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Claudio Ughetto
21-02-03, 07:46
Il sacro nella post-modernità.



Recuperare il senso del sacro nella post-modernità comporta abbandonare alcune suggestioni tradizionaliste che Alain De Benoist include nella lista dei “miti incapacitanti” cari ad una certa destra. Ne Le idee a posto egli scrive: “Il sacro è per me indissociabile da un luogo. Non mi ricollego ad alcuna religione e non sento il bisogno di ricollegarmi ad alcuna. Dal momento che ho uno spirito teologico, l’interesse che provo per i sistemi di credenza è di ordine puramente intellettuale, cioè legato al desiderio di conoscere. Ho più stima per i credenti che per i non credenti, ma ciò che essi credono raramente mi sembra degno di fede.” (1)

Nella nostra epoca riflettere sul sacro può diventare utile per chi cerca di opporsi al cosiddetto “pensiero unico” e per riconoscere il valore di molteplici culture e ipotizzare una società ecologica. Mircea Eliade definiva sacro ciò che sta tra il cielo (ed è quindi trascendente) e la terra (abitata appunto dall’uomo a contatto con tutti gli esseri viventi). Volendo citare una fonte diversa, Gregory Bateson scrive in Mente e natura: “Stiamo cominciando a giocherellare con le idee dell’ecologia, e benché subito le degradiamo a commercio o a politica, c’è se non altro ancora un impulso nel cuore degli uomini a unificare e quindi a santificare tutto il mondo naturale di cui noi siamo parte” (2). Egli usa qui il termine “santificare”, eppure chiarisce subito che per uscire da un mondo da lui chiamato “fiscalista”, reso obsolescente da una logica di progresso esponenziale che ha in sé metafore obsolescenti come “potenza”, “tensione”, “energia”, “forze sociali” ecc, è necessario opporre una “logica del vivente” che va di pari passo con una ridefinizione del sacro. Non possiamo non essere religiosi, ma è necessario esserlo diversamente da un tempo. Recuperare il rapporto con gli archetipi e con i simboli che sono presenti in ogni cultura e che si accomunano nell’”inconscio collettivo”. È indubitabile che l’evoluzione dell’uomo occidentale, cartesiano e quindi dualista, ha sacrificato tutto un sistema di miti e simboli in favore del progresso razionalista. Ciò ha migliorato la vita materiale, tuttavia ha sconsiderato quel complesso “sistema simbolico” che ha abitato per migliaia di anni la testa degli uomini. Lo abitavano quelli che Jung chiamava “archetipi”, comuni a tutti gli uomini ma espressi diversamente da ogni cultura.

Ne La vana fuga dagli dei (3), parafrasando Jung, James Hillman scrive che “gli dei sono diventati malattie”. Allontanandosi dagli uomini, queste entità non hanno smesso di parlarci, ma ci manifestano attraverso la schizofrenia e i disturbi caratteriali, oppure rituali inconcepibili, di ferocia gruppale o di narcisistico solipsismo, che prendono l’aspetto di coazioni a ripetere (4). Se il cristianesimo ha trasformato le entità pagane in demoni, la modernità ha annullato persino le ultime simbologie contenute nel messaggio cristiano. Ragionando per archetipi, non è così importante vedere nella morte e crocifissione di Cristo un messaggio di salvezza universale, bensì convincersi che quell’immagine di dolore, morte e rinascita s’inscrive nella morte e nella rinascita (archetipica) di molti dei, e quindi come simbolo di rinnovamento per ogni singolo uomo. Secondo René Girard, “la tendenza a cancellare il sacro, a eliminarlo interamente, prepara il ritorno surrettizio del sacro, in forma non più trascendente bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza” (5).

Nei nostri comportamenti e nella nostra società, addirittura nell’impersonale sistema legislativo, continuiamo ad essere influenzati da una cultura sacrale. L’articolo 29 della Costituzione riporta che La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Per l’antropologia, nell’uomo non c’è niente di “naturale” - se non il suo essere biologico: mangiare, dormire, riprodursi sono atti naturali nella loro elementarità, tuttavia l’uomo ha staccato anche questi atti dalla natura. Levi-Strauss parla dell’uomo come “un essere tra natura e cultura”, ed è stato proprio lui a rilevare come l’uomo, cocendo la carne per mangiarla, sia passato dal “crudo al cotto”, determinando il suo distacco dall’animale (esistono scimmie che usano attrezzi per mangiare, ma non c’è paragone). La famiglia non esiste in natura, esiste la riproduzione - anche gli animali monogami non costituiscono famiglie come quelle umane. I legislatori, inoltre, influenzati dalla cultura cattolica, hanno preso a modello un tipo di famiglia, ritenendo “naturale” ciò che il cattolicesimo ha stabilito fosse così; mentre in altre società esistono (o sono esistiti) altri tipi di matrimonio e altri sistemi parentali.

Questo non per screditare la famiglia, anzi. È bene sottolineare come sia attitudine prettamente umana stabilire nuove forme e nuove regole, rivestire di simboli ciò che è appartenuto alla natura per nobilitarlo. Tornando a De Benoist: “il mondo è caos, ma gli si può dare una forma. Ciò che facciamo, non ha altro “senso” all’infuori di quello che noi gli conferiamo” (6). Per l’antropologia sono essenziali termini come “funzione” (che, secondo Radcliffe – Brown, è un insieme di vari aspetti del comportamento sociale che servono a conservare la struttura sociale) e “struttura” (che Lévi-Strauss ha spiegato come “soggiacente alla mente umana” ed è più o meno il sistema mentale con cui ogni popolazione umana intende la società – con le sue regole, divieti, configurazioni cosmogoniche, ritualità…).

Probabilmente le società arcaiche non erano migliori della nostra. L’uomo contemporaneo ha sicuramente migliorato molti aspetti della vita, tuttavia non è riuscito ad elaborare quel patrimonio che determinava il senso dell’esistenza, trovandosi sospeso tra la constatazione della mancanza di senso e la ricerca del senso assoluto (la Verità). L’immaginario simbolico, patrimonio fondamentale, ha permesso invece di far sì che la vita avesse un senso – attraverso regole, riti, modelli, iniziazioni. Il coacervo di immagini e pulsioni che sconvolge l’adolescenza, portando persino ad uccidersi o ad uccidere, poteva essere gestito attraverso i riti iniziatici e acquisiva un nome. Rispetto ad adesso, almeno potenzialmente, il giovane guerriero imparava a gestire la propria furia distruttrice. Non ad odiare la guerra facendole guerra, bensì a capire che anche la guerra ha le sue regole, perché c’è un ordine di cose da rispettare. Il giovane Kwakiutl del Canada occidentale scendeva nelle profondità della propria anima per conoscere lo Spirito Cannibale, poi veniva reintegrato nella società attraverso l’iniziazione. Non era più lo stesso giovane. Conscio d’avere una forza distruttrice dentro di sé, ma ormai in grado di gestirla (7).

Il sacro permetteva degli approcci differenti all’economia. Sempre i Kwakiutl usavano dilapidare le loro sostanze in feste magniloquenti: un aristocratico invitava un altro aristocratico e lo colmava di doni, il resto lo bruciava pubblicamente; alla festa successiva, il beneficiato doveva restituirgli altrettanto o di più. Questa sfida megalomane (secondo l’antropologa Margaret Mead) aveva lo scopo di contenere delle rivalità famigliari che altrimenti sarebbero degenerate in massacro fisico.

Joseph Campbell, di fronte alla domanda se è importante trovare il senso della vita, rispondeva di no . Il senso della vita è impossibile da trovare (8), ma questo non significa che si debba scegliere per il nichilismo. Proprio in quanto essere “culturale”, l’uomo può comportarsi come se la vita avesse senso. Altrimenti viene travolto dal caos, cui si deve invece dare una “forma”.





Claudio Ughetto









Note:

1) Alain De Benoist, Le idee a posto, Akropolis, Napoli 1983.

2) Gregory Bateson, Mente e natura, Adelphi, , Milano 1993.

3) La vana fuga dagli dei, James Hillman, Adelphi, Milano 1991.

4) Si rimanda qui all’interessante testo Aborto, perdita e rinnovamento della psicologa junghiana Eva Pattis (Red 1995) che interpreta la scelta dell’interruzione di gravidanza come un “sacrificio” in funzione di una ridefinizione del ruolo femminile nella contemporaneità. Un’iniziazione surrettizia per cercare di compensare quella responsabilità dell’uccidere che la donna, strumento di vita, non doveva affrontare che gravava sul maschio nel momento in cui ascendeva ad un ruolo sociale.

5) La citazione è tratta da Il segno di caino e il solco di Romolo. La violenza: fondatrice di civiltà o “trasgressione necessaria”?, di Franco Cardini (ora in Scheletri nell’armadio, Akropolis 1995).

6) Alain De Benoist, cit.

7) Enrico Comba, Cannibali e uomini lupo: metamorfosi rituali dall’America indigena all’Europa antica, Il segnalibro, Torino 1992.

8) Joseph Campbell, Il potere del mito, TEA, Milano 1998.

(Tratto da NuovaLinea: www.nuovalinea.org)

Mjollnir
22-02-03, 00:31
Grazie Claudio.
Sarà un ottimo spunto di discussione ....;)
Ciao

Senatore
22-02-03, 05:36
Grazie anche da parte mia per l'articolo.
Io però, pur volendo mettere da parte tutte le questioni metafisiche, sono poco propenso a considerare il Sacro come un "valore"culturale, e una cura contro i mali dell'economicismo e della modernità "terrestrizzata".
Lo stesso Eliade, se non mi inganno, vedeva nella vita sacralizzata delle civiltà arcaiche, una concezione di fondo metafisica; per cui al "recupero" del sacro dovrebbe tenere dietro un nuovo fulgore dell'ontologia (chè di essa si tratta essenzialmente nell'Eliade).
Invece un recupero psicologizzato ovvero culturale del secro, che è che viene qui proposto, sarebbe più da vedere come uno svuotamento che non come un adattamento ai nostri tempi, sordi alle verità ultime.
Insomma il sacro, umanizzato, per me diventa un orpello superfluo, e in certi casi financo equivoco.
Saluti

Mjollnir
22-02-03, 16:15
Per parte mia condivido le perplessità e le critiche che si possono muovere al cosiddetto tradizionalismo, ma non già perchè esso sia un "mito incapacitante" (espressione e relativo concetto, questi, che ormai stanno diventando utili espedienti retorici per evitare analisi + approfondite, un pò come il pregiudizio dei "pregiudizi"), quanto perchè questo tradizionalismo appare un mito falso, quindi in realtà, non sia tale. Naturalmente per chi pensa che il mito abbia una portata ontologica, veritativa, e non solo una produzione artistico-letteraria.

Da questo scritto sembra trasparire una certa forma di antropocentrismo, non in senso ecologico ma per quanto riguarda i fatti spirituali; io non porrei così in alto la soglia entro la quale l'uomo diventa creatore e forgiatore di senso e di verità, arbitro del sacro. Quello che all'uomo spetta è di reinventare costantemente le forme e le modalità attraverso le quali il divino si esprime e noi possiamo porci in contatto con esso; ma non è proprio dell'uomo disporre del sacro a suo piacimento, men che meno fondarne l'esistenza. E' molto differente dire che gli Dèi rimangono inconoscibili finchè l'uomo non li invoca, che egli può scegliere se porsi in comunanza con loro od ignorarli, ed invece farne la condizione della loro esistenza. Porre l'uomo al posto di Dio, divinizzarlo, non è paganesimo; è piuttosto una reazione uguale e contraria all'abisso ontologico introdotto dal creazionismo. Penso ad es ad un certo clima rinascimentale.

Che il mondo sia caos è un'idea che penso nessun pagano possa sottoscrivere a cuor leggero, specialmente nel contesto solare-europeo, dove, pur con tutte le particolarità del caso, vediamo un principio d'ordine ed armonia appunto trionfare sul caos e signoreggiare su di esso.