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Visualizza Versione Completa : 'I nuovi pagani' di S. Natoli - Una etica della finitudine



Mjollnir
06-02-03, 17:45
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Salvatore Natoli, I nuovi pagani. Una nuova etica per forzare le inerzie del tempo. Il Saggiatore, Milano, 1995

Il dilagare del cristianesimo costituisce la causa scatenante del dissolversi della nostra civiltà, o gioca un qualche ruolo in un disegno fatale di chiusura di un ciclo, all'interno di un decreto divino i cui contorni ci è difficile cogliere ? Ardua domanda, la quale scaturisce a sua volta dalla certezza di poter ricondurre quasi tutti i fenomeni decompositivi della modernità all'indole sovvertitrice dei principi ( o degli antiprincipi) propugnati dal cristianesimo.
In proposito, può essere per certi aspetti illuminante la lettura del testo I nuovi pagani. Una nuova etica per forzare le inerzie del tempo del Natoli: una raccolta di brevi saggi che , pur mancando in un certo senso di orientamenti tradizionalisti o metafisici, presenta non pochi spunti interessanti.
Il paganesimo è presentato come un'etica del finito: nell'antichità l'uomo assume il finito come tale e lo concepisce come sufficiente a sé stesso.. Nella visione pagana la sofferenza è organica alla natura: il dolore è connesso alla crudeltà dell'esistenza e non ha bisogno di essere giustificato. Le cose della terra non hanno un movimento necessario: non è necessario che esista quella determinata cosa, ma solo che esista la sua forma. E' necessario che l'olivo sia olivo, ma non è necessario che esista quell'olivo. ciò non significa che la natura sia un museo di forme: essa è un luogo di potenza, poichè la forma stessa opera un movimento verso il compimento. Il vivente è energia, potenza. Conato verso il proprio telos. Di qui il confronto, eroico, con la morte.
Ben diverso il significato della morte nel cristianesimo: la morte è un qualcosa di non-naturale, segno della colpa e come tale suscettibile di riscatto. Il cristiano prende Dio a fondamento, trae da qui la sua forza: il pagano, al contrario, al quale è estraneo il legame peccato-punizione, sa che per vivere deve apprendere a soffrire. Per lui, la misura della finitidune è solo la morte ; l'uomo può soltanto mantenersi fedele al presente ed essere all'altezza della propria morte (il riferimento a Nietzsche è costante). In questo senso, il passaggio dal paganesimo al cristianesimo altro non è che un transito dalla naturalità del finito alla finitudine creaturale.
Emerge così uno dei punti-cardine del libero: il cristianesimo, con un processo di cui Natoli dimostra tutti i passaggi, e che sarebbe stato impossibile all'uomo antico, si pone alla base del delirio di onnipotenza progressista dell'uomo moderno. Davanti alla calma ed equilibrata visione che faceva apparire all'uomo antico il dolore come qualcosa di connaturato alla natura, il cristianesimo fa balenare per la prima volta l'idea di un mondo senza dolore e senza morte, legata alla fede cieca in un Dio che è la causa di tutto. Ma con il graduale venir meno della certezza di Dio, il suo potere illimitato si trasferisce all'uomo e alla sua scienza. Di qui la tracotanza dell'uomo della tecnica, che non crede più nella propria salvezza, denigra la terra e tuttavia ne pretende l'incondizionato possesso.
Se il progetto di una potenza illimitata è la secolarizzazione della salvezza cristiana, sarà l'idea della liberazione radicale dal male ereditata dal cristianesimo a generare le aberrazioni della modernità (gli stessi "immortali principi dell'89" altro non sono che la versione secolare del cristianesimo).
La civiltà moderna quindi si configura per molti versi come un post-cristianesimo. Di fronte ad essa Natoli propugna un ritorno alla terra e al paganesimo, auspicando la "trasmutazione della civiltà in idealtipo": "una sorta di reimpossessamento del passato per il futuro". Con una consapevolezza: ciò che è storicamente tramontato non è detto che fosse degno di morire, e quel che di volta in volta ha successo non è detto che sia il meglio che possa accadere" (p. 17).

Beniamino Di Dario

Tratto da: Margini n° 41, Gennaio 2003