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Lupo Mannaro
11-02-03, 16:14
INTRODUZIONE



a) Il ruolo dei templi nella vita economica e sociale egiziana

E’ impossibile studiare la storia economica e sociale dell’Egitto in generale senza tenere nella debita considerazione l’autorità sacerdotale, in quanto la dialettica tra trono e altare è un elemento fondamentale per comprendere la situazione del mondo egiziano. Come afferma Rostovtzeff a proposito dell’Egitto pre-greco:

“La sua caratteristica più importante fu una concessione più o meno estesa da parte dello stato dei diritti di sovranità a varie corporazioni e persone influenti, soprattutto ai templi ed ai potenti funzionari di tipo feudale. Questa caratteristica dà alla struttura dell’Egitto pretolemaico un carattere feudale più o meno chiaramente definito: più marcato nei periodi in cui l’autorità centrale era debole, e meno netto durante il governo di monarchie e dinastie forti”.

Quando nel periodo ellenistico ebbe inizio il governo della dinastia dei Tolomei, le cose cambiarono radicalmente: la loro politica ebbe sin dall’inizio un carattere di decisiva centralizzazione, economica e politica, che ridimensionò fortemente il potere politico della classe sacerdotale.

Tuttavia, forte restava l’importanza dei templi, e il suo legame con il monarca. Da un punto di vista cultuale e sacrale infatti, la tradizione egiziana prevedeva la deificazione del sovrano, caratteristica della regalità che venne estesa in maniera naturale ai nuovi dominatori, che quindi presero ad essere considerati dalle popolazioni autoctone delle divinità. Inizialmente per i sudditi greci il sovrano era invece privo di caratteri divini. Successivamente, questa visione della regalità si estese senza troppe forzature anche ai conquistatori greci, come estensione alla vita del concetto della deificazione dell’eroe dopo la morte, tipico dell’immaginario greco. Durante il suo regno Filadelfo, nel 270 a.c., fu il primo sovrano della dinastia dei Tolomei a favorire il suo culto personale, e sappiamo con certezza che delle immagini del re e della sua sorella Arsinoe, compaiono nei templi egiziani.

Dal punto di vista economico l’importanza dei templi era ugualmente capitale. Essi infatti rappresentavano una delle più grandi forze economiche dell’Egitto ellenistico. Specie per dei sovrani di una dinastia straniera, era indispensabile mantenere buoni rapporti con la classe sacerdotale ed i templi, per avere il favore della popolazione locale; pertanto, notevoli concessioni di grandi estensioni di terreni coltivabili e notevoli privilegi erano accordati ai templi, che divenivano così, oltre che semplici istituzioni religiose, aziende economiche di grande portata. In cambio di questi privilegi i templi compivano il difficile ruolo di mediatore tra le masse contadine, spesso vessate dall’oppressiva autorità statale dei Tolomei, e lo stato. Come scrive ancora Rostovtzeff:

“(Nell’Egitto Ellenistico) l’insoddisfazione assunse una forma tipica tra i servi. Quando essi ritenevano le loro condizioni non più tollerabili, gruppi di uomini, agricoltori, artigiani, barcaioli o funzionari dicevano ‘Non ne possiamo più!’ e fuggivano nei templi a richiedere la protezione degli dei (…). Fin dall’inizio del III sec a.c. questi scioperi erano di frequente ricorrenza. Essi costituivano un terrore costante per i funzionari, poiché la forza era inutile nel fronteggiare una situazione psicologica nata dalla cieca disperazione (…) il paese occasionalmente si rivoltava, sotto i vessilli dei templi e degli antichi dei(…)”.

Fin troppo chiaro in questo quadro la complessa e delicata situazione sociale, e in essa il ruolo centrale dei templi, importantissimo elemento dialettico tra la popolazione autoctona oppressa dalla oppressiva centralizzazione dello stato ellenistico e la classe dominante. Inoltre, si tralascia qui di menzionare il fatto che il diritto di asilo dei fuggiaschi nei templi fosse strettamente regolamentato e controllato dallo stato stesso. E’ probabile, insomma, che i templi venissero in una certa misura impiegati dallo stato come strumento per placare gli istinti rivoltosi della popolazione, in cambio dei suddetti privilegi economici. Questo strumento al quale il Tolomei si affidarono molto, si rivelò però una lama a doppio taglio: da una parte i templi potevano effettivamente effettuare un lavoro di controllo nei confronti della popolazione, ma, proprio per questo, essi esigevano dallo stato sempre maggiori privilegi, tanto che subito prima della sconfitta dei Tolomei da parte di Augusto il potere dei sacerdoti era anche maggiore rispetto al IV sec a.c.

Ci proponiamo in questa sede di analizzare in particolare la struttura sociale ed economica del tempio di Soknebtunis, che dominava il villaggio di Tebtunis (La moderna Umm el Brighat), nella parte meridionale del Fayum, a partire dallo studio “A social and economic history of an egyptian temple in the greco-roman period” di J. Evans di analisi dei papiri ti Tebtunis, per cercare di meglio comprendere il funzionamento di un tempio-azienda di età ellenistica e comprendere i suoi rapporti con il potere politico. Ci limiteremo qui ad esaminare la situazione di Soknebtunis nel periodo tolemaico.



b) Cenni generali a proposito della burocrazia dei templi egiziani

In età tolemaica ogni tempio aveva un controllore, epistàtes, al di sopra del quale vi era l’epistàtes ton hieron, che supervisionava, sempre dal punto di vista fiscale, vari templi all’interno del nomo (Torneremo più in là su questa figura, che presenta per molti aspetti delle caratteristiche poco chiare). Le nascite e le morti dei sacerdoti venivano registrate dal komogrammateus del villaggio, che aveva anche il compito di controllare più da vicino gli uffici sacerdotali, e faceva capo allo strategos del nomo. Altra importante figura, che amministrava direttamente l’attività del tempio era l’idiologos, che dal 122 diventa il sommo sacerdote stesso.

Sappiamo inoltre che nel periodo tolemaico si radunavano periodicamente assemblee di sacerdoti nei centri più importanti, come Alessandria e Memphis. Non siamo sicuri fino in fondo in quali occasioni si riunissero questi sinodi. Sappiamo che il sinodo che approvò il decreto di Canopus nel 237 a.c. si riunì in occasione dell’anniversario della nascita del sovrano, e di nuovo, lo stesso mese, nell’anniversario dell’incoronazione. Anche il sinodo che redasse il decreto conservato nella celeberrima Stele di Rosetta si riunì nell’anniversario della nascita del Re (In questo caso Tolomeo V). Nella Stele di Rosetta vi è una clausola che parli di come il re liberò la classe sacerdotale dall’obbligo di queste riunioni annuali. Evans interpreta il dato in questo modo:

“The synods of priests are, I suggest, to be sharply divided from the early descent of the river. The priesthood was relieved of the latter duty in the 196 b.c., whereas the priestly synods continued to be held perhaps to the end of Ptolemaic regime. The purpose of the yearly descent of the river must remain somewhat mysterious; perhaps it was to celebrate the king’s birthday, or the anniversary of his coming to the throne. Moreover, this descent always went to Alexandria; the synods most frequently at Memphis.”

Wilcken ritiene che in realtà le ragioni sacrali legate al ritmo delle piene del fiume fossero solo un pretesto e che i sinodi fossero stati istituiti dal monarca per rafforzare la fedeltà della classe sacerdotale nei suoi confronti, ma in seguito con l’indebolimento del potere dei Tolomei si sarebbero trasformati in uno strumento della classe sacerdotale per estorcere privilegi al sovrano.

Abbiamo inoltre in alcuni papiri riferimento a dei hieroi nomoi e a un hieratikos nomos. Probabilmente, mentre i primi rappresentavano un insieme di leggi ed editti che regolavano i rapporti tra il tempio e lo stato, il secondo era il regolamento interno del tempio.


IL TEMPIO DI SOKNEBTUNIS



I – IL CULTO

Tramite fonti primarie e studi comparativi, è possibile ricostruire con notevole esattezza i momenti tipici della vita cultuale del tempio. In esso si adorava un’incarnazione del Dio coccodrillo Sobk (Soknebtunis significa appunto Sobk, Signore di Tebtunis), che veniva considerato protettore del Fayum. Plutarco afferma che le femmine di coccodrillo avevano l’abilità di prevedere dove sarebbero arrivate le piene del Nilo, cosa che permetteva loro di ovificare alla giusta distanza dall’acqua, vicino, ma senza rischiare che la piena portasse via le uova. Quindi, secondo Plutarco, questa caratteristica fece nascere negli egiziani la credenza che i coccodrilli e il loro dio Sobk avessero il dominio dell’acqua – e sarebbe superfluo ribadire l’importanza di questo elemento in una società come quella egiziana, la cui economia era totalmente incentrata sul Nilo.

Una caratteristica primaria del tempio era un recinto in cui si allevavano dei coccodrilli consacrati al Dio, nutriti con carne e miele. Plutarco afferma che durante le piene del Nilo, gli animali venivano portati via dal loro recinto dai sacerdoti e, se la piena durava troppo a lungo, l’animale veniva sacrificato come atto purificatorio. Abbiamo la certezza che nel tempio di Soknebtunis simili pratiche venissero praticate, data la presenza di una necropoli di mummie di coccodrillo nei pressi del tempio.

La liturgia giornaliera del culto di Sobk si articolava in cinque momenti. Innanzitutto il sacerdote si preparava nella Casa del Mattino. Il rito era basato sulla toletta giornaliera compiuta dal sovrano, e il sacerdote incaricato di compiere questo rito impersonava il monarca (Probabilmente era un compito che spettava al sommo sacerdote). In seguito il sacerdote entrava nel tempio e compiva alcune abluzioni purificatorie. Quindi entrava nel sancta sanctorum, dove era il naos e la statua del dio, lavava la statua, la vestiva e la incoronava. Il quarto momento liturgico era l’offerta in sacrificio al dio di un pasto rituale. Il rituale terminava quando il sacerdote che lo aveva compiuto lasciava la stanza del dio, camminando all’indietro, mentre degli assistente spazzavano ai suoi piedi per cancellare le sue impronte. Oltre ai sacerdoti vi erano anche le sacerdotesse, e come il sommo sacerdote interpretava il re nei riti e nelle feste, la sua controparte femminile impersonava la regina.

II – LA GERARCHIA NEL TEMPIO

Il sacerdozio era certamente di diversi gradi e tipi e vi era una gerarchia nel tempio che dipendeva dai grandi di importanza delle funzioni dei sacerdoti. Il cristiano Clemente di Alessandria (II sec. d.c.) descrive l’ordine dei sacerdoti pagani in processione: l’odos, l’oroskòpos, lo hierogrammateus, lo stolistes e il profeta. Andavano in processione cioè, nello stesso ordine gerarchico menzionato nella Stele di Rosetta.

Al vertice della gerarchia sacerdotale del tempio vi era ovviamente l’archiereus, il sommo sacerdote. Purtroppo non abbiamo documenti per delineare con esattezza i suoi compiti. Sembra che i responsabili dei templi più importanti indossassero un abito piuttosto vistoso, ornato di oro e porpora. E’ stato identificato da alcuni con l’epistates, ma non si hanno prove certe di questa identificazione. Ancora più oscura è la figura del lesionis, che sembra abbia avuto alcuni importanti compiti amministrativi che non riusciamo a definire meglio. E’ anche possibile che lesionis (termine di origine demotica) fosse un’altra parola per definire l’archiereus almeno originariamente, anche se sappiamo che in epoca romana il ruolo di lesionis era separato da ogni altro.

Vi erano i profétes, termine che in egiziano significa “ministri del dio”. Anche se il loro nome può trarre in inganno, il loro compito non era vaticinare oracoli e profetizzare, ma con un lessico più moderno potremmo dire che erano una sorta di teologi, massimi interpreti della scienza divina. Il prestigioso posto di profeta in un tempio veniva messo all’asta dallo strategos e venduto al miglior offerente. Il profeta aveva diritto ad un quinto delle entrate del tempio.

Un ruolo importante aveva anche lo stolistai, che era il sacerdote addetto alla liturgia giornaliera del dio. Dopo essersi purificato nell’acqua della piscina sacra entrava nel tempio accendendo un incensiere e, sempre recitando le formule prescritte, apriva la porta del santuario. Alla vista della statua del dio intonava alcuni canti rituali e quindi, tirava fuori dal naos la statua del dio. Quindi cominciava la toletta del dio: la statua veniva purificata con l’incenso e aspergendola con l’acqua santa, e del natron veniva messo sulla sua bocca, veniva vestita, profumata, truccata e cosparsa di profumi ed infine un pasto abbondante veniva messo ai suoi piedi. Lo stolistai aveva anche il compito di assicurarsi che gli animali da sacrificare fossero idonei ad essere offerti al dio.

Secondo la gerarchia di cui parla Clemente di Alessandria, dopo lo stolistai veniva lo hierogrammateus che nelle processioni camminava portando una piuma sulla testa e stringendo un libro tra le mani. Egli era lo scriba, incaricato delle iscrizioni geroglifiche, esperto di astronomia e di filosofia sacra. Aveva anche il compito di scegliere l’animale sacro dopo la morte del suo predecessore e stilava inoltre il bilancio finanziario.

Clemente nomina anche altri tipi di sacerdoti, ma che hanno poco riscontro altrove, e dei quali quindi possiamo dire poco o niente. Essi sono: lo pterotoros, gli horoskopoi. Sappiamo qualcosa di più a proposito degli odos o umnodos, il cui ruolo era intonare i canti liturgici con la giusta pronuncia e intonazione, essendo queste particolarmente importanti ai fini rituali.

Figura chiave nella vita del tempio erano i pastophoroi. Si pensa che il loro nome dipenda dal fatto che conducevano il pastos, l’imbarcazione sulla quale veniva trasportata l’immagine del dio. I pastophoroi erano laici, e in quanto tali potevano occuparsi di affari personali, cosa che non era permessa ai sacerdoti. Sono diversi i documenti che ci fanno pensare che i pastophoroi fossero una specie di guardia del tempio. Avevano probabilmente anche il compito di esattori per gli affittuari dei latifondi del tempio. Clemente afferma che i pastophoroi studiassero i libri di Ermete Trimegisto riguardanti la medicina e, nonostante il disaccordo di alcuni studiosi, è assai probabile che nel tempio si praticasse l’arte medica. Nelle processioni i pastophoroi avevano il compito di trasportare le reliquie del dio e il naos. Essi abitavano all’interno del tempio e probabilmente erano comandati da alcuni ufficiali, i presbuteroi pastophoroi.

Un problema a sé, che significativamente abbiamo lasciato per ultimo, è quello del ruolo dell’epistàtes. Secondo Otto epistàtes e archiereus erano la stessa persona. In effetti nel decreto di Canopous là dove nella versione greca è scritto “epistàtes kai archiereus” nella versione geroglifica vi è un’unica espressione, “il capo del tempio”. Ma Wilken riesce a dimostrare che non sempre queste due cariche erano concentrate in un’unica persona. Rostovtzeff suggerisce una soluzione, ossia che il compito dell’epistàtes fu una creazione dei tolomei, e che fosse un uomo nominato dalla corona per rappresentarla nel tempio e occuparsi della questione finanziaria. Secondo Evans l’epistàtes deve avere una qualche connessione con la tassa detta epistàtika. Probabilmente questa tassa veniva pagata per assicurare il salario dell’epistàtes, e, visto che questa tassa veniva versata alla tesoreria reale, probabilmente questa figura era un incaricato del re. Evans propone conclude prudentemente che

“We cannot prove that the epistatika was designed to provide a salary for the epistàtes, and we cannot define exactly what his duties were, although, in general terms, he must have been the administrative head of the temple, whereas the archiereus was the religious head”

Ciò ovviamente non esclude che, specie nei templi più piccoli, epistàtes e archiereus potessero essere la stessa persona.



I servi del dio: gli hierodouloi/b’k

Un paragrafo a parte abbiamo riservato per questa figura, certamente al di là del concetto di semplice “schiavo” e particolarmente affascinante a mio parere, al di là del fenomeno in se, in quanto forma di auto-sacrificio nei confronti della divinità.

Gli hierodouloi, gli “schiavi”, nel tempio si occupavano dei lavori di bassa manovalanza, anche se come rilevò Rostovtzeff probabilmente non si trattava di veri e propri schiavi, nel senso che i greci davano a questo parola. In realtà il concetto dietro gli “schiavi” che prestavano servizio nei templi egiziani in demotico si esprimeva con con b’k. Nonostante gli egittologi traducano questa parola come “schiavo” in realtà il b’k non era esattamente né un libero, né uno schiavo. Era una persona che stipulava un contratto di servizio con la divinità: egli in cambio della protezione spirituale e materiale del dio - de facto, insomma, del tempio - si impegnava a servirla. Insomma un do ut des: lo hierodoulos si impegnava a fare certi compiti, come prendersi cura dell’alimentazione degli animali sacri, pulire il tempio, lavorare come contadino o pescatore per il tempio, pagando una somma mensile, in cambio della protezione materiale che poteva offrirgli il tempio e il conforto spirituale del dio. Come si vede, erano ben lontani dagli schiavi/oggetto come siamo abituati a pensarli.

Al British Museum vengono conservati ben cinquanta di questi veri e propri contratti tra il fedele e il dio, di cui però solo quindici sono datati, e vanno dal 195 al 137 a.c. E’ singolare che tutti i papiri datati siano del secondo secolo, comunque non abbiamo ragioni di dubitare che gli hierodouloi continuarono ad esistere anche in tutto il periodo romano. E’ interessante leggere alcuni stralci di uno di questi contratti:

“(…) così disse la serva Tanebtynis, sorella di Sokmenis, figlia di Esoeris, dinanzi al mio signore Soknebtunis, il grande dio; io sono tua serva insieme ai miei figli e ai figli dei miei figli; mai sarò in grado di camminare libera nel tuo tempio, per sempre. (segue l’elenco delle cose da cui il dio deve proteggerla e il calcolo esatto della quota mensile che deve pagare, che qui non riportiamo per non appesantire la lettura) (Ti darò questo) per 99 anni uguali a 1204 mesi eguali ancora a 99 anni; e pagherò questa somma ai sacerdoti mensilmente, senza cambiare dall’argento di un mese a quello di un altro.”

Come si vede, la firmataria del contratto si lega in questo modo a Sokebtunis, con il pagamento di una tassa mensile. Il legame dura novantanove anni, espressione che ovviamente intende idealmente tutta la vita, ma la cosa più interessante è che lo stato di hierodoulos sembra essere ereditario, per almeno tre generazioni. Non tutti i contratti fanno riferimento al pagamento di una quota mensile, alcuni garantiscono al dio in cambio della sua protezione del lavoro gratuito. Infatti gli hierodouloi facevano praticamente di tutto all’interno della terra sacra del tempio: contadini, pescatori, allevatori, amministratori…

Pur non dubitando della pietas religiosa egiziana, potremmo chiederci se in realtà al di là della devozione vi fosse qualcos’altro che spingeva questi fedeli ad auto-dedicarsi al tempio. Qualche studioso ha ironizzato dicendo che tra i demoni e le entità da cui il dio doveva proteggere gli hierodouloi, il primo posto sarebbe spettato agli esattori delle tasse. Insomma appare ancor più evidente quanto essi somigliassero più a degli affittuari che invece di pagare le pesanti tasse regie, sceglievano di pagare una certa somma mensilmente al tempio, che evidentemente era più bassa.



III – LE INDUSTRIE COLLEGATE AL TEMPIO

Erano collegate al tempio di Soknebtunis varie attività di tipo economico e in particolare venivano prodotti tutti i beni necessari per l’auto-mantenimento del tempio e della comunità ad esso collegata. Queste attività erano ovviamente sottoposte a tassazione, e inoltre a causa delle leggi tolemaiche sul monopolio statale di quasi tutti i principali prodotti commerciali (oli vegetali, papiri, tessuti), non era possibile piazzare la produzione in soprannumero sul mercato. Pertanto queste attività dal punto di vista finanziario influivano negativamente sul bilancio del tempio.

Il monopolio tolemaico sui papiri non riguardava la produzione, ma la vendita: i privati potevano produrre papiri, ma dovevano necessariamente venderli a un prezzo fisso allo stato, che si sarebbe poi preoccupato di immetterli sul mercato. Uno dei papiri di Tebtunis, del 173 d.c., parla del pagamento per l’acquisto di 20.000 papiri ricevuto da un sacerdote, quindi è assai probabile che, almeno nel periodo romano, il tempio di Soknebtunis producesse papiri. Al contrario, non abbiamo alcuna evidenza per quanto riguarda il periodo tolemaico.

La produzione di olio dei templi era regolamentata dalle Leggi Finanziarie. Il tempio aveva diritto a produrre in due mesi l’olio di semi che avrebbe ricoperto il fabbisogno di un anno. Le fabbriche di olio e la quantità della produzione doveva essere dichiarata agli esattori, e l’olio non poteva essere venduto al di fuori del tempio, altrimenti si incorrevano a pensanti multe.

Per quanto riguarda l’industria tessile, purtroppo la parte delle Leggi Finanziarie che la regolamenta è andata perduta. Sembra comunque che anche essa in periodo tolemaico fosse monopolio di stato (Uno dei papiri di Tebtunis parla di confisca dei fiori di lino trovati nelle case), ma i templi avevano il monopolio della produzione di un tipo di lino particolarmente raffinato, il byssos, con il quale venivano tessuti le vesti rituali. In cambio di questo monopolio i templi inviavano al re una parte del tessuto prodotto.

Sappiamo che a Tebtunis vi era anche un forno di proprietà del tempio, anche se probabilmente veniva usato solo per i bisogni interni. Infatti è abbastanza improbabile che in un paese povero di combustibile come l’Egitto il tempio aprisse un forno pubblico e a pagamento.

Nel periodo tolemaico la produzione domestica di birra era talmente comune che il governo istituì una tassa sulla birra che dovevano pagare tutte le famiglie, a seconda del numero dei membri. Quindi sicuramente anche nel tempio di Soknebtunis veniva prodotta birra. E’ probabile anche che vi fossero delle vigne, e che il tempio producesse vino (Il vino veniva usato per usi rituali), anche se non possiamo pronunciarci con certezza al merito.

Vi erano inoltre delle mandrie sacre di ovini che appartenevano al tempio, come sappiamo dai papiri di Tebtunis, uno dei quali parla di un furto di quaranta pecore ai danni di un tempio del nomo di Kerkeosiris. Visto che Soknebtunis era, insieme a quello di Arsinoe, il tempio principale del nomo, è assai probabile che a Tebtunis fossero allevati ovini. E’ problematico come mai non vi fossero mandrie di bovini, visto che la vacca rappresentava un animale sacrificale più gradito dagli dei, rispetto agli ovini, anche se è probabile che, di nuovo, il possesso di bovini non fosse consentito a causa del monopolio statale. E’ possibile che lo stato permettesse al tempio di sfruttare l’allevamento ovino dal punto di vista commerciale.



IV – LE TASSE A BENEFICIO DEL TEMPIO

Esamineremo qui di seguito le varie imposte di cui, almeno in alcuni periodi storici, il clero di Soknebtunis ha potuto beneficare e che costituivano insieme alle industrie e alla terra sacra (che vedremo in seguito) i principali introiti del tempio. A queste vanno aggiunti i finanziamenti che il tempio riceveva dal re: la syntaxis, il vero e proprio contributo del re nei confronti del tempio, alla quale si aggiungeva, per i templi in cui venivano adorati i re deificati, uno speciale contributo.

Una delle imposte di cui avevano diritto il templi, sin dai tempi dei faraoni, era l’epomoria, che si applicava per i giardini e le vigne. Consisteva nel dare al tempio un sesto del prodotto annuale nel caso delle proprietà più grandi, un decimo nelle proprietà più piccole. Se si pensa alla fioritura della coltivazioni delle vigne e dei giardini che avvenne in età ellenistica, e il conseguente aumento di importanza di questa tassa, non stupisce vedere come già nel 264 a.c. Tolomeo II trasferì questa tassa al culto di Arsineo e Filadelfo. De iure quindi, la tassa era ancora una tassa “sacra” ma de facto era in realtà la corona a godere dei suoi benefici. Tolomeo II garantì ai templi, per compensarli della perdita dell’apomoria un discreto innalzamento della syntaxis. Tuttavia, uno dei papiri di Tebtunis, datato 118 a.c., ci da un’informazione interessante a proposito di questa tassa:

“…(E i templi) dovranno ricevere anche le porzioni che erano soliti ricevere dalle vigne, dai giardini e da altre terre.”

Questo sembra implicare quindi, che nel 118 a.c. l’apomoria era di nuovo tra le tasse che il tempio aveva diritto di incamerare.

Vi erano poi moltissime tasse minori. Ad esempio, nel periodo tolemaico il tempio di Soknebtunis poteva godere di una tassa di un terzo sui guadagni dei circa mille piccionai presenti nella sua area, e sembra godesse di una tassa del 10% all’acquisto di beni immobili.



V – LE TASSE PAGATE DAL TEMPIO

Escludendo uscite minori, come quelle personali dei sacerdoti, o i costi del materiale liturgico necessario al tempio, la maggior parte delle spese del tempio era costituita dalle tasse. C’è da dire che a seconda dei periodi e a seconda dei templi la pressione fiscale era diversa. In alcuni casi per esempio sembra che i templi fossero esentati dal pagare certe tasse, che andavano invece a gravare sulla popolazione e, contemporaneamente, gli stessi templi dovevano pagare delle tasse speciali. Questo sembra suggerirci la plausibilissima ipotesi che la politica fiscale tolemaica nei confronti dei templi mirasse in un certo senso ad inasprire i rapporti tra la popolazione e la classe sacerdotale, sicuramente per le ragioni di cui già abbiamo parlato nell’introduzione. Facciamo ora un breve accenno alle principali tasse alle quali erano sottoposti i templi in età tolemaica.

Innanzitutto la dekàte mòschon, la tassa sui sacrifici. Questa tassa è attestata su alcuni papiri del 250 a.c. e sembra che riguardasse i sacerdoti, che dovevano pagare al fisco un decimo dei profitti ricavati dai sacrifici. Inoltre, l’importo di questa tassa variava sensibilmente di mese in mese, e questo in effetti costituisce un problema. Possibile che in alcuni mesi non veniva fatto alcun sacrificio, mentre in altri mesi ne venivano fatti moltissimi? Evans a partire da questa considerazione ipotizza che in realtà questa tassa avesse caratteristiche diverse da quelle di una tassa sui sacrifici, ma in realtà questa interpretazione è accettata dalla maggioranza degli studiosi.

Vi era anche la artabieia, di cui si parla anche nella Stele di Rosetta, nei termini di una tassa sulla ghe hierà (si veda sotto, paragrafo V “la terra sacra”) di una artaba per ogni aroura di terreno, come il nome stesso suggerisce. Vi è un aspetto problematico a proposito di questa tassa: nonostante come abbiamo visto il decreto di Tolomeo V parlasse di una artaba, sappiamo da diversi documenti che in realtà i templi pagavano una artaba e mezzo. Visto che questo innalzamento a Tebtunis viene registrato nel periodo in cui la ghe anieroméne di Soknebtunis viene registrata dal komogrammateus di Kerkeosiris come ghe hierà in maniera impropria, suggerisco che probabilmente la burocrazia in quel momento avesse ricevuto ordini dall’alto per cercare di innalzare il più possibile le tasse. La possibilità che il komogrammateus locale avesse rischiato di sua iniziativa un simile sopruso nei confronti di un tempio appare poco verosimile a mio parere, nonostante si sa fin troppo bene come la burocrazia locale dell’epoca non fosse propriamente un esempio di onestà, almeno in generale.

La telestikon ci è nota solo tramite due documenti di periodo tolemaico. Pare che questa tassa fosse pagata dal sacerdote al momento della sua iniziazione ad un grado gerarchico superiore. Sembra da alcune allusioni nella Stele di Rosetta che Tolomeo Epifano abbia cercato di alzare questa tassa durante il suo regno, ma la dura opposizione della classe sacerdotale che in quel momento sobillò delle rivolte contro il sovrano lo costrinse a rinunciare al suo proposito.



VI – LA TERRA SACRA

Ghe anieroméne è un termine che appare per la prima volta nei papiri di Tebtunis verso la fine del secondo secolo a.c., ed intende per estensione, la terra che veniva donata al tempio con offerte di pietà religiosa. Questo papiro è stato redatto dal komogrammateus di Kerkeosiris dell’epoca e parla di una donazione di centotrenta autorai a Soknebtunis, fatta da un certo comandante di soldati Chomenis. Quale la ragione di un simile gesto di pietà? Considerato il fatto che centotrenta aurorai di terra rappresentano un’estensione di terreno non indifferente, ci sembra legittimo esprimere un dubbio se questa donazione fosse dettata o meno da un semplice sentimento religioso. Gli studiosi che hanno pubblicato i papiri di Tebtunis ipotizzano che fosse la corona a fare pressione per queste “donazioni” ma non si vede quali vantaggi effettivi potesse ricavare il re da esse, visto che la terra donata, di fatto, diventava una specie di “feudo” (Usando questa espressione tra le dovute virgolette) del tempio, su cui lo stato aveva pochissimo controllo. Quindi, scartata questa ipotesi, la cosa più plausibile sembra essere che probabilmente il tempio garantiva certi privilegi, che purtroppo non possiamo delineare con maggiore precisione, ai donatori di terra o forse le condizioni di pesante controllo statalista dell’economia tolemaica erano talmente opprimenti che per i piccoli proprietari “regalare” il loro terreno al tempio, e restarvi a lavorare come hierodouloi/b’k “servi del dio” in una condizione di fatto simile a quella di affittuari ereditari (Come abbiamo visto lo stato di hierodoulos si ereditava per tre generazioni).

Nel 118 a.c. la ghe anieroméne viene trasformata in ghe hierà da un decreto regio. Dal punto di vista sia giuridico che pratico vi sono delle grandissime differenze tra questi due tipi di terra sacra. Ghe hierà potremmo dire che corrisponde alla versione ellenistica della terra prestata ai templi dal faraone: era insomma per il tempio soltanto una semiproprietà; non poteva essere liberamente venduta ed era sottoposta a tassazione, in quanto il sovrano come divinità, godeva dello stesso diritto della divinità del tempio all’usufrutto del terreno. Ghe anieroméne invece, come abbiamo visto poc’anzi, somigliava di più ad una vera e propria proprietà privata del tempio, e pare inoltre che fosse favoreggiata da notevoli sgravi fiscali. Una curiosità: pare che il komogrammateus di Kerkeosiris per ben due volte prima del decreto regio parla della terra di Soknebtunis come ghe hierà. Questa perseveranza nell’errore ci fa sospettare che in realtà il nostro komogrammateus avesse ricevuto ordini per cercare di alzare le tasse.



VII – LA PROSPETTIVA STORICA

Possiamo quindi tracciare la storia del tempio di Soknebtunis per il periodo che ci siamo proposti di studiare. Il tempio di Soknebtunis –insieme a quello di Souchos a Croccodillopoli il più importante templio nella parte meridionale del Fayum – fu costruito ai tempi di Tolomeo I. Sappiamo che nei pressi di Tebtunis possedeva diverse terre ma sulla loro estensione non possiamo pronunciarci. Sappiamo che il suo territorio era esteso con donazioni dei fedeli, e che alla fine del II sec. a.c. furono donati 130 aurorai al tempio. Possiamo solo ipotizzare l’estensione totale dei terreni del tempio, ma molto probabilmente si aggiravano sui mille aurorai, una quantità decisamente grande per un paese come l’Egitto. E fu appunto in questo periodo, con il progressivo indebolimento della monarchia dei tolomei, che il tempio raggiunse il suo periodo di massimo splendore. Insieme alle donazioni di terra, vediamo che una notevole quantità di liberi sceglievano di diventare hierodouloi del tempio. Ciò era probabilmente dovuto al fatto che, con le vessazioni fiscali dei tolomei, i contadini preferivano chiedere rifugio e accoglienza al tempio. Probabilmente quindi, Soknebtunis aveva anche l’influenza politica (O forse le concessioni da parte del monarca) necessaria per proteggere i fuggiaschi. A questo va aggiunta l’informazione che il culto degli dei animali, che grande fortuna avevano conosciuto prima dell’invasione alessandrina, nel periodo tolemaico probabilmente continuò a crescere come fenomeno religioso.

Lupo Mannaro
11-02-03, 18:04
Il tempio di Soknebtunis come appare oggigiorno:

http://ist-socrates.berkeley.edu/~tebtunis/ancientlives/fig82.jpg


http://ist-socrates.berkeley.edu/~tebtunis/ancientlives/Fig81.jpg