PDA

Visualizza Versione Completa : La vivisezione non serve.



quichotte
21-03-03, 10:03
articolo del dott. Stefano Cagno tratto da "Impronte" nr.82 febbraio 2002 della LAV
tratto dal sito NoVivisezione: www.novivisezione.org

Il bravo consumatore quando fa la spesa, controlla attentamente le etichette sulle quali sono indicati i componenti e le caratteristiche del prodotto che sta per acquistare. Il bravo medico dovrebbe fare altrettanto con i farmaci che prescrive.

Qualche giorno fa è arrivato nel mio studio l'informatore scientifico di una nota industria farmaceutica per presentarmi un nuovo antiepilettico (oxcarbamazepina), recentemente commercializzato. Come sempre succede, alla fine, mi ha lasciato la cosiddetta scheda tecnica, ossia la documentazione dettagliata di tutte le caratteristiche del farmaco. Appena ho avuto un momento di tempo libero mi sono messo a leggere la scheda tecnica e ho trovato diverse affermazione tanto interessanti quanto sconcertanti.

Inizialmente sono andato a vedere i dati riguardanti la tossicologia e come al solito ho trovato i risultati ottenuti con l'LD50. E' utile ricordare che questo test risale al 1927 e consiste nel somministrare ad alcuni animali una certa dose della sostanza in fase di sperimentazione, fino a trovare la dose in grado di uccidere il 50% degli animali trattati. I risultati riguardanti questa nuova molecola sono i soliti: "La tossicologia acuta dell'oxcarbamazepina e dell'MHD [1] nell'animale da laboratorio è stata dimostrata essere bassa. Dopo una singola dose orale dei due componenti, la LD50 variava tra 1240 mg/kg e più di 6000 mg/kg in funzione della specie studiata: topo, ratto, hamster cinese". Vale sempre la pena di osservare che tra il valore più basso e quello più alto vi è una differenza di sei volte e che le specie impiegate sono tutte e tre roditori e quindi, teoricamente, dovrebbero comportarsi in maniera abbastanza simile. Tutto ciò dimostra che non sono paragonabili, da un punto di vista biologico, nemmeno specie tra loro affini. Proseguendo nella lettura della scheda tecnica si legge: "Non sono stati inoltre ritrovati effetti teratogeni nel topo e nel coniglio. In uno dei due studi condotti nel ratto, oxcarbamazepina, a dosaggi giornalieri pari a 300 mg/kg e 1000 mg/kg, ha causato effetti teratogeni correlati alla dose". Anche in questo caso si conferma la teoria, ormai ampiamente dimostrata, che cambiando la specie animale cambiano anche i risultati. Così oxcarbamazepina risulta teratogena in una specie, ratto, ma non nelle altre due, coniglio e topo. Importante sottolineare un altro aspetto: solo in una ricerca su due nei ratti il farmaco si è dimostrato teratogeno. Ciò dimostra che non solo cambiando la specie, variano i risultati, ma basta semplicemente cambiare il ceppo per ottenere effetti significativamente diversi. Le affermazioni più interessanti però devono ancora venire. Nel paragrafo riguardante la gravidanza e l'allattamento si legge:

"Uno studio tossicologico condotto nel topo da Bennet e al. (1996) ha messo in evidenza che la somministrazione per via orale di oxcarbamazepina alla dose di 1100 mg/kg (dose massima tollerata) dal 6° al 18° giorno di gestazione ha indotto un'incidenza di malformazioni dell'8% contro il 5% osservato nel gruppo dei controlli. Tale differenza non ha raggiunto la significatività statistica, (p > 0.05) ma, pur tenendo conto delle differenze nel trasporli alla gravidanza umana, questi dati suggeriscono di utilizzare il farmaco in gravidanza soltanto se strettamente necessario". Successivamente compaiono le solite due affermazioni, ormai comuni a tutte le schede tecniche dei nuovi farmaci: "Non vi sono dati per stabilire la sicurezza di Tolep(2) nella gravidanza umana ? Analogamente, non ci sono dati per stabilire la sicurezza di Tolep durante l'allattamento. Non si può escludere la possibilità di effetti collaterali nel bambino". Ma allora cosa hanno sperimentato sugli animali, se poi ammettono per iscritto che i dati che hanno ottenuto non sono trasportabili al genere umano? In questo caso la storia ci viene in aiuto. Tutte le volte che una industria è stata portata in tribunale per risarcire i danni provocati da un suo farmaco, i dirigenti si sono sempre difesi affermando che sugli animali quegli effetti collaterali non si erano verificati, ma, si sa che gli esseri umani non si comportano come gli animali. Ecco quindi che nel caso dell'oxcarbamazepina l'industria farmaceutica mette già le mani avanti e scarica subito ogni responsabilità se si dovessero verificare effetti collaterali non attesi con la sperimentazione animale. Inoltre affermare che non esistono dati sulla sicurezza nella gravidanza equivale ad affermare che le ricerche sugli animali non servono a nulla, come dicono sempre gli antivivisezionisti.

Da osservare infine il tentativo dialettico di giustificare l'aumento delle malformazioni congenite nei topi, affermando che non è statisticamente significativo, essendo passato dal 5% al 8%. Se questo dato, per caso, dovesse essere confermato anche negli esseri umani, cosa potremmo dire a quel 3 % di madri che avranno un figlio malformato a causa del farmaco che hanno assunto: "Signora, ci spiace, ma è caduta proprio in quel 3% non significativo di malformazioni?"

Il massimo dell'ipocrisia si raggiunge però quando vengono presentati i dati preliminari di sicurezza. "Sia i ratti che i topi mostrano un lieve aumento dell'incidenza di tumori epatici dose-dipendenti dopo 2 anni di trattamento con oxcarbamazepina ? D'altro canto, l'aumento dei tumori epatici visti con oxcarbamazepina sembrerebbe essere speciespecifico nel roditore e non collegato all'uomo. Inoltre, il metabolismo dell'oxcarbamazepina è molto diverso negli animali da esperimento rispetto all'uomo, in quanto la riduzione al metabolita MHD rappresenta solo una minore via di metabolizzazione".

Prima osservazione. Cosa vuol dire "sembrerebbe essere specie-specifico"? Perché l'uso del condizionale? Dopo una sperimentazione che poggia su basi scientifiche si può dire "è specie-specifico" oppure "non è specie-specifico". Se però uso il condizionale vuole dire che dalla sperimentazione non ho ricavato dati attendibili. Se poi ipotizzo un diverso comportamento tra gli animali e gli esseri umani, vuole dire che dopo gli animali ho sperimentato anche sugli esseri umani e mi sono accorto che questi reagiscono in maniera differente. Ma allora torniamo alla domanda iniziale: "perché sperimento sugli animali se poi devo ripetere le stesse ricerche sugli esseri umani per essere sicuro dei risultati"? Infine l'ultima affermazione è veramente scandalosa. Quando negli animali non si verificano effetti collaterali, i vivisettori affermano che si può stare sicuri. Quando i farmaci nelle ricerche sugli animali manifestano effetti collaterali seri, i vivisettori dicono che non bisogna preoccuparsi perché il metabolismo degli animali è differente rispetto a quello degli esseri umani. Ma allora cosa serve la vivisezione, se in ogni caso, anche quando si sono dimostrate rischiose negli animali, le sostanze in fase sperimentale vengono comunque somministrate anche agli esseri umani?

Sono da tempo convinto che la vivisezione sia utile solo a chi la pratica. Esiste però un aspetto che proprio non riesco a sopportare: l'ipocrisia. E le affermazioni scritte sulla scheda tecnica dell'oxcarbamazepina sono scandalosamente ipocrite.

Note

1)Monoidrossiderivato. E' il metabolica dell'oxcarbamazepina.

2)Nome commerciale dell'oxcarbamaxepina

enrique lister
29-03-03, 17:36
Limav Post #1 di 1
http://www.oipaitalia.com/html/chis...iamo_limav.html


La scienza indica metodi alternativi e più affidabili, ma in Italia le cavie sono un business.
Lacrime di coccodrillo. Come quelle della famosa genetista milanese, che però, vista l'aria che tira, chiede l'anonimato: «Successe qualche anno fa. Stavo iniettando una sostanza cancerogena ad una cavia. Un gesto che, in più di vent'anni di ricerca oncologica, avrò ripetuto un migliaio di volte. D'un tratto afferrò l'ago con la zampina rosa, non per respingerlo ma per conficcarlo ancor più. E mi guardò diritto negli occhi. Sono scoppiata a piangere». Scusi, ma che c'è di male? Sorrisino. «Sa, in questo ambiente le invidie sono tante. E già i soldi arrivano col contagocce...»
Insomma, i pentiti non sono tutti uguali. Ma, per fortuna, c'è anche chi esce allo scoperto fregandosene del programma di protezione. Come il microbiologo Pietro Croce e il cancerologo Giulio Tarro, un tempo «vivisettori accaniti» e oggi attivi testimonial della Limav, la Lega Internazionale Medici per l'abolizione della Vivisezione, che schiera già 340 iscritti in Italia e 4000 nel mondo.
Un movimento d'opinione che sta attuando una silenziosa rivoluzione in un mondo spesso agitato dalle chiassose intemperanze dell'animalismo d'occasione. E che, da sempre, schiera le coscienze su due fronti opposti e incompatibili, barbarie e sviluppo, separati dal confine del più brutale paradosso della modernità, quello che accredita la disumanità nel nome del progresso.
Questo martirio silenzioso e terrificante coinvolge ogni anno più di 1 milione di animali in oltre 500 laboratori italiani. «Ma nella realtà, sono quasi il doppio», segnala Bruno Fedi, primario anatomo-patologo a Terni e vicepresidente Limav. «Ogni bestiola sopravvissuta a un esperimento, infatti, viene automaticamente sottoposta a un altro: nei laboratori non si getta via nulla». Alle accuse di crudeltà i ricercatori oppongono la loro buona fede, condensata nel vecchio ricatto morale corredato da allargamenti di braccia: «E' meglio che muoia una scimmia o un bambino?» Ma una terza via, oggi, è possibile. I metodi alternativi alla vivisezione, infatti, esistono.
Un esempio per tutti: negli Usa, l'Istituto Nazionale del Cancro è passato da 6 milioni di animali immolati ogni anno a 30mila. E non certo per motivi etici: ma perchè i sistemi alternativi sono considerati più affidabili sotto il profilo scientifico. E sono persino meno onerosi. Dieci anni fa lo studioso inglese Nike Jukes aveva già messo a punto un repertorio di oltre 100 metodi più attendibili e meno costosi della vivisezione, che assorbe quasi il 50 per cento dei budget dei laboratori. Basandosi su un assunto, quello della trasferibilità degli esperimenti dall'animale all'uomo, considerato ormai assai poco scientifico. «Basti dire che l'uomo possiede 46 cromosomi, ognuno dei quali contiene 200mila geni», dice il professor Fedi.
E aggiunge: «Sulla esizialità della cicuta Socrate potrebbe dire qualcosa: ebbene, per le pecore è una ghiottoneria. La morfina eccita il gatto, mentre qualche anno fa un antioncogeno testato sugli animali per poco non ha mandato all'altro mondo due miei pazienti». Altri esempi di errori storici: un farmaco contro l'artrite, innocuo sulle bestiole trattate, si è rivelato letale per l'uomo. La penicillina a suo tempo risultò tossica per la cavia. E via di questo passo. «Un elenco interminabile che dimostra una sola cosa: che la sperimentazione animale è la più crudele e colossale truffa della storia della scienza», accusa Clelia A. Rigoni, vicedelegato Oipa (Organizzazione Protezione Animali) per l'Italia.
Ma quali sono le alternative già praticabili? Dice il professor Fedi: «Risponderò come risposi al farmacologo Silvio Garattini, che nel corso di un dibattito mi apostrofò così: insomma voi medici antivivisezionisti volete sostituire gli esperimenti su cellule animali con altri su quelle di pomodoro? No, replicai io, con esperimenti su cellule umane. Quelle, per esempio, dei tessuti sani e inutilizzati, residui di interventi chirurgici». Ma non solo. In tossicologia e farmacologia l'uso di colture in vitro dà già ottimi risultati: negli ultimi 7 anni, un importante gruppo europeo ha testato l'80 per cento dei suoi prodotti su colture di cellule. Per non parlare delle prospettive spalancate dall'informatica, che permette di simulare le reazioni biochimiche fra molecole e farmaci».
Perchè, allora, in Italia le tecniche alternative restano un tabù? Il professor Fedi va a colpo sicuro: «Perchè l'erogazione di finanziamenti ministeriali passa per consuetudine attraverso pseudoricerche preliminari sugli animali, per ignoranza e pigrizia considerate più affidabili. Infatti basta segnalare l'assenza di cavie per vedere dilatare all'infinito tempi e burocrazia delle sovvenzioni. Idem per le sponsorizzazioni e le raccolte di fondi.
In teoria, la legge definisce come prioritaria la ricerca con metodi alternativi alla vivisezione. Ma nella pratica lascia al responsabile di istituto tanto la facoltà di decidere la procedura che di ricorrere all'anestesia, obbligatoria salvo le solite eccezioni (in Inghilterra vi si fa ricorso solo per 1 esperimento su 3). Gianluca Felicetti, direttore della Lav (Lega Antivivisezione): «Siamo l'unico Paese al mondo a riconoscere per legge l'obiezione di coscienza alla vivisezione per studenti e ricercatori.
[...]
E la vigilanza? Zero. Nel Paese in cui per costituire una srl occorre l'autorizzazione del presidente del Tribunale, nessuno si preoccupa di vigilare sull'ultimo olocausto legalizzato.
Articolo di Tiziana Abate
Tratto da: lanazione.quotidiano.net