, provocano, “negano” tutti gli Dei per esaltare il proprio, e gli promettono – o si promettono – temerariamente, la sovranità di tutte le potenze dei “popoli” (Israele non era un popolo, ma il popolo). Ma che YHWH non fosse unico lo canta tutta la bibbia, epopea del “Signore dei Signori”, lo dichiara lo stesso primo comandamento del Deuteronomio, non avrai altro dio all’infuori di me. Nessuno parlerebbe così al proprio partner se fosse davvero senza possibili rivali. Ma proprio come ogni amato degno del nome, era l’unico. E mai si vide paragonabile fedeltà, sopravvissuta, dopo millenni, alla vedovanza” (4).
I fatti di Graz non fanno altro che confermare la presenza di una forte tendenza, entro la chiesa cattolica come in quelle protestanti, alla rigiudaizzazione del cristianesimo, di cui gli elementi greco-latini vengono + considerati come incrostazioni storiche che avrebbero offuscato la genuinità della buona novella. Se da un lato si potrebbe salutare tutto ciò come la fine di un grande equivoco (quello di un inscindibile nesso tra cristianesimo ed identità europea), non v’è d’altro canto da rallegrarsi di fronte ad un processo che assume tratti inquietanti. Come giudicare ad es idee come quelle di Klaus Berger, docente di teologia del Nuovo Testamento ad Heidelberg, che vorrebbe l’uso nella liturgia degli inni tratti dai famosi e controversi rotoli manoscritti di Qumran? (5) La comunità di Qumran, di cui peraltro vanno sempre più delineandosi i legami con il nascente cristianesimo, era animata da un violento odio contro Roma e i Romani (i Kittim, e un esplicito ricongiungimento a tali radici non può non preoccupare quanti credono che la romanità costituisca anche per il futuro un irrinunciabile punto di riferimento per la civiltà occidentale e non solo, come testimonia l’incremento strabiliante dello studio della lingua e della civiltà latine nell’Africa francofona (la patria del moderno poeta latino Senghor) come nel lontano Giappone. Certo, le attuali drammatiche vicende della Palestina stanno ricreando un solco profondo tra gli ebrei e i cattolici, e con questi i cristiani d’Oriente (di contro, il fondamentalismo cristinao-protestante americano è sempre + fiolosionista…); ma quale potrebbe essere l’effetto di una nuova, drastica cesura tra cristianesimo e giudaismo, se non il continuare a rivendicare, da parte della chiesa cattolica, il titolo di Verus Israel[/] ? e comunqe vada a finire l’attuale tragedia della “Terra Santa”, uomini come Martini insistono nel ritenere che Gerusalemme [i]non può non godere di una speciale protezione di Dio, e proprio per questo non possiamo immaginare quanto potenziale sia insito nella sua missione di pace, che però è inscritta nel nome della città, quindi nella sua stessa fondazione (6).
Che in realtà i luoghi biblici non siano la terra d’elezione di una pace messianica, ma piuttosto di un odio sempiterno, lo avvertono invece da tempo le coscienze più sensibili. Ad es guido Ceronetti, da sempre appassionato frequentatore e traduttore delle scritture ebraiche, commentando le stragi reciprocamente infertesi da ebrei e musulmani in Palestina, qualche anno fa parlò acutamente di un “Saturno maligno” come genius loci di quella terra martoriata, ed osservava: ” […] le ragioni dell’umanità e le verità più profonde sono meglio al riparo altrove, tra i filosofi pagani, tra i vedantisti e i buddisti, tra gli eretici, i mistici e i reietti del grande e funesto albero abramico. Non viene pace, un soffio di vera pace, da queste religioni malate del Dio unico rivelato, i cui centri sono La Mecca e Gerusalemme; si direbbe che nella loro relazione col mondo, il suolo, le cose, gli altri esseri viventi e all’interno dei loro cerchi di culto e di respiro, manchi del tutto la nota dell’armonia, la rosa della compassione illimitata, l’arte fondamentale di sciogliere l’odio, d’impedirne l’indurimento. Contenere del buono è ben lungi dall’essere il buono”. (7)
Malgrado tali evidenze, dalla già citiata Assemblea ecumenica di Graz venne un’altr aprposta: quella di raccomandare al Parlamento Europeo l’invito ai Paesi aderenti affinchè si introduca nelle scuole l’insegnamento obbligatorio della bibbia; invito che Marco Garzonio così spiegava: “Uno dei modi di riconciliare l’Europa può passare anche attraverso la conoscenza diffusa di Abramo, di isacco, di giacobbe, di Sara, accanto ad Achille, a Ulisse, a Elena, ad Enea. Studiando ed apprezzando personaggi e fatti biblici, gli ebrei potrebbero apparire meno misteriosi, lontani, diversi”. In verità, gli eroi del miti classico stanno per essere sempre + emarginati nei progetti e nella pratica della scuola, e se è vero che quest’ultima non fornisce una adeguata cultura biblica, certamente assai utile per capire molte cose del passato e del presente, è un fatto che la vera fonte di acculturazione di massa dei nostri tempi, cioè il mondo dell’immagine, provvede ampiamente a fare di quelli che non sono altro che gli eori dell’epica di Israele gli eori obbligatori del mondo intero. E gli Italiani non a caso sono stati sottoposti ad una cura massiccia di epica ebraica col cosiddetto “progetto bibbia” della Tv di Stato, per cui, tra prime visioni e repliche, ora grandi e piccini (che per di + hanno a disposizione Il principe d’Egitto di Spielberg) sanno tutto di Abramo e di chi segue.
Quanto sono lontani i tempi dell’Odissea e dell’Eneide televisive ! E qui ci paice ricordare quella domnica 31 Gennaio el 1971, in cui si conludeva la seguitissima (pur se difettosa) Eneide interpretata da Giulio Brogi. Nello stesso giorno le agenzie di stampa annunciarono la scoperta di , nei pressi dell’antica Lavinio, dell’heroon di Enea, cioè della tomba simbolica dell’eroe troiano, già oggetto di culto ufficiale da parte dello Stato romano (8). Carl Gustav jung ha scritto:“Come dimostrano gli esperimenti ESP (percezione extrasensoriale) di Rhine, un interesse (emotivo) intenso, o una fascinazione, è entro certi limiti accompagnato da fenomeni che si possono spiegare soltanto con una relatività psichica di tempo, spazio, causalità. Giacchè l’archetipo quasi sempre possiede il carattere della numinosità, esso può suscitare proprio quella fascinazione che è a sua volta accompagnata dai cosiddetti fenomeni sincronistici . questi consistono in una coincidenza significativa di 2 o + fatti , non casualmente collegati ma conformi nel significato”. (9)
L’intensa aspettativa che allora gli Italiano provarono verso la conclusione delle vicende del loro eroe archegeta (vicende che sono all’origine della nostra storia) provocò il sincronico rinvenimento della tomba dello stesso eroe, segno di certe potenzialità ancora presenti in quello che Kremmerz chiamava l’astrale italico. Ma l’heroon di Enea, che dovrebbe essere uno dei luoghi sacri di una rinnovata civiltà romana, è oggi solo uno dei tanti siti archeologici italiani semoabbandonati. E tale rischia di restare, finchè i Wojtyla e i Martini, che tanto amano Gerusalemme da aspirare a morire tra le sue mura, sapranno anch’essi fin troppo bene quel che sappiamo noi “ingenui” pagani, e cioè che per la sopravvivenza del cristianesimo conta di + avere una tomba di Pietro in Roma che un sepolcro di Cristo a Gerusalemme
Mauro Meriggi
NOTE
1) cfr. G. Bottai, diario 1935-1944, Milano, 2001 pp. 137-138
2) M. Baistrocchi, La Vittoria e i suoi nemici, “Politica Romana” 4/1997, pp. 70-117, v. pp. 82-83
3) M. Garzonio, Dio ? Sia cambiato il suo nome, in “Corriere della Sera”, 28/6/1997
4) E. Mandruzzato, Il piacere del latino. Milano, 1989, pp. 62-63
5) K. Berger, Cristiani, ritrovatevi a Qumran, nel “Sole 24 Ore” 9/10/1995. Qui leggiamo che gli inni qumraniti risalgono alla “epoca dei nostri padri nella fede, inni di quel tempo della nostra storia in cui il popolo di Dio non era ancora diviso in ebrei e pagani convertiti al cristianesimo. E, in questo senso si può dire che se la nostra pietà non è ebraica, non può neppure essere cristiana. Per tale motivo posso pensare a un impiego liturgico della presente raccolta”.
6) La Pasqua secondo Martini – dialogo tra Mons. Ravasi e l’arcivescovo di Milano, in “Famiglia cristiana” del 31/3/2002 pp. 97-103
7) G. Ceronetti, L’impossibile pace, in “La Stampa”, 2/3/1994
8) La coincidenza è stata ricordata da S. Moscati, dov’è la tomba di Enea ? Virgilio ci ha mentito, in “Tuttolibri” 13/6/1996
9) C.G. Jung, Opere 9**, Aion: Ricerche sul simbolismo del Sé. Torino, 1977 pp. 173
Tratto da: La Cittadella, anno 2, numero 6
Era noto da tempo che il cardinal Martini desiderava, lasciando per anzianita’ la guida della sua diocesi, recarsi a vivere, pregare e studiare a Gerusalemme. Ma solo ora, nel discorso citato, rivela pubblicamente i legami “sottili” che lo vincolano alla citta’ santa dei 3 monoteismi abramici. Egli racconta con commosso ricordo del suo primo viaggio di studi in Medio Oriente, nel 1959, e della singolare coincidenza che lo vide celebrare “da solo sulla pietra del Sepolcro” una messa allo scadere esatto del 7° anniversario della sua prima celebrazione. Poi svela l’intuizione colà avuta di una vita che non finisce mai, che scoppia, deborda, abbraccia l’Universo, cui seguì, di lì a poco, visitando i pozzi dell’antica Gabaon, ove Salomone chiese in sogno a YHWH il dono della sapienza, una caduta che gli fece assaporare l’esperienza della morte, ma senza paura, ché lì scoprì come è bello morire in questa terra, e fu quello, confida, il primo momento in cui ho fortemente avvertito le mie radici esistenziali legate a quella terra, a quei luoghi. Un sentimento accresciutosi con un’altra esperienza di parecchi anni dopo, allorche’ era rettore del Pontificio Istituto Biblico di Roma ed in tale veste si recava spesso a Gerusalemme.
Qui, di nuovo, una sera appena giunto a Roma, continua a raccontare sentii quasi con prepotenza questa percezione: io sono nato qui, a Gerusalemme. Puo’ sembrare qualcosa di irrazionale, una percezione che ha l’unica ragione logica nel cuore. Mi pareva di essere davvero nato lì, di essere sempre vissuto a contatto con quelle pietre. Alle radici esistenziali si aggiungevano quindi le radici storiche: essere parte di queste pietre, di questa storia, di questa realtà che si tocca con le mani.
Non si farebbe fatica a leggere queste confessioni – di grande forza e sincerità quali è ovvio aspettarsi da un uomo, da un sacerdote e da un gesuita del valore di Martini – seguendo gli insegnamenti di un Giuliano Kremmerz su ciò che è il cosiddetto uomo storico che dorme in ognuno di noi. Ma preferiamo leggerle sulla base di quella non meno forte e straordinariamente sincera affermazione di Pio XI, anche lui già arcivescovo di Milano, che irritò alquanto il Mussolini del 1938, il quale con lo stesso pontefice aveva concluso 9 anni prima i Patti Lateranensi in nome di “quella Roma onde Cristo è romano”: noi siamo spiritualmente dei semiti.(1)
Era già stato, nel IV secolo, proprio il primo grande vescovo di Milano, Ambrogio, a chiamare, pur provenendo da famiglia senatoria, maiores nostri Gesù, Zorobabele e Sansone: “Mai – osserva Marco Baistrocchi – sino ad allora un vero romano, specialmente di famiglia senatoria, avrebbe mai potuto configurare, anche se solo ipoteticamente, l’idea di poter surrogare o sovrapporre ai propri avi quelli appartenenti ad un’altra nazione appena debellata, ad irrilevanti popolazioni poste ai margini periferici dell’Impero”(2). Che dunque Roma non sia mai stata altro, da un punto di vista autenticamente cristiano, che la capitale, espugnata e finalmente asservita, della potenza spirituale e politica che aveva vinto ed umiliato la patria d’elezione della buona novella, non puo’ essere più esplicito. Pertanto le voci cristiane che sempre + rimarcano con piena ragione le origini giudaiche del cristianesimo, manifestando contestualmente la volonta’ di un ritorno alla centralità spirituale di Gerusalemme, vanno con attenzione ascoltate, per comprendere i segni dei tempi.
Gia’ fu significativo quanto accadde nel 1997 a Graz, in Austria, all’Assemblea Ecumenica, cui parteciparono oltre 10.000 persone. Da alcuni teologi di punta, tra cui il biblista italiano Bruno Forte, fu avanzata la proposta di espungere dalla bibbia, e di conseguenza dalla liturgia delle varie confessioni cristiane, il nome “Dio” (dal latino Deus) per sostituirlo con l’antico termine ebraico, ovvero col tetragramma: YHWH. Come è noto, gli ebrei non pronunciano le 4 lettere; incontrandole, dicono invece “Signore”. A tale uso dovrebbero quindi, secondo le proposte di Graz, adeguarsi anche cattolici e protestanti. Marco Garzonio, inviato del Corriere della Sera nella capitale della Stiria, spiegò allora che 3 sono le ragioni di questa opzione giudaizzante(3):
costituita dal rispetto per gli ebrei, cioè verso coloro che Giovanni Paolo II ci tiene siano considerati fratelli maggiori dei cristiani, superando ogni avversione verso quello che fino a ieri era considerato il popolo deicida;
rappresentata da una maggiore apertura al mistero della trascendenza divina, che l’impronunciabilità del tetragramma garantirebbe, cosi’ come favorirebbe la convergenza ecumenica nel nuovo villaggio globale;
in evidente connessione con la 1° è data da una esplicita volontà di ritorno alle origini del cristianesimo, riconoscendo la piena identità ebraica del suo fondatore e dei suoi primi discepoli.
Non a caso Bruno Forte (ved. articolo di Garzonio) si è così espresso: Gesù ebreo, ed ebreo per sempre, non ha mai pronunciato il tetragramma. Lui per primo ha sempre detto “Signore”. Non ci resta che imitarlo anche in questo, se vogliamo essere suoi autentici discepoli.
Ma il richiamo a YHWH è davvero una garanzia di apertura ad un’universale paternità divina, nella quale possa riconoscersi non solo il mondo giudaico-cristiano, ma il mondo intero, così come si è andato dicendo a Graz? Enzo Mandruzzato, buon filologo e parimenti dotto in cose greco-latine e cose giudaico-cristiane, così descrive la nascita del culto di YHWH, ovvero, come lui dice, della “potente idea ebraica”. “[…] l’offerta di tutto il popolo a una sola divinità, ignota, senza nome, senza immagini, di cui non si capta che l’esistenza, cioè tutto: YHWH, colui che è, che si rivelerà quando e come vorrà e quanto i suoi imprevedibili servi meriteranno. Si ha come l’impressione che avessero scoperto un dio vacante. “Fede cieca” nel senso pieno ed esatto, “fedeltà” senza prove, contropartite e crediti. Le parole che ricorrono, cioè che pesano di + nell’Antico Testamento sono signore e servo (schiavo): tali sono i rapporti tra sovrano e sudditi, padri e figli, potenti e deboli, uomo e donna; al cospetto del suo Dio geloso, Israele è donna, schiava, e ogni infedeltà è imperdonabile.
Tutti nell’antichità avevano il terrore di offendere o solo di trascurare qualche divinità suscettibile: al contrario, gli ebrei offendono, sfidano, rifiutano, provocano, “negano” tutti gli Dei per esaltare il proprio, e gli promettono – o si promettono – temerariamente, la sovranità di tutte le potenze dei “popoli” (Israele non era un popolo, ma il popolo). Ma che YHWH non fosse unico lo canta tutta la bibbia, epopea del “Signore dei Signori”, lo dichiara lo stesso primo comandamento del Deuteronomio, non avrai altro dio all’infuori di me. Nessuno parlerebbe così al proprio partner se fosse davvero senza possibili rivali. Ma proprio come ogni amato degno del nome, era l’unico. E mai si vide paragonabile fedeltà, sopravvissuta, dopo millenni, alla vedovanza” (4).
I fatti di Graz non fanno altro che confermare la presenza di una forte tendenza, entro la chiesa cattolica come in quelle protestanti, alla rigiudaizzazione del cristianesimo, di cui gli elementi greco-latini vengono + considerati come incrostazioni storiche che avrebbero offuscato la genuinità della buona novella. Se da un lato si potrebbe salutare tutto ciò come la fine di un grande equivoco (quello di un inscindibile nesso tra cristianesimo ed identità europea), non v’è d’altro canto da rallegrarsi di fronte ad un processo che assume tratti inquietanti. Come giudicare ad es idee come quelle di Klaus Berger, docente di teologia del Nuovo Testamento ad Heidelberg, che vorrebbe l’uso nella liturgia degli inni tratti dai famosi e controversi rotoli manoscritti di Qumran? (5) La comunità di Qumran, di cui peraltro vanno sempre più delineandosi i legami con il nascente cristianesimo, era animata da un violento odio contro Roma e i Romani (i Kittim, e un esplicito ricongiungimento a tali radici non può non preoccupare quanti credono che la romanità costituisca anche per il futuro un irrinunciabile punto di riferimento per la civiltà occidentale e non solo, come testimonia l’incremento strabiliante dello studio della lingua e della civiltà latine nell’Africa francofona (la patria del moderno poeta latino Senghor) come nel lontano Giappone. Certo, le attuali drammatiche vicende della Palestina stanno ricreando un solco profondo tra gli ebrei e i cattolici, e con questi i cristiani d’Oriente (di contro, il fondamentalismo cristinao-protestante americano è sempre + fiolosionista…); ma quale potrebbe essere l’effetto di una nuova, drastica cesura tra cristianesimo e giudaismo, se non il continuare a rivendicare, da parte della chiesa cattolica, il titolo di Verus Israel[/] ? e comunqe vada a finire l’attuale tragedia della “Terra Santa”, uomini come Martini insistono nel ritenere che Gerusalemme [i]non può non godere di una speciale protezione di Dio, e proprio per questo non possiamo immaginare quanto potenziale sia insito nella sua missione di pace, che però è inscritta nel nome della città, quindi nella sua stessa fondazione (6).
Che in realtà i luoghi biblici non siano la terra d’elezione di una pace messianica, ma piuttosto di un odio sempiterno, lo avvertono invece da tempo le coscienze più sensibili. Ad es guido Ceronetti, da sempre appassionato frequentatore e traduttore delle scritture ebraiche, commentando le stragi reciprocamente infertesi da ebrei e musulmani in Palestina, qualche anno fa parlò acutamente di un “Saturno maligno” come genius loci di quella terra martoriata, ed osservava: ” […] le ragioni dell’umanità e le verità più profonde sono meglio al riparo altrove, tra i filosofi pagani, tra i vedantisti e i buddisti, tra gli eretici, i mistici e i reietti del grande e funesto albero abramico. Non viene pace, un soffio di vera pace, da queste religioni malate del Dio unico rivelato, i cui centri sono La Mecca e Gerusalemme; si direbbe che nella loro relazione col mondo, il suolo, le cose, gli altri esseri viventi e all’interno dei loro cerchi di culto e di respiro, manchi del tutto la nota dell’armonia, la rosa della compassione illimitata, l’arte fondamentale di sciogliere l’odio, d’impedirne l’indurimento. Contenere del buono è ben lungi dall’essere il buono”. (7)
Malgrado tali evidenze, dalla già citiata Assemblea ecumenica di Graz venne un’altr aprposta: quella di raccomandare al Parlamento Europeo l’invito ai Paesi aderenti affinchè si introduca nelle scuole l’insegnamento obbligatorio della bibbia; invito che Marco Garzonio così spiegava: “Uno dei modi di riconciliare l’Europa può passare anche attraverso la conoscenza diffusa di Abramo, di isacco, di giacobbe, di Sara, accanto ad Achille, a Ulisse, a Elena, ad Enea. Studiando ed apprezzando personaggi e fatti biblici, gli ebrei potrebbero apparire meno misteriosi, lontani, diversi”. In verità, gli eroi del miti classico stanno per essere sempre + emarginati nei progetti e nella pratica della scuola, e se è vero che quest’ultima non fornisce una adeguata cultura biblica, certamente assai utile per capire molte cose del passato e del presente, è un fatto che la vera fonte di acculturazione di massa dei nostri tempi, cioè il mondo dell’immagine, provvede ampiamente a fare di quelli che non sono altro che gli eori dell’epica di Israele gli eori obbligatori del mondo intero. E gli Italiani non a caso sono stati sottoposti ad una cura massiccia di epica ebraica col cosiddetto “progetto bibbia” della Tv di Stato, per cui, tra prime visioni e repliche, ora grandi e piccini (che per di + hanno a disposizione Il principe d’Egitto di Spielberg) sanno tutto di Abramo e di chi segue.
Quanto sono lontani i tempi dell’Odissea e dell’Eneide televisive ! E qui ci paice ricordare quella domnica 31 Gennaio el 1971, in cui si conludeva la seguitissima (pur se difettosa) Eneide interpretata da Giulio Brogi. Nello stesso giorno le agenzie di stampa annunciarono la scoperta di , nei pressi dell’antica Lavinio, dell’heroon di Enea, cioè della tomba simbolica dell’eroe troiano, già oggetto di culto ufficiale da parte dello Stato romano (8). Carl Gustav jung ha scritto:“Come dimostrano gli esperimenti ESP (percezione extrasensoriale) di Rhine, un interesse (emotivo) intenso, o una fascinazione, è entro certi limiti accompagnato da fenomeni che si possono spiegare soltanto con una relatività psichica di tempo, spazio, causalità. Giacchè l’archetipo quasi sempre possiede il carattere della numinosità, esso può suscitare proprio quella fascinazione che è a sua volta accompagnata dai cosiddetti fenomeni sincronistici . questi consistono in una coincidenza significativa di 2 o + fatti , non casualmente collegati ma conformi nel significato”. (9)
L’intensa aspettativa che allora gli Italiano provarono verso la conclusione delle vicende del loro eroe archegeta (vicende che sono all’origine della nostra storia) provocò il sincronico rinvenimento della tomba dello stesso eroe, segno di certe potenzialità ancora presenti in quello che Kremmerz chiamava l’astrale italico. Ma l’heroon di Enea, che dovrebbe essere uno dei luoghi sacri di una rinnovata civiltà romana, è oggi solo uno dei tanti siti archeologici italiani semoabbandonati. E tale rischia di restare, finchè i Wojtyla e i Martini, che tanto amano Gerusalemme da aspirare a morire tra le sue mura, sapranno anch’essi fin troppo bene quel che sappiamo noi “ingenui” pagani, e cioè che per la sopravvivenza del cristianesimo conta di + avere una tomba di Pietro in Roma che un sepolcro di Cristo a Gerusalemme
Mauro Meriggi
NOTE
1) cfr. G. Bottai, diario 1935-1944, Milano, 2001 pp. 137-138
2) M. Baistrocchi, La Vittoria e i suoi nemici, “Politica Romana” 4/1997, pp. 70-117, v. pp. 82-83
3) M. Garzonio, Dio ? Sia cambiato il suo nome, in “Corriere della Sera”, 28/6/1997
4) E. Mandruzzato, Il piacere del latino. Milano, 1989, pp. 62-63
5) K. Berger, Cristiani, ritrovatevi a Qumran, nel “Sole 24 Ore” 9/10/1995. Qui leggiamo che gli inni qumraniti risalgono alla “epoca dei nostri padri nella fede, inni di quel tempo della nostra storia in cui il popolo di Dio non era ancora diviso in ebrei e pagani convertiti al cristianesimo. E, in questo senso si può dire che se la nostra pietà non è ebraica, non può neppure essere cristiana. Per tale motivo posso pensare a un impiego liturgico della presente raccolta”.
6) La Pasqua secondo Martini – dialogo tra Mons. Ravasi e l’arcivescovo di Milano, in “Famiglia cristiana” del 31/3/2002 pp. 97-103
7) G. Ceronetti, L’impossibile pace, in “La Stampa”, 2/3/1994
8) La coincidenza è stata ricordata da S. Moscati, dov’è la tomba di Enea ? Virgilio ci ha mentito, in “Tuttolibri” 13/6/1996
9) C.G. Jung, Opere 9**, Aion: Ricerche sul simbolismo del Sé. Torino, 1977 pp. 173
Tratto da: La Cittadella, anno 2, numero 6