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Mjollnir
26-01-03, 00:35
L’arcivescovo uscente di Milano, Carlo Maria Martini, durante l’incontro dal significativo titolo Israele radice santa, tenutosi al Centro San Fedele della sua citta’ in occasione della Giornata dell’Ebraismo, ha pronunciato un discorso di cui il quotidiano la Repubblica – cogliendo l’occasione dei 75 anni dell’insigne prelato – ha voluto pubblicare in data 14 Febbraio, una sintesi con quest’altro significativo titolo: “Quel giorno a Gerusalemme scoprii le mie radici”.
Era noto da tempo che il cardinal Martini desiderava, lasciando per anzianita’ la guida della sua diocesi, recarsi a vivere, pregare e studiare a Gerusalemme. Ma solo ora, nel discorso citato, rivela pubblicamente i legami “sottili” che lo vincolano alla citta’ santa dei 3 monoteismi abramici. Egli racconta con commosso ricordo del suo primo viaggio di studi in Medio Oriente, nel 1959, e della singolare coincidenza che lo vide celebrare “da solo sulla pietra del Sepolcro” una messa allo scadere esatto del 7° anniversario della sua prima celebrazione. Poi svela l’intuizione colà avuta di una vita che non finisce mai, che scoppia, deborda, abbraccia l’Universo, cui seguì, di lì a poco, visitando i pozzi dell’antica Gabaon, ove Salomone chiese in sogno a YHWH il dono della sapienza, una caduta che gli fece assaporare l’esperienza della morte, ma senza paura, ché lì scoprì come è bello morire in questa terra, e fu quello, confida, il primo momento in cui ho fortemente avvertito le mie radici esistenziali legate a quella terra, a quei luoghi. Un sentimento accresciutosi con un’altra esperienza di parecchi anni dopo, allorche’ era rettore del Pontificio Istituto Biblico di Roma ed in tale veste si recava spesso a Gerusalemme.
Qui, di nuovo, una sera appena giunto a Roma, continua a raccontare sentii quasi con prepotenza questa percezione: io sono nato qui, a Gerusalemme. Puo’ sembrare qualcosa di irrazionale, una percezione che ha l’unica ragione logica nel cuore. Mi pareva di essere davvero nato lì, di essere sempre vissuto a contatto con quelle pietre. Alle radici esistenziali si aggiungevano quindi le radici storiche: essere parte di queste pietre, di questa storia, di questa realtà che si tocca con le mani.

Non si farebbe fatica a leggere queste confessioni – di grande forza e sincerità quali è ovvio aspettarsi da un uomo, da un sacerdote e da un gesuita del valore di Martini – seguendo gli insegnamenti di un Giuliano Kremmerz su ciò che è il cosiddetto uomo storico che dorme in ognuno di noi. Ma preferiamo leggerle sulla base di quella non meno forte e straordinariamente sincera affermazione di Pio XI, anche lui già arcivescovo di Milano, che irritò alquanto il Mussolini del 1938, il quale con lo stesso pontefice aveva concluso 9 anni prima i Patti Lateranensi in nome di “quella Roma onde Cristo è romano”: noi siamo spiritualmente dei semiti.(1)
Era già stato, nel IV secolo, proprio il primo grande vescovo di Milano, Ambrogio, a chiamare, pur provenendo da famiglia senatoria, maiores nostri Gesù, Zorobabele e Sansone: “Mai – osserva Marco Baistrocchi – sino ad allora un vero romano, specialmente di famiglia senatoria, avrebbe mai potuto configurare, anche se solo ipoteticamente, l’idea di poter surrogare o sovrapporre ai propri avi quelli appartenenti ad un’altra nazione appena debellata, ad irrilevanti popolazioni poste ai margini periferici dell’Impero”(2). Che dunque Roma non sia mai stata altro, da un punto di vista autenticamente cristiano, che la capitale, espugnata e finalmente asservita, della potenza spirituale e politica che aveva vinto ed umiliato la patria d’elezione della buona novella, non puo’ essere più esplicito. Pertanto le voci cristiane che sempre + rimarcano con piena ragione le origini giudaiche del cristianesimo, manifestando contestualmente la volonta’ di un ritorno alla centralità spirituale di Gerusalemme, vanno con attenzione ascoltate, per comprendere i segni dei tempi.
Gia’ fu significativo quanto accadde nel 1997 a Graz, in Austria, all’Assemblea Ecumenica, cui parteciparono oltre 10.000 persone. Da alcuni teologi di punta, tra cui il biblista italiano Bruno Forte, fu avanzata la proposta di espungere dalla bibbia, e di conseguenza dalla liturgia delle varie confessioni cristiane, il nome “Dio” (dal latino Deus) per sostituirlo con l’antico termine ebraico, ovvero col tetragramma: YHWH. Come è noto, gli ebrei non pronunciano le 4 lettere; incontrandole, dicono invece “Signore”. A tale uso dovrebbero quindi, secondo le proposte di Graz, adeguarsi anche cattolici e protestanti. Marco Garzonio, inviato del Corriere della Sera nella capitale della Stiria, spiegò allora che 3 sono le ragioni di questa opzione giudaizzante(3):


costituita dal rispetto per gli ebrei, cioè verso coloro che Giovanni Paolo II ci tiene siano considerati fratelli maggiori dei cristiani, superando ogni avversione verso quello che fino a ieri era considerato il popolo deicida;
rappresentata da una maggiore apertura al mistero della trascendenza divina, che l’impronunciabilità del tetragramma garantirebbe, cosi’ come favorirebbe la convergenza ecumenica nel nuovo villaggio globale;
in evidente connessione con la 1° è data da una esplicita volontà di ritorno alle origini del cristianesimo, riconoscendo la piena identità ebraica del suo fondatore e dei suoi primi discepoli.


Non a caso Bruno Forte (ved. articolo di Garzonio) si è così espresso: Gesù ebreo, ed ebreo per sempre, non ha mai pronunciato il tetragramma. Lui per primo ha sempre detto “Signore”. Non ci resta che imitarlo anche in questo, se vogliamo essere suoi autentici discepoli.
Ma il richiamo a YHWH è davvero una garanzia di apertura ad un’universale paternità divina, nella quale possa riconoscersi non solo il mondo giudaico-cristiano, ma il mondo intero, così come si è andato dicendo a Graz? Enzo Mandruzzato, buon filologo e parimenti dotto in cose greco-latine e cose giudaico-cristiane, così descrive la nascita del culto di YHWH, ovvero, come lui dice, della “potente idea ebraica”. “[…] l’offerta di tutto il popolo a una sola divinità, ignota, senza nome, senza immagini, di cui non si capta che l’esistenza, cioè tutto: YHWH, colui che è, che si rivelerà quando e come vorrà e quanto i suoi imprevedibili servi meriteranno. Si ha come l’impressione che avessero scoperto un dio vacante. “Fede cieca” nel senso pieno ed esatto, “fedeltà” senza prove, contropartite e crediti. Le parole che ricorrono, cioè che pesano di + nell’Antico Testamento sono signore e servo (schiavo): tali sono i rapporti tra sovrano e sudditi, padri e figli, potenti e deboli, uomo e donna; al cospetto del suo Dio geloso, Israele è donna, schiava, e ogni infedeltà è imperdonabile.
Tutti nell’antichità avevano il terrore di offendere o solo di trascurare qualche divinità suscettibile: al contrario, gli ebrei offendono, sfidano, rifiutano, provocano, “negano” tutti gli Dei per esaltare il proprio, e gli promettono – o si promettono – temerariamente, la sovranità di tutte le potenze dei “popoli” (Israele non era un popolo, ma il popolo). Ma che YHWH non fosse unico lo canta tutta la bibbia, epopea del “Signore dei Signori”, lo dichiara lo stesso primo comandamento del Deuteronomio, non avrai altro dio all’infuori di me. Nessuno parlerebbe così al proprio partner se fosse davvero senza possibili rivali. Ma proprio come ogni amato degno del nome, era l’unico. E mai si vide paragonabile fedeltà, sopravvissuta, dopo millenni, alla vedovanza” (4).

I fatti di Graz non fanno altro che confermare la presenza di una forte tendenza, entro la chiesa cattolica come in quelle protestanti, alla rigiudaizzazione del cristianesimo, di cui gli elementi greco-latini vengono + considerati come incrostazioni storiche che avrebbero offuscato la genuinità della buona novella. Se da un lato si potrebbe salutare tutto ciò come la fine di un grande equivoco (quello di un inscindibile nesso tra cristianesimo ed identità europea), non v’è d’altro canto da rallegrarsi di fronte ad un processo che assume tratti inquietanti. Come giudicare ad es idee come quelle di Klaus Berger, docente di teologia del Nuovo Testamento ad Heidelberg, che vorrebbe l’uso nella liturgia degli inni tratti dai famosi e controversi rotoli manoscritti di Qumran? (5) La comunità di Qumran, di cui peraltro vanno sempre più delineandosi i legami con il nascente cristianesimo, era animata da un violento odio contro Roma e i Romani (i Kittim, e un esplicito ricongiungimento a tali radici non può non preoccupare quanti credono che la romanità costituisca anche per il futuro un irrinunciabile punto di riferimento per la civiltà occidentale e non solo, come testimonia l’incremento strabiliante dello studio della lingua e della civiltà latine nell’Africa francofona (la patria del moderno poeta latino Senghor) come nel lontano Giappone. Certo, le attuali drammatiche vicende della Palestina stanno ricreando un solco profondo tra gli ebrei e i cattolici, e con questi i cristiani d’Oriente (di contro, il fondamentalismo cristinao-protestante americano è sempre + fiolosionista…); ma quale potrebbe essere l’effetto di una nuova, drastica cesura tra cristianesimo e giudaismo, se non il continuare a rivendicare, da parte della chiesa cattolica, il titolo di Verus Israel[/] ? e comunqe vada a finire l’attuale tragedia della “Terra Santa”, uomini come Martini insistono nel ritenere che Gerusalemme [i]non può non godere di una speciale protezione di Dio, e proprio per questo non possiamo immaginare quanto potenziale sia insito nella sua missione di pace, che però è inscritta nel nome della città, quindi nella sua stessa fondazione (6).

Che in realtà i luoghi biblici non siano la terra d’elezione di una pace messianica, ma piuttosto di un odio sempiterno, lo avvertono invece da tempo le coscienze più sensibili. Ad es guido Ceronetti, da sempre appassionato frequentatore e traduttore delle scritture ebraiche, commentando le stragi reciprocamente infertesi da ebrei e musulmani in Palestina, qualche anno fa parlò acutamente di un “Saturno maligno” come genius loci di quella terra martoriata, ed osservava: ” […] le ragioni dell’umanità e le verità più profonde sono meglio al riparo altrove, tra i filosofi pagani, tra i vedantisti e i buddisti, tra gli eretici, i mistici e i reietti del grande e funesto albero abramico. Non viene pace, un soffio di vera pace, da queste religioni malate del Dio unico rivelato, i cui centri sono La Mecca e Gerusalemme; si direbbe che nella loro relazione col mondo, il suolo, le cose, gli altri esseri viventi e all’interno dei loro cerchi di culto e di respiro, manchi del tutto la nota dell’armonia, la rosa della compassione illimitata, l’arte fondamentale di sciogliere l’odio, d’impedirne l’indurimento. Contenere del buono è ben lungi dall’essere il buono”. (7)
Malgrado tali evidenze, dalla già citiata Assemblea ecumenica di Graz venne un’altr aprposta: quella di raccomandare al Parlamento Europeo l’invito ai Paesi aderenti affinchè si introduca nelle scuole l’insegnamento obbligatorio della bibbia; invito che Marco Garzonio così spiegava: “Uno dei modi di riconciliare l’Europa può passare anche attraverso la conoscenza diffusa di Abramo, di isacco, di giacobbe, di Sara, accanto ad Achille, a Ulisse, a Elena, ad Enea. Studiando ed apprezzando personaggi e fatti biblici, gli ebrei potrebbero apparire meno misteriosi, lontani, diversi”. In verità, gli eroi del miti classico stanno per essere sempre + emarginati nei progetti e nella pratica della scuola, e se è vero che quest’ultima non fornisce una adeguata cultura biblica, certamente assai utile per capire molte cose del passato e del presente, è un fatto che la vera fonte di acculturazione di massa dei nostri tempi, cioè il mondo dell’immagine, provvede ampiamente a fare di quelli che non sono altro che gli eori dell’epica di Israele gli eori obbligatori del mondo intero. E gli Italiani non a caso sono stati sottoposti ad una cura massiccia di epica ebraica col cosiddetto “progetto bibbia” della Tv di Stato, per cui, tra prime visioni e repliche, ora grandi e piccini (che per di + hanno a disposizione Il principe d’Egitto di Spielberg) sanno tutto di Abramo e di chi segue.
Quanto sono lontani i tempi dell’Odissea e dell’Eneide televisive ! E qui ci paice ricordare quella domnica 31 Gennaio el 1971, in cui si conludeva la seguitissima (pur se difettosa) Eneide interpretata da Giulio Brogi. Nello stesso giorno le agenzie di stampa annunciarono la scoperta di , nei pressi dell’antica Lavinio, dell’heroon di Enea, cioè della tomba simbolica dell’eroe troiano, già oggetto di culto ufficiale da parte dello Stato romano (8). Carl Gustav jung ha scritto:“Come dimostrano gli esperimenti ESP (percezione extrasensoriale) di Rhine, un interesse (emotivo) intenso, o una fascinazione, è entro certi limiti accompagnato da fenomeni che si possono spiegare soltanto con una relatività psichica di tempo, spazio, causalità. Giacchè l’archetipo quasi sempre possiede il carattere della numinosità, esso può suscitare proprio quella fascinazione che è a sua volta accompagnata dai cosiddetti fenomeni sincronistici . questi consistono in una coincidenza significativa di 2 o + fatti , non casualmente collegati ma conformi nel significato”. (9)
L’intensa aspettativa che allora gli Italiano provarono verso la conclusione delle vicende del loro eroe archegeta (vicende che sono all’origine della nostra storia) provocò il sincronico rinvenimento della tomba dello stesso eroe, segno di certe potenzialità ancora presenti in quello che Kremmerz chiamava l’astrale italico. Ma l’heroon di Enea, che dovrebbe essere uno dei luoghi sacri di una rinnovata civiltà romana, è oggi solo uno dei tanti siti archeologici italiani semoabbandonati. E tale rischia di restare, finchè i Wojtyla e i Martini, che tanto amano Gerusalemme da aspirare a morire tra le sue mura, sapranno anch’essi fin troppo bene quel che sappiamo noi “ingenui” pagani, e cioè che per la sopravvivenza del cristianesimo conta di + avere una tomba di Pietro in Roma che un sepolcro di Cristo a Gerusalemme

Mauro Meriggi

NOTE

1) cfr. G. Bottai, diario 1935-1944, Milano, 2001 pp. 137-138
2) M. Baistrocchi, La Vittoria e i suoi nemici, “Politica Romana” 4/1997, pp. 70-117, v. pp. 82-83
3) M. Garzonio, Dio ? Sia cambiato il suo nome, in “Corriere della Sera”, 28/6/1997
4) E. Mandruzzato, Il piacere del latino. Milano, 1989, pp. 62-63
5) K. Berger, Cristiani, ritrovatevi a Qumran, nel “Sole 24 Ore” 9/10/1995. Qui leggiamo che gli inni qumraniti risalgono alla “epoca dei nostri padri nella fede, inni di quel tempo della nostra storia in cui il popolo di Dio non era ancora diviso in ebrei e pagani convertiti al cristianesimo. E, in questo senso si può dire che se la nostra pietà non è ebraica, non può neppure essere cristiana. Per tale motivo posso pensare a un impiego liturgico della presente raccolta”.
6) La Pasqua secondo Martini – dialogo tra Mons. Ravasi e l’arcivescovo di Milano, in “Famiglia cristiana” del 31/3/2002 pp. 97-103
7) G. Ceronetti, L’impossibile pace, in “La Stampa”, 2/3/1994
8) La coincidenza è stata ricordata da S. Moscati, dov’è la tomba di Enea ? Virgilio ci ha mentito, in “Tuttolibri” 13/6/1996
9) C.G. Jung, Opere 9**, Aion: Ricerche sul simbolismo del Sé. Torino, 1977 pp. 173




Tratto da: La Cittadella, anno 2, numero 6

Mjollnir
26-01-03, 00:41
Subito un commento a caldo: queste tendenze regiudaizzanti sembrano proprio provvidenziali, in quanto permettono di fare chiarezza. E non vedo neanche il motivo per inquietarsi come fa l'autore: che gli abramici di tutte le risme e tutte le tonalità si ritrovino, dunque, così avremo loro da una parte e i veri Europei dall'altra. Che potrà fare di + l'odio "qumranita" quando i campi saranno così ben delineati e riconoscibili ?

Paul Atreides
26-01-03, 01:28
''Provvidenziali'' eccome. D'altronde, basta leggere Leo Strauss o Quinzio, tanto per fare due nomi, per capire che tra Atene e Gerusalemme non c'è sintesi.

Ciao

Orazio Coclite
26-01-03, 14:55
Ottimo contributo, avevo trovato quest'articolo molto interessante ed è un piacere rivederlo pubblicato nel forum.

Mjollnir
27-01-03, 01:42
Riporto dal forum etnonazionalista un articolo tratto da Focus di argomento simile che Shaytan ha avuto la bontà di trascrivere. Mi sembra interessante per proseguire la riflessione


Nel nome del Padre comune

Nei testi sacri ci sono le prove di un messaggio di unità: rispettiamolo, finirebbero tante rivalità religiose.

Nel nome di uno stesso Dio, ebrei,cristiani e musulmani pregano,amano, guardano al futuro, ma può accadere che si facciano anche la guerra. Negli ultimi tempi si tende a rimarcare differenze piuttosto che somiglianze; molti utilizzano luoghi comuni, scambiando tradizioni locali per vera religione, senza risparmiarci qualche “leggenda metropolitana”.

A lezione di religione

Quasi mai però si fa riferimento alle dottrine originali di queste religioni. Che rivelano quanti siano i punti in comune fra le tre grandi fedi monoteiste, che tutte insieme rappresentano il credo di più della metà degli abitanti della Terra. E fanno capire che sono così sostanziali da rendere assurda e incoerente qualsiasi pretesa di diffidare degli appartenenti ad altre religioni o peggio ancora, nel vedere in loro “infedeli” o nemici da combattere.

Il Grande Patriarca

La figura biblica che unisce, più di tutte è quella di Abramo, il padre spirituale, e forse anche reale, di ebrei,cristiani e musulmani. Abramo fu il grande pensatore che scoprì l’evidenza diretta di un Dio unico. Fu il fondatore del monoteismo. Dal suo seme, il testo biblico racconta, nacquero Ismaele, dal quale sono discesi gli arabi o israeliti, e Isacco, da cui vennero gli ebrei e i cristiani. <<Nella Bibbia si sancisce la fratellanza fra ebrei, cristiani e musulmani>> spiega Jean Lonis Ska, teologo del Pontificio istituto biblico.
Le parentele bibliche sono, in effetti, strette: la moglie di Abramo, Sara, non può avere figli e allora prega una schiava, Agar, di concepire un bambino con Abramo al posto suo. Una sorta di ricorso alla pratica moderna dell’utero in affitto, perfettamente accettabile a quell’epoca. Nasce Ismaele e poi, per intervento divino, gia molto avanti nell’età, Sara riesce a partorire lei stessa un figlio, Isacco. <<Incomprensioni tra Sara e Agar, costringeranno Abramo a mandare via di casa, a malincuore, la schiava con Ismaele. Andranno nel deserto, dove però verranno sempre aiutati da un angelo mandato da Dio>> sottolinea Ska.

Ismaele e Isacco

E qui si scopre un secondo punto importante: nella Bibbia l’angelo rassicura Agar dicendo che anche Ismaele fonderà un grande popolo di Dio. <<E’ vero>> conferma Elia Ricetti, rabbino capo di Venezia <<si tratta di due patti. Distinti, ma di due patti>>. Quindi la Bibbia afferma che Dio fece un patto con Abramo e la sua discendente attraverso Isacco (gli ebrei, e in seguito i cristiani), ma che fece qualcosa di simile anche con Ismaele (i musulmani).
La Bibbia ovviamente è prodiga di particolari sul primo dei due patti, dato che racconta le vicende degli ebrei. Ma a margine della cronaca ebraica, ci sono altri dati a favore della sussistenza dell’altro patto e di un rispetto reciproco. <<Isacco nella vita adulta va a fare visita al fratello Ismaele. E poi Ismaele partecipa anche ai funerali di Sara e dello stesso Abramo. Quando Ismaele muore, vengono profuse nella Bibbia le stesse parole che si usano nei confronti dei giusti>> spiega il rabbino.
L’importanza del patriarca è riconosciuta anche dal Corano, dove si racconta il sacrificio compiuto da Abramo (senza specificare però il nome del figlio che il padre, messo alla prova da Dio, stava per immolare).

Abramo e la Mecca

La festa più importante dell’islam, la ‘id al-adha, ricorda proprio il sacrificio di Abramo, simbolo della sottomissione a Dio, ma anche della misericordia divina. Abramo ed Ismaele, secondo il Corano, avrebbero insieme fondato la Kaaba della Mecca (la struttura che conserva la Pietra Nera), a confermare lo strettissimo grado di parentela tra ebrei (da cui si distaccarono i Cristiani) e musulmani. <<Che si riflette anche dal punto di vista culturale>> spiega Ska. <<Abramo che a 75 anni, su chiamata del Signore, lascia la casa del padre (un venditore di idoli) per fondare il popolo di Dio, è l’uomo che rompe i ponti col passato, è il superamento del mito di Ulisse e del concetto greco dell’eterno ritorno. Con Dio nn si torna indietro, si bruciano le navi e si va avanti, verso il cambiamento. Con Abramo la religione diventa storia. Infatti se prima la religione era legata a una dimensione mitica della crea<ione, in un tempo indefinito, al di fuori di una dimensione storica, nella Bibbia Dio si muove nella storia e, anzi, ne determina con gli uomini gli avvenimenti. Da modo per affrontare eventi particolari, come il cambiamento delle stagioni, le carestie o la morte, la religione diventa con Abramo pratica quotidiana, portatrice di etica e di valori che tutti devono rispettare delle società.
Il fatto di dettare uno stile di vita e di proiettarsi nella costruzione della storia umana, oltre al gusto per la scienza, accomuna le tre grandi religioni.

Jesus Christ Superstar

Un altro dato stranamente poco noto in Occidente è la popolarità di Gesù nel mondo musulmano.<<Per i musulmani>> chiarisce l’iman Yahya Sergio Yahe Pallavicini, direttore della Comunità religiosa islamica italiana <<Gesù è un profeta molto particolare, perché ha portato (di persona) la parola di Dio a un livello analogo al Corano. Molti sapienti musulmani fanno un parallelo fra l’eucarestia dei cristiani e la recitazione dei versi del Corano. Nell’Islam si ritiene che Gesù sia il maestro del soffio divino della vita. Inoltre il Corano riconosce grande importanza a Maria di cui si sottolinea lo stato di verginità>>.
E’ il ruolo di Gesù (Ibn Mariam, cioè figlio di Maria), nato si a Betlemme, ma sotto una palma, e che per il Corano non è mai morto in quanto Dio lo avrebbe elevato in cielo da vivo, è fondamentale per i musulmani. Anche loro credono nel giorno del giudizio, ma non pensano che a giudicarli verrà il loro amato profeta Muhammad (Maometto). Chi allora? A tornare sulla Terra sarà proprio il padre della religione cristiana: <<Il compito, è scritto nel Corano, sarà di Gesù>> spiega Pallavicini, che non vede in ciò alcuna contraddizione. <<L’Islam riconosce i profeti biblici della tradizione ebraica, la figura di Gesù e molti santi cristiani. Siamo tutti discendenti d Abramo, ma ancora prima di Sem (altra figura biblica), del quale vengono i popoli semitici>>. Una discendenza confermata anche dalla scienza: la moderna genetica ha dimostrato che ebrei e palestinesi sono geneticamente uguali, hanno gli stessi antenati.

Presepi vietati?

C’è da chiedersi, tornando a Gesù, come sia nata la notizia, citata come esempio di sopruso ai danni dei cristiani da alcuni uomini politici ( ma sembra più una leggenda metropolitana), di quelle scuole della Lombardia che non avrebbero fatto i presepi per non offendere i bambini musulmani li presenti. Di che cosa dovrebbero offendersi se la loro religione insegna il rispetto per Gesù?

Rivolto a tutti

La dimensione etica delle tre grandi religioni non deriva solo da un concetto di parentela, più importante ancora è il loro carattere universale, cioè aperto a tutti.
San Paolo, il grande promotore della religione cristiana e colui che prese le distanze dal mondo ebraico, nella sua Lettera ai Romani e in altri documenti fa riferimento ad Abramo con un numero di citazioni inferiori solo a quelle dedicate a Gesù. E sottolinea che Abramo scoprì Dio ben prima del patto della circoncisione (praticata poi anche dai musulmani) e che pertanto non è necessario circoncidersi e far parte della stirpe ebraica per seguire il Signore. <<Ma va ricordato che la vocazione universalistica c’è sempr stata fra gli ebrei>> spiega il rabbino di Venezia.
Universalistica è anche la religione musulmana (<<Che non fa alcuna discriminazione di razza o di censo>> ribadisce Pallavicini).

Umili, Schiavi, Oppressi.

Le tre grandi religioni non sono nate “aristocratiche” e hanno la caratteristica di rivolgersi a tutti con una certa attenzione ai problemi sociali. Quella ebraica è stata la religione di un popolo di schiavi, quella cristiana inizia come speranza per gli oppressi, quella musulmana ha pure fondato il suo successo fra gli umili.
<<Non è un caso che uno dei cinque pilastri dell’Islam sia la decima, l’elemosina del 10 per cento del proprio guadagno per i bisognosi>> spiega Pallavicini. In Pratica è l’altra faccia della carità cristiana o della solidarietà ebraica. <<Le tre religioni hanno in comune la ricerca del bene, la pratica quotidiana della preghiera e un forte interesse per la collettività.
E aggiunge Ricchetti: <<Io torvo che in comune abbiamo il senso di giustizia, il rispetto per i bisogni del prossimo, della vita, l’idea che tutti sono figli di Dio, la sacralità della famiglia, ancora punto di appoggio fondamentale per gli esseri umani>>. Ce n’è insomma a sufficienza per pensare che le tre religioni, invece che per cementare l’odio reciproco, possano servire per combatterlo.

Franco Capone.

Senatore
27-01-03, 05:30
Negli ultimi decenni la Chiesa ha operato, e questo lo sapete bene, una serie di revirements che in definitiva l'hanno portata a negare in modo molto sospetto quasi due millenni di storia.
Ora, questo articolo è molto interessante, ma parla del riavvicinamento come se alla sua base non ci fosse una profonda frattura, ma un tranquillo fluire destinato da sempre a terminare nella sua foce naturale. Ma se così fosse, per quale ragione il cristianesimo, che è nato come una scissione dall'ebraismo dovrebbe tornarvi solo ora? Viene cioè meno la ragione dell'originario distacco. Secondo me certe tendenze, che non mi sogno di negare, non sono che il frutto di quello strano ibrido di modernismo e di autolesionismo che è stato il Concilio Vaticano II.
Prima di allora c'era stata una vera integrazione tra tradizione indoeuropea da un lato, filosofia greca dall'altro e cristianesimo.
Questa unione è stata virtuosa per una intera epoca, tralaltro perchè stimolò le giovani popolazioni germaniche ad imprese più alte dei loro originari stanziamenti, talora brutali.
Insomma anche lo spirito indoeuropeo ha bisogno delle sue rigenerazioni. Teniamo conto di come anche la Chiesa abbia contribuito alla rinascita dell'ideale dell' Impero, che sicuramente è un tema centrale nelle tradizioni indoeuroppe. Solo, la Chiesa vi aggiunse una sfumatura nuova di significato (il kat echon paolino), ma per quanto interessanti siano questi discorsi ci porterebbero troppo lontano...

Mjollnir
27-01-03, 14:59
Caro Senatore, anzitutto benvenuto nel forum :)

Nel merito, noi non crediamo che una vera integrazione fra le 2 spiritualità vi sia stata, nè che vi potesse essere. Per questo vediamo con favore queste tendenze, poichè se i cristiani tornano alle loro radici, anche per l'Europa sarà + facile tornare alle sue.

Lo spirito europeo certo ha bisogno di rigenerazione, ma questa non può venire da ibridazioni con sistemi di valori estranei, bensì anzi con una ricerca di autenticità sempre + attenta.

Per quanto riguarda l'Impero, tale ideale non si può certo far derivare dalla chiesa, anzi: con lo scontro guelfo-ghibellino vediamo proprio che l'ideale dell'Impero presuppone una sacralità e fonte di legittimazione sua propria, anteriore ed estranea alla rivelazione cristiana. Il terreno di conflitto infatti, non fu meramente temporale, ma riguardò proprio i fondamenti spirituali della realtà terrena.

Saluti

Senatore
30-01-03, 06:03
[QUOTE]Originally posted by Mjollnir
[B]Caro Senatore, anzitutto benvenuto nel forum :)

Caro Mjollnir, ti ringrazo per l'ospitalità.
Il tuo intento di rigenerare la tradizione europea dall'interno, con le sue proprie forze ora latenti, è nobile intento, e te ne dò atto.

Quello che io dicevo era piuttosto riferito al passato: il Medioevo cristiano-germanico.
In quell'epoca la Chiesa fu fecondatrice di nuove esperienze, che non erano se non la rigenerazione di quelle antiche, con in più il segno indelebile di una nuova spiritualità.

Essa ti apparirà sgradita perchè fu del tutto aliena, si poneva fuori dalle radici romano-germaniche.
Tuttavia sono oramai passati secoli e la storia è divenuta la variabile principale di ogni trasformazione: dal mio punto di vista non si può sfuggire a questa condizione.
Proprio qui si situa il discorso sull'Impero. Non credo certo che un simile ideale di sovranità sia stato il frutto del cristianesimo, ma è pure da dire che senza la Chiesa difficilmente si avrebbe avuto il Sacro Romano Impero germanico, poichè tanto l'Impero romano, quanto i clan e le stirpi germaniche erano in una condizione di disunione politica e precarietà.

Ciò detto è del tutto ovvio che senza il concorso di popolazioni giovani e guerriere, e senza l'operare della tradizione indoeuropea l'Impero Medioevale non si sarebbe mai realizzato con il suo carattere di "trascendenza immanente" -l'espressione è evoliana. Che poi la sete di ricchezze e successi dei papi abbia portato vicino al collasso l'intera costituzione medioevale non è meno vero, tanto più che vi furono imperatori alquanto poco degni di quel nome.

La questione è complessa: in sè l'esistenza di una suprema auctoritas spirituale di ordine sacerdotale non è un dato antitradizionale, ma nondimeno reca i germi di una potenziale instabilità. Essa si rende assolutamente necessaria quando viene meno una stirpe di sovrani guerrieri in grado di autolegittimarsi, cioè quando ci si discosta da una civiltà ancorata al rito e al mito.
In quei casi il rito diviene deposito di un ceto sacerdotale che ha il dovere e la qualifica per trasmettere un carattere superiore a guerrieri, aristocratici valorosi, ma sprovvisti in natura di una reale qualità spirituale. Svolto il suo compito, che evidentemente conferisce un peso anche politico, la auctoritas spiritualis cede il passo alla potestas spiritualis da essa investita e ogni di più diventa un abuso.
Consacrando l'Imperatore la Chiesa lo investe di una funzione, che starà a lui realizzare: si tratta dell' accennato katechon, cioè "forza frenante", evidentemente contro la dissoluzione del tempo ultimo. In definitiva per rallentare l'anticristo, ma non si cambia di una virgola il significato della frase parlando dell'Età del Lupo.
Ho cercato di mostrare come per me non vi sia sincretismo spurio, ma sintesi, o un abbozzo di essa, nell' Europa medioevale cattolica e germanica.

Ti saluto

Vahagn
31-01-03, 00:29
Non potevi esprimerti meglio.

D'altronde chi intenda parlare di "inconciliabilità" del cristianesimo/cattolicesimo con l'Europa non può farlo se non a patto di ignorare quella splendida parentesi nel bel mezzo del kali yuga che fu il "Medioevo".

E d'altronde chi avanzi pretese di "purismo" formale in materia cultural-religiosa dovrebbe perlomeno rigettare per coerenza l'intera cultura indoeuropea per come l'abbiamo conosciuta, dato che si trattò pure lì di una sintesi tra due blocchi "allogeni": quello tellurico-matriarcale e quello iperboreo-patriarcale (e basta un'occhiata alla mitologia greca - p.es. - per rendersi conto della compenetrazione).

La verità è che la provvidenza metafisica usa come cavalcatura ciò che vuole lei, poco curandosi del gradimento dei puristi e dei formalisti.

Mjollnir
31-01-03, 00:54
Originally posted by Vahagn
Non potevi esprimerti meglio.

D'altronde chi intenda parlare di "inconciliabilità" del cristianesimo/cattolicesimo con l'Europa non può farlo se non a patto di ignorare quella splendida parentesi nel bel mezzo del kali yuga che fu il "Medioevo".

E d'altronde chi avanzi pretese di "purismo" formale in materia cultural-religiosa dovrebbe perlomeno rigettare per coerenza l'intera cultura indoeuropea per come l'abbiamo conosciuta, dato che si trattò pure lì di una sintesi tra due blocchi "allogeni": quello tellurico-matriarcale e quello iperboreo-patriarcale (e basta un'occhiata alla mitologia greca - p.es. - per rendersi conto della compenetrazione).

La verità è che la provvidenza metafisica usa come cavalcatura ciò che vuole lei, poco curandosi del gradimento dei puristi e dei formalisti.

Un momento, fermi tutti: la cultura indoeuropea e' il "blocco" iperboreo-patriarcale, percio' non contiene al suo interno la polarita' tellurica. E' ovvio che le sintesi e le mescolanze in epoca storica sono da interpretarsi come una devianza ed un oscuramento, per cui non e' lecito innestare a livello metafisico i 2 rami in un singolo complesso. Si puo' invece attraverso un lavoro di consapevolezza e di scelta delle tradizioni superare il decadimento occorso in sede storica, sebbene non si possa ovviamente far in modo che non si sia verificato.
La nascita di un nuovo ciclo spirituale non puo' che avere questo fondamento, un ricongiungimento alla verita' originaria ad un livello analogo ma differente rispetto a quello passato.