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Visualizza Versione Completa : il tragico bilancio del comunismo - 200 milioni di morti



Aryan
05-02-03, 09:28
COMUNISMO: LA TERRIBILE CARNEFICINA

Oltre 200.000.000 di vittime.
Questo il tragico bilancio del Comunismo realizzato.
L' ateismo marxista ha combattuto Dio e ucciso l' uomo.

di Eugenio Corti


Eugenio Corti, il più amato scrittore vivente di ispirazione cattolica, secondo un recente referendum del quotidiano Avvenire, è nato e vive in Brianza. Oltre le opere che sono citate nel box "bibliografia", segnaliamo: I più non ritornano. Diario della ritirata di Russia (Mursia); Gli ultimi soldati del re (Ares); Il fumo nel tempio (Ares); La terra dell'india (Ares). Corti è scrittore cattolico, capace di leggere la vita, i fatti quotidiani e la grande storia con le categorie culturali che nascono dalla fede. In questo è autentico maestro. Da questo numero, inizia la sua collaborazione a "il Timone".

"Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20). La verità di questa massima evangelica, sempre attuale, ci porta a formulare un giudizio di severa condanna del Comunismo.
La considerazione dei frutti, o, perlomeno, dato lo spazio limitato di un articolo, del più tragico di questi: 1'altissimo numero di vittime che il comunismo ha provocato ovunque si è instaurato, obbliga ogni spirito libero a condannare nei termini più rigorosi una ideologia che, anzichè difendere le classi umili, ha finito con il far pagare, a prezzo della loro vita, proprio a milioni di poveri e di innocenti la follia di un progetto diabolico che pretendeva di costruire una società senza Dio.
Basti ricordare, per fare un primo esempio, la lotta guidata da Stalin ai contadini piccoli proprietari che comportò nel 1929 e 1930 la deportazione-sterminio di 10 milioni di kulaki, più di 5 milioni di subkulaki, cui seguirono 6 milioni di morti di fame nella conseguente carestia 'artificiale' del 1931-32 (con molti casi di cannibalismo). In questa lotta vennero dunque sacrificate complessivamente 21 milioni di persone.
Quante furono in totale le vittime in Unione Sovietica? Stando a quanto afferma il professore di statistica Kurganov, tra il 1917 e il 1959, cioè nei primi 42 anni di dominio comunista, le perdite umane dovute alle deportazioni nei campi di sterminio, alle condanne ai lavori forzati, alle fucilazioni di massa o alle carestie provocate dall'arresto e dalla deportazione di milioni di contadini furono più di 60 milioni. A confermare questo numero spaventosamente elevato di vittime, superiore di oltre dieci volte al numero degli Ebrei perito a causa dell'0locausto, va ricordato che il 28 ottobre 1994, in un discorso al Parlamento russo (Duma), Solgenitsin ha affermato che i morti dovuti al comunismo furono 60 milioni: nessuno, sia in Parlamento che fuori, ha sollevato obiezioni.
Per quanto concerne il numero delle vittima provocate dal Comunismo cinese, disponiamo di informazioni meno dettagliate, e di gran lunga meno documentate che per la Russia. Tuttavia, un calcolo molto vicino alla realtà è possibile. Anzitutto, per il decennio che va dal 1949 (anno della vittoria dei comunisti e della proclamazione della repubblica popolare) al 1958 riportiamo ciò che scrive 1'ex ambasciatore d'Italia a Mosca Luca Pietromarchi: "In Cina... il comunismo ha causato la perdita, dal 1949 al 1958, di cinquanta milioni di vite umane... Inoltre 30 milioni di contadini furono inviati in campo di concentramento".
Dopo di queste. negli anni del "Grande balzo in avanti" (1958-1960) e subito successivi, si ebbero le perdite più terrificanti, dovute alla carestia artificiale prodotta dall'espropriazione dei contadini. Secondo il famoso sinologo Lazlo Ladany (che fu per decenni redattore a Hong Kong del notiziario China News Analisys, da cui attingevano materia prima praticamente tutti i giornali occidentali) i morti di fame tra il '59 e il '62 sarebbero stati 50 milioni. Durante questi stessi anni e in quelli successivi fino al 1966 (anno d'inizio della 'Grande rivoluzione culturale'), si ebbe inoltre lo stillicidio sistematico delle vittime dei 'campi di rieducazione attraverso i1 lavoro'.
Secondo R.L. Walker ed altri sinologhi, il numero dei deportati oscillava allora tra i 18 e i 20 milioni; il che - volendo supporre, con ottimismo, una mortalità nei lager cinesi analoga a quella sovietica, cioè del 7-8% annua - comporterebbe un milione e mezzo circa di morti all'anno, dunque una dozzina di milioni per il periodo 1958-1965.
L'unico studio sistematico a nostra conoscenza, relativo all'intera prima fase che va dal 1949 al 1965, è quello effettuato da Richard L. Walker per conto del Senato americano: studio che da - ripartendole per categorie - da un minimo di 34.300.000 a un massimo di 63.784.000 vittime, a seconda delle fonti. Vi mancano, però, quasi del tutto, i dati relativi alle vittime del 'Grande balzo in avanti'.
Nel periodo successivo, cioè negli anni dal 1966 (inizio rivoluzione culturale), al '76 (morte di Mao), si ebbero appunto le vittime prodotte dalla rivoluzione culturale, che ammontano certamente a diverse decine di milioni.
Un quadro fondato scientificamente del numero complessivo delle vittime fatte dal comunismo in Cina potrebbe essere suggerito dallo studio statistico di Paul Paillat e Alfred Sauvy, pubblicato nel 1974 sull'autorevole rivista parigina Population (n. 3, pag. 535). Da esso emerge che la popolazione cinese era in quell'anno inferiore di circa 150 milioni di persone a quella che avrebbe dovuto essere statisticamente, cioè in base al suo tasso di crescita pur calcolato in modo prudenziale.
In Cambogia, nel triennio 1975-1978, la percentuale di vittime innocenti da parte del Comunismo raggiunse una proporzione mai conosciuta prima nella storia dell'intera umanità. I capi comunisti Khmer il giorno stesso della presa del potere hanno deportato oltre metà della popolazione del loro sventurato Paese. Aggiungendosi la gente già da essi deportata in precedenza nelle zone in loro possesso, si arriva a circa 1'80% della popolazione: in tal modo praticamente tutta la Cambogia venne trasformata in un enorme lager.
Contemporaneamente alta deportazione, i capi Khmer diedero inizio all'eliminazione fisica di tutte 1e persone in qualche modo 'contaminate' dal capitalismo (cioè, in Cambogia, dal colonialismo), procedendo all'annientamento degli ex detentori del potere, ex detentori dell'avere ed ex detentori del sapere.
Complessivamente le vittime furono, in circa tre anni, vicine ai 3 milioni, su 7 milioni di abitanti che annoverava il Paese al momento della vittoria comunista (nell'aprile 1975): furono dunque superiori a un terzo dell'intera popolazione. L'obiettivo al riguardo dei capi-ideologi Khmer era contenuto in una terrificante circolare da loro distribuita alle autorità provinciali già nel febbraio del '76, che venne portata in Thailandia da un capo Khmer profugo: "Per costruire la Cambogia nuova un milione di uomini è sufficiente". Nel frattempo tutti i compiti di qualche importanza nella società venivano, per quanto possibile, affidati a bambini e ragazzi 'non contaminati dal capitalismo' a motivo della loro età.
Negli altri paesi in cui i comunisti hanno preso il potere si ebbero (secondo il recente calcolo minimale di S. Courtois, ll libro nero del comunismo): in Corea del Nord 2 milioni di vittime, in Vietnam 1 milione, nell'Europa dell'Est 1 milione, in Africa 1.700.000, in Afganistan 1.500.000. Ma finche non emergeranno notizie che possano fondatamente modificare la terribile contabilità dei massacri, si deve rimanere fermi sul totale di 215-220 milioni di vittime circa.
Oggi in Italia un così sterminato massacro, di gran lunga il maggiore nella storia dell'umanità, e come se non ci fosse mai stato: ben pochi si sono curati di appurare la verità al riguardo.

Le ragioni.

II recente Libro nero del Comunismo non riesce a individuare la causa principale degli eccidi: 1'impossibilità di cambiare, usando i mezzi materialistici indicati dal marxismo, la natura e la coscienza dell'uomo. In pratica, fanaticamente determinati com'erano a eliminare il male dal mondo, i comunisti non hanno potuto fare altro che eliminare l'uomo dal mondo, e l'hanno fatto, come s'è detto, su una scala mai vista prima nella storia. Oggi tanti loro eredi pensano appunto, confusamente, che quegli orribili massacri, se non giustificati, siano stati però nobilitati dalle buone intenzioni iniziali.
Va detto che queste stragi non avevano affatto lo scopo di conservare il potere ai comunisti (non sarebbero state necessarie): quelle stragi facevano parte - in parallelo con I'incremento della produzione materiale - del meccanismo che secondo Marx e Lenin avrebbe dovuta produrre una "società di uomini nuovi". Tale meccanismo presupponeva tra 1'altro la "violenza come levatrice della società nuova".
Si voleva, in pratica, far cambiare a ogni uomo la sua coscienza e la sua natura. Senza tenere nel minimo conto i reali risultati, che consistevano soltanto in montagne e montagne di cadaveri, i comunisti hanno insistito su questa strada perchè il fermarsi avrebbe comportato la rinuncia all'utopica società nuova - libera dai mali di tutte le società precedenti - per costruire la quale essi avevano ormai fatto un così sterminato numero di morti.
Considerando che, a causa del comunismo, nella nostra epoca abbiamo avuto una straordinaria conferma della fondatezza della visione di S. Agostino, per il quale la storia consiste in un alternarsi continuo delle due "città": la "città terrena" (cioè la società degli uomini che, anche quando partono da propositi encomiabili, poichè escludono Dio dalla loro vita, finiscono inevitabilmente col seguire il "principe di questo mondo", ossia il demonio, il quale come sappiamo è "omicida", "padre di menzogna" e "scimmia di Dio") e la "città celeste" (cioè la società di coloro che nel costruire la vita in comune si rifanno in qualche modo agli insegnamenti di Dio), non ci resta che ribadire una convinzione ormai considerata fuori moda, anche in certo mondo cattolico: il vero bene dell'uomo e delle società, già a partire dalla vita in questa terra, è possibile soltanto a condizione di rispettare la legge di Dio. Altrimenti è il trionfo del demonio. Una terza via non è data.

Ricorda

"Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civiltà cristiana"
(Papa Pio XI, Enciclica Divini Redemptoris, 1937).

"[...] Sono queste le ragioni che Ci obbligano, come hanno obbligato i Nostri Predecessori e con essi quanti hanno a cuore i valori religiosi, a condannare i sistemi ideologici negatori di Dio e oppressori della Chiesa, sistemi spesso identificati in regimi economici, sociali e politici, e tra questi specialmente il comunismo ateo"
(Papa Paolo VI, Enciclica Ecclesiam Suam, 1964).


Bibliografia

Eugenio Corti, L'esperimento comunista, Edizioni Ares, Milano 1991.
Eugenio Corti, II cavallo Rosso, edizioni Ares, Milano.
Eugenio Corti, Le responsabilità della cultura occidentale nelle grandi stragi del nostro secolo, Mimep-Docete, Pessano (Ml) 1998.
Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag, 3 voll., Mondadori editore, Milano 1973 - 1976.
Jean Daujat, Conoscere il comunismo, Società editrice il falco, 1977.
AAVV., II libro nero del Comunismo, Mondadori editore, Milano 1998.

Franco69
05-02-03, 19:01
Inorridisco!!! Di fronte alla solita cretinata. Se aspettiamo 10 giorni i morti diventano 400.000.000 e poi 10.000.000.000 e via.
Mah, c'hanno tempo da perdere.

DrugoLebowsky
06-02-03, 19:48
a me risulta che su Cassiopea i comunisti hanno ucciso 1 alla ventitreesima milioni di oppositori. :D :D

enrique lister
06-02-03, 22:45
Originally posted by DrugoLebowsky
a me risulta che su Cassiopea i comunisti hanno ucciso 1 alla ventitreesima milioni di oppositori. :D :D


che orrendo sterminio!

Felix (POL)
06-02-03, 23:53
la cifra delle vittime indicata nel "Libro nero" va rivista, ormai si è inclini ad elevarla proprio sul livello indicato da Corti.

Le ironie dei compagni sullo sterminio comunista meritano qualche appunto:

1 - vergognoso ironizzare su una tragedia umana. Dal punto di vista morale, è semplicemente ripugnante.

2 - che è, negazionismo?! volete nascondere o minimizzare i crimini commessi da regimi e movimenti comunisti?!
:rolleyes: Poi non lamentatevi dei negazionisti di dx che fanno lo stesso con le vittime del nazionalsocialismo o del capitalismo... :rolleyes: :fru

Franco69
07-02-03, 12:11
Felix, l'uscita è infelice. Se sti risulta vergognoso ironizzare sullo sterminio comunista, lo è altrettanto sciacallare su improbabili cifre. Lo stalinismo è stato un dittature, molto più affine al nazismo di Hitler di quanto non si creda. oltre il colore di una bandiera, una dittatura è una dittatura, in nome del nazismo, del liberismo, del comunismo o di chissà quale altra ideologia. Gli USA non hanno fatto, nella loro storia meno morti. Gli indiani d'america sono stati sterminati. Chi ha pagato per quel genocidio? Tutte le guerre civili africane (Angola, Mozambico, ecc. ecc.) sono state finanziate e condotte dalla CIA attraverso agenti e mercenari. I Contras non furono altro che una milizia voluta e pagata dagli americani. ancora, Pinochet e Bin Laden furono 2 creature americane. L'ordine mondiale attuale voluto dagli americani è costato milioni di vittime. Da Kennedy ad oggi, Jimmy Carter è stato l'unico presidente USA che non ha mai partecipato ad una guerra. Il regime comunista che si sarebbe instaurato in Vietnam del Sud avrebbe prodotto i quasi 3 milioni di morti avuti poi nel successivo conflitto? La "cura" se non peggio è stata della stessa gravità del male. E' solo stato stabilito un diverso potere. Così in Corea del Nord. Chi ha sterminato più curdi, Saddam o il governo turco filoamericano? Chi ha provocato più vittime? Saddam nell'invasione del Kuwait o gli Usa nel "Desert storm"? Ricordiamoci che l'emiro del Kuwait è fuggito in Arabia Saudita appena cominciata l'invasione, senza minimamente difendere i suoi sudditi (perchè là sono ancora sudditi). Bella chiavica di principe. Se saddam non è democratico di sicuro non lo è nemmeno l'emiro del Kuwait. Ma naturalmente c'è sempre qualcuno che ha tempo da perdere con il pallottoliere, come se i morti fossero ceci sulla tombola. 400 milioni, aspetta forse quei centomila li possiamo aggiungere perchè quel terremoto ha colpito case sovietiche costruite male... Balle. Kulaki, Ebrei, Gitani..non sono morti a causa delle ideologie in sè ma per la distorsione delle stesse. Qualsiasi ideologia può essere distorta a proprio piacimento per permettere l'instaurazione di un regime totalitario, anche quella con le migliori intenzioni.E' il concetto di totalitarismo, presente trasversalmente da destra a sinistra, che va combattuto, sempre, a qualsiasi ideale si appartenga.

Felix (POL)
09-02-03, 20:04
parzialmente d'accordo. Diverse ideologie, nazioni e sistemi politici si sono resi responsabili di atroci sterminii di massa. Ma qui ci sono due questioni da prendere in esame:

1.l'entità dei crimini comunisti, superiori in numero a qualunque altro sterminio.

2.la persistente amnesia parziale che si percepisce attorno a questi crimini. C'è ancora gente in giro che cerca di minimizzare, relativizzare, glissare ("non erano comunisti quei regimi", "ma Hitler ha fatto di peggio", "ma il capitalismo ha ucciso di più"...).

d'accordissimo sul fatto che non deve esserci sciacallaggio o discutibili gare a "chi ha fatto più morti"...

Franco69
11-02-03, 12:55
Credo che alla fine, da opposte opinioni politiche, siamo d'accordo. La storia va letta al di sopra di ogni opinione politica personale e contingente. Dicendo .. l'entità dei crimini comunisti, superiori in numero a qualunque altro sterminio.. mostri comunque di vederla in modo politico, nonostante tutto. Del resto, in tema di comunismo, anch'io tendo a fare la stessa cosa, in senso però assolutorio. Però, se in parlamento fossero tutti come noi.....

Felix (POL)
14-02-03, 06:05
infatti, almeno noi si discute, si prendono in esame diversi ed opposti punti di vista, e si mantiene la porta aperta per eventuali autocritiche e correzioni della propria posizione. Almeno per me è così. Basta non essere arroganti, ottusi e faziosi, vizi purtroppo comuni anche sui fora di Pol.
Per quando riguarda le diverse sensibilità rispetto alle varie tragedie storiche, ebbene, mi pare una cosa abbastanza naturale. Ci fa più male una tragedia che accade a chi ci è più noto o vicino, rispetto ad una lontana o riguardante estranei o avversari. L'importante è dialogare francamente, a mente aperta, con l'umiltà di chi sa, nella propria umana limitatezza, di poter anche sbagliare.

saluti

Mr2
15-04-03, 18:06
Originally posted by DrugoLebowsky
a me risulta che su Cassiopea i comunisti hanno ucciso 1 alla ventitreesima milioni di oppositori. :D :D

1^23 = 1

agaragar
15-04-03, 18:24
Originally posted by Aryan

Complessivamente le vittime furono, in circa tre anni, vicine ai 3 milioni, su 7 milioni di abitanti che annoverava il Paese al momento della vittoria comunista (nell'aprile 1975): furono dunque superiori a un terzo dell'intera popolazione.

pop cambogia cens 1962 , 5,7ml
pop cambogia stime 1987 , 7,96ml
(fonte de Agostini)

con una guerra di mezzo :rolleyes:


L'obiettivo al riguardo dei capi-ideologi Khmer era contenuto in una terrificante circolare da loro distribuita alle autorità provinciali già nel febbraio del '76, che venne portata in Thailandia da un capo Khmer profugo: "Per costruire la Cambogia nuova un milione di uomini è sufficiente"

sè, i "protocolli dei savi di kambogiòn".....
questi assassini mettono sempre i loro programmi di sterminio in documenti "segretissimi" ......che poi vengono regolarmente pubblicati da novella 2000 :rolleyes:

Felix (POL)
16-04-03, 03:43
fare del negazionismo su dei genocidi è ripugnante...
L'amore per la verità dovrebbe sempre stare al di sopra delle affiliazioni e preferenze ideologiche. Anche chi, nonostante tutto, continua a professarsi "comunista" o affine, dovrebbe avere l'onestà di ammettere che in nome del comunismo e per opera di comunisti si sono commessi crimini disumani. Allo stesso modo che un cattolico dovrebbe ammettere senza tergiversazioni i crimini commessi in nome di Dio e della Chiesa nel corso della Storia...

agaragar
16-04-03, 04:17
O felix, che mi dici del fatto che pol pot si batteva contro i "comunisti" vietnamiti che invadevano la cambogia mentre tu in questo modo li appoggi ? :rolleyes:

Quelli che realmente pol pot uccise furono poche migliaia di spie vietnamite,
e in italia,dove anche la destra si vede simpatizza per i vietnamiti, li hanno fatti diventare milioni.

Franco69
16-04-03, 18:07
Pol Pot o no, i morti sono morti. Anche solo "poche migliaia". Gli americani hanno compiuto, in nome della pace, tremende efferatezze in Iraq, ma tutti i media sono indulgenti, ne parlano perchè non possono farne a meno però ....
Le mistificazioni sono il concime dell'odio. 200.000.000 milioni di morti sono un falso, come pure le armi di distruzione di massa di Saddam, jihad non significa "guerra santa" in arabo ,solo "sforzo", termine che puntualmente viene tradotto malignamente, perchè??
L'opposizione vota con il governo l'invio di truppe di pace in Iraq e Berlusconi cosa dice? "Quello che fa l'opposizione ci è indifferente, non ne teniamo in nessun conto!", più mistificazione di così! Ci sono stati inciuci ben peggiori eppure, meglio tenere le posizioni radicali. Pensate se avesse detto "mi compiaccio di aver trovato un intesa con l'opposizione, su una questione così delicata, che vuol dire il supporto di larga parte dell'opinione dei cittadini italiani" sarebbe stato meno radicale ma enormemente più di buon senso.
Che chissà dovè andato a finire....

DrugoLebowsky
10-05-03, 12:27
Originally posted by Mr2
1^23 = 1

dicevo uno seguito da 23 zeri. :D

pcosta
10-05-03, 12:53
Va inoltre tenuto presente che nel periodo preso in esame, sono morte circa tre miliardi di persone.

Quindi, detratti i 200 milioni ascrivibili ai comunisti, restano due miliardi e ottocento milioni di morti ascrivibili ai non-comunisti.

Felix (POL)
10-05-03, 19:25
vediamo di non fare del cinismo da quattro soldi. Che siano stati 100 o 200 milioni, il fatto incontrovertibile è che in nome del comunismo, e/o per opera di comunisti sono morti milioni e milioni di esseri umani. Senza contare il numero ancora maggiore di quelli che hanno sofferto pene indicibili mediante tortura, deportazione, prigionia, indottrinamento ideologico e miseria indotta dai regimi rossi.

Se qualcuno fa ancora un intervento negazionista e/o sarcastico-ironico sui crimini del comunismo, il 3D si chiude. Siete avvertiti.

pcosta
10-05-03, 21:30
Originally posted by Felix

Se qualcuno fa ancora un intervento negazionista e/o sarcastico-ironico sui crimini del comunismo, il 3D si chiude. Siete avvertiti.

non sono assolutamente d'accordo, ma mi batterrò fino in in fondo affinchè tu possa continuare a esprimere queste illiberali e antidemocratiche opinioni

Felix (POL)
25-05-03, 02:57
Il comunismo da Marx a Pol Pot

di Guglielmo Piombini

I numeri dell'ecatombe: 200 milioni di vittime

Il millenarismo secondo Marx

I caratteri della società comunista secondo Marx

E' stato applicato Marx?

I numeri dell'ecatombe: 200 milioni di vittime



Lenin e Trotzky artefici del terrore. La pubblicazione del Libro nero del comunismo, il dettagliato resoconto sui crimini commessi dal comunismo nei suoi 80 anni di vita, ha avuto il merito di suscitare tra il pubblico un dibattito su alcune immani tragedie del XX secolo da cui era sempre stato tenuto all'oscuro. Secondo i sei storici francesi autori dell'opera il tentativo di edificazione del comunismo è costato all'incirca 85 milioni di vite umane, senza contare le infinite sofferenze, miserie, privazioni materiali e spirituali che hanno accompagnato il colossale massacro. Per quanto alcune sporadiche voci di commentatori abbiano parlato di "cifre gonfiate", è invece probabile che questi numeri siano inferiori alla realtà, dato che altri studiosi sono pervenuti a stime sensibilmente più alte: Eugenio Corti, citando fondi attendibili, parla di 60 milioni per l'Urss e di ben 150 milioni per la Cina comunista, mentre secondo lo specialista in "democidi" Rudolph Rummel le sole vittime delle repressioni comuniste superano i 110 milioni, a cui bisogna aggiungere circa 35-40 milioni di morti per le carestie conseguenti alle politiche di collettivizzazione dell'agricoltura.

Per lungo tempo questi orrori e fallimenti sono stati spiegati come deviazioni rispetto ad una virtuosa linea originaria incarnata da Lenin, da Trotzky, o da Marx. I nuovi documenti usciti dagli archivi del Cremlino, in buona parte già vagliati dagli storici, hanno però reso politicamente impraticabile ogni richiamo ai due protagonisti della Rivoluzione d'Ottobre. Il personaggio Lenin che esce da queste carte è infatti completamente diverso da quello tramandatoci dalla tradizionale storiografia di sinistra. Dimitri Volkogonov, che ha analizzato più di 3700 di questi documenti segreti, e Richard Pipes, autore di un nuovo monumentale lavoro sul periodo leniniano, hanno dimostrato che tutti gli ingredienti della dittatura staliniana, eccetto l'uccisione sistematica dei compagni di partito, erano già stabilmente presenti nel sistema messo in piedi da Lenin. Dalla creazione dei campi di concentramento alla brutale repressione dei contadini, degli operai, della chiesa, degli intellettuali e degli avversari politici, la direzione di Lenin fu spietata e totalitaria. Il dato più sconvolgente che emerge da questo materiale è però il criminale disprezzo della vita umana manifestato da Lenin in tutti i suoi ordini, nelle quali sembra esistere soltanto la logica dell'annientamento. I verbi sterminare, fucilare, impiccare e terrorizzare sono ripetuti con una frequenza così ossessiva che al confronto Stalin sembrerà quasi un moderato. E il discorso non cambia per l'altro artefice della Rivoluzione Russa, Trotzky, le cui disposizioni (come la sua proposta di militarizzare e schiavizzare l'intera forza-lavoro sovietica, o gli ordini di giustiziare i disertori dell'esercito e i "sabotatori" delle fabbriche), impressionano per la loro spietatezza. L'olocausto rosso del '900 inizia con Lenin e Trotzky, su questo non c'è più ormai seria disputa tra gli storici.

Queste circostanze hanno costretto tutti coloro che ancora oggi sentono il richiamo delle idee comuniste ad arretrare le proprie linee difensive, asseragliandosi sempre più nella difesa del padre fondatore della dottrina, Karl Marx, i cui insegnamenti vengono sbandierati come utili, attuali, e immuni da critiche. Non vi è infatti analisi o commento sui fallimenti e crimini del comunismo che non si concluda con l'esortazione a tenere ben distinti i piani della realtà da quelli dell'ideale; il primo, si dice, non può in alcun modo macchiare l'illibatezza del secondo. Il politologo francese Jean Daniel ha seguito questo canovaccio quando di recente ha affermato che "non si può vedere nel leninismo-stalinismo la fatale, ineluttabile deriva del marxismo teorico" e che il crimine contro l'umanità commesso da Lenin, Trotzky e Stalin "non trasforma il comunismo in un'idea nazista più di quanto l'Inquisizione non trasformi il Vangelo in un'idea stalinista". Al "pregiudizio favorevole" verso Marx, del resto, non si sono sottratti nemmeno i curatori del Libro nero, in cui non compare una sola parola di condanna dei padri fondatori del socialismo scientifico.


Perché salvare Marx? Non vi sarebbe quindi relazione alcuna tra le realizzazioni del comunismo nel XX secolo e gli "ideali umanitari" di Marx, i quali conserverebbero tutte le proprie potenzialità per risolvere i problemi cui si trova di fronte l'umanità alle soglie del 2000. L'estrema importanza strategica che per la sinistra oggi assume la difesa di Marx spiega il motivo per cui mai come in questo periodo si leggano tanti peana alla sua opera, ben di più di quando il marxismo era all'apice del suo successo e proliferavano i marxisti "critici" o "eretici".

Fra le tante affermazioni di questo tipo basti ricordare quella del periodico americano New Yorker, che ha indicato in Karl Marx il pensatore cui bisognerà tornare per capire l'economia del nuovo millennio: "Il capitalismo alla fine del nostro secolo globalizzato appare sempre più simile al mondo senza rimorsi e proletarizzato profetizzato da Marx". E' vero che l'eredità di Marx è stata oscurata dal fallimento del comunismo, "ma questo - dice il New Yorker - non era il suo obiettivo principale. Marx era uno studioso di capitalismo, qui sta la sua modernità. Molte delle contraddizioni che vide nel capitalismo vittoriano hanno ora ricominciato ad apparire come virus mutanti. Marx ha scritto brani illuminanti sulla globalizzazione, l'ineguaglianza, la corruzione politica, i monopoli, il declino della cultura "alta", la natura snervante della nuova esistenza...tutti temi con cui si stanno confrontando di nuovo gli economisti contemporanei, molto spesso senza rendersi conto di ripercorrere le orme di Karl Marx".

Ancora più roboante è stato l'intervento di Hans Magnus Enzensberger, il quale ha commentato con frasi di questo tenore il 150° anniversario della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista: "Alla lettura odierna, questo Manifesto rimane tuttora la più concisa, esaltante cronaca di un processo che ha portato lo scompiglio nel mondo contemporaneo: l'inesorabile spinta verso la globalizzazione...Gli autori infatti...riescono ad analizzare la crisi del meccanismo di fondo dell'economia capitalistica con una precisione ineguagliata dai più celebri guru dei nostri giorni [e] con un'esattezza che confina perfino nella chiaroveggenza...Molte parti dell'opera si leggono come un'opera di grande poesia. Raramente la grandezza e la miseria del XIX secolo sono state illustrate con maggiore forza. Così, mentre la maggior parte delle opere teoretiche del passato sono adesso lettera morta...le vibranti frasi di Karl Marx e Friedrich Engels continueranno a scuotere e illuminare anche il prossimo secolo". Del tutto simile il giudizio dello storico inglese Eric Hobswawn: "Il Manifesto divenne non solo un testo classico del marxismo, ma anche un classico della politica tout court...Alla vigilia del Ventunesimo secolo, quello stupefacente capolavoro ha ancora molto da dire al mondo".

Anche per Barbara Spinelli, "Quel che torna a esser attuale non è il marxismo, ma la descrizione clinica che Marx seppe fare della società borghese e delle sue rivoluzioni mondialiste, nell'Ottocento. E' la sua capacità di osservare con sguardo profetico (sic!) la società, gli individui, il loro rapporto con lo Stato (?), le disperazioni, che oggi fa impressione...Per questo la narrazione di Marx resta utile, a 150 anni di distanza. Non si tratta di ricopiarlo ma di imitarne la forza descrittiva, per capire i contraddittori tempi che si preparano". E' su interpretazioni di questo tipo, quasi mai adeguatamente contestate, che si fonda ancora oggi la grande fortuna di Marx nei media, nei circuiti culturali e all'interno delle università europee e americane.

Murray N. Rothbard, il grande teorico libertario scomparso nel 1995, considerato uno dei massimi pensatori del nostro secolo, è stato il primo economista che ha sviluppato una critica sistematica del marxismo dal punto di vista della Scuola Austriaca. Nel secondo volume della sua ponderosa storia del pensiero economico, uscita postuma, discute in maniera analitica ogni singolo aspetto, economico, filosofico, politico e religioso della dottrina marxiana. Per Rothbard tutta la visione di Marx affonda le proprie radici nel fanatico millenarismo medioevale: non va quindi considerata una teoria scientifica, ma un credo religioso, o meglio una religione secolare. Di essa, dice Rothbard, non rimane nulla da salvare, nè per quanto riguarda la parte distruttiva di critica al capitalismo, nè tantomeno per la parte propositiva di descrizione dei caratteri della società comunista futura: "Marx ha creato in realtà un'autentica tela di sofismi. Ogni singolo punto nodale della teoria è erroneo e fallace, e il suo "integumento" - per usare un buon termine marxiano - costituisce a sua volte una rete di errori. Il sistema marxiano giace in brandelli e in completa rovina; l'"integumento" della teoria marxiana è esploso in mille pezzi molto prima della profetizzata esplosione del sistema capitalista. Oltretutto, lungi dall'essere fondata su leggi "scientifiche", questa struttura composta da materiali scadenti è stata eretta al disperato servizio dell'obiettivo fanatico, folle e messianico della distruzione della divisione del lavoro (cioè della stessa individualità umana) e della creazione apocalittica di un ordine mondiale collettivistico dichiarato inevitabile. Siamo evidentemente di fronte a una variante ateizzata di una venerabile eresia cristiana".

Non solo quindi l'ideale marxiano è erroneo e impraticabile, ma - e in questo sta la forza e l'originalità della critica rothbardiana - è profondamente antiumano proprio nei fini perseguiti. Non è una nobile aspirazione tradita da dei maldestri esecutori, ma una terrificante utopia negativa. Mettendo in evidenza i caratteri della società comunista vagheggiata da Marx, Rothbard arriva alla conclusione che nessuno dei comunismi realizzati, salvo forse quello instaurato dai khmer rossi in Cambogia, eguaglia la mostruosità del modello ideale. In altri termini, i governanti comunisti sono stati tanto più sterminatori, affamatori e tirannici quanto più rinunciavano ai compromessi con la realtà per avvicinarsi al "comunismo puro" nelle forme indicate da Marx.

Nei successivi capitoli cercheremo di avanzare alcune considerazioni a sostegno della fondatezza di questo giudizio di Rothbard.


continua...

Felix (POL)
25-05-03, 02:58
Il millenarismo secondo Marx

Il precedente degli anabattisti. La chiave per interpretare l'intricata e vasta opera di Marx, secondo Murray N. Rothbard, si riduce ad una semplice frase: Karl Marx era un comunista. Con questa apparentemente banale e scontata affermazione, Rothbard intende dire che la promessa messianica della società comunista fu in Marx molto più importante che tutti gli altri aspetti del suo sistema, come la dialettica, la lotta di classe, la teoria del plusvalore, e tutto il resto. Il comunismo, per Marx, fu lo scopo finale, il grande fine, l'esito ultimo che avrebbe messo fine una volta per tutte alle sofferenze dell'umanità. Proprio come il ritorno del Messia nella teologia cristiana avrebbe messo fine alla storia e stabilito un Nuovo Cielo e una Nuova Terra, così l'avvento del comunismo avrebbe posto il termine alla storia umana; in entrambi i casi, il sorgere del Mondo Nuovo sarebbe stato preparato dall'attività di un gruppo di illuminati: i santi e profeti della tradizione millenarista cristiana, e l'avanguardia rivoluzionaria cosciente dell'ideologia comunista. Inoltre, in tutti i movimenti religiosi messianici, il paradiso viene ristabilito a seguito di un violentissimo scontro apocalittico, l'Armageddon, tra le forze del bene e del male. Solo dopo questo titanico conflitto una nuova era di pace e armonia fiorirà sulla Terra.

Marx, bollando come utopisti quei socialisti che ritenevano di poter realizzare il comunismo attraverso un passaggio pacifico e graduale, riprende proprio quella tradizione apocalittica cristiana che, come un fiume carsico, riemerge periodicamente nella storia europea in forme fanatiche e sanguinarie. Non a caso quasi tutti i marxisti, da Friedrich Engels a Ernst Bloch, sono stati entusiasti ammiratori delle sette anabattiste del '500, i cui tentativi di istituire la Città di Dio in Terra anticiparono con straordinaria somiglianza i totalitarismi del ventesimo secolo. I regimi comunisti instaurati dagli anabattisti a Mühlausen nel 1525 - per opera di Thomas Müntzer - e a Münster nel 1534 non ebbero infatti nulla da invidiare, quanto a diffusione del terrore e annientamento delle libertà individuali, alla Cambogia dei khmer rossi. Una volta assunto il potere assoluto a Münster, Jan Matthys e, successivamente, Jan Bockelson (più noto come Giovanni di Leida) decretarono, proprio come Pol Pot, l'abolizione integrale della proprietà privata e del denaro, il terrorismo contro i non credenti, la deportazione della popolazione, la pena di morte per le minime mancanze, il razionamento alimentare, la distruzione di libri, statue e dipinti della Chiesa, l'abolizione della famiglia. Si trattò di una vera e propria "profetocrazia sanguinaria", dotata di autorità "in ogni materia pubblica o privata, spirituale e materiale, e di potere di vita e di morte su tutti gli abitanti".


L'alienazione. Ancor prima delle sette che nascono con la Riforma protestante, il comunismo di Marx affonda le proprie radici nelle dottrine visionarie di Gioacchino da Fiore (1145-1202), il primo dei millenaristi medioevali, il quale aveva elaborato una concezione della Storia passante attraverso tre fasi: il Regno del Padre (del Vecchio Testamento), il Regno del Figlio (del Nuovo Testamento), e il Regno dello Spirito Santo, di perfetta gioia e armonia, in cui, scomparendo la proprietà privata e la necessità del lavoro, si realizza la fine della storia umana. E' qui evidentissima, e non c'è neanche bisogno di sottolinerala, la perfetta corrispondenza con la concezione della storia di Marx, che si snoda, secondo i principi della dialettica hegeliana, attraverso le tre fasi del comunismo primitivo (tesi), delle società divise in classi (antitesi), e del comunismo finale (sintesi). Il ritorno all'unità e al tutto dopo una fase di dolorosa alienazione e separazione rappresenta infatti uno dei più tipici topoi dell'immaginazione millenaristica. Marx non fa altro quindi che rielaborare con gli strumenti offerti dalla filosofia hegeliana (la dialettica e il concetto di alienazione) un'aspirazione religiosa da secoli presente nella cultura giudaico-cristiana.

Per alienazione Marx intende però qualcosa di più cosmico e intenso di quello che spesso hanno inteso molti marxisti del XX secolo: non semplice ansietà o sentimeno psicologico di disagio (dovuto al capitalismo o a qualche altra repressione culturale, famigliare o sessuale), ma separazione dell'uomo dal tutto: l'uomo nella società borghese è per Marx alienato perché, a causa dell'esistenza di istituzioni come la proprietà privata, la divisione del lavoro, il denaro, ecc. (tutto ciò insomma che configura l'autonomia della società civile), egli agisce come un egoista, come una persona privata, e non come parte di un collettivo. L'uomo potrà realizzare la sua natura autentica solo quando la fusione tra singolo e specie, fra individuo e comunità sarà completa, cioè quando la separazione tra Stato e società civile verrà superata attraverso la politicizzazione dell'intera vita e la trasformazione di ogni azione individuale in azione collettiva. E' in nome di questo olismo radicale, di questo ideale fusionista alla Rousseau che Marx sferra la sua guerra di annientamento contro le istituzioni e i valori della civiltà liberale, ree di aver diviso ciò che originariamente era un tutto unico, compatto e armonico. Libertà, proprietà, commercio, denaro e divisione del lavoro vengono condannati da Marx perchè introducono la separazione, la concorrenza e l'egoismo, e perciò rendono l'uomo estraneo, cioè alienato, a sè stesso e agli altri.


La teorizzazione del terrore. Naturalmente, solo una rivoluzione e un'orgia di devastazione può realizzare il completo annientamento di tutte le istituzioni fiorite spontaneamente all'interno della società civile. Fin dai loro scritti giovanili Marx ed Engels - da perfetti millenaristi - non hanno mai fatto mistero della necessità della violenza come strumento di lotta politica. Nella scelta dei mezzi per l'edificazione del comunismo i rivoluzionari del XX secolo sono rimasti entro la strada indicata dai loro maestri, perchè l'esigenza di ricorrere al terrore di massa e al genocidio era stata apertamente teorizzata da Marx: "non c'è che un mezzo per abbreviare, semplificare, concentrare l'agonia assassina della vecchia società, un solo mezzo: il terrorismo rivoluzionario"; e ancora: "Noi non abbiamo riguardi. Noi non ne attendiamo da voi. Quando sarà il nostro tempo, non abbelliremo il terrore". Egli diede una vivida descrizione della sua brama di distruzione totale dell'esistente in un discorso tenuto a Londra nel 1856, in cui ricordava l'esistenza, nella Germania medioevale, di un tribunale segreto chiamato Vehmgericht: "Se veniva vista una croce rossa segnata su una casa, il popolo sapeva che il suo proprietario era stato giudicato dal Vehm. Tutte le case d'Europa sono oggi marcate dalla misteriosa croce rossa. La storia è il giudice - il proletariato il suo boia".

Non meno lugubri le parole di Engels: "la prossima guerra mondiale farà sparire dalla faccia della terra non soltanto classi e istituzioni reazionarie, farà sparire anche interi popoli reazionari. E anche questo sarà un progresso"; "noi potremo rafforzare le basi della rivoluzione solo esercitando nei confronti di questi popoli il più deciso terrorismo. Lotta, allora, implacabile lotta per la vita e per la morte...lotta di annienamento e di spietato terrore, non nell'interesse della Germania, ma nell'interesse della Rivoluzione!"; "Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuole avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari".

Davanti ad esempi come questi è difficile non concordare con Murray N. Rothbard, Luciano Pellicani o i nouveaux philosophes francesi: tutti coloro cioè che hanno visto nell'opera di Marx e di Engels la giustificazione filosofica dei gulag, e quindi e lo strettissimo legame spirituale con il totalitarismo comunista.

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Felix (POL)
25-05-03, 03:00
I caratteri della società comunista secondo Marx


Oscurità e reticenze. I millenaristi come Gioacchino da Fiore risolvevano il problema della definizione delle caratteristiche della perfetta società futura da loro profetizzata semplicemente eliminando il problema economico, perché il lavoro e la produzione non sarebbero stati più necessari in un mondo di puri spiriti dediti eternamente alla contemplazione e alla preghiera. Marx, ateo e materialista, e quindi obbligato ad affrontare il problema della scarsità, non si dimostra però molto più esplicito e profondo dei suoi predecessori. Egli non aveva alcun interesse negli aspetti economici della sua utopia: il comunismo era soprattutto una questione filosofica, se non religiosa. Ogni analisi economica riguardante la società comunista futura viene infatti aggirata dall'indimostrata assunzione della necessaria e inevitabile sovrabbondanza di ogni bene. In questo modo, spiega Pellicani, si eliminava l'imbarazzo di dover specificare le caratteristiche dell'organizzazione sociale che avrebbe dovuto rimpiazzare quella esistente. Il che non era cosa da poco conto, dal momento che non era possibile dare una descrizione positiva del comunismo. Come descrivere infatti una società senza divisione del lavoro, senza istituzioni, senza rapporti di potere, senza problemi di scarsità e senza conflitti di interessi? L'unica cosa che Marx può dire di essa è che rappresenta la negazione di quella esistente, ovverosia, nel mistico e oscuro gergo hegeliano, la "negazione della negazione".

Va notato infatti che il progetto contenuto nella parte finale del Manifesto - vera e propria apologia dello statalismo centralizzato e monopolistico - costituisce solo un programma politico riformista di attuazione immediata e temporanea, senza alcuna pretesa di descrivere la società comunista al suo stadio finale. L'impossibilità di poter affrontare la questione da un punto di vista scientifico e razionale spiega l'ostilità del filosofo di Treviri verso tutti quei socialisti che si abbandonavano a "descrizioni fantastiche della società futura", e la condanna come reazionari di tutti coloro che estendevano programmi per il futuro.

A dire la verità Marx aveva affrontato la spinosa questione, sempre da un punto di vista filosofico, nel suoi Manoscritti Economico-Filosofici del 1844, ma le conclusioni cui era arrivato erano così poco attraenti che preferì non pubblicare mai questa sua opera, rimasta inedita e sconosciuta fino al 1932. Il saggio Proprietà Privata e Comunismo ivi contenuto raccoglie infatti la più completa descrizione della società comunista nella sua prima fase, quella immediatamente successiva alla rivoluzione proletaria e anteriore a quella del comunismo compiutamente realizzato. Ebbene, con estremo candore Marx dichiarava che il primo comunismo sarebbe stato del tutto differente da quello sognato dai rivoluzionari, e addirittura ben peggiore della vecchia società che andava a sostituire: "il primo stadio del comunismo non rappresenta una reale trascendenza della proprietà privata ma solo la sua universalizzazione, non il superamento dell'avidità ma solo la sua generalizzazione, e non l'abolizione del lavoro ma solo la sua estensione a tutti gli uomini. E' solo una nuova forma in cui i vizi della proprietà privata ritornano in superficie". In un altro passo Marx arriva addirittura ad ammettere che, lungi dal portare alla fioritura della personalità umana, questo comunismo fondato "sull'invidia e il desiderio di ridurre tutti al livello comune" ne è la sua totale negazione: "Negando completamente la personalità dell'uomo, questo tipo di comunismo non è niente altro che la logica espressione della proprietà privata. La generale invidia, costituendosi come potere, è il travestimento con cui l'avidità ristabilisce e soddisfa se stessa, solo in una maniera differente...nell'approccio alla donna come preda e serva delle voglie comuni è rappresentata l'infinita degradazione in cui l'uomo esiste solo per se stesso".

Questo vivido ritratto che Marx fa del primo stadio del comunismo assomiglia in tutto e per tutto ai regimi coercitivi imposti dagli anabattisti del '500. Ma se il comunismo è veramente così mostruoso, un "regime di infinita degradazione", perché mai - si chiede Rothbard - qualcuno dovrebbe sperare nel suo avvento, e dedicare la propria vita alla causa rivoluzionaria? Ancora una volta il problema viene risolto da Marx con gli artifizi della mistica hegeliana: il male totale del comunismo iniziale viene superato, attraverso la sua negazione, dal paradiso comunista finale, secondo le ineluttabili leggi della dialettica storica. Insomma, nella logica apocalittica tipica dei millenaristi gnostici, l'armonia finale può nascere solo dai suoi contrari: la distruzione, la morte e la violenza.

Per quanto Marx sia stato volutamente laconico intorno alla società comunista futura, ha però indicato insistentemente alcuni tratti considerati imprescindibili: 1) innanzitutto, come più importante, l'abolizione della specializzazione e della divisione del lavoro; 2) come corollario, la scomparsa della "contraddizione" (cioè differenziazione) tra lavoro intellettuale e lavoro manuale e della contraddizione tra città e campagna; 3) divieto della proprietà privata, dello scambio e della moneta; 4) scomparsa di tutte le sovrastrutture tradizionali quali la religione, la famiglia, la morale "borghese", ecc; 5) inoltre, ma il punto va chiarito, il principio "da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni". Tutti questi elementi non scaturiscono da un'analisi sulla loro desiderabilità politica o economica, ma sono puramente e semplicemente gli opposti delle caratteristiche principali della detestata società di mercato.

Per ciò che riguarda l'asserita estinzione dello Stato come conseguenza della scomparsa della divisione in classi della società, essa sembra un'aggiunta del tutto posticcia e incongruente con le restanti parti della teoria marx-engelsiana. Non si riesce infatti a capire, come già gli anarchici di Bakunin avevano contestato ai marxisti ai tempi della Prima Internazionale, in che modo si possa giungere alla società senza Stato passando attraverso la fase di totale massimizzazione del potere statale della dittatura del proletariato (o dell'avanguardia cosciente). Solo una fede cieca nei miracoli della dialettica può indurre a credere che uno Stato totalitario si tramuti inevitabilmente e improvvisamente nel suo opposto, e che dunque il modo migliore per sbarazzarsi dello Stato sia quello di impegnarsi per massimizzare il suo potere! Inoltre qualsiasi forma di collettivismo, compreso quello propugnato dagli anarco-comunisti, è per sua natura incompatibile con l'assenza di Stato, perchè la proprietà collettiva richiede necessariamente un ristretto gruppo di amministratori che la gestiscano "in nome" della società. Quale che sia il nome con cui si cerca di camuffare questo comitato, esso ricompare come Stato ogniqualvolta detenga il potere di controllare e prendere decisioni riguardo l'uso e la distribuzione delle proprietà comuni.


1) L'abolizione della divisione del lavoro. Fondamentale in tutta la costruzione di Marx è l'idea che il comunismo si realizzi solo con la scomparsa della specializzazione del lavoro e dello scambio, visti come la fonte di tutte le disuguaglianze tra gli uomini. E in effetti, come ha sottolineato con grande chiarezza Murray N. Rothbard, l'esistenza della divisione del lavoro nasce proprio dall'innata diversità degli uomini, dal momento che non avrebbe alcuno scopo se ogni persona fosse intercambiabile con le altre. La libertà stessa, in un siffatto mondo, avrebbe poco senso: "Se gli individui, come le formiche, fossero uniformi, privi di propri spcefici tratti della personalità, allora a chi importerebbe se fossero liberi o meno? A chi importerebbe, in realtà, se vivessero o morissero? La gloria della razza umana è l'unicità di ogni individuo, il fatto che ogni persona, quantunque simile a ciascun'altra per molti aspetti, possiede una propria personalità ben individuata. E' il fatto dell'unicità di ogni persona, il fatto che non esistono due persone pienamente intercambiabili che rende ogni uomo insostituibile e che rende importante se egli vive o muore, se è felice o se è oppresso. E, infine, è il fatto che queste personalità uniche hanno bisogno della libertà per il loro pieno sviluppo che costituisce uno dei maggiori argomenti a favore di una società libera".

Più una società è libera maggiore sarà la varietà e la diversità tra gli uomini; più la società è dispotica, minori possibilità avranno gli individui di esplicare liberamente la propria personalità (di essere cioè veramente umani), e quindi maggiore sarà l'uniformità dei suoi componenti. L'uomo può però esprimere tutta la propria potenzialità solo specializzandosi, ma la libertà d'agire non è sufficiente a questo scopo se manca un esteso sistema di divisione del lavoro: nessuno, ad esempio, può diventare un fisico o un ingegniere creativo su un'isola deserta, perché tutto il suo tempo sarebbe occupato nella risoluzione dei problemi quotidiani di sopravvivenza. La possibilità della specializzazione è dunque la condizione fondamentale per poter esprimere la propria natura umana.

Non solo: da Adam Smith in poi apparve sempre più evidente che l'economia basata sulla divisione del lavoro e sullo scambio permette di moltiplicare in maniera pressochè infinita la produttività - e dunque la ricchezza - dei partecipanti, ed è inoltre profondamente cooperativa: "L'accrescimento della produttività connesso alla divisione del lavoro esercita un'influenza unificante. - ha scritto Ludwig von Mises - Essa conduce gli uomini a considerarsi l'un l'altro come associati in una battaglia comune per il benessere, piuttosto che come concorrenti in una lotta per la vita. Essa trasforma i nemici in amici, converte la guerra in pace, dagli individui fa nascere la società".

Ebbene, è proprio contro tutto ciò che Marx ed Engels erigono la loro pazzesca costruzione utopica. Naturalmente essi negano che la loro società ideale porti a sopprimere la singola personalità di ogni uomo. Al contrario, liberato dai confini della divisione del lavoro, ogni persona potrebbe sviluppare i propri poteri in tutte le attività. Liberando gli uomini dalla necessità di specializzarsi e di lavorare per il mercato (cioè per gli altri), il comunismo, nelle parole di Engels, darà "ad ogni individuo l'opportunità di sviluppare ed esercitare tutte le proprie facoltà, fisiche e mentali, in tutte le direzioni"; è infatti dalla divisione del lavoro che nasce la divisione della società in classi: "Accanto alla maggioranza dedita esclusivamente al lavoro si forma una classe emancipata dal lavoro immediatamente produttivo, la quale cura gli affari comuni della società, la direzione del lavoro, gli affari di Stato, giustizia, scienza, arti, ecc. A base della divisione di classi sta quindi la legge della divisione del lavoro". Ma "nella nuova società la divisione del lavoro, del tipo che s'è avuto finora, scomparirà totalmente...L'industria esercitata in comune e secondo un piano da tutta la società presuppone assolutamente uomini le cui attitudini siano sviluppate in tutti i sensi, che siano in gardo di abbracciare tutto il sistema della produzione. La divisione del lavoro già ora minata dalle macchine, la quale fa di uno un contadino, dell'altro un calzolaio, d'un terzo un operaio di fabbrica, d'un quarto uno speculatore in borsa, scomparirà dunque del tutto".

Ecco come Marx immagina, molto ingenuamente, la società comunista liberata dalla nefasta divisione del lavoro: "Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare nè cacciatore, nè pescatore, nè pastore, nè critico".

L'idea che nella società ideale ciascuno possa sviluppare le proprie facoltà in tutte le direzioni è però incredibilmente infantile, perché dimentica i limiti imposti dalla realtà: la vita, infatti, è essenzialmente una serie di atti di scelta, e ogni scelta è allo stesso tempo una rinuncia di qualcos'altro. La necessità della scelta, ricorda Alexander Gray, esisterà sempre, anche sotto il comunismo: "Perfino l'abitante della futura terra meravigliosa di immaginata da Engels dovrà decidere prima o poi se desidererà essere Arcivescovo di Canterbury o Primo Ammiraglio della flotta, se dovrà eccellere come violinista o come pugile, se dovrà sapre tutto sulla letteratura cinese o sulla vita dei pesci". Per Rothbard l'assurdo ideale dell'uomo in grado di fare qualsiasi cosa è realizzabile solo in uno di questi tre modi: 1) ogni persona è miracolosamente trasformata in un "superuomo", o 2) ci sono solo pochissime cose da fare, oppure 3) ogni cosa viene fatta estremamente male.

La prima ipotesi è stata teorizzata da Trotzky, il quale, in uno slancio di lirismo, è arrivato a scrivere sciocchezze di questo tipo: "[Nel comunismo] L'uomo diventerà incomparabilmente più forte, più saggio, più raffinato. Il suo corpo sarà più armonioso, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale...L'uomo medio raggiungerà il livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. E al di sopra di questa cresta di montagne si alzeranno altre cime". Il secondo caso è quello del comunismo primitivo: una società arretrata e scarsamente popolata può effettivamente sopravvivere, ad un puro livello di sussistenza, senza specializzazione del lavoro tra i suoi membri, dato che le attività lavorative sono pochissime ed estremamente semplificate. Il terzo caso è realizzabile solo a costi catastrofici, perché una società di dilettanti che sanno poco di tutto e niente in particolare non è in grado di produrre alcunchè di utile, e non può soddisfare le esigenze materiali della popolazione esistente. Nella società comunista futura, dunque, il lavoro non avrebbe più un significato economico, ma solo artistico: diventerebbe un'attività perfettamente analoga alla spontanea creatività tipica dell'artista libero da ogni condizionamemento. Non più alienato, l'uomo comunista si trasformerebbe dunque in un esteta che considera le cose in termini esclusivamente artistici.

Non occorre però una particolare chiaroveggenza per capire che una comunità di individui autistici che si dedicano saltuariamente ai propri hobby preferiti senza alcun riguardo per i bisogni degli altri è destinata ad estinguersi in breve tempo nella fame e nella carestia generale. Tutto ciò a ulteriore dimostrazione dell'approccio romantico e non scientifico con cui Marx ha affrontato l'analisi degli aspetti economici della società comunista futura.


2) L'abolizione delle contraddizioni tra lavoro manuale e intellettuale, e tra città e campagna. Per Marx, qualsiasi differenza tra gli uomini, qualsiasi specializzazione nella divisione del lavoro, è una "contraddizione", e l'ideale comunista consiste nel farla scomparire ristabilendo l'armonia generale. Le particolarità e le diversità tra gli individui sono per i marxisti delle contraddizioni da sradicare e da sostituire con l'uniformità simile a quella di un formicaio. La scomparsa delle differenze tra lavoratori intellettuali e manuali e tra lavoratori della città e della campagna sotto il comunismo non sono altro dunque che corollari della necessaria eliminazione della divisione del lavoro: "In una fase più avanzata della società comunista - scrive Marx nella Critica del programma di Gotha - dopo la scomparsa della subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, [scompare] anche il contrasto tra lavoro intellettuale e fisico".L'idea della fine della distizione tra città e campagna compare invece spesso in Engels. Ne I principi del comunismo scrive ad esempio: "...lo sviluppo universale di tutti i membri della società mediante l'eliminazione della divisione del lavoro esistente finora, mediante l'educazione industriale, mediante la partecipazione di tutti ai godimenti prodotti da tutti, mediante la fusione di città e campagna - ecco i risultati dell'abolizione della proprietà privata".

L'ossessione di sradicare queste due contradddizioni del capitalismo raggiunse livelli particolarmente maniacali in Cina e in Cambogia, con gli esiti tragici ricordati ne Il libro nero del comunismo.


3) L'abolizione della proprietà privata, dello scambio e della moneta. La soppressione della proprietà privata, del mercato e del denaro hanno sempre rappresentato gli obbiettivi più immediati di ogni rivoluzione comunista. Anch'essi possono essere considerati corollari dell'idea dell'eliminazione della specializzazione, perché, come scrisse Marx ne L'ideologia tedesca, "Divisione del lavoro e proprietà privata sono espressioni identiche: con la prima si esprime in riferimento all'attività esattamente ciò che con l'altra si esprime in riferimento al prodotto dell'attività". Lo stesso può dirsi per l'abolizione del denaro e del libero scambio, se è vero che il commercio non è nulla di più che il sussidio tecnico della divisione del lavoro (von Mises).

Una delle più incomprensibili lamentele di Marx contro lo scambio, ma presa sempre molto serio dai suoi seguaci, è quella secondo cui nella società capitalista il lavoratore sarebbe "alienato" dal prodotto del proprio lavoro, in quanto non lo produrrebbe per sè, ma per altri. Un operaio di un'acciaieria, ad esempio, godrà poco o nulla dell'acciaio che produce, così come il produttore di uova o di scarpe. Ovviamente, questi tre soggetti si scambieranno i propri prodotti mediante il denaro, ma per Marx tutto questo processo fondato sullo scambio in moneta e la divisione del lavoro rappresenta il simbolo dell'alienazione di ogni lavoratore dal proprio lavoro.

Ma perché, si chiede Rothbard, qualcuno dovrebbe preoccuparsi di questa sorta di alienazione? Sicuramente l'operaio, il contadino e il calzolaio sono ben felici di vendere i loro prodotti e di scambiarli con qualsiasi altra cosa essi desiderino: privarli di questa "alienazione" peggiorebbe infinitamente la loro situazione. Se ai produttori non fosse permesso di vendere ciò che non consumano personalmente, l'intera popolazione regredirebbe a livelli di vita primitivi o eremitici. Tutto il grandioso fenomeno di scambi volontari, luogo di massima espressione della spontaneità sociale, viene però condannato dai marxisti come "individualista" e "alienante", e come tale degno di essere combattuto con tutti i mezzi, compresa la coercizione e la violenza rivoluzionaria.


4) Scomparsa delle sovrastrutture tradizionali. Marx ed Engels non si limitarono però a preannunciare la scomparsa della proprietà privata nella società comunista, perché ad essa avrebbe necessariamente portato con sé l'eliminazione di tutti gli altri cosiddetti "modi sussidiari di produzione" (o sovrastrutture) che alienano l'uomo dalla sua vera natura: "la religione, la famiglia, lo Stato, la legge, la moralità, la scienza, ecc.". L'uomo nuovo comunista sarà dunque liberato, volente o nolente, da tutte le istituzioni sociali che caratterizzano la moderna civilizzazione.

Ma una volta deprivato di tutte le relazioni umane che creano la società, dei legami famigliari, religiosi, culturali, giuridici o economici che lo legano ad altri uomini, cosa resta di questo essere umano? Probabilmente nient'altro che una creatura ermeticamente isolata, come una monade, da tutte le altre: non solo condannata ad ogni sorta di privazione materiale, ma anche spirituale. Ironicamente, osserva Rothbard, sono proprio quei marxisti che continuamente denunciano l'individualismo borghese per la sua concezione "atomistica" degli individui a non accorgersi dell'incredibile grado di antisocialità insito nella dottrina del loro maestro.


5) Il principio "Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. La presenza di questo slogan all'interno della dottina marxista sembra a prima vista contraddire l'idea finora sostenuta che il comunismo sia solo un'aspirazione religiosa secolarizzata e non invece un progetto economico. In realtà si può concordare con Rothbard sulla minima importanza che Marx attribuiva a questo come a qualsiasi altro principio distributivo nella società futura. Dal contesto in cui lo slogan è inserito, cioè il celebre passaggio della Critica del Programma di Gotha dove Marx polemizza aspramente con i deviazionisti lassalliani all'interno del Partito Socialdemocratico tedesco, si capisce come esso venga brevemente preso in considerazione solo per essere ridimensionato nella sua importanza: "dopo che con lo sviluppo delle forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze collettive scorrono in abbondanza - soltanto allora può il ristretto orizzonte giuridico borghese essere oltrepassato e la società può scrivere sulle bandiere: da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!".

Quello che Marx sta cercando di dire è che l'elemento fondamentale della società comunista non è certo un principio di distribuzione dei beni, perché limitarsi a redistribuire il reddito prendendolo da coloro che possiedono doti produttive per darlo a coloro che non ne possiedono implica pur sempre l'esistenza di differenziazioni sociali, sfruttamento, interessi contraddittori. In una società liberarata dalla divisione del lavoro e dalla proprietà privata, dove la conseguente sovrabbondanza dei beni permette il più completo sviluppo di tutte le facoltà umane, i problemi della "distribuzione giusta" verranno meno da soli. In un mondo simile anche lo slogan "a ciascuno secondo i suoi bisogni" è di scarsa importanza. Non a caso Marx condanna le frequenti discussioni tra i socialisti sugli "eguali diritti" e la "giusta distribuzione" come "obsoleto ciarpame verbale".

Il motto "a ciascuno secondo i suoi bisogni..." non è dunque un principio atto a regolare la distribuzione delle risorse scarse, ma semplicemente una descrizione di ciò che accadrà nel comunismo quando, appunto, i singoli attinhgeranno da uno stock di risorse abbondanti tutto ciò di cui avranno bisogno. Interpretarlo come principio di giustizia e dargli un'importanza maggiore di quella che realmente ha all'interno della visione di Marx, cosa che molti marxisti hanno fatto, è un modo tuttavia per ingigantire ancora di più il problema. Questo principio infatti non può essere applicato in maniera "anarchica", nel senso che nel comunismo ogni individuo potrebbe valutare autonomamente il livello delle proprie capacità produttive e dei propri bisogni ai fini del computo di dare e avere nei confronti della società. A parte l'obiezione pratica che, in questo modo, ogni individuo sarebbe indotto a bluffare, sottostimando le capacità e sovrastimando le necessità, non si capisce in che modo si possano distinguere i bisogni (in astratto virtualmente infiniti) che meritino di essere soddisfatti e quelli che non lo sono. Nessun marxista infatti sosterrebbe mai che tutti i bisogni, anche i più capricciosi, dovrebbero essere soddisfatti a spese delle risorse scarse della società: "Dobbiamo forse riservare delle risorse aggiuntive alle persone che hanno bisogni dispendiosi?...Ma che cosa ci sia di particolarmente radicale (o attraente) nel pretendere che alcuni sovvenzionino i gusti dispendiosi di altri, non è chiaro; molti marxisti, anzi, considererebbero la cosa decisamente ingiusta".

In pratica i comunisti al potere hanno adottato questo principio come giustificazione teorica della dittatura sui bisogni: solo la società organizzata (cioè lo Stato) detiene il monopolio nella determinazione delle capacità e dei bisogni di ciascun individuo. Non si vede altrimenti in quale modo di possa dare applicazione pratica al principio. Un compito di questa portata richiede però una condizione indispensabile: che il governo sia l'unico proprietario di tutte le risorse materiali, e che abbia il potere inappellabile di disporre quanto ogni cittadino debba produrre per la società (sistema della requisizione forzata o del lavoro forzato), e quanto abbia diritto a consumare (sistema del razionamento nell'assegnazioni dei beni).

Messe in luce le caratteristiche fondamentali della società comunista teorizzata da Marx, occorre ora andare a vedere in che misura abbiano trovato concreta attuazione nell'esperienza comunista del XX secolo.

continua...

Felix (POL)
25-05-03, 03:01
E' stato applicato Marx?


1) I due tentativi nell'Unione Sovietica. La Rivoluzione d'ottobre, nelle intenzione dei suoi realizzatori, non ha fatto altro che mettere in pratica gli insegnamenti di Marx ed Engels, secondo cinque direttrici principali: 1) Massima espansione della proprietà pubblica dello Stato (e corrispondente eliminazione della proprietà privata); 2) Allocazione coercitiva della forza lavoro (punto 8 del Manifesto di Marx: formazione di armate del lavoro e obbligo del lavoro per tutti, disposizione che può essere letta anche come applicazione del principio "da ciascuno secondo le sue capacità"); 3) Direzione centralizzata dell'attività economica; 4) Naturalizzazione della vita economica, attraverso l'interdizione della negoziazione privata, dei pagamenti in denaro, e la registrazione di ogni cittadino presso una rivendita di Stato.

Convinto che il capitalismo fosse un fenomeno autogenerantesi, destinato a rinascere tutte le volte in cui la libertà degli individui gode di una seppur minima possibilità d'azione, Lenin non esitò a istituzionalizzzare una guerra permanente contro la società civile pur di estirpare dalla Russia ogni traccia di economia di mercato: "La piccola produzione genera il capitalismo e la borghesia di continuo, ogni giorno, ogni ora, in modo spontaneo e in vaste proporzioni...Sulla base di una certa libertà di commercio, anche solo locale, risorgeranno la piccola borghesia e il capitalismo". Egli andò così in profondità nell'attuazione del suo programma che dal 1918 al 1920 - durante il cosiddetto comunismo di guerra - denaro, mercato e libertà d'impresa erano quasi scomparsi dal panorama sovietico. Nelle mani del potere centrale si concentrarono progressivamente tutte le risorse materiali, alimentari e umane del paese, e lo Stato divenne la sola entità a poterne stabilire la destinazione e l'utilizzazione. La nazionalizzazione integrale dell'economia, il sistema criminale dell'espropriazione forzata dei raccolti dei contadini e il divieto generalizzato del commercio privato provocarono una catastrofe economica come mai si era vista in Europa negli ultimi secoli: la produzione industriale complessiva era crollata a meno di un terzo dei valori del 1913, e nelle zone dove con più ferocia si era proceduto al sistema delle requisizioni più di 5 milioni di contadini morirono di fame.

La scomparsa del denaro non fu solo una conseguenza degli convolgimenti economici, perchè la maggior parte dei dirigenti comunisti la riteneva una misura indispensabile per realizzazione del socialismo. Il programma del partito bolscevico approvato nel marzo 1919 prevedeva all'art. 15 che "Il Partito comunista russo si sforzerà di prendere una serie di provvedimenti per estendere la sfera della compensazione non monetaria e per preparare l'abolizione del denaro", e anche Bucharin scriveva nel suo Programma dei comunisti che "la società è in procinto di trasformarsi in una immensa società del lavoro, che produce e distribuisce senza far ricorso al denaro".

Inoltre in questo periodo si diede inizio alla realizzazione di un altro punto del programma marxiano: la lotta alle sovrastrutture, ovverosia, per dirla con le parole dello storico Orlando Figes, la "battaglia per la conquista dell'anima umana". Fino al 1921 la guerra alla religione venne combattuta soprattutto con la propaganda, ma da quell'anno in poi si passò alla chiusura delle chiese e alla fucilazione dei sacerdoti: "sono giunto all'incontrovertibile conclusione - disse il leader dei bolscevichi - che noi dobbiamo muovere una guerra decisiva e senza pietà contro il clero e reprimerne la resistenza con tale crudeltà da non fargliela dimenticare per decenni...Quanto più numerosi saranno i membri della borghesia e del clero reazionari che riusciremoa fucilare, tanto meglio sarà". Non meno cruenta fu la repressione che, in questo "assalto dell'anima", si scatenò contro l'intellighenzia e i ceti intellettuali: migliaia furono i professori e gli scrittori esiliati, arrestati, processati, fucilati o morti di fame in quegli anni.

Dopo il breve intervallo della Nep, che restaurando parzialmente i meccanismi di mercato diede risultati economici insperati, l'obiettivo della realizzazione del socialismo venne ripreso con non minore energia da Stalin, quando nel 1929 decide di procedere alla collettivizzazione delle campagne per distruggere l'ultimo ceto mercantile ancora presente nella realtà sovietica: quello contadino. Per giustificare lo sterminio dei kulaki e convincere i compagni di partito più recalcitranti Stalin fece un uso logicamente coerente della teoria marxiana della lotta di classe: "Se i capitalisti della città e della campagna si integrano nel socialismo, che bisogno c'è allora in generale della dittatura del proletariato, e se ve ne è bisogno, qual'è la classe che bisogna reprimere?". Stalin mise allora l'assemblea davanti a questa ineludibile alternativa: "O la teoria di Marx della lotta di classe, o la teoria dell'integrazione dei capitalisti nel socialismo. O l'opposizione inconciliabile degli interessi di classe, o la teoria dell'armonia degli interessi di classe. Una delle due". Si diede così il via al più colossale bagno di sangue della storia dell'umanità, in cui vennero annientati più di venti milioni di contadini del tutto disarmati e indifesi. La collettivizzazione dell'agricoltura permise al regime sovietico di realizzare in parte un altro punto del progetto marxiano: l'eliminazione della contraddizione tra città e campagna, dato che nelle nuove gigantesche fattorie collettive i contadini erano divenuti a tutti gli effetti "operai" organizzati, gerarchizzati e comandati proprio come in una fabbrica.

Solo dopo la morte di Stalin nel 1953 il regime allentò la presa sulla società civile, e ogni ambizione utopica di realizzare il comunismo di Marx venne di fatto completamente meno negli anni della corruzione brezneviana e dei tentativi di riforma gorbacioviani.


b) I due tentativi cinesi. I comunisti cinesi arrivarono mai a realizzare integralmente alcuni degli obiettivi del comunismo marxiano? Sì, in almeno due occasioni, in cui l'uso indiscriminato della violenza e l'alto numero delle vittime superarono ogni altro periodo della storia cinese. Il primo dei due disastrosi tentativi di inverare il comunismo si ebbe nel 1959-61 con il Grande balzo in avanti, la politica maoista di radicale collettivizzazione dell'agricoltura che provocò, oltre a violenze di ogni tipo, la più grande carestia della storia. Malgrado il gigantesco costo umano, valutato in circa circa 50 milioni di cinesi morti per la fame e le repressioni, non pochi marxisti trovarono a quel tempo esaltante la realizzazione di numerosi aspetti del comunismo puro. E in effetti con il Grande balzo Mao cercò non solo di eliminare la proprietà privata e il libero commercio, ma soprattutto la "contraddizione" tra città e campagna, obbligando le popolazioni rurali a installare in ogni villaggio una fornace per la fusione del metallo; lo scopo era quello - ossessivamente ricordato nei testi marx-engelsiani - "di sopprimere la differenza tra lavoro nei campi e lavoro in fabbrica mettendo in piedi ovunque unità industriali, in particolare piccoli altiforni". Il partito comunista divenne l'unico e inflessibile giudice sulla quantità di cibo cui ogni cittadino aveva diritto di consumare nelle cucine comuni, e sulla quantità di produzione che egli doveva allo Stato (cifre quasi sempre esorbitanti anche nei tempi di più dura carestia): un'applicazione impeccabile, secondo la scienza rivoluzionaria, del principio "da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni".

Interrotta la marcia verso il comunismo integrale con l'allontanamento di Mao dal potere dopo il disastro del Grande balzo, questi tornò alla riscossa nel 1966, quando in nome della Rivoluzione Culturale scatenò le guardie rosse contro i quadri di partito, gli insegnanti, i funzionari e in generale i "borghesi". Il sommovimento sorto con la Rivoluzione Culturale insistette particolarmente su due punti del programma marxiano: a) l'abolizione della contraddizione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, attuata costringendo intere generazioni di intellettuali e di studenti al lavoro forzato nelle campagne, sostituendo negli ospedali i chirurghi con i custodi, e dichiarando guerra al sapere, alle conoscenze tecniche e alle competenze specialistiche; b) lo sradicamento delle sovrastrutture culturali, al fine di fare tabula rasa della tradizione per creare la pagina bianca sulla quale edificare la nuova società. Da qui le distruzioni selvagge di libri, dipinti, porcellane, biblioteche, musei, sedi culturali: "Durante la campagna contro le "quattro cose vecchie" (vecchie idee, vecchia cultura, vecchi costumi, vecchie abitudini) le città attendono l'arrivo delle guardie rosse come si aspetta un ciclone: tempi barricati (ma moltissimi saranno danneggiati o distrutti, spesso in autodafè pubblici), tesori nascosti, affreschi intonacati per proteggerli, libri poratti via. Si bruciano scene e costumi dell'opera di Pechino...La stessa Grande muraglia viene in parte abbattuta...Gravemente colpiti sono i culti: il celebre complesso buddista dei monti Wutai vede dispersi i suoi monaci, bruciati i suoi manoscritti, parzialmente distrutti i suoi sessanta tempi; ...si fanno roghi di esemplari del corano; si vieta di festeggiare il Capodanno cinese...è pressochè impedita ogni pratica cristiana". Si vietano addirittura quei diversivi all'ideologia rivoluzionaria che sono i gatti, gli uccelli, i fiori, i capelli lunghi o impomatati, i pantaloni stretti, i tacchi alti, le scarpe a punta. Solo dopo la morte del Grande Timoniere nel 1976 la Cina abbandona nella pratica i principi marxisti, e la vita torna gradualmente alla normalità e a una mai conosciuta prosperità.


c) Il marxismo perfettamente realizzato: la Cambogia di Pol Pot. Come si è visto, salvo che nei brevi e catastrofici periodi di carestia (nel 1918 e 1930 in Russia e nel 1959-60 in Cina) non si può dire che l'Unione Sovietica e la Cina Popolare siano mai state fedeli ai propri principi. Lenin ebbe il buon senso di interrompere con la Nep nel 1921 il primo tentativo di abolizione del denaro e di salto immediato nel comunismo, e successivamente i dirigenti sovietici, con estremo realismo ma al prezzo di allontanarsi irrimediabilmente dall'idea centrale del marxismo, sostennero esplicitamente l'idea dell'essenzialità della divisione e la specializzazione anche nel sistema delle relazioni comuniste di produzione.

Nella realtà in nessun istante della storia sovietica e cinese scomparvero completamente il mercato, la moneta e lo scambio, perchè dappertutto le elementari necessità di vita della popolazione avevano reso necessario lo sviluppo di un radicato, esteso e tollerato sistema di mercato nero e corruzione legalizzata. Persino negli anni del comunismo di guerra, scrive lo storico Roy Medvedev, "Nonostante tutti gli ostacoli e divieti, il mercato libero viveva e prosperava. Gli stessi contadini e gli speculatori poratvano il grano in città per mille canali e lo barattavano con prodotti industriali. E benchè fin dalle prime settimane gli organi del potere sovietico avessero promulgato numerosi decreti sulla lotta contro la speculazione del grano, fino a deliberare la fucilazione immediata degli speculatori e dei sabotatori scoperti,...si può dire addirittura che l'esistenza del mercato libero può essere annoverata fra i fattori che permisero ai bolscevichi di conservare il potere".Basti questo dato: i "fagottari", coloro cioè che portavano illegalmente con un sacco sulle spalle il grano dalle campagne, assicurarono la metà dell'approvigionamento complessivo delle città!

E neanche il premeditato assassinio di massa dei kulaki permise a Stalin di eliminare completamente il mercato nero. Alle spalle dell'inutile economia pianificata, e con il tacito consenso delle autorità, si andò formando infatti un colossale sistema illegale di produzione e di circolazione di beni regolato dalle leggi del mercato, in cui gli attori principali erano migliaia di tolkac, gli organizzatori-intermediari, che giravano in lungo e in largo il paese per organizzare affari di tutti i tipi.

Anche in Cina, salvo che nei terribili anni del Grande balzo in avanti, la spontaneità sociale si insinuò miracolosamente negli interstizi dell'economia di Stato. Una volta preso atto di questo ricorrente e "inspiegabile" fenomeno, alla metà degli anni '70 si diffuse negli ambienti intellettuali di sinistra la convinzione che anche il comunismo cinese, malgrado il tentativo di Mao di superare il precedente sovietico, aveva fallito perchè non era stato abbastanza radicale: le troppe tracce "capitalistico-borghesi" rimaste testimoniavano con troppa evidenza il distacco tra la realtà e il modello ideale. Occorreva quindi qualcosa di ancor più estremo. Questo qualcosa venne tentato, e portato a compimento, nella Cambogia dei khmer rossi dal 1975 al 1979.

Per la prima volta, tutte le caratteristiche qualificanti del puro comunismo marx-engelsiano vennero realizzate in maniera integrale, senza contaminazioni di nessun tipo. Per farla finita una volta per tutte con la divisione del lavoro si fa di ogni persona un contadino dedito al lavoro forzato; la contraddizione tra città e campagna viene superata in maniera completa, attraverso lo svuotamento delle città e la deportazione in 48 ore dell'intera popolazione urbana nelle campagne; la contraddizione tra lavoro intellettuale e manuale viene risolta con il sistema dell'assassinio di tutti gli intellettuali, di coloro che portavano gli occhiali, che sapevano leggere, che parlavano una lingua straniera, o che non erano in grado di arrampicarsi su di un albero. Inoltre era stata proibita la scrittura, disattivate le linee telefoniche, chiuse le poste, abolito il calendario, soppresso l'insegnamento superiore, e distrutti gran parte dei libri.

Ovviamente viene abolita la proprietà privata, anche degli oggetti più comuni come i piatti e le pentole da cucina, tutti "nazionalizzati" in cucine e mense comuni. Viene decretata l'abolizione della la moneta, decisione simbolizzata platealmente facendo "saltare" la banca nazionale cambogiana con tutte le ricchezze ivi presenti; viene punito con la morte ogni forma di scambio, e per impedire che il riso venga accumulato o scambiato lo si distribuisce cotto. Si instaura inoltre un regime basato sulla predeterminazione ideologica dei bisogni. Lo slogan marxiano "da ciascuno secondo le sue capacità" significa per l'Angkar (l'Organizzazione - il partito comunista cambogiano) che ogni persona deve lavorare nei campi di lavoro dall'alba al tramonto, con brevi pause per i pasti o gli indottrinamenti, mentre la seconda parte dello slogan "a ciascuno secondo i suoi bisogni" è applicato in maniera rigidamente egualitaria. Ogni cambogiano, secondo Pol Pot e i suoi, ha bisogno infatti non di più che un chilo di riso al giorno, mezzo chilo di sale al mese, e una divisa (pantaloni e giacca nera) all'anno: chi viene scoperto consumare qualcosa in più rispetto ai propri bisogni viene immediatamente punito; anche le capanne e gli edifici devono essere tutti di eguale altezza, e viene imposta la distruzione dei tetti e dei piani alti.

La guerra alle sovrastrutture culturali è condotta con sistemi ancor più brutali di quelli della Rivoluzione culturale cinese: tutte le rivoluzioni comuniste precedenti avevano manifestato la volontà di azzerare la storia, ma nessuna si era mai avvicinata così tanto all'obbiettivo di far tabula rasa del passato. All'annientamento dei monaci buddisti e della minoranza islamica segue così la distruzione dell'ordine familiare: si istituisce il matrimonio forzato e si ordina ai bambini di spiare e denunciare i propri genitori.

Se Marx definiva la società comunista come la negazione completa di tutti i caratteri della società liberale, allora la Kampuchea democratica fu una società comunista perfetta, come si può vedere dal seguente schema in cui il prof. Rummel descrive le condizioni di vita quotidiane sotto i khmer rossi:

Condizioni politiche e civili: nessuna libertà di viaggiare all'estero o da villaggio a villaggio; nessuna libertà di scegliere il lavoro; nessuna libertà di parola; nessuna libertà di associazione; nessuna libertà di religione; nessun tribunale, giudice o possibilità d'appello; nessuna legge o regola codificata.

Condizioni sociali e culturali: nesun diritto per i lavoratori; nessun lavoro o momento di vita indipendente (tutto collettivo); nessun sistema pubblico o privato di cure mediche; nessuna medicina straniera; niente posta o telegrammi; niente radio o televisione; niente telefono; niente libri, biblioteche, giornali o riviste; niente scuole; niente vacanze o festività religiose.

Condizioni economiche: niente denaro; niente banche; niente salari; niente mercati; niente commercio; niente ristoranti o negozi.

Condizioni personali: niente pranzi indipendenti (tutto cucinato e mangiato collettivamente); niente cibo personale; nessuna specialità gastronomica regionale (cibo unico e uguale dappertutto); nessun appezzamento personali da coltivare; niente nomi personali (obbligo di rinunciare al vecchio nome); niente vita familiare indipendente; niente libertà sessuale; niente musica; nessuna libertà di non lavorare dopo i cinque anni; niente auto, moto o biciclette possedute personalmente; niente vestiti, pentole, padelle, orologi o altri oggetti posseduti personalmente; nessuna libertà di ridere o piangere; niente conversazione privata.


E' la società libertaria del laissez-faire all'incontrario, cioè proprio la realizzazione del sogno di Marx: il capovolgimento di tutte le istituzioni, i retaggi, le pratiche dell'odiata società liberale. Una tale situazione, ovviamente, malgrado le assicurazioni del padre del socialismo scientifico, non permette di instaurare le condizioni minime di produzione materiale e di riproduzione della vita, e si può concordare con Pellicani sul fatto che alla morte di due milioni di cambogiani su sette sarebbe seguita probabilmente la completa estinzione di questo popolo, se l'invasione vietnamita non avesse interrotto l'atroce esperimento quando era ancora nel suo pieno svolgimento.

Siamo ora in grado di redigere una tabella, necessariamente schematica e approssimativa, che confronti l'idealtipo (la società comunista perfetta teorizzata da Marx ed Engels) con le sue realizzazioni empiriche, in modo da rispondere a questa domanda: quanto delle caratteristiche della prima ha trovato attuazione nelle più importanti esperienze comuniste del nostro secolo?




CARATTERISTICHE DELLA SOCIETA' COMUNISTA SECONDO MARX
Scomparsa della divisione del lavoro e della contraddizione tra lavoro intellettuale e manuale
Scomparsa

della contraddizione tra città e campagna
Scomparsa

della proprietà privata, dello scambio e della moneta
Scomparsa delle sovrastrutture tradizionali
Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni (Dittatura sui bisogni)

URSS 1918-21
NO
NO
SI' moneta
IN PARTE
SI'

URSS 1921-29
NO
NO
NO
SI'
NO

URSS 1929-53
NO
IN PARTE
SI' pr. privata
SI'
SI'

URSS 1953-91
NO
NO
IN PARTE
IN PARTE
NO

CINA 1949-61
NO
SI' (1959-61)
SI'
IN PARTE
SI'

CINA 1961-66
NO
NO
IN PARTE
IN PARTE
NO

CINA 1966-76
SI'
IN PARTE
IN PARTE
SI'
NO

CINA 1976-98
NO
NO
IN PARTE
NO
NO

CAMBOGIA 1975-79
SI'
SI'
SI'
SI'
SI'




Risulta più che evidente dalla tabella che le repressioni, le carestie e, più in generale, i periodi peggiori della storia del comunismo si trovano in rapporto di proporzione diretta con il grado di vicinanza al modello di comunismo puro. In particolare, l'esperienza cambogiana è l'unica che ha potuto vantare una sufficiente realizzazione di tutti i punti principali della visione marx-engelsiana. Se fino ad allora si era potuto affermare che il comunismo aveva falliato perchè le sue applicazioni erano sempre state blande o parziali, questo discorso non fu più possibile dopo l'esperienza cambogiana. Questo spiega perchè il 1979, anno della fine del regime di Pol Pot, è, in tutto il mondo, anche l'anno d'inizio del riflusso delle idee in senso liberale, dopo decenni in cui il socialismo era parso incarnare l'inevitabile futuro dell'umanità. Da allora non si avrà più nessun tentativo importante di inverare il marxismo, ormai "falsificato" (in senso popperiano) dalle notizie delle mostruosità cambogiane: se l'applicazione pura dei principi dato come risultato il culmine dell'orrore, allora non si poteva più salvare la teoria. Marx è morto definitivamente nelle risaie di questo piccolo paese del sud-est asiatico.

Del tutto scorretti sono quindi tutti i tentativi, rigorosamente a posteriori, di giudicare l'esperimento cambogiano come estraneo agli insegnamenti e alla tradizione marxista. "Al contrario di quanto affermato da tanti opinionisti e politici della sinistra e tra gli stessi comunisti - ha riconosciuto di recente, con tutta onestà, uno scrittore italiano simpatizzante del regime khmer - Pol Pot non è un'anomalia, un corpo estraneo. Pol Pot è viceversa pienamente interno alla tradizione delle forze politiche marxiste e comuniste del novecento. E la sua rivoluzione (un'attuazione integrale degli schemi derivati dal "socialismo scientifico") è stata affine per esiti alle tante rivoluzioni socialiste del novecento...Quello di Pol Pot non fu un delirio, ma un esperimento sociale di comunismo integrale, totalmente egualitario, realizzato con la coercizione".

A questo punto dell'analisi sembra del tutto lecito porsi la domanda se la teoria comunista non sia di gran lunga peggiore della prassi realizzata. Visto da quest'ottica, anche il regime stalinista, abituale capro espiatorio di tutti gli errori della sinistra, va valutato in maniera differente: data la presenza di cuscinetti come il mercato nero e la corruzione dei funzionari, e considerata la non realizzazione di alcuni punti fondamentali del progetto marxiano, esso va considerato come un'applicazione tutto sommato moderata dei dettami del socialismo scientifico, un "marxismo dal volto umano". Scrive a questo proposito Rothbard: "La nozione prevalente che che il comunismo marxiano rappresenti un glorioso ideale umanitario pervertito dal tardo Engels, da Lenin o da Stalin può ora essere posta nella giusta prospettiva. Nessuno degli orrori commessi da Lenin, Stalin o da altri regimi marxisti-leninisti può essere paragonato alla mostruosità dell'ideale comunista di Marx", e in ogni caso, sebbene in gradi diversi, è indubbio che "i ben conosciuti orrori del ventesimo secolo di Lenin, Stalin, Mao o Pol Pot possono essere considerati il logico spiegarsi, l'incarnazione, della visione ottocentesca del loro maestro, Karl Marx".

Paddy Garcia (POL)
27-05-03, 04:24
Ovvero chi l'ha scritto non ha letto un'acca di Marx.
Solo alcune domande:

1) Chi mi sa citare un solo passo del barbuto di Treviri dove si ravvedono le basi della realizzazione della società comunista in un solo paese?

2) Chi mi sa citare Marx che parla di una rivoluzione socialista in un paese arretrato che non sia arrivato a un avanzato sviluppo capitalista ?

3) Al contrario, chi mi può citare un solo paese a capitalismo avanzato dove si sia tentato una rivoluzione socialista?

4) Dove, e in quale passo, Marx parla di apologia del lavoro, e non della liberazione dell'uomo da quest'ultimo?

5) Per quale strano paradosso Karl Marx in un recente sondaggio della BBC è stato battezzato il genio dello scorso Millenio prima ancora di Newton e di Einstein?

P.G.

enrique lister
27-05-03, 19:29
Originally posted by Paddy Garcia
Ovvero chi l'ha scritto non ha letto un'acca di Marx.
Solo alcune domande:

1) Chi mi sa citare un solo passo del barbuto di Treviri dove si ravvedono le basi della realizzazione della società comunista in un solo paese?

2) Chi mi sa citare Marx che parla di una rivoluzione socialista in un paese arretrato che non sia arrivato a un avanzato sviluppo capitalista ?

3) Al contrario, chi mi può citare un solo paese a capitalismo avanzato dove si sia tentato una rivoluzione socialista?

4) Dove, e in quale passo, Marx parla di apologia del lavoro, e non della liberazione dell'uomo da quest'ultimo?

5) Per quale strano paradosso Karl Marx in un recente sondaggio della BBC è stato battezzato il genio dello scorso Millenio prima ancora di Newton e di Einstein?

P.G.


....e tuttavia un sostenitore di Smith potrebbe replicarti che non si sono mai verificate nel mondo le condizioni del liberismo teorizzate da Smith stesso, e quindi il liberismo non è colpevole dela morte e della povertà di miliardi di persone.....

Paddy Garcia (POL)
27-05-03, 19:58
Originally posted by enrique lister
....e tuttavia un sostenitore di Smith potrebbe replicarti che non si sono mai verificate nel mondo le condizioni del liberismo teorizzate da Smith stesso, e quindi il liberismo non è colpevole dela morte e della povertà di miliardi di persone.....

Perchè la "mano invisibile" di Smith è un mito. Oggi siamo oltre Smith. Non facciamo di Smith l'estremista del mercato. In Smith c'è un limite all'attività economica, che coincide con la trama più ampia della condotta sociale virtuosa. E' quel contesto che riscatta e trasforma la molla dell'avidità. E le virtù da far valere sono: giustizia, sobrietà, benevolenza, autocontrollo, prudenza. Dove è tutto questo oggi? "Che il capitale racchiuda delle contraddizioni siamo gli ultimi a negarlo. Il nostro scopo è anzi quello di svilupparle completamente" Mrax, Grundisse.

P.G.

Paddy Garcia (POL)
28-05-03, 16:25
Potremo dire che il "socialismo reale" come si è effettivamente realizzato nell'URSS e ngli altri paesi dell'Europa Orientale non ha costituito una forma differente, nella sostanza, da quella inventata dal capitalismo nel corso del suo sviluppo. Si trattava di una forma di governo non molto diversa da quella conosciuta da molti paesi del Terzo mondo, sebbe questi fossero protetti dalle democrazie occidentali. Sono simili mostrando una forma tipica di "governo dello sviluppo" (fosse proposta da Stalin o da Walter Rostow non ha importanza). Da punto di vista capitalistico il socialismo reale è stato un successo: ha portato al centro mondo postindustriale un'immensa regione del pianeta che attendeva ai margini dello sviluppo economico (passando dal terzo al primo mondo) e ha impresso una straordinaria accelarazione alla creazione del mrcato mondiale. Uno degli effetti più rilevanti delal caduta del socialismo reale è infatti la progressiva riduzione del divario tra Est e Ovest. Certo, con costi sociali terrificanti. Ma è innegabile che il capitalismo non è mai stato tanto efficiente nel costruire un mercato quanto lo sono stati i paesi a socialismo reale!

P.G.

Vahagn
20-06-03, 18:21
Non sono tra i forumisti che ama di più suonare la melodia dell'anticomunismo, anzi, di fronte all'esigenza di combattere lo strapotere americo-sionista ho più volte seppellito asce di guerra.
Tuttavia,
non è possibile non fare quattro ragionamenti di fronte alla stridente ingiustizia con cui sono state trattate in sede storiografica e valutativa le diverse ideologie moderne.
Tralasciamo completamente la questione se il comunismo sovietico abbia o meno realizzato perfettamente Marx - cosa che francamente non mi appassiona più di tanto, e che non sminuisce il fatto che quel regime (regimi) provenisse da una incontestabile matrice e da un "Verbo".
Resta il fatto che il comunismo viene annoverato tra le grandi possibili idee del pensiero occidentale moderno, e il ricordo dei morti è stato parziale, tardivo, sottaciuto rispetto ad altri aspetti.
Ora, a meno che non si ritengano certi morti meno morti o più morti a seconda di chi li uccise, rimangono decine o centinaia di milioni di assassinati imputabili a quel mondo di idee.
Se dovessimo fare la baraonda proporzionale a quella che è stata fatta attorno ai morti del c.d. "Olocausto" (questo sì episodio dove la revisione non è affatto un fare le pulci, ma un cambiamento sostanziale, dato che dall'ordine dei milioni di uccisi si passerebbe all'ordine delle decine o centinaia di migliaia al massimo), non basterebbero tutta la carta e tutto l'inchiostro delle rimanenti foreste per i prossimi dieci secoli.
E questo, scusate, non è un dettaglio.
E' bensì un indice che si è inteso discriminare in maniera scorretta tra le ideologie (legittimo mostrare preferenze a livello politico, ma la storiografia dovrebbe essere obiettiva), creando un capro espiatorio (i fascismi demonizzati) che salvasse il didietro a tutte le ideologie democratiche coalizzate. Le quali, se si fosse dovuti procedere con giustizia, avrebbero dovuto subire per prime i processi che sono stati comminati (ingiustamente, perché perpetrati dai vincitori, e perché falsati) all'ideologia militarmente perdente, e subire ridimensionamenti e punizioni che non si sono mai visti.
Che almeno gli ultimi anni di questa triste e decaduta civiltà occidentale vengano sempre più devoluti allo studio obiettivo delle ideologie e alla resa di giustizia in sede storiografica. Questo il mio auspicio (che temo non si vedrà se non molto parzialmente, data la tendenza ad utilizzare in chiave strumentale alle idee dominanti le scienze e la storiografia).

Bellarmino
21-06-03, 01:47
Certo che i "rossi" sono bizzarri.
Hanno cominciato loro sparando la colossale cifra di 6 milioni di morti ebrei ed ora si lamentano se qualcuno, dall'altra parte, la spara ancora più grossa :D

Felix (POL)
21-06-03, 03:49
Originally posted by Vahagn
Non sono tra i forumisti che ama di più suonare la melodia dell'anticomunismo, anzi, di fronte all'esigenza di combattere lo strapotere americo-sionista ho più volte seppellito asce di guerra.
Tuttavia,
non è possibile non fare quattro ragionamenti di fronte alla stridente ingiustizia con cui sono state trattate in sede storiografica e valutativa le diverse ideologie moderne.
Tralasciamo completamente la questione se il comunismo sovietico abbia o meno realizzato perfettamente Marx - cosa che francamente non mi appassiona più di tanto, e che non sminuisce il fatto che quel regime (regimi) provenisse da una incontestabile matrice e da un "Verbo".
Resta il fatto che il comunismo viene annoverato tra le grandi possibili idee del pensiero occidentale moderno, e il ricordo dei morti è stato parziale, tardivo, sottaciuto rispetto ad altri aspetti.
Ora, a meno che non si ritengano certi morti meno morti o più morti a seconda di chi li uccise, rimangono decine o centinaia di milioni di assassinati imputabili a quel mondo di idee.
Se dovessimo fare la baraonda proporzionale a quella che è stata fatta attorno ai morti del c.d. "Olocausto" (questo sì episodio dove la revisione non è affatto un fare le pulci, ma un cambiamento sostanziale, dato che dall'ordine dei milioni di uccisi si passerebbe all'ordine delle decine o centinaia di migliaia al massimo), non basterebbero tutta la carta e tutto l'inchiostro delle rimanenti foreste per i prossimi dieci secoli.
E questo, scusate, non è un dettaglio.
E' bensì un indice che si è inteso discriminare in maniera scorretta tra le ideologie (legittimo mostrare preferenze a livello politico, ma la storiografia dovrebbe essere obiettiva), creando un capro espiatorio (i fascismi demonizzati) che salvasse il didietro a tutte le ideologie democratiche coalizzate. Le quali, se si fosse dovuti procedere con giustizia, avrebbero dovuto subire per prime i processi che sono stati comminati (ingiustamente, perché perpetrati dai vincitori, e perché falsati) all'ideologia militarmente perdente, e subire ridimensionamenti e punizioni che non si sono mai visti.
Che almeno gli ultimi anni di questa triste e decaduta civiltà occidentale vengano sempre più devoluti allo studio obiettivo delle ideologie e alla resa di giustizia in sede storiografica. Questo il mio auspicio (che temo non si vedrà se non molto parzialmente, data la tendenza ad utilizzare in chiave strumentale alle idee dominanti le scienze e la storiografia).

concordo su tutto meno la questione della ricerca storiografica dove sì esistono "storici" (più nel campo divulgativo che accademico però) sfacciatamente parziali, ma questi trovano spazi limitati per la stessa natura della ricerca scientifica seria, che non ammette motivazioni estranee al perseguimento della conoscenza; del resto non ci sono limiti reali alla libertà di ricerca ed alla diffusione dei risultati di questa. Non è nel livello della ricerca il problema, ma in quello della divulgazione, dove sussistono luoghi comuni ed inerzie dure a morire. Te lo posso confermare per esperienza diretta, visto che insegno, e mi trovo spesso a dover battagliare a lezione per fare chiarezza e sgomberare il campo da equivoci (tipo fascismo=nazismo; nazismo=ideologia criminale; IIGM=pazzia e malvagità di Hitler, olocausto). Per mantenere miti e menzogne, il Sistema punta soprattutto sulla divulgazione via giornalistica, televisiva, e scolastica (attraverso i libri di testo), che è quella che raggiunge ed influenza il grande pubblico. La verità finchè rimane racchiusa in ristretti ambiti accademici, è innocua...

Per quanto riguarda il comunismo, è scandaloso il quasi silenzio che si stende sui suoi enormi crimini, accompagnato da una indignante e sconcertante benevolenza verso i suoi principi ideali. Una delle cose che più sorprende è che il comunismo ha provocato da 100 a 200 milioni di morti in 80 anni circa (1917-1991 per prendere due date convenzionali), ed è stato quindi un'esperienza non solo mortifera, ma molto estesa nel tempo e nello spazio (dall'Etiopia di Menghistu, alla Cambogia di Pol Pot, alla Russia lenino-stalinista); invece il nazionalsocialismo -circoscritto all'area europea, anzi ad un solo paese- è durato solo 12 anni (1933-45), e la sua parte mortifera solo dal 1940 al 1945, ovvero solo 5 anni! insomma, imbastire un mito demonizzante per soli cinque anni di storia -seppure tormentosa-mi sembra veramente disonesto...

È da questa constatazione morale anzitutto che parte la mia indignazione verso il comunismo. Non sopporto quell'alone di disonestà, menzogna, tergiversazione, ipocrisia che avvolge ancor oggi l'eredità e la memoria di quell'ideologia...

Felix (POL)
21-06-03, 03:51
Originally posted by Bellarmino
Certo che i "rossi" sono bizzarri.
Hanno cominciato loro sparando la colossale cifra di 6 milioni di morti ebrei ed ora si lamentano se qualcuno, dall'altra parte, la spara ancora più grossa :D

ehilà, benvenuto vecchio cardinale... :)

tu e Vahagn dovreste venire più spesso da queste parti!

un salutone a tutti e due :K

Barbudo
21-06-03, 12:00
Fascismo e Capitalismo (facce della stessa moneta) messi assieme hanno fatto più morti del Socialismo!

Vahagn
22-06-03, 15:18
Originally posted by Barbudo
Fascismo e Capitalismo (facce della stessa moneta) messi assieme hanno fatto più morti del Socialismo!

"Messi insieme"? E da chi?
E, ammesso che questo bizzarro binomio fosse vero, il 99,9% del merito di questi morti andrebbe al capitalismo, dato che è in auge da tre secoli almeno, contro i tre lustri circa dei fascismi.

Cmq. volevo rilevare l'inanità della questione del TOTO-MORTI, del quiz su chi ha ucciso più individui.
Anche se, per assurdo, il comunismo non avesse ucciso nessuno, ma - poniamo - solo incarcerato etc., la nostra condanna verso quella "dottrina" non potrebbe che essere ugualmente totale, dato che la prerogativa del comunismo è UCCIDERE L'ANIMA, togliere alla persona umana i suoi aggangi con il divino. Certo anche il liberismo uccide interiormente, benché con modalità diverse e più apparentemente bonarie (basti pensare alla "civiltà" americanoide, forse la più materialista che si sia mai vista). Ma di tutte le ideologie nate da quell'evento putrido che fu la Rivoluzione Francese, solo il comunismo è arrivato a sancire ufficiamente l'ateismo e la lotta contro il sacro. Il comunismo in pratica dà una patente di legittimità filosofica e politica allo stato di più avanzata lontananza dell'uomo da Dio.
Di fronte a ciò, capiranno i nostri amici forumisti comunisti che per noi hanno ben poca importanza i distinguo tra le varie "ricette" di marxianesimo, e i cavilli con cui si prendono le distanze da bolscevismo e stalinismo. Tanto peggio se il comunismo dovesse presentare una faccia più subdola, più suadente e meno sanguinaria - come la sua ultima variante "No-Global". Sempre di morte dell'anima si tratta, ed irreversibile per quei poveretti che rimangono impigliati nei discorsi umanitaristi con cui i "pensatori" comunisti sostituiscono la spiritualità.

Barbudo
22-06-03, 18:15
Il discorso è il seguente...

Il Capitalismo che tanti elogiano, che tanti stimano ed elevano a massima potenza, sta ed ha fatto più morti del Socialismo e di qualsiasi sietema pseudo-totalitario.

TUTTE LE GUERRE INNESCATE A SCOPI ECONOMICI ED IN NOME DEL CAPITALE FINANZIARIO,TUTTE LE GUERRE COLONIALI(indirettamente collegate al Capitalismo),TUTTE LE RISORSE DI CUI I PAESI POVERI DA SECOLI VENGONO DETURPATI,GLI EMBARGHI...queste sono tutte concause che portano direttamente o indirettamente alla morte di milioni di persone, e tutte firmate CAPITALISMO. Per non parlare poi dei danni ambientali, agli animali e alla natura tutto per scopi FINANZIARI. Ed inultimo, NOI, le società CAPITALISTE, nele queli si crede di vivere bene dal momento che più o meno tutti hanno denaro a sufficienza per vivere, ma la società del denaro,dell'immagine,della tv,delle grandi imprese,del potere economico, della concorrenza,della competizione tra individui, porta a qualcosa di bene? ve la ponete mai questa domanda? foprse sta agli antipodi di qualsiasi analisi sociologica del mondo. Nelle nostre città, diminuisce il lavoro,aumenta la delinquenza, la disparità tra chi ha e chi non ha, la corruzione ecc ecc...bè questi sono o non sono crimini più o meno gravi?...e èpoi solo il comunismo a far danni? bè meditate un pò...

ariel
25-08-03, 04:40
Il Giornale martedì 30 ottobre 2001

ESTERI

Russia, Iakovlev rivela: «Il comunismo ha fatto 32 milioni di vittime» -

da Mosca - La memoria di non meno di 32 milioni di persone, vittime del comunismo in Unione Sovietica, sarà richiamata oggi in occasione della Giornata russa del ricordo, che quest’anno coincide con il decimo anniversario dell’istituzione della Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche.

La manifestazione più significativa, prevista a Mosca, è stata illustrata ieri dal presidente della Commissione, l’accademico Aleksandr Iakovlev.

Parlando all’agenzia lnterfax, Iakovlev ha fatto un bilancio dei lavori dell’organismo da lui diretto - creato nel 1991 per volere del primo presidente della Russia post-comunista, Boris Eltsin - e ha fornito alcune cifre: stando ai dati raccolti negli archivi e a una serie di elementi indiretti - ha sottolineato - si può oggi affermare che dal 1917 almeno 32 milioni di persone furono uccise durante le repressioni politiche del comunismo sovietico. Tra loro, sono contati coloro che furono giustiziati, come pure chi morì di stenti nei gulag (circa 1125% del totale nell’epoca staliniana, con aria forte incidenza di prigionieri-bambini).

D’altro canto non si può circoscrivere il fenomeno solo alle purghe staliniane degli anni ‘30: secondo Iakovlev, 13 milioni di vittime sono infatti riconducibili già alla responsabilità di Lenin, agli anni della guerra civile e del terrore rosso. Iakovlev ha infine osservato che, considerando i bambini non nati e le vittime della II guerra mondiale, i Paesi dell’ex Unione Sovietica e in primo luogo la Russia) hanno perso tra il 1917 e il 1991 non meno di 100 milioni di vite umane.

Per ricordarle tutte, la cerimonia di commemorazione di oggi si terrà a Mosca, sulla piazza della Lubianka (dove sorge l’edificio che ospitava il Kgb, la famigerata polizia segreta), dinanzi al monumento del ricordo rappresentato da una pietra delle isole Solovki, sede del primo lager di un regime totalitario del XX secolo.

Alla manifestazione ci saranno, oltre a Iakovlev, rappresentanti del governo russo, di vari partiti, di associazioni dei familiari delle vittime, della Corte costituzionale e della procura generale.

Il velo sui massacri compiuti in particolare durante lo stalinismo fu tolto da Nikita Krusciov durante il famoso rapporto segreto del XX congresso del Pcus. Quando le prime notizie di quanto era stato detto dal segretario generale ucraino filtrarono in Occidente, i seguaci del comunismo - tenuti all’oscuro dai loro dirigenti- manifestarono incredulità. Ci volle del tempo e l’evidenza della spaventosa verità per indurli a rivedere il giudizio sul «piccolo padre» (così i comunisti chiamavano Stalin). Negli anni successivi, nuove testimonianze hanno hanno reso ancora più terrificante il bilancio dei crimini perpetrati dal comunismo sovietico. E il mondo è ancora in attesa di un rapporto sugli orrori del Pc cinese di Mao.

yurj
25-08-03, 15:34
Originally posted by DrugoLebowsky
a me risulta che su Cassiopea i comunisti hanno ucciso 1 alla ventitreesima milioni di oppositori. :D :D

Mica colpa nostra se su Cassiopea ci sono così tanti capitalisti :D :lol

ariel: :lol

yurj
25-08-03, 15:39
Originally posted by pcosta
non sono assolutamente d'accordo, ma mi batterrò fino in in fondo affinchè tu possa continuare a esprimere queste illiberali e antidemocratiche opinioni

:D :lol semplicemente mitico...

E il bello che NON esiste una sola fonte di queste cifre, tute nate dal NULLA.

Mi dite dove Stalin ha sotterrato 60 milioni di persone in 20 anni? :D In Russia se scavi trovi scheletri? :fru

Felix (POL)
25-08-03, 17:44
non è ammissibile ridacchiare sui morti, nè fare del negazionismo becero senza uno straccio di argomento. Alla prossima, si cancella il post.
Uomo avvisato...

Iron81
07-09-03, 15:28
Originally posted by Pasquin0

Quelli che realmente pol pot uccise furono poche migliaia di spie vietnamite,
e in italia,dove anche la destra si vede simpatizza per i vietnamiti, li hanno fatti diventare milioni.

Quelle che realmente morirono nei lager furono poche migliaia di persone uccise dalle epidemie di tifo e colera,
e in Occidente, dove anche la sinistra si vede simpatizza per gli ebrei, li hanno fatti diventare milioni.

Inutile e ipocrita aborrire il negazionismo di destra, se poi fate quello che imputate a noi.

agaragar
08-09-03, 01:12
Originally posted by Iron81
Quelle che realmente morirono nei lager furono poche migliaia di persone uccise dalle epidemie di tifo e colera,
e in Occidente, dove anche la sinistra si vede simpatizza per gli ebrei, li hanno fatti diventare milioni.

Inutile e ipocrita aborrire il negazionismo di destra, se poi fate quello che imputate a noi.
risposta estremamente stupida.....

dov'è la norimberga per pol pot?

dove pol pot avrebbe ucciso 3 milioni di persone in 100.000 kmq?

semplicemente una cosa è vera pervhè è avvenuta, l'altra non è vera perchè non è avvenuta.

ps. in cambogia i "comunisti" erano gli AVVERSARI di pol pot....

Iron81
08-09-03, 16:10
Originally posted by Pasquin0
risposta estremamente stupida.....

Meno male ci sei te che alzi il livello culturale della discussione...


dov'è la norimberga per pol pot?[/B]

Dove sono le norimberga per i crimini comunisti di tutto il mondo? Non ci sono mai state... Perchè nessuno è mai stato ucciso dai rossi? o forse perchè conviene non approfondire?


semplicemente una cosa è vera pervhè è avvenuta, l'altra non è vera perchè non è avvenuta.[/B]

Tutto sta a vedere qual'è quella vera e qual'è quella non vera...
Iron

marcejap
09-09-03, 03:25
Originally posted by Iron81
Dove sono le norimberga per i crimini comunisti di tutto il mondo? Non ci sono mai state... Perchè nessuno è mai stato ucciso dai rossi? o forse perchè conviene non approfondire?



Forse perchè nessuno ha mai pensato a farne una. Potresti cominciare te.

portiere
09-09-03, 05:08
Originally posted by Aryan
[B]COMUNISMO: LA TERRIBILE CARNEFICINA

Oltre 200.000.000 di vittime.
Questo il tragico bilancio del Comunismo realizzato.
L' ateismo marxista ha combattuto Dio e ucciso l' uomo.



I comunisti erano proprio dei pirla. Dovevano fare come in Italia: mandare tutti gli oppositori negli stadi. Ma come spettatori, non come quell'altro deficiente di Pinochet. Qui nel nostro paese gli stadi hanno sempre funzionato da gulag. Anestetizzanti per il cervello.

Andate sugli spalti, burini! Oppure prendete Sky. E pagateci lo stipendio! :lol :lol :lol

DrugoLebowsky
06-11-03, 12:45
è possibile che qualcuno posti le presunte vittime del comunismo con uno specchietto (paese; numero; dall'anno all'anno; cause).
Grazie.

Felix (POL)
06-11-03, 18:19
questo si chiama negazionismo

DrugoLebowsky
06-11-03, 21:16
Originally posted by Felix
questo si chiama negazionismo

ah. molto bene. Si gridano ai 4 venti i 100, no, 200, no, 250 milioni di vittime del comunismo ma non appena uno chiede uno straccio di fonte o di stima, si grida subito al negazionismo.
E' come se un forumista di dx mi avesse chiesto di postare le stime degli ebrei gasati paese per paese ed io gli avessi risposto qcosa tipo sta' zitto revisionista :D

wilhem
07-11-03, 00:45
Originally posted by DrugoLebowsky
ah. molto bene. Si gridano ai 4 venti i 100, no, 200, no, 250 milioni di vittime del comunismo ma non appena uno chiede uno straccio di fonte o di stima, si grida subito al negazionismo.
E' come se un forumista di dx mi avesse chiesto di postare le stime degli ebrei gasati paese per paese ed io gli avessi risposto qcosa tipo sta' zitto revisionista :D

Secondo me c'hai proprio ragione, quando qualcuno perde sconfitto in guerra o dalla storia si iniziano a sparare ai 4 venti le milionate di morti, cosa successa col III reich prima e col comunismo poi.

Non è forse che su chi perde si possono sparare cifre all'eccesso per giustificare i crimini dei vincitori?

i 200 milioni di morti causati dal comunismo sono una cagata pazzesca, come le camere a gas e i 6 milioni, le persecuzioni sistematiche ci saranno anche state da ambo le parti ma nel corso del tempo per me non hanno causato più morti dei bombardamenti a tappeto su Dresda, Giappone, Vietnam, Iran, Iraq etc. da parte della "democratica" US.

L'unica persecuzione che si può imputare a Stalin con assoluta certezza e che ha prodotto morti su larga scala è quella dei contadini ucraini kulaki, i regolamenti di conti interni alla cerchia di Stalin, l'eliminazione degli agenti del capitalismo, etc. non hanno prodotto certo cifre di milioni di morti come ci si ostina a dire.

E' troppo facile quando la storia la scrivono i vincitori e si può sputare sugli sconfitti nazisti, fascisti o comunisti che siano

ariel
07-11-03, 01:42
http://www.fascismoeliberta.net/kf/Criminicomappa.jpg

wilhem
07-11-03, 02:12
Scusa Ariel ma invece di continuare a postare mappe e cifre a caso, discutere no è? Ti si chiede troppo

DrugoLebowsky
07-11-03, 12:06
molto bene. La prima stima fornita da Ariel parla di 92.795.000 morti.
NB: la lista dei paesi interessati non è ancora completa causa propaganda elettorale :D

O'Rei
08-11-03, 19:46
Originally posted by DrugoLebowsky
molto bene. La prima stima fornita da Ariel parla di 92.795.000 morti.
NB: la lista dei paesi interessati non è ancora completa causa propaganda elettorale :D
ahahah oddio drugo....hai chiesto uno specchieto con paesi e numeri, e in quelli analizzati ce ne sono 92 milioni ecc. cos'è? non ti bastano? lo sai che hai di già superato di circa 20 volte quelli nazisti(presunti)?!:lol :lol

DrugoLebowsky
08-11-03, 19:53
Originally posted by O'Rei
ahahah oddio drugo....hai chiesto uno specchieto con paesi e numeri, e in quelli analizzati ce ne sono 92 milioni ecc. cos'è? non ti bastano? lo sai che hai di già superato di circa 20 volte quelli nazisti(presunti)?!:lol :lol

non ti passa per la capa che queste cifre potrebbero essere gonfiate?

DrugoLebowsky
08-11-03, 20:18
ITALIA
stima berlusconiana: 45.000
stima più verosimile: 5.000

EUROPA OCCIDENTALE
Stima berlusconiana: --- (forse non gli interessa)
stima più verosimile: 10.000 (Grecia)

EUROPA ORIENTALE
Stima berlusconiana: 1.000.000
Stima più verosimile: 50.000

CINA
Stima berlusconiana: 65.000.000
stima più verosimile: 250.000

UNIONE SOVIETICA
Stima berlusconiana: 20.000.000
stima più verosimile: 125.000

PENISOLA DEL SIAM:
Stima berlusconiana: 3.000.000
stima più verosimile: 1.000.000

COREA DEL NORD:
stima berlusconiana: 2.000.000
stima più verosimile: 50.000

AFRICA
Stima berlusconiana: 1.750.000
stima più verosimile: 100.000

AMERICA LATINA
Stima berlusconiana: ---
stima più verosimile: 10.000


TOTALE BERLUSCONIANO VITTIME DEL COMUNISMO: 92.750.000
TOTALE PIU' VEROSIMILE VITTIME DEL COMUNISMO: 1.600.000

Nb: il massacro di 65.000.000 oppositori politici in Cina nell'arco di 50 anni presuppone 3591 esecuzioni al giorno. Nei Lager nazisti, dove la carneficina era sistematica ed organizzata, il ritmo era di 5479 morti al giorno.
Io, tenendo presente che in Cina vi si eseguono circa 1500 condanne a morte all'anno ed ipotizzando una intensa "attività" di omicidio nei campi di lavoro (ma non di sterminio) di 3500 esecuzioni l'anno, ho ipotizzato una stima provvisioria di 250.000 vittime effettive del comunismo cinese.

ariel
08-11-03, 20:35
sei ridicolo.... :lol

negazionismo becero :fru

O'Rei
08-11-03, 20:46
Originally posted by DrugoLebowsky
ITALIA
stima berlusconiana: 45.000
stima più verosimile: 5.000

EUROPA OCCIDENTALE
Stima berlusconiana: --- (forse non gli interessa)
stima più verosimile: 10.000 (Grecia)

EUROPA ORIENTALE
Stima berlusconiana: 1.000.000
Stima più verosimile: 50.000

CINA
Stima berlusconiana: 65.000.000
stima più verosimile: 250.000

UNIONE SOVIETICA
Stima berlusconiana: 20.000.000
stima più verosimile: 125.000

PENISOLA DEL SIAM:
Stima berlusconiana: 3.000.000
stima più verosimile: 1.000.000

COREA DEL NORD:
stima berlusconiana: 2.000.000
stima più verosimile: 50.000

AFRICA
Stima berlusconiana: 1.750.000
stima più verosimile: 100.000

AMERICA LATINA
Stima berlusconiana: ---
stima più verosimile: 10.000


TOTALE BERLUSCONIANO VITTIME DEL COMUNISMO: 92.750.000
TOTALE PIU' VEROSIMILE VITTIME DEL COMUNISMO: 1.600.000

Nb: il massacro di 65.000.000 oppositori politici in Cina nell'arco di 50 anni presuppone 3591 esecuzioni al giorno. Nei Lager nazisti, dove la carneficina era sistematica ed organizzata, il ritmo era di 5479 morti al giorno.
Io, tenendo presente che in Cina vi si eseguono circa 1500 condanne a morte all'anno ed ipotizzando una intensa "attività" di omicidio nei campi di lavoro (ma non di sterminio) di 3500 esecuzioni l'anno, ho ipotizzato una stima provvisioria di 250.000 vittime effettive del comunismo cinese.
ma la tua stima più verosimile la tiri a caso? non potrebbero essere sgonfiatate?
ah si giusto i campi di lavoro e non di sterminio....:D :D

in unione sovietica hai affermato 125.000, lo sai che quei 125.000 sono soltanto i soldati sovietici che i generali sovietici uccidevano sul campo di battaglia perchè non combattevano bene?!:lol ma chi te le da queste stime verosimili? ma verosimili a cosa?!

DrugoLebowsky
09-11-03, 00:26
voi dimenticate una cosa fondamentale: per uccidere milioni di persone, più che crudeltà ci vuole ORGANIZZAZIONE. Che organizzazione avrebbero potuto mai avere i mozambicani e i namibiani ad uccidere 1.750.000 oppositori (tutta la Liguria per intenderci) in uno stato agricolo e organizzato in tribù?

La mia stima ovviamente non tiene conto né dei soldati morti in azioni di combattimento né di contadini morti in condizioni di precarietà. Altrimenti è come se io addebitassi al governo Berlusconi tutti i morti del sabato sera e per enfisema polmonare dal 2001 ad oggi, col pretesto di una mancata campagna pro-sicurezza stradale e pro-sanità.
Per "vittime" di un regime s'intende ovviamente persone private della libertà personale allo scopo di ucciderli, in maniera premeditata o casuale. Quindi: prigionieri di guerra, internati, condannati a morte.
Me lo spiegate come fa ad esserci stato un milione di morti (il comune di Napoli) nell'Europa dell'Est (Urss esclusa) popolata da 100 milioni di persone e 50 anni fa sì e no da 75? Il comunismo è un regime che per affermarsi nelle realtà politiche balcaniche e slave non aveva (quasi) nessun bisogno di far fuori un così elevato numero di oppositori, a parte internati e condannati a morte, che furono numerosi sì, ma non in modo sì spropositato.
20 milioni di morti (Italia centrale) in Urss? ma scherziamo? Nemmeno la Germania hitleriana sarebba stata capace di tanto.

DrugoLebowsky
09-11-03, 00:34
piuttosto voi mi pare difettiate un po' troppo in serietà.
Ad esempio quando nel 1996-97 uscì il Libro nero sul comunismo, la stima ufficiale (allora) era di 85 milioni di morti, poi "arrotondati" a 100 milioni e poi allegramente raddoppiati a 200 milioni in campagna elettorale 2001. Adesso ariel già spara la cifra di 250 milioni.
Lo scopo surretizio è quello del "sillogismo indiretto", come si dice in psicologia. Ulivo = comunisti; comunisti = 250 milioni di morti; Ulivo al governo = 250 milioni di morti.
Fate ridere ridicoli. L'Ulivo è democristiano. :D

Felix (POL)
09-11-03, 00:59
Drugo, ma pensi prima di tamburellare sulla tastiera, o fai correre le dita a vanvera?!
Le cifre che hai sparato sono frutto della tua fantasia, "elaborate" in dieci minuti scarsi davanti al tuo computer.
Per fare una ricerca seria su un tema di queste dimensioni sono necessari ANNI di lavoro in archivi in vari paesi, altro che dieci minuti seduto in casa tua.
Il Libro Nero del comunismo che tu tanto disprezzi è frutto di un'accurata ricerca da parte di un gruppo di storici francesi (Berlusconi non c'entra). Farne una critica significa impegnarsi seriamente nella ricerca storiografica (dopo aver ottenuto, s'intende, una laurea e un Ph.D).
Il fatto che queste ricerche siano poi strumentalizzate ai fini della lotta politica, è un altro discorso, che non riguarda la comunità scientifica, ma i politici. Lo storico non ha colpa se le sue ricerche sono utilizzate da altri per fini non scientifici....

se si continua a sparare cazzate invece di discutere con serietà, vi avverto -comunisti o anticomunisti non importa-, il 3d si chiude. Per cazzeggiare c'è il fondoscala...

DrugoLebowsky
09-11-03, 01:24
Originally posted by Felix
Per fare una ricerca seria su un tema di queste dimensioni sono necessari ANNI di lavoro in archivi in vari paesi, altro che dieci minuti seduto in casa tua. (1)
Il Libro Nero del comunismo che tu tanto disprezzi è frutto di un'accurata ricerca da parte di un gruppo di storici francesi (Berlusconi non c'entra). (2)
Farne una critica significa impegnarsi seriamente nella ricerca storiografica (dopo aver ottenuto, s'intende, una laurea e un Ph.D). (3)
Il fatto che queste ricerche siano poi strumentalizzate ai fini della lotta politica, è un altro discorso, che non riguarda la comunità scientifica, ma i politici. Lo storico non ha colpa se le sue ricerche sono utilizzate da altri per fini non scientifici... (4)

se si continua a sparare cazzate invece di discutere con serietà, vi avverto -comunisti o anticomunisti non importa-, il 3d si chiude. Per cazzeggiare c'è il fondoscala... (5)

(1) E' sufficiente un atlante storico, l'edizione 2004 dell'Atlante De Agostini, una calcolatrice, e buon senso per fare una stima più o meno esatta. La mia probabilmente non lo è, ma tiene conto di fattori che nessuno si è sognato di prendere in considerazione.

(2) Non per parlare dell'Autoassolto ad ogno piè sospinto, ma spiegami come mai il Libro nero del Comunismo è edito da Mondadori? Un caso? :D

(3) Qui siamo all'apoteosi del verticismo accademico. Per capire la storia ci vuole la Laurea. Altrimenti zitti. :D

(4) Il fatto che la ricerca degli storici francesi venga strumentalizzata a fini politici vi interessa eccome: basta ridare un'occhiata al sillogismo da me postato poco sopra...

(5) O si dice che le vittime del comunismo sono state 200 milioni o il 3d chiude. In pratica siamo al ricatto. Molto bene. Io confermo la mia stima: 1.600.000 vittime. 2.000.000, toh (avessi dimenticato qualche variabile). Adesso, se vuoi darti ragione da solo, chiudi il 3d. Se vuoli iniziare una discussione seria sui crimini del comunismo (qui fra l'altro, non sul Principale come fanno molti tuoi amichetti) che ce ne sono stati, non lo nego, lascialo aperto.

Felix (POL)
09-11-03, 18:36
1 - non è sufficiente un bel niente. Prova a inviare un articolo a una rivista di storia citando atlanti invece di documenti d'archivio e ricerche scientifiche, e vedi come ti rispondono (se ti rispondono)

2 - È probabile che Berlusconi abbia cercado di strumentalizzare il "libro nero" a fini politici. E allora? Il libro è una ricerca FRANCESE, che non ha nulla a che vedere con Berlusconi.
Inoltre il libro qualcuno doveva pur pubblicarlo no? Se non lo faceva Mondadori, di sicuro l'avrebbe pubblicato Feltrinelli...

3 - Per CAPIRE no, per FARE RICERCA invece un titolo accademico ed una carrierar avviata nel campo storiografico - pur non essendo conditio sine qua non - è senza dubbio una garanzia.

4 - Bisogna condannare la strumentalizzazione, non la ricerca in se. È come se criticassimo chi fa ricerca sul DNA, invece di chi potrebbe strumentalizzarne i risultati per fini perversi.

5 - il 3d rimane aperto, purchè si moderino i toni, si smetta di fare dei negazionismi speculari da quattro soldi che non portano da nessuna parte, e ci si attenga, in generale, al regolamento del forum.
Vale sia per i "comunisti" che per gli "anticomunisti".

saluti

DrugoLebowsky
09-11-03, 21:05
molto bene.
Premetto che io rispetto chi è morto come vittima del comunismo (come le vittime di tutte le ideologie, pure le vittime di un dittatore che in un tuo sondaggio va per la maggiore perché "grande statista" :D), esaurito il preambolo ti faccio due domande.

1) perché la stima di vittime del comunismo è stata raddoppiata (da 100 a 200 milioni) di punto in bianco? Nuove scoperte storiografiche? Numeri da sbattere in faccia al centrosinistra? Cosa?

2) La stima tiene conto anche di gente 2a) morta in condizioni d'indigenza (fame, malattie) e 2b) soldati di tutti gli eserciti mandati a morire?

agaragar
16-11-03, 23:03
Originally posted by Felix
Drugo, ma pensi prima di tamburellare sulla tastiera, o fai correre le dita a vanvera?!
Le cifre che hai sparato sono frutto della tua fantasia, "elaborate" in dieci minuti scarsi davanti al tuo computer.
Per fare una ricerca seria su un tema di queste dimensioni sono necessari ANNI di lavoro in archivi in vari paesi, altro che dieci minuti seduto in casa tua.
Il Libro Nero del comunismo che tu tanto disprezzi è frutto di un'accurata ricerca da parte di un gruppo di storici francesi
La ricerca non è seria a cominciare dal nome,
forse che il "comunismo" è uscito dai libri di marx e ha incominciato ad ammazzare la gente :confused:

Ci sono periodi della storia molto tormentati, in un certo senso ci sono state più vittime di quelle riportate da Drugo, ma in ogni caso non sono vittime del "comunismo"

agaragar
16-11-03, 23:18
le vittime del conflitto russo-cinese, sono vittime del comunismo?
definendosi l'avversario di ognuno dei due paesi "comunista", sarebbero allora vittime dell'anticomunismo....

Stesso discorso per i "comunisti" epurati da stalin....

Durante la rivoluzione culturale il regime "comunista" cinese eliminò molti oppositori....sostenitori del "comunismo" sovietico...

il massimo del ridicolo si ha con le immaginarie vittime del "comunista" pol pot, l'unione sovietica, tramite l'alleato vietnamita, avrebbe allora salvato la cambogia dal comunismo :eek:

Felix (POL)
18-01-04, 03:58
Russian Civil War (1917-22)

Eckhardt: 500,000 civ. + 300,000 mil. = 800,000
Readers Companion to Military History, Cowley and Parker, eds. (1996) :
Combat deaths: 825,000
Ancillary deaths: 2,000,000
TOTAL: 2,825,000
Davies, Norman (Europe A History, 1998)
Civil War and Volga Famine (1918-22): 3,000,000 to 5,000,000
Brzezinski, Z:
6 to 8 million people died under Lenin from war, famine etc.
Urlanis:
Military deaths: 800,000
Battle deaths, all sides: 300,000
Dead of wounds: 50,000
Disease: 450,000
Civilians: 8,000,000
TOTAL: 8,800,000
Dyadkin, I.G. (cited in Adler, N., Victims of Soviet Terror, 1993)
9 million unnatural deaths from terror, famine and disease, 1918-23
Richard Pipes, A concise history of the Russian Revolution (1995): 9 million deaths, 1917-1922
Famine: 5M
Combat: 2M
Reds: 1M
Whites: 127,000
Epidemics: 2M
not incl.
Emigration: 2M
Birth deficit: 14M
Rummel:
Civil War (1917-22)
War: 1,410,000 (includes 500,000 civilian)
Famine: 5,000,000 (50% democidal)
Other democide: 784,000
Epidemics: 2,300,000
Total: 9,494,000
Lenin's Regime (1917-24)
Rummel blames Lenin for a lifetime total of 4,017,000 democides.
Figes, Orlando (A People's Tragedy: A History of the Russian Revolution, 1997)
10 million deaths from war, terror, famine and disease.
Including...
Famine (1921-22): 5 million
Killed in fighting, both military and civilian: 1M
Jews killed in pogroms: 150,000
Not including...
Demographic effects of a hugely reduced birth-rate: 10M
Emmigration: 2M
McEvedy, Colin (Atlas of World Population History, 1978)
War deaths: 2M
Other excess deaths: 14M
Reduced births: 10M
Emmigration: 2M
MEDIAN: Of these ten estimates that claim to be complete, the median is 8.8M-9.0M.
PARTIALS:
Small & Singer (battle deaths, 1917-21)
Russian Civil War (Dec.1917-Oct.1920)
Russians: 500,000
Allied Intervention:
Japan: 1,500
UK: 350
USA: 275
France: 50
Finland: 50
Russian Nationalities War (Dec.1917-Mar.1921)
USSR: 50,000
Bruce Lincoln, Red Terror: a History of the Russian Civil War 1918-1921
Death sentences by the Cheka: ca. 100,000
Pogroms: as many as one in 13 Jews k. out of 1.5M in Ukraine [i.e. ca. 115,000] (citing Heifetz)
Nevins, citing Heifetz and the Red Cross: 120,000 Jews killed in 1919 pogroms [http://www.west.net/~jazz/felshtin/redcross.html]
Paul Johnson
50,000 death sentences imposed by the Cheka by 12/20
100,000 Jews killed in 1919
Green, Barbara (in Rosenbaum, Is the Holocaust Unique?)
4 to 5 million deaths in the famine of 1921-23


Soviet Union, Stalin's regime (1924-53)

There are basically two schools of thought when it comes to the number who died at Stalin's hands. There's the "Why doesn't anyone realize that communism is the absolutely worst thing ever to hit the human race, without exception, even worse than both world wars, the slave trade and bubonic plague all put together?" school, and there's the "Come on, stop exaggerating. The truth is horrifying enough without you pulling numbers out of thin air" school. The two schools are generally associated with the right and left wings of the political spectrum, and they often accuse each other of being blinded by prejudice, stubbornly refusing to admit the truth, and maybe even having a hidden agenda. Also, both sides claim that recent access to former Soviet archives has proven that their side is right.
Here are a few illustrative estimates from the Big Numbers school:
Adler, N., Victims of Soviet Terror, 1993 cites these:
Chistyakovoy, V. (Neva, no.10): 20 million killed during the 1930s.
Dyadkin, I.G. (Demograficheskaya statistika neyestestvennoy smertnosti v SSSR 1918-1956 ): 56 to 62 million "unnatural deaths" for the USSR overall, with 34 to 49 million under Stalin.
Gold, John.: 50-60 million.
Davies, Norman (Europe A History, 1998): c. 50 million killed 1924-53, excluding WW2 war losses. This would divide (more or less) into 33M pre-war and 17M after 1939.
Rummel, 1990: 61,911,000 democides in the USSR 1917-87, of which 51,755,000 occurred during the Stalin years. This divides up into:
1923-29: 2,200,000 (plus 1M non-democidal famine deaths)
1929-39: 15,785,000 (plus 2M non-democidal famine)
1939-45: 18,157,000
1946-54: 15,613,000 (plus 333,000 non-democidal famine)
TOTAL: 51,755,000 democides and 3,333,000 non-demo. famine
Wallechinsky: 13M (1930-32) + 7M (1934-38)
Cited by Wallechinsky:
Medvedev, Roy (Let History Judge): 40 million.
Solzhenitsyn, Aleksandr: 60 million.
MEDIAN: 51 million for the entire Stalin Era; 20M during the 1930s.
And from the Lower Numbers school:
Nove, Alec ("Victims of Stalinism: How Many?" in J. Arch Getty (ed.) Stalinist Terror: New Perspectives, 1993): 9,500,000 "surplus deaths" during the 1930s.
Cited in Nove:
Maksudov, S. (Poteri naseleniya SSSR, 1989): 9.8 million abnormal deaths between 1926 and 1937.
Tsaplin, V.V. ("Statistika zherty naseleniya v 30e gody" 1989): 6,600,000 deaths (hunger, camps and prisons) between the 1926 and 1937 censuses.
Dugin, A. ("Stalinizm: legendy i fakty" 1989): 642,980 counterrevolutionaries shot 1921-53.
Muskovsky Novosti (4 March 1990): 786,098 state prisoners shot, 1931-53.
Gordon, A. (What Happened in That Time?, 1989, cited in Adler, N., Victims of Soviet Terror, 1993): 8-9 million during the 1930s.
Ponton, G. (The Soviet Era, 1994): cites an 1990 article by Milne, et al., that excess deaths 1926-39 were likely 3.5 million and at most 8 million.
MEDIAN: 8.5 Million during the 1930s.
As you can see, there's no easy compromise between the two schools. The Big Numbers are so high that picking the midpoint between the two schools would still give us a Big Number. It may appear to be a rather pointless argument -- whether it's fifteen or fifty million, it's still a huge number of killings -- but keep in mind that the population of the Soviet Union was 164 million in 1937, so the upper estimates accuse Stalin of killing nearly 1 out of every 3 of his people, an extremely Polpotian level of savagery. The lower numbers, on the other hand, leave Stalin with plenty of people still alive to fight off the German invasion.
Although it's too early to be taking sides with absolute certainty, a consensus seems to be forming around a death toll of 20 million. This would adequately account for all documented nastiness without straining credulity:
In The Great Terror (1969), Robert Conquest suggested that the overall death toll was 20 million at minimum -- and very likely 50% higher, or 30 million. This would divide roughly as follows: 7M in 1930-36; 3M in 1937-38; 10M in 1939-53. By the time he wrote The Great Terror: A Re-assessment (1992), Conquest was much more confident that 20 million was the likeliest death toll.
Adam Hochschild, The Unquiet Ghost: Russians Remember Stalin: directly responsible for 20 million deaths.
Brzezinski: 20-25 million, dividing roughly as follows: 7M destroying the peasantry; 12M in labor camps; 1M excuted during and after WW2.
Tina Rosenberg, The Haunted Land: Facing Europes Ghosts After Communism (1995): upwards of 25M
Britannica, "Stalinism": 20M died in camps, of famine, executions, etc., citing Medvedev
Daniel Chirot:
"Lowest credible" estimate: 20M
"Highest": 40M
Citing:
Conquest: 20M
Antonov-Ovseyenko: 30M
Medvedev: 40M
Courtois, Stephane, Le Livre Noir du Communism: 20M for the whole history of Soviet Union, 1917-91.
Essay by Nicolas Werth: 15M
Time Magazine (13 April 1998): 15-20 million.
AVERAGE: Of the 15 estimates of the total number of victims of Stalin, the median is 30 million.
Famine, 1926-38
Green, Barbara ("Stalinist Terror and the Question of Genocide: the Great Famine" in Rosenbaum, Is the Holocaust Unique?) cites these sources for the number who died in the famine:
Nove: 3.1-3.2M in Ukraine, 1933
Maksudov: 4.4M in Ukraine, 1927-38
Mace: 5-7M in Ukraine
Osokin: 3.35M in USSR, 1933
Wheatcraft: 4-5M in USSR, 1932-33
Conquest:
Total, USSR, 1926-37: 11M
1932-33: 7M
Ukraine: 5M

da: http://users.erols.com/mwhite28/warstat1.htm

ariel
13-02-04, 05:41
il calcolo minimo per gli orrori assassini comunisti ormai gira sui 200 milioni. Dire che sono stati meno è negazionismo.

comunismo=sterminio

ariel
11-04-04, 03:51
STALINISM'S VICTIMS: HOW MANY DIED?

A SUMMARY OF STALIN'S VICTIMS
by Jonathan DeMersseman

April 24, 1997



The uninitiated visitor to Mammoth cave often has wonders about its size. More often than not, when voiced, this question takes the form "How much of the cave has been discovered"? Guides' responses range from gentle to belittling, but invariably they point out that all of the known area of the cave has been explored. Other passages may be searched for and chambers may be re-measured, but in the end "you don't know what you don't know."

In discussing the victims of Stalinism we face a similar problem. We can only discuss the victims of whom we know. The range of estimations made so far would significantly increase the scope of the terror which characterized Stalin's regime, if the larger estimates prove reliable. But as with caves we cannot surmise what we do not know. Ironically, Stalin ordered the arrest and execution of many of USSR's ablest statisticians because they were either too precise or misunderstood the degree to which the regime wanted to distort first grain production and then population as collectivization and terror took their toll. Besides this the Soviets lacked the Nazi propensity for historical documentation of their butchery.

Difficulties persist in extracting the truth from Stalinist exaggeration, and restricted access to the Russian archives kept serious scholarly research away from much authoritative data for over thirty years after Stalin's death.

Politically and ideologically motivated propaganda further obfuscate the issue. Traditionally, Western scholars and Soviet dissidents offered damning estimates of the numbers of victims in the ongoing purges. In contrast, approved Soviet and Western Marxist historians along with Liberals sympathetic to the regime provided much lower figures. In this struggle both sides must protect their flanks. The imperative for the traditional "cold-warrior" Sovietologists remains locating ever more convincing proof of Stalinist crimes, because they fight against the decay of evidence and the deaths of witnesses and participants. Conversely, the revisionists feel a growing compulsion to hedge their bets, as archaeologists uncover mass graves like Kuropaty.1 The questions endure: Will revisionists concede enough ground to protect any claim to legitimacy? Will historiographers continue uncovering sufficient supporting evidence for traditionalists to retain the ground they have already claimed?

In discussing Stalinism's victims we must consider a variety of interconnected facets in the regime's ongoing campaign of terror over the course of its existence. One may divide these into five broad and somewhat overlapping time periods: 1) the consolidation of power, 2) collectivization until the terror, 3) "the great terror," 4) the great patriotic war, and 5) the post-war era. We will explore each of these separately, with a discussion of how they relate to one another, and attempt to put various estimates into perspective. For simplicity's sake we will consider those who were executed and those who died in prison together, and similarly those deported will be included among those imprisoned. I do not feel compelled to justify these groupings at length, the rationale being based in the similarity of their results.

Consolidating Power

In 1928, a new phenomena in Soviet jurisprudence appeared, one that became a staple in the Russian media of the Stalinist era: the show trial.2 These trials ushered in the use of the class enemy, the "bourgeios specialist," or "wrecker." The first of these, the Shakhty case was brought against 53 workers and engineers in the Donbass coal mining region. In the early summer of 1928, government prosecutors charged these men with wrecking. Four of the men were acquitted, and another four received suspended sentences. Ten received terms of one to three years, while the majority, thirty-four, were given four to ten years. The remaining eleven received the death penalty; after six sentences were commuted, a firing squad executed the five condemned Shakhtyites in July.3 The import of these cases lies in both their development of Stalinist judicial technique and their use of novel use of torture as a means to terrorize and extract confession.4 Conquest notes another effect, a marked decrease in technical specialists following the Shakty trial.

The result was a collapse of standards. We are told, for example, by 1930 more than half the "engineers" in the soviet union had no proper training.This indicates a central tendency of Stalinism, and of Stalin's mind.He seems to have believed, or to have instinctively felt, that the professionally qualified could easily be replaced by fresh cadres of sounder political loyalties. The results were always disastrous.5

Two other trials followed Shakhty in the winter of '30-31, that of the "Industrial Party" and the "Union Bureau." Charges again focused on wrecking, and the cases served to strengthen the prejudices which the first established. All three trials-media events in which the press uncritically accepted the accusations-served the dual political role of giving the regime a locus of blame for their own failures and "increasing class hatred, partisan hatred and xenophobia."6 While the number of direct victims in each case was relatively small, history unfortunately tells us that Stalin's blood lust was still in its infancy. One point that history has revealed less clearly is the numbers of indirect deaths caused by the Soviet's crude industrialization.

Collectivization

Chronologically intermingled and interconnected with the assault on technicians and specialists, as early as 1927 Stalin began working to undermine NEP and the peasantry as a whole. Unlike the show trials that were paraded in the media at home an abroad, this phase of Stalin's assertion of power was conducted in relative secrecy and a complete press blackout. From 1927 to 1933, the Stalinist leadership struggled to force its will upon the peasantry while fighting off the Right, which had typically supported the rural population. The war began when government grain quotas failed to reach the expected levels; the regime began requisitioning grain, essentially revoking NEP and reinstating war communism. The peasantry, particularly those with initiative, i.e. the Kulaks, responded by decreasing production and selling their means of increased production. 7 This led to an even deeper grain crisis the following year. This crisis was mostly a perception in the mind of the leadership; Conquest notes that in 1928 grain production declined slightly while agricultural production actually rose.

Collectivization's roots begin with Stalin's belief that NEP must be ended and that to accomplish this required "the liquidation of the Kulaks as a class." By the end of 1929, nearly one million Kulak families, a vague appellation of shifting political meaning, "were deprived of their farms and property and sent into exile or forced labor." It was during this phase that Solzhenitsyn's Gulag Archipelago began to receive its massive population.

The remaining peasants were encouraged to collectivize. This too was a disaster of epic proportions. The peasantry was required to produce artificially inflated quantities of grain of which the state claimed the first and greatest share, leaving the peasants with the remainder, which in the majority of cases amounted to nothing. The state's grain quotas were brutally enforced. Theft from the state even in piddling measure was punished with death. Stalin then cut off the rural areas from the rest of Russia. The result was a calculated and artificial famine. Conquest sums up the "Leader's" view of his struggle with the peasantry, and especially the Ukrainian peasantry, as a fight to the death. He adds bitterly, "When Stalin was engaged in a fight to the death, there was always plenty of death to go round." He calculates the following casualties for the period of collectivization:



13
Peasant dead: 1930-37 11,000,000
Arrested in this period dying in camps later 3,500,000

Total 14,500,000

Of these:
Dead as a result of dekulakization 6,500,000
Dead in the Kazakh catastrophe 1,000,000
Dead in the 1932-33 famine: 7,000,000

Famine in Ukraine 5,000,000
Famine in the North Caucasus 1,000,000
Famine elsewhere 1,000,000


These figures are, of course, disputed by prominent Revisionists. Though their figures are closer in this arena than others. They put the rural death toll during collectivization at approximately 9.5 million.

During the its height Nadezhda Alliluyeva, Stalin's wife, learned of the famine through classmates. They wrongly that "if only Comrade Stalin knew," something would be done. Something was-they were arrested. Shortly afterward she committed suicide. With her, scholars note, Stalin lost any love he might have retained for humanity. With her died any Nadezhda for Russia.

One other atrocity to note in this period was the assassination of Kirov, which marked the beginning of Stalin's display that he was more than willing to shed Bolshevik blood. Earlier in the decade he had declared such a desire, in the case of Riutin, whose execution was stopped by the action of the politburo. The many of intervening members of the politburo would soon find themselves in Riutin's position without anyone in a position to extricate them. After Kirov's murder, Stalin had Kamenev and Zinoviev, who had served on the Troika with him in the early to mid-1920's, arrested along with Tomsky. Tomsky committed suicide. Kamenev and Zinoviev were executed in 1936.

"The Great Terror"

Beginning in 1937 Stalinist Terror entered an error of hitherto unseen active terror against Stalin's political adversaries, both real and imagined. The centerpieces of this era which is known as "The Great Terror," "The Great Purge," or the "Yezhovshina" after the head of the NKVD, Nikolai Yezhov, were the trial of many of Stalin's former accomplices on fabricated charges. By the end of 1938 almost every important old Bolshevik had been executed: Bukharin, Rykov, and Krestinsky. The last holdout, Trotsky, was murdered in 1940.

This action toward party notables mirrored the purges directed against lesser party members. Again Conquest provides estimates of 1 million executed and 2 million dying in the camps, with 1 million and 8 million remaining in the prisons and camps, respectively, at the end of 1938. Alec Nove, citing other sources, disputes these figures, figuring the number in the gulags at the close of 1938 at 1.32 million, increasing to only 1.34 million by the end of 1939. His figures also show a drastically lower number of camp deaths, 166,000 for the period 1937-39, but report an seemingly high numbers (868,500 and 102,000) for those released and escaped. These statistics are backed up in a second article by Stephen Wheatcroft. The weakness in the Revisionist estimations is that they credulously rely on primarily Stalinist sources or sources sympathetic to the regime. Naturally, such sources will attempt to deflate to whatever degree possible, the extent of the terror.

Beginning in 1937, the military was also purged. The special attention that the NKVD paid to the military caste during the purge would greatly increase the suffering of the entire population in the coming years.

Rapoport and Alexeev report that 620 general officers of the RKKA and 31 flag officers of the Soviet Navy died in the repressions between 1935 and 1940. For the same categories others found 40 fewer divisional commanders.

Grover Furr claims to have uncovered facts that "constitute as least a prima facie case that some real military conspiracy involving Tukhachevskii may have actually existed." Even if we uncritically accept Furr's argument that the Soviet Marshal had committed treason, this still accounts for only one death out of a purge of 650 generals and admirals. Then again if we accept his evidence and apply it to the remaining staff we can affirm that almost all of them betrayed the Soviet Union-if we define betrayal as having served as an observer abroad and having complimented the host nation's army. (A crime for which we could both be shot, no doubt.) According to the numbers presented by Conquest this removed 84% of the armed forces' strategic commanders and 94% of its ranking political officers. Stalin freed some 70 general officers prior to the outbreak of hostilities, with an additional 15 receiving freedom and rehabilitation following the June 1957 plenum of the Central Committee. Sadly, those released to serve in the war, both at the tactical and the strategic level suffered from loss of self-assurance and a shattered sense of initiative, critical to the front-line officer.

While this effectively decapitated the Red Army at the strategic level, more work remained. The party and the NKVD weeded out a vast array of tactical commanders, support commanders, and political commissars. Estimates in the casualties suffered by the armed forces display the typically marked variance between revisionists and traditionalist, if not in raw numbers then certainly in representative percentages. Roger R. Reese begins with the lower figures purged for Red Army officers offered by Conquest. He then offers the most inflated figures available concerning the size of the officer corps, which he, like Nove and Wheatcroft, accepts uncritically, and arrives at a figure of no more than 9.7 percent purged.

Conquest and Rapoport/Alexeev conservatively put the loss at 27,000 and 20-25,000 respectively, allowing that it could have been much greater, upwards of 50 percent of the officer corps. As we shall see, the results of the Red Army purge only yield more Soviet blood.

The Great Patriotic War

To properly discuss the impact of Stalinism on the war, one must consider the effective loss of a large segment of the officer corps had on the armed forces. Not only did it place advanced leadership positions in the hands of junior officers reducing unit effectiveness, but it damaged the confidence of the remaining senior officers, who dared not make any move that might be considered provocative. This fact combined with an unbelievable ineptness on the part of the Stalin leadership created a disastrous victory, which cannot be blamed on a lack of manpower or material, which the Soviets had in abundance. Rapoport and Alexeev conclude their analysis comparing the cost of Stalinist victory with Nazi defeat thus:



So then 45:6 [combined], 22:3 [military], such were the ratios of losses borne by the Soviet and German people. The difference in population size between the two countries does not reduce the enormity. Germany sacrificed 8.6 percent of its population on the alter of war; we gave 23 percent, almost a quarter of the nation. That is the cost of Stalin's genius, of his policies-inalterably right for all times-the cost of destroying the Army in peacetime, of unanimous and enthusiastic approval. God, bless Russia! Spare us from such trials and such leaders!

Conquest further extends the tragedy, suggesting that many of the Soviet POWs in Germany could have survived if Stalin had met with Nazi officials in Sweden to enact the terms of the Geneva Convention. As it was approximately 2.6 million Russian soldiers died in Nazi POW camps, over 10 percent of the military losses.

In his assessment of deaths and displacement during World War II, Roy Medvedev gives fairly detailed anecdotal information concerning the actions of the NKVD against numerous people groups within the USSR. Entire populations of Karelian Finns, Siberian Koreans, Ingush, Chechen, and were deported away from their native lands on the pretext of collaboration with the enemy. Soviet Germans numbering some 400,000 were sent east in August 1941. In 1943, 100,000 Kalmyks and Karachi were likewise removed. Stalin deported 200,000 Tatars following the liberation of Crimea in 1944. Of the Chechen and Ingush population it is reckoned that over 200,000 of their 1944 population perished during transportation to Siberia and Central Asia.

This would have been a little over one-third of the 500,000 Chechens and Ingush whom the NKVD deported; one-third serves as a standard figure for deaths during and shortly following deportation. This does not take into account the forcible removal of some "one million Poles and several hundred thousand Balts to the Soviet Union." Moreover one must ask what the collateral damage was to the Soviet population, when the leadership diverted so much material and so many divisions to the capture, transportation, and supervision of these "enemy" populations.

The Post-war Era

Among the atrocities committed by Stalin after the cessation of hostilities, Roy Mevedev notes increasing repression of intellectuals and other prominent figures, growth of official anti-Semitism, and the introduction of Stalinist terror to eastern Europe.

Again strong on anecdote and weak on statistics, Medvedev, exemplifies the lesser but continuing degree with which repression continued following the war. Many prominent war figures favored by fortune, General Zhukhov among them, stepped away, voluntarily and involuntarily, from the spotlight which Stalin was unwilling to share. Similar to the period preceding the war some of Stalin's wartime politburo found themselves staring at the wrong end of a Kalishnikov.

Perhaps the most vicious aspect of post-war Stalinism lies in the introduction of his particular strain of communism to Poland, Romania, Bulgaria, Hungary, Albania, Czechoslovakia, and East Germany. Medvedev gives no figures for repressions in these nations, but it follows from his demands at Yalta and Potsdam that Stalin bears at least partial and indirect responsibility for the crimes committed in the name of the peoples' republics of Eastern Europe.

Conclusion

Other issues remain which there is no room to explore in the confines of this paper. For instance, what effect did the miscalculations of Stalinism have in the near and long-term on the life expectancies of Soviet citizens? How many collateral deaths occurred from incompetent construction, etc. due to Stalin's mistrust and subsequent dismissal of "bourgeois specialists"? At the theoretical extreme, how much potential population was lost due to Stalinism, i.e., what would the population of a comparable state with "normal" Western political processes have been, or even harder to estimate, what would the reproductive tendencies of the Soviet population have been under a more vigorous economy in which children presented less of a financial strain?

Among traditional scholars I see the greatest danger for statistical inaccuracy stemming from inadequate distinction between overlapping populations. For example, do deaths from forced labor, such as the White Sea Canal, exaggerate numbers reported as deaths from collectivization-considering that many of the canal workers were Kulaks who died in within a few months of their internment. Similarly, how many Chechen-Ingush purged were purged in the Great Terror and have sufficient safeguards been taken to exclude an overlap with the deportees of 1943-44? This weakness doubtlessly shows up in this writing both from a lack of access to the majority of primary sources but moreover the enormity of the task, to which scholars have devoted lifetimes. Double inclusion of this sort may account for a small, still significant exaggeration of the affected population. However, I doubt their errors were as gross as some of the tremendous understatements made by revisionist historians seeking to gloss over the Stalinist record.



End Notes
NEP is the English accronymn for the Novaya Ekonomicheskaya Programma or New Economic Program which was instituted in 1921 by Lenin and his politburo. It allowed a semi-capitalist system to function at the individual level.


The Kulaks, a Russian word for fist (denoting fiscal tightness), were a "class" of peasant, generally a bit better off, often owning a head or two of livestock, and hiring one or more fellow peasants as sharecroppers.


Nedezhda is the Russian word hope.


Citations
1) Conquest notes in "Academe and the Soviet Myth" that the precursor to the Revisionists, Jerry F. Hough's claims of "ten thousand or so" victims and later a "figure in the low hundreds of thousands" were totally disgraced by the discovery of the Kuropaty grave site. The National Interest. Return
2) Conquest, A Reassessment. pp. 34-35.
3) Mevedev, pp. 258-259.
4) ibid., 259.
5) Conquest, Stalin, p. 155.
6) ibid.
7) Medvedev, pp. 219-220
8) Conquest, Harvest, p. 89
9) Numerous sources quoting Stalin from Pravda Dec. 27, 1929.
10) Fainsod, p. 529.
11) Conquest, Stalin, p. 163-5.
12) Ibid., 164.
13) Conquest, Harvest, p. 306.
14) Nove, p. 267. Nove, here admits the possibility of tampering, allowing that deaths could have been as high as 11 million. Also in fairness to him, he claims a higher number of Kazakh deaths than Conquest or Medvedev.
15) Conquest, Stalin, p. 169.
16) A Reassessment. pp. 485-486.
17) Nove, p. 270.
18) Wheatcroft.
19) Rapoport, Vitaly and Yuri Alexeev. High Treason: Essays on the History of the Red Army. Ed. Vladimir G. Treml. Co-Ed. & Trans. Bruce Adams. Duke UP: Durham, 1985. p. 365-374.
20) Rapoport and Alexeev report the repression of 195 division commanders, 41 more than Conquest cites from Ogonek and 9 more than the total number of divisions that he cites. To further the confusion on p. 276 Rapoport and Alexeev list a total of 199 divisional commanders, of whom 136 were repressed with eleven being freed by 1940.
21) Furr, Grover. "New Light on Old Strories about Marshal Tukhachevskii: Some Documents Reconsidered." Russian History. 13, Nos 2-3 (Summer-Fall 1986), 293-308.
22) According to Khrushchev's Secret Speech as reported in A Reassessment, p. 451.
23) Conquest. A Reassessment. p. 450.
24) Rapoport and Alexeev, p. 375. (on p. 276 a figure of 60 is given)
25) Conquest, A Reassessment. Quoting S.T. Biryuzov. p.455.
26) Stalinist Terror. p. 9.
27) Conquest. A Reassessment. p. 450. Rapoport and Alexeev, p. 277.
28) Rapoport and Alexeev. pp. 342-6.
29) ibid., p. 359. It should be noted that their extreme figure of 45 million is based on 1959 census data may include many purge victims-the result, if they do not, compounds the devastation to a terrifying degree.
30) Conquest Stalin. p. 241
31) Royde-Smith, p. 1023.
32) Medvedev, pp. 771-2. He estimates the number of Koreans to be no less than 300,000.
33) Adelman, p. 113. Medvedev lists Soviet Germans affected as 1.5 million.
34) FCO Background brief, p. 2.
35) Adelman, p. 113.
36) Medvedev, ch. 13.
37) Medvedev, pp. 791-2.
Bibliography
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Brezezinski, Zbigniew K. The Permanent Purge: Politics in Soviet Totalitarianism. Harvard UP: Cambridge, 1956.
Conquest, Robert. The Great Terror. Revised ed. Pelican: Harmondsworth, UK, 1971.
Conquest, Robert. Inside Stalin's Secret Police: NKVD Politics, 1936-39. MacMillan: Hong Kong, 1985.
Conquest, Robert. The Harvest of Sorrow: Soviet Collectivization and the Terror-Famine. Oxford UP: New York, 1986.
Conquest, Robert. The Great Terror: A Reassessment. Oxford UP: New York, 1990.
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Fleischhauer, Ingeborg and Benjamin Pinkus. The Soviet Germans: Past and Present. Ed. Edith Rogovin Frankel. St. Martin's: New York, 1986.
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Royde-Smith, John Graham and Editors. "The World Wars" Encyclopжdia Britannica: Macropжdia. 15th ed. Encyclopжdia Britannica: Chicago, 1994.
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Stalinist Terror: New Perspectives. Ed. J. Arch Getty and Roberta T. Manning. Cambridge UP: New York 1993.


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Article found on the web at: http://web.qx.net/jon/stalin.html


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AUTHOR'S NOTE


How Many Died: A Summary of Stalin's Victims--Author's note
by Jonathan DeMersseman


This paper represents an effort to put in HTML a summation of the Stalinist period, respecting those who were killed or imprisoned under Stalin's rule from 1924-1953. In researching to write this paper I was shocked to find only two HTML references in English on the subject of the Stalinist era, the more thorough of which consisted of a series of diatribes by a Communist organization, shamelessly defending and legitimizing these unspeakable crimes against humanity. This document will serve as a ballance until more serious scholarly work is available.


At the time of writing, I am a Senior at the University of Kentucky, in my final semester in Russian and Eastern Area Studies.


I do not claim to be a Sovietologist. I am beholden to a wide range of scholars whose work I compared and analyzed. They are cited within. All citations are linked by numbers to endnotes in the document. I would particularly like to express my gratitude to Robert Conquest, who has worked tirelessly to illuminate this dark era for Western eyes. I would also like to thank Dr. Robert Pringle, visiting professor to the Patterson School for pricking my interest in Stalinism.


Because I want this work to be informative to a wide readership I have also marked items that deserve explanation to benefit those who are not familiar with the Russian language or the Stalinist period. Explanitory notes are linked as well. If there is terminology with which you are unfamiliar ask me.


I welcome critique to revise and improve what is available here, and look forward to the work of actual scholars to appear on the World Wide Web and replace my admittedly amatuer effort.


Jonathan DeMersseman, jon@qx.net
Senior Student, University of Kentucky, 1997


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Editors Note: http://web.qx.net/jon/stalinan.html

tigermen
21-04-04, 12:30
CONOSCERE IL COMUNISMO


di Jean Daujat - società editrice Il falco

JEAN DAUJAT, ex allievo della Ecole Normale Superieure, dottore in Lettere, laureato dall'Académie francaise e dall'Académie des Scíences, ha pubblicato numerose opere sia in campo scientifico che in quello religioso. Collaboratore di periodici come La France Catholique e Fédération, Jean Daujat occupa un posto di prim'ordine nella letteratura e nel pensiero contemporaneo.



Prefazione
Se la cronaca è l'avanguardia della storia, e la storia è la narrazione dei fatti compiuti, il comunismo è già al potere in tutto il mondo, e quindi anche in Italia.
Infatti, le smentite e i distinguo, che, secondo una pratica tipica della diplomazia - non so se di sempre, oppure soltanto contemporanea -, possono essere suscitate da questa affermazione tanto drastica, ne sono invece la conferma più evidente, e preparano la pubblica opinione ad accettare anche la proclamazione ufficiale e aperta del dato già fattuale.
Perciò, in questa prospettiva, che vuole essere semplicemente realistica, acquista un valore tutto particolare la pubblicazione di uno scritto teso a fare conoscere il comunismo, e questo valore si accompagna a un sapore pure assolutamente particolare.
Il sapore è quello tipico del proibito, di ciò che la censura ostacola e vieta, magari non apertamente, ma nella sua forma più efficace, penetrante, onnipervadente e preventiva, cioè come autocensura. Il valore, poi, sta nel fatto che non si tratta solamente di un saggio sul comunismo, ma, si badi bene, di un saggio nato proprio per fare conoscere il comunismo e invitare alla scelta sempre inevitabile, e ormai indilazionabile, tra il cristianesimo e il comunismo.
Vi sarebbe già quanto basta per parlare di un avvenimento culturale di eccezionale portata, e lo farei subito di buon grado, se non avessi il fondato timore di rimanere poi a corto di aggettivi, dal momento che i caratteri positivi dello studio di Jean Dauíat ne richiedono un uso in crescendo.Infatti - e a qualcuno la cosa non è certamente sfuggita -, non si tratta solamente di uno scritto sul comunismo, ma di un tipo particolare di scritto, di un saggio, e non di una storia oppure di una testimonianza. Per colmare la misura, poi, aggiungo che il saggio è opera di un cattolico non "in ricerca", che, tra l'altro, non si avvale della teoria - per così chiamarla - degli "opposti estremismi", ma, consapevole che la opzione radicale è tra la Chiesa e la "civiltà moderna", non teme di introdurre nella trattazione sul comunismo illuminanti considerazioni sul nazionalsocialismo, e non come alternativa all'argomento in esame, ma semplicemente come variante sul tema!

Mi fermo, perché le altezze eccessive sgomentano e tolgono il respiro; e ritorno sui miei passi.
Dunque, Conoscere il comunismo è un saggio sul comunismo' concepito e svolto secondo i canoni e le prospettive della filosofia - non di una filosofia, anche se, inevitabilmente, di un sistema filosofico -, allo scopo dichiarato di mettere in piena luce la "intrinseca perversità" della sofistica marxista, che riassume e invera ogni sofistica, almeno dal nominalismo tardo-medioevale ai nostri giorni, corrosi dalla dissoluzione strutturalistica. Del marxismo, poi, è messo in particolare risalto il carattere di sofistica non semplicemente descrittiva, quasi fosse un soggettivísmo " contemplativo " e quindi passivo, ma, unito al leninismo, è opportunamente e precisamente indicato come una sofistica aggressiva, un retativismo attivo, un "nulla armato" contro ogni affermazione che non si disponga pazientemente e tematicamente a essere negata come momento di un inarrestabile processo dialettico.

Il pregio principale dello scritto di Jean Daujat consiste precisamente nel fornire argomenti anticomunisti, soprattutto attraverso la descrizione della "dottrina" comunista in termini filosofici, ridimensíonando così, con le sue poche ma dense pagine, la portata reale di svariate e pur seducenti storie e testimonianze, che, al confronto, presentano - accanto a innegabili pregi e a una non trascurabile efficacia a breve termine - l'enorme debolezza di tollerare il contrasto di un evasivo e disorientante "ma questo non è il vero comunismo" e di non resistere adeguatamente alla rimonta - pur fradicia di ínfondate speranze, di illusioni e di compromessi - di un "da noi non sarà così", oppure "in Italia il comunismo sarà diverso".
Conoscere il comunismo non è, quindi, soltanto un testo esemplare di una cultura clandestina in sviluppo, un documento significativo di un ormai reale samizdat intellettuale che fiorisce nel "libero" Occidente, ma è anche, almeno implicitamente, una autentica perorazione per la filosofia cioè per l'uso articolato e consapevole di ragione, per lo svolgimento scientifico del senso comune, che si oppone al vizio e al vaniloquio dialettico. Rispetto al samizdat vero nomine presenta anche il vantaggio, difficilmente trascurabile da parte di chi ha a cuore l'ortodossia cattolica, di non veicolare né ateismo non sovietico e "socialismo dal volto umano", né spiritualismi equivoci, che finiscono per inquinare e quindi per rendere pericolose testimonianze che, in quanto tali, sarebbero di indubbio valore.
La chiarezza con cui indica l'anima di errore che sostanzia la "dottrina" comunista, fa dello scritto di jean Daujat la versione provvidenzialmente sintetica, elementare nel senso proprio del termine - intelligenti pauca -, di ogni e possibile Arcipelago GULag, e non solamente di quello già acquisíto alla letteratura detta del dissenso. Offre inoltre al lettore la possibilità di intendere e di verificare in concreto il realismo della affermazione secondo cui il comunismo domina in tutto il mondo, anche se non ha ovunque, con ogni evidenza, veste sovietica. Infatti, ovunque si neghi l'esistenza della verità, e quindi di valori permanenti intoccabile è solo la "libertà" di negare e l'una e gli altri, che merita piuttosto il nome di licenza, e che è sempre più spesso chiamata "democrazia" -, ivi è comunismo. E, di grazia. dove queste negazioni sono assenti e non sono addirittura intronizzate? Dove sono ancora testimonianza di semplice anche se, comunque, condannabile privata stoltezza?

L'alternativa radicale al comunismo, offerta all'uomo contemporaneo, è il cristianesimo, ma non lo pseudo-cristianesimo modernista e neomodernista, o progressista che dir sì voglia, che non intende fondarsi sulla solida base della philosophia perennis e che vaneggia di "esperienze di fede" e di "fatti di Chiesa", trasudando sentimentalismo e falsa mistica "carismatica", bensí il cristianesimo tradizionale, cattolico, apostolico e romano, che, lungo la via percorsa dalla Chiesa nei secoli, ha raccolto il legato "ellenico" della filosofia e quello "romano" del diritto; che, rielaborandoli, si è svolto in apologetica, in filosofia cristiana e quindi in teologia, nonché in strutture canoniche stabili e articolate; e che non è un momento dialettico del divenire storico, ma il criterio di giudizio sulla storia.
Su tutta la storia, certamente, su quella "grande", ma anche su quella "piccola", che sfuma nella cronaca e nella scelta di oggi, qui e ora, hic et nunc.

In questa prospettiva Conoscere il comunismo non costituisce solamente una potente sollecitazione a scegliere tra ragione e sragione, tra realtà e utopia, tra religione ed empietà, ma è anche una suggestiva introduzione alla fides intrepida sotto lo stendardo di Crísto Re.


Giovanni Cantoni
Piacenza, 19 marzo 1977
Festa di san Giuseppe, patrono della Chiesa universale e quarantesimo anniversario della enciclica Divini Redemptoris.


Introduzione
La potenza formidabile e i prodigiosi risultati materiali della Russia Sovietica, l'influenza che essa esercita ormai in molti Paesi, il prestigio che ne deriva per i partiti comunisti e i notevoli progressi di questi ultimi non soltanto nella classe operaia, ma in quasi tutti i settori della società, costituiscono una serie di fatti che pongono un problema vitale per l'avvenire della Francia e dell'Europa: che cos'è il comunismo?
La Russia d'oggi continua a seguire l'ideologia comunista di Marx e di Lenin e, se la segue, è grazie a essa, o suo malgrado, che è divenuta cosi straordinariamente potente? I patrioti francesi e delle altre nazioni, i cristiani, e più precisamente i cattolici, che il comunismo un tempo ha combattuto, debbono accettare la mano che spesso, oggi, il comunismo tende loro, l'alleanza e l'accordo che loro propone? Il Papa Pio XI, nell'Enciclica Divini Redemptoris, ha dichiarato che il comunismo è "intrinsecamente perverso" e ha condannato ogni possibilità di collaborazione tra esso e la Chiesa cattolica: questa decisione rimane valida ancora oggi, dinanzi a quella che è stata definita l'"evoluzíone" del comunismo, secondo la quale da alcuni anni a questa parte il comunismo sí sarebbe profondamente trasformato e avrebbe così ampiamente cambiato aspetto?
Tutti questi problemi presuppongono la conoscenza e la comprensione di ciò che è il comunismo. Questa conoscenza appare oggi come un dovere imperioso per chiunque abbia una funzione da svolgere, un'azione o un'influenza da esercitare, decisioni da prendere in campo economico, sociale, politico, intellettuale, religioso. Tuttavia il comunismo resta un enigma per la maggior parte degli uomini e sembra pieno di contraddizioni e di mistero, tanto sconcertante quanto l'anima slava che, spesso, sorprende tanto profondamente gli occidentali.
Sicuramente in Francia gran parte dei patrioti e dei cristiani hanno assunto nei confronti del comunismo atteggiamenti assolutamente impulsivi e irrazionali, determinati da una ignoranza totale di esso, sia che lo combattano, come accadeva quasi sempre nell'anteguerra, sia che si gettino tra le sue braccia, com'è successo recentemente. L'atteggiamento più grossolano è quello che confonde il comunismo con il disordine e l'anarchia: di conseguenza, quelli che lo combattevano in nome dell'ordine e della disciplina si meravigliano constatando l'ordine perfetto e la disciplina di ferro che regnano nell'esercito e nello Stato russi e nell'organizzazione comunista. Altri, invece, vedevano il comunismo soprattutto come un antimilitarismo, e lo combattevano per amore dell'esercito e delle tradizioni militari: quale sorpresa è stata per loro scoprire il formidabile militarismo sovietico!
Per altri ancora il comunismo consiste nella soppressione di ogni forma di proprietà privata e nella distruzione totale del capitalismo, e lo combattevano per difendere la proprietà o per conservare il capitalismo: ma il regime sovietico non lascia oggi sopravvivere molte forme di proprietà privata, e non ha forse edíficato un formidabile capitalismo di Stato?
Infine, i cattolici vedevano soprattutto il comunismo come antireligioso: ed ecco che il regime sovietico pratica la tolleranza religiosa, mentre i comunisti tendono la mano ai cattolici cercando la loro alleanza.
Pertanto, un grande numero di uomini che combattevano il comunismo stupidamente, senza conoscerlo, sono giunti oggi a pensare, altrettanto stupidamente, e senza uscire dalla loro ignoranza, che la Russia non sia più comunista o che il comunismo abbia rinnegato la tradizione di Marx e di Lenin, e che, per esempio, rifiutare L'Internazionale come inno del regime sovietico, significherebbe operare una rottura con i princìpi del marxismo. Di conseguenza questo nuovo coniunismo diviene e un alleato possibile, oppure, secondo una espressione consacrata dalla tattica politica e militare, "una carta da giocare".

Lo scopo di questo, libretto non è di fare l'elogio, o la critica del comunismo, di auspicare una posizione piuttosto che un'altra nei suoi confronti - lasceremo al lettore la libertà di trarre le sue conclusioni - ma semplicemente di documentare, di presentate i fatti come sono nella loro brutale nudità, in breve, di far conoscere il comunismo mediante una esposizione assolutamente oggettiva di ciò che esso è.
Per fare questo, basta essersi data la pena che quasi nessuno si è data - di leggere le opere di Marx, di Engels e di Lenin, delle quali la maggior parte dei nostri contemporanei non ha letto neanche una riga; tutto vi è detto, e in modo molto preciso: basta leggerle. Se lo si facesse, si vedrebbe in modo particolare che nei testi composti tra il 1907 e il 1910 - dunque ben prima della rivoluzione russa e di quel periodo che si è poi chiamato "l'esperienza del potere" - Lenin ha preannunziato, per una fase ulteriore dello sviluppo dell'azione comunista, i minimi partícolari della politica attuale della Russia, come per esempio il militarismo dello Stato comunista, la sua tolleranza religiosa e la mano tesa ai cattolici.
E' sufficiente conoscere il comunismo per capire che, se vi è attualmente una profonda trasformazione di esso, questa trasformazione si realizza secondo le più genuine esigenze del pensiero di Marx e di Lenin, e secondo un piano di sviluppo deciso ormai da alcuni decenni con una logica rigorosa e implacabile (1). D'altra parte gli stessi comunisti proclamano, molto chiaramente e senza ambagi, di seguire Marx e Lenin.
Ci limiteremo a citare una conferenza di Jacques Duclos, segretario del partito comunista francese e uno dei capi di tale partito, tenuta a Parigi il 15 novembre 1944 nella sala delle "Sociétés Savantes" davanti all'Associazione dei Giuristi comunisti. Vi leggiamo: "Il nostro partito, fondato su una base scientifica, il marxismo- leninismo, non è un partito fondato sull'improvvisazione [...] la forza della teoria marxista-leninista consiste nel fatto che essa permette al partito di orientarsi in una data situazione". E' chiaro dunque, che gli orientamenti del partito nell'attuale situazione sono una conseguenza rigorosa della teoria marxista- leninista, ed è questa teoria che dobbiamo ben conoscere e capire.
Forse alcuni immaginano che il comunismo consista unicamente in una dottrina economico-sociale, in un sistema che verta sostanzialmente su problemi economici e sociali. Nientaffatto. I principi economici e sociali del marxismo non possono essere compresi se non in funzione dei principi filosofici di cui essi sono la rigorosa conseguenza. Il marxismo è una concezione totale dell'uomo e del suo destino, una guida globale di vita e d'azione per l'umanità. Non bisogna immaginarsi Marx come un agitatore politico o sociale; Marx era un filosofo che ha trascorso la sua vita a scrivere un numero imponente di grossi volumi filosofici, molto difficili da leggere. Lenin si è dedicato all'azione politica e sociale soltanto dopo essere stato anche lui un filosofo discepolo di Marx, ed è da questa filosofia che sono derivate tutta la prassi comunista e tutta l'organizzazione dello Stato sovietico.
Se lo vogliamo ben comprendere, bisogna chiedere agli uomini d'azione e a quelli che si occupano di questioni economiche e sociali di volerci seguire sul terreno filosofico, il solo che può darci la chiave per capire il comunismo. Bisogna attribuire la completa ignoranza della natura del comunismo, oggi così diffusa, al rifiuto di inoltrarsi sul terreno filosofico, di risalire fino alle origini filofisoche, che tutto spiegano e da cui tutto deriva. Non meravigliamocene: tutta la storia delle civiltà e delle grandi trasformazioni storiche è dominata e si spiega per mezzo di princìpi filosofici e religiosi, di cui la potenza del denaro e delle armi è sempre e soltanto uno strumento; da questi principi filosofici e religiosi nascono i caratteri essenziali di ogni epoca e le grandi trasformazioni della storia.

Come il Medio Evo è derivato dai princìpi cristiani, il Rinascimento dal pensiero degli umanisti, il secolo XVII dalla filosofia di Cartesio e dal giansenismo, la Rivoluzione del 1789 dai filosofi del secolo XVIII, cosi il comunismo è derivato dalla filosofia di Marx, Engels e Lenin. Si resterà sempre alla superficie dei problemi della nostra epoca e non si potrà mai svolgere azione duratura e profonda finché non ci si deciderà a prendere in esame quei princìpi filosofici che sono il fondamento di ogni vita civile.
Come far capire la filosofia di Marx nella sua efficacia storica e nella sua azione per trasformare il mondo? Noi non crediamo di potervi riuscire con una esposizione a bruciapelo e superficiale, perché il lettore non preparato si perderebbe presto nel labirinto di una filosofia tanto sconcertante per il modo corrente di pensare. La filosofia di Marx è l'esito, il frutto più maturo, il risultato ultimo di tutto il pensiero moderno: impossibile farla comprendere senza ripercorrere a grandi linee le principali tappe di questo pensiero moderno e senza evidenziare per quale strada si sia arrivati al marxismo. Inoltre, il pensiero moderno - e la sua espressione ultima il marxismo - possono difficilmente essere capiti se non si comprende a che cosa si oppongono. Tutta la filosofia moderna, infatti, si è costituita in opposizione e attraverso la critica progressiva di ogni concezione cristiana e tradizionale. Vedremo che il marxismo non è altro che la negazione assoluta di tutti i princìpi cristiani e tradizionali. Crediamo, dunque, che sia impossibile comprendere adeguatamente il marxismo in ciò che ha di più sconcertante, senza comprenderlo nella sua opposizione totale al cristianesimo e a tutto il pensiero tradizionale dell'umanità.
Eccoci dunque obbligati a percorrere una via molto lunga per portare il nostro lettore a una comprensione più chiara del comunismo. Dapprima dobbiamo richiamare le convinzioni fondamentali sulle quali si basa da venti secoli il pensiero cristiano, e vedremo come il comunismo affermi punto per punto il contrario di esso; poi dovremo mostrare come il pensiero moderno, formatosi gradualmente in opposizione a tali convinzioni, abbia dato alla fine il suo frutto più completo, con il marxismo.



(1) Si deve per altro ammirarne l'intelligenza, la volontà e la prodigiosa perseveranza con cui i comunistí, tra l'incomprensione generale, seguono e realizzano questo piano di una logica rigorosa e implacabile.



PENSIERO CRISTIANO E PENSIERO MODERNO

Si tratta dunque anzitutto di mettere in rilievo alcune convinzioni fondamentali del pensiero cristiano e tradizionale, per meglio comprendere, confrontandole con esse, le posizioni marxiste che vi si oppongono. Sono convinzioni molto elementari, di cui la maggior parte delle persone è impregnata senza pensare di esprimerle in generale, tanto sembrano scontate: ed è per questo che tali persone sono sconcertate dal comunismo, che sembra loro impenetrabile, dato che non possono neppure concepire che tali convinzioni prime possano essere messe in discussione. Perciò è indispensabile formulare queste convinzioni prime, presupposte dal pensiero comune della maggior parte degli uomini, per farne loro prendere coscienza e prepararli ad afferrare meglio i segreti di una filosofia che rifiuta appunto questi fondamenti del pensiero comune.

La prima convinzione fondamentale, non soltanto del pensiero cristiano, ma di tutto il pensiero umano fino a due secoli fa, e che l'affermazione umana abbia un significato; che "sì" e "no" siano due parole con un senso compiuto e non intercambiabili (il "sì, sì; no, no" proclamato da Gesú nel Vangelo: che si sia sí e che no sia no) (2); che sí non sia no, che sí sia sí e che no sia no; che non si possa dire un giorno il contrario di quanto si è detto il giorno precedente senza essere infedele al proprio pensiero e senza essere almeno una delle due volte in errore; in altre parole, che esista una verità e un errore che non si confondano tra loro. Ecco perché la maggior parte dei nostri contemporanei sono così, sconcertati nel sentire i comunisti affermare tranquillamente un giorno il contrario di quanto hanno affermato il giorno precedente, e sono indotti a interpretare questo fatto come una conversione o un rinnegamento della loro affermazione precedente.

Procediamo: è convinzione spontanea di ogni uomo, non solo che esista una verità distinta dall'errore, ma anche che questa verità non dipenda da noi; che noi non ne siamo arbitri; che essa si desuma da ciò che è e s'imponga alla nostra intelligenza. Per esempio, un fatto che s'impone alla nostra intelligenza è il riconoscere che 2 + 2 = 4 e non dipende da noi che sia diversamente, come pure riconoscere che l'uomo è bipede e non dipende da noi che sia diversamente. Si e no hanno un senso per la generalità degli uomini, perché la generalità degli uomini pensa che la nostra intelligenza debba riconoscere la realtà quale essa è, e che le cose siano quelle che sono e che non dipenda da noi che esse siano diversamente. La prima convinzione fondamentale del pensiero comune è la dipendenza della nostra intelligenza dalla verità o dalla realtà da conoscere.

La seconda convinzione fondamentale è che esistano un bene e un male; cose buone e cose cattive; che il bene e il male non siano la stessa cosa; e che il bene sia da amare e da ricercare. Per l'uomo comune, la parola "buono" ha un senso, come la parola "sì" e la parola "vero". E anche qui bisogna andare oltre la convinzione spontanea che non dipenda da noi che ciò che è buono sia cattivo e ciò che è cattivo sia buono; che il bene e il male esistono nella realtà; e che ciò che è bene s'imponga alla nostra volontà per essere amato e ricercato; e ciò che è male, per essere evitato. Per esempio: non abbiamo inventato noi che la lealtà e la sincerità sono cose buone e che la menzogna è, invece, una cosa cattiva. Anche in questo caso la convinzione fondamentale del pensiero comune afferma una dipendenza: la dipendenza della nostra volontà dal bene da amare e da volere.

Precisiamo e approfondiamo il significato di queste due convinzioni, usando un linguaggio piú filosofico. Esse affermano la necessaria sottomissione del nostro pensiero e della nostra volontà a un oggetto che si impone loro e da cui esse dipendono, cioè la sottomissione del nostro pensiero alla verità da conoscere, e della nostra volontà al bene da amare e da volere. La sottomissione all'oggetto (3): ecco la regola spontanea della coscienza umana che il pensiero moderno si è accanito a demolire e che il marxismo ha abbattuto completamente. Ma perché questa sottomissione all'oggetto nel pensiero tradizionale? Per la convinzione che l'uomo sia un essere imperfetto, limitato, incompleto, che tende a perfezioni da acquisire, che deve dunque sottomettersi e subordinarsi a ciò che lo completa, lo perfeziona, lo realizza. La nostra intelligenza, inizialmente priva di ogni conoscenza e immersa nell'ignoranza, trova il suo arricchimento e la sua perfezione nella sottomissione alla verità, grazie alla quale acquisisce la scienza. L'uomo, cui mancano tante cose, trova il suo bene, si perfeziona e diventa migliore subordinandosi al bene da amare e da volere.

Le convinzioni prime che abbiamo ora indicato, sono alla base tanto del pensiero greco (4) che del pensiero cristiano: esse sono puramente e semplicemente tradizionali. Ma il cristianesimo le spiega e dà loro fondamenti piú profondi: la ragione della imperfezione umana, che esige la sottomissione dell'uomo su un oggetto per perfezionarsi, sta nel fatto che l'uomo è creatura; che non si è fatto da sé e che non ha creato la realtà che lo circonda, ma che tutto questo - sé stesso e tutte le cose - sono opera di Dio. Da ciò deriva una dipendenza radicale da Dio, che si trova alla base stessa dell'esistenza di ogni creatura. Perché la nostra intelligenza deve sottomettersi a una verità che le si impone e che non ne dipende? Perché non siamo noi ad aver fatto la realtà, ma è Dio che l'ha creata, e noi possiamo solo arricchire la nostra intelligenza - che nulla ha creato - con la conoscenza di questa realtà cosi com'è, cioè come Dio l'ha creata. La sottomissione al reale è, in ultima analisi, la sottomissione dell'intelligenza creata da Dio, creatore di questa realtà (5). Perché diventiamo migliori soltanto se la nostra volontà si sottomette a un bene da amare e da volere, che le si impone e non ne dipende, e se si subordina a fini da perseguire, nei quali troviamo le perfezioni che ci mancano? Perché Dio ci ha creati cosi. Perché non ci siamo fatti da noi stessi e non abbiamo deciso noi stessi la nostra natura, le sue leggi e le sue esigenze, ma siamo come Dio ci ha fatti, con in noi esigenze e bisogni di cui è autore. Se è questo o quel bene che bisogna amare e volere, questo o quel fine che bisogna perseguire per diventare migliori e perfezionarci, ciò deriva dal fatto che noi siamo cosí come siamo, dunque dal fatto che Dio ci ha creati cosí come siamo. Le leggi che ci conducono al nostro bene - cioè le leggi morali - derivano da ciò che siamo e, di conseguenza, derivano dall'Autore della nostra esistenza, dal quale dipendiamo; e noi non ne siamo gli arbitri. Creatura, l'uomo non ha niente da sé stesso: dipende da Dio, nella sua esistenza, nella verità da conoscere, nel bene da amare per perfezionarsi. La base del pensiero cristiano è l'affermazione di questa dipendenza radicale dell'uomo da Dio, dipendenza che non è affatto per lui una costrizione esterna, ma l'intima sorgente della sua stessa esistenza, come di ogni bene e di ogni perfezionamento.

Ecco il pensiero contro il quale, di fronte al quale si è costituito il pensiero moderno fino ad approdare al marxísmò, che ne è la negazione radicale.

La corrente dominante che ha guidato tutto questo pensiero moderno e ne ha segnato le tappe principali, è ciò che in filosofia si chiama idealismo. Ci si stupirà, forse, che da lí si debba approdare al marxismo, che è comunemente conosciuto come materialista; eppure Marx è un discepolo di Hegel e il suo pensiero si è formato alla scuola di Hegel che per altro è all'origine di tutti i grandi totalitarismi contemporanei. Ora Hegel è precisamente il termine della corrente idealista, il filosofo che ha professato ciò che si chiama l'idealismo assoluto, e vedremo che, per capire il marxismo, bisogna spiegarlo con quanto chiameremo un rovesciamento materialista dell'idealismo hegeliano.

Che cos'è dunque l'idealismo? Alla base di tutto il pensiero moderno vi è un atteggiamento d'orgoglio, una rivendicazione d'indipendenza totale dello spirito umano che si manifesta nel rifiuto di quella sottomissione all'oggetto che era alla base del pensiero cristiano: l'uomo vuole trovare tutto in sé stesso e solo in sé stesso, senza dover riconoscere alcuna dipendenza né doversi sottomettere. L'idealismo è l'intelligenza che vuole trovare tutto in sé stessa, nelle proprie idee o concezioní, e rifiuta qualsiasi sottomissione a una verità che le si imponga, che da lei non dipenda e che non sia una costruzione dello spirito. L'idealismo è lo spirito umano che vive nelle sue proprie costruzioni, senza dipendere da alcuna realtà da conoscere cosi come essa è. Il pensiero, per l'idealismo, non è conoscenza di una realtà oggettiva che lo domini e lo modelli, ma è semplicemente ideale e pura costruzione dello spirito, che si sviluppa secondo le proprie leggi, che sono le leggi dello spirito indipendente da qualsiasi realtà che non sia in tale convinzione. E' facile vedere fino a che punto questo sistema filosofico abbia impregnato gran parte della psicologia contemporanea. Basta osservare come gli uomini, in tutte le loro attività, si allontanino sempre piú dalla sottomissione al reale, dalla docilità a ciò che e' per ascoltare solo le costruzioni del loro spirito, fino al giorno in cui esse si infrangono contro la realtà esistente, di cui non hanno voluto tenere conto. In modo particolare si può notare come l'uomo contemporaneo sia fecondo di costruzioni sociali che sono pure creazioni dello spirito, puri schemi geometrici e giuridici concepiti a priori e vuoti di qualsiasi realtà umana: quasi bastasse un decreto della "Gazzetta Ufficiale", che crei un quadro giuridico e amministrativo, per fare esistere una società reale fatta di uomini vivi.

Bisogna anche rilevare - cosa che sulle prime sorprende e richiede riflessione per essere compresa - le solidarietà profonde esistenti tra idealismo e materíalismo. Infatti, il nostro pensiero non ci è imposto dalla realtà da conoscere, se i nostri giudizi non sono regolati dalla pura verità oggettiva, se sono pure creazioni del nostro spirito, da dove mai potranno derivare? Se il nostro pensiero e i nostri giudizi non sono piú sottomessi alla verità, essi si formeranno secondo l'arbitrio delle nostre passioni, delle nostre preferenze sentimentali, dei nostri istinti animali, dei nostri interessi materiali; vale a dire, insomma, che dipenderanno dalla struttura del nostro organismo, dallo stato dei nostri nervi e delle nostre ghiandole, e tutto alla fine dipenderà dalle sole forze materiali; vediamo già come il materialismo marxista potrà allacciarsi a un principio idealista.

Un'altra solidarietà è quella che lega l'idealismo al pragmatismo, vale a dire alla filosofia che afferma il primato dell'azione e che basa tutto su di essa. Anche questo a prima vista sorprende, ma riflettendo si capisce che, se non esiste piú una realtà da conoscere una verità da contemplare, se esistono solo le costruzioni dello spirito, ne deriva che c'è solo da agìre (essendo il pensiero stesso creazione, cioè azione), c'è solo da vivere in una funzione perpetuamente e unicamente costruttrice. Per contemplare è necessario un oggetto: la contemplazione è assimilarsi all'oggetto, abbandono e sottomissione di sé all'oggetto. Il rifiuto dell'oggetto e di ogni sottomissione o dipendenza, conduce fatalmente all'azione pura. Anche qui si vede come il puro pragmatismo marxista si possa allacciare a una origine idealista. Ogni atteggiamento anticontemplativo, ogni attivismo, è sulla via del marxismo.

Ci rimane ora da esaminare come l'idealismo, che guida tutto il pensiero moderno sulla china che conduce al marxismo, abbia potuto nascere e svilupparsi per tappe. Il primo germe di questo idealismo si trova nel secolo XVII in Cartesio, per il quale l'anima umana è un puro pensiero, un puro spirito del tutto indipendente dal corpo e dai sensi (di modo che tutta la vita animale, tutto ciò che non è nell'ordine del puro pensiero, è abbandonato a un completo materialismo, materialismo oltre il quale presso gli enciclopedisti del secolo XVIII non sussisterà piú nulla). Ne deriva che per Cartesio il pensiero non dipende dal reale, è separato dal reale e basta a sé stesso. Se Cartesio mantiene, malgrado questo, una verità che domina il pensiero, ciò avviene perché questo pensiero per lui dipende direttamente da Dio, che è l'unico garante della verità di esso. Circolo vizioso, perché bisogna supporre la verità del pensiero per scoprire la verità di Dio, che diventerà poi la garanzia della verità del pensiero stesso.

Basterà sopprimere questo intervento divino, che assicura al pensiero la sua conformità al reale, perché il pensiero sia definitivamente rinchiuso in sé stesso, senza alcun legame possibile con una realtà, che diventa cosí inconoscibile. Questo passo è compiuto da Kant, primo maestro dell'idealismo moderno e della filosofia tedesca che, da Kant a Fichte e da Hegel a Marx, dominerà tutto il pensiero moderno. Attraverso il kantismo, sorgente profonda del liberalismo sotto il quale abbiamo vissuto per un secolo e mezzo, come attraverso il marxismo, che sta assumendo oggi una cosí grande influenza, l'imperio intellettuale e spirituale del pensiero tedesco si esercita sull'Europa e ne penetra i costumi e le istituzioni. Per Kant, il pensiero è ormai solo creazione dello spirito umano, secondo lo sviluppo autonomo delle sue proprie leggi. Allora non vi e più una verità che s'impone, e questa autonomia del pensiero genera la dottrina della libertà di pensiero, con la quale ogni uomo diventa padrone del suo pensiero, senza che alcuna regola di verità s'imponga a lui. D'altra parte la stessa cosa Kant sostiene riguardo alla coscienza umana, che sarà l'uníca sorgente della propria legge, si creerà da sola la sua regola di condotta o la sua morale, da cui la libertà di coscienza. Queste due libertà, questo fondamentale rifiuto di necessità oggettive che non dipendono dall'uomo e alle quali l'uomo deve sottomettersi, costituiscono l'origine di tutto il liberalismo moderno, della totale rivendicazione d'indipendenza assoluta dell'uomo.

Questa è solo la prima tappa dell'idealismo. La seconda sarà percorsa da Fichte, un discepolo di Kant. Kant supponeva, al di fuori dello spirito creatore del suo pensiero, una realtà inconoscibile: questo reale inconoscibile è ancora troppo per l'idealismo; e in Fichte non rimane che l'Io autore del pensiero, quell'Io il cui dinamismo operante crea il pensiero. Non bisogna credere che queste siano solo fantasticherie di filosofi, senza conseguenze per la vita dei popoli. Costui è quel Fichte dei Discorsi alla nazione tedesca, che sollevò la Germania contro Napoleone (6), discorso che si riallaccia strettamente alla sua filosofia, perché in esso l'autore si richiama al dinamismo germanico contro il feticismo latino e occidentale della realtà stabile. Se non vi è piú una realtà stabile che sia e duri, rimane solo il dinamismo dello spirito operante, ed è finita per le forme stabili del diritto e della morale; resterà solo un'azione senza regola morale, che si adatta al dinamismo della vita e si conforma a tutti i bisogni vitali della potenza germanica. Si comprende quindi che in questo sta la sorgente di tutto ciò che ha costituito la base del germanesimo da piú di un secolo: la rivendicazione dei bisogni della vita, dell'azione, dello spazio vitale, contro il diritto e la morale. Proprio a tale filosofia la Francía deve quattro invasioni.

L'idealismo assoluto, tuttavia, è ancora ben lontano dall'essere realizzato con Fichte, e lo sarà soltanto grazie a Hegel, che regna all'Università di Berlino nel secolo scorso e che avrà Marx come discepolo. In effetti l'Io di Fichte è ancora una realtà con la quale l'idealismo, negatore di qualsiasi realtà, non ha niente da spartire: Hegel percorre l'ultima tappa dell'idealismo ammettendo solo l'Idea pura, la cui evoluzione genera contemporaneamente tutte le coscienze individuali, e tutta la storia del mondo. Nella filosofia di Hegel non esiste piú alcuna realtà, l'Idea è tutto: ecco l'idealismo assoluto. Ma se l'Idea permane, essa non può evolversi e costituire tutta la storia. La storia nascerà da ciò che Hegel chiama la dialettica, e questo è di importanza capitale, perché il materialismo di Marx si caratterizzerà come " materialismo diatettico ". Abbiamo già osservato che l'uomo comune ammette spontaneamente che sí non è no, che sí e no si escludono a vicenda, che ogni cosa è ciò che è, e che l'assurdo o la contraddizione sono impossibili. Hegel (e Marx lo seguirà) rifiuta questa convinzione spontanea: l'Idea non è ciò che essa è, perché diviene, cambia continuamente ed esiste solo per contraddirsi, per rinnegare sé stessa incessantemente, di modo che il sí chiama il no, e si confonde con il no nel mutamento; cosí non vi è nulla di ciò che esiste che perduri se non la contraddizione continua in una continua evoluzione. Con la dialettica, l'idealismo assoluto diventa un evoluzionismo assoluto e se Marx cambierà l'idealismo in materialismo, conserverà però la dialettica e l'evoluzionismo, in modo che si potrà comprendere il suo pensiero solo riallacciandolo a quello di Hegel. La dialettica presenta tre fasi: la tesi, in cui l'idea compare; l'antitesi, in cui si passa alla contraddizione; la sintesi, punto di partenza di una nuova evoluzione. Ogni momento nega il momento precedente, ed è cosí che si crea la storia: la storia è una rivoluzione continua, l'idea è in un movimento continuo di azione rivoluzionaria per far la storia negando, contraddicendo e mutando ciò che è. Tutto ciò che si presenta come realtà si deve negare, distruggere, perche si faccia la storia nella contraddizione e nella rivoluzione continua. Non vi è piú alcuna verità stabile, che sia vera oggi, ieri, domani: affermare e negare non hanno piú senso, l'uno e l'altro si chiamano e si confondono, resta solo l'azione che fa la storia.

Hegel trova nello Stato e nella sua organizzazione militare e amministrativa l'idea che fa la storia; lo Stato è un'idea, una concezione creatrice di storia. E sarà lo Stato prussiano di Bismarck, che non conosce altra legge se non quella del suo proprio sviluppo, o lo Stato totalitario di Mussolini, che assorbe in sé gli individui, poiché le coscienze individuali hanno esistenza solo nell'idea che le produce nella sua evoluzione.

Hegel in realtà è all'origine di tutti i totalitarismi, che cosí sono tutti fratelli, poiché il razzismo hitleriano e il marxismo ne derivano entrambi, sebbene sotto aspetti diversi. Il nostro scopo, in queste pagine, è di soffermarci piú a lungo sul marxismo: occorre tuttavia far notare in poche frasi la derivazione dell'hitlerismo da Hegel. L'hitlerismo è ciò che si potrebbe chiamare una trasposizione vitalistica della filosofia di Hegel: esso si oppone all'idealismo facendo delle idee un semplice prodotto, un semplice strumento o un organo della vita, delle forze vitali che sono il vero agente creatore di storia. E ritroviamo l'evoluzionismo assoluto applicato alla forza creatrice, al dinamismo della vita che si trova al piú alto grado nella razza superiore: la sola legge della storia sarà l'espansione vitale della razza superiore, e non vi sarà altra verità né altro diritto all'infuori delle esigenze continuamente mutevoli dell'espansione vitale della razza. Ed è questa razza superiore il grande agente di rivoluzione, che modella la storia e crea la verità e il diritto con le sue necessità vitali (7). Da tutto ciò derivano quelle che ci sembrano le contraddizioni continue dell'hitlerismo: Hitler potrà dichiarare che riconosce le frontiere della Polonia quando l'espansione tedesca ha bisogno della benevolenza polacca per attaccare i Ceki; poi, sei mesi piú tardi, si scaglierà contro le stesse frontiere polacche quando l'espansione tedesca si volge verso la Polonia. La verità e il diritto in tal modo cambiano con le esigenze di espansione vitale della razza, che fanno la verità e il diritto; la storia è fatta di contraddizioni perenni della vita, il cui dinamismo rivoluzionario unisce il sí con il no, l'affermazione con la negazione, per realizzare un'opera gigantesca di trasformazione.

Ma l'hitlerismo è solo una trasposizione vitalistica dell'idealismo hegeliano. Il marxismo ne è una trasposizione piú completa, una trasposizione materialistica, e quindi un vero capovolgimento.


NOTE
(2) Matteo, 5, 3 7.
(3) L'oggetto è, nel senso etimologico della parola, ciò che sta di fronte, ciò che si ha davanti a sé, ciò che è posto davanti a noi e a noi si impone.
(4) Anche se Protagora e alcuni altri greci - ma sono eccezioni hanno aperto la strada al pensíero moderno.
(5) Ciò non vuol dire, beninteso, che noi non possiamo esercitare un'azíone sulla realtà per trasformarla: questo stesso potere ci è stato dato da Dio. Ma esso può essere esercitato solo in conformità a ciò che è: non si trasforma la realtà se non sottomettendosi a essa e secondo le finalità che il Creatore vi ha incluso.
(6) Kant era contemporaneo della rívoluzíone dei 1789.
(7) L'individuo è ormai soltanto un elemento, una cellula nella vita collettiva della razza.




LA FILOSOFIA MARXISTA

Il marxismo è una trasposizione materialista della filosofia di Hegel: vogliamo con ciò dire che esso si oppone all'idealismo (e opera un vero e proprio capovolgimento del sistema hegeliano) facendo delle idee un semplice prodotto dell'evoluzione delle forze materiali nel cervello umano, di modo che le forze materiali vengano a essere il vero agente creatore di storia. L'Idea, che era tutto per Hegel, non è niente per Marx, se essa non è il prodotto di un cervello, esso stesso prodotto delle forze materiali (8): in questo modo il materialismo è integrale. Ma questo materialismo conserva l'evoluzionismo assoluto di Hegel: non c'è alcuna realtà che sia, che resti o che perduri, vi sono solo forze materiali in perenne conflitto e, di conseguenza, in perenne contraddizione; l'azione e il conflitto di tali forze, creatori di perenni trasformazioni, fanno della storia - che ne è il frutto - una perpetua evoluzione nella contraddizione e nella lotta. Questo materialismo è dunque un materialismo storico, un materialismo per il quale non esiste niente altro che la storia, ed essa stessa è solo un cambiamento incessante, generato dalle forze materiali in incessante lotta. Esso, poi, è anche un materialismo dialettico, essendo l'evoluzione storica fatta di un ritmo di opposizioni generatrici di cambiamento ed essendo ritmata per tesi, antitesi e sintesi, come in Hegel. Non vi è dunque per Marx alcuna verità che meriti un sì o un no, che darebbe un senso a un'affermazione, ma sí e no, affermare e negare, si chiamano e si confondono nella contraddizione, principio del cambiamento; l'evoluzione nega domani ciò che oggi afferma, soltanto la contraddizione è regina e non esiste alcuna verità da affermare.

Ci si inganna dunque profondamente quando si dà alla parola "materialismo" il suo significato piú comune, per attribuirlo al marxismo. Marx ha definito la sua filosofia come materialismo "storico" o "dialettico": la maggior parte dei nostri contemporanei, ignorando Hegel e non sapendo ciò che questo significhi, dimenticano le parole "storico" o "dialettico" e perciò considerano il marxismo come un materialismo comune, non ricordando altro che la parola "materialismo". Ora, si chiama normalmente materialismo la filosofia che considera la materia come l'unica realtà; tuttavia questo materialismo ammette una realtà, quella della materia, di una materia che esiste e che dura e che è la sostanza di cui sono fatte tutte le cose. Essa ammette dunque una verità, la verità che afferma la realtà della materia e spiega tutto con la sola materia. Marx ha solo, sarcasmi per questo materialismo, che qualifica come materialismo "contemplativo" o "dogmatico" (contemplatívo, perché considera la materia come una realtà o un oggetto da conoscere; dogmatico, per la sua affermazione della realtà della materia) opponendolo al suo materialismo storico o dialettico. Per Marx non vi è alcuna realtà materiale che esista e duri, vi sono solo forze materiali la cui azione perennemente trasformatrice non lascia esistere nulla (9). Non è dunque la materia, ma il conflitto incessante delle forze materiali in azione, a costituire la base della sua filosofia. Ricordiamo di aver sentito qualcuno affermare, con lo scopo di spiegare che il marxismo è il materialismo piú totale che possa esistere, definirlo come "la filosofia che fa della materia un assoluto": è impossibile mostrare una incomprensione piú completa del marxismo, poiché il primo principio del marxismo è precisamente che non vi è alcun assoluto, che non vi è niente che possa essere posto come avente un'esistenza che basti a sé stessa e che duri, che vi sono soltanto le forze in lotta, le quali non lasceranno mai esistere né durare nulla (10).

Lo spirito, per Marx, non ha un grado maggiore di esistenza della materia stessa: esso è il prodotto delle forze materiali. Ma può essere uno strumento potente dell'azione d'elle forze materiali agenti nella storia; e i marxisti non temeranno - a causa della natura del loro materialismo - di servirsi all'occorrenza di un linguaggio spiritualista, per prendere in esame l'azione storica delle idee o di altre forze spirituali (morali o religiose, per esempio) quali organi potenti per l'azione delle forze materiali che lottano e agiscono attraverso i cervelli umani. Dottrina, ideali, costumi, doveri, religione, tutto questo è solo il prodotto delle forze materiali e lo strumento della loro azione. Neppure l'individuo ha un grado maggiore di esistenza propria: egli è solo una rotella dell'immenso conflitto delle forze materiali che modella la storia.
Quale sarà il posto e il destino dell'uomo in una simile concezione? L'uomo non ha piú verità da conoscere: non c'è alcuna realtà esistente o stabile che possa essere oggetto di conoscenza, neppure la materia, come nel materialismo contemplativo o dogmatico (11).
Ogni ricerca di verità, ogni affermazione di dottrina, ogni atteggiamento contemplativo, sono impietosamente rifiutate. Non resta che agire, realizzarsi per mezzo dell'azione, coinvolgendo sé stessi nella lotta e nel conflitto, esercitare l'azione trasformatrice, che plasma l'evoluzione perpetua della storia. Non v'è esistenza che nell'azíone, e nell'azione materiale: non si esiste se non agendo e trasformando continuamente sé stessi attraverso la propría azione. Per Marx l'uomo non è niente altro all'infuori dell'azione materiale che svolge, e non possiede realtà diversa dall'azione materiale da lui esercitata. Questa è l'essenza stessa del marxismo, che è una filosofia dell'azione materiale pura, un totalitarismo dell'azione materiale (come l'hitlerismo è un totalitarismo dell'espansione vitale). Ne risulta immediatamente che per il marxismo l'uomo tanto piú esisterà e tanto piú sarà uomo, quanto piú eserciterà un'azione materiale potente: e qui è contenuto tutto il marxismo.
Con la sua azione materiale l'uomo fa la storia, cosí che tutta la storia umana, è solo la storia dell'azione produttiva dell'umanitá e nient'altro che il conflitto tra le forze produttive; ogni epoca della storia è solo un sistema e una lotta di forze produttive. L'uomo esiste perché modifica il mondo con il suo lavoro, l'umanità si genera dal conflitto delle forze produttive. L'uomo è lavoro ed esiste solo modificando il mondo col suo lavoro: nell'uomo vi è solo il lavoratore. Il lavoratore è l'essenza dell'umanità, il marxismo è un totalitarismo del lavoro.
Pertanto non è solo la storia che l'uomo crea e trasforma senza tregua con la sua azione materiale, ma anche e soprattutto sé stesso.
Cogliamo qui fino a che punto marxismo e cristianesimo siano agli antipodi e diametralmente opposti . Il cristianesimo pensa che l'uomo sia stato creato da Dio e abbia ricevuto da Dio una natura umana stabile che lo fa essere e rimanere uomo, il marxismo invece pensa che l'uomo si crei da sé, si dia da sé la propria esistenza e si modifichi senza tregua per mezzo della propria azione materiale. Non si può elíminare l'idea di Dio in un modo piú totale che sopprimendo l'idea di qualsiasi esistenza che venga da lui per riconoscere soltanto quella di un'azione eternamente modificatrice.
Il marxismo non riconosce alcuna natura umana stabile che faccia sí che l'uomo sia uomo. L'uomo con la sua azione si dà da sé stesso la sua natura e la modifica senza sosta; l'uomo cambia la sua natura cambiando il sistema delle forze produttive. Il lavoratore industriale di oggi non è piú lo stesso uomo che era il contadino e l'artigiano di un tempo; ha cambiato natura, è un'altra umanità che si è generata attraverso la rivoluzione industriale, come è una nuova umanità che deve generarsi attraverso la rivoluzione marxista (12). Ogni grande opera storica è dunque un vero snaturamento dell'uomo: essa consiste nel cambiare l'essenza dell'umanità. Da qui la volontà marxista di strappare il piú possibile l'uomo alla natura, al ritmo naturale delle stagioni e della vegetazione, che sfugge in parte alla sua azione (13), per giungere a un mondo completamente meccanizzato che sia pura creazione del lavoro umano. Si tratta di ricreare un mondo che non sia quello creato da Dio, ma soltanto opera dell'uomo. In questo senso il marxismo è un umanesimo totale; per esso niente esiste se non attraverso l'azione umana, e non riconosce niente altro che l'uomo, il quale si fa da sé attraverso la propria azione (14).
L'azione umana, come la concepisce il marxismo, è essenzialmente rivoluzionaria: l'uomo tanto piú esisterà e sarà tanto piú uomo, nella misura in cui trasformerà piú profondamente ciò che esiste e trasformerà piú profondamente sé stesso Nel rifiuto assoluto di ogni verità da conoscere o ríconoscere, di ogni contemplazione di ciò che è, il marxismo chiama l'uomo alla piú gigantesca opera di rivoluzione, alla piú potente azione di trasformazione e di sconvolgimento. Per Marx non vi è altra verità all'infuori delle esigenze dell'azione materiale piú potente e delle necessità dell'azione rivoluzionaria. A seconda del cambiamento di queste esigenze e di questi bisogni, la verità cambierà dall'oggi al domani, il sí si muterà in no, poiché l'affermazione non esprime alcuna verità e ha il solo scopo di esprimere le esigenze dell'azione. Non è dunque per conversione, né per ipocrisia che i comunisti cambiano senza tregua, e dicono e fanno ogni giorno il contrario di ciò che hanno fatto e detto il giorno precedente; ciò è conforme alle piú pure esigenze del marxismo ed essi non sarebbero marxisti se agissero diversamente; poiché il marxismo è un evoluzionismo integrale, essi devono - in quanto sono marxisti - evolversi e contraddirsi senza tregua. Bisogna, una volta per tutte, convincersi che ciò che essi dicono non esprime alcuna verità, ma unicamente le esigenze della loro azione, poiché per essi niente esiste all'infuori di questa azione. L'azione è una evoluzione perpetua in cui il sí diventa no a ogni momento. Riconoscere una verità, equivarrebbe a riconoscere qualche cosa che esiste, e con ciò rinunziare a trasformarla con la propria azione. Per Marx, conoscere è niente, condurre un'azíone è tutto (15).
Marx non s'interessa maggiormente a un ateismo contemplativo o dogmatico che a un materialismo ugualmente contemplativo o dogmatico: il suo è un ateismo pratico, un rifiuto di Dio attraverso l'azione creatrice di una umanità e di un mondo che non vengono da Dio. Ma il rifiuto di Dio è in questo modo molto piú totale che in un ateismo dottrinale. Per rifiutare completamente Dio occorre un rifiuto totale di tutto ciò che è stato creato da Lui o che viene da Lui. Dunque non bisogna accettare nessuna realtà stabile, nessuna natura durevole che sarebbe nell'uomo e nelle cose, nessuna verità costante, ma occorre opporsi sempre a ciò che esiste trasformandolo con l'azione rivoluzionaria. Con essa ci si crea e si crea la storia, nel rifiuto di ogni dipendenza da Dio, e ci si pone in un atteggiamento che cosi è totalmente "senza Dio". Non solo in modo dottrinale, ma con il rifiuto pratico e totale di Dio i comunisti sono senza Dio, perciò essi si professano "senza Dio militanti". E qui, per qualificare il loro materialismo, bisogna porre l'accento sulla parola "militanti", come sulla parola "storico". Questa parola, "militanti", significa che si sopprime Dio non con una negazione intellettuale, come nell'ateismo dottrinale, ma con l'azione e la lotta rivoluzionaria contro tutto ciò che viene da Lui, contro tutta la sua creazione. Vedremo piú avanti come ciò può, in certe tappe dell'azione rivoluzionaria, accordarsi perfettamente con la tolleranza religiosa e perfino con la mano tesa alla religione.
Il marxismo va all'estremo della rivendicazione d'indipendenza totale della creatura, ed è con ciò soprattutto che esso è l'ultimo frutto di tutto il pensiero moderno: è il rifiuto definitivo di qualsiasi realtà da cui l'uomo dipenderebbe e che gli si imponesse, sia che si tratti di una verità qualsiasi, di una realtà da conoscere cosí com'è, o che si tratti della sua stessa natura umana. Con l'azione, e l'azione sola, facendo sé stesso e la storia senza dipendere da nulla e da nessuno e senza accettare alcunché di esistente, l'uomo conquista una indipendenza assoluta, essendo solo creatore e trasformatore attraverso l'azione e nient'altro. Non è possibile un rifiuto piú assoluto di ogni oggetto, di ogni esistenza che sia posta dinanzi e prima dell'attività umana che s'imponga a questa e la sottometta: la nostra azione non è sottomessa a niente e non dipende da nulla di esistente, c'è solo ciò che essa fa, nient'altro che l'azione pura.

Occorre qui fare bene attenzione a ciò che è la pura azione materiale rivoluzionaria per un marxista. Per l'uomo comune l'azione ha uno scopo, si agisce per ottenere o realizzare un bene, di modo che l'azione è subordinata o sottomessa a questo bene ricercato, il quale costituisce cosí un oggetto posto dinanzi al nostro volere come la realtà da conoscere dinanzi alla nostra intelligenza. E' evidente che il marxismo, non ammettendo alcuna dipendenza né alcun oggetto, non ammetterà neppure un bene da amare o realizzare in misura maggiore di quanto ammette che vi sia una verità da conoscere. Un bene e un male la cui distinzione e opposizione si impongano a noi, sono altrettanto inaccettabili per il marxismo quanto un sí e un no, una verità e un errore. Per il marxismo non vi è bene da amare né da realizzare, non c'è che l'azione da condurre. Ammettere un bene che sia un fine, qualche cosa di buono che si debba amare perché è buono, significherebbe imporre una dipendenza all'azione umana. Il marxista che vive il suo marxismo non può amare nulla, poiché l'amore mette in dipendenza dell'oggetto amato; il marxismo è il rífiuto definitivo di ogni amore come di ogni verità (16). Se un comunista ci presenta qualche ideale come un fine, per esempio l'ideale di giustizia sociale messo innanzi alle rivendicazioni operaie, oppure l'ideale patriottico, proposto oggi al popolo russo o al popolo cinese, è unicamente perché la presenza di un ideale nei cervellí umani diventa in questi casi un mezzo efficace per trascinarli all'azione e alla lotta, un organo o uno strumento d'azione e di lotta delle forze materiali. Stiamo certi, però, che il comunista che vive il suo marxismo, ha in vista solo l'azione rivoluzionaria e la lotta da condurre (17); l'ideale che mette avanti è solo un mezzo per condurre meglio tale azione e tale lotta, e non ha, in sé stesso, alcun valore ai suoi occhi: esiste solo in funzione di questa azione e di questa lotta e solo per tutto il tempo che è utile a essa.

Questa esposizione del marxismo ci mostra a qual punto, in tutto e totalmente, il marxismo stesso sia esattamente il contrario e l'opposto del cristianesimo e di tutte le concezioni cristiane, e con quale intelligenza inaudita e a dire il vero sovrumana, esso prenda di contropiede il cristianesimo e realizzi praticamente il materialismo e l'ateismo infinitamente meglio delle dottrine materialiste o atee. La filosofia cristiana dimostra l'esistenza di Dio partendo dall'esistenza dell'uomo e dell'universo e come causa e origine di questa esistenza; essa insegna che, se non ci fosse Dio a comunicare l'esistenza a esseri che non se la sono potuta dare da soli, bisognerebbe concludere che niente esiste. Il marxismo fa fronte rigorosamente a questa prova ammettendo che, effettivamente, niente esiste, e conclude che Dio non esiste poiché niente esiste; supponendo poi che si trovi, di fronte a noi o in noi, qualche esistenza che sia il segno e la traccia di Dio, esso insegna che non bisogna accettarla, ma sopprimerla attraverso l'azione rivoluzionaria che gli è propria. Cosí il marxismo resta solo un umanesimo esclusivo, che ammette solo l'azione umana. A questo umanesimo esclusivo il pensiero moderno, imperniato esclusivamente sull'uomo, doveva fatalmente pervenire. Chiunque vuole riconoscere soltanto la crescita e l'indipendenza dell'individuo o della persona umana, o anche della collettività o della società umana, e rifiuta di sottomettere tale crescita e indipendenza a Dio e alla sua legge e di orientarle verso Dio, apre fatalmente la strada al marxismo, sebbene solo il marxismo giunga al termine di questa strada. Chiunque rifiuterà il primato della contemplazione, l'abbandono dell'intelligenza a una verità da conoscere e della volontà a un bene da amare, per rifugiarsi nell'ebrezza dell'azione pura e curarsi solo di agire, è sulla strada del marxismo. Il capitale o l'industriale del secolo scorso o di oggi, che fa del lavoro produttivo e dei suoi risultati materiali lo scopo e l'essenza della vita umana, pianta un albero di cui il marxismo sarà il frutto. Tutti coloro che annunciano che la civiltà futura sarà una "civiltà del lavoro", ossia una civiltà in cui il lavoro è il valore supremo della vita, sanno poi che l'unica civiltà totalmente e unicamente "del lavoro" è il marxismo?
Ma al punto di crisi a cui siamo giunti oggi, le soluzioni di compromesso non sono piú possibili: si tratta di essere o marxisti o cristiani. Tra comunismo e cristianesimo bisogna scegliere: non si possono associare le due cose, o metterle d'accordo, o farle collaborare.
Lo studio della filosofia marxista che abbiamo fatto sarebbe sufficiente se il marxismo fosse una dottrina. Ma esso non è una dottrin7a, nel senso corrente di questo termine, poiché non ammette alcuna verità da affermare al di fuori delle verità continuamente mutevoli e contradditorie che risultano dalle esigenze dell'azione rivoluzionaria (18). Abbiamo mostrato la sua natura profonda dicendo che il marxismo è la ricerca dell'azione materiale piú potente, dato che l'uomo esiste ed è uomo solo per mezzo di questa azione. Ne deriva che, nel marxismo, la filosofia non esiste senza l'azione, che essa si confonde con l'azione stessa, poiché afferma soltanto ciò che l'azione le fa affermare; di conseguenza non vi è filosofia marxista senza azione marxista e l'azione rivoluzionaria appartiene all'essenza stessa della filosofia, non avendo la filosofia altra funzione che non sia quella di realizzare l'azione materiale piú potente. Per un comunista cosciente del proprio marxismo, il comunismo non è una verità (ed è per questo motivo che egli potrà senza tregua contraddirsi senza conversione e senza ipocrisia, ma in virtú del suo stesso comunismo e rimanendo perfettamente comunista), il comunismo è un'azione. Se ci si vuol rendere conto fino a che punto i capi del comunismo francese abbiano coscienza di ciò, c'è solo da citare la conferenza di Jacques Duclos, già citata all'inizio dì questo studio: "Ciò che la la forza della teoria marxista leninista è cbe essa permette al partito di orientarsi in una situazione data [...] La teoria marxista-leninista non è un dogma, ma una guida per l'azione". Questa teoria ha solo il significato di dire in quale modo sia possi bile realizzare l'azione materiale piú potente (19). Nel marxismo vi sono soltanto prese di posizione per l'azione - dunque mutevoli e contradditorie - perché la sola realtà del marxismo è l'azione (20). Ciò ha come conseguenza capitale che non avrebbe alcun senso dire che si collabora o ci si allea con l'azione dei marxísti pur rifiutandone la dottrina: poiché il marxismo si identifica con l'azione marxista, collaborare o allearsi con l'azione marxista significa collaborare o allearsi con il marxismo stesso.

Dunque, la natura stessa del marxismo esige che completiamo il nostro studio, esponendo l'azione marxista e il suo sviluppo da Marx e da Lenin ai giorni nostri.



NOTE

(8) L'idealísmo era obbligato ad arrivare a questo punto: se l'idea non è piú l'espressione - evidentemente spirituale - di una realtà conosciuta, la si deve ormai considerare soltanto un prodotto del cervello.
(9) "Tutto ciò che esiste merita di morire", dice Engels.
(10) Per il filosofo che riflette, il marxismo è, per questo evoluzíonístno e relativismo assoluti, proprio il materialismo piú materialista che possa esistere. Infatti, una materia che fosse una sostanza avente una realtà durevole, avrebbe una natura stabile e determinata. Ciò sarebbe qualcosa di diverso dalla pura passività e in eterminazione de a materia stessa, potendosi incontrare questa pura passività e indeterminazione solo nella instabilità perpetua.
(11) Engels dice: "Questa filosofia dialettica dissolve tutte le nozioni di verità assoluta, definitiva, e le condizioni umane assolute che vi corrispondono. Non vi è niente di definitìvo, di assoluto, di sacro davanti a essa; essa mostra la caducità di tutte le cose e non esiste altro per essa che il processo ininterrotto del divenire e del transitorio".
(12) Marx scrive: "Tutta la storia è solo una trasformazione continua della natura umana".
(13) Questo è stato mirabilmente chiarito in Taille de l'bomme di Ramuz.
(14) Marx scrive: "La filosofia non si nasconde, che la professione di Prometeo - in una parola Odio tutti gli dei - è la sua professione, il discorso cbe essa tiene e terrà sempre contro tutti gli dei del cielo e della terra che non riconoscono la coscienza umana come la piú alta divinità". "La critica della religione perviene alla dottrina che l'uomo è l'Essere supremo per l'uomo".
(15) "Non si tratta di conoscere il mondo, ma di trasformarlo" (Marx).
(16) Lunaciarsky scrive: "Abbasso l'amore del prossimo. Ciò che ci occorre è l'odío. Dobbiamo ímparare a odiare: cosí arriveremo a conquistare il mondo".
(17) "La nostra morale è interamente subordinata alla lotta di classe" dice Lenin. Perciò bisogna essere pronti a usare "tutti gli stratagemmi, le astuzie, i metodi illegali, essere decisi a tacere, a celare la verità".
(18) Stalin ha definito il leninismo "il marxismo dell'epoca dell'imperiatismo e della rivoluzione proletaria" per ben sottolineare che c'è una filosofia solo per una certa epoca, in funzione delle condizioni dell'azione. "La strategia - dice - muta ogni volta che la rivoluzione passa da una tappa all'altra".
(19) Stalin afferma: "il leninismo è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria".
(20) Lenin dice: "La teoria rivoluzionaria non è un dogma: essa si forma definitivamente solo in stretto legame con la pratica di un movimento realmente di massa e realmente rivoluzionario". E Stalin aggiunge: "Basata su una data tappa della rivoluzíone, la tattica può variare a piú riprese, secondo i flussi e i riflussi, secondo il progresso o il declino della rivoluzione".





L'AZIONE MARXISTA

L'azione rivoluzionaria marxista, in seguito a ciò che abbiamo appena spiegato, è molto diversa dalla nozione corrente di rivoluzione. Per l'uomo comune, che si propone di realizzare un bene, una rivoluzione è un mezzo in vista di un fine, che è una società migliore e durevole. Tale non è evidentemente la concezione del marxista, per il quale non vi è un bene da realizzare, ma soltanto un'azione da condurre. L'azione rivoluzionaria non è per lui un mezzo: essa stessa è voluta come l'opera gigantesca nella quale l'uomo nuovo creerà sé stesso, si tratta di trovare i mezzi di quella azione rivoluzionaria. Ora, all'epoca di Marx, si presenta un mezzo eccellente: l'estrema miseria e la totale insoddisfazione della classe proletaria. La felicità del proletariato non rappresenta un fine per il marxista, come si crede comunemente, ma la miseria del proletariato un mezzo per l'azione rivoluzionaria.

Niente poteva essere più conforme ai bisogni del marxismo quanto la condizione del proletariato nel secolo XIX. Per sviluppare una volontà rivoluzionaria totale, che non voglia conservare niente, che non mantenga niente di conservatore, che voglia trasformare tutto, creare una società completamente nuova, ci volevano uomini che non avessero rigorosamente niente, che fossero strettamente spogli di tutto. Ciò non fu sempre il caso del povero o dell'operaio, ma nel secolo scorso fu esattamente il caso del proletario. Supponiamo una classe di uomini che siano poveri, persino molto poveri, ma che per l'insieme delle istituzioni, delle abitudini, dei costumi, dispongano ciò nonostante di un certo numero di diritti, di una certa stabilità delle loro condizioni di vita e per conseguenza di una certa sicurezza di durata; che, tutto sommato, abbiano una condizione di vita assicurata e un posto riconosciuto nella società, per quanto piccolo esso sia. Questi uomini saranno forse malcontenti della loro situazione, ne reclameranno forse il miglioramento: reclameranno dunque certe trasformazioni, ma non reclameranno mai una trasformazione totale, non saranno mai totalmente rivoluzionari; essi hanno ancora qualche cosa da conservare, per quanto poco sia, e ancora per qualche aspetto parteggiano per l'ordine stabilito.

In tal modo l'operaio delle antiche corporazioni poteva in certi periodi vivere molto poveramente, ma aveva nella sua corporazione uno stato di vita riconosciuto, certi diritti, qualche cosa di sicuro. Era perciò radicato nel l'ordine sociale, non era "proletario" nel senso in cui questa parola significa che non si è più partecipi, attraverso nessuna radice, dell'ordine sociale esistente, perché non vi si ha nessun diritto riconosciuto, nessuno stato di vita stabilito, nessuna sicurezza, e vi ci si trova come un semplice straniero, un viandante o un vagabondo, cioè in una instabilità totale. Ora, per il marxismo, tutto ciò che è stabilito o esistente, tutto ciò che ha stabilità o durata, è una abominazione, perché ostacola l'azione rivoluzionaria. Ciò di cui il marxismo ha bisogno è precisamente il proletariato.

A causa del liberalismo che ha soppresso ogni istituzione professionale per lasciare sussistere solo individui isolati completamente liberi, soltanto coloro che possiedono strumenti di lavoro avranno una certa sicurezza, un regime stabilito e durevole di vita e di lavoro.

Gli altri hanno per vivere solo la forza delle loro braccia da affittare giorno per giorno a quelli che possiedono gli strumenti di lavoro, che li adoperano a loro piacimento, avendo tutta la libertà di sfruttarli; essi divengono proletari, che non hanno nessun diritto da far valere, nessuna certezza del domani, nessuna di vita e di lavoro; costoro non sono più legati da nulla a una società che li ignora, non riconosce loro alcun posto, non fa che utilizzarli. In breve, essi sono abbandonati a uno sfruttamento totale, non avendo alcun diritto sugli strumenti di lavoro né sui frutti del loro lavoro, interamente posseduti da altri. Marx, che ha mirabilmente analizzato ciò, dirà che non si è fatto loro un torto parziale, ma un "torto totale"; essi si troveranno dunque di fronte al mondo esistente come inesistenti, in uno stato di negazione totale: cioè essi sono pronti per l'azione rivoluzionaria totale che Marx cerca. Non essendo inquadrati in alcuna forma sociale esistente, essendo sradicati da tutto ciò che ha esistenza stabile nella società, essi hanno la perfetta instabilità e l'indeterminazione della pura materia, e saranno la materia con cui si farà l'azione rivoluzionaria.

Il marxismo, che si identifica con l'azione materiale più potente, si identificherà dunque con l'azione rivoluzionaria del proletariato e consisterà nel determinare l'azione rivoluzionaria del proletariato. Il proletariato, per Marx, è la classe il cui stato completamente spoglio e sradicato creerà una potenza rivoluzionaria che permetterà l'azione più gigantesca di trasformazione e di produzione di un mondo nuovo. Tutto dunque consisterà nel fatto che i proletari prendano coscienza della loro solidarietà di classe nella loro comune miseria, e del loro ruolo rivoluzionario, del loro stato comune di sfruttamento e dell'azione rivoluzionaria alla quale questo stato li chiama: in poche parole, tutto consisterà nel far nascere in loro ciò che Marx chiama la "coscienza di classe" (21), la coscienza di essere una classe sfruttata, di essere solidali in questo sfruttamento, e, cominciando da questo, solidali anche nel condurre una lotta di classe, la lotta di coloro che non soltanto non hanno nulla, ma che non sono nulla, contro tutti i possidenti, tutti gli inseriti, tutti coloro che sono qualcosa nell'ordine sociale esistente. Bisognerà anche far prendere coscienza ai proletari della forza materiale del loro numero, della potenza materiale che essi rappresentano una volta uniti tutti nella solidarietà di classe e nell'azione rivoluzionaria. La lotta di classe dovrà essere interamente materialista: ogni ricerca di un bene spirituale, di un ideale religioso o morale distoglierebbe il proletariato dalla pura rivendicazione dei beni materiali di cui è stato spossessato secondo la formula classica, essa sarebbe per lui un "oppio" e gli impedirebbe di essere totalmente dedito all'azione rivoluzionaria di classe.

Ogni legame religioso, ogni legame con la famiglia o la patria, che rappresenti una stabilità qualsiasi, che porti il proletario a legarsi a qualche cosa, a non essere totalmente escluso, dovrà essere combattuta: il proletario deve essere totalmente dedito alla sua coscienza rivoluzionaria, alla sua lotta di classe al di sopra delle frontiere di tutti i legami umani (22). Da qui la formula internazionale: "Proletari di tutto il mondo, unitevi".

La sola collettività che il proletario deve conoscere è dunque la collettività di classe: è la sola dove non sia uno straniero, poiché non è più legato da nulla ad alcun ordine esistente. Ma dal disegno di questa collettività di classe, emerge il collettivismo integrale (da cui il nome di comunismo preso dal marxismo). La potenza materiale che deve imporsi e creare un mondo nuovo esiste soltanto nella collettività proletaria unita: l'individuo di per sé non è nulla, esisterà solo acquisendo la coscienza di classe, fondandosi nella sua collettività di classe, diventando un elemento della forza materiale collettiva della sua classe. Non si tratta di ottenere che gli strumenti di produzione cambino di mano rimanendo oggetto di proprietà individuale (23): si tratta di ottenere, e in questo consisterà il comunismo, la loro appropriazione collettiva da parte della classe proletaria organizzata per lo Sfruttamento collettivo di tutte le ricchezze del mondo; di realizzare così la più grande potenza materiale di produzione, la gigantesca potenza materiale collettiva di trasformazione della terra per mezzo dell'industria umana che oggi la Russia sovietica vuole incarnare (24). Per quest'opera del proletariato organizzato, l'individuo dovrà piegarsi a una disciplina di ferro: sarà solo una rotella dell'azione rivoluzionaria collettiva, un meccanismo della potenza materiale collettiva, utilizzato come uno strumento per la potenza collettiva, come lo era lo schiavo dell'antichità.

Abbiamo visto che il proletario è lo strumento privilegiato per l'azione marxista a causa del suo stato di sfruttamento completo, che gli permette di essere totalmente rivoluzionario; ma lo è anche perché questo stato di proletario si riscontra proprio nella classe dei lavoratori dell'industria, e sappiamo che per Marx l'uomo non è nient'altro che il lavoratore: esiste solo trasformando il mondo con la sua industria. Basterà dunque che il proletariato organizzato si impadronisca collettivamente degli strumenti di lavoro per realizzare una società nuova che sarà solo lavoro, e in cui nessuna vita familiare, morale o religiosa distoglierà gli uomini dall'unica attività di lavoro dall'attività di potenza materiale di produzione per trasformare il mondo; in tale società tutta l'umanità sarà solo un unico produttore collettivo infinitamente potente, essendo ormai il singolo individuo soltanto un membro, un organo della potenza collettiva. Il marxismo viene così a identificarsi con la volontà di potenza materiale collettiva della classe proletaria.

Anche qui, sul piano del lavoro e della vita economica, l'opposizione assoluta tra il comunismo e il cristianesimo appare evidente. Nella concezione cristiana della vita, il lavoro è un mezzo, mezzo necessario che costituisce anche un dovere, ma soltanto un mezzo, per assicurare all'uomo le risorse materiali che gli sono necessarie e permettergli con questo di conseguire la perfezione della sua vita umana nelle attività superiori di ordine intellettuale, artistico, educativo, familiare e sociale, religioso. Il marxismo non ammette un bene superiore in vista del quale il lavoro sarebbe un mezzo: l'uomo si realizza nel lavoro e con il lavoro stesso. Il cristianesimo considera tutte le attività economiche (25) - produzione, scambio, attività di qualsiasi mestiere - come destinate ad assicurare il benessere delle famiglie dove gli uomini nascono, sono educati, conducono la loro vita, poiché la produzione materiale ha valore solo nella misura in cui serve alla vita degli uomini. L'economia marxista mira solo alla potenza materiale collettiva più gigantesca che possa esistere e riduce gli uomini a strumento di questa potenza (26): poco importa alla Russia sovietica che in un certo anno, masse di esseri umani siano morte di fame, se ciò ha permesso di realizzare una certa tappa del piano quinquennale, mirante all'instaurazione della più grande potenza collettiva. Come l'hitleriano vive solo nella potenza vitale della razza, a causa di essa e per essa, così il comunista vive solo nella potenza materiale collettiva, a causa di essa e per essa.

Sappiamo, d'altronde, che per Marx la società umana è solo un insieme di rapporti di forze materiali di produzione, e che questi rapporti di forze devono causare la rivoluzione proletaria. Le idee che la propaganda fa nascere e diffonde sono soltanto le leve o le chiavi con le quali le forze materiali fanno presa sui cervelli per trascinare gli individui alla lotta. Ciò spiega perché la propaganda comunista - esattamente come quella hitleriana - non cerchi affatto di convincere di una verità, ma di trovare i mezzi più efficaci e gli slogan più adatti a far presa sui cervelli, poco importa se siano veri o falsi: l'importante è che siano efficaci e, in ogni caso, li si cambierà secondo le circostanze (27). L'espressione "imbottire i cervelli" trova qui il suo significato più letterale, che non ha niente di peggiorativo da un punto di vista marxista: la propaganda e l'introduzione materiale nei cervelli della massa di idee-forza (28) che li faranno agire per la lotta rivoluzionaria (29).

Chiarita la natura dell'azione rivoluzionaria marxista, ci resta ora da esaminare il suo sviluppo storico. Quando l'azione rivoluzionaria marxista comincia a porsi come tesi (non dimentichiamo la dialettica e l'evoluzione tesi - antitesi - sintesi), essa trova come ostacolo tutto ciò che esiste e costituisce un fattore qualsiasi di stabilità, tutto l'ordine sociale esistente, ed essa si opporrà alla totalità di questo ordine stabilito e a tutto ciò che può rappresentarvi una parte di conservazione o di durata (30). Questa totale opposizione potrà dare allora al marxismo un aspetto anarchico o nichilista: in realtà non vi è in esso un solo atomo di anarchia, poiché la lotta rivoluzionaria distruttrice è condotta con una disciplina di ferro e una coesione formidabile (31), che devono portare alla disciplina di ferro della collettività proletaria trionfante. Lo Stato comunista sarà il più dittatoriale e il più totalitario degli Stati (32), poiché deve asservire totalmente l'individuo alla potenza materiale collettiva.

L'opposizione totale a tutto ciò che è stabilito, opposizione che costituisce la tesi marxista - cioè la prima fase dell'azione rivoluzionaria - prende di mira particolarmente la proprietà, l'esercito e la patria, la famiglia e la religione.

La proprietà sarà considerata come una abominazione, perché lega l'uomo a qualche cosa di esistente e lo radica. Essa impedisce agli uomini di essere proletari interamente disponibili per l'azione rivoluzionaria e, inoltre, per la potenza materiale collettiva. Ci si è talvolta stupiti nel vedere l'azione politica dei marxisti favorire lo sviluppo delle grosse, concentrazioni anonime capitaliste e danneggiare la piccola proprietà personale, contadina e artigiana. Questo stupore dimostra che non si è compreso niente del marxismo e che lo si immagina sotto la forma semplicistica della difesa dei "piccoli" contro i "grandi": il marxismo, al contrario, è la ricerca di una azione rivoluzionaria per la quale occorre il più grande numero di grossi possidenti. I piccoli proprietari, i piccoli padroni, non sono proletari; essi costituiscono qualche cosa di stabile, il cui grande numero sarebbe un ostacolo all'azione rivoluzionaria (33). Il grande numero dei piccoli proprietari soddisfatti renderebbe impossibile, alla collettività proletaria, l'appropriazione collettiva di tutti i beni. Il marxismo si comporta dunque in modo da favorire una proletarizzazione crescente, cioè da aumentare ogni giorno la grande massa dei proletari. Bisogna perciò che tutta la proprietà sia sempre più concentrata nelle mani di pochi: la più forte concentrazione capitalistica prepara la rivoluzione proletaria, che avrà solo da espropriare qualche grosso organismo capitalista per rimettere tutto nelle mani della collettività proletaria. Si nazionalizzano gli stabilimenti Renault, non si nazionalizza un garage o un meccanico di paese. Dunque, la Renault apre la via al marxismo, mentre il garagista di paese gli sbarra la strada. Il supercapitalismo è d'altronde un inizio di collettivismo, perché concentra una proprietà immensa nelle mani di un solo organismo capitalista. Un piccolo numero di grossi organismi capitalisti anonimi, proprietari di tutto, si avvicina molto di più all'unica collettività proletaria anonima, proprietaria di tutto, che non milioni di piccoli proprietari e di piccoli padroni. Nel supercapitalismo, come nel collettivismo, il lavoratore è solo una rotella di un formidabile meccanismo anonimo. Marx, d'altra parte, ha analizzato con una lucidità mirabile come il desiderio sfrenato di guadagni sempre maggiori, desiderio scatenato dal liberalismo, trascina con sé fatalmente una concentrazione di capitali sempre maggiore e una proletarizzazione delle masse sempre in aumento, e come ciò a sua volta porti fatalmente alla rivoluzione proletaria e alla concentrazione totale nelle mani della collettività proletaria. Il marxismo deve, dunque combattere particolarmente tutto ciò che potrebbe sostenere la piccola proprietà personale e il piccolo padronato. Allo stesso modo deve combattere ogni tentativo di restaurazione corporativa che restituirebbe al lavoratore un posto riconosciuto e uno stato di vita in una organizzazione professionale e lo toglierebbe dalla condizione proletaria, radicandolo in un ordine sociale esistente.

Quando il marxismo si pone - al tempo della tesi - come lotta rivoluzionaria contro l'ordine stabilito, deve inoltre combattere l'esercito, la cui forza è al servizio di questo ordine stabilito, e la patria, nella quale gli uomini potrebbero trovare qualche legame con la società esistente, qualche radice nelle tradizioni stabilite. Se il proletario è uno sradicato totale, è anche un senza patria o non ha altra patria che la patria internazionale della classe proletaria rivoluzionaria. Questa fase dell'azione marxista è espressa da un inno come L'Internazionale.

Anche la famiglia è un elemento di continuità sociale, di durata, dunque di radicamento; essa non potrebbe trovare posto nella lotta rivoluzionaria, perché potrebbe solo impedire di darsi totalmente all'azione rivoluzionaria.

Quanto alla religione, sarà evidentemente la peggiore abominazione per il marxismo, poiché pretende di legare l'uomo a una verità e a un bene assoluti, in ultima analisi a Dio. "Ogni idea religiosa è un'abominazione indicibile", diceva Lenin. Abbiamo già spiegato l'opposizione totale esistente tra il marxismo e ogni idea religiosa (34).

Ma l'azione marxista non si arresta alla tesi: essa si sviluppa nella storia e deve essere perpetuamente creatrice e contraddittoria, secondo le leggi della dialettica. La lotta rivoluzionaria deve sfociare nella presa del potere da parte del proletariato e nella costituzione dello Stato comunista di dittatura del proletariato (35). Ed ecco l'antitesi contrariamente alla lotta condotta precedentemente contro gli Stati esistenti, lo Stato comunista dovrà essere il più forte, il più potente e il più stabile degli Stati, che metta tutta la popolazione al proprio servizio con una disciplina implacabile, e che eserciti su di essa la dittatura più assoluta. Riguardo alla società comunista universale costituita dalla collettività proletaria organizzata, sarà il termine o la sintesi, ma si situa in un avvenire più o meno lontano; occorre tornare al presente, alla fase dell'antitesi, per esaminare l'azione marxista dello Stato comunista.

Non dimentichiamo che il marxismo non è altro che la ricerca dell'azione materiale più potente: ormai l'azione materiale più potente si trova nella potenza materiale dello Stato comunista. Ecco perché oggi il marxismo più puro non consiste in niente altro che nell'assicurare la più grande potenza materiale della Russia sovietica. Lo Stato comunista dispone della potenza rivoluzionaria per trasformare il resto del mondo (36), con la sua forza materiale realizzerà l'opera gigantesca di trasformazione del mondo, dalla quale deve nascere una umanità nuova.

Allora - ed è qui che l'aspetto dell'antitesi è più tipico -, diventerà possibile recuperare tutti gli elementi che hanno potuto servire ai vecchi ordini stabili per farli contribuire alla potenza dello Stato comunista: si potrà dunque essere condotti a "tendere la mano" a tutto ciò che era stato dapprima rigettato, per recuperarne la forza per l'azione rivoluzionaria, donde una serie di posizioni contraddittorie imposte soltanto dalle esigenze dell'azione e che stupiranno solo coloro che ignorano la dialettica e la logica interna del marxismo (37).

Se, per esempio, lo Stato comunista ha bisogno di incremento demografico per essere potente, e se la famiglia appare in determinate circostanze storiche come il mezzo più efficace di incremento, si incoraggerà la famiglia, per metterla al servizio della maggiore potenza dello Stato comunista.

Se la conservazione di certe forme di proprietà privata o di responsabilità personale appare come favorevole al rendimento della produzione, industriale o agricola, potendo con ciò contribuire alla maggiore potenza materiale dello Stato comunista, si giudicherà che queste forme di proprietà privata sono completamente conformi al comunismo.

Allo stesso modo si instaurerà una forte gerarchia e quadri privilegiati, se ciò è necessario ad accrescere la potenza dello Stato comunista.

Ma i due campi in cui la contraddizione tra le due fasi dell'azione marxista è più sorprendente, sono certamente quelli che riguardano l'esercito e la patria e quello che riguarda la religione. Certamente qui la politica di Mosca sorprende di più, ed è qui che essa è più conforme alle esigenze più profonde del marxismo e che le segue con la maggiore intelligenza.

Mentre l'azione marxista era antimilitarista prima della presa del potere e contro gli eserciti che sostenevano l'ordine stabilito da rovesciare, è evidente che lo Stato comunista, per avere la più grande potenza materiale, deve avere non soltanto l'industria più potente, ma anche l'esercito più potente ed essere il più militarista degli Stati, come ne è il più totalitario e il più dittatoriale.

La propaganda anticomunista di prima della guerra ha dato la misura della sua stupidità e della sua ignoranza cercando di far credere che il regime sovietico fosse un fallimento materiale: è evidente, invece, che si sarebbe dovuto accumulare la più formidabile potenza materiale là dove si metteva tutto in azione per questo, e solo per questo, facendo di una intera popolazione lo strumento integralmente consacrato a questa sola potenza materiale.

La stessa stupidità e la stessa ignoranza hanno impedito di capire che questo regime doveva tutto sacrificare per assicurare innanzi tutto la potenza del suo armamento e del suo esercito. La disciplina di ferro necessaria a un forte esercito è in tutto conforme alla costituzione di uno Stato in cui l'individuo è solo un ingranaggio dell'organizzazione collettiva messa interamente al servizio della potenza collettiva, e in cui ha esistenza solo dentro questa potenza collettiva. E' d'altronde facile fare rilevare le affinità profonde che esistono tra comunismo e militarismo. Il comunismo è il regime di caserma esteso a tutta quanta la vita e a tutto quanto il popolo; la caserma è l'istituzione più completamente comunista che possa esistere, poiché non lascia alcuna parte alla vita privata, fissa tutto con un regolamento nei minimi particolari, stabilisce rigidamente la parte di lavoro che ognuno dovrà fornire e la parte di vitto, vestiario e mobilio che riceverà, con una ripartizione e una distribuzione interamente collettive.

In ciò che riguarda la patria, lo Stato comunista dovrà dapprima utilizzare il sentimento patriottico delle popolazioni che esso domina come un mezzo particolarmente efficace per farle contribuire alla sua potenza e ai suoi successi, esattamente come nella fase precedente dell'azione marxista il sentimento di giustizia delle masse operaie era un mezzo particolarmente efficace per farle contribuire all'azione rivoluzionaria. Quanto a coloro che vivono all'estero, e non sono cittadini dello Stato comunista, è evidente che, se sono marxisti, dovranno considerare questo Stato (38) come la loro vera patria e tutto sacrificare ai suoi interessi. Per ciò che si riferisce al loro atteggiamento verso la patria alla quale appartengono legalmente, dipenderà esattamente da quanto esigono gli interessi dello Stato comunista, e, a seconda del variare di tali interessi, il loro atteggiamento potrà variare da un giorno all'altro. Questo atteggiamento sarà antipatriottico, antimilitarista, e spingerà alla sedizione e alla diserzione se la loro patria legale è in conflitto con lo Stato comunista. Se, al contrario, la loro patria legale è alleata dello Stato comunista, essi saranno i più patrioti, i più militaristi, i più zelanti. I loro cambiamenti di atteggiamento, le loro contraddizioni, sono perfettamente logiche: le esigenze dell'azione marxista, che costituiscono per loro la sola verità, richiedono che servano con tutti i mezzi gli interessi dello Stato comunista e seguano esattamente le fluttuazioni della sua posizione diplomatica. E quando lo Stato comunista è in guerra, il marxismo non può evidentemente consistere in niente altro che nel contribuire con tutti i mezzi alla vittoria dei suoi eserciti.

Più incompreso ancora è l'atteggiamento attuale del comunismo nei riguardi della religione, la tolleranza religiosa praticata nella Russia sovietica e la "mano tesa" dai comunisti ai cattolici. Questa incomprensione deriva dal fatto che si considera sempre il comunismo come un ateismo dottrinale invece di capire che esso è, come abbiamo spiegato, un ateismo pratico. Non si tratta affatto, per il comunismo, di opporre una verità atea a una verità religiosa. La propaganda dottrinale antireligiosa in sé stessa, se non è richiesta dalle esigenze dell'azione rivoluzionaria materialista, non interessa il marxismo, come tutto ciò che è dottrinale. Parlando del combismo e dell'anticlericalismo massonico, Lenin definisce ciò "dilettantismo di intellettuali borghesi", e si capirà facilmente ciò che questa espressione sulla sua bocca può avere di sovranamente sprezzante. Il marxismo farà propaganda antireligiosa soltanto se ciò è utile all'azione rivoluzionaria, cioè soltanto nella misura, continuamente mutevole da un'ora all'altra, in cui la religione apparirà come un ostacolo attuale all'azione rivoluzionaria. Ma la vera azione antireligiosa del marxismo non consiste affatto nel combattere la religione da fuori con una propaganda contraria: consiste nel sopprimere la religione da dentro, nello svuotare gli uomini di ogni vita religiosa e di ogni concezione religiosa, prendendoli e trascinandoli interamente nell'azione puramente materialista. Vi saranno dunque molti casi in cui, per trascinare i cristiani in questa azione

puramente materialista e con ciò svuotarli dall'interno di tutto il loro cristianesimo, bisognerà "tendere loro la mano" e offrire loro la collaborazione (39). Poco importa se con ciò si contraddice un atteggiamento che in precedenza era ostile: non si tratta né di conversione, né di ipocrisia: comandano soltanto le esigenze dell'azione. Se il successo dell'azione da condurre richiede la collaborazione dei cristiani, questo successo per un marxista deve evidentemente passare innanzi a tutto, e allora la verità marxista sarà "la mano tesa".
E non è una scoperta recente, ma è conforme a una logica sviluppatasi da lungo tempo. Abbiamo detto che bastava prendersi la pena di leggere Lenin, - e il Lenin precedente la presa del potere - per trovarvi annunciata tutta la politica che è venuta dopo. Ecco un esempio particolarmente sorprendente. Nel 1909, allorché l'azione marxista è ancora nella fase della lotta antireligiosa aperta, Lenin spiega chiaramente ciò che sarà la politica della "mano tesa". Leggiamo dunque questo testo di una logica marxista implacabile: "Bisogna saper lottare contro la religione [...] non si deve confinare la lotta contro la religione in una predicazione ideologica astratta [...]. Bisogna collegare questa lotta alla pratica concreta del movimento di classe [...] Prendiamo un esempio. Immaginiamo il proletariato di una regione o di un ramo industriale formato da uno strato di socialisti molto illuminati, che, beninteso, sono atei, e di operai molto retrogradi, che hanno ancora dei legami con la campagna e la condizione contadina, che credono in Dio e frequentano la chiesa o perfino sono sottomessi all'influenza del prete del luogo, che, per esempio, sta per fondare un sindacato operaio cristiano. Supponiamo che la lotta economica in questo luogo abbia portato allo sciopero. Un marxista è forzatamente tenuto a collocare il successo dello sciopero in primo piano, a reagire risolutamente contro la divisione - durante questa lotta - degli operai in atei e cristiani, e combattere risolutamente questa divisione. In queste circostanze la propaganda atea può rivelarsi superflua e nociva [...] dal punto di vista del progresso reale della lotta di classe che, nelle condizioni della società capitalista moderna, condurrà gli operai cristiani al socialismo e all'ateismo cento volte meglio di un sermone ateo esplicito".

Non si potrebbe essere più chiari. Facciamo bene attenzione alla frase essenziale: in circostanze in cui l'azione marxista consiste in uno sciopero, "un marxista è forzatamente tenuto a collocare il successo dello sciopero in primo piano". Ne deduciamo che, nelle circostanze attuali, un marxista è forzatamente tenuto a collocare la potenza dello Stato sovietico innanzi tutto.



NOTE
(21) "Elevare le masse al livello della coscienza degli interessi di classe del proletariato", dice Stalin.
(22) Stalin scrive: "La disciplina di ferro nel parti . to non potrebbe essere concepita senza l'unità di volontà, senza l'unità di azione completa e assoluta di tutti i membri dei partito", Lenin afferma che "il partito comunista non potrà compiere il suo dovere se non è organizzato nel modo più centralizzato, se non è retto da una disciplina di ferro che rasenta da vicino la disciplina militare".
(23) "Nel comunismo dice Lenin tutti i cittadini sì trasformano in impiegati salariati dallo Stato". "Bisognerà - dice Marx - centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato".
(24) Marx dà per programma allo Stato comunista: "Aumentare al più presto la quantità delle forze produttive".
(25) La stessa parola "economico", deriva del greco oìkos, che significa "casa" o "focolare" e nel suo senso originario si applica a tutto ciò che possa servire alla vita dei focolari, cioè delle famiglie.
(26) Si vede da ciò l'assurdità dell'atteggiamento di colui che arrivasse al marxismo per combattere il capitalismo, quando il marxismo è il frutto del supercapitalismo e completa la sua ricerca della sola potenza materiale; il cristianesimo rifiuta contemporaneamente il materialismo capitalista e il marxismo, subordinando l'uomo a valori superiori alla sola potenza materiale.
(27) Lenin vuole che il partito comunista sia "un partito capace dì seguire la mentalità delle masse e di influenzarle".
(28) Queste idee - forza possono avere un aspetto religioso o mistico: il proletariato, mondo dal peccato di sfruttamento capitalistico e interamente vittima, appare come un messia collettivo da cui deve nascere una nuova umanità attraverso l'opera di salvezza dell'azione rivoluzionaria.
(29) Lenin raccomanda "l'arte di acconsentire ai compromessi politici, il barcamenarsi, gli zigzag, le manovre di conciliazione e di ritirata, in breve tutte le manovre necessarie ad affrettare la presa del potere politico".
(30) Lenin scrive: "La dittatura del proletariato è una lotta ostinata, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa. contro le forze e le tradizioni della vecchia società".
(31) Stalin dice che il partito "deve inculcare, nella innumerevole massa degli operai senza partito e disorganizzati, lo spirito di disciplina e di metodo di lotta" e "può assolvere questi compiti soltanto se è esso stesso la personificazione della disciplina e dello spirito di organizzazione".
(32) Lenin scrive: "La dittatura del proletariato è un dominio non limitato dalla legge, si regge sulla violenza".
(33) Lenin scrive: "Vi è ancora nel mondo, disgraziatamente, una grandissima proporzione di piccola produzione [...] è mille volte più facile trionfare sulla grande borghesia centralizzata, che vincere milioni e milioni di piccoli padroni".
(34) "La critica della religione è la prima condizione di ogni critica" dice Marx.
(35) Marx scrive: "Il proletariato deve impadronirsi del potere politico, erigersi in classe nazionale dirigente, costituirsi lui stesso in nazione". Da cui Stalin: "Tutto consiste nel conservare il potere, nel consolidarlo, nel renderlo invincibile".
(36) Stalin scrive: "Il fine: consolidare la dittatura del proletariato in un solo Paese e servirsene come punto d'appoggio".
(37) Stalin scrive: "In certi casi, in certe condizioni, il potere proletario può trovarsi costretto ad abbandonare provvisoriamente la via del cambiamento rivoluzionario dell'ordine di cose esistente, per impegnarsi sulla via della trasformazione graduale, [...] sulla via delle riforme e delle concessioni alle classi non proletarie al fine di disgregare queste stesse classi".
(38) L'URSS è "la patria di tutti i lavoratori", dice Maurice Thorez.
(39) "Non bisogna - dice Galperin - che vi presentiate alla gioventù cristiana con espressioni di lotta antireligiosa: sarebbe un grosso errore psicologico. Ma è facile trascinarla per qualche cosa: per la conquista del pane quotidiano, per la libertà, per la pace, per la società ideale i Nella misura in cui attireremo i giovani cristiani in questa lotta per obiettivi precisi, li strapperemo alla Chiesa".



CONCLUSIONE

Chi non ha compreso tutto ciò, non può comprendere nulla del comunismo, né - di conseguenza - dei problemi attuali dominati dalla presenza e dalla potenza formidabile del comunismo. Fare conoscere il comunismo cosí com'è, in un modo puramente oggettivo, per permettere ai nostri lettori di giudicare i problemi di oggi e di prendervi posizione con conoscenza di causa, è tutta la ragion d'essere di questo libro.

E' chiaro che al giorno d'oggi, quando il pensiero moderno e il movimento d'indipendenza assoluta dell'uomo - che portano al primato dell'azione - hanno dato il loro frutto supremo nel marxismo, è vano cercare nella crisi attuale del mondo compromessi o soluzioni intermedie tra il cristianesmo e comunismo. Bisogna scegliere l'uno o l'altro, il primato marxista della potenza materiale e dell'azione trasformatrice del mondo, o il primato cristiano della contemplazione che subordina l'uomo, in cerca della sua perfezione, alla verità da conoscere, al bene da amare e, infine, a Dio.

Edíficare il regno di Dio o generare una potenza indefinita di trasformazione della natura: questo è il dilemma; ebrezza orgogliosa dell'azione rivoluzionaria che domina il mondo, o dono di sé per la costruzione della Città di Dio: i nostri lettori sceglieranno.






http://utenti.lycos.it/armeria/daujat.html

Egol
09-06-04, 09:38
In Origine postato da Aryan
COMUNISMO: LA TERRIBILE CARNEFICINA

Oltre 200.000.000 di vittime.
Questo il tragico bilancio del Comunismo realizzato.
L' ateismo marxista ha combattuto Dio e ucciso l' uomo.

di Eugenio Corti


Eugenio Corti, il più amato scrittore vivente di ispirazione cattolica, secondo un recente referendum del quotidiano Avvenire, è nato e vive in Brianza. Oltre le opere che sono citate nel box "bibliografia", segnaliamo: I più non ritornano. Diario della ritirata di Russia (Mursia); Gli ultimi soldati del re (Ares); Il fumo nel tempio (Ares); La terra dell'india (Ares). Corti è scrittore cattolico, capace di leggere la vita, i fatti quotidiani e la grande storia con le categorie culturali che nascono dalla fede. In questo è autentico maestro. Da questo numero, inizia la sua collaborazione a "il Timone".

"Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20). La verità di questa massima evangelica, sempre attuale, ci porta a formulare un giudizio di severa condanna del Comunismo.
La considerazione dei frutti, o, perlomeno, dato lo spazio limitato di un articolo, del più tragico di questi: 1'altissimo numero di vittime che il comunismo ha provocato ovunque si è instaurato, obbliga ogni spirito libero a condannare nei termini più rigorosi una ideologia che, anzichè difendere le classi umili, ha finito con il far pagare, a prezzo della loro vita, proprio a milioni di poveri e di innocenti la follia di un progetto diabolico che pretendeva di costruire una società senza Dio.
Basti ricordare, per fare un primo esempio, la lotta guidata da Stalin ai contadini piccoli proprietari che comportò nel 1929 e 1930 la deportazione-sterminio di 10 milioni di kulaki, più di 5 milioni di subkulaki, cui seguirono 6 milioni di morti di fame nella conseguente carestia 'artificiale' del 1931-32 (con molti casi di cannibalismo). In questa lotta vennero dunque sacrificate complessivamente 21 milioni di persone.
Quante furono in totale le vittime in Unione Sovietica? Stando a quanto afferma il professore di statistica Kurganov, tra il 1917 e il 1959, cioè nei primi 42 anni di dominio comunista, le perdite umane dovute alle deportazioni nei campi di sterminio, alle condanne ai lavori forzati, alle fucilazioni di massa o alle carestie provocate dall'arresto e dalla deportazione di milioni di contadini furono più di 60 milioni. A confermare questo numero spaventosamente elevato di vittime, superiore di oltre dieci volte al numero degli Ebrei perito a causa dell'0locausto, va ricordato che il 28 ottobre 1994, in un discorso al Parlamento russo (Duma), Solgenitsin ha affermato che i morti dovuti al comunismo furono 60 milioni: nessuno, sia in Parlamento che fuori, ha sollevato obiezioni.
Per quanto concerne il numero delle vittima provocate dal Comunismo cinese, disponiamo di informazioni meno dettagliate, e di gran lunga meno documentate che per la Russia. Tuttavia, un calcolo molto vicino alla realtà è possibile. Anzitutto, per il decennio che va dal 1949 (anno della vittoria dei comunisti e della proclamazione della repubblica popolare) al 1958 riportiamo ciò che scrive 1'ex ambasciatore d'Italia a Mosca Luca Pietromarchi: "In Cina... il comunismo ha causato la perdita, dal 1949 al 1958, di cinquanta milioni di vite umane... Inoltre 30 milioni di contadini furono inviati in campo di concentramento".
Dopo di queste. negli anni del "Grande balzo in avanti" (1958-1960) e subito successivi, si ebbero le perdite più terrificanti, dovute alla carestia artificiale prodotta dall'espropriazione dei contadini. Secondo il famoso sinologo Lazlo Ladany (che fu per decenni redattore a Hong Kong del notiziario China News Analisys, da cui attingevano materia prima praticamente tutti i giornali occidentali) i morti di fame tra il '59 e il '62 sarebbero stati 50 milioni. Durante questi stessi anni e in quelli successivi fino al 1966 (anno d'inizio della 'Grande rivoluzione culturale'), si ebbe inoltre lo stillicidio sistematico delle vittime dei 'campi di rieducazione attraverso i1 lavoro'.
Secondo R.L. Walker ed altri sinologhi, il numero dei deportati oscillava allora tra i 18 e i 20 milioni; il che - volendo supporre, con ottimismo, una mortalità nei lager cinesi analoga a quella sovietica, cioè del 7-8% annua - comporterebbe un milione e mezzo circa di morti all'anno, dunque una dozzina di milioni per il periodo 1958-1965.
L'unico studio sistematico a nostra conoscenza, relativo all'intera prima fase che va dal 1949 al 1965, è quello effettuato da Richard L. Walker per conto del Senato americano: studio che da - ripartendole per categorie - da un minimo di 34.300.000 a un massimo di 63.784.000 vittime, a seconda delle fonti. Vi mancano, però, quasi del tutto, i dati relativi alle vittime del 'Grande balzo in avanti'.
Nel periodo successivo, cioè negli anni dal 1966 (inizio rivoluzione culturale), al '76 (morte di Mao), si ebbero appunto le vittime prodotte dalla rivoluzione culturale, che ammontano certamente a diverse decine di milioni.
Un quadro fondato scientificamente del numero complessivo delle vittime fatte dal comunismo in Cina potrebbe essere suggerito dallo studio statistico di Paul Paillat e Alfred Sauvy, pubblicato nel 1974 sull'autorevole rivista parigina Population (n. 3, pag. 535). Da esso emerge che la popolazione cinese era in quell'anno inferiore di circa 150 milioni di persone a quella che avrebbe dovuto essere statisticamente, cioè in base al suo tasso di crescita pur calcolato in modo prudenziale.
In Cambogia, nel triennio 1975-1978, la percentuale di vittime innocenti da parte del Comunismo raggiunse una proporzione mai conosciuta prima nella storia dell'intera umanità. I capi comunisti Khmer il giorno stesso della presa del potere hanno deportato oltre metà della popolazione del loro sventurato Paese. Aggiungendosi la gente già da essi deportata in precedenza nelle zone in loro possesso, si arriva a circa 1'80% della popolazione: in tal modo praticamente tutta la Cambogia venne trasformata in un enorme lager.
Contemporaneamente alta deportazione, i capi Khmer diedero inizio all'eliminazione fisica di tutte 1e persone in qualche modo 'contaminate' dal capitalismo (cioè, in Cambogia, dal colonialismo), procedendo all'annientamento degli ex detentori del potere, ex detentori dell'avere ed ex detentori del sapere.
Complessivamente le vittime furono, in circa tre anni, vicine ai 3 milioni, su 7 milioni di abitanti che annoverava il Paese al momento della vittoria comunista (nell'aprile 1975): furono dunque superiori a un terzo dell'intera popolazione. L'obiettivo al riguardo dei capi-ideologi Khmer era contenuto in una terrificante circolare da loro distribuita alle autorità provinciali già nel febbraio del '76, che venne portata in Thailandia da un capo Khmer profugo: "Per costruire la Cambogia nuova un milione di uomini è sufficiente". Nel frattempo tutti i compiti di qualche importanza nella società venivano, per quanto possibile, affidati a bambini e ragazzi 'non contaminati dal capitalismo' a motivo della loro età.
Negli altri paesi in cui i comunisti hanno preso il potere si ebbero (secondo il recente calcolo minimale di S. Courtois, ll libro nero del comunismo): in Corea del Nord 2 milioni di vittime, in Vietnam 1 milione, nell'Europa dell'Est 1 milione, in Africa 1.700.000, in Afganistan 1.500.000. Ma finche non emergeranno notizie che possano fondatamente modificare la terribile contabilità dei massacri, si deve rimanere fermi sul totale di 215-220 milioni di vittime circa.
Oggi in Italia un così sterminato massacro, di gran lunga il maggiore nella storia dell'umanità, e come se non ci fosse mai stato: ben pochi si sono curati di appurare la verità al riguardo.

Le ragioni.

II recente Libro nero del Comunismo non riesce a individuare la causa principale degli eccidi: 1'impossibilità di cambiare, usando i mezzi materialistici indicati dal marxismo, la natura e la coscienza dell'uomo. In pratica, fanaticamente determinati com'erano a eliminare il male dal mondo, i comunisti non hanno potuto fare altro che eliminare l'uomo dal mondo, e l'hanno fatto, come s'è detto, su una scala mai vista prima nella storia. Oggi tanti loro eredi pensano appunto, confusamente, che quegli orribili massacri, se non giustificati, siano stati però nobilitati dalle buone intenzioni iniziali.
Va detto che queste stragi non avevano affatto lo scopo di conservare il potere ai comunisti (non sarebbero state necessarie): quelle stragi facevano parte - in parallelo con I'incremento della produzione materiale - del meccanismo che secondo Marx e Lenin avrebbe dovuta produrre una "società di uomini nuovi". Tale meccanismo presupponeva tra 1'altro la "violenza come levatrice della società nuova".
Si voleva, in pratica, far cambiare a ogni uomo la sua coscienza e la sua natura. Senza tenere nel minimo conto i reali risultati, che consistevano soltanto in montagne e montagne di cadaveri, i comunisti hanno insistito su questa strada perchè il fermarsi avrebbe comportato la rinuncia all'utopica società nuova - libera dai mali di tutte le società precedenti - per costruire la quale essi avevano ormai fatto un così sterminato numero di morti.
Considerando che, a causa del comunismo, nella nostra epoca abbiamo avuto una straordinaria conferma della fondatezza della visione di S. Agostino, per il quale la storia consiste in un alternarsi continuo delle due "città": la "città terrena" (cioè la società degli uomini che, anche quando partono da propositi encomiabili, poichè escludono Dio dalla loro vita, finiscono inevitabilmente col seguire il "principe di questo mondo", ossia il demonio, il quale come sappiamo è "omicida", "padre di menzogna" e "scimmia di Dio") e la "città celeste" (cioè la società di coloro che nel costruire la vita in comune si rifanno in qualche modo agli insegnamenti di Dio), non ci resta che ribadire una convinzione ormai considerata fuori moda, anche in certo mondo cattolico: il vero bene dell'uomo e delle società, già a partire dalla vita in questa terra, è possibile soltanto a condizione di rispettare la legge di Dio. Altrimenti è il trionfo del demonio. Una terza via non è data.

Ricorda

"Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civiltà cristiana"
(Papa Pio XI, Enciclica Divini Redemptoris, 1937).

"[...] Sono queste le ragioni che Ci obbligano, come hanno obbligato i Nostri Predecessori e con essi quanti hanno a cuore i valori religiosi, a condannare i sistemi ideologici negatori di Dio e oppressori della Chiesa, sistemi spesso identificati in regimi economici, sociali e politici, e tra questi specialmente il comunismo ateo"
(Papa Paolo VI, Enciclica Ecclesiam Suam, 1964).


Bibliografia

Eugenio Corti, L'esperimento comunista, Edizioni Ares, Milano 1991.
Eugenio Corti, II cavallo Rosso, edizioni Ares, Milano.
Eugenio Corti, Le responsabilità della cultura occidentale nelle grandi stragi del nostro secolo, Mimep-Docete, Pessano (Ml) 1998.
Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag, 3 voll., Mondadori editore, Milano 1973 - 1976.
Jean Daujat, Conoscere il comunismo, Società editrice il falco, 1977.
AAVV., II libro nero del Comunismo, Mondadori editore, Milano 1998.

Si ma bisogna ricordare ke i comunisti (cm bertnotti, diliberto, gli iscritti ai loro partiti)nn vogliono un comunismo cm quello di quei fanatici (ke io in in quanto socialista condanno)cm stalin oppure mao oppure fidel..e tutti quelli ke li seguivano....cioè x me quelli erano fanatici e nn veri comunisti..i veri comunisti erano cm enrico berlinguer...
Egol

Felix (POL)
09-06-04, 17:07
un "vero fascista" potrebbe ribattere allora che Hitler e Mussolini non erano veri fascisti, ma solo dei fanatici, e fare riferimento piuttosto a Strasser, Balbo, Drieu, Bombacci, Pound ed Evola...

lascia stare, cerca altri argomenti... :rolleyes:

Egol
09-06-04, 20:28
In Origine postato da Felix
un "vero fascista" potrebbe ribattere allora che Hitler e Mussolini non erano veri fascisti, ma solo dei fanatici, e fare riferimento piuttosto a Strasser, Balbo, Drieu, Bombacci, Pound ed Evola...

lascia stare, cerca altri argomenti... :rolleyes:

Beh vedi di comunisti ne esistono diversi tipi:gli stalinisti e i troskisti (ke sn quelli + corretti e giusti, cm berlinguer, ke nn era proprio troskista ma...)e poi c'è la parte moderata ke sn i socialisti;invece di fascisti ne esiste un sl tipo, xke nn mi risulta ke mai qualke fascista abbia rinnegato il duce. Quelli ke l'hanno fatto nn li considerate + fascisti, quindi...

Ambrogio
20-06-04, 21:26
In Origine postato da Eegol
Si ma bisogna ricordare ke i comunisti (cm bertnotti, diliberto, gli iscritti ai loro partiti)nn vogliono un comunismo cm quello di quei fanatici (ke io in in quanto socialista condanno)cm stalin oppure mao oppure fidel..e tutti quelli ke li seguivano....cioè x me quelli erano fanatici e nn veri comunisti..i veri comunisti erano cm enrico berlinguer...
Egol


Oggi come oggi gli ex-comunisti sono un partito socialdemocratico
alla Kerenski.

Non esiste una sinistra rivoluzionaria ma una sinistra riformista
rappresentata da PRC e da quindi n una sinistra moderata rappresentata da P.comunisti italiani.

Cioe' in pratica quasi quasi non esiste piu' neppure una sinistra ma una simil- sinistra sempre di estrazione borghese.

Un saluto e guarda che hai un messaggio pvt mio di risposta scusa ma un po' tardiva ad un pvt tuo.

Buona serata

ariel
29-06-04, 01:37
http://harun-yahya.cnrglab.itb.ac.id/communism03a.html
OMMUNISM IN AMBUSH

How the Scourge of the 20th Century Is Preparing For Fresh Savagery
http://harun-yahya.cnrglab.itb.ac.id/images/books/cover/communismk.jpg

jonny
08-07-04, 16:12
il capitalismo fa molti piu morti, anche in questo momento

O'Rei
08-07-04, 16:18
In Origine postato da jonny
il capitalismo fa molti piu morti, anche in questo momento perchè in Africa non morivano di fame anche prima del capitalismo?:K

ariel
01-08-04, 03:06
MAI PIU’ COMUNISMI

Fame, morte, schiavitù, crimini, terrore,repressione:
“il fallimento di un’ utopia in un secolo di storia nel mondo”

(Materiale gentilmente concesso dal sito personale di Alessandro Cochi)


Nel 1848 Marx ed Engels, pubblicando il “manifesto comunista” avevano introdotto una svolta ideologica. Per loro la pace non rappresentava più un valore in sé, ma era subordinata ad un concetto di progresso che ammetteva e anzi sanzionava la violenza come strumento: la dittatura del proletariato. Prima di loro avevano sostenuto più o meno confusamente questa dottrina dai tratti totalitari e antireligiosi, Babeuf (la terra non è di nessuno, i frutti sono di tutti) e rappresentanti del socialismo utopistico, anarchici quali Owen, Fourier, Louis Blanc, Proudhon, Bakunin, Cabet…
Il nemico di classe si affronta in qualsiasi modo, ancor meglio con la violenza, che così facendo viene definita rivoluzionaria, che deve mirare alla soppressione delle stesse classi sociali, ad un organizzazione economica e sociale fondata sulla proprietà collettiva dei beni e servizi di produzione, alla negazione della differenza tra lavoro manuale e quello intellettuale, ad annullare la differenza sostanziale tra città e campagna, alla negazione dello Stato stesso, una volta avvenuto il passaggio dal socialismo a comunismo. La vita quotidiana viene militarizzata in ogni suo momento e in ogni sua forma. Manifesto che sosteneva l’ utopia, con tanto di premessa e pretesa dalle errate prognosi scientifiche, della società capitalista e delle sue contraddizioni. Il pensiero che un individuo potesse vivere secondo le sue capacità e i suoi bisogni, dove al posto dello Stato subentrasse un associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno fosse la condizione del libero sviluppo di tutti. Ma nessuna rivoluzione comunista ha mai esaudito, neanche in misura approssimativa, quel primordiale sogno dell’ uomo di realizzare un paradiso terrestre, alleggerito dai pesi del Mondo. Quel che è rimasto, è un dogma che ha preteso di assumere la funzione della morale e della religione, mentre il partito unico e “padrone” che deve rappresentare tutto e tutti, si arroga l’ autorità di una Chiesa, i cui capi hanno sempre posseduto l’unica chiave che apre le porte al progresso umano, l’ unica verità politica ed economica, spirituale e morale.
La forte ideologizzazione porta alla religione politica, voluta dalle èlite, per una completa adesione e totale dedizione, sotto forma di credo come nel culto delle religioni. Si insegna a scuola e nei posti di lavoro, si rende omaggio al mausoleo di Lenin nella Piazza Rossa a Mosca, ad ogni famiglia russa ormai completamente sovietizzata vengono distribuite statuette di Stalin da adorare. Così anni più tardi nella fase di inasprimento terroristico, per il culto della personalità di Mao negli anni della “rivoluzione culturale” e della “rivoluzione permanente” in Cina. Tornando alla grande madre Russia, ben 5 i milioni di morti per la carestia che coincise con il primo anno della Nep (nuova politica economica, più gradualista e moderata…) voluta da Lenin. Ma alla sua morte, la nep fu oltraggiata dai piani dell’ “uomo d’acciaio” Stalin, salito prepotentemente alla guida dei bolscevichi, che con la pianificazione e la collettivizzazione delle terre, attraverso i piani quinquennali portasse l’ Urss a divenire rapidamente una potenza industriale pesante, soprattutto per l’ armamento. Poco importa delle rinunce sul piano dei consumi di massa. Violente misure di repressione e di terrore, compreso il sistematico ricorso alla pratica delle deportazioni e relativa confisca delle terre, permisero la formazione di 230 mila aziende collettive al posto dei 26 milioni di piccole aziende individuali precedenti. Il fautore del socialismo in un solo Paese, ovviamente il suo, riuscì ad espellere ed emarginare il suo rivale interno Trotzkij, già a capo dell’ Armata Rossa, che in quanto ad applicare ogni forma di violenza aveva davvero poco da imparare.
Trotzkij infatti, amava sostenere che “ la rivoluzione richiede alla classe rivoluzionaria che essa raggiunga il proprio fine con tutti i mezzi a disposizione e, se necessario, con una insurrezione armata; se occorre con il terrorismo.” Iniziò così la sistematica eliminazione di ogni forza alternativa alla sua: liquidò fisicamente, in tutta fretta i “nemici del popolo”, che fino a pochi giorni prima avevano rappresentato la vecchia guardia della rivoluzione di ottobre del 1917. Le mitiche purghe staliniane, coordinate dal boia Berija, che alla morte del generalissimo georgiano, sarà premiato con il ministero degli Interni. Terrore, processi farsa, nessuna prova ma umilianti confessioni estorte con la tortura in sentenze prefabbricate.
Anziani rivoluzionari, dirigenti della prima ora, scomodi testimoni, quadri dell’ industria di stato, ufficiali dell’ Armata Rossa, milioni di semplici cittadini con le loro famiglie, in prevalenza contadine, e anche vittime di religione ebraica, molto invisi al dittatore, così come i molti sacerdoti, spediti nei gulag non perché colpevoli, ma perché divenuti superflui. Non c’era posto per le loro chiese, per questo bruciate, il loro Dio abolito e cancellato dalla rivoluzione che avrebbe visto un nuovo regno, mai esistito fino a prima, quello dell’ uomo libero.
Come durante la guerra civile spagnola con l’ uccisione di oltre 7000 religiosi, tra cui anche suore e vescovi da parte degli anarco-comunisti, con innumerevoli distruzioni di edifici religiosi, nel risoluto ma vano tentativo di estirpare la religione cattolica dal suolo spagnolo.
Naturalmente l’Urss e i paesi dell’ Est diedero l’ esempio nella sanguinosa lotta al clero. Chiusero tutte le chiese, misero in prigione preti, suore e perfino chierichetti condannati a morte e fucilati, o al meglio finiti ai lavori forzati nei campi d’ internamento dei gulag, e nelle miniere d’ uranio, indifesi dalle mille radiazioni, solo perché si possedesse una Bibbia, per 8-10- 12 anni.
Percosse, timpani rotti dai pugni e dagli stivali con punte di ferro degli ufficiali, 30 e più persone chiuse in baracche di pochissimi metri, dove anche nel gelido inverno era vietato chiudere la finestra, e possibile andare al bagno, solo la mattina o la sera, 20 minuti per tutti i prigionieri insieme. Poi molto spesso stanze degli interrogatori e delle torture, tra muri foderati per assorbire le urla, persone chiuse in delle tute, e poi colpite fino al collasso. Povere vittime fucilate alle spalle dal boia, dopo essere fatte entrare con l’ inganno di entrare in una stanza dove chiedere la grazia. Altre invece credute morte, si salvarono svegliandosi al cimitero o in fosse comuni cercando di rimanere nascoste fino alla caduta di Stalin.
Anche l’ italiano Gramsci era per “una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume, ossia in una radicale scristianizzazione della società.” Aggiungeva inoltre una profezia che si rivelò reale: “ I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin”. “Assai pochi hanno potuto penetrare la vera natura del comunismo” affermò PioXI in una famosa Enciclica del 1937.
Regno fu, ma assoluto, di marca comunista, materialista, fatto di carri armati e missili, strutture burocratiche di ferro,un paese congelato, governato dalla mummia di Lenin, fatto di emigrazioni interne forzate, e di paura della contaminazione atomica. (che solo in parte avvenne alcuni anni fa a Chernobyl).
Aleksandr Solgenitzin liberato negli anni 50, ci parlerà dell’ inferno dei gulag, un immenso sistema di sfruttamento del lavoro di milioni di persone, una vera orgia di schiavismo. “Il potere nasce dalla canna del fucile” sarà il motto che guiderà la Cina per circa 50 anni, di Mao Tse tung, uno dei fondatori del partito Comunista Cinese nato nel ’21, ispirato a Marx, che prima si unirà al Partito dei Lavoratori (Kuomintang) di Sun Yat-sen e del più moderato nazionalista Chang Kai-shek, per poi combatterlo prima e dopo la fine del conflitto con il Giappone. Mao, da bravo alunno di Lenin, punta sui contadini della sua provincia, Hu nan, per poi trasferirsi verso nord (Shanxi), dove quello che sarà il “grande timoniere” della Repubblica Cinese dei “commissari del popolo” darà il via alla lunga marcia, rafforzando il legame comunista-contadino minacciato dai nazionalisti. Già molte le brutalità compiute verso il lungo tragitto, con molti profughi cacciati dalle loro terre, scampati a pesanti interrogatori e torture, e ad esecuzioni sommarie. Fortissima la propaganda, nonostante la pressione fiscale del 35% sui contadini, la coltura e l’ esportazione dell’ oppio, l’ indottrinamento politico fin da bambini con tanto di fucile, autocritica ed educazione forzata per i dissidenti, metodi oppressivi ancora all’ oscuro di un certo occidente che guardava Mao con vivo interesse, anche per la su linea diversa da quella staliniana, ma non per questo più morbida… Sarà il dominio del Giappone a creare le basi che costringeranno a un Fronte Unito (e provvisorio), suggerito anche dagli Stati Uniti tra Mao e Chang, visto che dal ’37 fino al 39 occupavano gran parte delle città e delle coste cinesi.
Ma sarà Pearl Habor e ciò che ne conseguirà a togliere il disturbo dell’ invasore, e a far riprendere i contrasti interni con fucilazioni di massa, fino alla presa di Pechino, che darà inizio ad un regime dove l’assassinio firmato con la stella rossa, diventa metodo di governo, di un popolo che contava allora 600 000 unità, e che ospiterà da allora parate militari come massima espressione di forza per la repressione del dissenso e per la conquista del potere mondiale.
La Repubblica Popolare Cinese, nascerà nell’ ottobre del ’49, e non sarà riconosciuta dagli Stati Uniti. Saranno invece 2 milioni circa le persone uccise, tra cui molti reazionari, oppositori politici considerati nemici del governo popolare in soli tre anni. Un sistema di controllo con 550 000 indiziati, 3 800 000 attivisti, 75 000 informatori, 1 200 000 uomini assoldati come polizia politica. Inizierà il genocidio del popolo spirituale del Tibet, con 1 200 000 morti (un tibetano su quattro). Molti saranno internati nei campi di concentramento cinesi (laogai), impiccati, torturati, mutilati, addirittura seppelliti vivi, in acqua bollente, decapitati o crocefissi, e magari lasciati sbranare dai cani randagi. I Buddha saranno rotti e sostituiti con grandi ritratti di Mao. Il Dalai Lama costretto all’ esilio. I comunisti si spingeranno fino in Indocina verso Saigon, creando una delle prerogative ad un altro drammatico conflitto, quello del Vietnam. Invece dei 5 500 missionari cattolici, ne rimarranno soltanto una decina, non di più. Il “grande balzo in avanti” con le sue acciaierie da cortile, lo sarà per ciò che riguarda il disprezzo dei diritti umani e civili, per le continue espropriazioni, purghe, e la riforma agraria impostata sull’odio di classe. Tra anni di sacrifici per mille di felicità, dicevano i seguaci di Mao, interrando chi si ribellava ad uno stato di assoluta miseria.
Tra il ’59 e il ’61 si contano più di 30 milioni di ulteriori vittime, così come dopo la nuotata del 1965, e la rivoluzione culturale di gruppi di giovani Guardie Rosse che non risparmiavano nessuno se non le forze armate e gli scienziati dediti a esperimenti nucleari per nuove armi belliche. Molti i perseguitati tra gli imprenditori e gli intellettuali. Muore molto vecchio, nel 1976, ma lascerà quel segno (vedi la vedova con la Banda dei Quattro) che vedrà nuove drammatiche persecuzioni in Tibet (1987) e a Piazza Tienanmen verso giovani studenti che rivendicavano regole democratiche massacrati dalla polizia cinese (1989). Questo fu il dramma a Oriente. L’intera cintura di stati: - Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Germania Est, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Jugoslavia (poi con Tito autonoma), Albania - fu trasformata in pochi anni, dal ‘45 al ‘48, con golpe, assassini politici di statisti, elezioni burla, insurrezioni armate dei traditori sempre pronti rappresentati dai Partiti Comunisti locali, in un immenso ghetto comunista, a sostanziale dominio russo-sovietico. La metà di un intero continente, con centinaia di milioni di uomini, con intere disgraziate nazioni, divenne così - contro ogni diritto e libertà dei popoli - satellite dell’Urss. Nacque il Comecon (1949) o mercato comune orientale. Nacque il Patto di Varsavia, omologo della Nato (1955).
Nacque l’impero comunista, la guerra fredda, l’escalation degli armamenti, l’equilibrio del terrore, i deliranti piani marx-leninisti di sovversione e conquista del mondo, la trasformazione dell’intera area comunista in un gigantesco campo militare proteso al dominio planetario. Inenarrabili o quasi sono gli episodi della vergogna comunista. La divisione della Germania: a est lo stato fantoccio creato sulla zona di occupazione sovietica – o più esattamente su quanto non venne direttamente inglobato da Urss e Polonia - mentre a ovest (formata dalle ex zone di occupazione americana, francese e britannica) vigeva la libertà. Uno stato burla per il significato della sua esistenza, ma drammaticamente reale per la sua polizia segreta - immancabile nei paesi comunisti: la famigerata Stasi. Di cui verranno ritrovati dopo il 1989 chilometri di scaffali di archivi e milioni di schedature, per i suoi Vopos, per la frontiera costituita da centinaia di chilometri di rete elettrificata, sorvegliata da torrette con armi automaticamente attivate da cellule fotoelettriche in caso di passaggio (cioè di fuga verso l’occidente, per i suoi 16 milioni di mine - tante quante il numero dei tedeschi dell’est - poste sul confine. Per il suo Muro di Berlino, simbolo della prigionia schiavista del comunismo, costruito da Ulbricht e Honecher a partire dal 12 agosto del 1961 e costato la vita di 588 martiri, uccisi nel tentativo di fuga dal “paradiso dell’est” durante i 28 anni della sue infame vita. L’invasione dell’Ungheria del 1956, quando un intero popolo nauseato dalla protervia e dalla sanguinosa stoltezza sovietica, vide schiacciato il suo sogno di libertà sotto i cingoli dei carri armati russi: i capi della rivolta, Nagy, Maleter e tanti altri, spesso arresisi dopo formale promessa di avere salva di vita, vennero impiccati o sparirono nel nulla. Con la figura del grande cardinale Wyszynski e quella spregevole di Janos Kadar, carceriere del suo stesso popoìo. La repressione nell’agosto 1968 della cosiddetta “ primavera di Praga”, quando ancora una volta la divisioni corazzate russe sgominarono anche un pallido tentativo di “socialismo dal volto umano”, esautorando Dubcek e con Breznev che lancia la teoria della “sovranità limitata”, con il sacrificio del giovane Jan Palac, che si immolò con il fuoco per protestare contro l’invasione. Il regime del rumeno Ceaucescu, altro bell’esempio di comunista delinquenziale, che con la despota moglie Elena tiranneggiò una popolazione di infelici ridotti- in era di pieno benessere per l’Europa - alla fame, con i folli piani di deportazioni di 7.000 villaggi in città falansterio costruite appositamente per spezzare la coscienza tradizionale e dominare meglio anche l’anima, oltre che i corpi.
Con le abominevoli vicende dei bambini infettati con l’Aids a scopo di studio per ordine del governo comunista, con i giganteschi palazzi del potere in mezzo alle catapecchie della povera gente, con le prove calligrafiche della scrittura di tutti i 23 milioni di abitanti per meglio controllare chi scrivesse le lettere anonime, con le macchine da scrivere proibite, con ogni telefono divent~ito una centrale di ascolto all’interno delle famiglie, con la folle polizia politica, la Securitate, con le torture ai dissidenti... La vicenda di un povero paese disgraziato come l’Albania, in mano ad un pazzo satrapo comunista come Enver Hoxa, costruttore di centinaia di migliaia di bunker contro l’invasione dal mare, sterminatore di centinaia di migliaia di oppositori, creatore di un funerario comunismo albanese in salsa cinese, che ha lasciato un popolo moralmente distrutto, di cui è stata strappata con la forza la religione, cancellato il passato e precluso il futuro. Sistematiche le purghe assassine di Enver Hoxa: 1948, fucilato Ministro dell’interno e segretario del P.C., 1954 assassinato il generale Dali Ndrev, insieme alla moglie incinta al nono mese, 1955 giustiziati 2 ministri, 1957 arrestato e fatto sparire il ministro Zia Dibra, 1959 tocca al primo ministro Tuk Jakova, torturato a morte, . .nel 1975 gli ideologi Lubonija e Paqarami... nel 1983 altri Ministri... La repressione di Jaruzelski in Polonia, quando un colpo di stato dei militari filosovietici polacchi nel 1980 realizzerà un’ennesima sopraffazione alla incontenibili istanze di libertà della gente, mettendo al bando l’ organizzazione sindacale “Solidarnosc”. Nel 1949 Mao Tse Tung, a lungo sostenuto dai sovietici, dopo aver rivoltato la tradizionale teoria leninista (conquistare il potere dalle città per estenderlo alle campagne) si rivolse ai contadini cinesi e vinse, dopo aver - da buon comunista - ignorato il risultato delle urne che aveva decretato il successo per i partiti liberaldemocratici e nazionalisti. E realizzando l’obiettivo di oltre 100 milioni di morti. Dopo di lui, Tien Anmen.
Le autorità della Cina dove ogni anno si eseguono circa cinquemila condanne a morte - hanno deciso di adottare il moderno e occidentale metodo dell'esecuzione mediante iniezione legale. Attualmente, i condannati vengono giustiziati con una revolverata alla nuca che, oltre ad essere tecnicamente obsoleta, puzza anche di terzo mondo e di comunismo. Il vantaggio della pallottola alla nuca consiste tuttavia nel fatto che, dopo l'esecuzione, è possibile chiederne coattivamente il rimborso ai familiari dell'ammazzato: il che, a un paio di dollari a pallottola moltiplicato per cinquemila, fa una sommetta non disprezzabile per coprire almeno parte delle spese. Adesso i dirigenti cinesi si chiedono che cosa farsi rimborsare dai parenti.. La guerra di Corea, quando nello stesso anno della proclamazione della Repubblica cinese, truppe nordcoreane e cinesi comuniste, invasero - dotate di armamento russo - la Corea del Sud. Con una crisi che imperversò fino al 1953 e causò 3 milioni di morti. Il Vietnam, con una lunghissima guerriglia sostenuta dai vietcong di Ho Chi Minh, altro comunista dell’Hotel Lux di Mosca, e di Giap contro il sud “corrotto” e dominato dai “nemici del popoìo”. Quando cadde Saigon per anni e anni centinaia di migliaia di vietnamiti scapparono con le loro famiglie per mare (i “boat people”). Solo allora gli utili idioti che in Italia per anni e anni avevano sostenuto la “lotta del popolo vietnamita contro gli americani” tacquero di vergogna. La Cambogia di Pol Pot, quando questo sanguinario e folle comunista arrivò negli anni sessanta al potere, deportando immediatamente l’intera popolazione urbana in campagna e nelle risaie, con marce forzate ed esecuzioni, con torture e purghe, facendo morire due milioni di disgraziati su una popolazione di sette. In uno scenario di delirio - uno dei tanti del comunismo - i kmher rossi abbattevano i piani superiori delle case più alte, perché fossero tutte eguali; uccidevano immediatamente coloro che fossero stati a contatto con gli occidentali; coloro che erano dotati di occhiali o titoli di studio perché certamente “corrotti”, spesso venivano gettati vivi nelle fornaci e le ossa carbonizzate servivano a concimare le campagne. Il loro sogno era il comunismo “integrale e istantaneo”: Nessuna entità familiare, solo l’Angka, il partito.
I mercenari cubani in Angola, Mozambico, in mezza Africa, quando Castro, esaurite con le sue allucinazioni economiche a base di patè di marxismo i fondi dello stato, non trovò altro mezzo che vendere il sangue dei suoi sudditi a Mosca per destabilizzare il continente africano e sostenere i regimi “amici” contro la popolazione. Oggi si serve invece del “Turismo sessuale”, spesso pedofilo, per importare valuta estera. Il dittatore etiopico Menghistu, feroce deportatore delle etnie nemiche dalle proprie terre tradizionali a territori desertici lontani da centri nevralgici. Folli progetti che causarono morti e fame, finanziati con i fondi della cooperazione internazionale italiana. Anche qui prima o poi qualcuno ci dovrà spiegare il razzismo del PCI, della DC e del PSI italiani che rubarono con la cooperazione sulla pelle di tanti africani, sostenendo al tempo stesso i loro feroci persecutori governativi riempendoli di armi e finanziamenti. L’invasione - Natale del 1979 - dell’Afghanistan, un’altra bella operazione comunista, con l’invio di centinaia di migliaia di soldati sovietici, con i famigerati Spesnaz (reparti speciali), con l’abbattimento indiscriminato dei villaggi e delle città di un intero popoìo che non voleva saperne dei gregari comunisti locali, dei Babrak Karmal e dei Najibullah, con le uccisioni di massa mediante i bombardamenti aerei, con le bombe a forma di farfalle perché fossero raccolte dai bambini afgani e - senza ucciderli - li mutilassero, perché fossero di maggior peso alle famiglie e ne prostrassero la volontà di resistenza. Alla fine si conteranno i milioni di afgani morti e 4 milioni di profughi, ma Mosca, per la prima volta, fu fermata. Il finanziamento e l’addestramento dei movimenti terroristici ultracomunisti in mezzo mondo: delle BR italiane alla RAF Tedesca, dell’Esercito Rosso giapponese ai Montoneros argentini. Fino al 13 maggio 1981, quando in un’apoteosi di delirio vi fu l’attentato al Papa, con un lungo filo rosso che da Ali Agcà porta ai servizi segreti bulgari e - dietro questi - direttamente a Mosca. Bene chiarire subito, senza nessun dubbio che anche in Italia c’è chi appoggiò tutto questo. E’ il 1921 quando a Livorno, scissionisti socialisti del partito operaio optano per la costituzione del partito comunista sezione italiana della terza Internazionale con tanto di falce e martello. Il terzo articolo del programma statutario recita: “Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l’ abbattimento violento del potere borghese.” Il 13 luglio 1949 un decreto del Santo Uffizio dispose la scomunica nei confronti di tutti gli appartenenti al partito comunista italiano o a organizzazioni collaterali, con la condanna inesorabilmente all’ inferno, cioè a non poter essere parte del progetto di salvezza di Cristo. “Stare con Cristo o contro Cristo” affermava Pio XII. In fondo l’ Unità il giorno successivo alla morte di Stalin, il 5 marzo 1953 così scriveva: “Gloria eterna all’ uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell’ umanità.” Una delegazione di comunisti italiani guidata da Togliatti va a Mosca per assistere ai funerali. Il Psi invia Nenni e Lombardi. Lo stesso Togliatti che con il nome di Ercoli iniziò i lavori del VII congresso dell’ Internazionale a Mosca nel 1935 rivolgendosi così a Stalin: “ Noi ti rivolgiamo, capo armato del proletariato mondiale e di tutti gli oppressi, i nostri saluti ardenti… Giuriamo che sotto la bandiera di Marx, Engels, Lenin e Stalin condurremo la lotta fino al rovesciamento del capitalismo” approvando il culto della persona, del pensiero e della direzione politica del dittatore e attuandolo durante la guerra civile spagnola, i massacri degli anarchici, la distruzione del partito comunista polacco, i crimini di Stalin, il periodo delle Foibe sotto il regime di Tito (non meno di 20.000 gli italiani assassinati), la repressione di Berlino,di Budapest e di Praga. Così come uno degli ultimi discorsi dello stesso Togliatti nel campo dei pionieri di Artek, dopo una delle tante doverose soste a Mosca. “Le nostre lingue sono diverse, ma identici sono i nostri cuori. Voi e noi ci battiamo per gli stessi fini. Lottiamo per la pace, per la felicità dei popoli, per il progresso, per il socialismo.”
D’ altronde da Luigi Longo, Giorgio Amendola a Enrico Berlinguer e Armando Cossutta aderendo al Patto di Varsavia durante la Guerra Fredda, dimostrarono di essere dei bravi “compagni” controllati non al servizio del loro stato, l’ Italia, ma del Kgb e dalla Gladio rossa (come dimostrato con il recente dossier Mitrokhin) spiando e ricevendo mensili e perfino pensioni in rubli in cambio di rapporti dettagliati, carte segrete, appoggio politico ed eventualmente militare in caso di occupazione da parte dei comunisti sovietici. Questo fino a pochissimi anni fa. Oggi naturalmente il comunismo italiano è divenuto ovviamente più umano e meno cinico, anche se conserva quella cultura laica e marxista che si fonda su una concezione egoistica dell’ esistenza umana, e che afferma, in nome di un equivoco concetto di libertà ripetutamente condannato anche dalla Chiesa, per esempio la liceità dell’ aborto , la più disparata laicizzazione della scuola prodotta dall’ ateismo di Stato, la liberalizzazione della droga e di una cultura malefica, che combatte organismi sociali dell’ umanità come la famiglia, la nascita dei figli, la loro educazione civile e morale, poiché proprio da quel relativismo morale si arriva alla cultura dell’ aborto, dell’ eutanasia, all’ omologazione del pensiero, all’ uomo considerato unicamente una macchina, ad ogni forma di sedicente progresso che schiaccia e mortifica la forza e le capacità spirituali della comunità, attirando una certa visione malinconica e pessimista, di chi vede un mondo ancora diviso a compartimenti stagni, che ancora predica la lotta e l’ odio e di classe. La prassi dei campi di concentramento, l’irreggimentazione e la persecuzione politica in gigantesche aree geografiche sottoposte alla dittatura comunista, al totalitarismo rosso, con i milioni di vittime di cui veniamo a conoscenza solo oggi dopo l’ apertura parziale degli archivi sovietici, non lascia scampo a nessuna, eventuale, quantomeno discutibile interpretazione umana e politica della stella rossa e della falce e martello. Basterebbero chiederlo quindi ai cittadini di Russia e di tutte le sue grandi regioni, anzi Stati come Estonia, Lettonia,Lituania, Ucraina, Siberia etc. sottoposti per decenni a tale regime. Chiederlo inoltre a quelli della Cina, Polonia, Siberia, Cecoslovacchia, Germania orientale, Bulgaria, Romania, Finlandia, Ungheria, Jugoslavia, Romania, Albania, Spagna, Istria e Dalmazia, Corea, Vietnam, Cambogia, Nicaragua, Laos, Etiopia, Afghanistan, America Latina, Cuba, Grenada, Siria, Mongolia, Argentina, Laos, e tutti coloro che hanno avuto a che fare con movimenti, partiti ed organizzazioni terroristiche comuniste, nazionali ed internazionali, anche se non sempre al potere. Neanche un paese occidentale ha scelto di essere governato dai partiti comunisti, proprio per non fare la fine di molti paesi dell’Europa dell’ est, dell’ America latina e dell’ Africa. Le vittime del nazismo (dai 3 ai 6 milioni) sono abbastanza accertabili vista la mania dell’ordine da parte dei tedeschi di tener aggiornata anche la contabilità dei loro morti. Ma per gli slavi, i mongoli e i loro affini, valeva una massima: “ Un morto è un caso umano, ma un milione di morti è un caso statistico.”Parole di Josip Stalin. Quindi se i morti del comunismo mondiale siano risultati 80 100 o 150 milioni di morti non è poi la cosa più importante. Chi ci racconterà del dettaglio queste come le altre vomitevoli vicende del comunismo? Chi squarcerà il velo ancora adesso alzato dalla stampa e dalla cultura di sinistra, per raccontare tali e altre nefandezze? Non basta archiviare, peggio ancora dimenticare, forse inutile chiedere scusa delle proprie colpe, fondamentale è invece capire e far comprendere quanto il comunismo sia stata un’ alternativa del tutto fallimentare, e perché mai più accada che il settarismo possa colonizzare le nostre teste. A voi le mostruose conclusioni, pensando che oggi tanti militanti della sinistra, intellettuali organici, benpensanti progressisti, radical-chic, quelli che si definiscono la cosiddetta società civile, fecero proprie, con i loro padri e nonni, tutta o almeno una parte di questa storia, in Italia così come in Europa. Operazione tentata, ma per fortuna non riuscita in maniera totale, grazie a chi con la propria vita, difese la libertà propria e di quella del suo popolo, in ogni parte ed angolo del mondo. Per questo ci chiediamo esterrefatti perché ancora non vi sia una giorno fisso nell’arco di un anno, che ricordi tutto questo al mondo intero? Per ribadire in maniera forte e chiara
“Mai più comunismi”!

http://www.sandrodiremigio.com/documenti/storia/comunismo.htm