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Visualizza Versione Completa : Antisemitismo in Cattedra



Pieffebi
09-02-03, 22:14
da www.lastampa.it

" IL BOICOTTAGGIO ANTI-ISRAELE NELLE NOSTRE UNIVERSITÀ
I PROTOCOLLI DEI PROF

9/2/2003

«TU dichiari amico mio di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente antisionista... quando qualcuno attacca il sionismo intende gli ebrei, questa è la verità di Dio», diceva Martin Luther King. Anche il boicottaggio che hanno firmato alcuni professori della Università Ca' Foscari e delle Università di Urbino, di Perugia, di Bari e di Genova non ha nulla a che fare con il sionismo né con Sharon, ma con l'antisemitismo: ricorda l'indiscriminato rogo nazista dei libri. Non ha infatti nessuna giustificazione mettere al bando scienziati e uomini di cultura che lavorano solo per il bene dell'umanità. Non solo: il conflitto israelo-palestinese così come se lo figurano i professori è un conflitto fantasticato, un'invenzione simile a quella dei Protocolli dei Savi di Sion, in cui si sostiene la congiura ebraica per dominare il mondo. Il conflitto dei professori, a cui essi fanno conseguire una politica di apartheid verso la cultura israeliana, è parte integrante di una dottrina che disegna Israele non come la disperata piccolissima patria degli ebrei, ma come una longa manus americana che aggredisce e occupa i palestinesi, e ne fa delle vittime innocenti. I professori, poiché sono persone colte, sanno che questo non è vero: Israele dopo aver restituito il Sinai all'Egitto non ha fatto che cercare, sia pure con grandi contraddizioni, di accordarsi per «territori in cambio di pace» secondo le risoluzioni dell'Onu; inoltre i coloni constano di un partito piccolissimo, e anche Sharon si è impegnato per uno Stato palestinese. Due anni e mezzo or sono, a meno che non vogliamo ascoltare versioni propagandistiche, Barak si trovò a un rifiuto da parte di Arafat del 97 per cento dei Territori a cui seguì un'atroce aggressione terroristica programmata da tempo: il mondo arabo, e i palestinesi in particolare, non potevano riconciliarsi con l'idea di Israele come Stato legittimo. Questa Intifada non può certo attribuirsi a Israele, che mentre si difende - in maniera che certo può essere messa in discussione - chiede di tornare a trattare una volta che cessi il terrorismo. I professori dunque demonizzano Israele e come in un gigantesco lapsus ne colpiscono non la politica ma la cultura. Quanto alla reazione del presidente delle Comunità italiane Amos Luzzatto, se veramente la sua reazione è stata «così fanno il gioco di Sharon», come se invece fosse consentito il rogo dei libri per fare il gioco di un'altra parte politica, ciò sarebbe davvero imperdonabile. Ma noi non ci possiamo credere e attendiamo una pronta condanna dell'orribile boicottaggio oltre che da parte delle autorità universitarie e delle istituzioni tutte, soprattutto degli ebrei italiani nelle loro massime espressioni.

Fiamma Nirenstein "


Shalom!!!

Oasis
09-02-03, 23:42
L' antisemitismo non ha mai senso, cmq il boicottaggio non è un reato

Ronald
10-02-03, 00:34
Originally posted by Oasis
L' antisemitismo non ha mai senso, cmq il boicottaggio non è un reato

Si boicotta la merce , non la gente!
Se un imprenditore non assumesse alcuni dipendenti esclusivamente e dichiaratamente perchè negri , omosessuali o comunisti ...cosa sarebbe? Uno che discrimina o uno che "boicotta"?
Le vergognose leggi razziali del'38? ...trattasi di boicottaggio?

Dimostrate maturità , non difendete gli indifendibili.

yurj
10-02-03, 02:19
che confusione...

a) non vedo cosa c'entri "la sinistra", PFB e' il solito ossessionato

b) l'occidente pratica l'embargo culturale con vari paesi da tempo e ha fatto in passato, vedi SudAfrica

c) io sono per il boicottaggio selettivo delle aziende coinvolte nella guerra, non per gli embargi assassini, quelli li lascio a Bush.

Tsabar
10-02-03, 11:35
Yurj scripsit:...io sono per il boicottaggio selettivo delle aziende coinvolte nella guerra....

Ergo,sei contrario al boicottaggio indiscriminato e de facto ghettizzatorio dell'intera società israeliana,implicitamente giudicandolo eccessivo (e quindi ingiusto).

Sono certo che,da militante impegnato quale sei,non mancherai di far sentire la tua voce in proposito!

Shalom!

yurj
10-02-03, 13:49
Originally posted by Tsabar
Yurj scripsit:...io sono per il boicottaggio selettivo delle aziende coinvolte nella guerra....

Ergo,sei contrario al boicottaggio indiscriminato e de facto ghettizzatorio dell'intera società israeliana,implicitamente giudicandolo eccessivo (e quindi ingiusto).

Sono certo che,da militante impegnato quale sei,non mancherai di far sentire la tua voce in proposito!

Shalom!

Mi pare di averlo scritto bene e in italiano.

Ovviamente richiedo un tuo pari impegno contro l'embargo all'Irak e a Cuba. *nessuno ha fatto accuse di essere contro gli arabi o anticubano a chi ha messo l'embargo, segno di piu' lucidita' da parte nostra*

Grazie, :)

Tsabar
10-02-03, 15:16
Originally posted by yurj


Mi pare di averlo scritto bene e in italiano.

Ovviamente richiedo un tuo pari impegno contro l'embargo all'Irak e a Cuba. *nessuno ha fatto accuse di essere contro gli arabi o anticubano a chi ha messo l'embargo, segno di piu' lucidita' da parte nostra*

Grazie, :)
___________________________________________

Caro Yurj,

sono situazioni difficilmente comparabili,e lo sai bene.

Quello contro il regime di Castro è un embargo unilaterale americano,che in linea teorica non ha mai impedito normali rapporti commerciali tra Cuba ed il resto del mondo (che poi Fidèl abbia scelto di legarsi all'URSS,è un altro discorso).

Sull'Irak:se l'embargo non funziona,e la guerra è inutile,cosa si dovrebbe fare,a tuo avviso,per rendere inoffensivo il regime di Saddam?
Lasciarlo completamente libero di riarmarsi?
Te lo chiedo perchè la protesta di piazza è,in una moderna democrazia liberale,non solo perfettamente legittima in sè,ma anche "salutare":ma è indice di maturità il saper indicare alternative concrete alla politica che non si condivide.

Perchè,in linea di principio,sono contrario ad ogni ingerenza straniera negli affari interni di uno Stato sovrano,ma mi domando come si possa coniugare questo elementare assunto con la realtà internazionale coeva,dominata da organizzazioni terroristiche sovranazionali e regimi tirannici in grado di procurarsi armi di distruzione di massa.

Pieffebi
10-02-03, 17:30
Come ho detto pi+ e più volte, personalmente sono contrario, per ragioni di opportunità politica generale e particolare, all'embargo americano nei confronti di Cuba.

Saluti liberali

Tsabar
10-02-03, 17:44
...lo sono anch'io:così come ritengo che,sino ad ora,quello contro il regime di Saddam abbia sostanzialmente fallito.

Tuttavia,mi è sembrato corretto rimarcare le peculiarità sia dei due embarghi - il primo unilaterale,il secondo sotto egida ONU - ,che dei due regimi colpiti (e non v'è dubbio che quello irakeno,per la stabilità internazionale,costituisca un pericolo assai maggiore).

Shalòm

Pieffebi
10-02-03, 17:46
Correttissimo. In effetti io intendevo rispondere alle ....intemperanze comunistoidi del buon Yuri...


Shalom!!!!

yurj
10-02-03, 18:29
Se mandiamo Powell, Rumsfeld e Bush in pensione, il mondo va meglio.. quelli creano solo danni.

Basta sentire le cose che dicono, non aiutano la pace.

Non posso far altro che notare le mille ipocrisie dei distinguo, del voler sempre dire che la storia va in un modo, e non in un altro, etc etc.

Essere contro e' essere contro. Senza se e senza ma.

Quante manifestazioni e iniziative vostre contro gli embarghi ho visto? 0.

Il problema degli armamenti non lo risolvi mica sparando al primo che va in giro con la pistola.

Nel Far West erano tutti armati, si sono posti il problema sparando al primo che si armava?

Se le armi di distruzione di massa esistono, perche' non fare i controlli dappertutto, non sarebbe salutare, fino ad ottenerne una moratoria internazionale?

Agendo unilaterlamente, intendo Occidente contro il resto del mondo, si risolve qualcosa?

Dire che i nordcoreani sono "brutti sporchi e cattivi e con in piu' l'atomica", serve a risolvere i problemi, o li risolvono le politiche di pace e conoscenza degli altri popoli?

Basta vedere in TV il popolo iracheno, per capire che non ha senso una guerra. E non lo dico io, ma tutti quelli che vanno in Iraq.

Piu' guerre e pressioni ci sono, piu' insicurezza e estremismo ci saranno. E questo porta a fare le spie, a denunciarsi a vicenda, quello che accade in Irak e in altri posti e' sempre la solita storia...

Voglio finire dicendo a PFB che le sue definizioni non mi fanno ne caldo ne freddo.

Dario
10-02-03, 18:56
Personalmente ammiro Fiamma Nirenstein, ma certe sue affermazioni sono chiaramente false e pro domo loro, come:

"Israele dopo aver restituito il Sinai all'Egitto non ha fatto che cercare, sia pure con grandi contraddizioni, di accordarsi per «territori in cambio di pace» secondo le risoluzioni dell'Onu; inoltre i coloni constano di un partito piccolissimo, e anche Sharon si è impegnato per uno Stato palestinese." Quando e come?
Oppure:

"Questa Intifada non può certo attribuirsi a Israele, (forse a Sharon? n.d.r) che mentre si difende - in maniera che certo può essere messa in discussione - chiede di tornare a trattare una volta che cessi il terrorismo."
Questa è propaganda proprio come quella di Arafat.

Che dire poi di Israele "come la disperata piccolissima patria degli ebrei"? Mah!!

yurj
10-02-03, 19:00
Fiamma e' stata eletta secondo questa piattaforma, non ricordi ? ;)

Pieffebi
10-02-03, 19:48
Originally posted by Dario
Personalmente ammiro Fiamma Nirenstein, ma certe sue affermazioni sono chiaramente false e pro domo loro, come:

"Israele dopo aver restituito il Sinai all'Egitto non ha fatto che cercare, sia pure con grandi contraddizioni, di accordarsi per «territori in cambio di pace» secondo le risoluzioni dell'Onu; inoltre i coloni constano di un partito piccolissimo, e anche Sharon si è impegnato per uno Stato palestinese." Quando e come?
Oppure:

"Questa Intifada non può certo attribuirsi a Israele, (forse a Sharon? n.d.r) che mentre si difende - in maniera che certo può essere messa in discussione - chiede di tornare a trattare una volta che cessi il terrorismo."
Questa è propaganda proprio come quella di Arafat.

Che dire poi di Israele "come la disperata piccolissima patria degli ebrei"? Mah!!

E' un dato di fatto storico che il "focolare nazionale ebraico" di Israele, sia stato strettamente correlato all'antisemitismo e all'antigiudaismo plurisecolare e, da ultimo, alla Shoà.


Se Arafat avesse accettato di negoziare al pace con Barak, invece di dire di no, rovesciare il tavolo senza neppure fare contropoposte sensate, forse oggi lo Stato Palestinese esisterebbe o starebbe per nascere.
Shalom!!!!!!!

yurj
11-02-03, 02:07
Originally posted by Pieffebi


a) E' un dato di fatto storico che il "focolare nazionale ebraico" di Israele, sia stato strettamente correlato all'antisemitismo e all'antigiudaismo plurisecolare e, da ultimo, alla Shoà.


b) Se Arafat avesse accettato di negoziare al pace con Barak, invece di dire di no, rovesciare il tavolo senza neppure fare contropoposte sensate, forse oggi lo Stato Palestinese esisterebbe o starebbe per nascere.
Shalom!!!!!!!

a) Falso

b) Falso

Tsabar
11-02-03, 11:44
Originally posted by yurj


a) Falso

b) Falso
____________________________________

...questa tua fulgida dimostrazione di capacità argomentativa non stupisce nessuno!

A)Vero.
Nel corso degli ultimi 4mila anni,nel territorio compreso tra la costa orientale del Mediterraneo ed il fiume Giordano,si è avuto un solo esempio di entità statuale autonoma:l'antico e florido Regno d'Israele (1012-931 a.c.),la cui tradizione è stata poi continuata dal Regno di Giuda (931-586 a.c.) ed infine dal Regno di Giudea (37 a.c.-4 d.c.),da allora in poi,la regione poi arbitrariamente denominata dai Romani "Palestina" è sempre stata dominata da popolazioni straniere (Bizantini,Arabi,Turchi...sino agli Inglesi del Mandato internazionale).
Una significativa presenza ebraica vi è sempre rimasta,particolarmente in città come Hebron,Gerusalemme,Safed e Tiberiade,per la nota e rilevante funzione religiosa delle stesse agli occhi dell'ebraismo mondiale:e l'aspirazione del popolo ebreo al ritorno nella sua patria storica,continuamente ricordata nelle varie usanze e cerimonie religiose,è stata autorevolmente sancita dal testo del Mandato alla GB,in cui fu pienamente integrata la famosa Dichiarazione Balfour.
La legittimità dell'esistenza di Israele è poi fuori discussione,sancita dalla Risoluzione 181 (rifiutata dalla Lega Araba!) e dal suo riconoscimento diplomatico ad opera di innumerevoli Stati e organizzazioni sovranazionali (a partire dall'ONU,di cui è membro a pieno titolo dall'11 maggio 1949).

B)La proposta negoziale avanzata da Barak era la più generosa mai formulata da nessun altro governante israeliano:ma Arafat,anzichè accettare o,quantomeno,furbescamente rilanciare per scoprire le carte della controparte,preferì rovesciare il tavolo dei negoziati e ritornare a Gaza esibendo il simbolo della vittoria,acclamato dal suo popolo per aver "resistito ai sionisti".
Persino la stessa ANP,nella sua relazione di parte componente il famoso Rapporto Mitchell,nella primavera del 2001 ha dovuto ammettere che lo scoppio delle violenze non è stato causato dalla "passeggiata" di Sharon - si era comunque in pieno Capodanno Ebraico,e come ogni ebreo osservante,egli desiderava festeggiarlo con un breve pellegrinaggio nel luogo più santo per l'ebraismo mondiale,ossia il Monte del Tempio - ,bensì dalla delusione delle masse palestinesi per il fallimento dei negoziati di Camp David.

Ora,non dimenticare mai che questa non è la solita platea dei Centri Sociali massicciamente indottrinata di odio anti-israeliano (tanto da sfilare a Roma inneggiando ai kamikaze e poi pestare a Milano l'esponente ebreo Y. Reibman),facilmente abbindolabile con le vostre conclamate frottole propagandistiche...

P.s.Letture consigliate:Roberto Brunelli,"Gerusalemme",Mondadori,James Parker,"Gli Ebrei e la Diaspora",Mondadori,Fausto Coen,"Israele:cinquant'anni di speranza",Marietti.

Shalòm


Tsabar.

Pieffebi
11-02-03, 17:31
Beh non si può pretendere da Yuri di avere argomenti più solidi e sentimenti meno avversi agli ebrei di un Asor Rosa....

LosVonRom (POL)
11-02-03, 18:31
Quando si parla di antisemitismo non bisogna mai dimenicare l' atteggiamento negazionista di Israele e di alcuni esponenti di spicco dell' ebraismo nei confronti di genocidi analoghi consumati da nazioni oggi alleate dello stato ebraico.

Gravi errori fatti per calcolo politico contribuiranno ad alimentare altro odio e a negare l' esistenza di un umanità unica.

Tsabar
11-02-03, 20:44
Originally posted by LosVonRom
Quando si parla di antisemitismo non bisogna mai dimenicare l' atteggiamento negazionista di Israele e di alcuni esponenti di spicco dell' ebraismo nei confronti di genocidi analoghi consumati da nazioni oggi alleate dello stato ebraico.

Gravi errori fatti per calcolo politico contribuiranno ad alimentare altro odio e a negare l' esistenza di un umanità unica.
__________________________________________

...sarebbero gli Ebrei stessi i maggiori responsabili delle persecuzioni subite?

Ecco uno dei clichè più usati dalla propaganda antisemita!

P.s.Non ti ho affatto accusato d'essere antisemita:anzi,ti pregherei di illustrare più diffusamente il tuo pensiero in merito,proprio per non dare adito a simili dubbi.

Shalòm


Tsabar - L'Entità un tempo nota come "Jeronimus"

yurj
12-02-03, 14:26
a) dimostra che Israele è esistito solo migliaia di anni fa, e solo per 100 anni. PRIMA e DOPO era abitato da ALTRI, con i loro stati e regioni

b) Finchè Israele si farà forza dell'esercito e nessuno IMPORRA' un accordo, la vedo dura. Barak ha offerto un NON stato, mentre uno STATO nasce autonomamente dai suoi cittadini, nelle forme e nei modi SCELTI.

Riguardo la b), qualsiasi invasione di territorio altrui dovrebbe essere sanzionato e impedito con la forza.

Pieffebi
12-02-03, 14:44
Ah! Ecco! Lo Stato Palestinese vuol nascere scegliendosi unilateralmente il proprio territorio. E' quello che, tutti i NON antisemiti hanno capito da un pezzo! Arafat e i suoi, al di là delle dichiarazioni verbali (a corrente alternata, per la verità) vogliono NON la Pace e una Patria per i palestinesi (ossia gli arabi) ma la DISTRUZIONE totale di ISRAELE.

Shalom!!!

yurj
12-02-03, 15:54
Lo stato Palestinese non significa la "distruzione" di Israele.

A me pare ovvio che sia un popolo a decidere, non i colonialisti.

Pieffebi
12-02-03, 16:08
A decidere cosa? L'estensione territoriale? Altro che colonialismo è il tuo....

yurj
12-02-03, 17:36
Se è casa tua, decidi. Com'è diventata l'Italia regione europea in Stato? Con i cittadidi e i movimenti nazionali che hanno DECISO di farne parte. Ai palestinesi questo è NEGATO. Non possono farsi stato.

Do you understand?

Domani l'Olp potrebbe dire "nasce la palestina qui, qui e qui". E farsi tribunali, strutture, strade, etc etc etc.

Cosa glielo impedisce nella pratica?

yurj
12-02-03, 18:06
Noam Chomsky*
Una guerra coloniale


"Un anno fa il sociologo dell'università ebraica Baruch Kimmerling osservava: "Quello che temevamo si è avverato", israeliani e palestinesi stanno "regredendo a un tribalismo superstizioso… La guerra appare come un destino inevitabile", una "malvagia guerra coloniale". Dopo l'invasione dei campi profughi da parte di Israele, il suo collega Ze'ev Sternhell ha scritto che "nell'Israele colonialista… la vita umana non vale nulla".

I suoi leader "non si vergognano più di parlare di guerra quando quella in cui sono realmente impegnati è un'operazione di polizia coloniale, che ricorda gli attacchi da parte della polizia dei bianchi ai quartieri neri poveri del Sudafrica all'epoca dell'apartheid". Entrambi sottolineano una cosa ovvia: non c'è simmetria tra i due gruppi etno-nazionali che sono regrediti al tribalismo. Il conflitto è in atto in territori che sono sottoposti a una dura occupazione militare da trentacinque anni.

L'occupante è una grande potenza che agisce con il supporto militare, economico e diplomatico della più grande potenza mondiale. I suoi sudditi sono soli e inermi: molti sopravvivono in miserabili campi profughi, sottoposti a un clima di terrore sempre più brutale, simile a quello delle "malvagie guerre coloniali". E anche loro si vendicano con terribili atrocità.

L'inganno di Camp David
Il "processo di pace" avviato a Oslo ha cambiato le modalità dell'occupazione, ma non il concetto di base. Poco prima di entrare nel governo di Ehud Barak, lo storico Shlomo Ben-Ami scriveva che "gli accordi di Oslo erano fondati su una base neocolonialista, che prevedeva l'eterna dipendenza di una popolazione dall'altra". Ma divenne ben presto uno degli autori delle proposte israelo-americane di Camp David dell'estate del 2000, che non modificavano questo quadro.

Queste proposte furono molto elogiate dai giornali americani. I palestinesi e il loro malvagio leader furono accusati di essere responsabili del fallimento delle proposte e della violenza che ne era conseguita. Ma era una menzogna bella e buona, come dichiararono Kimmerling e altri commentatori rigorosi.Nessuno può seriamente dubitare del fatto che il ruolo degli Stati Uniti continuerà a essere decisivo. È dunque di cruciale importanza capire quale sia stato questo ruolo, e come viene percepito all'interno del paese. La versione delle "colombe" è presentata dal New York Times, che il 7 aprile elogiava il discorso "di svolta" del presidente e la "nuova visione" emersa dalle sue parole. Se il terrore palestinese finirà, scriveva qualche tempo dopo il quotidiano statunitense, gli israeliani saranno incoraggiati a "prendere più sul serio la storica offerta della Lega araba che prevede pace totale e il riconoscimento in cambio del ritiro di Israele". Ma prima i leader palestinesi devono dimostrare di essere "partner diplomatici legittimi".

La realtà ha ben poco a che fare con questo ritratto autogiustificatorio. La prima barriera contro la "nuova visione" è stata e rimane l'atteggiamento di rifiuto americano. Non c'è niente di nuovo nella "storica offerta della Lega araba". Riprende fondamentalmente i termini di una risoluzione del Consiglio di sicurezza del gennaio 1976 sostenuta praticamente da tutto il mondo, compresi i principali Stati arabi, l'Olp, l'Europa, il blocco sovietico - in pratica, tutti quelli che contavano. Israele si dichiarò contraria e gli Stati Uniti opposero il veto, impedendole quindi di entrare nella storia.

La risoluzione invocava un accordo politico sulla base di confini riconosciuti a livello internazionale "con misure appropriate… per garantire… la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di tutti gli Stati della regione e il loro diritto a vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti".

Le linee guida di Kissinger
L'atteggiamento di rifiuto statunitense risaliva già a cinque anni prima, al 1971, quando il presidente egiziano Sadat aveva offerto a Israele la pace totale in cambio del ritiro dal territorio egiziano, senza fare alcuna menzione dei diritti della nazione palestinese o del destino dei loro Territori occupati.

Il governo laburista israeliano aveva riconosciuto che questa era una vera offerta di pace, ma l'aveva rifiutata, perché aveva intenzione di estendere i suoi insediamenti al Sinai nord-orientale; cosa che fece ben presto con estrema brutalità e che costituì la causa immediata della guerra del 1973. Kissinger riuscì a bloccare la pace, dichiarando la sua preferenza per quella che chiamava "una fase di stallo": niente negoziati, solo la forza. Anche le offerte di pace giordane furono respinte.

Da allora, la politica ufficiale degli Stati Uniti si è attenuta al consenso internazionale sul ritiro - fino a Clinton, che ha efficacemente ignorato le risoluzioni delle Nazioni Unite e le considerazioni del diritto internazionale. Ma in pratica, la loro politica ha sempre seguito le linee guida di Kissinger, accettando di negoziare solo quando non potevano farne a meno.

Degradante umiliazione

Non c'è da sorprendersi che il principio fondamentale dell'occupazione sia sempre stato l'incessante e degradante umiliazione, insieme alla tortura, al terrore, alla distruzione delle proprietà, allo spostamento forzato e all'insediamento, e all'acquisizione delle risorse fondamentali, soprattutto l'acqua. Questo, naturalmente, ha richiesto il decisivo appoggio degli Stati Uniti per tutto il periodo Clinton. "Il governo Barak lascia al governo Sharon una sorprendente eredità", commentava la stampa israeliana all'epoca della transizione: "Il più alto numero di costruzioni avviate nei Territori dal tempo in cui Ariel Sharon era ministro dell'Edilizia e degli Insediamenti nel 1992, prima degli accordi di Oslo".
I finanziamenti erano forniti tra gli altri dai contribuenti americani, ingannati da fantasiosi racconti sulle "visioni" e sulla "magnanimità" dei leader statunitensi, frustrate da terroristi come Arafat, che hanno tradito "la nostra fiducia" e forse anche da alcuni estremisti israeliani che reagiscono in modo eccessivo ai loro crimini. Come dovrebbe comportarsi Arafat per riconquistare la nostra fiducia viene spiegato in modo sintetico da Edward Walker, il funzionario del dipartimento di Stato responsabile della regione sotto Clinton. Il subdolo Arafat deve annunciare senza ambiguità: "Noi rimettiamo il nostro futuro e il nostro destino nelle mani degli Stati Uniti", che da trent'anni conducono la campagna contro i diritti dei palestinesi.

Il problema fondamentale, ieri come oggi, rimanda a Washington, che ha sempre sostenuto il rifiuto di Israele di un accordo politico nei termini di un ampio consenso internazionale, ripreso nelle sue linee essenziali dalla "storica offerta della Lega araba".
Gli attuali cambiamenti di questo atteggiamento di rifiuto sono solo tattiche di minore importanza. Per non mettere in pericolo il loro progetto di un attacco all'Iraq, gli Stati Uniti hanno approvato una risoluzione dell'Onu che chiedeva il ritiro di Israele dai Territori appena invasi "senza indugio" - cioè, "al più presto possibile", ha spiegato immediatamente il segretario di Stato Colin Powell.
Il terrorismo palestinese deve fermarsi "immediatamente", ma l'ancor più estremo terrorismo israeliano - che va avanti da trentacinque anni - può prendersela comoda. Israele ha subito intensificato gli attacchi, portando Powell a dire: "Sono felice di sentire che il primo ministro ha accelerato le operazioni". Si sospetta fortemente che l'arrivo di Powell in Israele sia stato rimandato per permettere a Israele di "accelerare" ulteriormente. Questa posizione degli Stati Uniti potrebbe cambiare, ancora una volta per motivi tattici.

Un regime cliente

Gli Stati Uniti hanno anche approvato una risoluzione delle Nazioni Unite che invita a prevedere "l'idea" di uno Stato palestinese. Questa prova di disponibilità, che è stata molto elogiata, non arriva a livello del Sudafrica di quarant'anni fa, quando il regime dell'apartheid mise in atto la sua "idea" di Stati gestiti dai neri che erano realizzabili e legittimi almeno quanto la dipendenza neocoloniale che gli Stati Uniti e Israele hanno in mente per i Territori occupati.
Nel frattempo gli Stati Uniti continuano a "fomentare il terrore", per usare le parole del presidente, fornendo a Israele mezzi di distruzione, come dimostra la recente spedizione dei più moderni elicotteri dell'arsenale statunitense. Questa è la normale reazione alle atrocità di un regime cliente.
Per citare un solo distruttivo esempio, nei primi giorni dell'attuale intifada Israele ha usato gli elicotteri statunitensi per attaccare obiettivi civili, uccidendo dieci palestinesi e ferendone trentacinque, e non si può proprio dire che si trattasse di "autodifesa".
Clinton, scrive Ha'aretz, ha risposto con un accordo per "il più importante acquisto di elicotteri militari da parte dell'aeronautica israeliana degli ultimi dieci anni", e di pezzi di ricambio per gli elicotteri da attacco Apache. E la stampa ha dato una mano rifiutando di diffondere la notizia. Qualche settimana dopo, Israele ha cominciato a usare gli elicotteri americani anche per assassinare. Uno dei primi atti dell'amministrazione Bush è stato quello di inviare in Israele gli elicotteri Apache Longbow, i più distruttivi che aveva a disposizione. Di questo si è parlato marginalmente, nelle notizie economiche.

Washington ha dimostrato ancora una volta il proprio impegno a "fomentare il terrore" lo scorso dicembre, quando ha opposto il suo veto alla risoluzione delle Nazioni Unite che invocava l'applicazione del Piano Mitchell e l'invio di osservatori internazionali a verificare la riduzione degli atti di violenza, il sistema più efficace a detta di tutti, rifiutato da Israele e regolarmente bloccato da Washington. Il veto è stato posto durante un periodo di 21 giorni di calma - il che significa che un solo soldato di Israele era stato ucciso, rispetto a 21 palestinesi compresi 11 bambini, e c'erano state 16 incursioni israeliane nelle zone controllate dai palestinesi.
Dieci giorni prima del veto, gli Stati Uniti avevano boicottato - e quindi vanificato - la conferenza internazionale di Ginevra che ancora una volta è giunta alla conclusione che la Quarta Convenzione di Ginevra è applicabile ai Territori occupati, così che praticamente tutto quello che gli Stati Uniti e Israele fanno lì è una "grave violazione", in parole povere un "crimine di guerra".

La conferenza ha dichiarato che gli insediamenti israeliani finanziati dagli Stati Uniti sono illegali, e ha condannato la pratica "illegale e arbitraria" di "uccidere deliberatamente, torturare, deportare illegalmente, privare del diritto a un processo giusto e regolare, danneggiare e appropriarsi dei beni". Gli Stati Uniti sono obbligati da un solenne accordo a perseguire le persone responsabili di questi crimini, compresi i loro stessi leader politici. Ma come al solito, tutto questo passa sotto silenzio.

Gli Stati Uniti non hanno ufficialmente ritirato il loro riconoscimento dell'applicabilità delle Convenzioni di Ginevra ai Territori occupati, o la loro censura nei confronti delle violazioni di Israele in quanto "potenza occupante" (affermata per esempio da George Bush senior quando era ambasciatore presso le Nazioni Unite).

Un vuoto nella memoria

Nell'ottobre del 2000, il Consiglio di Sicurezza riaffermava la propria posizione, "invitando Israele, la potenza occupante, a rispettare scrupolosamente gli obblighi legali previsti dalla Quarta Convenzione di Ginevra".

La votazione finì 14 a 0. Clinton si astenne, presumibilmente perché non voleva opporre il suo veto a uno dei principi basilari del diritto internazionale umanitario, soprattutto alla luce delle circostanze in cui era stato concepito: per condannare formalmente le atrocità commesse dai nazisti. Anche tutto questo è stato messo rapidamente nel dimenticatoio, un altro contributo al "potenziamento del terrore".

Fino a quando non sarà possibile discutere di questi temi, e non saranno state comprese le loro implicazioni, non ha nessun senso parlare di "impegno degli Stati Uniti per il processo di pace", e le prospettive di un'azione costruttiva rimarranno scarse."

Traduzione di Bruna Tortorella

*Nato nel 1928 negli Stati Uniti, è un linguista di fama mondiale e un esponente della sinistra radicale nordamericana. Dal 1955 è professore di linguistica al Massachusetts Institute of Technology.

Pieffebi
12-02-03, 20:49
Sì negli anni settanta si rese famoso, questo grande intellettuale, anzi....genio, per aver negato l'esistenza del genocidio cambogiano, difendendo il compagno Pol Pot. Un vero esempio.

Saluti liberali

Pieffebi
12-02-03, 20:51
Originally posted by yurj
Se è casa tua, decidi. Com'è diventata l'Italia regione europea in Stato? Con i cittadidi e i movimenti nazionali che hanno DECISO di farne parte. Ai palestinesi questo è NEGATO. Non possono farsi stato.

Do you understand?

Domani l'Olp potrebbe dire "nasce la palestina qui, qui e qui". E farsi tribunali, strutture, strade, etc etc etc.

Cosa glielo impedisce nella pratica?


Il diritto dello Stato di Israele all'esistenza entro confini sicuri. E se non basta il diritto del popolo israeliano di dire Israele " è qui e qui". E se non basta ancora.....l'esercito della Stella di Davide, avamposto della civiltà occidentale e della democrazia in Medio Oriente.

Shalom!!!

LosVonRom (POL)
13-02-03, 10:57
Originally posted by Tsabar

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...sarebbero gli Ebrei stessi i maggiori responsabili delle persecuzioni subite?

Ecco uno dei clichè più usati dalla propaganda antisemita!

P.s.Non ti ho affatto accusato d'essere antisemita:anzi,ti pregherei di illustrare più diffusamente il tuo pensiero in merito,proprio per non dare adito a simili dubbi.

Shalòm


Tsabar - L'Entità un tempo nota come "Jeronimus"

Caro Tsabar, non ho motivi per essere antisemita, anzi sono un grande ammiratore della cultura ebraica.

Detto questo spiace dover constatare l'atteggiamento di alcuni esponenti dell'ebraismo come Elie Wiesel che nel 1982 si cancello da una conferenza sulla shoà durante la quale avrebbe dovuto parlare del genocidio armeno.

Subì le pressioni del governo israeliano che si sarebbe sentito in imbarazzo con il governo turco.

I turchi infatti ancora oggi "negano" l'olocausto armeno e sono alleati di Israele.

Ora io mi chiedo cosa possa aver insegnato la storia agli ebrei se per calcolo politico si "dimenticano" di tragedie uguali a quelle che hanno dovuto subire loro.

yurj
13-02-03, 11:53
Originally posted by LosVonRom


Caro Tsabar, non ho motivi per essere antisemita, anzi sono un grande ammiratore della cultura ebraica.

Detto questo spiace dover constatare l'atteggiamento di alcuni esponenti dell'ebraismo come Elie Wiesel che nel 1982 si cancello da una conferenza sulla shoà durante la quale avrebbe dovuto parlare del genocidio armeno.

Subì le pressioni del governo israeliano che si sarebbe sentito in imbarazzo con il governo turco.

I turchi infatti ancora oggi "negano" l'olocausto armeno e sono alleati di Israele.

Ora io mi chiedo cosa possa aver insegnato la storia agli ebrei se per calcolo politico si "dimenticano" di tragedie uguali a quelle che hanno dovuto subire loro.

Gli devi chiedere il certificato di "non antisemita" e fare il bravo, se no te lo tolgono e ti fanno arrestare... :rolleyes:

Tsabar
13-02-03, 12:21
Originally posted by LosVonRom


Caro Tsabar, non ho motivi per essere antisemita, anzi sono un grande ammiratore della cultura ebraica.

Detto questo spiace dover constatare l'atteggiamento di alcuni esponenti dell'ebraismo come Elie Wiesel che nel 1982 si cancello da una conferenza sulla shoà durante la quale avrebbe dovuto parlare del genocidio armeno.

Subì le pressioni del governo israeliano che si sarebbe sentito in imbarazzo con il governo turco.

I turchi infatti ancora oggi "negano" l'olocausto armeno e sono alleati di Israele.

Ora io mi chiedo cosa possa aver insegnato la storia agli ebrei se per calcolo politico si "dimenticano" di tragedie uguali a quelle che hanno dovuto subire loro.
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...perchè proprio da estimatore della cultura ebraica,per primo dovresti sapere come non esista una voce univoca dell'ebraismo mondiale:tanto più che Wiesel vive e lavora negli USA,quindi non capisco come gli si possa attribuire un inesistente ruolo di "portavoce nazionale" ed ufficiale israeliano.

Quanto all'alleanza con il governo di Ankara,io mi domando:la Lega Araba ha scatenato varie guerre di aggressione contro Israele,quindi foraggiato il sanguinario terrorismo palestinese per distruggerlo alla lunga distanza,senza impelagarsi in un rovinoso scontro militare diretto,che dovrebbe fare Israele,se non allearsi con l'unico regime anti-fondamentalista dell'area?

Quanto a negazionismi poi,gli Arabi sono maestri,visto che promuovono e foraggiano convegni,studi e pubblicazioni di storici,come David Irving,che a tutt'oggi negano che l'immane carneficina della Shoà sia mai avvenuta...

Shalòm


Tsabar - L'Entità un tempo nota come "Jeronimus"

LosVonRom (POL)
13-02-03, 13:22
Originally posted by Tsabar

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...perchè proprio da estimatore della cultura ebraica,per primo dovresti sapere come non esista una voce univoca dell'ebraismo mondiale:tanto più che Wiesel vive e lavora negli USA,quindi non capisco come gli si possa attribuire un inesistente ruolo di "portavoce nazionale" ed ufficiale israeliano.

Quanto all'alleanza con il governo di Ankara,io mi domando:la Lega Araba ha scatenato varie guerre di aggressione contro Israele,quindi foraggiato il sanguinario terrorismo palestinese per distruggerlo alla lunga distanza,senza impelagarsi in un rovinoso scontro militare diretto,che dovrebbe fare Israele,se non allearsi con l'unico regime anti-fondamentalista dell'area?

Quanto a negazionismi poi,gli Arabi sono maestri,visto che promuovono e foraggiano convegni,studi e pubblicazioni di storici,come David Irving,che a tutt'oggi negano che l'immane carneficina della Shoà sia mai avvenuta...

Shalòm


Tsabar - L'Entità un tempo nota come "Jeronimus"

Un pò deboli come argomenti.
Si la Turchia è un paese antifondamentalista che massacra i Kurdi e "dimentica" il genicidio degli armeni.

Io non nego nulla men che meno la Shoà e nenche mi interessa il numero dei morti.

Lo stesso dovrebbero fare gli ebrei e i loro governi oltre che esponenti di spicco dell'ebraismo.

Pieffebi
13-02-03, 13:50
Originally posted by yurj


Chomsky ha dato cifre precise. Le tue sulla cambogia sono frutto della fantasia.

Se vuoi, ti sfido a portarmi le cifre reali.

Quelle che ho io sono:

700.000 morti per i bombardamenti americani contro i civili cambogiani, per appoggiare il regime

8 - 900.000 uccisi dal regime di Pol Pot

Queste sono le cifre che da Chomsky.

Chomsky inoltre mostra come la Cina e Kissinger abbiano RIARMATO Pol Pot dopo che i vietnamiti del nord l'avevano cacciato, LIBERANDO IL POPOLO CAMBOGIANO DALLA DITTATURA.

Ma gli USA preferivano Pol Pot e con la Cina l'hanno riarmato e fatto combattere contro il Vietnam.

Questo dice Chomsky.

::::::::::::::::::::::: ELEIMINATI GLI INSULTI :::::::::::::::.

Pieffebi
15-03-03, 22:18
da www.israele.net

" ANALISI E COMMENTI

Powell: "I palestinesi ostacolano il processo di pace"

14 marzo 2003

Gli attentati palestinesi contro Israele e la mancanza di proposte di pace da parte palestinese sono state indicate dal segretario di stato Colin Powell come due delle principali ragioni per cui gli Stati Uniti non possono fare passi avanti verso una composizione del conflitto mediorientale. Parlando alla Camera, Powell ha espresso comprensione per il rifiuto di Israele di negoziare mentre continuano attacchi e attentati. "Cio' nondimeno siamo profondamente impegnati" ha aggiunto Powell, rispondendo alle domande di due parlamentari Democratici
Powell ha ammesso che gli Stati Uniti raccoglierebbe maggiore sostegno per la loro politica verso l'Iraq "se fossimo in grado di ottenere maggiori progressi in Medio Oriente". Ma non ha criticato per questo il primo ministro israeliano Ariel Sharon, il quale esclude concessioni ai palestinesi finche' Israele subisce attacchi terroristici. "Il problema principale - ha detto Powell - e' dato dai continui atti di violenza e terrorismo che provengono dalla parte palestinese diretti contro lo stato d'Israele". Di conseguenza, ha poi specificato, Israele non ha potuto "fare alcune delle cose che avrei voluto che facesse per far avanzare il processo".
In ogni caso, secondo Powell, l'amministrazione Bush sta cercando "il momento giusto" per lavorare insieme a Nazioni Unite, Unione Europea e Russia, sulla "mappa stradale" che porti all'indipendenza palestinese intorno al 2005.
La nomina di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a primo ministro palestinese "imprime una nuova dinamica" alla situazione. "Abbiamo detto chiaramente alla parte palestinese che hanno bisogno di far emergere una nuova dirigenza perche' la vecchia dirigenza non ha saputo tenere sotto controllo la violenza e non e' in grado di proporre alcuna idea o iniziativa che ci aiuti a riaprire il dialogo con Israele", ha spiegato Powell. Per questo, ha aggiunto, "speriamo che il primo ministro designato dal parlamento palestinese sia dotato di reali poteri e ci permetta di fare passi avanti". In questo senso l'amministrazione americana non considera un segnale positivo il fatto che il controllo delle forze di sicurezza palestinesi e dei negoziati resti nelle mani di Yasser Arafat.
A proposito di un altro scenario mediorientale, Powell ha detto che il recente ritiro di alcune forze siriane dal Libano non pare particolarmente significativo. "Non posso essere ottimista" ha detto il segretario di stato, ricordando che negli ultimi anni si sono gia' avuti aumenti e diminuzioni delle truppe siriane in Libano. "Non posso certo affermare che l'ultimo ridispiegamento costituisca l'inizio di un processo che porti a zero la presenza militare siriana in quel paese, lasciando finalmente che il Libano sia governato dai libanesi senza la presenza di un esercito d'occupazione straniero".
(Jerusalem Post, 14.3.03) "

Shalom!!!

yurj
16-03-03, 12:32
Powell chi? :D Quello ridicolo che sembrava un clown, mentre girava per il medioriente a dire che voleva fare la pace, e per sotto continuava a fregarsene, a essere snobbato da Israele?

PFB, sono passati due mesi senza attentati, eppure Israele continua con la sua politica.

In quanto alla Cambogia, vedo che non hai nulla da dire, sei a corto di argomenti? :D

riporto:

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Un regime cliente

Gli Stati Uniti hanno anche approvato una risoluzione delle Nazioni Unite che invita a prevedere "l'idea" di uno Stato palestinese. Questa prova di disponibilità, che è stata molto elogiata, non arriva a livello del Sudafrica di quarant'anni fa, quando il regime dell'apartheid mise in atto la sua "idea" di Stati gestiti dai neri che erano realizzabili e legittimi almeno quanto la dipendenza neocoloniale che gli Stati Uniti e Israele hanno in mente per i Territori occupati.
Nel frattempo gli Stati Uniti continuano a "fomentare il terrore", per usare le parole del presidente, fornendo a Israele mezzi di distruzione, come dimostra la recente spedizione dei più moderni elicotteri dell'arsenale statunitense. Questa è la normale reazione alle atrocità di un regime cliente.
Per citare un solo distruttivo esempio, nei primi giorni dell'attuale intifada Israele ha usato gli elicotteri statunitensi per attaccare obiettivi civili, uccidendo dieci palestinesi e ferendone trentacinque, e non si può proprio dire che si trattasse di "autodifesa".
Clinton, scrive Ha'aretz, ha risposto con un accordo per "il più importante acquisto di elicotteri militari da parte dell'aeronautica israeliana degli ultimi dieci anni", e di pezzi di ricambio per gli elicotteri da attacco Apache. E la stampa ha dato una mano rifiutando di diffondere la notizia. Qualche settimana dopo, Israele ha cominciato a usare gli elicotteri americani anche per assassinare. Uno dei primi atti dell'amministrazione Bush è stato quello di inviare in Israele gli elicotteri Apache Longbow, i più distruttivi che aveva a disposizione. Di questo si è parlato marginalmente, nelle notizie economiche.

Washington ha dimostrato ancora una volta il proprio impegno a "fomentare il terrore" lo scorso dicembre, quando ha opposto il suo veto alla risoluzione delle Nazioni Unite che invocava l'applicazione del Piano Mitchell e l'invio di osservatori internazionali a verificare la riduzione degli atti di violenza, il sistema più efficace a detta di tutti, rifiutato da Israele e regolarmente bloccato da Washington. Il veto è stato posto durante un periodo di 21 giorni di calma - il che significa che un solo soldato di Israele era stato ucciso, rispetto a 21 palestinesi compresi 11 bambini, e c'erano state 16 incursioni israeliane nelle zone controllate dai palestinesi.
Dieci giorni prima del veto, gli Stati Uniti avevano boicottato - e quindi vanificato - la conferenza internazionale di Ginevra che ancora una volta è giunta alla conclusione che la Quarta Convenzione di Ginevra è applicabile ai Territori occupati, così che praticamente tutto quello che gli Stati Uniti e Israele fanno lì è una "grave violazione", in parole povere un "crimine di guerra".

La conferenza ha dichiarato che gli insediamenti israeliani finanziati dagli Stati Uniti sono illegali, e ha condannato la pratica "illegale e arbitraria" di "uccidere deliberatamente, torturare, deportare illegalmente, privare del diritto a un processo giusto e regolare, danneggiare e appropriarsi dei beni". Gli Stati Uniti sono obbligati da un solenne accordo a perseguire le persone responsabili di questi crimini, compresi i loro stessi leader politici. Ma come al solito, tutto questo passa sotto silenzio.

Gli Stati Uniti non hanno ufficialmente ritirato il loro riconoscimento dell'applicabilità delle Convenzioni di Ginevra ai Territori occupati, o la loro censura nei confronti delle violazioni di Israele in quanto "potenza occupante" (affermata per esempio da George Bush senior quando era ambasciatore presso le Nazioni Unite).

Un vuoto nella memoria

Nell'ottobre del 2000, il Consiglio di Sicurezza riaffermava la propria posizione, "invitando Israele, la potenza occupante, a rispettare scrupolosamente gli obblighi legali previsti dalla Quarta Convenzione di Ginevra".

La votazione finì 14 a 0. Clinton si astenne, presumibilmente perché non voleva opporre il suo veto a uno dei principi basilari del diritto internazionale umanitario, soprattutto alla luce delle circostanze in cui era stato concepito: per condannare formalmente le atrocità commesse dai nazisti. Anche tutto questo è stato messo rapidamente nel dimenticatoio, un altro contributo al "potenziamento del terrore".

Fino a quando non sarà possibile discutere di questi temi, e non saranno state comprese le loro implicazioni, non ha nessun senso parlare di "impegno degli Stati Uniti per il processo di pace", e le prospettive di un'azione costruttiva rimarranno scarse."

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Pieffebi
16-03-03, 18:32
Due mesi senza attentati? Cribbio! Ma allora vivi su Marte....e i giornali ti arrivano in ritardo di settimane...

Shalom!

yurj
16-03-03, 20:00
Tra gli ultimi due attentati, sono passati DUE mesi, Sharon, il falso, aveva parlato di una settimana.

Credi che siamo degli sciocchi? Voi avete le armi, noi il voto.

Pieffebi
16-03-03, 20:07
Originally posted by yurj


Credi che siamo degli sciocchi? .

Non essere così moderato nell'eprimerti. :D

Pieffebi
27-04-03, 19:18
dalla rete

" ANTISEMITISMO
di Antonella Ferraris
Tipi di antisemitismo

Alla fine del 1894, l’ufficiale francese Alfred Dreyfus, ebreo, fu accusato di spionaggio a favore della Germania, sbrigativamente processato davanti a una corte marziale militare e, nonostante gli indizi a suo carico non sembrassero conclusivi, condannato alla degradazione e alla prigionia perpetua sull’Isola del Diavolo. Due anni più tardi, mentre il fratello di Dreyfus indagava per suo conto, il nuovo capo del Servizio Informazioni, colonnello Picquart, riaprì il caso essendosi convinto dell’innocenza di Dreyfus e accusò un altro ufficiale, il colonnello Esterhazy, di nobile famiglia, ma giocatore e bon vivant. Picquart dopo poco fu promosso e trasferito e Dreyfus restò in prigione. E’ a questo punto che secondo lo storico Léon Poliakov inizia il vero Affare Dreyfus, con la pubblicazione , su L’Aurore, il giornale dell’uomo politico radicale Georges Clemenceau, di una lettera aperta dello scrittore Emile Zola intitolata “J’accuse”. Alla fine del 1897 la Francia offrì al mondo l’immagine di un paese sull’orlo della guerra civile, dove i sostenitori di Dreyfus, pochissimi dalla prima ora, e la maggioranza dell’opinione pubblica antidreifusarda si combattevano sui giornali e spesso anche nelle strade. Dreyfus fu riconosciuto innocente nel 1907 e graziato e a molti questo parve un compromesso politico. Le reiterate condanne subite da Dreyfus anche quando i colpevoli e i mandanti dell’azione di spionaggio erano stati chiaramente individuati e la successiva concezione della grazia servirono ad evitare un colpo di stato da parte della francese militarista e nazionalista.
Il caso Dreyfus, con cui inizia questa scheda, è un evento importante storicamente, per molti periodizzante nei confronti dell’emersione di un fenomeno esistente da secoli, ma che alla fine dell’Ottocento veniva ad assumere connotati nuovi: l’antisemitismo . L’antisemitismo si differenzia dalla tradizionale ostilità nei confronti degli ebrei legata alla tradizione cristiana ( antigiudaismo) e nata nella tarda antichità nel momento in cui il cristianesimo si distacca dalla cultura ebraica che lo ha generato. Tale atteggiamento, che si concretizza immediatamente nella presentazione degli ebrei come il popolo deicida viene mantenuto e perpetuato sia nel mondo cattolico, sia in quello protestante, sia , almeno parzialmente, in quello ortodosso. Questo atteggiamento si accompagna, in età moderna, anche una polemica antiebraica di matrice economica, legata alle attività commerciali e bancarie svolte tradizionalmente dagli ebrei, proprio a causa della proibizione ecclesiastica di possedere la terra.
A partire dagli anni ‘70 dell’ottocento, anche se persiste l’antigiudaismo di matrice prevalentemente cattolica – si pensi al caso Mortara, il bambino rapito ai propri genitori, battezzato e mai restituito – nasce in Germania e in Francia un atteggiamento laico di rifiuto degli ebrei che si nutre di elementi culturali e sociali contemporanei.
La parola antisemitismo (antisemitismus ) in tedesco viene coniata da Wilhelm Marr, un ex socialista convertito ai valori germanici, nel libro Semite Jude, esempio eminente di una campagna di diffamazione contro gli ebrei molto virulenta negli anni ’70 e ’80 e collegata ad una situazione economica e sociale difficile ( la nazionalizzazione delle ferrovie). Il bacino di raccolta di questa campagna, che utilizza il lessico antigiudaico già proprio del mondo cristiano , è quello dei contadini e piccoli proletari, che votano per lo più il partito Cristiano Sociale e al tempo stesso sono vicini all’Antisemiten Liga. Questo antisemitismo laico è supportato dalla nascita del cosiddetto mito ariano, derivato a sua volta dagli studi di orientalistica del primo ottocento, che hanno diffuso in occidente la cultura indiana più antica dei Veda , delle Upanisad e del Mahabarata. Per la prima volta l’origine della civiltà e dei valori occidentali vengono distaccati dalla cultura giudaico –cristiana, per risalire ad una mitologia più antica, guerriera ed indoeuropea, di cui i Germani vengono considerati gli unici veri eredi ariani. La nuova cittadinanza tedesca viene associata al recupero dei miti e delle leggende tedesche, il cui più noto divulgatore è il musicista Richard Wagner , autore del lungo ciclo di opere liriche tratto dal Nibelungenlied ( L’oro del Reno, la Walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei ). Il suo genio innovativo e drammaturgico ha diffuso i valori del pangermanesimo. Wagner è uno dei più noti rappresentanti dell’antisemitismo tedesco, pur essendo lui stesso stato aiutato, nel corso dei suoi travagliati esordi , da musicisti ebrei come Meyerbeer o Mendelhsson - Bartholdy. Nello scritto “Il giudaismo nella musica” sostiene che gli ebrei non hanno alcun contatto con il popolo, che dominano una società ormai degenerata, cercando di assimilarsi al punto da dissolversi in essa. In tal modo l’ebreo perde anche la sua specificità culturale, come un ramo secco. “ Il giudaismo non è altro che la cattiva coscienza della civiltà moderna”
Una seconda culla per il movimento antisemita sta nelle numerose teorie razzistiche nate a vario titolo dall’ambito degli studi biologici darwiniani. Nel 1858 Ernest Renan pubblica “Storia generale e sistema comparato delle lingue semitiche.” Lo storico francese contrappone la civiltà ariana a quella semitica insistendo sul tema della razza. La razza ariana è dotata di ampiezza di vedute e profondità di pensiero, che sono l’eredità culturale lasciata dal politeismo antico, mentre la razza semitica è dogmatica e priva di spirito e rigore scientifico. Gesù costituisce un progresso rispetto al formalismo della religione ebraica.
Renan non formula ancora una concezione delle razze umane come determinate biologicamente. Alcuni anni più tardi De Gobineau pubblica il “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”. In esso la differenza fra le razze umane è determinata da criteri biologici, quale la forma e la grandezza del cranio, che sono causa di un diverso grado di sviluppo delle varie civiltà. Sinché le razze sono rimaste pure, la civiltà umana ha prosperato, mentre la mescolanza delle razze, in particolare ad opera dei semiti, ha provocato una generale decadenza. La razza rimasta più pura è quella ariana, prevalente in Germania e nella aristocrazia francese che discende dagli antichi Germani (la borghesia invece deriva dagli schiavi Gallo romani..) Anche De Gobineau si riallaccia ai miti orientali che vedono l’origine della civiltà sull’Himalaya, anziché nella cultura biblica. Nel 1892 Theodor Fritsch, animatore di gruppi e persino società segrete antisemite, nel “ Catechismo dell’Antisemitismo”, dimostrò l’arianità di Gesù. Quest’opera costituisce una sorta di ponte tra l’antisemitismo in cui perdurano ancora gli stereotipi tradizionali dell’antigiudaismo e il razzismo sviluppato in coerentemente in senso biologico. Il maggiore rappresentante di questa corrente è H.St.Chamberlain, un inglese che vive in Germania , dove diviene genero di Wagner e suo collaboratore a Bayreuth , il teatro costruito dal suo mecenate, il re di Baviera, per la rappresentazione delle opere wagneriane. Chamberlain è influenzato dal darwinismo sociale, che applica i principi dell’evoluzione e della selezione naturale alle società umane. Ai due estremi ci sono da una parte le razze più giovani come quella teutonica o nordica, più forte ed elevata moralmente, dall’altro la razza semitica, la più antica, ma anche la più degenerata moralmente. Secondo Chamberlain i contenuti della Bibbia sono stati generati da altre culture, in particolare quella egizia, e poi assimilati dagli ebrei. Il Cristo è ariano. L’opera di Chamberlain ha un grande successo e a sua volta ispira un altro libro famoso e controverso, pubblicato nel pieno della I Guerra Mondiale, “Il declino dell’Occidente” di Oswald Spengler. Cercando di nascondere la derivazione da Chamberlain, rifiuta i “ridicoli cliché di Semita e di Ariano” e li sostituisce con una dicotomia tra “stati faustiani”, tra i quali, ben inteso, c’è la Germania, e le nazioni magiche, che annoverano gli arabi e gli ebrei. C’è una totale incomprensione tra le nazioni faustiane e quelle magiche, perché queste ultime non si identificano mai completamente con il popolo ospite sino a farne il proprio destino. Il sentimento di questa incomprensione genera l’odio, che si nutre di simboli come la razza, la professione, il sangue. Per quanto nel testo abbondino espressioni poi largamente utilizzate anche dalla successiva propaganda nazista, non c’è traccia in Spengler del consueto attacco alla finanza ebraica dominatrice del mondo, come se l’autore avesse voluto distinguersi da coloro che fomentavano volgarmente l’opinione pubblica.
Resta da esaminare un ultimo tipo di antisemitismo, che Poliakov definisce “la rivincita degli atei”. Si tratta di quello anticapitalista. Già il socialista francese Pierre Proudhon considerava l’ebreo com il principe del male, Satana, Arimane, insomma il male incarnato, un essere fraudolento e parassita che non è né lavoratore, né industriale e né veramente commerciante; la sua nefasta influenza nella società è un segno della decadenza dei tempi, che Proudhon associa alla diminuzione del numero dei coscritti, all’imbastardimento delle razze cavalline (!) e all’emancipazione femminile, cui era risolutamente contrario.. Si tratta probabilmente di ossessioni personali, che culturalmente non derivano tanto dal socialismo riformista, quanto, almeno come linguaggio dai tradizionalisti romantici francesi come Bonald. L’ostilità contro gli ebrei è infatti assente tra i socialisti francesi degli anni ’40 dell’Ottocento; anzi i vari Blanqui, Blanc e Fourier spesso prendono le difese degli ebrei. Si potrebbe dire che l’antisemitismo come la religione sia quasi un fatto privato. Tuttavia, una delle opere giovanili di Marx, Die Judenfrage ( La questione ebraica), ha caratteristiche molto diverse. Marx ignora e rinnega le proprie origini ebraiche polemizzando in generale contro la religione. Religione e stato sono due entità inscindibili all’origine di due profonde forme di alienazione. Il vero Dio d’Israele è il denaro e gli ebrei sono legati da interessi puramente materiali che nascondono attraverso la diversità religiosa. E’ inutile parlare di emancipazione degli ebrei, come si chiedeva anche in Germania nel 1840, l’emancipazione dell’ebreo è l’emancipazione dell’ebraismo – e Marx ignora le masse ebraiche proletarie oppresse e sfruttate nella vicina Polonia.
Con questi precedenti e identificando l’ebreo con il capitalismo finanziario il socialismo della prima e della seconda Internazionale è piuttosto ambiguo nel suo atteggiamento verso gli ebrei. Anche durante l’affaire Dreyfus i socialisti francesi , per bocca del loro organo di stampa “ La petite Republique” di Jaurès mantengono un atteggiamento prudente e incerto proprio per questa vocazione “classista”. Solo dal 1897 esponenti importanti come lo stesso Jaurès e Millerand prendono apertamente posizione a favore di Dreyfus, quando ancora l’opinione pubblica socialista era molto più indecisa sul partito da prendere.



Crisi di fine secolo e formazione dell’opinione pubblica

Negli ultimi anni dell’Ottocento le certezze legate al progresso economico e tecnologico si affievoliscono considerevolmente. Gli anni a cavallo del secolo nuovo ci presentano una crisi sia economica , sia politica. I rapporti tra Francia e Germania, già guastati dalla guerra del 1870, peggiorano ulteriormente dopo l’affaire Dreyfus. La Germania, tenendo una politica di basso profilo, ha buon gioco nel demonizzare l’avversario qualificando di barbaro il comportamento dell’opinione pubblica francese. Ma le masse che gridano in Francia “morte agli ebrei” non sono diverse dalle masse tedesche, che hanno votato massicciamente per il Bismark prima, che apparentemente non sono contrarie all’assimilazione degli ebrei, ma plaudono privatamente alle misure restrittive di ogni genere – dall’obbligo di residenza alla durata del servizio militare - approvate in Russia sin dal 1880 o come, l’imperatore Guglielmo II, sono entusiasti dei pogrom antiebraici di Kishinev (1903). Le stesse masse qualche anno più tardi sosterranno la guerra, il presidente Hindemburg e voteranno Hitler.
I “valori nazionali” e patriottici insegnati nelle scuole, o fatti propri dalla stampa costituiscono un fattore di coesione all’interno dei singoli popoli, coesione che implica l’esclusione di tutti i diversi . Quello che sconcerta Clemenceau e altri attenti commentatori è la trasformazione del popolo sovrano in una plebe molto attirata dal mito dell’uomo forte, in Germania, come in Francia . questo perché quasi ovunque al progresso economico non ha fatto eco un progresso dei diritti e della consapevolezza politica, anche in quei paesi di più antica democratizzazione. Inoltre permangono, in paesi come la Russia o l’Italia, sacche di privilegi e di arretratezza politica ed economica. Anche la presenza di vasti imperi coloniali, quello francese e quello inglese in particolare, non serve da freno alle tensioni sociali emergenti, anzi diventa un ulteriore fattore di competizione.
In questo panorama l’esercito diventa quasi ovunque il baluardo contro la mutevolezza dei rapporti sociali e la tempo stesso e proprio per questo un premio molto ambito per gli ebrei come simbolo della loro emancipazione e integrazione ( il “sangue versato”). L’esercito è l’ultimo bastione dell’aristocrazia, è legato alla tradizione ( antirepubblicana in Francia, antiparlamentare in Germania e in Italia, imperiale in Austria- Ungheria), generalmente clericale, ancora molto influente per chi vuole fare carriera. L’esercito, sino alla Seconda Guerra Mondiale, mantiene uno spirito di corpo fortissimo al suo interno e una quasi totale seclusione dalla vita civile, cui non è sottoposto. Non viene per ciò stesso democratizzato. Ciò fa nascere diffidenze reciproche, che sono molto evidenti nell’ affaire Dreyfus , che è anche un caso aperto tra giurisdizione civile e militare, risolto alla fine dal compromesso cui si è accennato.
Sebbene non sempre in aperto conflitto con il mondo civile, esercito e burocrazia dello stato si mantengono separati e si controllano. L’esercito spesso si presenta come elemento di ordine ed efficienza in senso antiparlamentare, specie dove questo tipo di regime mostra segni di debolezza: in Italia alla vigilia della prima Guerra Mondiale, in Germania nel primo dopoguerra, durante la Repubblica di Weimar. Non a caso le costituzioni più recenti in Europa mettono l’esercito sotto il controllo democratico, come accade nella Costituzione italiana, che però al suo apparire lasciava sopravvivere la pena di morte, altrimenti abolita, nell’ambito dei tribunali militari.
Tutti questi elementi , sovente contraddittori, costituiscono lo sfondo entro cui viene individuato negli ebrei un ideale capro espiatorio. L’opinione pubblica, in Francia ma non solo, risponde, istigata dalla stampa, che è il mezzo ideale per diffondere idee, polemiche, anche menzogne. Il processo Dreyfus è un affare perfetto, per la stampa, tanto che proprio su di essa inizia. Ci sono arringhe, lettere aperte, polemiche assimilate avidamente dai lettori, che si identificano con uno dei due schieramenti e anche con un giornale piuttosto che un altro: “L’Aurore” di Clemenceau , o “La Libre parole” di Edouard Drumont, già autore de “La France Juive” ( “La Francia Ebraica”), antidreyfusardo, in nome della tradizione, di quella Francia della religione , delle crociate, di Luigi XIV, libera dall’influenza dei laici, degli ebrei, dei repubblicani. La Chiesa, quasi ovunque, ma in Francia più che altrove, perde posizioni di potere e di influenza nella società, ma questo non elimina le tensioni sociali, anzi le esaspera. L’antisemitismo, ovunque, diventa un fattore interclassista.
Le masse sono in primo piano. Sono il frutto della sovranità popolare, del suffragio universale ( maschile), ma il loro comportamento dimostra che sono facilmente influenzabili e che il loro comportamento collettivo è sovente irrazionale anche nelle scelte elettorali. Il popolo – scrive Clemenceau – “ è cacciato dal suo trono di giustizia e privato della sua maestà”. Vediamo le masse sobillate dalla chiesa o dalla propaganda razzista aggredire uomini politici e cittadini ebrei, assalire attività ebraiche, in una anticipazione dei pogrom russi e poi nazisti.
Si tratta di un periodo di crisi e non si può non notare come, dalla fine dell’Ottocento in poi, si sia avuto un ritorno dell’antisemitismo in forme più o meno esplicito nei momenti di maggiore crisi economica, politica e culturale.
A questi elementi si deve aggiungere un elemento di crisi di tipo filosofico: la crisi ( per alcuni definitiva) del sistema di valori creato dall’illuminismo. Nell’ottocento l’uomo è ancora convinto di vivere nella luce della ragione e non nelle tenebre.
Però.. A fine secolo, accanto alle esposizioni universali che dipingono a tinte rosee il futuro dell’uomo, si diffonde una cultura che è stata definita “del sospetto” da Gianni Vattimo, che coglie nella filosofia di Nietzsche il punto di rottura con una tradizione che ha fatto dell’uomo e delle sue possibilità una religione. Ma se l’uomo non ha più bisogno di dio, se Dio è morto – la nuova aurora di cui parla Nietzsche- che cosa è l’uomo? E’ su questa definizione che si gioca la partita, e il tragico travisamento di cui la filosofia di Nietzsche è stata vittima ne è la dimostrazione. Chi non rientra entro una precisa definizione di “umano” è una cosa, un non- essere, un non-esistente ( gli ebrei nei campi, per i nazisti, non erano uomini, ma Figuren, fantocci). Lo stesso progresso diventa un mito distruttore, fine a se stesso, che serve a giustificare razze, religioni, arte, eugenetica, con l’effetto di distruggere ogni memoria, ogni senso, ogni valore, ogni morale.
E dopo il 1945 il progresso, dopo aver condotto l’umanità sull’orlo dell’autoannientamento, si trasforma nella felicità immediata che rifiuta ogni domanda, anche su questioni essenziali come la vita, la sofferenza e la morte, lasciando l’uomo completamente disarmato di fronte alla vita.



Antisemitismo e persecuzione

Il legame tra antisemitismo culturale e persecuzione attiva è presente sin dall’inizio dell’età moderna, con la cacciata degli ebrei dalla Spagna (Gerush): ho usato volutamente la parola antisemitismo, in questo caso, poiché questa persecuzione non è solo religiosa, ma presenta, se non apertamente almeno nei fatti, un aspetto razziale ( la limpieza de sangre). Prima di allora, oltre alla segregazione, all’obbligo di portare segni distintivi e a tutta una serie di limitazioni nel movimento e nelle attività economiche permesse, c’erano stati sporadici attacchi di violenza “dal basso”, sostenuti solitamente, quando non apertamente incoraggiati da Chiesa e sovrani laici, il cui comportamento presenta non poche ambiguità. Spesso tolleravano e favorivano la presenza degli ebrei, ma la loro situazione restava precaria e in balia di circostanze sovente fortuite.
Nell’ Ottocento l’antisemitismo nei paese occidentali comincia ad assumere caratteri violenti con l’ affaire Dreyfus.: attacchi ad ebrei, negozi assaltati e devastati, lo stesso Dreyfus percosso in strada e il suo aggressore mandato assolto dal tribunale che riconosce che il popolo non ha accettato l’innocenza. In Russia sin dagli anni ’80 avviene lo stesso fenomeno . Il governo, di fronte alla campagna di attentati e all’azione dei movimenti democratici, oltre alla repressione generalizzata e alle deportazioni , vara una serie di misure discriminatorie verso ebrei, come l’estensione del servizio militare, la limitazione all’accesso alle università, la residenza coatta. A queste si accompagnano esplosioni di violenza dal basso, realizzate però con il pieno appoggio dell’autorità, che vedono nei pogrom un modo di deviare il malcontento popolare verso un comodo capro espiatorio ( nel mondo orientale gli ebrei sono spesso piccoli commercianti e artigiani, dal reddito molto basso, ma dalla elevata visibilità per i loro usi e le loro pratiche religiose). Opera del generale Ratchkovskij, alto funzionario della polizia segreta zarista, l’Ochrana, sono anche “ I protocolli dei savi anziani di Sion” , plagio di un libello antisemita di un certo Joly , che diffonde la teoria del complotto degli ebrei per dominare il mondo attraverso da un lato l’azione dei sindacati e dei movimenti socialisti e dall’altro attraverso il capitale finanziario e la massoneria . E’ un libro di straordinario successo anche al di fuori della Russia: nonostante gli stessi russi abbiano in seguito dimostrato la sua falsità continua a essere ristampato ancora oggi. L’apparato militare fa pressione sulla chiesa e sulla magistratura: sino agli inizi del ‘Novecento si susseguono le accuse e i processi per omicidio rituale, ma la Chiesa e la magistratura si mostrano , nella maggior parte dei casi, indipendenti nel loro giudizio. Questo accanimento contro gli ebrei è spiegabile osservando le statistiche degli arresti: la percentuale degli ebrei processati per motivi politici è nettamente superiore al rapporto tra popolazione ebraica e popolazione complessiva, e questo li rende particolarmente sospetti. Del resto i pochi ebrei che riescono a terminare gli studi non possono non agire per cercare di migliorare le spaventose condizioni in cui vivono. I pogrom russi, in particolare quello di Kishinev ( Pasqua 1903) sollevarono una vasta eco anche in Europa, di simpatia verso gli ebrei ( ma anche di plauso verso gli assassini, come abbiamo visto) : i banchieri ebrei come i Rothschild rifiutarono ulteriori prestiti alla Russia, il valore delle obbligazioni russe crollò, ma la persecuzione non cessò. L’alternativa rimasta agli ebrei era o l’emigrazione verso gli Stati Uniti sino al 1910 più di un milione e mezzo di persone partì, o la conversione al cristianesimo o all’Islam, o come si è visto, la militanza politica, sia nel movimento sionista fondato in Austria da Theodore Herzl o nei partiti politici come il Bund, il partito operaio ebraico, che vedono la luce entrambi nel 1897.
Dopo la Prima Guerra Mondiale e la rivoluzione russa, vi sono altri movimenti antiebraici come il pogrom di Simon Petliura in Ucraina, che sono meno spontanei e più determinati . si inscrivono nelle lotte antibolsceviche. D’altro canto la rivoluzione russa, dove agisce un gruppo dirigente di origine ebraica, e i successivi accordi di Brest Litovsk che provocano il ritiro della Russia dall’Intesa vengono attribuiti agli ebrei anche dalla più autorevole stampa occidentale, come il Times di Londra, e L’homme enchainé di Clemenceau.
Gli accordi di pace e la “ dichiarazione Balfour” (1917) sembrano aprire nuove prospettive alla possibilità, per gli ebrei, di ottenere un “focolare” , cioè uno stato indipendente in Palestina, sotto al mandato britannico. Mentre si intensifica l’emigrazione ebraica verso la Palestina, il mondo occidentale si avvia verso la deflagrazione di un antisemitismo non più astratto, ma reale. Questo processo viene accelerato dalla nascita dei totalitarismi, il nazismo in Germania, lo stalinismo in Unione Sovietica e infine (dal punto di vista dell’adozione dell’antisemitismo) il fascismo italiano.
Il legame tra totalitarismo e sterminio degli ebrei, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale viene spiegato da due principali scuole interpretative.
La prima è più diffusa ed è quella dello “sterminio volontario” ( tesi intenzionalista). Ossia della persecuzione antiebraica come elemento connaturato al totalitarismo, presente nella sua ideologia e nelle sue politiche attive. In questo modo sia la politica eugenetica del nazismo, sia la Shoà ( che fra l’altro furono condotte dagli stessi individui) sono elementi fondamentali della costruzione dell’ordine nuovo di cui parlava Hitler. Questa è la tesi sostenuta da Raul Hillberg, da Poliakov, da Laqueur, e più recentemente da Browing e da Goldhagen ( cfr. il cap.I di “ I volonterosi carnefici di Hitler”)
La seconda sostiene che lo sterminio degli ebrei è uno strumento necessario, ma contingente, alla guerra ideologica contro l’URSS. In caso contrario, la politica di Hitler si sarebbe “accontentata” della segregazione e della espulsione “eventuale”, con qualche pogrom “spontaneo” come la “notte dei cristalli”. Questa tesi giustifica le saltuarie esplosioni di antisemitismo sovietico prima e dopo la guerra : già nel 1919 un operaio, parlando con il dirigente bolscevico Kalinin, diceva che i Russi sarebbero diventati tutti bolscevichi e subito, se la rivoluzione li avesse sbarazzati degli ebrei… Giustifica inoltre l’adesione tardiva del fascismo all’antisemitismo, al momento della alleanza con la Germania. In questo modo però viene a mancare la tesi dell’unicità della Shoà come forma di sterminio programmato e lo si assimila ad altri grandi massacri del passato, tutti legati a circostanze eccezionali politiche e militari. ( tesi di Arno Mayer, La soluzione finale)



Totalitarismo e antisemitismo

Il totalitarismo hitleriano fa dell’antisemitismo un aspetto fondamentale della sua ideologia e un principio necessario della sua azione politica. Il saggio ormai classico di Hannah Arendt “Le origini del totalitarismo” (1951) analizza le origini del totalitarismo proprio a partire dalla condizione degli ebrei nella seconda metà dell’ottocento, così come noi l’abbiamo delineata nei paragrafi precedenti, individuando nell’ affaire Dreyfus e nell’imperialismo di alcuni stati europei, in particolare della Germania, i fattori scatenanti dell’antisemitismo di massa. Il totalitarismo è una nuova forma di stato diversa dalle altre forme di “governo degli uomini” (Bobbio) che si sono presentate nella storia come la dittatura dell’antichità o più recentemente il regno di Napoleone I o Napoleone III. Lo sfondo del totalitarismo è una società di massa, dove agiscono partiti e istituzioni di tipo parlamentare . Il movimento che fa capo ad un leader carismatico ( tema questo non utilizzato dalla Arendt, ma analizzato già nel 1920 da Max Weber) si contrappone ai partiti tradizionali in nome di una forza decisionale e di identificazione personale organica che superano per rapidità efficienza e solidità l’istituzione giuridica. Il nucleo centrale dell’ideologia totalitaria è l’obbedienza e questa risposta identifica nell’opposizione radicale alla modernità e ai suoi valori di libertà la chiave per comprendere, almeno in parte il successo del movimento nazista. Hitler voleva fare risorgere, nello stato razziale, il popolo tedesco e la sua identità nazionale e il suo passato mitologico dalla sconfitta subita nella Prima Guerra mondiale. Gli ebrei rappresentavano perfettamente quegli ideali di democrazia, pacifismo e internazionalismo che il nazismo combatteva e non rientravano nell’ideal tipo tedesco, come gli zingari. Questo era sufficiente per determinare la loro eliminazione. Non mancavano nemmeno le ragioni economiche, come il desiderio di appropriarsi di ricchezze e posizioni detenute dagli ebrei in Germania in nome di una razionalizzazione organica dell’economia, in ogni caso le ragioni politiche ed ideologiche hanno la meglio sulle altre considerazioni, come si vedrà durante la guerra, quando gli ebrei nei campi vengono eliminati anche quando il loro lavoro di manodopera a costo zero è utile allo sforzo bellico tedesco.
Al sistema democratico il nazismo e il fascismo prima di lui sostituiscono un sistema militare, costituito dall’esercito da organizzazioni paramilitari e dalla polizia: l’elemento chiave è il terrore, che permea di sé ogni livello sociale.
Il recente libro di Zsigmund Bauman “Modernità e olocausto” (1989) aggiunge a questi alcuni altri elementi. Riprendendo il tema del capo carismatico caro a Weber , Bauman rileva come tra il capo, il gruppo dei suoi seguaci “della prima ora” e il resto del Volk ci fosse una burocrazia del partito che trasformava la volontà del leader in legislazione e la faceva rispettare. Uno dei primi provvedimenti del nazismo, all’indomani della presa del potere, fu ad esempio l’espulsione degli ebrei dalle università tedesche. A questi provvedimenti, non a caso, si accompagnano ad altri che pongono le basi dello stato razziale, come la sterilizzazione volontaria o coatta degli asociali e degli affetti da malattie trasmissibili per via ereditaria . Segue negli anni successivi uno stillicidio di provvedimenti discriminatori volti ad accentuare l’isolamento degli ebrei nel mondo tedesco, che culminano con le leggi di Norimberga del 1935. Esse ratificano il processo di espulsione degli ebrei tedeschi dalla società stabilendo che solo chi ha sangue tedesco può essere cittadino e vietano qualunque contatto sia di lavoro, sia sentimentale o sessuale tra appartenenti a razze diverse. L’unica concessione che viene fatta alle necessità di un paese sulla via del riarmo riguarda i meticci (Mischlinge). : con un regolamento successivo, i figli di matrimoni misti vengono assimilati ai tedeschi a meno che non siano a loro volta sposati con ebrei o membri attivi della comunità ebraica.
Il popolo tedesco e la chiesa, sia cattolica sia protestante, accettarono passivamente questi provvedimenti.
Le leggi razziali italiane del 1938 furono promulgate sulla base di quelle tedesche. Al concetto culturale di razza ariana si accompagna una serie di provvedimenti economici che mirano ad escludere gli ebrei da ogni tipo di attività. Sono le banche ad incaricarsi della confisca e della gestione dei beni degli ebrei, creando così un contenzioso difficile da sanare quando, dopo la fine della guerra, superstiti ed eredi cercheranno di rientrare in possesso dei loro beni.





L’antisemitismo del secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra assistiamo alla nascita dello stato di Israele (1948), risultato più rilevante del movimento nazionale ebraico, il sionismo. La rinascita di uno stato ebraico dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 e.v. è un tema sempre presente nella tradizione rabbinica e religiosa, dove spesso si accompagna a fantasie mistico –messianiche come quelle di Shabbetai Zevi nel 1600. Nell’ ‘800 il mondo ebraico della diaspora si interroga sulla necessità dell’assimilazione o si laicizza, mentre nasce l’idea di una nazione ebraica in autori come Moses Hess . E’ l’antisemitismo aggressivo dell’ affaire Dreyfus e dei pogrom che spinge il giornalista Theodoro Herzl a fondare nel 1897 un movimento politico, attivo in particolare nell’europa orientale dove si diversifica in varie componenti, che vanno dal nazionalismo dei “revisionisti” al socialismo al messianismo religioso.
Vent’anni dopo il primo congresso sionista, e dopo infruttuose trattative con molti stati europei incluso il Vaticano, la dichiarazione Balfour apre possibilità politiche concrete, che il blocco dell’immigrazione negli anni ’30 e l’opposizione della Gran Bretagna alla fine della guerra sembrano portare al fallimento. Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra migliaia di profughi provenienti dalle zone occupate dai tedeschi cercano di entrare più o meno legalmente in Palestina, sovente arrestati e internati a Cipro. Bisogna aggiungere che nonostante le morte di milioni di persone nei lager l’antisemitismo, specie in Polonia, non è spento e vi sono parecchi episodi di violenza contro i sopravvissuti che culminano nel pogrom di Kielce nel 1946.
Per sanare la crescente tensione tra ebrei e arabi, l’Onu presenta un piano che preveda la spartizione della Palestina tra le due comunità, piano rifiutato dagli arabi. Alla proclamazione dello stato d’Israele scoppia una guerra tra il nuovo stato e i paesi arabi confinanti che si conclude con la loro sconfitta militare e con il riconoscimento del nuovo stato da parte della comunità internazionale.
La presenza di Israele, e ancora prima l’immigrazione ebraica, fa nascere nei paesi arabi e in generale nel mondo musulmano un antisemitismo politico prima che religioso, alimentato dal nascente nazionalismo di questi paesi. I discorsi del Gran Muftì di Gerusalemme, che durante la guerra fu ricevuto da Hitler, riecheggiano frequentemente “I protocolli dei savi anziani di Sion”.
In questa sede non saranno analizzate le complesse vicende mediorientali, la cui risoluzione purtroppo non sembra prossima. Il sostegno ai diritti del popolo palestinese ha favorito il nascere, in Europa ed in altre parti del mondo di un antisionismo che sovente non è stato altro che una forma appena mascherata di antisemitismo.
Contestualmente, nel mondo occidentale, in Europa come negli Stati uniti, come in Russia, la rinascita di movimenti neonazisti e neofascisti o nazionalisti ha riportato in auge l’antisemitismo di tipo razziale e generalmente xenofobo. Ci sono stati partiti come quello Republikaner in Germania, messi al bando proprio per l’apologia del nazismo e dello sterminio sostenuti in scritti e recentemente anche su siti internet. La riproposta del libro di Hitler “Mein Kampf” come dei “Protocolli” non conosce sosta.
Dal punto di vista culturale, la riflessione sui fatti del Novecento ha fatto nascere una scuola storica detta negazionista, nella quale polemisti come il francese Faurisson o storici come Irving sono giunti a negare la realtà della Shoà , dello sterminio degli ebrei e delle camere a gas attribuendoli alla propagnada alleata o a un complotto ebraico a sostegno del sionismo . Le tesi di questi autori hanno suscitato una giusta indignazione nell’opinione pubblica europea e hanno ricevuto una sanzione giuridica in vari paesi tra cui la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. L’antisemitismo è tuttavia una pesante eredità del secolo scorso che nonostante tutto quello che è accaduto non siamo ancora riusciti ad estirpare.





Bibliografia


Della numerosa bibliografia sull’antisemitismo vengono qui citati soltanto quelli direttamente utilizzati per elaborare questa scheda.
Adorno, Frenkel Brunswick, Levinson, Sanford, La personalità autoritaria, Comunità, Milano, 1973 (1950)
Arendt, H., Le origini del totalitarismo, Comunità, Milano, 1967 (1951)
Barromi, J., Storia dell’antisemitismo, Marietti, Genova, 1988
Bauman, Z., Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna, 1994 (1991)
Browning, C.R., Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale “ in Polonia, Einaudi, Torino 1995(1991)
Browning, C.R., Verso il genocidio. Come è stata possibile la soluzione finale, Il Saggiatore, Milano, 1998 (1992)
Girard, Il capro espiatorio, Adelphi , Milano, 1987(1987)
Goldhagen,D.J. , I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Mondadori, Milano,1997 (1996)
Gozzini, G., La strada per Auschwitz, Bruno Mondadori, Milano, 1996
Hillberg, R., La distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi , Torino, 1995 ( 2voll.) ( 1985)
Hillberg, R, Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 1933-1945, Mondadori, Milano, 1994(1992)
Lewis, B., Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e un pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1990 (1986)
Mayer A.J., La soluzione finale. Lo sterminio degli ebrei nella storia europea, , Mondadori, Milano, 1990 (1988)
Mosse, G.L., La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania, Il Mulino, Bologna, 1984(1975)
Poliakov, L., Storia dell’Antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze,1974 (1955)
Todorov,T., Di fronte all’estremo, Garzanti, Milano, 1992 (1991) "

Shalom!!!

yurj
27-04-03, 19:22
Uno dei pezzi piu; fantasiosi chi i abbia mai letto. Addirittura Dreyfuss.

Il tono mi ricorda quello dei dibattiti tra tifosi, con frasi del tipo : "Il Milan e' meglio della Juve".

Bocciato senza appello.



in 20 secondi avrai letto sì e no 5 righe e capito ...nulla Pieffebi

Paul Atreides
27-04-03, 23:25
Giusto qualche appunto sparso

1) I ''Protocolli'' non sono opera dell'Ochrana ma dell'ambiente antisemita pietroburghese gravitante intorno la rivista ''Znamja''

2) Petljura antisemita? A me pare che i pogrom in Ucraina fossero anh'essi opera dei ''centoneri''. Mah...

3) Quando si parla di sionismo si tace sempre dell'assoluta avversione all'assimilazionismo ebraico come motivazione cruciale del sionismo stesso. D'altronde, basterebbe leggersi Moses Hess, "Roma e Gerusalemme''

4) Il ''mischling'' è la dimostrazione, ovviamente passata sotto silenzio, di come l'ebraismo non fosse, per il nazionalsocialismo, un ''marchio'' genetico inestirpabile

5) il revisionismo radicale non poteva mancare, of course:D

babar
28-04-03, 00:57
Originally posted by Paul Atreides


3) Quando si parla di sionismo si tace sempre dell'assoluta avversione all'assimilazionismo ebraico come motivazione cruciale del sionismo stesso. D'altronde, basterebbe leggersi Moses Hess, "Roma e Gerusalemme''

4) Il ''mischling'' è la dimostrazione, ovviamente passata sotto silenzio, di come l'ebraismo non fosse, per il nazionalsocialismo, un ''marchio'' genetico inestirpabile



Non ho letto prima , ma vedo questi due punti e non posso non dissentire, almeno in parte :

3] l' avversione che c'è , ed è forte , non può però _di fatto_ essere definita come " assoluta " perchè gli assimilazionisti c' erano , ci sono e ci saranno sempre . Poi è chiaro che il sionismo è uno degli strumenti per non assimilarsi , ma non è affatto l' unico e , forse , nemmeno il più efficiente .

4] certo che era un marchio genetico inestirpabile ma un minimo di buon senso imponeva di non darsi a folli progetti di ricerche genealogiche tra area di residenza e fuga dallo stattel .

Ma non se ne era già parlato ?

Ciao

b.

Paul Atreides
28-04-03, 18:34
Si, se n'era già parlato, in altri contesti

Comunque: perlomeno riconosci il peso dell'anti-assimilazionismo nella formazione del sionismo senza ricorrere al sempiterno e onnipervasivo ''antisemitismo'' come unica e suprema causa. Che poi il sionismo non sia l'unico modo per evitare l'assimilazionismo è un punto che esula dal discorso ''sionismo''.

I ''mischlinge'' erano tali proprio a seguito di ricerche accurate negli alberi genealogici:) Come al solito, tutto quello che non quadra con il cliché ideologico che la vulgata ha appioppato al nazionalsocialismo viene minimizzato come ''pragmatismo''


Ciao

Paul Atreides
28-04-03, 19:25
Altre piccole chiose

1) Browning [ora si spiega perché la signorina non ne conosce manco il nome] classificato come ''intenzionalista'' è una boutade davvero eccellente che denota le ampie conoscenze in materia dell'autrice del polpettone

2) Himmler era fissato con l'origine indoeuropea degli zingari. Ergo, più lo zingaro era ''puro'' e meno era discriminato. In altre parole, l'atteggiamento era completamente rovesciato rispetto all'''ebreo'', che più era ''puro'' e più veniva discriminato

3) qualcuno spieghi alla signorina che la sua ammissione della rivoluzione russa ''dove agisce un gruppo dirigente d'origine ebraica'' è un incauto argomento a favore della categoria di ''giudeo-bolscevismo''

4) ovviamente, sono passati sotto silenzio i rapporti tra il sionismo e il fascismo e il nazionalsocialismo. Non credo fosse lecito aspettarsi il contrario:D

Pieffebi
28-04-03, 20:20
La distruzione della ragione, presupposto dell'ideologia del nazionalsocialismo, evve verso i meticci una posizione diversa da quella di altri razzismi (anche se non in modo univoco e sempre coerente) compreso quello di certo fascismo italiano, che nelle legislazione conseguente affrontò diversamente l'argomento. Nel "sanguemisto" il nazionalsocialismo preferì alla ripugnanza per la quota di sangue "inferiore", la protezione della percentuale di "sangue tedesco" o "ariano". Ovviamente, tuttavia (e questo è quello che è decisivo per giudicare la delirante ideologia nazista) le leggi di Norimberga si peritarono di impedire in ogni modo la nascita di nuovi sanguemisti, sia dentro che fuori dal matrimonio.
Basti pensare che i tedeschi di "sangue ariano" non potevano avere persone di serivizio di razza ebraica se non di età superiore ai 45 anni (una sorta di "perpetua"). Le infami leggi per la "purificazione" o "protezione del sangue tedesco", erano secondo la lettera, efficaci soltanto per i fatti (matrimoni, concubinati, relazioni sessuali extraconiugali) compiuti entro il territorio germanico, ma la "giurisprudenza" nazista (se si può usare questo termine per la legge dell'arbitrio assoluto fondata sul "principio del Capo") ben presto si preoccupò di correggere questa....imperfezione. Il "Gran Senato Penale" a partire dal 1938 iniziò a sentenziare che i cittadini e sudditi del Reich erano soggetti alle leggi razziali tedesche ovunque....
Non dimentichiamo, tanto per intendere lo "spirito" della "scienza giuridica" nazionalsocialista, che sempre negli anni trenta l'associazione degli avvocati nazisti pubblicò svariati opuscoli (nove secondo Neumann, sette secondo Collotti) in cui, tra l'altro, si accusava il razionalismo e il positivismo giuridico di essere il prodotto della contaminazione ebraica della scienza!!!
Letteralmente....roba da matti.

Shalom!!!

Paul Atreides
28-04-03, 21:09
Azz. Quindi sul problema ''meticcio'' il nazionalsocialismo si scopre essere meno razzista del fascismo, che infatti escluse dalla cittadinanza i meticci in AOI [RDL 1° giungno 1936, n. 1019 -ordinamento e amministrazione dell'Africa orientale italiana]

Ovviamente, il ''mischling'' dimostra la graduale assimilabilità del ''sangue ebraico'' alla faccia del carattere immodificabile del ''gene ebraico''. E se consideriamo che il totale dei ''mischlinge'', dopo le leggi di Norimberga, oscillava tra i 195.000 e i 205.000 [a fronte dei circa 500.000 ebrei ''puri''] ci accorgiamo che la cosa è indicativa assai [cifre tratte da S. Friedlander, ''La Germania nazista e gli ebrei'', Garzanti, 1998, p. 159]. Ma su questo punto cruciale, glissare è la regola

Sulla scienza giuridica tedesca, il casino è imperante. Ricondurre tutto alla volontà del Fuehrer [a sua volta coincidente con la volontà dello Stato] è, per molti interpreti successivi, il massimo del positivismo giuridico [tant'è che pure Kelsen si trovò accusato di aver spianato la strada al nazismo con le sue distinzioni tra ''legalità'' e ''legittimità'']. Altra invece era la posizione ''organicista'', ad es., di autori neohegeliani come Binder o Larenz che erano acerrimi nemici del giuspositivismo.

Saluti

babar
28-04-03, 21:22
Originally posted by Paul Atreides

4) ovviamente, sono passati sotto silenzio i rapporti tra il sionismo e il fascismo e il nazionalsocialismo. Non credo fosse lecito aspettarsi il contrario

Vabbè , dai, non abbiamo parlato nemmeno di quelli con Husaini , ma questo non significa che non ci siano stati ...

Quanto al sionismo in chiave antiassimilazionista : se da un lato è vero che indubbiamente c' erano e ci sono ebrei che sono sionisti principalmente per questo motivo ho ottimi motivi per credere che essi siano una minoranza .

L' identità e il senso di appartenenza sono _costanti_ dell' ebraismo ma l' amore per la propria cultura e le proprie tradizioni aumenta drammaticamente quando ci si senta minacciati , anche fisicamente .[basta pensare ai sondaggi sul rispetto dello shabbat in Israele a partire dalla seconda intifada]

Quindi , se da un lato è vero che ancor oggi alcuni ebrei fanno Alyah per seri motivi ideologici e perchè pensano che solo così potranno essere _ebrei fino in fondo_ dall' altro è vero che la maggior parte degli ebrei vive fuori Israele , che moltissimi ebrei provenienti da paesi ricchi immediatamente dopo la seconda guerra mondiale trasferitisi in Israele sono tornati ai loro paesi d' origine [pensa un pò , la Germania da anni ormai è quella dove aumenta maggiormente la comunità ebraica a ritmi di quasi 2000 all' anno recentemente ] .

Ora non ho tempo di approfondire ma credo di avere ragione .

Ciao

b.

Pieffebi
28-04-03, 21:25
Innanzi tutto nessuna produzione di nuovi meticci, condannata come grave crimine dalle leggi naziste. Il resto sul primato di delirio razzista fra nazisti e fascisti...beh.... è un derby.....
Circa il positivismo giuridico e il diritto nazista bisogna distinguere tra Rechtpositivismus e Staatpositivismus (Rosembaum, Kauffman..), e tenere conto del particolare "giusnaturalismo" dei nazi.

Shalom!!

Paul Atreides
28-04-03, 21:51
Tratto dal polpettone: ''La presenza di Israele, e ancora prima l’immigrazione ebraica, fa nascere nei paesi arabi e in generale nel mondo musulmano un antisemitismo politico prima che religioso, alimentato dal nascente nazionalismo di questi paesi. I discorsi del Gran Muftì di Gerusalemme, che durante la guerra fu ricevuto da Hitler, riecheggiano frequentemente “I protocolli dei savi anziani di Sion”.

Come vedi, babar, le frequentazioni del Muftì sono state, come di regola:D , riportate [con ovvio silenzio sul motivo anticolonialista e antiinglese alla base di tali frequentazioni]

Sull'assimilazionismo, io ne parlo come motivo ''genealogico'' del sionismo. In pratica, il sionismo ha senso se l'assimilazione fallisce. Altrimenti non ci sarebbe stato alcun popolo ebraico da ricondurre ''a Sion''. Mi pare evidente

Così come mi pare evidente che l'ottocento [e buona parte del settecento] è il secolo dell'emancipazione ebraica e quindi il secolo che più testimoniava a favore dell'assimilazione. Ecco perché questo tema era avversato dai sionisti: perché era all'ordine del giorno. E non mi stanco di ripetere che il sionismo nasce proprio in quell'Europa orientale dove l'assimilazionismo aveva preso molto meno piede che in Europa occidentale. E, a proposito, perchè nessuno ricorda le polemiche chassidiche contro l'haskalà?

Quanto, poi, al fatto che l'ebraismo sia un difensore strenuo della propria identità, tant'è che l'ha salvata in più di 1800 anni di diaspora, è paradossale che a ricordarlo ed apprezzarlo sia proprio tu che, in genere, te ne freghi di queste cose ''etno''. O, domanda assai maliziosa, per l'ebraismo fai un'eccezione?

Ciao

Paul Atreides
28-04-03, 21:59
Originally posted by Pieffebi
Innanzi tutto nessuna produzione di nuovi meticci, condannata come grave crimine dalle leggi naziste. Il resto sul primato di delirio razzista fra nazisti e fascisti...beh.... è un derby.....
Circa il positivismo giuridico e il diritto nazista bisogna distinguere tra Rechtpositivismus e Staatpositivismus (Rosembaum, Kauffman..), e tenere conto del particolare "giusnaturalismo" dei nazi.

Shalom!!

Ecco, sul diritto nazionalsocialista mi pare già una parziale correzione di rotta, visto che alcuni interpretano il nazionalsocialismo come ultrapositivismo.

Sui ''mischlinge'' glissa. Ma era preventivato...Più conveniente nascondersi dietro l'oleografia del ''delirio''

Saluti

Pieffebi
28-04-03, 22:08
Non mi pare di aver glissato. Ho sempre detto che la posizione nazista (almeno quella dominante ) sui "sanguemisti" era quella. Lo stesso concetto di "sanguemisto" fra due tedeschi pressochè indistinguibili per lingua, cultura, mentalità generale e anche aspetto fisico (in buona parte dei casi), visto il grado di "assimilazione" di fatto dalla grande parte degli "ebrei" tedeschi.... è un delirio.

Shalom!!!

Paul Atreides
28-04-03, 22:18
Quindi riconosce che la tanto sbandierata ''inassimilabilità'' del ''sangue ebraico'' da parte dei nazisti, in realtà non era tale. Mi pare un buon passo avanti

Saluti

Pieffebi
28-04-03, 22:27
Originally posted by Paul Atreides
Ecco, sul diritto nazionalsocialista mi pare già una parziale correzione di rotta, visto che alcuni interpretano il nazionalsocialismo come ultrapositivismo.

Sui ''mischlinge'' glissa. Ma era preventivato...Più conveniente nascondersi dietro l'oleografia del ''delirio''

Saluti

Ultra-positivismo se ci si riferisce al riferimento "astratto" alla "mera norma" positiva come norma che comunque "obbliga la coscienza" indipendentemente da ogni possibile giudizio etico, soggettivo. "Il Capo agisce giustamente qualunque cosa decida e qualunque norma decida va osservata". Una Teocrazia senza Dio, con il Capo divinizzato, con l'affossamento del dualismo liberale fra Stato e Chiesa (partito e Stato con lo Stato strumento del partito, espressione del Volk) e fra Diritto e Fatti. Il Capo in quanto espressione del Volk, della sua "volontà generale" è espressione della "voce del suo sangue". La norma emanata dal Capo è sempre espressione pertanto del Diritto Naturale del Popolo tedesco. Un bel casino insomma...

Shalom!!!

Pieffebi
28-04-03, 22:33
Originally posted by Paul Atreides
Quindi riconosce che la tanto sbandierata ''inassimilabilità'' del ''sangue ebraico'' da parte dei nazisti, in realtà non era tale. Mi pare un buon passo avanti

Saluti

Non si tratta di assimilazione del sangue ebraico, ma di difesa della parcentuale di "sangue tedesco", che è quello che può essere riassorbito in date condizioni. Ovviamente il "sanguemisto" è portatore anche, in parte, di un sangue estraneo. Ma proprio perchè il sangue tedesco è "superiore", è dominante e più importante e non va perduto.

Shalom!!!

Paul Atreides
28-04-03, 22:36
Originally posted by Pieffebi
Ultra-positivismo se ci si riferisce al riferimento "astratto" alla "mera norma" positiva come norma che comunque "obbliga la coscienza" indipendentemente da ogni possibile giudizio etico, soggettivo. "Il Capo agisce giustamente qualunque cosa decida e qualunque norma decida va osservata". Una Teocrazia senza Dio, con il Capo divinizzato, con l'affossamento del dualismo liberale fra Stato e Chiesa (partito e Stato con lo Stato strumento del partito, espressione del Volk) e fra Diritto e Fatti. Il Capo in quanto espressione del Volk, della sua "volontà generale" è espressione della "voce del suo sangue". La norma emanata dal Capo è sempre espressione pertanto del Diritto Naturale del Popolo tedesco. Un bel casino insomma...

Shalom!!!

Infatti Schmitt indicava proprio nell'eguaglianza di stirpe tra Volk e Fuehrer la base dell'...ordinamento concreto [quindi, antipositivistico] del III Reich. Effettivamente un bel casino...

Saluti

Paul Atreides
28-04-03, 22:44
Originally posted by Pieffebi
Non si tratta di assimilazione del sangue ebraico, ma di difesa della parcentuale di "sangue tedesco", che è quello che può essere riassorbito in date condizioni. Ovviamente il "sanguemisto" è portatore anche, in parte, di un sangue estraneo. Ma proprio perchè il sangue tedesco è "superiore", è dominante e più importante e non va perduto.

Shalom!!!

Questa è un'acrobazia logica. Perché se il ''sangue tedesco'' è presente nel ''mischling'', ciò vuol dire che il ''sangue ebraico'' comunque non è ''refrattario'' all'assimilazione, non è irriformabile, non è geneticamente immodificabile. Mi pare evidente che se invece il ''sangue ebraico'' avesse posseduto tali caratteristiche irriformabili, anche una sola goccia di ''sangue ebraico'' avrebbe fatto del portatore di tale ''sangue'' un ebreo e non un tedesco. in altre parole, il condizionamento biologico non era così...condizionante

Saluti

Pieffebi
28-04-03, 22:57
Sarà pure un'acrobazia logica, ma è dei nazionalsocialisti, non mia. Mai pensato che il nazionalsocialismo fosse ideologicamente molto logico o razionale, tutt'altro. Sul punto dei sanguemisti il nazismo differiva da ogni altro razzismo moderno. Infatti mentre uno del KKK ritiene negro il meticcio per quanto poco sangue nero possa avere, un nazista pur ritenendo non ariano il meticcio ne riconosce la presenza di parte del suo sangue nobile, che essendo superiore prevale su quello inferiore. Nonostante la scelta non fosse scontata (e fu anche contestata) si preferì in generale privilegiare nel meticcio la difesa di questo sangue, piuttosto che condannare quello inferiore pur presente e pur capace di rendere quell'individuo un tizio da trattare in modo separato dagli ariani puri.

Shalom!!!

Paul Atreides
28-04-03, 23:17
Originally posted by Pieffebi
Sarà pure un'acrobazia logica, ma è dei nazionalsocialisti, non mia. Mai pensato che il nazionalsocialismo fosse ideologicamente molto logico o razionale, tutt'altro. Sul punto dei sanguemisti il nazismo differiva da ogni altro razzismo moderno. Infatti mentre uno del KKK ritiene negro il meticcio per quanto poco sangue nero possa avere, un nazista pur ritenendo non ariano il meticcio ne riconosce la presenza di parte del suo sangue nobile, che essendo superiore prevale su quello inferiore. Nonostante la scelta non fosse scontata (e fu anche contestata) si preferì in generale privilegiare nel meticcio la difesa di questo sangue, piuttosto che condannare quello inferiore pur presente e pur capace di rendere quell'individuo un tizio da trattare in modo separato dagli ariani puri.

Shalom!!!

Discussione sempre più interessante. Si finisce per scoprire, grazie ai ''mischlinge'', che i nazionalsocialisti sotto un certo aspetto erano molto meno razzisti dei razzisti...americani

Si finisce con lo scoprire che proprio il ''sangue ebraico'', quello che la vulgata odierna presenta come il nemico numero 1 del nazionalsocialismo, come il nemico ''eterno e immodificabile'', può essere ''neutralizzato'' se progressivamente diluito a contatto col sangue tedesco

Ma si scopre ancora dell'altro, e cioè che tale punto riguardava ESCLUSIVAMENTE gli ebrei. Quindi era un trattamento di favore ''stranamente'' concesso al supposto nemico numero 1. Eh sì, perché ad es., gli zingari ''meticciati'', ovvero gli ''ziguenermischlinge'', vennero deportati mentre quelli ''razzialmente puri'' invece no.

Saluti

Felix (POL)
29-04-03, 07:31
Originally posted by Paul Atreides
Discussione sempre più interessante. Si finisce per scoprire, grazie ai ''mischlinge'', che i nazionalsocialisti sotto un certo aspetto erano molto meno razzisti dei razzisti...americani

Si finisce con lo scoprire che proprio il ''sangue ebraico'', quello che la vulgata odierna presenta come il nemico numero 1 del nazionalsocialismo, come il nemico ''eterno e immodificabile'', può essere ''neutralizzato'' se progressivamente diluito a contatto col sangue tedesco

Ma si scopre ancora dell'altro, e cioè che tale punto riguardava ESCLUSIVAMENTE gli ebrei. Quindi era un trattamento di favore ''stranamente'' concesso al supposto nemico numero 1. Eh sì, perché ad es., gli zingari ''meticciati'', ovvero gli ''ziguenermischlinge'', vennero deportati mentre quelli ''razzialmente puri'' invece no.

Saluti

infatti in una visione razzista integrale (e strettamente biologica) del mondo, la mentalità razziale nazionalsocialista appare costellata di assurdità. I meticci sono pericolosi per l'integrità genetica di una stirpe, perchè introducono DNA estraneo. Di fronte ad essi non vi dovrebbero essere cedimenti, non si dovrebbero fare eccezioni. In questo il KKK era senza dubbio più coerente e vicino alle posizioni biologiche integrali (lasciando stare il contorno retorico e rituale mistico-cristiano).

Altre assurdità (sempre a fronte di una concezione biologica delle relazioni umane) furono:

1) la mancanza di una vera selezione degli ebrei da deportare e concentrare: il contatto secolare con la popolazione europea aveva introdotto elementi "positivi" come il capello biondo o rosso, gli occhi chiari, il cranio occasionalmente dolicocefalo, non infrequenti specialmente negli ebrei lituani. Perchè trattare allo stesso modo ebrei arianizzanti ed ebrei semitizzanti?

2) il già ricordato trattamento nei confronti degli zingari, popolazione certamente di origine ario-indiana e quindi non "inferiore" ad altre genti indo-europee se non per l'impronta "meridionale" dovuta ad un antico assorbimento di elementi dravidiani pre-arii.

3) viceversa, il trattamento favorevole concesso a popolazioni questa volta sì non-europee, anzi completamente estranee alla storia genetica dell'europa: i mongoli calmucchi ed altri turchi parziamente mongolici del basso Volga. In un'ottica strettamente biologica erano questi i popoli da deportare/espellere, prima di qualsiasi altro...

4) le oscillazioni sulla posizione della razza nordica nell'ambito dei tipi razziali germanici. Nonostante tutto il nordicismo retorico, si fece poco per elevare lo status e propagare la presenza fisica nordica nel popolo tedesco (a parte l'ambizioso programma Lebensborn, che ebbe un successo limitato). Come sappiamo, la razza nordica prevale solamente in Frisia, nello Schleswig e nel Meklemburgo; altrove la Germania è un'area di rimescolamento con una forte presenza alpina, dinarica e baltica (nell'est). Tra gli stessi alti dirigenti nazionalsocialisti, non era la razza nordica a prevalere.

babar
29-04-03, 11:16
Originally posted by Paul Atreides
Tratto dal polpettone: ''La presenza di Israele, e ancora prima l’immigrazione ebraica, fa nascere nei paesi arabi e in generale nel mondo musulmano un antisemitismo politico prima che religioso, alimentato dal nascente nazionalismo di questi paesi. I discorsi del Gran Muftì di Gerusalemme, che durante la guerra fu ricevuto da Hitler, riecheggiano frequentemente “I protocolli dei savi anziani di Sion”.

Come vedi, babar, le frequentazioni del Muftì sono state, come di regola , riportate [con ovvio silenzio sul motivo anticolonialista e antiinglese alla base di tali frequentazioni]

Non solo e ben lo sai . Perchè poi devi piegare una certa complessità e molteplicità di intenti in un unico sistema di categorie che fa gioco al tuo punto di vista io non l' ho mai capito .

Ma questo è un altro discorso .


Originally posted by Paul Atreides

Sull'assimilazionismo, io ne parlo come motivo ''genealogico'' del sionismo. In pratica, il sionismo ha senso se l'assimilazione fallisce. Altrimenti non ci sarebbe stato alcun popolo ebraico da ricondurre ''a Sion''. Mi pare evidente

Se l' assimilazione fallisce _o_ se non ci si vuole assimilare .


Originally posted by Paul Atreides

Così come mi pare evidente che l'ottocento [e buona parte del settecento] è il secolo dell'emancipazione ebraica e quindi il secolo che più testimoniava a favore dell'assimilazione. Ecco perché questo tema era avversato dai sionisti: perché era all'ordine del giorno. E non mi stanco di ripetere che il sionismo nasce proprio in quell'Europa orientale dove l'assimilazionismo aveva preso molto meno piede che in Europa occidentale. E, a proposito, perchè nessuno ricorda le polemiche chassidiche contro l'haskalà?

Che nessuno ricordi l' avversione degli haredim nei confronti dell' illuminismo ebraico è tutto da dimostrare . Potresti ricordare anche le lotte intestine all' Agudat Israel tra i mitnaggedim e i chassidim , però .


Originally posted by Paul Atreides

Quanto, poi, al fatto che l'ebraismo sia un difensore strenuo della propria identità, tant'è che l'ha salvata in più di 1800 anni di diaspora, è paradossale che a ricordarlo ed apprezzarlo sia proprio tu che, in genere, te ne freghi di queste cose ''etno''. O, domanda assai maliziosa, per l'ebraismo fai un'eccezione?


Nessuna eccezione : come puoi ben vedere in una discussione con Claudio Ughetto sul vostro forum [destra radicale] avvenuta qualche tempo fa su Tarchi & Co. la mia posizione è sempre la stessa :

1) non me ne frega nulla se le tradizioni vengono salvate o meno .

2) se un popolo decide di farlo lo Stato non ci deve entrare . [nè con azioni favorevoli , nè ostacolando ] .
In questo senso va la mia critica ad Israele quando eccede con i favori ai gruppi religiosi [ma non in chiave anti-occupazione , bensì per l' aspetto di politica economico-sociale interna ad Israele] .
Ovvero : se decidi di mantenere i tuoi usi e costumi è solo un problema tuo che non deve assolutamente riguardare me che magari ne ho di diversi o non me ne frega nulla .

3) io sono fazioso e quindi magari mi possono stare simpatiche le tradizioni degli Inuit, degli Indù , degli Ebrei o dei Dervisci e sulle palle quelle dei maori o dei francesi ...per dire .

Ciao

b.

Pieffebi
29-04-03, 13:12
Originally posted by Paul Atreides
Discussione sempre più interessante. Si finisce per scoprire, grazie ai ''mischlinge'', che i nazionalsocialisti sotto un certo aspetto erano molto meno razzisti dei razzisti...americani

Si finisce con lo scoprire che proprio il ''sangue ebraico'', quello che la vulgata odierna presenta come il nemico numero 1 del nazionalsocialismo, come il nemico ''eterno e immodificabile'', può essere ''neutralizzato'' se progressivamente diluito a contatto col sangue tedesco

Ma si scopre ancora dell'altro, e cioè che tale punto riguardava ESCLUSIVAMENTE gli ebrei. Quindi era un trattamento di favore ''stranamente'' concesso al supposto nemico numero 1. Eh sì, perché ad es., gli zingari ''meticciati'', ovvero gli ''ziguenermischlinge'', vennero deportati mentre quelli ''razzialmente puri'' invece no.

Saluti

Beh, ad esempio, il signor Hilberg (non ho il testo sottomano in questo momento per precisare le varie parti in cui parla del tema, ritornandoci più volte nella varie fasi della distruzione degli ebrei) parla....della diluizione tramite anche provvedimenti di sterilizzazione ..... Bisogna ricordare che i sanguemisti erano suddivisi in un primo e secondo grado, con destini diversi, già dalle leggi di norimberga. Infine questa impostazione non era di tutto il partito, anzi, ma fu quella che prevalse. Fu imposta dai burocrati e dai politicanti nazisti agli zelanti dell'ideologia anche sulla base di considerazioni pratiche. Ossia moltissimi tedeschi erano imparentati con sanguemisti. L'eliminazione dei sanguemisti di secondo grado, in particolare, era piuttosto problematica proprio in ragione dell'estrema integrazione degli stessi nella società e nelle famiglie tedesche ariane..... e via discorrendo. Infine non parlerei di più razzismo o meno razzismo, ma di modalità diverse di valutare le cose: ossia privilegiare il sangue proprio nel meticcio o considerarlo perso in quanto irrimediabilmente contaminato. E' una differenza qualitativa di valutazione, non di grado di razzismo o quantità di razzismo della formazione ideologica di riferimento.

Shalom!!!

Paul Atreides
29-04-03, 14:28
Originally posted by babar
Non solo e ben lo sai . Perchè poi devi piegare una certa complessità e molteplicità di intenti in un unico sistema di categorie che fa gioco al tuo punto di vista io non l' ho mai capito .

Ma questo è un altro discorso .

RE: che la quaestio sia complessa è vero. Che il polpettone la ipersemplifichi è altrettanto vero



Se l' assimilazione fallisce _o_ se non ci si vuole assimilare .

RE: io collegherei il sionismo + alla seconda tesi



Che nessuno ricordi l' avversione degli haredim nei confronti dell' illuminismo ebraico è tutto da dimostrare . Potresti ricordare anche le lotte intestine all' Agudat Israel tra i mitnaggedim e i chassidim , però .

RE: però gli ''oppositori'' sono un fenomeno limitato alla sola Lituania e in fondo relegato a pochi decenni. Tra l'altro, di fronte all'haskalà mi pare ci fu un ricompattamento molto forte e...significativo



Nessuna eccezione : come puoi ben vedere in una discussione con Claudio Ughetto sul vostro forum [destra radicale] avvenuta qualche tempo fa su Tarchi & Co. la mia posizione è sempre la stessa :

1) non me ne frega nulla se le tradizioni vengono salvate o meno .

2) se un popolo decide di farlo lo Stato non ci deve entrare . [nè con azioni favorevoli , nè ostacolando ] .
In questo senso va la mia critica ad Israele quando eccede con i favori ai gruppi religiosi [ma non in chiave anti-occupazione , bensì per l' aspetto di politica economico-sociale interna ad Israele] .
Ovvero : se decidi di mantenere i tuoi usi e costumi è solo un problema tuo che non deve assolutamente riguardare me che magari ne ho di diversi o non me ne frega nulla .

3) io sono fazioso e quindi magari mi possono stare simpatiche le tradizioni degli Inuit, degli Indù , degli Ebrei o dei Dervisci e sulle palle quelle dei maori o dei francesi ...per dire .

Ciao

b.

RE: vabbé, appellarsi all'arbitrio è sempre un buon sistema. Però a me pare che lo Stato qui da noi ostacoli eccome l'identitarismo. La ''legge Mancino'' secondo me è un esempio perfetto, al riguardo. Ciao

babar
29-04-03, 18:05
La _mancino_ come legge anti-identitaria ?

Con tutta la buona volontà no . Perchè se la lotta per un' identità servanda deve passare per la la cruna della necessità di un nemico e di un capro espiatorio , mi pare proprio che l' identità non ci sia più e che vada cercata e costruita più che salvata.
Contro la 271 bis ci si può battere per la libertà di parola e non per salvaguardare la propria tradizione.

Ciao

b.

Pieffebi
29-04-03, 21:07
Infatti anche se si potrebbe obiettare, da parte dei razzisti, o dei "differenzialisti" o degli Identitari", che colpendo le loro proprie "opinioni" si colpisce un "baluardo" della difesa della identità europea, "ariana" o che altro.

Shalom!!!

Paul Atreides
29-04-03, 21:15
Originally posted by Pieffebi
Infatti anche se si potrebbe obiettare, da parte dei razzisti, o dei "differenzialisti" o degli Identitari", che colpendo le loro proprie "opinioni" si colpisce un "baluardo" della difesa della identità europea, "ariana" o che altro.

Shalom!!!

Non male. Però, io avrei aggiunto le virgolette a razzisti, le avrei tolte a baluardo [che suona retorico ma rende l'idea] e soprattutto a opinioni. Perlomeno, identità europea non è virgolettato, cosa che in questi tempi di gramigna non è da buttare

Saluti

Pieffebi
30-04-03, 15:04
L'identità è una cosa importante, anche quella culturale. Il fatto è che ciascuno di noi, senza essere una personalità scissa, ha più componenti della propria identità. Ad esempio uno può essere ebreo e tedesco al contempo, e anche sionista, senza che ciò debba essere considerato contraddittorio o incompatibile con la cittadinanza germanica. Del resto i tedeschi non sono una minoranza perseguitata nei millenni che possa considerare il proprio Stato nazionale come estrema organizzazione difensiva per la propria sopravvivenza come popolo.

Saluti liberali

Pieffebi
30-04-03, 20:01
a proposito di identità...

da www.ragionamentidistoria.it

"


L'identità ebraica è stato il tema centrale della relazione di Amos Luzzatto, presidente rieletto per altri quattro anni alla guida del IV Congresso dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), che si è tenuto Roma dal 23 al 25 giugno 2002. La sua è stata una relazione molto appassionata, molto equilibrata, nel tentativo di trovare una forte intesa tra le diverse componenti dell'ebraismo italiano, ed in particolare tra le due liste maggioritarie: quella del centro-destra "Per Israele" (leader Fiamma Nirenstein), e quella del centro-sinistra "Keillah" (leader Gad Lerner), che peraltro ha vinto [solo grazie al sistema elettorale "maggioritario", ndr] , ribaltando le posizioni raggiunte nella tornata elettiva, per la nomina degli 89 delegati. Le parole di Amos Luzzatto, fin dalle prime battute, sono state una ferma denuncia nei confronti dell'antisemitismo in crescita nel mondo e soprattutto in Europa questo il primo interrogativo rivolto ai congressisti:

Vi è una domanda preliminare che dobbiamo porci prima di entrare nel merito del dibattito congressuale: qual'è lo stato di salute dell'ebraismo italiano? Le tensioni che derivano dalle indubbie difficoltà che incontriamo tutti nella gestione quotidiana, nel reperimento di fondi, nella mobilitazione delle risorse umane, nei problemi delle piccole Comunità, parrebbero indurci a una certa preoccupazione.
E tuttavia il quadro, giudicato nella sua globalità e sulla base dell'esperienza di questi ultimi quattro anni, contiene anche non pochi elementi positivi dai quali si deve partire per svilupparli nel corso del prossimo mandato.
Innanzitutto credo di poter affermare che abbiamo fatto un grosso sforzo di gestione unitaria, il che significa che nella prassi quotidiana non ci si è posti quasi mai il quesito del riferimento a questa o quella corrente nella quale ognuno di noi si riconosce, ma ha prevalso una operatività concorde che ha posto come criterio di tutte le scelte gli interessi prevalenti dell'ebraismo italiano nella sua globalità. Non c'è dubbio che vi sono state fra di noi differenze di giudizi in merito a problemi interni alle nostre comunità o anche in merito ai rapporti con il mondo non ebraico che ci circonda. Ma essi si sono espressi in un clima di rispetto reciproco, in un clima di circolazione delle idee al nostro interno che ha rappresentato un modello di laicità al quale molti altri potrebbero fare riferimento […]

La seconda domanda il presidente dell'Ucei l'ha indirizzata alla definizione della collocazione politico-culturale dell'ebraismo all'interno della società italiana ed europea e dell'ebraismo europeo e mondiale, soprattutto nei confronti di Israele.

La scelta fra queste due opzioni è secondo me oggi un compito ineludibile, non solo in termini di metodologia congressuale, ma in quelli più impegnativi di un piano di lavoro. Noi crediamo nella seconda strategia, ma per affermare questa linea abbiamo bisogno di definire chiaramente le nostre scelte di fondo e le loro priorità e di rinsaldare vecchie amicizie e alleanze e anche acquisirne di nuove in tutto l'arco della società civile e politica non ebraica, cercando di individuare e di isolare antichi e nuovi gruppi ostili […]
In parallelo, si sviluppa soprattutto in Europa, una ripresa dell'antisemitismo che si esprime ricorrendo a vecchi arsenali di pregiudizi, purtroppo anche a minacce di violenza, ad atti aggressivi, soprattutto in Francia, in Germania, in alcuni Paesi dell'Est, ma che cominciano ad affacciarsi anche in Italia. La novità di questo nuovo antisemitismo consiste nella utilizzazione del conflitto medio-orientale, e nel modo troppo spesso scorretto con il quale esso viene registrato dai mass-media, come occasione per saldare assieme tutto ciò che vi può essere di antiebraico, giustificando il negazionismo, il revisionismo storico, alimentando nostalgie e giustificazioni del nazismo, cancellando il ricordo della Shoà e gli stessi moniti che ne derivano per il mondo civile e per le società democratiche. Affermo con certezza che gli ebrei italiani sono uniti contro questi pericoli e nella convinta difesa del diritto di Israele a vivere in pace e sicurezza entro confini garantiti […]
Israele rappresenta per noi l'essenza della nostra identità ebraica che aveva già attinto nuove e forti motivazioni con lo sviluppo del Movimento sionistico, ma è cambiata radicalmente nel 1948, quando è diventata quella di un popolo indipendente, con la sua lingua, la sua cultura, le sue istituzioni. E' stato acquisito un patrimonio irrinunciabile, che ha maggiormente unito la Diaspora, che ha dato la volontà di esistere e di resistere anche a Comunità ebraiche in difficoltà e in pericolo. E' nostro compito quello di far capire all'opinione pubblica che l'esistenza d'Israele è un valore non soltanto per noi ebrei ma per tutto il mondo civile […]

Nei confronti del fenomeno dell'antisemitismo, aggiunge Luzzatto, l'Italia di oggi non ne è immune. Certo, non ci sono leggi contro di noi: abbiamo un'Intesa con lo Stato e in certi settori godiamo del suo appoggio finanziario e persino di iniziative parlamentari, come l'istituzione del "giorno della memoria". Tutto questo lo sappiamo e lo apprezziamo. Ma ciò che ci preoccupa è una cultura diffusa che, in parte per un antico mai guarito provincialismo (per il quale forse la costruzione dell'Europa potrebbe essere la terapia adatta), in parte per il retaggio di secoli di cultura antigiudaica cattolica, è penetrata capillarmente nella scuola, nella stampa, nelle parrocchie, e anche nelle associazioni e in quei Partiti che si proclamano laici, progressisti o francamente socialisti. Questo significa che dobbiamo contribuire a creare una nuova visione culturale, che ci permetta di guardare in avanti per costruire assieme il futuro […]
Bisogna stare attenti a non identificare l'antisemitismo con il più generale razzismo che è oggigiorno presente in tutta l'Europa. Certamente, i due fenomeni sono apparentati e possiamo dire che almeno una delle componenti dell'antisemitismo è tuttora, a 57 anni dopo il 25 aprile 1945, quella razzistica. Ma l'odio antiebraico è più antico […]


Dalla relazione si rilevano sei punti principali, indicati come linee-guida.

Difesa e rafforzamento dell'identità ebraica; che significa operare per la diffusione della lingua ebraica, per la conoscenza della nostra tradizione […]
Lotta ai razzismi. Lo stesso uso del plurale si commenta da solo. Noi dobbiamo essere i veri e propri portabandiera di questa lotta, coloro che cercano di coinvolgere altri settori della società italiana e in primo luogo l'Università […]
Difesa delle minoranze religiose. La civilissima Europa, nella quale, con gli esempi della shechità in Svizzera e con la milà in Svezia che sono fonte di ostacoli e difficoltà, ne ha ancora bisogno. E' questa una lotta che non possiamo fare da soli. Abbiamo una buona collaborazione con il mondo protestante e soprattutto con gli amici valdesi […] Stiamo seguendo il faticoso iter della Legge sulla libertà religiosa, per la quale abbiamo avuto al Mokèd l'on.Valdo Spini, che ne è relatore. Abbiamo difficoltà con molti musulmani, ma il principio rimane per noi valido.
Lotta al terrorismo. Non dobbiamo cadere nell'errore di identificare il terrorismo con l'Islam; ma neppure nell'errore opposto, quello di non vedere come sia possibile utilizzare istituzioni religiose o assistenziali per favorire movimenti terroristici. Dobbiamo porre con chiarezza, con brutalità, se volete, il problema della relazione che intercorre fra il terrorismo in Israele e il terrorismo altrove nel mondo, diciamo simbolicamente fra l'Intifada e le Torri gemelle […]
Difesa della laicità dello Stato. Non ho parlato di laicismo dello Stato. Noi vogliamo una società nella quale si possa essere liberi di scegliere l'appartenenza a un gruppo religioso o un altro, oppure l'appartenenza a un gruppo non religioso, o essere ateo e antireligioso, senza che questo sia condizionato da una posizione preferenziale dello Stato che è di tutti, maggioranza e minoranze […]

In merito ai rapporti politici con il governo italiano e con gli altri paesi dell'Unione Europea le parole più determinate sono state spese a favore di una posizione dell'Ucei civilmente equidistante da tutte le forze democratiche, conservando con esse un corretto dialogo, mantenendo tuttavia fermo il principio irreversibile di una totale condanna per ogni movimento politico di stampo fascista.

Non siamo indifferenti sul piano internazionale all'alternativa fra un Paese nel quale funzionino liberamente o al contrario vengano ridotti se non addirittura aboliti gli spazi per un associazionismo e una dialettica democratica; la libertà politica e la separazione dei poteri rimane per noi, in tutte le sue articolazioni, un valore irrinunciabile. Siamo stati e saremo ancora vigili perchè l'esercizio di questa libertà sia garantito a tutte le associazioni e aggregazioni sociali, nei limiti delle Leggi e della Costituzione repubblicana. Questa garanzia comprende le formazioni politiche e sindacali, ma anche quelle sociali e culturali, anche i Rom, anche gli immigrati, gli omosessuali, e in particolare, come già detto, le minoranze religiose; questo è per noi un principio, valido dunque anche quando qualcuna di queste stesse minoranze manifesta incomprensione o addirittura ostilità nei nostri confronti […]

Nei confronti dei partiti di sinistra sono state espresse delusioni e critiche soprattutto per aver assunto posizioni tiepide o decisamente ostili contro il sionismo e lo Stato di Israele e sui vari problemi del medio Oriente.

E' doveroso un discorso sulla sinistra politica, soprattutto da parte di una persona come me, che non ha mai negato di collocarsi politicamente a sinistra.
Che cosa significa questo mio collocamento? esso significa soprattutto privilegiare la difesa e la tutela delle categorie deboli ed emarginate della società, anche pagandone un prezzo, piuttosto che favorire a tutti i costi lo sviluppo materiale della società attraverso il sostegno primario dell'iniziativa privata. La radice di questa mia posizione che risale alla mia adolescenza si trova sostanzialmente nella mia ebraicità, nello studio della Torà e dei Profeti, nella grande responsabilità verso il prossimo che traspare dalle pagine della Mishnà e della Gemarà […]
Ritengo che questo atteggiamento della sinistra sia un sintomo di insufficienza di analisi che è di per sé un aspetto non secondario della sua debolezza politica attuale.
Nella tradizione gramsciana l'analisi delle dinamiche sociali, nella loro complessità, è sempre stata la condizione per costruire una politica. Si poteva poi condividerne o meno i contenuti, ma la metodologia era robusta. Parrebbe ora prevalere invece, forse anche per l'influenza dei nuovi media, una esaltazione a priori di tutto ciò che concerne i popoli dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina; essi vengono presentati globalmente come i diseredati, i deboli, i poveri del mondo, derivandone l'esigenza morale di schierarsi a loro fianco. Rientrerebbero fra questi il mondo arabo e islamico e i palestinesi.
Questo "terzo mondo", nel suo insieme è stato certamente penalizzato dallo sviluppo economico e sociale moderno (anche se ho difficoltà a comprendere fra i diseredati l'Arabia saudita e gli emirati del Golfo). Ma questo non può significare appiattirsi compiacenti su una piattaforma, che è molto spesso più propaganda che analisi seria; che tace opportunamente sulle contraddizioni e sui conflitti interni del terzo mondo; che attinge in modo acritico da un'antica eredità più fondamentalista che religiosa islamica che male accetta intrusioni di stranieri nel dar-al-Islam, né più né meno di quanto fanno da parte loro per quanto riguarda l'Europa lo haiderismo, il lepennismo e, da noi, il bossismo. La nostra difesa ragionata di Israele e del Sionismo può diventare dunque un contributo per la stessa sinistra.

Nei confronti della Chiesa cattolica, si sono indicati tre livelli di attenzione.

quello teologico, quello genericamente culturale, quello politico; essi sono intrecciati e interdipendenti, e tuttavia i problemi che si affrontano sono di volta in volta diversi, spesso affidati a gruppi di lavoro o a esponenti di diverse tendenze […]
E tuttavia non può lasciarci indifferenti il convincimento sempre più proclamato oggi nel mondo cristiano circa l'origine ebraica della loro religione; questo convincimento può essere di per sé un elemento di dialogo, anche se non va mai scordata la divaricazione fra ebraismo e cristianesimo, che è stata sempre più marcata a partire dal primo scisma. Ma deve essere chiaro che si passa allora decisamente dal puro piano teologico a quello culturale-storico. Quest'ultimo è, al momento, più interessante, ad esempio per quanto riguarda gli studi biblici, a livello accademico ma anche a livello di associazioni culturali laiche, come ad esempio "Biblia".
La verità è che all'interno della Chiesa si confrontano più tendenze non sempre bene definite; una, abbastanza aperta, progressista e disposta al rinnovamento, che è attualmente in minoranza; un'altra, conservatrice che mira a ridimensionare i principali risultati del Concilio Vaticano II. Una terza forse, espressa dall'Osservatore Romano, parrebbe pesantemente ostile per noi ebrei, come se si delineasse un forte risveglio dell'antigiudaismo antico della Chiesa; dentro questa cornice, l'anti-israelianismo sarebbe una ghiotta occasione da non perdere, non tanto un antisemitismo mascherato da antisionismo, ma un antisionismo che è una buona occasione per fare dell'antisemitismo. Il nostro problema è quello di scegliere fra due alternative: l'una di retrarci, diffidenti, da qualsiasi dialogo con il mondo cattolico; l'altra, opposta, quella di continuare a dialogare, ma nella consapevolezza dell'esistenza di queste divaricazioni interne alla Chiesa e cercando di sostenere dall'esterno le componenti riformatrici […]
Ricordiamo a questo punto che abbiamo imboccato la strada che ci conferisce un peso nuovo nella vita pubblica del paese ma che, al tempo stesso, ci pone nuovi problemi come quello del rapporto con i musulmani. Non possiamo eludere questo problema, che riguarda noi e la più grossa minoranza religiosa d'Italia, che comprende ufficialmente 500.000 persone, in realtà forse il doppio, fra i quali almeno 50.000 italiani convertiti all'Islam. Essi sono investiti, in questo momento, da almeno due temi politici, che ci toccano abbastanza da vicino e che si traducono anche in provvedimenti legislativi: il problema delle immigrazioni e il problema della libertà religiosa […] "

Shalom!!!

Pieffebi
04-05-03, 18:41
da www.treccani.it

" Silvia Tangherlini
Le teorie della razza tra Ottocento e Novecento

Il 25 settembre scorso ci ha lasciato Silvia Tangherlini, insegnante di Storia e filosofia nei Licei e collaboratrice per molti anni della Treccani. Pensiamo che il miglior modo per ricordarla sia di offrire alla lettura un esempio, tra i tanti, del suo intenso impegno intellettuale ed etico nella scuola. Si tratta del contributo di Silvia al Corso di aggiornamento per insegnanti Educazione interculturale e ambientale, tenutosi nel 1995 presso il Liceo Scientifico "Tullio Levi Civita" di Roma. E' un saggio approfondito e molto ben documentato sulla fortuna del concetto di razza nell'Occidente dall'Ottocento ad oggi e della sua appendice ideologizzata, il razzismo.


Dalla fine del Settecento a Lombroso

Distinguiamo anzitutto le teorie elaborate tra Settecento e Ottocento prima della pubblicazione dell’Origine delle specie di Darwin (1859) e dopo la diffusione negli ambienti scientifici europei della teoria dell’evoluzione.

Le teorie monogenetiste
Nella cultura tra fine Settecento e primo Ottocento, emergono alcune contraddizioni significative, che investono anche la sfera della riflessione sulle razze, riferibili da una parte al bisogno della borghesia europea di mantenere e rafforzare anche dal punto di vista ideologico il dominio coloniale nelle forme tradizionali della schiavitù nelle piantagioni del ‘Nuovo Mondo’ e dall’altra di contestare l’antica società divisa in ordini in nome di un ideale di eguaglianza anch’esso non più ideologicamente fondato solo sul cristianesimo ma su principi razionali validi universalmente. Le affermazioni solenni circa l’esistenza di universali diritti ‘dell’uomo e del cittadino’ entrano in conflitto con l’esigenza di escludere dal novero dei titolari di questi diritti i ‘rossi’ abitanti del continente americano e i ‘neri’ trapiantati in America, imponendo l’elaborazione di teorie atte a giustificare l’eccezione alla regola.

Se ci si mantiene all’interno del tradizionale monogenetismo biblico, si profilano due tipi di spiegazioni circa l’esistenza di varietà (le razze) all’interno della unica specie umana, ambedue adattabili all’esigenza di dimostrare che, seppur unica, la specie umana è però gerarchicamente ordinata in una scala di valori che consente di affermare la superiorità dell’uomo bianco.

La teoria degenerativa
La prima è la teoria della degenerazione dal tipo primordiale della specie, enunciata per la prima volta in modo organico dal grande naturalista francese Buffon nella sua Storia naturale e articolata pienamente da un suo seguace tedesco, Blumenbach, in un’opera significativamente titolata De generis humani varietate nativa, pubblicata a Gottinga nel 1795. La tesi è che il tipo primordiale umano sia riscontrabile nel ‘tipo caucasico’ di pelle bianca comparso in prossimità del Mar Caspio e che le varietà ‘gialla’, ‘rossa’ e ‘nera’ siano il prodotto di una progressiva degenerazione del tipo bianco in relazione a ‘diversi mutamenti’ intervenuti ‘a causa dell’influenza del clima, della differenza dell’alimentazione e del modo di vita, delle malattie epidemiche e anche dell’ibridazione, variata all’infinito, di individui più o meno simili l’uno all’altro’. Evidentemente una tesi del genere prevede l’ammissione della trasmissibilità di alcuni almeno dei caratteri acquisiti, nonostante sia Buffon che Blumenbach rivelino perplessità nello spiegare come mai alcuni caratteri si trasmettano e altri no, tanto da arrivare a parlare di ‘agenti sconosciuti’ che rendono ragione della costanza di alcuni ‘ indicatori razziali.’

Con Blumenbach assistiamo all’avvento di una modalità di indagine sulle differenze razziali destinata a grande successo alcuni decenni più tardi: la misurazione dei crani. Blumenbach possedeva la più grande raccolta di crani d’Europa, ben 82, ed utilizzò per il loro studio un metodo originale, consistente nel disporre e osservare i crani ‘in norma superiore e posteriore, situati in fila sullo stesso piano, con gli ossi molari sulla stessa linea orizzontale con i mascellari inferiori’ Il criterio di classificazione è sorprendente ma non inconsueto: si tratta, infatti, di un criterio estetico, basato evidentemente su categorie desunte dalla tradizione artistica occidentale, e in particolare greca. Non stupisce quindi che risulti evidente a Blumenbach che il tipo caucasico possieda la forma ‘più bella e simmetrica’ e che da questa ‘come da un tipo medio e originario, le altre divergono per semplicissime gradazioni da entrambi i lati fino ai due estremi (da un lato la razza mongolica, dall’altro quella etiopica)’. Anche Buffon si lancia in considerazioni di questo tipo: ‘Il clima più temperato si trova tra il 40° e il 50° grado di latitudine; esso produce gli uomini più belli e più ben fatti. E’ da questo clima che devono essere derivate le idee del colore genuino dell’umanità e dei vari gradi di bellezza’.

La teoria evolutiva
Analogo criterio estetico è presente in un’altra teoria monogenetista delle varietà razziali, quella di James Prichard, esposta nel suo Researches into the physical history of mankind, pubblicato a Londra nel 1813, nonostante essa sia apparentemente opposta alla prima, in quanto, in luogo della degenerazione dal bianco al nero, prevede invece un’evoluzione dal nero al bianco, avvenuta in virtù del progresso della civiltà che avrebbe condotto gli uomini ad una inconscia selezione matrimoniale basata sul criterio della bellezza (ovviamente europea e bianca): ‘In tutti i paesi la bellezza è l’elemento principale che dirige gli uomini nella scelta della moglie [...] E’ ovvio che questa peculiarità nella costituzione dell’uomo deve avere effetti considerevoli sul carattere fisico della razza e che deve agire come principio costante di miglioramento, svolgendo nel nostro genere quella funzione di controllo che noi esercitiamo sulla creazione bruta. Questa è probabilmente la causa finale che ispirò la Provvidenza a inculcare nella nostra natura la percezione istintiva della bellezza umana. L’idea di bellezza di una persona è infatti sinonimo di salute e perfetta organizzazione.’

Le teorie poligenetiste
In tutti e due i casi, comunque, la ‘scala delle differenze’ pone il bianco al primo e il nero all’ultimo posto. Se si va invece a guardare agli ambienti intellettuali più audaci e anticonformisti, volti a contestare il primato della Sacra Scrittura per l’interpretazione dei nuovi dati a disposizione dell’uomo moderno grazie all’ampliamento degli orizzonti dovuto alle scoperte geografiche e scientifiche, troviamo una teoria razzista più cruda ed esplicita, che supera d’un balzo il problema dell’universalità negando alle razze ‘inferiori’ l’appartenenza alla stessa specie dell’uomo bianco: il poligenetismo. Intellettuali noti per il loro contributo determinante alla ‘rivoluzione culturale illuminista’ ne sono convinti sostenitori.

Due esempi per tutti: Voltaire combatte la sua battaglia per la laicizzazione della cultura anche così: ‘Noi impariamo [...] attraverso i viaggi dei portoghesi e degli spagnoli quanto piccola sia la nostra Europa e quale varietà regni sulla terra’ (vai al testo intero).

Lo scettico Hume, in qualità di soprintendente dell’Ufficio coloniale inglese nel 1776, così si esprime con molta sicurezza induttiva: ‘Sono disposto a sospettare che i negri e in generale tutte le altre specie di uomini (perché ve ne sono quattro o cinque tipi diversi) siano per natura inferiori ai bianchi' (vai al testo intero).

Il concetto di specie
Il poligenetismo conobbe la sua stagione di successo negli Stati Uniti, dove venne ‘importato’ da uno svizzero, L. Agassiz (1807-1873), che proprio a contatto con la realtà etnicamente differenziata degli Stati Uniti si convertì a questa teoria, dedicando alla sua dimostrazione e argomentazione tutta la sua esistenza di studioso. Di estremo interesse risulta la lettera che Agassiz scrisse a sua madre non appena giunto a Filadelfia nel 1846, in cui rivela il carattere totalmente irrazionale della sua improvvisa conversione al poligenetismo a seguito di esperienze del tutto emotive, confessando implicitamente di avere dedicato la sua vita alla dimostrazione della teoria partendo da un ‘pregiudizio’ tutt’affatto extra-intellettuale: ‘Ero a Filadelfia quando per la prima volta mi trovai a contatto continuato con dei negri: tutti gli inservienti del mio albergo erano uomini di colore’ (vai al testo intero). La teoria poligenetistica viene, secondo Agassiz, confermata dal fatto che le razze umane si presentano come gruppi ‘geneticamente distinti e temporalmente invarianti con gamme geografiche discrete’ e pertanto rispondono ai criteri biologici necessari per definirle specie separate. Ovviamente la differenza di specie non è neutra, ma gerarchicamente ordinata: ciascuna razza o specie occupa un gradino nella scala delle differenze e la razza nera continua a occupare l’ultimo. E’ pertanto per Agassiz impossibile garantire ai neri l’eguaglianza sociale, da lui definita ‘assolutamente impraticabile’ in quanto ‘impossibilità naturale che sgorga dallo stesso carattere della razza negra’ I negri, infatti, sono ‘indolenti, giocosi, sensuali, imitativi, remissivi, di buona natura, versatili, instabili nei loro propositi, devoti, affezionati: sono differenti da tutte le altre razze e possono essere paragonati a bambini cresciuti fino ad assumere le dimensioni di adulti, pur conservando una mente infantile’. Per questo egli paventa principalmente una eventuale mescolanza della razza bianca con la nera, possibile, nonostante la ‘naturale avversione’ che si dovrebbe provare nei confronti dell’accoppiamento con individui di specie diversa, a causa della ‘ricettività sessuale’ delle donne nere e dell’inclinazione al libertinaggio degli uomini bianchi; questa mescolanza produrrebbe una vera catastrofe per la civiltà: ‘Si immagini per un momento la differenza che farebbe in età future, per la prospettiva delle istituzioni repubblicane e per la nostra civiltà in genere, se invece della virile popolazione discesa dalle nazioni congiunte, gli Stati Uniti dovessero essere abitati in futuro dalla effeminata progenie di razze miste, mezze indiane, mezze negre, sparse di sangue bianco.[...] Tremo per le conseguenze! [...] In che modo sradicheremmo il marchio di una razza inferiore una volta che sia stato permesso al suo sangue di scorrere liberamente in quello dei nostri figli?’

Il suggerimento di Agassiz va nella direzione di un vero e proprio apartheid: occorre indurre i neri a trasferirsi in massa in alcune regioni degli USA (le pianure del sud), dove vivrebbero segregati in ‘riserve’, come cominciano a fare i ‘pellerossa’ dietro la spinta del genocidio perpetrato dai coloni bianchi. In questo modo Agassiz può conciliare il suo razzismo con il suo antischiavismo: è più pericoloso e ‘inquinante’ per la razza bianca accettare di convivere con la nera, seppure in condizione di dominanza, piuttosto che segregare i neri, impedendo loro ogni contatto con la razza superiore.

La craniometria
E’ nell’ambito del poligenetismo statunitense che proseguono le fortune della craniometria. George Morton, scienziato e medico di Filadelfia, si ispira al poligenetismo, come Agassiz, di cui può considerarsi ispiratore, cercando di fornire alla teoria una solida base ‘sperimentale’ grazie alla sua imponente collezione di crani prevalentemente di indigeni (circa 600), arricchita da una sezione ‘egizia’ di crani provenienti dalle tombe dell’antico Egitto. Il criterio seguito da Morton per la classificazione delle razze-specie in una scala gerarchica è la misurazione della grandezza media dei cervelli, realizzata riempiendo i crani di materiale (dapprima semi di senape bianca e poi pallini di piombo), versando, quindi, il materiale in un cilindro graduato e misurando il volume del cranio in pollici cubi. Morton rese pubblici i risultati dei suoi esperimenti in due volumi che gli assicurarono fama mondiale; uno, Crania Americana, del 1839 e l’altro, Crania Aegyptiaca, del 1844; infine, nel 1849, pubblicò il compendio di tutti i risultati ottenuti riguardo ai volumi cranici medi disposti per razze. I lavori di Morton sembravano per la prima volta conferire esattezza matematica, e pertanto incontrovertibile verisimiglianza, alla tesi dell’inferiorità delle razze diverse dalla bianca, avendo egli studiato i crani dei ‘pellerossa’ e quelli dei neri presenti nelle tombe egiziane e riscontrato il minor volume dei loro cervelli e pertanto la ‘diversità della struttura della loro mente’ rispetto all’uomo bianco. Le manipolazioni operate da Morton sul campione di crani che aveva a disposizione onde ‘dimostrare’ una tesi preconcetta sono così scoperte ed ingenue da indurre Gould a osservare: ‘Durante l’estate del 1977, ho trascorso parecchie settimane a rianalizzare tutti i dati di Morton (Morton, l’autodesignato obiettivista, pubblicò tutta la sua informazione grezza. Possiamo dedurre con scarsi dubbi in che modo procedette dalle misurazioni grezze fino alle tavole di compendio). In breve, e per dirla esplicitamente, i compendi di Morton sono un mosaico di fandonie e mistificazioni nel chiaro interesse di verificare convinzioni aprioristiche. Tuttavia - e questo è l’aspetto più affascinante del caso - non ho trovato alcuna prova di frode cosciente; invero, se Morton fosse stato un truffatore, non avrebbe pubblicato i suoi dati così apertamente.[...] La prevalenza di mistificazioni inconsce, d’altro canto, suggerisce una conclusione generale sul contesto sociale della scienza. Perché se gli scienziati possono essere onestamente autoingannati sino al livello di Morton, allora il pregiudizio sottostante può essere trovato ovunque, anche nei fondamenti del misurare ossa e fare somme’.

Morton scelse tra i crani che aveva a disposizione quelli che meglio si prestavano a confermare le sue tesi, ‘omettendo’ di inserire nella serie da cui avrebbe desunto la media quelli ‘imbarazzanti’: così non prende in considerazione i crani di irochesi (che sono assai capaci) e immette nel campione un gran numero di crani di peruviani incas di piccola statura e cranio piccolo, ottenendo così agevolmente una media più bassa di quella bianca; quest’ultima, ottenuta omettendo di considerare nel campione i crani indù, più piccoli di quelli europei. Nel caso dei crani ‘egizi’ Morton basa la sua tesi della ulteriore inferiorità dei neri anche rispetto agli indiani immettendo nel campione crani femminili in prevalenza su quelli maschili e ottenendo così una media ancora più bassa. Viceversa il campione bianco è prevalentemente composto, come è ovvio, di crani maschili. Per di più Morton non ha mai calcolato (o quantomeno pubblicato) medie per sesso e statura, compiendo così un’omissione procedurale di tale ingenuità da rivelare la rigidezza preconcetta della sua ‘ipotesi di lavoro’.

Darwin e la teoria evoluzionistica
Come abbiamo detto all’inizio, la pubblicazione delle opere di Darwin (L’origine delle specie nel 1859 e L’origine dell’uomo nel 1871) costituì una svolta anche per la storia delle teorie sulla razza. Anzitutto l’evoluzionismo darwiniano rende inutile il poligenetismo, dal momento che spiega le differenze esistenti tra le varietà o fra le specie viventi come risultato di un processo di selezione naturale rispetto a variazioni del tutto casuali di un tipo originario. Da questo punto di vista l’evoluzionismo non giustificherebbe alcun atteggiamento gerarchico, dal momento che la sopravvivenza della varietà ‘più adatta’ risulta un puro dato di fatto, non suscettibile di giudizi di valore. E’ però indubbio che già nello stesso Darwin, seppure marginalmente, e ancor più nei suoi seguaci ‘ideologi’, la ‘lotta per l’esistenza’ e la ‘sopravvivenza del migliore’ diventano argomenti atti a supportare il senso di superiorità della razza bianca nei confronti delle popolazioni ‘selvagge’ o ‘primitive’, la superiorità degli inglesi rispetto ai loro concorrenti europei e, all’interno della razza bianca, la superiorità sociale delle classi dominanti su quelle subalterne.

Sentiamo Darwin in proposito: ‘Tutto ciò che sappiamo intorno ai selvaggi, o che possiamo dedurre dalle loro tradizioni o dai monumenti antichi, la cui storia è completamente dimenticata dagli abitanti attuali, dimostra che dai tempi più remoti le tribù più dotate soppiantavano le altre'(vai al testo intero).

Estremamente eloquente a proposito dell’apologetica evoluzionistica dell’imperialismo britannico e della struttura sociale gerarchica è l’uso che fa Spencer delle categorie fondamentali della teoria darwiniana. Le guerre coloniali, il dominio di una nazione sulle altre, la gerarchia sociale, la distinzione rigida fra attività ‘nobili’ e attività ‘umili’ o degradanti riferita a determinate classi sociali, tutto viene ricondotto alla evoluzione naturale.

Questa impostazione produce effetti ideologici simili a quelli del vecchio poligenetismo: se la selezione avviene tramite unione sessuale di individui appartenenti a varietà ‘migliori’, è sconsigliabile una totale libertà di scelta sessuale e l’eugenetica può fare la sua comparsa sulla scena. Il cugino e grande ammiratore di Darwin, Galton, (1822-1911)diventerà strenuo sostenitore, nell’Inghilterra liberale, della necessità di una regolamentazione per legge dei matrimoni e delle famiglie sulla base della dote ereditaria dei genitori. La diffusione delle idee e degli studi di eugenetica di Galton (che aveva fondato una Società per l’educazione eugenetica) attraverso numerosi periodici pubblicati in tutta Europa, produsse soprattutto in Germania un fervore di studi e di attività che, combinati con altri elementi, più tipici della cultura tedesca e di cui ci occuperemo fra breve, fornirono a Himmler i fondamenti teorici per gli esperimenti eugenetici del Terzo Reich.

Nei confronti del più specifico problema delle differenze razziali, l’evoluzionismo si servì, per le sue teorizzazioni, della già tradizionale esperienza craniometrica, rilanciata in grande stile da Broca a Parigi e da Lombroso in Italia, ed elaborò un originale argomento a favore della inferiorità di alcune razze rispetto ad altre con la teoria della ricapitolazione, in parte connessa alla craniometria.

Evoluzionismo e craniometria
Broca (1824-1880) stabilì una correlazione significativa fra la grandezza del cervello e lo sviluppo dell’intelligenza, arricchendo così la scala delle differenze di elementi ulteriori, appartenenti alla razza bianca, ma segnati dal ‘difetto’ delle dimensioni cerebrali. Pertanto: ‘Il cervello è più grande negli adulti che nei vecchi, negli uomini che nelle donne, in uomini eminenti piuttosto che in quelli di mediocre talento, nelle razze superiori rispetto alle razze inferiori. [...] A parità di condizioni, vi è una sorprendente relazione tra lo sviluppo dell’intelligenza e il volume cerebrale’.

Non pago, però, della misurazione dei soli crani, anche perché preoccupato di alcune ‘anomalie’ riscontrate soprattutto nella misurazione del peso dei cervelli dei ‘grandi uomini del suo tempo’ che rivelava una grande varietà e casi di ‘sottodimensione’ inspiegabili, Broca tentò di mettere in campo altri e diversi criteri di misurazione riguardanti il rapporto tra il radio e l’omero, la dimensione delle labbra, la forma e la dimensione dell’orecchio, il numero delle circonvoluzioni cerebrali e, infine, come asso nella manica, il rapporto tra la parte anteriore e la parte posteriore del cervello. Broca e i suoi collaboratori si convinsero che le funzioni mentali superiori fossero localizzate nella parte anteriore e che la parte posteriore fosse la sede delle funzioni più ‘animali’ del movimento involontario, della sensazione e dell’emozione. Nasce così, sulla scorta di pochi e frammentari dati ‘sperimentali’ la differenziazione fra ‘razze frontali’ (bianchi con lobi frontali e anteriori molto sviluppati), ‘razze parietali’ (mongoli con lobi medi e parietali prominenti) e ‘razze occipitali’ (neri con la parte posteriore molto sviluppata).

Più imbarazzante e foriero di conflittualità, invece, il tema dell’indice cranico, cioè del rapporto tra la larghezza massima e la lunghezza massima del cranio, che distingue i dolicocefali dai brachicefali. Gli studiosi di area germanica avevano già tentato di dimostrare che la brachicefalia era un tratto tipico degli uomini dell’età della pietra cui si erano sostituiti i più evoluti dolicocefali ariani dell’età del bronzo: in particolare Retzius, uno studioso svedese, aveva identificato nei baschi, nei finnici e nei lapponi, gli eredi di quell’umanità inferiore brachicefala soppiantata dagli indo-europei. In questo caso Broca, brachicefalo come la maggioranza dei francesi, scorge l’inganno ideologico contenuto nella teoria e la confuta con grande energia: ‘Dopo il lavoro del sig. Retzius, gli scienziati hanno generalmente ritenuto, senza sufficiente studio, che la dolicocefalia è un marchio di superiorità. Forse è così; ma non dobbiamo dimenticare che i caratteri della dolicocefalia e della brachicefalia furono studiati prima in Svezia, poi in Inghilterra, Stati Uniti e Germania, e che in tutti questi paesi, particolarmente in Svezia, il tipo dolicocefalo predomina chiaramente. E’ una tendenza naturale degli uomini, anche tra quelli più liberi dal pregiudizio, l’appiccicare un’idea di superiorità alle caratteristiche dominanti della loro razza’. Il trionfo del brachicefalo Broca avverrà quando, grazie al ritrovamento dei resti dell’uomo di Cro-Magnon, dotato di un cranio più grande e più dolicocefalo di quello dell’uomo moderno, potrà definitivamente affermare che ‘è a causa del maggior sviluppo del loro cranio posteriore che la loro capacità cranica superiore generale è resa più grande delle nostre’.

Un materialista evoluzionista tedesco, Büchner, trasse dalla craniometria tutte le conseguenze pertinenti ad una concezione razzista della società e del rapporto fra i sessi, oltreché, al solito, del rapporto con le popolazioni dei paesi coloniali.

La ricapitolazione è, come dice Gould, ‘tra le idee più influenti della scienza del tardo secolo XIX’ ed ebbe un ruolo significativo nella classificazione e ordinamento delle razze umane in appoggio e in correlazione stretta con l’antropometria e la craniometria. La dottrina della ricapitolazione in sostanza recita che ogni individuo riassume in sé, nel suo sviluppo embrionale, le varie fasi evolutive delle forme da cui proviene la sua specie. Applicata alle razze umane questa teoria sostiene che gli adulti dei gruppi inferiori devono essere come i bambini dei gruppi superiori, perché il bambino rappresenta ‘un archetipo adulto primitivo’. I negri e le donne sono bambini maschi bianchi, quindi ‘ la rappresentazione vivente di uno stadio ancestrale dell’evoluzione dei maschi bianchi.’ Sulla base di questo criterio il paleontologo americano Cope identificò quattro gruppi inferiori: le razze non bianche, le donne, i bianchi europei del sud in rapporto a quelli del nord, le classi inferiori delle razze superiori. Come disse l’antropologo americano Brinton: ‘l’adulto che conserva più numerosi tratti fetali, infantili, scimmieschi, è indubbiamente inferiore a colui il cui sviluppo è progredito oltre essi. [...] Misurati con questi criteri, gli europei, cioè la razza bianca, stanno in testa alla lista, mentre gli africani, cioè i negri, stanno in fondo. [...] Tutte le parti del corpo sono state minutamente esaminate, misurate e pesate per erigere una scienza dell’anatomia comparata delle razze’.

I risultati della misurazione delle dimensioni e delle forme dei diversi crani umani vengono utilizzati per dimostrare la tesi della vicinanza tra nero e scimmia, giallo e bambino, teorizzando altresì che gli individui appartenenti alle razze inferiori giungono a maturazione precocemente, e mantengono quindi le caratteristiche di uno stadio più infantile o addirittura scimmiesco, risultando pertanto sostanzialmente ‘immaturi’.

La nascita dell'antropologia criminale
Un’altra disciplina nasce verso la fine del secolo in relazione a questa temperie culturale: l’antropologia criminale, il cui campione riconosciuto nel mondo scientifico europeo è Lombroso.

In questo caso il tema dell’immaturità, dell’‘atavismo’ risulta determinante: l’uomo delinquente di Lombroso, il criminale nato, porta nel suo corpo le stimmate di ataviche tendenze belluine e selvagge che ne fanno una vivente espressione di regressione evolutiva (maggiore spessore del cranio, semplicità delle suture craniche, mascelle grandi, prominenza della faccia sul cranio, braccia relativamente lunghe, rughe precoci, fronte stretta e bassa, orecchie grandi, assenza di calvizie, pelle più scura, maggiore acuità visiva, ridotta sensibilità al dolore e assenza di reazioni vascolari; nel caso delle prostitute Lombroso sostenne di aver rilevato la frequenza di piedi prensili come quelli delle scimmie, con l’alluce notevolmente separato dalle altre dita). La folgorante rivelazione venne a Lombroso esaminando il cranio del brigante Vilella: ‘Questa non era semplicemente un’idea, ma un lampo di ispirazione. Alla vista di quel cranio mi sembrò di vedere tutto d’un tratto, illuminato come una vasta pianura sotto un cielo fiammeggiante, il problema della natura del criminale: un essere atavico, che riproduce nella sua persona i feroci istinti dell’umanità primitiva e degli animali inferiori. Così erano spiegate anatomicamente le enormi mascelle, gli zigomi alti, le arcate sopraccigliari prominenti, le linee solitarie nelle palme delle mani, l’estrema grandezza delle orbite, le orecchie a manico trovate nei criminali, nei selvaggi e nelle scimmie, l’insensibilità al dolore, la vista estremamente acuta, i tatuaggi, l’eccessiva pigrizia, l’amore per le orge e l’irresponsabile brama del male solo per amore del male, il desiderio non solo di spegnere la vita della vittima, ma anche quello di mutilarne il cadavere, di strappare la sua carne e di bere il suo sangue’

Ciò che rende ‘deviante’ il criminale nelle società ‘civilizzate’ è comportamento normale nelle società primitive e presso le popolazioni di razza ‘inferiore’. Molte caratteristiche accomunano il criminale nato al selvaggio attuale, come la tolleranza del dolore, la pigrizia, l’incapacità di arrossire, ecc., come si evince da questa analisi della ‘razza inferiore e criminale’ degli zingari, in cui risultano mescolate, e pertanto potenziate, le caratteristiche del primitivismo e della delinquenza congenita: ‘Essi sono vanitosi, come tutti i delinquenti, ma non hanno paura o vergogna. Ogni cosa che guadagnano la spendono per bere e per ornamenti. Possono essere visti a piedi nudi, ma con abiti di colori brillanti e adorni di merletti; senza calze ma con scarpe gialle. Hanno l’imprevidenza sia del selvaggio che del criminale.[...] Divorano carogne mezze putrefatte. Sono dediti a orge, amano il rumore e fanno un grande clamore nei mercati. Uccidono a sangue freddo per rubare e, in passato, erano sospettati di cannibalismo. [...] Si deve notare che questa razza, così moralmente bassa e così incapace di sviluppo culturale e intellettuale, una razza che non potrà mai portare avanti alcuna attività e che in poesia non è andata oltre le più misere liriche, ha creato in Ungheria una meravigliosa arte musicale: una nuova prova del genio che, misto all’atavismo, deve essere trovato nel criminale’.

Se ogni tipo di devianza sociale può venire classificato sulla base di criteri evoluzionistici nella collezione lombrosiana del Museo di antropologia criminale, non stupisce che in essa compaiano il pazzo e Davide Lazzaretti, il profeta ribelle del Monte Amiata, l’infanticida e il brigante Schiavone, lo stupratore e Passanante, il mafioso e il comunardo, il camorrista e l’anarchico. Tutto ciò che turba l’ordine costituito viene estromesso dal novero degli elementi costituenti la ‘civiltà’ e relegato in un passato ancestrale che va esorcizzato anche attraverso un’opera di preventiva identificazione e segregazione degli individui che ne sono portatori. Il brigantaggio sardo può così venire interpretato da un giovane seguace di Lombroso, Niceforo, peraltro di sicuri sentimenti liberal-democratici e su altri terreni capace di sfuggire alle semplificazioni del riduzionismo, come una manifestazione di diversità razziale dei sardi rispetto agli abitanti del resto d’Italia: ‘In quella zona così storicamente isolata e che è appunto il centro dell’isola, si radunò, sin dai primi tempi, una popolazione ribelle ad ogni idea di mutamento, una popolazione che aveva del selvaggio nelle vene, che non fu mai d’accordo né coi Cartaginesi né coi Romani, né coi Bizantini, né con gli Spagnoli, né coi Piemontesi, né con gli Italiani di oggigiorno. Altri chiamerà ciò robustezza e vigoria, noi chiamiamo ciò non adattabilità della razza, impossibilità di progredire, di evolversi. E’ una popolazione cristallizzata, immersa in un passato che non ha più ragione di esistere, e che, pur avendo coscienza del presente, non si mette a battere la strada nuova che le si apre dinanzi: è popolazione che non può e non vuole prendere parte alla grande e meravigliosa costruzione della società attuale.’



Il concetto di razza nella Germania nazista e nell'Italia fascista

Dal nazionalismo biologico alla Volkgenosse tedesca
Con la fine del secolo viene meno la fiducia nella ‘grande e meravigliosa costruzione della società attuale’ e nella scienza come strumento di interpretazione ‘oggettiva’ della realtà naturale e umana. La crisi economica che investe il mondo capitalistico a partire dal 1873, avviando un ininterrotto periodo di stagnazione e brevi riprese, l’accentuarsi della competizione inter-imperialistica fra le potenze industriali per la spartizione delle risorse e dei mercati, la politica di riarmo praticata da molti paesi europei, la crescita del movimento operaio e la minaccia di sovversione che in esso si intravede, le emergenti istanze di emancipazione delle donne, tutto concorre a determinare una crisi culturale profonda e a imporre l’esigenza di una rilettura complessiva della vicenda umana alla luce di categorie diverse da quelle affermatesi a partire dalla rivoluzione francese.

L’antigiudaismo europeo di fine Ottocento
Se finora lo sforzo degli ideologi della società borghese era stato quello di circoscrivere l’ambito dei diritti universali alla razza bianca e all’homo europaeus visto come vertice dell’evoluzione naturale, ora, con l’emergere del nazionalismo, anche la nozione di razza bianca diventa troppo ampia e l’Europa si frantuma, nella coscienza degli intellettuali nazionalisti, in tante piccole ‘patrie’. Da questo punto di vista la nozione ottocentesca di nazione come unità culturale e linguistica non basta più e si parte alla ricerca di una connotazione di identità forte, se possibile biologica, ma anche profondamente interiorizzata, che distingua e separi mediante barriere insormontabili non più solo il bianco dal nero, dal rosso e dal giallo ma il tedesco dal francese, l’inglese dall’italiano e così via.

D’altro canto, per combattere l’influenza dell’internazionalismo socialista sulle masse popolari e realizzare un consenso compatto dell’opinione pubblica intorno ai conflitti che si aprono fra gli stati industrializzati, occorre che questa identità ‘nazionale’ comprenda anche le classi subalterne e le mobiliti nei confronti del ‘nemico’ esterno. Per questo risulta utilissima l’operazione di identificazione anche di un ‘nemico’ interno che costituisca il punto di riferimento ‘altro’ e ‘diverso’ rispetto al quale rafforzare la propria identità. Questa è probabilmente la chiave di volta per la spiegazione del ritorno di fiamma in Europa dalla fine dell’Ottocento dell’antigiudaismo, di cui l’antisemitismo nazista rappresenta solo un culmine di particolare virulenza. Nel suo insieme, questa operazione culturale non può più servirsi soltanto degli ‘asettici’ e ‘oggettivi’ strumenti dell’indagine scientifica (che pure non vengono del tutto abbandonati), ma richiede in molti casi un loro ‘superamento’ in nome di categorie irrazionali come l’intuizione, la sensibilità, il sentimento inconscio.

Esaminando ordinatamente questo processo, vediamo alcuni esempi di quanto abbiamo detto. Brunetière enuncia, in una conferenza del 1896, un’idea di nazione di tipo biologico (la nazione come comunità di sangue e di stirpe) che richiede, però, per essere intesa e creduta, non dimostrazioni di carattere scientifico ma un atteggiamento di tipo fideistico. Qualche anno più tardi, Barres, lamentando il fatto che è difficile, se non impossibile, definire i francesi come razza, cerca di individuare comunque in un elemento mistico-irrazionalistico quella forte identità nazionale che sola può garantire ‘l’unità morale’ della Francia e garantirle il successo nella ‘lotta’ contro i nemici teutonici.

Il germanesimo
Sulle orme di Paul Anton de Lagarde (pseud. di Paul Anton Bötticher) e dei suoi Scritti tedeschi del 1878, in cui viene enunciata in modo organico una teoria mistica e spiritualistica della razza germanica come dotata di una superiore forza vitale che va preservata da ogni contaminazione, Wagner, Chamberlain e Weininger furono i teorici del ‘germanesimo’ che ebbe la massima influenza sulla cultura tedesca dell’inizio del secolo fino a influenzare profondamente un giovane austriaco destinato a una luminosa carriera politica: Hitler.

L’imperatore Guglielmo II ebbe a scrivere a Chamberlain dopo aver letto le sue opere, nel 1910: ‘Ora tutto l’elemento ario-germanico che dormiva in me nel profondo doveva tirarsi fuori poco per volta in una dura lotta, entrava in aperto contrasto con la ‘tradizione’, si manifestava spesso in forma bizzarra, spesso in modo informe, poiché si muoveva in me per lo più inconsciamente e come oscuro presentimento, e voleva aprirsi una strada. Ora Lei viene e come con una bacchetta magica instaura ordine nella confusione, porta luce nell’oscurità, indica le mete a cui bisogna tendere e per cui bisogna lavorare, rende chiare le vie oscuramente presentite che debbono essere seguite per la salvezza dei tedeschi, e quindi per la salvezza dell’umanità.’

Chamberlain fonde in uno i due filoni, quello scientifico e quello mistico, della teoria razziale, proclamando la sua fede darwinista e la sua adesione alle teorie craniometriche che ‘dimostrano’ inequivocabilmente il carattere superiore della razza ariana di cui i tedeschi sono gli esemplari più puri ed incontaminati, ma, negando la teoria dell’evoluzione (nel timore che essa dia qualche speranza alle razze inferiori di potersi un giorno elevare al di sopra del proprio stato), ripropone una visione ‘fissista’ delle razze destinate a rimanere per sempre collocate in una scala gerarchica immutabile: ‘Io seguo il grande naturalista nella scuderia, nel pollaio, nella serra, e dico che qui vi è qualcosa che conferisce un senso alla parola ‘razza’ è incontestabile e evidente a ognuno’. D’altro canto, egli privilegia ‘dimostrazioni’ di altra natura quando afferma: ‘Immediatamente persuasivo come nient’altro è il possesso della ‘razza’ nella propria coscienza. Chi appartiene a una razza decisamente pura lo sente di continuo [...] Senza preoccuparmi di dare una definizione ho mostrato la razza nel mio proprio petto, nelle grandi azioni del genio, nelle splendide pagine della storia umana’.

Chamberlain considera pertanto illusoria e fantastica la nozione illuministico-kantiana di ‘storia universale’, dal momento che nega l’esistenza di una umanità unica, seppur bianca, e attribuisce importanza e rilievo storico solo alla ‘specie tedesca’ di umanità: ‘Appena parliamo di umanità in generale, appena ci illudiamo di scorgere nella storia uno sviluppo, un progresso, un’educazione, ecc. dell’’umanità’, noi abbandoniamo il sicuro terreno dei fatti e navighiamo in aeree astrazioni. Questa umanità su cui si è tanto filosofato ha infatti il grave difetto di non esistere. [...] La teoria dell’umanità impedisce ogni vera comprensione della storia e deve essere faticosamente sarchiata, come un’erbaccia [...] prima che si possa affermare, con speranza di essere compresi, questa verità evidente: la nostra attuale civiltà e cultura è specificamente germanica, è opera esclusiva del germanesimo. [...] Ciò che in essa non è germanico è un elemento patologico [...] oppure è merce straniera che naviga sotto bandiera germanica, che naviga finché non la mandiamo a picco.’

Con Chamberlain e con Weininger si comincia a identificare nella cultura ebraica e nella ‘mentalità ebraica’ la ‘merce straniera che naviga sotto bandiera tedesca’ e nell’ebreo il veicolo di una ‘infezione’ che rischia di inquinare la purezza della razza germanica. Questo ‘processo infettivo’ data alla penetrazione in occidente del ‘cristianesimo giudaizzante’ ad opera dell’’ebreo’ Paolo di Tarso e del ‘meticcio’ Agostino di Ippona, proseguendo poi con la penetrazione di una ‘giudaica’ mentalità materialistica, individualistica e utilitaristica che confligge con la spiritualità ariana (vai alla citazione).

L’equazione ebreo=donna=comunista
Con Weininger, ebreo austriaco suicidatosi nel 1903, subito dopo la pubblicazione del suo Sesso e carattere, uno dei più violenti e famosi libelli antigiudaici dell’inizio del secolo, si instaura l’equazione ebreo=donna=comunista. Weininger costruisce quindi un tipo ideale ariano sulla base del sesso e della razza.
Più grezza, ma non meno aggressiva, l’immagine dell'ebreo 'invasore' della Francia (alla ricerca, come si è visto, della propria identità nazionale) fornita da E. Drumont nel suo La France juive del 1886. Per fortuna, però, come dice Weininger: ‘Di fronte al nuovo ebraismo si fa strada un nuovo cristianesimo; l’umanità aspetta impaziente il nuovo fondatore di religioni e la lotta tende alla conclusione decisiva, come nell’anno uno’.

Il verbo organicista e la caccia al diverso
A sollevare gli intellettuali decadenti dell’inizio del secolo dal pessimismo che li aveva indotti a ritenere che, a causa della mescolanza delle razze e della ‘femminilizzazione’ e ‘giudaizzazione’ delle società e delle culture europee, esse fossero destinate a un inarrestabile tramonto, vennero i nuovi fondatori di religioni, portatori del verbo organicista, che tentarono di dare alla politica di potenza un fondamento razzistico e biologistico, realizzando il massimo del consenso interno attraverso lo scatenamento della ‘caccia al diverso’, nel tentativo di realizzare un modello di società uniforme, ordinata, gerarchica e militarizzata. Come osserva Enzo Collotti: ‘Se volessimo dare una definizione sintetica del tipo di società che sognavano i nazisti, prima ancora che rispondere facendo richiamo all’unità degli ariani, risponderemmo: una società senza diversi’. (vai alla citazione intera).

Lo Stato come unità di stirpe ariana
Darwinismo sociale e mistica razziale, argomentazioni desunte dalla tradizione scientista e da quella irrazionalistica, tradizionalismo e ultrarivoluzionarismo, sono ingredienti utilizzati, senza andare troppo per il sottile, nella costruzione del mito nazista in Germania a opera di Hitler e di una schiera di ideologi impegnati per la prima volta in Europa a realizzare concretamente i sogni ‘eugenetici’ di una grande potenza. Le ambizioni imperialiste tedesche sono volte prevalentemente all’Europa e in particolare alla conquista e ‘colonizzazione’ dell’est europeo; di qui l’insistenza sul ‘nemico esterno’ slavo che per di più, nella accezione russa, ha anche il difetto di essere bolscevico e pertanto inquinato da elementi ebraici.

Il fulcro della concezione nazista dello Stato come ‘comunità popolare’ (Volkgenosse) intesa come unità di sangue e di stirpe ma fortemente gerarchizzata e guidata da un leader che ne rappresenta e incarna il destino, è enunciato con grande chiarezza dallo stesso Hitler quando teorizza l’incompatibilità tra nazionalismo razzista e democrazia (vai alla citazione).

La politica eugenetica e la propaganda
L’escalation istituzionale che conduce all’internamento di 18 milioni di persone nei campi di concentramento nazisti e allo sterminio di 11 milioni di loro, di cui 6 milioni ebrei, è descritta in efficace sintesi da Enzo Collotti (vai alla citazione).

Pochi esempi dello sterminato armamentario propagandistico, spesso delirante, messo in atto dal nazismo per ‘dimostrare’ l’inferiorità e la pericolosità dell’ebreo, utilizzando, allo scopo di rendere diffusa e capillare la convinzione in proposito, tutti i mezzi di comunicazione di massa consentiti all’epoca, dai grandi raduni oceanici, alla radio, alla stampa, al cinema, alle pubblicazioni per la scuola e la gioventù: così si esprime Robert Ley nel 1935: ‘Ora vorremmo stabilire che cosa è l’ebreo. L’ebreo nacque nell’Asia anteriore. Nei secoli passati l’Asia anteriore era la borsa del mondo. Lì si incontravano i tre continenti, Africa, Asia e Europa. Era la via più breve dove il negro portava il suo avorio, l’europeo la sua ambra, gli asiatici le loro spezie. Lì scambiavano i loro prodotti e si mescolavano tra loro. Nacquero i mulatti, da neri e bianchi, poi arrivarono i popoli delle montagne del Caucaso e cacciarono questa palude di razze nel deserto arabico. In questo deserto erano ermeticamente isolati da tutti. Erano come in un grande ghetto. In questo ghetto questi mulatti non potevano che praticare rapporti incestuosi. Così questi meticci, di razza e di specie diverse, praticarono l’incesto dal quale nacque il parassita. Un parassita è un meticcio più sviluppato, un meticcio di razze e specie diverse fra di loro, prodotto dell’incesto. Così l’ebreo non è né una razza a parte né un meticcio; l’ebreo è un parassita. E’ importante sapere questo. E’ un parassita, l’unico parassita umano in tutto il mondo. Per questo è il polo a noi opposto.’

Si legge nel libro di lettura ad uso dei bambini delle scuole primarie, Der Gifpilz (‘Il fungo velenoso’), pubblicato nel 1938: ‘Il piccolo Franz è andato con la mamma a cercare funghi nel bosco [...] Franz prende un fungo dal suo cesto. ‘Mamma, questo fungo non mi piace. E’ certamente velenoso!’ La madre scuote la testa: ‘Hai ragione. Questo è un fungo di Satana. E’ molto velenoso. Si riconosce subito dal colore e dal terribile odore. [...] ‘Qui ce n’è un altro campestre!’ grida Franz e prende un altro fungo. La madre atterrisce. ‘Per amor di Dio, Franz! Questo non è un campestre. Questo è un amanita falloide. E’ il fungo più velenoso, più pericoloso che ci sia. E’ doppiamente pericoloso perché si può facilmente scambiare. [...] I due prendono in mano i loro cesti e si avviano verso casa. Strada facendo la madre dice: ‘Guarda Franz, come accade per i funghi del bosco, lo stesso accade anche per le persone sulla terra. Ci sono funghi buoni e persone buone. Esistono funghi velenosi, funghi cattivi e persone cattive. E da queste persone bisogna guardarsi come dai funghi velenosi. [...] E sai anche chi sono queste persone cattive, questi funghi velenosi dell’umanità?’ incalza la madre. Franz si dà delle arie: ‘Certo, mamma! Lo so. Sono gli ebrei. Il nostro maestro ce lo dice spesso a scuola.’

La politica eugenetica, che ha prodotto il tentativo di sterilizzazione dei malati mentali e degli handicappati fisici e psichici sancito dalla legge fin dal 1933, concentra l’attenzione sul dato biologico della purezza sessuale, non solo vietando la ‘mescolanza’ tra tedeschi puri e ‘non tedeschi’ ma cercando di costituire, attraverso le SS, una sorta di ‘allevamento’ di ariani puri, destinando i membri del corpo speciale, oltreché ad azioni di particolare livello di efferatezza, alla riproduzione di un selezionato campione della razza germanica.

L’antisemitismo in Italia
Si è spesso sostenuto che la penetrazione, dal 1938, dell’antisemitismo in Italia sia il prodotto artificiale dell’alleanza militare italo-tedesca (l’Asse Roma-Berlino) destinato a fare scarsa presa in un paese non affetto da tentazioni razziste. In realtà, se è sostenibile che l’antisemitismo laico e razzista non abbia solide radici in Italia, dove peraltro alligna un solido antisemitismo religioso di impianto cattolico, non è affatto sostenibile che la cultura italiana non abbia prodotto esempi di razzismo nei confronti delle popolazioni africane soggette al dominio coloniale italiano, siano esse arabe o ‘etiopi’; la differenza tra il razzismo italiano e quello tedesco o anglosassone è, semmai, nella minore presenza di un ‘razzismo interno’ rispetto a quello ‘esterno’, dovuta al fatto che l’Italia ha costruito il suo mito nazionalistico, dagli anni Dieci del Novecento al fascismo, intorno al tema della ‘nazione proletaria’, impegnata a costruirsi il suo impero combattendo contro lo strapotere delle vecchie potenze ‘plutocratiche’ e ‘borghesi’, facendo leva sulle virtù del suo laborioso popolo contadino. Dal discorso di Corradini L’Italia nazione proletaria del 1910 e dalla orazione pascoliana La grande proletaria si è mossa del 1911 si diparte un filone di pensiero populista e ‘antiborghese’, di cui il fascismo si farà interprete, che vede nell’avventura coloniale e nella politica imperialista uno strumento di riscatto e di emancipazione per una nazione che, risorta dalle ceneri degli antichi fasti imperiali di Roma, stenta a ritrovare la sua collocazione di grande potenza mondiale.

C’è però un filo sottile che consente l’ambientazione, anche nell’Italia fascista a partire dal 1938, di tematiche antisemite che hanno avuto la loro espressione culturale nel Manifesto della razza, pubblicato nel luglio 1938 e nella fondazione della rivista ‘Difesa della razza’ e la loro espressione istituzionale nelle leggi razziali emanate fra il settembre e il novembre dello stesso anno. Oltre alla necessità di affermare il proprio arianesimo, seppure ‘mediterraneo’, di fronte al pericolo di essere identificati, come ‘europei del sud’, con razze inferiori, gli uomini del regime e gli intellettuali fascisti colgono dell’antisemitismo un aspetto congruente alla loro antica polemica nei confronti del materialismo, dell’utilitarismo, dell’individualismo e del cosmopolitismo tipici della cultura borghese moderna. Lo ‘spirito ebraico’ risulta assai simile, nelle descrizioni che ne vengono fornite dagli ideologi europei e in particolare tedeschi, allo spirito ‘borghese’ contro il quale il fascismo ha cercato in un ventennio di forgiare l’‘uomo nuovo’, capace di subordinare gli interessi personali ai superiori interessi della nazione, di privilegiare i valori ‘spirituali’ della patria e della potenza guerriera rispetto ai valori ‘materiali’ del benessere e del comfort, di identificarsi con lo Stato anziché piegare gli interessi dello Stato a proprio vantaggio. Nella lotta contro lo ‘spirito ebraico’ si poteva riciclare la lotta contro il ‘materialismo’ borghese e socialista e riaffermare i valori originari del fascismo ‘militante’, un po’ spenti dopo anni di regime.

Il Manifesto della razza e le leggi razziali
Il Manifesto della razza, pubblicato sul ‘Giornale d’Italia’ il 14 luglio 1938, recava le firme di personalità decisamente ‘minori’ della cultura italiana dell’epoca, per lo più sconosciute al grosso pubblico, con l’eccezione dell’antropologo razzista Cipriani e dello scienziato cattolico Nicola Pende, che peraltro ritirò prontamente la sua firma. La debolezza teorica del manifesto è evidente.

Lo scopo di emarginare gli ebrei e impedire la ‘contaminazione’ della razza italiana venne raggiunto attraverso le leggi razziali che vennero in tre ondate successive tra il settembre, l’ottobre e il novembre 1938. La prima (5 settembre) espelleva dal territorio italiano gli ebrei di nazionalità straniera, di fatto ricacciando quegli ebrei che avevano trovato rifugio in Italia dalle persecuzioni in Germania. Inoltre venivano espulsi dall’insegnamento medio e universitario gli ebrei italiani. La seconda (6-7 ottobre) toglieva agli ebrei che non dimostrassero sicura fede fascista o non fossero eroi della prima guerra mondiale la cittadinanza italiana, considerandoli razzialmente estranei. La terza (17 novembre) introduceva i provvedimenti ‘eugenetici’ per la difesa della razza, vietando i matrimoni fra ariani ed ebrei e annullando i matrimoni già contratti e imponendo l’indicazione della razza di appartenenza sui documenti di identità. In seguito vennero adottati provvedimenti ancor più restrittivi, sull’esempio di quelli nazisti, vietando agli ebrei di possedere radio riceventi, di frequentare luoghi di villeggiatura, di pubblicare libri ed escludendo i loro nomi dagli elenchi telefonici.. [...] "

Shalom!!!

Pieffebi
07-05-03, 13:22
da www.shalom.it

" Antiamericanismo e antisionismo sono il filo rosso che unisce Durban a New York
Dalla teoria alla pratica

di Fiamma Nirenstein


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Dopo che i terroristi islamici hanno seminato morte e distruzione nel cuore degli Stati Uniti, non posso fare a meno di tornare con la mente all'esperienza di Durban, dove ho sperimentato l'angoscia del retroterra teorico di quello che, nella pratica, è poi accaduto a New York e a Washington: in Africa ho visto il sincretismo dell'ideologia della Guerra Fredda con quella arabo-islamista; ho visto il fallimento della "società civile", le cui organizzazioni non governative (ONG) esistevano, proprio come ai tempi dell'URSS, solo a patto di pagare il loro pedaggio alla ideologia dominante dell'ONU. Nonostante la debole opposizione dei Paesi Occidentali, contro gli Stati Uniti che avevano fatto con Israele la scelta più ragionevole: andarsene dalla pazza folla.
Tornavo a Tel Aviv da Durban pochi giorni or sono: sull'aereo che durante la notte mi riportava in Israele, restavo in un dormiveglia intriso di angoscia. Pensavo agli ebrei che giravano con le targhette di riconoscimento rovesciate e si toglievano la kippà per non essere assaliti; alle riunioni delle ONG dominate dai palestinesi trasformate in tribunali per supposti crimini contro l'umanità, da cui gli ebrei sono stati spesso estromessi e tacitati con la forza; come sintomi di ubriachezza o di malattia, mi balenavano gli incredibili contenuti dei documenti preparatori che sostenevano che l'America è la causa dei mali di tutto il mondo e Israele è uno stato razzista, un Paese di apartheid. Il consesso internazionale veniva chiamato durante la conferenza sul razzismo a pronunciarsi per una condanna totale degli ebrei e di Israele, a dichiarare illegittima la sua esistenza. E ad addossare agli Stati Uniti le colpe di fondo dell'oppressione dell'umanità, della schiavitù, dell'arretratezza. E non si facciano errori: le ONG, nonostante la lotta strenua di alcuni coraggiosi (fra cui gli italiani devono conoscere il nome di Massimo Pieri e del suo gruppo di ragazze e ragazzi infaticabili) hanno prodotto il peggiore di tutti i documenti possibili, chiamando la "società civile" mondiale, dai maja ai tibetani a tutti gli oppressi dal razzismo, a fare loro la lotta contro Israele come fosse una lotta etica, di diritti civili, ad avventarsi contro Israele e a condannare gli USA. E' vero, molti gruppi etnici e culturali lamentavano il "sequestro" della Conferenza da parte palestinese, ma gli stessi (salvo pochissimi) prima di parlare dei propri diritti calpestati si affrettavano a porgere un tributo alle sofferenze del popolo palestinese, terribili sofferenze inflitte senza tregua dagli ebrei, un popolo terribilmente criminale, assassino, genocida, sostenuto dagli americani: questo era il prezzo da pagare al politically correct del linguaggio globalizzato di sinistra, cui nell'assemblea della Conferenza hanno dato voce Fidel Castro e Arafat con accenti d'odio. Tracce più o meno potenti di questo odio si potevano trovare in quasi ogni intervento dei leader africani e mediorentali. E il documento finale, frutto di grandi scontri con i Paesi del Terzo Mondo, non è affatto, come si è voluto ripetere in maniera consolatoria e compromissoria, un buon documento: basti pensare che l'Olocausto e l'antisemitismo, lungi dall'essere indicati come le peggiori espressioni del razzismo nel documento dedicato a questo, sono confinate esclusivamente nella parte dedicata al Medio Oriente.

Basti pensare che l'unica parte che parli di un conflitto politico è quella sul Medio Oriente. E che la piattaforma di Arafat, ovvero il "diritto al ritorno" e la "commissione internazionale" sono nella risoluzione di una Conferenza sul razzismo!

Tornata in Israele, lo stesso giorno ci sono stati quattro attentati, di cui due suicidi, con cinque morti. E poi, l'immenso disastro americano. Per chi ha visto Durban, la connessione fra la dimensione teorica di quell'evento e la pratica omicida di questo, è evidente: l'odio antiamericano che si condensa nell'odio contro Israele si nutre infatti non certo del conflitto territoriale mediorientale, ma dell'idea base che esistano delle forze del Bene e delle forze del Male, in cui il Male è tutto identificato con l'avidità, la corruzione, la indegnità dell'Occidente. La maggior parte dei leader del Terzo Mondo hanno applaudito deliranti interventi sulle colpe americane e di Israele, il colonialismo, l'imperialismo, il razzismo, lo sfruttamento, la criminalità, in cui (e qui sta il punto) il pastone ideologico della Guerra Fredda, il vittimismo-trionfalismo della sinistra dei tempi della Guerra Fredda, si trasformava, era la stessa cosa del vittimismo trionfalismo dell'Islam estremo (sperando che quello moderato si faccia vivo, condanni, dica - prima o poi - qualcosa). L'antiamericanismo che si compendia nell'idea che l'Occidente sia il corruttore della natura buona dell'uomo, che occupi ciò che non gli appartiene, che il consumo lo renda feroce, che debba giungere un giorno il regno del Bene sgominando senza pietà il nemico, hanno traslocato nella battaglia islamista-antimperialista che ha poi creato il disastro di New York. La chiave "Israele" è là dai tempi della Guerra Fredda, appunto: il nemico sionista, l'aggressore colonialista, il razzista persecutore, è la bandierina che segnala la nuova divisione del mondo in blocchi, e da cui è nato l'attacco alle Twin Towers e al Pentagono. E da cui nasce ogni giorno, parimenti, l'attacco alle discoteche, alle strade, ai ristoranti in Israele. Che cosa doveva fare negli anni Settanta una conferenza contro il razzismo se non indicare i colpevoli in Americani e Israeliani? E che deve fare oggi? Lo stesso.

Se si guarda la collezione di scritti e dichiarazioni che riguardano l'America e Israele ben prima dell'amministrazione Bush e di questa Intifada, si capisce che né la politica Americana, né lo scontro attuale sono cause dell'incontenibile odio che porta al terrorismo suicida, quale che ne sia la dimensione. Scriveva Al hajatt Al Jadida, il giornale dell'Autonomia palestinese: "La storia non ricorderà gli USA, ma ricorderà l'Iraq, culla delle civiltà, e la Palestina, culla delle religioni. Dall'altra parte, gli assassini dell'umanità, i creatori della cultura barbara e vampiri delle nazioni sono destinati alla morte". E quindi si scrive in altra parte del giornale: "la Casa Bianca deve diventare nera".

Fiamma Nirenstein "

Shalom!!!

Pieffebi
08-05-03, 13:53
da www.israele.net

" Israele: un fotografia all'eta' di 55 anni

Un articolo del prof. Sergio Minerbi
7 maggio 2003

Il 55esimo Giorno dell'Indipendenza iniziato martedi` sera e` stato preceduto come al solito dal Giorno della Rimembranza per ricordare i 21.460 caduti nelle guerre d'Israele. Questo fatto da solo toglie molta retorica alle celebrazioni e ricorda ai cittadini quanto sangue sia costata questa indipendenza, quanti morti sono sepolti nei cimiteri militari.
Gli israeliani si precipitano nella natura; la settimana scorsa almeno mezzo milione di persone sono straripate a bordo di veicoli, possibilmente a quattro ruote motrici, fuori delle citta` attraverso i campi e le colline sotto un sole che brucia. Anche l'umore della popolazione, pessimo in seguito al terrorismo e l'incomprensione europea, e` migliorato. La Borsa di Tel Aviv e` salita del 34% negli ultimi tre mesi e il tasso di cambio del dollaro (l'altro lato della medaglia economica) e` sceso per la prima volta da 16 mesi a meno di 4,50 shekel per dollaro ossia alla quota dell'inizio del 2002.
Secondo le piu` recenti statistiche, Israele conta oggi 6,7 milioni di abitanti, dei quali 5,4 milioni di ebrei, ossia l'81% della popolazione totale, contro 806.000 anime nel 1948 quando fu fondato lo Stato d'Israele. L'immigrazione continua e nei dodici mesi precedenti sono arrivati 31.000 nuovi immigranti, tra i quali 5.000 dall'Argentina.
Gli Arabi sono 1,3 milioni (erano 150.000 nel 1948), in maggioranza mussulmani, ed il 9% sono cristiani. Gerusalemme e` una metropoli di 680.000 abitanti con un alto tasso di fertilita` dovuto agli ultra-religiosi ebrei e ai mussulmani arabi.
Nei dodici mesi scorsi sono nati 140.000 neonati, dei quali almeno 15.000 all'ospedale Soroka di Beer Sheba.
La nomina di Abu Mazen a primo ministro palestinese fa sperare che si possa arrivare quanto prima ad una tregua e successivamente a un accordo, anche se lunedi` sera il Fatah di Arafat ha ucciso un giovane israeliano a bordo di un veicolo ferendo gravemente la figlia di sei anni e un altro passeggero.
L'attentato di Tel Aviv e` stato compiuto da due pakistani con passaporti britannici, terroristi che non sono ne` umiliati ne` disperati ma piuttosto militanti di organizzazioni mondiali che oltrepassano talvolta i palestinesi, e sono istruiti, spesso universitari, aizzati dai fondamentalisti islamici.
La maggioranza degli israeliani, il 53%, e` soddisfatta di Sharon, sostiene Abu Mazen (46%) divenuto ormai parte dell'orizzonte politico israeliano, ed appoggia la "road map" americana col 52%. Da Damasco per la prima volta dopo molti anni arrivano per vie traverse voci che richiedono il dialogo e Sharon dichiara la sua disponibilita`.
Tutto va bene, madama la Marchesa? Certamente no, la societa` israeliana soffre di un divario eccessivo fra i salari piu` bassi e quelli piu` alti, di un numero di disoccupati che oltrepassa i 200.000, di un livello educativo nelle scuole che lascia a desiderare. Gravi le divergenze fra laici e religiosi ebrei, e fra ebrei ed arabi che minacciano la compattezza sociale. La crescita del Pil e` per ora solo una speranza, legata al ritorno del High Tech nel quale Israele eccelle. Ma un rapido sguardo indietro al maggio 1948, quando nacque lo Stato, permette di essere soddisfatti del cammino percorso.
(Sergio Minerbi per israele.net, 6.05.03) "

Shalom!!!

Pieffebi
08-05-03, 22:31
dalla rete:

" "Il problema ebraico" delle Nazioni Unite - L'antisemitismo ha trovato un comodo rifugio nell'East River


di Ruth R. Wisse, Docente di Letteratura Yiddish alla Harvard University

JEANE KIRKPATRICK scrisse una volta che quando insegnava scienze politiche c'erano due misteri che non riusciva a capire: come era potuto accadere l'Olocausto e come il resto del mondo lo aveva lasciato accadere. Le cose divennero chiare quando ebbe il posto di ambasciatore americano alle Nazioni Unite nel 1981. L'antisemitismo di molti stati membri, e la riluttanza degli altri a compromettere la propria neutralità nel mentre si perseguivano i propri fini politici, erano quasi altrettanto evidenti durante il suo mandato alle Nazioni Unite di quanto lo erano stati in Europa quattro decenni prima. Il 18 marzo scorso, il segretario generale dell'ONU Kofi Annan ha diffuso sui media una lettera in cui diceva al primo ministro israeliano Ariel Sharon che Israele doveva porre fine a ciò che egli definisce "occupazione illegale" dei territori palestinesi. Questa affermazione era falsa. Come George P. Fletcher notava sul New York Times, e come altri esperti legali hanno da tempo asserito, "non è illegale per le potenze vittoriose occupare un territorio ostile confiscato nel corso di una guerra finché esse non sono in grado di negoziare un valido trattato di pace con i vecchi nemici. Come riconoscimento di questo precetto, a seguito della guerra del giugno 1967 il Consiglio di Sicurezza approvò la risoluzione 242 che richiedeva ad Israele il ritiro "da territori" e non "dai territori", evitando coerentemente l'implicazione che l'occupazione in se stessa fosse illegale. Annan non solo ha trascurato questa distinzione cruciale, ma ha poi sminuito il significato della sua terminologia - con la perversa giustificazione che tale incriminazione di Israele era successivamente diventata un concetto accettato all'interno della sua organizzazione. Ciò a cui Annan avrebbe dovuto di porre fine e la pernicioso ruolo dell'ONU come istigatore e favoreggiatore di una possibile conflagrazione internazionale. L'assalto dell'ONU su Israele, in lampante violazione del suo Statuto, rivaleggia adesso addirittura con l'indottrinamento anti-ebraico che precedette la Seconda Guerra Mondiale. La stessa organizzazione che ha il compito di assicurare uguale protezione a tutte le nazioni, grandi o piccole, è diventata la punta avanzata dei tentativi di distruggere uno dei suoi membri più vulnerabili. Nel primo dibattito sulla Palestina alle Nazioni Unite fu fissato lo schema per tutto ciò che è seguito. Il 29 novembre 1947, con una maggioranza di due-terzi dell'Assemblea Generale fu adottata la raccomandazione del Comitato Ad Hoc Sulla Palestina per dividere la zona già divisa (in cui la Giordania ebbe la parte del leone) in uno stato arabo ed uno stato ebraico. Gli ebrei accettarono la spartizione; gli arabi vi si opposero con la forza. Nonostante la risoluzione desse agli ebrei solo un pezzetto di ciò che la Dichiarazione Balfour del 1917 aveva promesso loro e una frazione di ciò che storicamente era stata la loro madrepatria, essi fondarono Israele sulla terra che era stata loro accordata. L'ONU non intervenne quando cinque stati arabi attaccarono il nuovo stato, giurando di voler spingere i suoi abitanti in mare. Per i successivi 53 anni gli stati arabi combatterono Israele e non dovettero mai attenersi al risultato delle loro sconfitte militari. Essi scoprirono presto che l'ONU si sarebbe rimessa al loro beneficio politico e demografico piuttosto che andare in difesa di Israele. Vale la pena chiedersi perché gli arabi non accettarono la divisione della Palestina ed incoraggiarono gli arabi-palestinesi a sviluppare la loro indipendenza. Gli stati arabi sostengono di opporsi ad Israele poiché gli ebrei privarono gli arabi delle loro terre, ma con il rifiutare la spartizione della Palestina, sono loro stessi che hanno insistito nel mantenere i palestinesi senza-patria. Se i governi arabi avessero sistemato i loro confratelli come Israele fece con gli ebrei profughi dalle nazioni arabe, non avrebbero avuto la prova della prevaricazione ebraica su cui basare la loro politica della rimostranza. Il mantenere i palestinesi nei campi profughi fu una strategia calcolata per organizzare la politica araba in una perpetua opposizione agli ebrei. L'ONU fu incaricata di sostenere un popolo che i suoi compagni arabi erano determinati a mantenere come profughi. Essi conservarono e amministrarono gli squallidi campi profughi. E questi campi - la conseguenza della politica araba - sono stati usati per dimostrare l'iniquità di Israele. Riconosciamo che l'ONU non può mediare con successo tutte le controversie internazionali che ricadono sotto la sua egida, ma in nessun altro caso eccetto quello di Israele l'organizzazione è diventata l'arma dei belligeranti contro uno dei suoi membri. Quando l'ONU subentrò nei campi profughi, invece di far sì che i governi arabi risistemassero i loro fratelli arabi, li assolse dalla responsabilità per la loro aggressione e perpetuò la "prova" evidente che Israele aveva cacciato i palestinesi. Allo stesso modo, a seguito di ogni sconfitta sul campo di battaglia, gli arabi ricorsero all'ONU per porre fine al conflitto in maniera tale da precludere la necessità di ammettere la legittimità di Israele e da accusare Israele retroattivamente della responsabilità della loro guerra contro di esso. Gli assalti arabi avevano lasciato Israele con in mano delle terre oltre i confini originali. Quei territori che Israele aveva guadagnato con una guerra di autodifesa venivano ora esibiti come prova dell'espansionismo ebraico. Ancora volta, come nel caso dei campi profughi, gli arabi presentavano le conseguenze della loro aggressione come causa della stessa. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, fondata nel 1964, prima che Israele entrasse in possesso dei territori contesi della West Bank e di Gaza, veniva sempre più finanziata dai governi arabi come risposta alla conquista dei territori da parte di Israele. Subito dopo la guerra di Yom Kippur nel 1973, avendo fallito il terzo assalto coordinato per far sgombrare Israele, gli arabi si unirono al blocco comunista per aprire un nuovo fronte di propaganda alle Nazioni Unite. I governi arabi riciclarono gli slogan sovietici degli anni 30 e usarono la loro influenza per far passare una risoluzione che definiva il sionismo come razzismo. Il sionismo è la credenza che gli ebrei dovrebbero avere uno stato. Israele è quello stato - come sancito dall'ONU. Usando la tecnica della Grande Bugia, gli arabi che rifiutarono di riconoscere lo stato ebraico accusarono gli ebrei di reato razziale per il peccato di desiderare una terra propria. L'ONU sostenne questo nuovo tipo di antisemitismo per i successivi quindici anni. Ancora una volta, come negli anni 30, si era formato un asse antidemocratico in opposizione al popolo ebraico, solo che questa volta il suo pulpito era la stessa ONU. Con l'approvazione della risoluzione sionismo - è - razzismo, i capi arabi dimostrarono che era possibile arruolare l'ONU per perseguire uno stato membro. Quando la risoluzione sionismo - è - razzismo fu sconfessata, grazie all'iniziativa degli Stati Uniti, non venne fatta alcuna scusa al popolo ebraico per la campagna di diffamazione. E né la segreteria, né la burocrazia delle Nazioni Unite fecero alcun tentativo per neutralizzare il veleno che era filtrato nell'arena internazionale. Ai governi arabi, invece, fu permesso l'uso della percezione che avessero incoraggiato l'illegittimità di Israele per dirottare una crescente porzione del tempo e delle risorse delle Nazioni Unite - circa il 30% degli incontri del Consiglio di Sicurezza - per un paese che contiene circa un millesimo della popolazione mondiale. Infatti, la campagna antiebraica delle Nazioni Unite raggiunse picchi straordinari alla Conferenza delle Nazioni Unite contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e l'Intolleranza che fu tenuta a Durban, in Sud Africa, poco prima dell'11 settembre 2001. Nelle parole di un osservatore "Una coalizione guidata da regimi che perseguitano le loro stesse popolazioni - e in alcuni casi ospitano terroristi internazionali - ha cercato con una dichiarazione formale di delegittimare lo stato ebraico, demonizzare il suo popolo e mobilitare un movimento globale contro la sua esistenza come nazione". Persino studenti di vecchia data dell'antisemitismo sono rimasti scioccati dal livello dell'invettiva antiebraica alla conferenza, che ovviamente aveva lo scopo di sviare le critiche verso molti dei regimi che avevano montato l'attacco. L'ossessione per Israele delle Nazioni Unite è ormai un luogo comune come la natura da lupo nel lupo della favola di Esopo. Il mese scorso in relazione alla quarantaseiesima sessione della Commissione sullo Stato delle Donne dell'ONU, nella quale gli Stati Uniti hanno cercato di promuovere una risoluzione sulla situazione delle donne e delle bambine in Afghanistan, Kate O'Beirne scrisse stancamente: "Infine c'era solo un appello. Quello annoso e persistente delle Nazioni Unite: la condanna di Israele."In un'altra recente sessione, la Commissione dei Diritti Umani ha approvato una risoluzione per il Congo (popolazione: 43 milioni), nessuna sul Burundi (6 milioni), Somalia (7 milioni), Angola (10 milioni), o Algeria (31 milioni), ma cinque risoluzioni sui "Territori Arabi Occupati" (popolazione: 3.5 milioni). La studiosa canadese di giurisprudenza Anne Bayefsky, che è specializzata in studi sui profughi, afferma che quest'operato delle Nazioni Unite "dovrebbe essere di imbarazzo per ogni membro democratico dell'ONU. La tragedia e il pericolo è che non lo è".i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d'Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso.

Dal «Corriere della Sera» "

Shalom!

Pieffebi
08-01-04, 16:43
da una rivista dell'ala progressista dell'ebraismo italiano

" Auto-referenze antisemite

di Gavriel Segre



Cos’è l’Antisemitismo ? Fornire una risposta generale a tale domanda è cosa assai sottile.

Poiché uno degli elementi costitutivi di tale complesso fenomeno è la negazione o minimizzazione del medesimo, non stupisce che un indubbio esempio di Antisemitismo sia fornito dalla voce "Antisemitismo", redatta da Sandro Ortona, contenuta nel primo volume della nuova enciclopedia Utet de "La Biblioteca di Repubblica".

La stessa esistenza del concetto in analisi (quale singola entità storica) viene negata dall’autore secondo il quale sarebbe più appropriato parlare di una molteplicità di antisemitismi, fenomeni fra loro sostanzialmente differenti, sì che a me viene da pensare che, secondo Sandro Ortona, meglio sarebbe stato privare l’Enciplopedia della voce in questione riservandole un’epurazione analoga ad altri scomodi "anti" quali, in primis, "anticomunismo".

La pericolosità insita in ogni negazione della intrinseca complessità della Storia(1) conduce anche chi scrive a rifuggire dall’idea di un immutabile Amalek quale categoria concettuale esplicativa applicata in contesti fra loro differenti.

Ma ciò è cosa assai diversa dal negare che, nelle loro differenti manifestazioni storiche, questi fenomeni mostrino elementi tali di correlazione da legittimare, o meglio da imporre, l’utilizzo di un termine atto a denotarli in modo unitario.

Un’analoga negazione della complessità storica, comunemente accompagnata da schematismi manichei nella stima dei valore etici in gioco, è, invero, alla base di una particolare fra tali manifestazioni fenomeniche: l’antisemitismo di sinistra, di cui la voce curata da Sandro Ortona diventa espressione organica (anche in senso gramsciano) nel momento in cui non ne fa alcun cenno.

Nessuna menzione è infatti effettuata dello strutturale antisemitismo contenuto nelle teorizzazioni dei più influenti pensatori socialisti, comunisti e anarchici, quali Proudhon, Fourier, Le Roux, Considerant, Toussenel, Marx, Bakunin, a partire dall’esplicita promozione dei pogrom effettuata da quest’ultimo.

Nessuna menzione è effettuata della trasversalità politica del fronte anti-dreyfusardo.

Nessuna menzione è effettuata delle resistenze interne che portarono all’ambiguità della "Dichiarazione di Bruxelles" da parte della Seconda Internazionale con cui, alla richiesta da parte del leader sindacale ebreo new-yorkese Abraham Cohen di approvare una dichiarazione di solidarietà per i lavoratori ebrei minacciati dall’Antisemitismo, si rispose con una mozione di compromesso che condannava "tanto le istituzioni filo-semite quanto quelle anti-semite".

Nessuna menzione è effettuata della guerra di Stalin contro gli ebrei, il cui specifico carattere anti-semita viene negato con l’argomentazione secondo cui il fatto che furono perseguitati anche i Calmucchi, i Tartari dell’Est ed i Tedeschi del Volga, testimonia la natura politica e non ideologica della persecuzione contro gli ebrei, verso i quali non vi sarebbe dunque stata discriminazione; secondo Sandro Ortona sarebbe stato discriminatorio salvarli?

Nessuna menzione è effettuata dell’invenzione del "Complotto dei Medici" e della natura esplicitamente anti-ebraica della purga staliniana che ne seguì.

Nessuna menzione è effettuata dell’antisionismo sovietico, del sistematico odio anti-ebraico veicolato dalla propaganda di Mosca e delle infinite avversità cui andarono incontro gli olim dall’URSS.

Nessuna menzione è effettuata del vergognoso comportamento tenuto da quasi tutta la Resistenza Polacca in occasione dei combattimenti nei ghetti.

Nessuna menzione è effettuata sulla coltre di silenzio che la propaganda sovietica impose sulla percentuale fornita dagli ebrei d’Europa ai campi di sterminio nazisti.

Nessuna menzione è effettuata sulla minimizzazione del ruolo storico delle Leggi Razziali fasciste compiuta anche da storici di matrice marxista.

Nessuna menzione è effettuata dell’infame lettera che Antonio Gramsci pubblicò sull’Avanti del 14 Marzo 1917 in cui si parla di "un paio di dozzine di semiti (…) che se l’Italia fosse ancora solo italica, cioè fosse ancora solo romana, sarebbero degli schiavi o dei tenitori di bordello nella Suburra".

Nessuna menzione è effettuata delle nuove forme di antisemitismo generatesi, a seguito del conflitto arabo-sionista, non solo nei Paesi Arabi, ma anche in Europa in forme tali e tante da non poter essere riassunte in breve.

Nessuna menzione è effettuata del fatto che la seconda edizione italiana del "Mein Kampf" di Adolf Hitler, la prima risalendo al ventennio fascista, è curata per la casa editrice Kaos (adducendo fra le motivazioni "il rifiuto etico intellettuale di ogni tabù"; anche quello di costruire camere a gas ? ) da quello stesso storico di area marxista che in altre sedi avanza l’ipotesi di un coinvolgimento del Mossad nell’attentato alle Twin Towers (Giorgio Galli su Linus n.1 - 442 - genanio 2002) o equipara lo stragismo dei kamikaze palestinesi all’attacco partigiano di via Rasella (Giorgio Galli su Linus n.7 - Luglio 2002 - 460) .

Di fronte alla gravità di tali rimozioni, di cui qui è stato fornito solamente un campione statisticamente significativo, non v’è migliore antidoto che fornire indicazioni bibliografiche in cui sovrabbondino non già "umanisti italiani del ’68", ma eminenti studiosi delle più prestigiose università d’oltre-oceano quali Bernard Lewis (Professore Emerito di Storia presso la Princeton University o Edmund Silberner, Professore di Economia alla Princeton University ed ora alla Hebrew University of Jerusalem):

– Leon Poliakov "Storia dell’antisemitismo. Vol.3: da Voltaire a Wagner", La nuova Italia, Firenze,1990

– Bernard Lewis "Semiti e Antisemiti": Le origini dell’odio arabo per gli ebrei", R.C.S. Libri, Milano, 2003

– Louis Rapoport "La guerra di Stalin contro gli ebrei. L’antisemitismo sovietico e le sue vittime", R.C.S. Libri, Milano, 2003

– Guido Fubini "L’antisemitismo dei poveri", La Giuntina, Firenze, 1984

– Edmund Silberner "Sozialisten und Judenfrage", Berlin, 1962

Può un ebreo come l’autore di questa voce immolare la verità storica dell’antisemitismo sull’altare del proprio schieramento nell’attuale dialettica politica italiana?

Gavriel Segre



(1) ove la nozione di complessità definita scientificamente in modo concettualmente preciso da Charles Bennett, differisce dalla caoticità, ovvero entropia di Kolmogorov-Sinai positiva, ovvero dalla casualità-algoritmica che ne consegue per via del Teorema di Brudno e dalla dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali secondo il Teorema di Pesin. "


Saluti liberali

Pieffebi
14-10-04, 14:43
up!

Pieffebi
26-01-08, 13:50
dal quotidiano LIBERO di oggi


Patto antisemita fra nazi, islamici e comunisti

di GUGLIELMO SASININI

Nell'ultimo anno sono vertiginosamente aumentati in tutto il vecchio Continente le aggressioni, gli attacchi antisemiti, oltre a diffondersi un rinnovato sentimento antiebraico. La fonte non è di parte, è nientemeno che l'Agenzia per i diritti fondamentali dell'Unione Europea, la quale, dopo aver attentamente "os servato" 9 Paesi comunitari, ha fornito dati incontrovertibili e ha stabilito che l'antisemitismo è in crescita in tutta Europa, tranne che in Gran Bretagna, dove la percentuale di chi si sente più vicino alla causa israeliana è aumentata dal 28 al 31% e in Belgio, dal 27 al 32%. Le aggressioni contro gli ebrei crescono in Danimarca, Olanda, Svezia, Repubblica Ceca, Austria, raggiungendo il picco di oltre 1.600 "episodi" in Germania. Secondo il Viminale i reati a sfondo antisemita commessi in Italia sarebbero 62. INTELLETTUALI Non potendo apertamente dichiararsi antiebrei e antisemiti i raffinati intellettuali europei, che esprimono il loro incondizionato appoggio alla "causa palestinese" e la loro indignazione contro la "lobby ebraica" si sfogano contro Israele, non riconoscendolo come il legittimo Stato degli ebrei, ma definendolo nella loro crassa ignoranza, un'entità artificiosa. Il nuovo vento antisemita ha origini antiche, a partire dalla riproposta del "deicidio", delle teorie di Hitler che ispirandosi alle menzogne dei "Protocolli di Sion" eliminò Dio come centro del mondo per sostituirlo con l'uomo perfetto, ariano. Tesi vecchie, superate? Niente affatto. L'antisemitismo è estremamente attuale. GUERRIERI I nuovi "guerrieri antisemiti" provengono non solo dalle fila delle organizzazioni neonaziste, ma anche da quei movimenti che si riconoscono nelle frange della sinistra più estrema. Il denominare comune sono gli stereotipi antisemiti abbinati con la "soluzione finale" del problema palestinese: la distruzione dell' "entità sionista", cioè lo Stato di Israele. Il che li rende preziosi alleati dei terroristi islamici. Ahmadinejad ringrazia sentitamente questi fans europei, offre contributi, organizza viaggi e corsi di "aggiornamento culturale" a Teheran, Beirut, Damasco. L'ultimo incontro si è svolto il 21-22 gennaio in una discreta località alla periferia della capitale siriana. In cattedra gli uomini del Dipartimento informazioni e propaganda di Teheran, i "professori" della Jihad islamica, di Hamas, di Hezbollah. Tra i componenti della delegazione europea: tedeschi, danesi, olandesi, svedesi, austriaci. La rappresentanza italiana era formata da appartenenti ai movimenti dell'estrema destra neonazista (personaggi convertitesi all'Islam, che dispongono di un secondo passaporto rilasciato da Paesi arabi amici dell'Iran) ma il nucleo più numeroso era quello degli appartenenti alle frange della sinistra estrema. Un'alleanza all'insegna dell' antiamericani smo, antisionismo, appoggio agli "eroici combattenti islamici", cioè i terroristi. «I grandi quotidiani arabi, egiziani, sauditi, palestinesi, siriani», dice Alessandro Ruben, presidente dell'Anti defamation league italiana; «pubblicano ogni giorno editoriali e caricature antisemite che incitano all'odio contro Israele. Ma anche i media europei a volte pubblicano vignette che demonizzano gli ebrei e Israele. Queste raffigurazioni possono diffondere e supportare il convincimento della legittimità degli attacchi antisemiti nonchè delle azioni violente contro gli ebrei e Israele. Anche durante il periodo nazista giravano vignette di questo genere».


Shalom