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Visualizza Versione Completa : Demoni, Dei e sacerdoti in Etruria.



nhmem
29-03-03, 16:21
Nell'ambito del ciclo di conferenze "Il mondo degli Etruschi:
aspetti della vita quotidiana" (organizzato da: Comune di Carmignano
[Assessorato alla Cultura e Museo Archeologico di Artimino],
Provincia di Prato [Ass. Cultura], Soprintendenza Archeologica per la
Toscana e Gruppo Archeologico Carmignanese) presso la sala
consigliare del Comune di Carmignano, Venerdì 4 Aprile alle ore
21,15, parlerà il Prof. Adriano Maggiani (Università degli Studi di
Venezia) sul tema: DEMONI, DEI E SACERDOTI IN ETRURIA.

Avendo ascoltato un'altra volata il Prof. Maggiani su argomenti
simili penso che la cosa possa essere inetressante. :qi :ù

Orazio Coclite
29-03-03, 20:55
Accidenti! Il prossimo fine settimana sono preso in tutt'altre cose, altrimenti sarei accorso con piacere...

:cool: Vale.

Orazio Coclite
01-04-03, 15:14
Vorrei profittare di questa segnalazione per dedicare questo thread ad un approfondimento sulla spiritualità etrusca.

Articoli da postare? Libri da raccomandare? Avanti.

nhmem
02-04-03, 18:51
Originally posted by Orazio Coclite
Vorrei profittare di questa segnalazione per dedicare questo thread ad un approfondimento sulla spiritualità etrusca.

Articoli da postare? Libri da raccomandare? Avanti.



;) E' una buona idea. Basta sia d'accordo il moderatore.:confused:

Orazio Coclite
02-04-03, 21:41
Originally posted by nhmem
E' una buona idea. Basta sia d'accordo il moderatore
Non preoccuparti, il moderatore è un bravo ragazzo, anche se a volte un pò scapestrato ;), e di certo non avrà nulla da ridire all'ampliamento di questo thread.

Quindi, senza dovermi andare a copiare lunghi stralci di libri, mi sono avvalso dell'utile arma del copia&incolla, rubando articoli qui e là per la rete. Ecco quello che ho trovato:



INFLUSSI ETRUSCHI SULLA RELIGIONE ROMANA

Particolare risonanza ebbe a Roma un aspetto della religione etrusca definito etrusca disciplina, ossia quel complesso di insegnamenti che consentivano di conservare il favore degli dei (pax deorum ). La raffinata scienza divinatoria sviluppata dagli Etruschi comprendeva l'interpretazione della volontà divina nelle sue varie forme di manifestazione: attraverso segni celesti, prodigi (ostenta), fenomeni naturali, il volo degli uccelli (auspicium).

"Tutti questi fenomeni, compresa anche la lettura e l'interpretazione delle viscere degli animali, in modo particolare del fegato (aruspicina), e l'interpretazione dei fulmini era affidata agli aruspici (haruspices). Essi conoscevano bene le regole della disciplina scritta nei tre libri haruspicinii, fulgurales e rituales, cioè tutti quei riti di espiazione e tutte le minuziose norme rituali delle cerimonie che servivano ad allontanare gli effetti sfavorevoli di un cattivo presagio" (P. Chini).

Quanto al pantheon etrusco, mentre le principali divinità maggiori vennero assimilate a quelle greche e romane, per le divinità minori a Roma troviamo le stesse che ricorrono in molte città etrusche, dal genio ai lari, ai penati. Anche il culto dei morti romano trova una certa somiglianza con quello praticato presso gli Etruschi: dopo l'offerta del sangue di certi animali alle divinità degli inferi, le anime diventavano divine (dei animales) e andavano a costituire le divinità della casa (secondo quanto affermato dai libri Acherontici). Infine le somiglianze tra le due religioni sono molto strette per quanto riguarda le esequie.
(Da: http://www.schule.provinz.bz.it/licei-merano/religione/rom/testi/influssi_etruschi.htm)



Religione e spiritualita' degli etruschi

La religiosita' etrusca si fondava sull'ideologia che la natura dipendesse strettamente dalle divinità e che perciò ogni fenomeno naturale fosse espressione della volontà divina.

Gli Dei erano visti come esseri superiori e misteriosi di cui l'uomo non aveva alcuna conoscenza, e non poteva fare altro che cercare di captarne le manifestazioni ed i desideri attraverso l'interpretazione di "segni", spesso costituiti da semplici fenomeni naturali, o cercare di carpirne i favori attraverso riti, sacrifici ed offerte votive.

Mentre per i greci le divinità vivevano in un loro mondo, ed erano in possesso di passioni e desideri umani, e per i romani il rapporto si risolveva con norme di carattere giuridico, o di scambi di "favori", il rapporto degli Etruschi con le divinità era assai diverso, quasi di sottomissione con gli Dei: essi vivevano nel cielo o nel sottosuolo ed era necessario capire i loro voleri dall'osservazione degli ostenta, dei segni che, tramite i sacerdoti aruspici ed auguri, davano indicazioni sul comportamento da tenersi.

La pratica religiosa, i riti, i sacrifici , assumevano quindi una grande importanza nella vita e nella cultura, e gli etruschi diventarono degli esperti nella divinazione e nell'interpretazione dei segni, tanto che gli haruspex (l'interpretazione delle viscere) fu accolta e mantenuta in grande considerazione per secoli dai romani.

I personaggi religiosi principali erano ovviamente i sacerdoti, divisi in collegi il cui nome indicava il settore di competenza (es. Haruspex , interpretazione delle viscere o Fulgitur interpretazione dei fulmini).

La disciplina della divinazione (che fosse delle viscere o dei fulmini) si basava sulla corrispondenza magica tra macrocosmo e microcosmo, ovvero tra mondo celeste e mondo terrestre. I due mondi si corrispondevano in un preciso e preordinato sistema, pertanto tutto ciò che accadeva nella volta celeste (divisa in zone corrispondenti alle dimore delle singole divinita') doveva avere una ripercussione sulla zona corrispondente nel mondo umano.

Un fegato, diviso in zone sulla stessa base esposta sopra, poteva quindi venire interpretato osservando le sue caratteristiche, irregolarità, imperfezioni o regolarità e tramite queste veniva tradotto il messaggio della divinità che presiedeva alla zona interessata.

Procedendo nella loro storia, nel corso del VII secolo iniziò per gli etruschi un processo di assimilazione delle proprie divinità originali all'Olimpo greco e al pantheon romano. Ma accadde anche che nuove divinita' di origine ellenica venissero integrate nel pantheon etrusco, con una modesta variazione del nome.

Questo comunque non modifico' il senso del divino e la specificità della religione etrusca.


La leggenda di Tagete

Un giorno, un contadino di Tarquinia, mentre era intento ad arare la terra vide uscire un bambino da uno dei solchi tracciati.

Per la tradizione e la mitologia etrusca, quel bambino era Tagete, ora profeta e saggio, ora divinita' che era apparso per insegnare l'arte della divinazione e della giusta interpretazione del volere divino.

Ad ascoltare le sue parole sarebbe giunta una moltitudine di persone da ogni parte dell'etruria, e da lui, secondo alcune interpretazioni della leggenda, sarebbe quindi nata la religione etrusca.

Dalle parole di Tagete naquero tutte le forme di divinazione praticate dagli etruschi, in particolare la divinazione aruspicina delle viscere (fegato soprattutto) degli animali sacrificati.

Si narra anche che Tarconte (secondo il mito, fratello o figlio di Tirreno, re ed eroe del popolo etrusco, a cui ha dato il nome) raccolse le rivelazioni di Tagete e da li' realizzo' i libri Tagetici, testi tra i piu' sacri della cultura e della religione etrusca, che contenevano norme e indicazioni per la comprensione della volonta' divina e il corrispondente giusto comportamento da mantenere.


Testi sacri degli etruschi

Le sacre scritture erano composte da tre libri: i Libri Aruspicini, sull'interpretazione divinatoria delle viscere degli animali, i Libri Fulgurales, sull'interpretazione dei fulmini e i Libri Rituales, che esponevano le norme di comportamento per la vita pubblica e privata.


Altre famose scritture si trovavano nei Libri Vegonici, testi secondo il mito direttamente dettati dalla ninfa Vegoia, preposta alle norme per le perimetrazioni urbane, per le misurazioni dei campi e delle proprieta' agricole. Lo scrittore Tarquizio ( I sec. a.c.) ne tradusse in latino un breve passo, giunto fino all'epoca odierna.

La copia da lui utilizzata, conservata nel tempio di Apollo fu poi bruciata assieme ad altri testi pagani da Stilicone (sec. II-III d.c. alto generale romano di origine barbarica, tutore di Arcadio, sovrano dell'impero romano d'occidente).

Ad ogni modo, nel passo trasmesso da tarquizio si riporta la profezia della durata di nove secoli del popolo e della nazione etrusca. E alcuni studiosi hanno considerato che il periodo di indipendenza politica etrusca, dalla fase villanoviana sino al I sec. a.c. rispetto' il periodo predetto dalla profezia.
(Da: http://www.lucedistrega.net/v_text/documenti/etruschi2.htm)



Il Simbolismo mitico

Tages, secondo la tradizione etrusca, era figlio della Madre terra e di Genius, nonché nipote di Tinia, il dio del cielo. La sua divina doppiezza, bambino e vecchio allo stesso tempo, indica le sue speciali qualità: purezza ed esperienza, ovvero integrità e conoscenza. I significati del mito sono molteplici, ma uno si impone: il seme di ogni creazione è fecondato nell'oscuro grembo della Madre Terra, così come avviene nel grembo della donna gravida- la vita nasce nell'oscurità interiore, la creazione ha inizio nel buio. E il principio creatore è femminile.

http://www.tages.org/images/sfinge_corn.jpg
Sfinge in pietra - Poggio Gaiella, Chiusi. V sec a.C.

Nella mitologia etrusca, il fulmine (scagliato da un dio o da una dea) è l'elemento che feconda la Madre Terra. Il potere del fulmine, luce e calore, insemina la terra durante i temporali. I minerali, "pietre di luce"sono generati dal potere del fulmine, così pure i "genii" della Terra, come Tages e la stirpe dei Titani, detti anche Giganti. Il dono portato dal divino figlio della Terra agli etruschi era di grande valore: la conoscenza.
(Da: http://www.tages.org/simbolismo.htm)

Orazio Coclite
02-04-03, 21:44
GLI DEI DEGLI ETRUSCHI


AITA
Il dio etrusco dell'Oltretomba. E' identico al dio greco dell'Ade ed a quello romano Plutone.

ALPAN
Dea etrusca dell'amore e dell'Oltretomba, è di solito ritratta nuda. Fa parte delle Lasa.

APLU
Dio etrusco del tuono e del fulmine. Aplu è di solito raffigurato con una corona di alloro sulla testa, mentre in una mano regge un bastone e nell'altra un ramoscello di alloro. La sua figura ha molte analogie con il dio greco Apollo.

ARTUME (o ARITIMI)
Dea etrusca della notte e della morte, ma anche personificazione della crescita e della natura. Può essere comparata alla dea greca Artemide.

ATUNIS
La versione etrusca del greco Adone, lo si può trovare spesso in compagnia di Turan, la dea dell'Amore.

CHARONTES
Demoni etruschi della morte. Il loro nome lascia trasparire un innegabile connessione con il greco Caronte ed il suo equivalente etrusco Charun.

CHARUN
Demone etrusco della morte che tormenta le anime dei morti nell'Oltretomba. Egli è anche il guardiano dell'ingresso dell'Oltretomba. E' simile al greco Caronte. E' raffigurato con il becco di un avvoltoio, le orecchie appuntite ed è solitamente alato. Il suo attributo è il martello.

CULSU
Demone etrusca che vigila l'ingresso dell'Oltretomba. Suoi attributi sono la torcia e le forbici.

EVAN
Dea che personifica l'immortalità, fa parte delle Lasa.

FEBRUUS
Dio dell'Oltretomba e della purificazione. Il mese di Febbraio, suo mese sacro, prende nome da lui.

FERONIA
Dea etrusca del fuoco e della fertilità.

FUFLUNS
Dio della vegetazione, della vitalità e della gaiezza, figlio della dea-Terra Semia. Rgli presenta molte somiglianze con Dioniso e Bacco, rispettivamente gli dei del vino greco e romano.

HERCLE
Eroe etrusco, figlio della dea suprema Uni, simile al l'eroe greco Eracle, predecessore del romano Ercole.

HORTA
Dea dell'agricoltura.

LARAN
Dio della guerra. Egli è raffigurato come un giovane nudo che indossa un elmetto e porta con sè una lancia.

LASA
Nella mitologia etrusca esse sono divinità femminili, guardiane delle tombe. Spesso si trovano in compagnia di Turan, la dea dell'Amore. Le Lasa sono talvolta raffigurate con le ali, a volte senza. I loro attributi sono gli specchi e le corone.

LOSNA
Dea etrusca della luna.

MANIA
Guardiano dell'Oltretomba assieme a Mantus.

MANTUS
Dio dell'Oltretomba, associato alla città di Mantua (Mantova).

MENVRA
Dea etrusca somigliante alla dea greca Atena, raffigurata in modo simile (con elmo, lancia e scudo). Come Atena, inoltre, ella era nata dalla testa di un dio (in questo caso Tinia). Assieme al padre e alla dea Uni fa parte della triade di divinità più importanti del pantheon etrusco. Dalla sua figura deriverà la dea romana Minerva.

NETHUNS
Dio etrusco dell'acqua, originariamente delle fonti ma più tardi anche del mare. Presenta molti tratti in comune con il dio greco Poseidoneed è il predecessore del dio romano Nettuno.Suoi attributi sono il tridente, l'ancora, il cavallo marino ed il delfino.

NORTIA
Dea etrusca del fato e della sorte. Suo attributo è un grande chiodo; all'inizio del nuovo anno un chiodo veniva infisso in un muro del suo santuario. Questo rito è considerato da alcuni rito per la fertilità, da altri di espiazione, e da altri ancora un rito simboleggiante semplicemente la fine dell'anno passato.

SELVANS
Dio etrusco delle foreste, predecessore del dio romano Silvano.

SETHLANS
Dio etrusco del fuoco e protettore dei fabbri. Il suo aspetto è molto simile a quello del dio greco Efesto e del dio romano Vulcano.

TAGETE
Divinità che possiede la saggezza. Egli appariva da un solco quando un campo era nuovamente arato ed insegnava ai contadini la divinazione e i presagi. E' raffigurato come un giovane uomo con due serpenti al poste della gambe.

THALNA
Dea etrusca del parto. Si trova spesso in compagnia del dio Tinia., che è presumibilmente il suo amante.

THESAN
Dea etrusca dell'Alba e madrina del parto. Presenta molte somiglianze con la dea romana Aurora.

TINIA
Dio supremo del Cielo, che vive nella parte settentrionale del cielo. Con sua moglie, Uni, e la dea Menvra, forma la triade più importante del pantheon etrusco. Suoi attributi sono un grappolo di fulmini scintillanti, una lancia e uno scettro. I romani lo equipararono con Giove.

TUCHULCA
Demone dell'Oltretomba. E' un orribile creatura alata, con serpenti per capelli e il becco di uccello per bocca.

TURAN
Dea dell'Amore, della salute e della fertilità, patrona della città Vulci (in provincia di Viterbo). Turan è di solito raffiurata come una giovane donna con le ali sulla schiena. Il piccione e il cigno nero sono i suoi simboli ed è accompagnata spesso dalle Lasa. La sua equivalente romana è Venere.

TURMS
Dio etrusco che guida i morti nell'Oltretomba. E' il messaggero degli dei e, come il suo equivalente greco Ermes, egli indossa scarpe alate e porta con sè un bastone da araldo.

UNI
La suprema Dea del pantheon etrusco. Ella è la dea del Cosmo. Insieme al marito Tinia e alla dea Mnevra forma un importante triade. Suo figlio è l'eroe Hercle. Uni si identifica alla dea greca Era e a quella romana Giunone.

VANTH
Demone femminile della morte che abita nell'Oltretomba. Con gli occhi che ha sulle sue ali, ella vede tutto ed è onnipresente. E' messaggera di morte e può assistere ad una persona malata sul suo letto di morte. Suoi attributi sono un serpente, una torcia ed una chiave.

VEIVE
Dio della Vendetta. E' raffigurato come un giovane con una corona di alloro e con delle frecce nella mano. Una capra gli sta accanto.

VOLTUMNA (o VELTHA)
Voltumna, conosciuto anche come Veltha è un dio indigeno degli etruschi, la cui figura non ha subito influenze di origine greca, e che più tardi fu elevato al rango di Dio supremo. E' anche il dio patrono della federazione delle dodici città-stato etrusche. Il centro del suo culto era in Volsini. I Romani lo chiamarono Vertumno.

(Da: http://www.geocities.com/EnchantedForest/Tower/3799/etruschi/az.htm)

Orazio Coclite
02-04-03, 22:08
http://www.maravot.com/Tuchulcha.gif
TUCHULCHA, dettagli dalla 'Tomba dell'Orco' a Tarquina

http://www.quadera.it/scuola/immagini/Vanth%20e%20Charunr.jpg
Interno della 'Tomba degli Aninas' a Tarquinia. Ai lati dell'uscita sono dipinti a sinistra CHARUN con il pesante martello, a destra VANTH con la torcia per illuminare il cammino nell'oltretomba.

http://www.cristianrossi.it/ufo/demon1_g.JPG
CHARUN (sopra) e TUCHULCHA, demoni etruschi raffigurati nella 'Tomba dell'orco' a Tarquinia.

http://www.sacred-texts.com/evil/hod/img/19701.jpg
CHARUN



CHARUN DEMONE ETRUSCO DELLA MORTE

http://www.costaetrusca.com/infoet1.jpg

Volterra - Museo "Guarnacci", urna funeraria etrusca in alabastro (II metà III secolo a.C.) La figura di Caronte, Charun presso gli Etruschi, compare sulle urne funerarie etrusche di età ellenistica, nella fattispecie in scene che rappresentano il passaggio all'Ade del cavaliere accompagnato dai demoni della morte. Le urne accomunate da questo soggetto sono le più antiche tra quelle che rappresentano il viaggio all'aldilà e si datano alla seconda metà del III secolo a.C. Nei rilievi delle stesse Charun è raffigurato con naso adunco, orecchie ferine e indossa corta tunica e alti calzari. In alcuni esemplari è alato e reca inciso su un'ala un occhio, chiaro segno apotropaico. I suoi attributi sono il martello che lo contraddistingue nella quasi totalità delle raffigurazioni e una spada che compare più raramente. Nelle scene del viaggio del cavaliere Charun riveste un ruolo psicopompo conducendo per le redini il cavallo o scortando il cavallo. Inoltre la sua funzione di custode degli Inferi sembra attestata anche dalle pitture tombali della Tomba degli Anina di Tarquinia in cui Vanth fronteggia Charun ai lati della porta dell'Ade e anche dell'omonima tomba di Tarquinia in cui due Caronti sorvegliano una porta dorica a due battenti. Caronte seduto su una roccia con il martello rovesciato compare anche nella Tomba 5636 di Tarquinia e altri due Caronti nella Tomba Querciola II : il primo in atteggiamento dinamico riveste il ruolo di accompagnatore e il secondo in posa statica custodisce l'ingresso all'Ade.
(Da: http://www.costaetrusca.com/2.htm)

Orazio Coclite
02-04-03, 22:10
http://www.ou.edu/class/ahi4163/slides/177.jpg

http://www.t0.or.at/~tissa/media/phersu1.jpg

http://www.brock.uni-wuppertal.de/Bilder/Phersu.gif



Il Phersu e il presunto innocente

Per gli antichi etruschi il Phersu (dall'etrusco maschera dal quale poi deriverà la parola persona) era un demone mascherato con sembianze umane, orecchie d'asino, un cappello a punta e una veste decorata con ossa umane. Stringeva nelle mani due guinzagli ai quali erano attaccati una belva feroce e un prigioniero.
Molti affreschi di questo demone sono stati ritrovati in Italia nelle sepolture etrusche, un esempio si trova a Tarquinia nella tomba degli auguri.
L'antico e agghiacciante rituale del Phersu consisteva nell'incappucciare il prigioniero, legandogli un braccio dietro alla schiena, armarlo soltanto di una clava, un bastone o nel migliore dei casi di una spada e chiuderlo in una "stanza" rituale con una belva feroce (un cane, un lupo in qualche caso anche un grosso felino).
Il rituale terminava ovviamente con la morte dell'uomo.
Una volta eseguito il sacrificio, i resti del condannato venivano recuperati e sepolti insieme alla belva ancora viva (in modo che ne straziasse il corpo per l'eternità), in una tomba senza nome e probabilmente isolata a segnalare la sua colpa.
Questo rito veniva eseguito, infatti, con criminali che si erano macchiati di delitti orribili o come prova d' innocenza nel caso in cui l'accusato si dichiarasse non colpevole.
Questo era una sorta di processo per ordalia che in altre forme era molto diffuso durante il medioevo. Consisteva nel chiedere all'accusato di provare la propria innocenza mediante torture, a volte mortali, come ad esempio mettere la mano o un arto sul fuoco senza riportare ferite oppure tenere la testa sott'acqua per dieci minuti senza morire annegato.
(Da: http://www.regnoimmaginario.net/phersubig.htm)

Orazio Coclite
02-04-03, 22:14
http://www.gossolengo.org/fegato.jpg

IL FEGATO DI BRONZO DI PIACENZA

Il 26 settembre del 1877 a Ciavernasco (Gossolengo) un contadino nell'arare il campo dei conti Arcelli a circa 25 centimetri di profondità trovò uno strano oggetto. Prima lo gettò sotto un albero e alla sera, finito di lavorare, lo pulì e lo mostrò al padrone. Questi glielo lasciò senza pretendere nessuna ricompensa. Lo stesso contadino lo consegnò al parroco Don Luigi Fulcini che lo acquistò per una ventina di lire, per tenerlo in canonica da mostrare ad amici e conoscenti.

Il Conte Canonico Don Giuseppe Gazzola, persona assai colta, in quei giorni ospite presso i conti Caracciolo in Statto, venuto a conoscenza del ritrovamento volle vedere l'oggetto. In seguito il Conte Francesco Caracciolo lo acquistò e obbligò il contadino a fare ulteriori scavi con la ricompensa di 60 lire ma non trovò nulla di interessante. Il Patrizio rilevò che il bronzo aveva valore e che poteva essere importante per l'archeologia. Ne fece un disegno preciso anche se non capiva i caratteri scritti. Dal disegno poi ricavò una fotografia, grazie alla quale l'oggetto fu reso noto a molti archeologi.

Nel 1878 fu mostrata a Parma a Giovanni Mariotti del Regio Museo di antichità, che decise di farla vedere al capitano Poggi, studioso delle antichità etrusche; costui chiese al conte Caracciolo di portare l'oggetto a Parma, così poté esaminarlo e farne un disegno più preciso. Il bronzo venne studiato, analizzato, disegnato, fotografato e si rivelò un oggetto legittimo e prezioso. Il chimico Dioscoride Vitalì lo analizzò e lo "disse" <<principalmente costituito di rame, che vi si trova in forte proporzione, e da stagno, che vi esiste al contrario in tenue quantità, insieme a tracce di ferro>>. Nei primi anni non si parlò di "fegato". Il capitano Poggi lo disse un "coso" simile a un "seme di fagiolo". Altri lo paragonarono alla "metà di un rene umano", alquanto sviluppato, tagliato secondo quel piano che lo divide in due parti simmetriche. "Fegato" per la prima volta venne definito da L. A. Milani nel 1900, seguito da Körte nel 1905, che ne fece uno studio fondamentale nel "Die Bronzeleber Von Piacenza".

Il primo Agosto 1894 il fegato fu donato al Museo Civico di Piacenza, dove tuttora è conservato. Il fegato etrusco di bronzo ha le seguenti dimensioni: mm 126 x 76 x 60. Per l'esame delle viscere esso veniva capovolto di sotto in su perché la parte inferiore era ritenuta la più importante, su questa si alzano tre protuberanze che sporgono: la più piccola a forma semi mammellare (il processus papillaris), la seconda piramidale (il processus pyramidalis), la terza è la cistifellea. Su questa superficie si trovano quaranta iscrizioni che si riferiscono a nomi di divinità tra le quali sono identificate: Tin (Giove), Uni (Giunone), Neth (Uns), (Nettuno), Vetisi (Veiove), Satres (Saturno), Ani (Giano), Selva (Silvani), Mari (Marte), Futlus (Bacco), Cath (Sole), Herole (Ercole), Mae (Maius) e altri cinque o sei che non hanno corrispondente nella religione romana. Nella parte convessa si trovano due iscrizioni, una su di un lobo (Usils = parte del sole), l'altra sull'altro (Tivs = parte della luna). Il fegato di bronzo reca attorno al margine esattamente sedici caselle contenenti ciascuna il nome di una divinità e queste sedici caselle corrispondono alle altrettante parti in cui gli Etruschi dividevano il cielo.

Sul fegato etrusco sono stati fatti molti studi, i più importanti furono quelli dei ricercatori tedeschi DEECKE (1880), Korte (1905), Thulin (1906) che misero in risalto l'importanza di questo cimelio archeologico definendolo un documento fondamentale per la conoscenza della religione e della lingua etrusca. Ma a che cosa serviva questa riproduzione bronzea di un fegato di pecora con tante iscrizioni in lingua etrusca? Il Korte lo confrontò con il coperchio di un'urna cineraria ritrovata a Volterra che rappresentava un sacerdote (3° secolo a.C.) che tiene in mano un fegato come quello ritrovato a Ciavernasco di Settima, vicino al ponte della Ragione. Dunque il nostro bronzo è uno strumento originale della <<disciplina>>; l'aruspice interpretava il volere divino da segni particolari riscontrati nel fegato della vittima sacrificata, cioè poteva prevedere se un'impresa si sarebbe compiuta sotto influssi favorevoli o sfavorevoli, confrontando il viscere ancora caldo col modello bronzeo inscritto, che fungeva da guida, da prontuario.

Il Fegato Etrusco risale al periodo tra il secondo e il primo secolo avanti Cristo (come denunciano le caratteristiche delle scritture usate nelle iscrizioni) e non all'epoca della dominazione etrusca nella Pianura Padana (V - IV - sec. a.C.). Quindi il fegato non è da ritenersi un documento della dominazione etrusca nella provincia di Piacenza, ma un oggetto prodotto successivamente da nuclei etruschi presenti nelle colonie tra Pesaro e Rimini o nella stessa Piacenza, oppure è da ritenersi un oggetto erratico perduto da un auspice che seguiva una legione romana (Ducati).

La sua relativa "tardità" nulla toglie all'interesse che desta in noi, perché rappresenta una lunga tradizione conservatasi intatta attraverso i secoli (Terzaghi). Più di quaranta saggi sono stati pubblicati in tutto il mondo sul Fegato piacentino, ciò testimonia la "fama" a livello mondiale del nostro reperto, unico esemplare nella sua forma (esiste un altro Fegato di Alabastro al museo Guarnacci di Volterra); modelli di fegato con le stesse caratteristiche suddivisioni, sono stati ritrovati a Babilonia, nella valle del Tigri e dell'Eufrate e ad Hattusas la capitale degli Ittici. Questi sono in terra cotta ma utilizzati con lo stesso scopo religioso di quello di Piacenza.

Tutti questi ritrovamenti indicano chiaramente l'itinerario del culto dell'arruspicina esteso successivamente al mondo romano. Le foto del fegato etrusco sono state chieste per volumi di storia destinati alle scuole medie, per pubblicazioni specializzate di storia, di medicina o di lingue classiche, per enciclopedie generiche o di scienze occulte (quando si parla di aruspici il fegato è la riproduzione d'obbligo). Un grande poster a colori fu distribuito dalla Fardeco di Piacenza. La foto del fegato etrusco ha reclamizzato gli infusi della camomilla Bonomelli, la <<Citroepatina>> della Mastretti ed è finita persino, quando era meno diffusa la biro, sulle carte assorbenti.

Il fegato lasciò diverse volte il Museo Civico di Piacenza per partecipare ad importanti mostre. Fu esposto alla <<Mostra dell'Arte e della civiltà etrusca>> tenuta nel 1955 prima alla Kunsthaus di Zurigo, poi al Palazzo Reale di Milano e infine al Louvre e qualche anno dopo al Museo Archeologico di Bologna. Del fegato furono fatte copie: un calco fu richiesto da un comitato di Medici Tedeschi che intendevano donarne una copia ad un famoso patologo. I calchi furono poi moltiplicati quando nel 1986 si tenne a Piacenza il convegno "il fegato degli Etruschi ai giorni nostri", organizzato dal Comune di Piacenza, dall'ordine dei Medici e dalla USL, con la sponsorizzazione della Camillo Corvi di Piacenza (28 Febbraio - 1 Marzo). Alcuni esemplari in bronzo furono destinati dallo sponsor ad importanti personalità italiane e straniere operanti nel campo della cultura e della scienza.
(Da: http://www.gossolengo.org/fegato_etrusco.htm)



http://www.ou.edu/class/ahi4163/slides/135.jpg

http://www.ou.edu/class/ahi4163/slides/136diagr.jpg

http://www.ou.edu/class/ahi4163/slides2/liver.jpg

Orazio Coclite
02-04-03, 22:22
http://it.urra.it/abramo/etrusco1.gif
Oggetto bronzeo etrusco, custodito al museo di Piacenza, considerato fino a oggi un "fegato" per usi divinatori

http://it.urra.it/abramo/etrusco2.jpg
Collegamento tra le scritte sul "fegato" e i luoghi geografici (fiume Eridano-Po, Monviso, Alpi, Monterosa/Cervino)

http://it.urra.it/abramo/etrusco3.gif
Parole presenti sul "fegato di Piacenza", mappa geografica dell'antica Italia

http://it.urra.it/abramo/etrusco4.gif
Lettura corretta delle parole sulla mappa usando l'alfabeto BCD

http://it.urra.it/abramo/etrusco5.gif
Le scritte nella parte posteriore

(Da:http://it.urra.it/abramo/1-etrusco.html)

nhmem
02-04-03, 23:13
[QUOTE]Originally posted by Orazio Coclite
[B]GLI DEI DEGLI ETRUSCHI



ANI
Dio etrusco del Paradiso, vive nei cieli più alti. Mostra molte somiglianze con il dio romano Giano.




Il Dio etrusco corrispondente a Giano è CULSANS.

"...è stato espunto dai nomi del pantheon etrusco quello di Ani, ritenuto a lungo nome etrusco di Giano, per una lettura errata sul Fegato di Piacenza..." (Mauro Cristofani, Dizionario illustrato della Civiltà Etrusca, Giunti, Prato 2000, p. 83) ;)

Ho visto che hai inserito molto materiale e riccamente illustrato, dammi modo di vederlo con calma.

Vale.

M E M

Mjollnir
03-04-03, 00:46
In Origine Postato da Orazio Coclite
Non preoccuparti, il moderatore è un bravo ragazzo, anche se a volte un pò scapestrato ;), e di certo non avrà nulla da ridire all'ampliamento di questo thread.


Fate, fate pure...io ormai sono qui solo per ornamento...:D :p ;)

Mjollnir
03-04-03, 01:12
In Origine Postato da nhmem
;) E' una buona idea. Basta sia d'accordo il moderatore.:confused:

Caro nhmem
puoi pubblicare tutto ciò che vuoi, purchè abbia attinenza con il forum...

ciao

P.S. sugli Etruschi ricordo solo Mario Torelli, La società etrusca, ma devo dire che non me ne sono mai occupato. Quindi ringrazio il nostro Orazio per il materiale che ci ha fornito, che dà modo anche a me di saperne qualcosa in +.

nhmem
21-05-03, 23:47
:confused: sito russo
http://www.fantalov.narod.ru/Etruskan.htm

nhmem
28-05-03, 18:28
http://www.gdmland.it/QUOTIDIANO/2705/CULTURA/CU01/A10.asp


Un «libro» etrusco tutto di pagine d'oro


Un «libro» etrusco composto da sei lastre d'oro con disegni e testi, forse il primo ed unico ad arrivare completo ai nostri giorni, è stato trovato, nel sud della Bulgaria in una tomba di un antico aristocratico seguace dei riti orfici. Ora è conservato nel Museo di Storia nazionale bulgaro a Sofia.
Le sei lastre d'oro a 24 carati, dimensioni 5 per 4,5 cm e peso di 100 grammi, punzonate a rilievo con disegni di un cavallo con cavaliere, soldati, una sirena e uno strumento musicale a corde, presentano anche un testo in lingua e caratteri etruschi. Le pagine sono tenute insieme da anelli, sistemati nella parte superiore del foglio, come un blocco notes. Finora pagine con scritte e disegni etruschi in oro erano state scoperte solo in Italia. Il prezioso manufatto probabilmente è arrivato dall'Etruria nell'antica Bulgaria su antiche rotte commerciali. Il testo indica che il libro fu confezionato per la sepoltura di un aristocratico adepto dell'Orfismo, una religione tipica della Tracia (regione dell'antichità situata intorno al Mar Nero, dove ora si trovano Bulgaria e Romania), ma molto diffusa in Grecia e nell'Italia antica. La scoperta solleverà grande scalpore nel mondo delle ricerche archeologiche sugli etruschi e sui riti orfici.

milesphoenicis
30-05-03, 18:23
Vorrei portare la discussione sui rapporti tra civiltà etrusca e civiltà romana.
Nell’analisi evoliana, Roma è assai poco debitrice nei confronti di questo popolo, ed, anzi, il sovrapporsi di Roma ai popoli italici è la vittoria delle forze del Nord contro quelle del Sud, motivo dominante di tutta la storia romana, al suo interno ed al suo esterno.
Gli etruschi furono una civiltà tellurica e lunare. Le divinità maschili che conobbero, sempre seguendo Evola, sono assai diverse da quelle olimpiche: non posseggono vera sovranità, su essa regna la potenza oscura fatalistica dei dii superiores, che tutto piegano alla loro volontà (questa concezione porterà direttamente alla disciplina degli aruspici).
i Lucumoni, capi sacerdotali dei clan etruschi, si consideravano figli della Terra, e la disciplina degli aruspici viene fatta risalire a Tages, demone ctonio.
In effetti gli aruspici, ricorda il Maestro, furono visti dai Romani quasi come oscuri nemici di Roma (questa a parer mio è una esagerazione), e a tal proposito cita l’episodio del mancato sotterramento della statua di Orazio Coclite.
Rimando direttamente a “rivolta” per un’analisi più approfondita, ma il punto fondamentale è che Evola sostiene che gli influssi etruschi e italici in generale nella tradizione romana, pur visibili in alcune divinità femminili come Venere o Vesta, femminilizzazione delle divinità arie del fuoco, che innegabilmente avevano spesso caratteri maschili, siano retaggio di culture pre-arie e meridionali, da leggersi in ottica completamente diversa nella cultura aria e solare di Roma.
Voi cosa ne pensate? in particolare sarebbe interessante sapere, a mio avviso, come i moderni pagani leggono le culture autoctone italiche. Ovvero se ad esse viene riconosciuto un valore in sè, e di conseguenza alla cultura romana un valore indipendente dalla sua appartenenza al ceppo nordico-ario, o se invece sono viste come antitesi meridionale di Roma, e di conseguenza a Roma venga attribuito, come fa Evola, il valore simbolico di ultima grande resistenza aria alla decadenza.

nhmem
30-05-03, 22:46
Originally posted by milesphoenicis
Vorrei portare la discussione sui rapporti tra civiltà etrusca e civiltà romana.
Nell’analisi evoliana, Roma è assai poco debitrice nei confronti di questo popolo...


Purtroppo le conoscenze evoliane sul mondo etrusco erano parziali (comunque comprensibili per l'epoca in cui furono esposte)...


Comunque per restare in tema propongo la lettura del seguente capitolo tratto da "La Città degli Dei" di Renato del Ponte. ETRUSCHI, TROIANI E LA CRITICA ATTUALE

Il problema degli Etruschi, si sa, ha esercitato ed esercita tuttora l’acutezza dei più validi ingegni, ma quanto Bruno Nardi ebbe ad affermare, nell’ormai lon-tano 1934, nel corso di un intervento
tenuto durante il III Congresso Nazionale di Studi Romani (memorabile anche per la contemporanea presenza di Julius Evola) , ha avuto il sapore della felice intuizione. Egli ritiene, infatti, che: “Forse nella finzione poetica virgiliana v’è un’intuizione storica più vicina al vero che non sia nei vecchi annalisti romani, troppo saturi di graeca fabulo-sitas; e assai più di costoro sembra che il poeta abbia meditato sulle memorie concernenti le origini della ci-viltà italica”. In particolare, egli propende per l’ipotesi che i Troiani guidati da Enea sino nel Lazio e gli Etru-schi-Tirreni costituiscano in sostanza il medesimo popo-lo, due facce, apparentemente diverse, della stessa etnia. I Troiani, dunque, non sarebbero nell’Eneide che degli Etruschi trasposti nelle loro origini leggendarie. L’intuizione del Nardi sui passi di Virgilio ha avuto so-stanziale conferma dagli studi storici, archeologici e linguistici successivi. Vent’anni dopo, gli studi dell’Alföldi appuravano che nell’antichità Enea fu senti-to, in origine, come il capostipite leggendario degli E-truschi, prima che dei Romani . Più di recente (1972) un gruppo di docenti dell’Istituto di Storia Antica dell’Università Cattolica di Milano ribadisce il valore dell’identità Troiani-Etruschi , di cui trova conferma in due importanti indizi archeologici. Il primo è rappresen-tato da un’iscrizione etrusca del I secolo a. C. trovata in Tunisia, che parla di tul (confine) Dardanium. Gli Etru-schi dell’iscrizione sarebbero da identificarsi con se-guaci di Caio Mario fuoriusciti nell’82 a.C. in Africa: essi si definiscono “Dardani”, cioè Troiani, fornendoci forse la più antica attestazione della leggenda riportata da Virgilio, per il quale Dardano era originario di Cor-tona, in Etruria. Ma Virgilio, par1ando di Cortona come della patria originaria dei Troiani, collocata in un’età mitica remotissima, intende sostanzialmente far concor-dare la tradizione erodotea della venuta degli Etruschi dall’Asia Minore con la tradizione, recata da Dionigi d’Alicarnasso, della loro autoctonia . La seconda testi-monianza è un’epigrafe di Veio - quindi in Etruria - da-tata intorno al 26 d. C., da cui risulta che il senato mu-nicipale della città, onde onorare un liberto di Augusto, si era riunito “Romae in aede Veneris Genitricis”, fatto assolutamente eccezionale nella storia dei municipi ita-lici, che conferma un rapporto molto stretto - addirittura “sottile” - fra Veio e Roma ed un privilegio (quello di svolgere la propria attività pubblica nella sede sacra alle tradizioni troiane di Roma e della gens Iulia) ricono-sciuto ufficialmente dallo stesso Imperatore. Il che getta nuova e più chiara luce sul significato di quelle statuette fittili arcaiche (VI-V secolo a. C.) trovate a Veio e raf-figuranti Enea con Anchise .
E nel 1981, nell’anno del bimillenario Virgiliano, non ha fatto più scandalo, anche alla luce dei più recenti rinvenimenti archeologici, parlare di “Enea nel Lazio” .
Da parte sua il linguista Georgiev, dopo una serra-ta analisi e raffronto di dati linguistici soprattutto col metodo combinatorio-etimologico, giunge alle seguenti conclusioni: “Gli Etruschi sono immigrati dall’Asia Mi-nore di nord-ovest; essi sono i discendenti degli antichi Troiani che avevano colonizzato l’Etruria in varie tappe, a cominciare dalla fine del II millennio a.C. L’etrusco è parente stretto delle antiche lingue indoeuropee d’Asia Minore, prima di tutto dell’ittita e del lidio” .
Così dunque i Troiani escono dalla mitologia e possono occupare il posto nella storia del mondo antico che loro compete, un posto di grande importanza nello sviluppo storico-culturale dei popoli mediterranei. Il fatto storico racchiuso nella tradizione della migrazione troiana nel Lazio, di cui Virgilio è il più eloquente in-terprete, forse potrà costituire la chiave per la migliore comprensione futura di molti aspetti che sinora nella storia romana, non solo delle origini, sono rimasti oscu-ri o di difficile lettura .

(non ho riportato le note).

milesphoenicis
31-05-03, 01:23
si, erano parziali...ma da quello che leggo in questo forum, le intuizioni evoliane paiono essere confermate; si è parlato di divinità ctonie...inoltre ciò che Silvia riporta qua http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=22101 e in specie dove viene detto "La donna poteva trasmettere il proprio cognome ai figli, soprattutto nelle classi più elevate della società", pare confermare la natura non-aria e meridionale della cultura etrusca.

Senatore
31-05-03, 02:48
La questione di fondo, se non mi sbaglio, è la solita: esiste una tradizione italica, con la sua specificità, oppure l'Italia non è nulla prima di Roma, e Roma è solo una propaggine del mondo indoeuropeo?
Credo che Evola possa costituire un riferimento costante come filosofo, metafisico e "maestro" della Tradizione, ma come storico è discutibile, anche perchè la storiografia a differenza della metafisica non è ferma ma può contare su sempre nuovi dati. Del resto Del Ponte ci mostra come, solo che si voglia andare un pò a fondo nell'indagine, l'apporto etrusco alla civiltà romana non smentisca, ma anzi spieghi meglio, i dati della Tradizione, alludendo anche a quei vestigi occidentali di essa a cui si riferiscono i miti di Atlantide, oppure della patria nascosta di Artù, ecc. Si potrebbe dire, azzardo, che anche nei suoi ricordi etruschi Roma riviva nei fatti precedenti e contemporanei alla sua fondazione gli episodi che altre tradizioni hanno trasfuso nel mito. Nè ciò, come sappiamo, significa che la storia primordiale di Roma sia inventata, perchè spesso nell'antichità storia e mito si illuminano dei medesimi significati.
Per quanto riguarda il carattere "matriarcale" della civiltà etrusca non credo che esso- anche quando lo si appurasse con assoluta certezza- escluderebbe il suo ruolo di tramite italico e meditterraneo della fiaccola della Tradizione Primordiale. D'altronde i tradizionalisti di oggi sono forse "sovrani"? Per esempio io non ambisco ad essere un nuove eroe fondatore (eheh), ma solo ad essere il devoto ascoltatore di quei maestri (più sacerdoti che re) che nei tempi moderni si sono resi gerofanti dell'antica sapienza. Non ci sono solo culminazioni verticali (polari), ma anche lunghe fasi orizzontali (appunto l'asse ovest-est) di passaggio: l'importante è che il sacro Fuoco non smetta di ardere sotto le braci.

nhmem
31-05-03, 11:56
Originally posted by milesphoenicis
si, erano parziali...ma da quello che leggo in questo forum, le intuizioni evoliane paiono essere confermate; si è parlato di divinità ctonie...inoltre ciò che Silvia riporta qua http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=22101 e in specie dove viene detto "La donna poteva trasmettere il proprio cognome ai figli, soprattutto nelle classi più elevate della società", pare confermare la natura non-aria e meridionale della cultura etrusca.


Purtroppo ti devi essere perso le mostre su gli Etruschi e la loro civiltà di Venezia e Bologna di un paio di anni fa; ti saresti fatto un altra idea su questi nostri avi.
Per quanto riguarda la trasmissione del cognome della donna la cosa era molto limitata. Era il caso in cui, tra famiglie aristocratiche, la sposa era di una famiglia più importante di quella del marito. Cosa che è successa anche in altre epoche e civiltà.

nhmem
31-05-03, 12:04
Originally posted by Senatore
La questione di fondo, se non mi sbaglio, è la solita: esiste una tradizione italica, con la sua specificità, oppure l'Italia non è nulla prima di Roma, e Roma è solo una propaggine del mondo indoeuropeo?
Credo che Evola possa costituire un riferimento costante come filosofo, metafisico e "maestro" della Tradizione, ma come storico è discutibile, anche perchè la storiografia a differenza della metafisica non è ferma ma può contare su sempre nuovi dati. Del resto Del Ponte ci mostra come, solo che si voglia andare un pò a fondo nell'indagine, l'apporto etrusco alla civiltà romana non smentisca, ma anzi spieghi meglio, i dati della Tradizione, alludendo anche a quei vestigi occidentali di essa a cui si riferiscono i miti di Atlantide, oppure della patria nascosta di Artù, ecc. Si potrebbe dire, azzardo, che anche nei suoi ricordi etruschi Roma riviva nei fatti precedenti e contemporanei alla sua fondazione gli episodi che altre tradizioni hanno trasfuso nel mito. Nè ciò, come sappiamo, significa che la storia primordiale di Roma sia inventata, perchè spesso nell'antichità storia e mito si illuminano dei medesimi significati.
Per quanto riguarda il carattere "matriarcale" della civiltà etrusca non credo che esso- anche quando lo si appurasse con assoluta certezza- escluderebbe il suo ruolo di tramite italico e meditterraneo della fiaccola della Tradizione Primordiale. D'altronde i tradizionalisti di oggi sono forse "sovrani"? Per esempio io non ambisco ad essere un nuove eroe fondatore (eheh), ma solo ad essere il devoto ascoltatore di quei maestri (più sacerdoti che re) che nei tempi moderni si sono resi gerofanti dell'antica sapienza. Non ci sono solo culminazioni verticali (polari), ma anche lunghe fasi orizzontali (appunto l'asse ovest-est) di passaggio: l'importante è che il sacro Fuoco non smetta di ardere sotto le braci.


Caro Senatore hai le idee chiare. Sottoscrivo, cmq la civiltà etrusca per chi la conosce non ha un carattere "matriarcale".
VALE.
;)

milesphoenicis
31-05-03, 18:52
Vi ringrazio delle chiare spiegazioni, e in effetti conosco molto superficialmente la realtà etrusca (anche per le poche conoscenze che mi dicono esserci) e quindi non volevo azzardarmi a discutere di essa, specie con voi che invece siete assai preparati. In effetti non ce l'avevo con gli etruschi in sè (ci mancherebbe :D ), ma la mia domanda era appunto, come diceva senatore "esiste una tradizione italica, con la sua specificità, oppure l'Italia non è nulla prima di Roma, e Roma è solo una propaggine del mondo indoeuropeo? ", o meglio ancora voleva essere
"attribuite, voi che oggi siete pagani, alla tradizione romana un valore indipendente dal suo essere appartenente al mondo ario?"

Vahagn
02-06-03, 00:20
Anch'io davo credito alla versione ottocentesca-fascista-evoliana (durata poi fino a Pallottino, se non sbaglio) degli Etruschi come decisamente matriarcali e ctonii, e in quanto tali contrapposti alla totale solarità di Roma. Ma Dumézil, p. es., ha messo in luce il merito etrusco nella costituzione della 'casta' guerriera romana.
Probabilmente gli elementi si intersecano, e non vi fu con l' etruschità una contrapposizione netta come quella che vi fu tra Roma e Cartagine.

nhmem
02-06-03, 11:33
Originally posted by Vahagn
Anch'io davo credito alla versione ottocentesca-fascista-evoliana (durata poi fino a Pallottino, se non sbaglio) degli Etruschi come decisamente matriarcali e ctonii, e in quanto tali contrapposti alla totale solarità di Roma. Ma Dumézil, p. es., ha messo in luce il merito etrusco nella costituzione della 'casta' guerriera romana.
Probabilmente gli elementi si intersecano, e non vi fu con l' etruschità una contrapposizione netta come quella che vi fu tra Roma e Cartagine.

;)
Bravo Vahagn, unico neo un aggettivo fuori luogo. Recentemente da parte di certa pubblicistica tale aggettivo si era tentoto di attribuirlo alle teorie di Pallottino. :mad: ;)

nhmem
24-04-04, 15:32
Ciclo di conferenze
"IL MONDO DEGLI ETRUSCHI: RITO E RELIGIONE"

sala consigliare del Comune di Carmignano (PO):

Giovedì 29 Aprile - ore 21,15
Rituali e miti nell'Anatolia Hittita
Prof.ssa Franca Pecchioli


Giovedì 6 Maggio - ore 21,15
Il pantheon degli Etruschi
Prof. Adriano Maggiani


Giovedì 13 Maggio - ore 21,15
Gli Etruschi e la divinazione
Prof. Adriano Maggiani

http://www.po-net.prato.it/musei/artimino/img/bucchero.jpg

Mjollnir
25-04-04, 21:04
In Origine Postato da milesphoenicis
Vi ringrazio delle chiare spiegazioni, e in effetti conosco molto superficialmente la realtà etrusca (anche per le poche conoscenze che mi dicono esserci) e quindi non volevo azzardarmi a discutere di essa, specie con voi che invece siete assai preparati. In effetti non ce l'avevo con gli etruschi in sè (ci mancherebbe :D ), ma la mia domanda era appunto, come diceva senatore "esiste una tradizione italica, con la sua specificità, oppure l'Italia non è nulla prima di Roma, e Roma è solo una propaggine del mondo indoeuropeo? ", o meglio ancora voleva essere
"attribuite, voi che oggi siete pagani, alla tradizione romana un valore indipendente dal suo essere appartenente al mondo ario?"

Effettivamente qui bisogna districarsi fra molti e complessi problemi, strettamente legati fra loro.

Io credo che oltre ad analizzare nel dettaglio i rapporti e le influenze fra Etruschi, Romani e mondo italico in generale, bisognerebbe soprattutto cercare di far luce sugli Etruschi in quanto tali, cioè arrivare ad un ritratto sufficientemente chiaro della loro civiltà e - soprattutto - spiritualità. Cercare, dunque, di arrivare ad una percezione globale del fenomeno etrusco, di coglierne - per così dire - la tonalità generale, l'intima essenza.

Compito forse destinato a rimanere inevaso, visto la scarsità e frammentarietà delle conoscenze disponibili...:(

Vahagn
25-04-04, 22:06
Originally posted by nhmem
Caro Senatore hai le idee chiare. Sottoscrivo, cmq la civiltà etrusca per chi la conosce non ha un carattere "matriarcale".
VALE.
;)


In effetti, studiando l'iconografia etrusca, si possono notare, accanto a diversi oggetti recanti rafigurazioni riconducibili al "matriarcato", anche tantissimi analoghi a quelli delle civiltà uraniche e maschili. Gli elementi delle rafigurazioni simboliche - stele funebri, oggettistica domestica, statuaria - mostrano una chiara gerarchizzazione degli elementi naturali rispetto a quello intellettuale. Inoltre ricordo un sacco di affermazioni sprezzanti di Rosenberg, specie in "Der Mythus der XX Jahrhunderts", sul carattere particolarmente "demonico" della concezione etrusca della vita e dell'aldilà etrusco rispetto alle altre tradizioni europee; e ciò non mi sembra confermato da un'analisi dei reperti. Io non ho trovato più dèmoni che preso i greci, i romani, etc. Forse dipende anche dal fatto che tra le poche raffigurazioni pittoriche che si conoscevano c'erano le tombe con i varii Charun, Proserpina, serpi, etc. Ma niente di diverso dai vari guardiani della soglia presso le altre tradizioni dell'area. Basti guardare tuti i serpenti che compaiono nelle pitture murali romane (Pompei). Quelle del Rosenberg, quindi, paiono affermazioni marchiate dal pregiudizio vitalistico ottocentesco, così fecondo in Germania.

Volevo approfittarne per chiedere a nhem che cosa ne pensa dei due libri scritti da un tale Giovanni De Feo proprio sugli Etruschi, per "Stampa Alternativa". Lo so che il nome dell'editrice non promette bene, e che il nome dell'autore è pressoché sconosciuto. Tuttavia - fatta la debita tara degli intenti filo-preromani tipici di certa cultura vicina alle sinistre - mi sembra che il libro sui giganti sia non poco interessante.

nhmem
26-04-04, 19:44
Originally posted by Vahagn
In effetti, studiando l'iconografia etrusca, si possono notare, accanto a diversi oggetti recanti rafigurazioni riconducibili al "matriarcato", anche tantissimi analoghi a quelli delle civiltà uraniche e maschili. Gli elementi delle rafigurazioni simboliche - stele funebri, oggettistica domestica, statuaria - mostrano una chiara gerarchizzazione degli elementi naturali rispetto a quello intellettuale. Inoltre ricordo un sacco di affermazioni sprezzanti di Rosenberg, specie in "Der Mythus der XX Jahrhunderts", sul carattere particolarmente "demonico" della concezione etrusca della vita e dell'aldilà etrusco rispetto alle altre tradizioni europee; e ciò non mi sembra confermato da un'analisi dei reperti. Io non ho trovato più dèmoni che preso i greci, i romani, etc. Forse dipende anche dal fatto che tra le poche raffigurazioni pittoriche che si conoscevano c'erano le tombe con i varii Charun, Proserpina, serpi, etc. Ma niente di diverso dai vari guardiani della soglia presso le altre tradizioni dell'area. Basti guardare tuti i serpenti che compaiono nelle pitture murali romane (Pompei). Quelle del Rosenberg, quindi, paiono affermazioni marchiate dal pregiudizio vitalistico ottocentesco, così fecondo in Germania.

:) ESATTO!!!


Volevo approfittarne per chiedere a nhem che cosa ne pensa dei due libri scritti da un tale Giovanni De Feo proprio sugli Etruschi, per "Stampa Alternativa". Lo so che il nome dell'editrice non promette bene, e che il nome dell'autore è pressoché sconosciuto. Tuttavia - fatta la debita tara degli intenti filo-preromani tipici di certa cultura vicina alle sinistre - mi sembra che il libro sui giganti sia non poco interessante.

A firma "Giovanni De Feo" conosco una bella guida turistica dal titolo "Le città del tufo nella Valle del Fiora" a firma "Giovanni Feo" (credo che si tratti della stessa persona) conosco ben sei titoli partendo da "Dei della terra, Il mondo sotterraneo degli Etruschi" (1991, Ecig) per giungere a
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/mitisegnisimboli.jpg
tutti libri da consultare cum grano salis.

Satyricon
27-04-04, 09:26
Salve,
buon nhmen hai letto il libro di Giovanni Semerano sugli etruschi ("Gli etruschi e la loro lingua") ??

La tesi centrale del libro (che non ho letto) è che quella etrusca è una koiné mediterranea, un incontro tra lingue di vario ceppo, le cui radici sono da ritrovare nell'ampio orizzonte che va da Sumer a Babilonia, dall'Assiria a Ebla.
Secondo Giovanni Semeraro anche molte parole etrusche (e forse gli Etruschi stessi) hanno origine accadica: basta pensare che anche un nome proprio tipicamente etrusco come Tarquinio (ben due dei sette re di Roma si chiamavano Tarquinio) può derivare da Sharrakinu la forma antica del nome del re Sargon, fondatore della civiltà di Accad.


Un piccolo aneddoto racconta che verso la fine degli anni Settanta Giovanni Spadolini, conosciuto Semerano, gli commissionò una ricerca sull'etimologia della parola "Italia" che allora veniva resa come "terra dei vitelli" da "vitulus" (vitello). Semerano segnalò che la "i" di "vitulus" era breve, mentre la "i" di "Italia" era lunga e perciò era presumibile che la parola venisse dall'accadico "Atalu" che significa "terra del tramonto", a cui corrispondeva la parola etrusca "Hinthial" che vuol dire "ombra".

nhmem
27-04-04, 22:26
Originally posted by Satyricon
Salve,
buon nhmen hai letto il libro di Giovanni Semerano sugli etruschi ("Gli etruschi e la loro lingua") ??

Lo ho letto questa estate ma non lo possiedo (era una copia difettosa e avendola acquistata in una libreria nella località dove trascorrevo le ferie, il libraio, non avendone altre copie e non essendo in grado di sostituirmela prima della mia partenza, preferì cambiarmela con altro volume) perchè mi sono sempre scordato di riacquistarlo. Si legge bene ed è quasi convincente (non ho letto le altre sue Opere) ma appena visito o rivisito un museo (o una mostra) Etrusco (a) mi convinco del contrario (e forse è per questo che non mi ricordo mai di ricompralo).


La tesi centrale del libro (che non ho letto) è che quella etrusca è una koiné mediterranea, un incontro tra lingue di vario ceppo, le cui radici sono da ritrovare nell'ampio orizzonte che va da Sumer a Babilonia, dall'Assiria a Ebla.
Secondo Giovanni Semeraro anche molte parole etrusche (e forse gli Etruschi stessi) hanno origine accadica: basta pensare che anche un nome proprio tipicamente etrusco come Tarquinio (ben due dei sette re di Roma si chiamavano Tarquinio) può derivare da Sharrakinu la forma antica del nome del re Sargon, fondatore della civiltà di Accad.

nhmem
28-04-04, 22:06
AL MUSEO PUSKIN DI MOSCA IM MOSTRA IL MONDO DEGLI ETRUSCHI
Fino al 20 giugno una collezione di 350 reperti rivelerà ai russi la grande civiltà degli Etruschi.
I reperti, databili tra il IX sec. ed il I sec. a.C. e provenienti tutti da musei archeologici della Toscana, sono l'emblema della maestria artigianale raggiunta dagli Etruschi nella bronzistica e nella oreficeria.
Tra i reperti esposti: il diadema d'oro della necropoli di Sperandio (Museo Archeologico di Firenze), le collane della Tomba del Littore di Vetulonia (VII sec. a.C.).
La mostra organizzata dalla Regione Toscana, dal Centro promozioni e servizi di Arezzo, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Ministero degli Affari esteri, del Ministero per i Beni e le attività culturali e dell'ambasciata d'Italia a Mosca.
Dal 16 luglio al 31 ottobre 2004 la mostra si sposterà ad Edimburgo al "National Museums of Scotland"

da Newsletter ArcheoItalia.com del 27/04/2004

nhmem
28-04-04, 22:31
Originally posted by Satyricon
Un piccolo aneddoto racconta che verso la fine degli anni Settanta Giovanni Spadolini, conosciuto Semerano, gli commissionò una ricerca sull'etimologia della parola "Italia" che allora veniva resa come "terra dei vitelli" da "vitulus" (vitello). Semerano segnalò che la "i" di "vitulus" era breve, mentre la "i" di "Italia" era lunga e perciò era presumibile che la parola venisse dall'accadico "Atalu" che significa "terra del tramonto", a cui corrispondeva la parola etrusca "Hinthial" che vuol dire "ombra".

"...questa è pur l'Esperia dei Greci, o Vesperia, <<terra del tramonto>>, qui brilla l'astro luminoso di Venere o Vespero e qui, forse, si trova il giardino recondido delle Esperidi, donde Ercole trarrà gli aurei pomi dell'immortalità.
Questa èanche l' Ausonia, o <<terra degli Ausoni>>, che equivale (considerando valida l'etimologia del sabino ausel) alla <<terra del sole>>.
E' dunque il luogo dove il sole, tramontando, si cela, per poi risorgere più potente a nuova vita: infatti, là dove il sole fisico si nasconde, è la fonte di un sole spirituale più ardente che si manifesta onde nuovamente apparire nel mondo. Se è pur vero che ex Oriente lux, così ex Esperia lux recondita: dove nei recessi del monte più sacro d'Italia latet l'antico capostipite dell'età mitico-primordiale, quel rex Saturnus per cui questa è anche la Saturnia tellus.
Esperia, Ausonia, Saturnia, l'Italia è però sopratutto Vitalia, la <<terra della vita>>. Nella regione inaugurata da un re augure, Italus, là dove l'antico Saturnium mare con l'Ausonium si riunisce, dei giovani guerrieri seguaci della teofania taurina di Marte, gli Itali appunto, oscura frazione dell'etnia protolatina, ebbero conclusa una <<sacra primavera>>: iniziando con ciò la fortuna di un nome che affonda le sue radici nel mondo stesso delle origini.



Renato del Ponte

da: Dei e miti italici, III ed., Genova 1998, Ecig, pp. 156-157 (non sono state riportate le note).

Vahagn
30-04-04, 22:01
Originally posted by nhmem
:) ESATTO!!!



A firma "Giovanni De Feo" conosco una bella guida turistica dal titolo "Le città del tufo nella Valle del Fiora" a firma "Giovanni Feo" (credo che si tratti della stessa persona) conosco ben sei titoli partendo da "Dei della terra, Il mondo sotterraneo degli Etruschi" (1991, Ecig) per giungere a
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/mitisegnisimboli.jpg
tutti libri da consultare cum grano salis.

Esatto, è proprio Giovanni Feo, e non Giovanni De Feo. E il libro a cui mi riferivo è "Prima degli Etruschi. I miti della grande Dea e dei Giganti alle origini della civiltà in Italia".

nhmem
01-05-04, 00:02
Succede anche questo (dal "Corriere della Sera" del 30/04/2004 Cronaca di Roma):

Parco di Veio, nella «grotta delle anatre»
Clandestini «residenti» nelle tombe etrusche

La Soprintendenza: «Facciamo il possibile per controllare un territorio così vasto»


Per loro erano solo grotte immerse nel verde del parco di Veio. Isolate dal resto del mondo e arroccate in cima a un dirupo pressoché inaccessibile. In realtà erano tombe etrusche, di quelle che nell’antichità venivano riservate alle famiglie di ceto medio e per questo motivo rivolte verso il tramonto, a differenza di quelle plebee scavate a terra o di quelle patrizie esposte a est. Da parecchie settimane una ventina di clandestini romeni avevano occupate tre sepolcri nei pressi delle «grotte delle anatre», un suggestivo complesso archeologico avvolto nel tufo e nell’argilla nei pressi di via dell’Isola Farnese, trasformando i loculi in altrettante abitazioni di fortuna dove avevano sistemato materassi, cucine a gas e suppellettili varie, in condizioni igieniche al limite della sopportazione. L’altra notte i carabinieri della compagnia Cassia e della stazione La Storta hanno bloccato tre romeni sorpresi nelle tombe a prepararsi da mangiare. Vasile Paul Stojka, 28 anni, Joan Sandou, di 33, e Mihai Ungureanu, di 39, sono stati arrestati per invasione di edifici, danneggiamento e violazione della legge sull'immigrazione. «Non sapevamo dove andare - si sono giustificati i tre romeni - qui è tranquillo, lontano dalla strada. D’inverno fa molto freddo, ma in primavera ci si può stare...». I romeni, clandestini come i loro 17 connazionali che sono stati identificati (fra questi c’erano anche alcune donne), avevano modificato la struttura delle tombe attaccando con i chiodi diversi fogli di cellophane spessi un dito per isolare i loculi dall’umidità. Tutto intorno i carabinieri hanno scoperto un’enorme discarica di rifiuti in uno dei punti più belli del parco, a ridosso del fosso Piordo, un torrente che attraversa numerosi paesini a nord di Roma. Secondo gli investigatori non è escluso che della piccola comunità romena facciano parte anche pregiudicati responsabili di recenti furti nelle ville dell’Olgiata. La zona è di competenza della sovrintendenza ai Beni culturali per l’Etruria meridionale a Valle Giulia. «Facciamo quello che possiamo per controllare un territorio molto vasto - ha spiegato uno dei due custodi addetti alla sorveglianza - ma siamo pochi e più di tanto non si può pretendere da noi». Già nel ’98 i carabinieri scoprirono un altro insediamento abusivo di extracomunitari nel parco di Veio. E da allora i militari dell’Arma hanno intensificato i controlli, con frequenti passaggi a cavallo e in elicottero. Questa volta a far scoprire le tombe occupate sulle sponde del Piordo è stato invece un ambientalista, che ha notato i romeni tornare nelle tombe seguendo un sentiero ancora sconosciuto. Almeno fino a ieri.
Rinaldo Frignani




Scusate per l'OT :mad:

nhmem
01-05-04, 00:08
Originally posted by Vahagn
Esatto, è proprio Giovanni Feo, e non Giovanni De Feo. E il libro a cui mi riferivo è "Prima degli Etruschi. I miti della grande Dea e dei Giganti alle origini della civiltà in Italia".

Avevo capito. Ripeto da usare cum grano salis ;)

Mjollnir
01-05-04, 01:53
Gli autori latini erano concordi nel definire gli etruschi un popolo religiosissimo esperto nell'arte divinatoria. Ebbero infatti un'articolata letteratura religiosa, oggi purtroppo irrimediabilmente perduta. Esistevano una serie di rigide regole che determinavano il rapporto tra gli dèi e gli uomini (quella che costituiva la ''disciplina etrusca", ossia scienza etrusca), quindi sul rito e sull'interpretazione della volontà divina. Di queste norme possiamo farci solo un'idea attraverso alcuni passi di Cicerone, Plinio il Vecchio, Livio o Seneca (che si rifacevano a traduzioni che non ci sono pervenute) e tramite rarissimi documenti etruschi come la "mummia di Zagabria" o il "fegato di Piacenza". Sappiamo inoltre che quella etrusca fu una religione rivelata attraverso le profezie di esseri superiori come il fanciullo Tagete e la ninfa Vegoe o Vegonia. Fra gli etruschi delle origini la divinità appare sempre in modo molto impreciso, sia nell'aspetto che nelle mansioni ed è ragionevole pensare che in principio vi fosse un'unica entità divina che si manifestava in molteplici modi, assumendo connotati diversi. Tra l'VIII e il VI secolo a.C. si assiste alla trasformazione della religione etrusca. Dalla Grecia vennero importate in Etruria nuove divinità; quelle indigene assunsero figura umana e col tempo ereditarono le caratteristiche e le mansioni degli dèi dell'Olimpo classico.

Mjollnir
01-05-04, 01:54
Le più antichità divinità degli etruschi rappresentavano le forze della natura, distruttrici e creatrici al tempo stesso: Tarconte era il dio della tempesta, distruttore ma anche dispensatore di benefica pioggia; Velka era il dio del fuoco e, insieme, della vegetazione. Sommo dio dell'Etruria - dice Varrone - era Velthune (in latino Vertumnus o Voltumna), il multiforme, che rappresentava l'eterno mutare della stagioni ed era adorato nel santuario federale di Volsinii. All'antico pantheon appartenevano anche gli dèi Selvans (Silvano) e Ani, e la dea Northia, divinità probabilmente del fato. Dal VII secolo a.C. molte divinità di fondo originariamente etrusco vennero assimilate agli dèi olimpici: la divinità superiore Tinia (o Tin), rappresentata sempre col fulmine, fu l'equivalente di Zeus ossia Juppiter (Giove); lo stesso avvenne con Uni, compagna di Tinia, che divenne Hera, ossia la Iuno latina (Giunone). Turan, la dea dell'amore, fu assimilata ad Afrodite e quindi alla Venus (Venere) latina; Menerva ad Athena (Minerva); Maris ad Ares (Marte); Nethuns a Poseidon (Nettuno); Turms a Hermes (Mercurio); Fufluns a Dionisio (Bacco); Sethlans a Efesto (Vulcano); di Castor e Pollux (Castore e Polluce, i Dioscuri) diventati Castur e Pultuce, ecc.. Ci furono anche dèi nuovi, importati direttamente dal mondo greco, che conservarono il loro nome appena etruschizzato: Artemis (ossia Diana) divenne Aritimi, Apollon (Apollo) fu chiamato Apulu, Heracles (Ercole) cambiò in Hercle. Controversa è l'origine etrusca delle ''triadi" che conosciamo con certezza soltanto nel mondo romano: non è chiaro se la triade capitolina Giove-Giunone-Minerva corrisponda a Tinia-Uni-Menerva. Di sicura origine greca sono invece le coppie ("diadi"), come quella degli dèi infernali Ade e Persefone (in etrusco Aita e Phersipnai). Gli Etruschi credevano nell?ineluttabilità del destino, al limite potevano solo rendere più piacevole la loro permanenza terrena, per questo motivo compivano feste e riti magici. Credevano nell?aldilà, in particolare nell?inferno, che aveva una porta di accesso, detta mundus, sorvegliato dalla terribile figura del demone Tuchulcha, mostro con orecchie d?asino, il muso di avvoltoio e i capelli fatti da serpenti. Questa figura fa maggiormente la sua presenza nella fase di declino della cultura etrusca, caratterizzata dalla presenza di morte e persecuzioni.
Il demone degli inferi era Charun, che accompagna i morti nell?aldilà, da cui si rievoca la figura di Caronte, portava indosso un mantello ed aveva in mano un martello, simile a quello impiegato oggi per la sepoltura del Papa, con il quale si tocca tre volte la tempia del pontefice defunto. Un gioco funebre caratteristico è quello legato al mito di Phersu, da cui ha origine la parola "persona", che aizza un cane contro una persona con la testa coperta da un sacco, che lentamente viene legata. Il cane sbrana la persona e sta a testimoniare l?ineluttabilità del destino. Le tombe rappresentavano le scene di vita quotidiana: gioia, feste, pranzi e, negli ultimi anni, dolore e terrore. Adottarono un calendario introdotto dai Tarquini, con influenze mesopotamiche, e poi modificato da Cesare, con l?aiuto sempre di tirreni. In esso si ricordavano feste e appuntamenti sacri. Suddivisero la loro era in dieci saeculum dopo dei quali ci sarebbe stata la fine della civiltà tirrenica, come in realtà fu confermato dalla storia.

Mjollnir
01-05-04, 01:57
Lo spazio ?sacro?, orientato e suddiviso, risponde ad un concetto che in latino si esprime con la parola templum. Esso riguarda il cielo, o un'area terrestre consacrata - come il recinto di un santuario, di una città, di un'acropoli, ecc. -, ovvero anche una superficie assai più piccola (ad esempio il fegato di un animale utilizzato per le pratiche divinatorie), purchè sussistano le condizioni dell'orientamento e della partizione secondo il modello celeste. L'orientamento è determinato dai quattro punti cardinali. congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest decumanus nella terminologia dell'urbanistica e dell'agrimensura romana che sappiamo strettamente collegate alla dottrina etrusco-italica.

http://storiafi.altervista.org/popoli/etruschi61.jpg

Posto idealmente lo spettatore nel punto d'incrocio delle due rette, con le spalle a settentrione, egli ha dietro di se tutto lo spazio situato a nord del decumanus. Questa metà dello spazio totale si chiama appunto «parte posteriore» (pars postica). L'altra metà che egli ha dinnanzi agli occhi, verso mezzogiorno, costituisce la «parte anteriore» (pars antica). Una analoga bipartizione dello spazio si ha nel senso longitudinale del cardo: a sinistra il settore orientale, di buon auspicio (pars sinistra o jamiliaris); a destra il settore occidentale, sfavorevole (pars d extra o hostilis). La volta celeste, così orientata e divisa, s'immaginava ulteriormente suddivisa in sedici parti minori, nelle quali erano le abitazioni di diverse divinità. Questo schema appare riflesso nelle caselle del bordo esterno (appunto in numero di sedici) e nelle caselle interne (ad esse corrispondenti, seppure in maniera non del tutto chiara) del fegato di Piacenza. Tra i numi dei sedici campi celesti, citati da M. Cappella, e i nomi divini in scritti sul fegato esistono indubbie concordanze, ma non una corrispondenza assoluta, perche l'originaria tradizione etrusca pervenne presumibilmente alterata nelle fonti del tardo scrittore romano, con qualche spostamento nelle sequenze. Ciò nonostante è possibile ricostruire un quadro approssimativo del sistema di ubicazione cosmica degli dèi secondo la dottrina etrusca. Esso ci mostra che le grandi divinità superiori, fortemente personalizzate e tendenzialmente favorevoli, si localizzavano nelle plaghe orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinità della terra e della natura si collocavano verso mezzogiorno; le divinità infernali e del fato, paurose ed inesorabili, si supponevano abitare nelle tristi regioni dell'occaso, segnatamente nel settore nord-ovest, considerato come il più nefasto.
La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è di buono o di cattivo augurio. Indipendentemente dal punto di origine, una complicata casistica riguardante le caratteristiche del segnale (per esempio la forma, il colore, l'effetto del fulmine, o il giorno della sua caduta) aiuta a precisarne la natura: se si tratti cioè di un richiamo amichevole, o di un ordine, o di un annuncio senza speranza e così via. Lo stesso valore esortativo o profetico hanno le speciali caratteristiche presentate dal fegato di un animale sacrificato, preso in esame dall'aruspice, secondo una corrispondenza delle sue singole parti con i settori celesti. Così l'«arte fulguratoria» e l'aruspicina, le due forme tipiche della divinazione etrusca, appaiono strettamente collegate; ne fa meraviglia che esse possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, come quel L. Cafatius di cui si rinvenne a Pesaro l'epitafio bilingue e che fu appunto haruspex (in etrusco netsvis) e fulguriator (cioè inrerprete dei fulmini: in etrusco trutnvt frontac o trutnvt?). Uguali norme devono aver presieduto all'osservazione divinatoria del volo degli uccelli, come intravvediamo specialmente da fonti umbre (Tavole di Gubbio) e latine. A tal proposito ha speciale importanza lo spazio terrestre d'osservazione, e cioè il templum augurale, con il suo orientamento e le sue partizioni, cui senza dubbio si ricollega la disposizione non soltanto dei recinti sacri, ma dello stesso tempio vero e proprio, cioè l'edificio sacro contenente il simulacro divino, che in Etruria appare di regola orientato verso sud o sud-est, con una pars antica che corrisponde alla facciata ed al colonnato ed una pars postica rappresentata dalla cella o dalle celle. E del pari le regole sacre dell'orientamento si osservano (almeno idealmente) nella planimetria delle città (concreto esempio monumentale è Marzabotto in Emilia), e nella partizione dei campi.
In tutte queste concezioni e queste pratiche, come in generale nelle manifestazioni rituali etrusche, si ha l'impressione, come già accennato, di un abbandono, quasi di una abdicazione dell'attività spirituale umana di fronte alla divinità: che si rivela nella duplice ossessione della conoscenza e dell'attuazione della volontà divina, e cioè da un lato nello sviluppo delle pratiche divinatorie, da un altro lato nella rigida minuziosità del culto. Così anche l'adempimento o la violazione delle leggi divine, nonche le riparazioni attuate attraverso i riti espiatorii, sembrano essere soprattutto formali, al di fuori di un autentico valore etico, secondo concezioni largamente diffuse nel mondo antico, che però appaiono soprattutto accentuate nella religiosità etrusca. Ma è possibile che almeno gli aspetti più rigidi di questo formalismo si siano definiti soltanto nella fase finale della civiltà etrusca, e precisamente nell 'ambito di quelle classi sacerdotali le cui elaborazioni rituali e teologiche trovarono la loro espressione nei libri sacri, forse favorite dal desiderio dei sacerdoti stessi di accentrare nelle loro mani l'interpretazione della volontà divina e quindi la direzione della vita spirituale della nazione.
Un altro aspetto, che si ricollega alla mentalità primitiva degli Etruschi, è l'interpretazione illogica e mistica dei fenomeni naturali, che persistendo sino in età molto recente viene a contrastare in maniera drammatica con la razionalità scientifica dei Greci. A questo riguardo è particolarmente significativo e rivelatore un passo di Seneca (Quaest. nat., II, 32, 2) a proposito dei fulmini: Hoc inter nos et Tuscos...interest: nos putamus, quia nubes collisae sunt, fulmina emitti,. ipsi existimant nubes collidi, ut fulmina emittantur," nam, cum omnia addeum referant, in ea opinionesunt, tamquam non, quiafactasunt, significent, sed quia significatura sunt, fiant. (La differenza fra noi [cioè il mondo ellenistico-romano] e gli Etruschi... è questa: che noi riteniamo che i fulmini scocchino in seguito all'urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far scoccare i fulmini; tutto infatti attribuendo alla divinità, sono indotti ad opinare non già che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma piuttosto che esse avvengano perche debbono avere un significato...).

Mjollnir
01-05-04, 02:00
La mistica unità del mondo celeste e del mondo terrestre si estende verisimilmente anche al mondo sotterraneo, nel quale è localizzato, secondo le dottrine etrusche più evolute, il reame dei morti. Gran parte delle nostre conoscenze sulla civiltà degli antichi Etruschi proviene, come è noto, dalle tombe (la stragrande maggioranza delle iscrizioni è di carattere funerario; alle pitture, alle sculture, alle suppellettili sepolcrali siamo debitori dei dati fondamentali sullo sviluppo delle forme artistiche e sugli aspetti della vita). Ed è naturale che le tombe ci offrano, più o meno direttamente, indizi sulle credenze relative alla sorte futura degli uomini e sui costumi e sui riti collegati a queste credenze. Ciò nonostante siamo ancora ben lungi dall'avere una idea chiara dell'escatologia etrusca. Motivi complessi e contrastanti denunciano livelli diversi di mentalità religiosa ed influenze eterogenee. Ne risultano problemi tuttora in parte irresoluti, singolarmente affascinanti.
Il carattere stesso delle tombe e dei loro equipaggiamenti, soprattutto nelle fasi più antiche, offre una testimonianza inequivocabile del persistere di concezioni primitive universalmente diffuse nel mondo mediterraneo, secondo le quali la individualità del defunto, comunque immaginata, sopravvive in qualche modo congiunta con le sue spoglie mortali, là dove esse furono deposte. Ne consegue l'esigenza, fondamentale per i superstiti, di garantire, difendere, prolungare concretamente questa sopravvivenza, non soltanto come tributo sentimentale di affettuosa pietà, ma come obbligo religioso non disgiunto, probabilmente, da timore. A questo genere di concezioni appartiene in Etruria, come altrove (e segnatamente nell'antico Egitto), la tendenza ad immaginare il sepolcro nelle forme di una casa, a dotarlo di arredi e di oggetti d'uso, ad arricchirlo di figurazioni pregne, almeno originariamente, di significato magico (specialmente pitture tombali con s.cene di banchetto, di musica, di danze, di giuochi atletici, ecc.), a circondare il cadavere delle sue vesti, dei suoi gioielli e delle sue armi; a servirlo con cibi e bevande; ad accompagnarlo con figurine di familiari; e, infine, a riprodurre l'immagine somatica del morto stesso, per offrire un incorruttibile «appoggio» allo spirito minacciato dal disfacimento del corpo, onde in Etruria (come già in Egitto) sembra nascere il ritratto funerario. Ma quale sia l'effettiva e più profonda natura delle idee religio- se che traspariscono esteriormente in così fatte costumanze e come esse abbiano potuto sussistere ed evolversi accanto ad altre credenze è cosa ancora tutto sommato assai oscura.
All'origine della storia delle città etrusche vediamo infatti dominare pressoche esclusivo un rito funebre, quale è quello della cremazione, che non può non riflettere concetti estranei a quelli del legame materiale tra spirito e corpo del defunto; che anzi, almeno nella piena età storica, esso sembra talvolta significare un'idea di «liberazione» dell'anima dai ceppi della materia verso una sfera celeste. Tanto più curioso è osservare come nelle tombe etrusche del periodo villanoviano e orientalizzante le ceneri e le ossa dei morti bruciati si contengano talvolta in urne in forma di abitazioni o entro vasi che tentano di riprodurre le fattezze del morto (i così detti "canopi" di Chiusi): ciò che rivela, già dai tempi più antichi del formarsi della nazione etrusca, una mescolanza di credenze e forse anche un riaffermarsi delle tradizionifunerarie mediterranee sul costume diffuso dai seguaci della cremazione. Ne si può affermare che l'idea della sopravvivenza nella tomba escluda assolutamente una fede nella trasmigrazione delle anime verso un regno dell"'al di là". Ma è certo che in Etruria quest'ultima concezione si venne affermando e concretando progressivamente sotto l'influsso della religione e della mitologia greca, con l'attenuarsi delle credenze primitive: e si configurò secondo la visione dell'averno omerico, popolato da divinità ctonie, spiriti di antichi eroi ed ombre di defunti. Già nei monumenti del Ve IV secolo, e poi soprattutto in quelli di età ellenistica, la sorte futura è rappresentata come un viaggio dell'anima verso il regno dei morti e come un soggiorno nel mondo sotterraneo. Soggiorno triste, senza speranza, a volte dominato dallo spavento che incute la presenza di mostruosi dèmoni, o addirittura dai tormenti che essi infliggono alle anime. È, in sostanza, la materializzazione dell'angoscia della morte in una escatologia essenzialmente primitivistica. E a simboleggiare la morte sono specialmente due figure infernali: la dea Vanth dalle grandi ali e con la torcia, che, simile alla greca Moira, rappresenta il fato implacabile; e il dèmone Charun, figura semibestiale armata di un pesante martello, che può considerarsi una paurosa deformazione del greco Caronte dal quale prende il nome. Sia di Vanth sia di Charun esistono moltiplicazioni, forse con una propria individualità ed un proprio secondo nome. Ma la demonologia infernale è ricca e pittoresca, e conosce altri personaggi, come l'orripilante Tuchulcha dal volto di avvoltoio, dalle orecchie d'asino e armato di serpenti; accoglie largamente la simbologia di animali ctonii, come il serpente e il cavallo.
Anche per questa fase più tardiva le fonti monumentali, nei loro aspetti frammentari ed esteriori, sono insufficienti a darci un'idea sicura e completa delle credenze contemporanee sull'oltretomba. Stando alle pitture e ai rilievi sepolcrali, parrebbe che il destino dei morti fosse inesorabilmente triste ed uguale per tutti: la legge crudele non risparmia neanche i personaggi più illustri, la cui affermazione di superiorità si limita ai costumi sfarzosi, agli attributi delle cariche rivestite e al seguito che li accompagna nel viaggio agli inferi. Esistono tuttavia nella tradizione letteraria, alcuni accenni più o meno espliciti a consolanti dottrine di salvazione, e cioè alla possibilità che le anime conseguano uno stato di beatitudine o addirittura q i deificazione, attraverso speciali riti che sarebbero stati descritti dagli Etruschi nei loro Libri Acherontici. Un prezioso documento originale di queste cerimonie di suffragio, con prescrizioni di offerte e di sacrifici a divinità specialmente infernali, sembra esserci conservato nel testo etrusco della tegola di Capua, che risale al V secolo a.C.. Non sappiamo fino a che punto allo sviluppo di queste nuove concezioni escatologiche abbia contribuito il diffondersi in Etruria di dottrine orfiche, pita- goriche e, più ancora, dionisiache (il culto di Bacco è, in verità, largamente attestato anche in rapporto con il mondo funerario). Comunque le speranze di salvazione sembrano restare collegate al concetto delle operazioni magico-religiose, proprie di una spiritualità primitiva, piuttosto che dipendere da un superiore principio etico di retribuzione del bene compiuto in vita.

Mjollnir
01-05-04, 02:03
Le testimonianze monumentali, i documenti scritti etruschi e i riferimenti delle fonti letterarie classiche offrono numerosi dati per la ricostruzione della vita religiosa e delle forme del culto. Si tratta di costumanze che, almeno per quel che riguarda gli aspetti sostanziali (luoghi sacri e templi, organizzazione del sacerdozio, sacrifici, preghiere, offerte di doni votivi, ecc.), non differiscono profondamente dalle analoghe manifestazioni del mondo greco, italico e, specialmente, romano. Ciò si spiega per un verso considerando i comuni orientamenti spirituali della civiltà greco-italica a partire dall'età arcaica, per altro verso tenendo conto della fortissima influenza esercitata dalla religione etrusca su quella romana. Uno studio delle antichità religiose etrusche non può quindi prescindere dal quadro, ben altrimenti particolareggiato e complesso, che in materia rituale ci presentano la Grecia e Roma: tanto più difficile è determinare i riflessi che le concezioni proprie della mentalità religiosa etrusca ebbero, con motivi peculiari, nella prassi del culto.
Sarà, in primo luogo, da attribuire agli Etruschi quella concreta e quasi materialistica adesione a norme sancite ab antiquo, quel preoccupato formalismo dei riti, quel frequente insistere sui sacrifici espiatorii, che si avvertono nell'ambito delle tradizioni religiose romane come un elemento in certo senso estraneo alla semplice religiosità agreste dei prisci Latini e indizio della presenza di un fattore collaterale che non può non riportarsi ad una antica e matura civiltà cerimoniale, quale è appunto l'etrusca. Questa ars colendi religiones (secondo l'espressione di Livio nel passo sopra citato) risponde in pieno al senso di subordinazione dell'uomo alla divinità, che sappiamo predominante nella religiosità etrusca e presuppone la fede nella efficacia magica del rito, proprio delle mentalità più primitive. La concretezza degli atti cultuali si manifesta nella precisa determinazione dei luoghi, dei tempi, delle persone e delle modalità, entro i quali e attraverso i quali si compie l'azione stessa volta ad invocare o a placare la divinità: quell'azione che i Romani chiamavano nel loro complesso res divina e gli Etruschi probabilmente ais(u)na (cioè, appunto, servizio "divino", da ais "dio"): donde, anche, la parola umbra esono "sacrificio". Essa si svolge nei luoghi consacrati (tempia) dei quali si è fatta già menzione: recinti con altari ed edifici sacri contenenti immagini delle divinità. Sovente questi edifici sono orientati verso sud e sud-est. Il concetto di consacrazione al culto di un determinato luogo o edificio è forse espresso in etrusco dalla parola sacni (donde il verbo sacnisa): questa condizione può estendersi, come in Grecia e nel mondo italico e romano, ad un complesso di recinti e templi, per esempio sulle acropoli delle città (Marzabotto); carattere in certo senso analogo hanno anche le tombe, presso le quali o entro le quali si compiono sacrifici funerari o si depongono offerte.
Speciale importanza deve avere avuto in Etruria la regolamentazione cronologica delle feste e delle cerimonie, che, insieme con le modalità delle azioni sacre, costituiva la materia dei Libri Rituales ricordati dalla tradizione. Il massimo testo rituale etrusco, tramandatoci nella lingua originale -e cioè il manoscritto su tela parzialmente conservato nelle fasce della mummia di Zagabria - contiene un vero e proprio calendario liturgico, Con l'indicazione dei mesi e dei giorni ai quali si riportano le cerimonie descritte. È probabile che altri documenti fossero redatti nella forma attestata dai calendari sacri latini: e cioè come una elencazione consecutiva di giorni contrassegnati dal solo titolo delle feste o dal nome della divinità celebrata.
Il calendario etrusco era forse analogo al calendario romano precesareo: conosciamo il nome di alcuni mesi e sembra che le "idi", circa a metà del mese, abbiano un nome di origine etrusca; ma il computo dei giorni del mese segue generalmente, a differenza del calendario romano, una numerazione consecutiva. Ogni santuario ed ogni città doveva avere, come è logico, le sue feste particolari: tale è appunto il caso del sacni cilfh (santuario di una città non altrimenti identificabile), al quale fa riferimento il rituale di Zagabria. Le celebrazioni annuali del santuario di Voltumna presso Volsinii avevano invece carattere nazionale, come sappiamo dalla tradizione. Tra le cerimonie e gli usi sacri può ricordarsi quello della infissione dei chiodi per segnare gli anni (clavi annales) nel tempio della dea Nortia a Volsinii, ricordato a proposito dell'analogo rito del tempio di Giove Capitolino a Roma. Anche per intendere la natura e l'organizzazione dei sacerdozi siamo costretti ad avvalerci del confronto con il mondo italico e romano.
Abbiamo in ogni caso indizi per ritenere che essi fossero varii e specializzati, strettamente collegati con le pubbliche magistrature e sovente riuniti in collegi. Il titolo sacerdotale cepen (con le variante cipen attestata in Campania), particolarmente frequente nei testi etruschi, è ad esempio seguito spesso da un attributo che ne determina la sfera d'azione o le specifiche funzioni: come nel caso di cepen fhaurx, che senza dubbio indica un sacerdote funerario (da fhaura «tomba»). La dignità sacerdotale in genere o specifici sacerdozi sono designati anche con altre parole: quali eisnevc (in rapporto con aisna, l'azione sacrificale), celu, forse santi, ecc. Si hanno inoltre i sacerdoti divinatori: e cioè gli aruspici (netsvis), rappresentati nei monumenti con un costume caratteristico composto di un berretto a terminazione cilindrica e di un manto frangiato, e gl'interpreti dei fulmini (trutnvt?). Il titolo marun-, è, come già sappiamo, in rapporto con funzioni sacrali, per esempio nel culto di Bacco (marunux paxanati, maru paxafhuras): si osservi il doppio titolo cepen marunuxva, che indica probabilmente un sacerdozio con le funzioni proprie dei maru. Si può ricordare anche il titolo zilx cexaneri, nel quale si è voluto intendere qualcosa come "curator sacris faciundis", (ma è congettura molto opinabile). Probabilmente a confraternite si riferiscono termini collettivi quali paxafhuras, formalmente analoghi a quelli che esprimono aggregati gentilizi (per es. Velfhinafhuras nel senso dei membri della famiglia Velfhina) o altri collegi.
A Tarquinia esisteva in età romana un arda LX haruspicum veri similmente di antica origine. Uno degli attributi dei sacerdoti era illituo, bastone dall'estremità ricurva, che è però frequentemente rappresentato nei monumenti anche in rapporto ad attività profane, per esempio in mano ai giudici delle gare atletiche. L 'azione del culto è volta ad interrogare la volontà degli dèi, secondo le norme dell'arte divinatoria; e quindi ad invocare il loro aiuto e perdono attraverso l'offerta. È probabile che l'una e l'altra operazione fossero strettamente collegate tra loro; benche sia ricordata dalle fonti letterarie una distinzione tra vittime sacrificate per la consultazione delle viscere (hastiae cansultatariae) e vittime destinate all'offerta vera e propria, in sostituzione dei sacrifici umani (hastiae animales). Del pari intrecciate in complicati cerimoniali sembrano le offerte incruente (di liquidi e cibi) con quelle cruente di animali. Il grande rituale di Zagabria e il rituale funerario della Tegola di Capua descrivevano minuziosamente, in tono prescrittivo e con un linguaggio tecnico specializzato, queste liturgie; ma lo stato delle nostre cognizioni della lingua etrusca non ci consente di stabilire con esattezza il significato di molti 'termini impiegati nella descrizione dei riti e, pertanto, di ricostruirne in pieno lo svolgimento. La preghiera, la musica, la danza dovevano avere larga parte nelle cerimonie. Una scena di culto con offerte è rappresentata nella parete di fondo della Tomba del Letto Funebre di Tarquinia.
I doni votivi offerti nei santuari, per grazie chieste o ricevute, consistono per lo più di statue di bronzo, pietra, terracotta, raffiguranti le divinità stesse e gli offerenti, o anche animali, in sostituzione delle vittime, e parti del corpo umano; inoltre vasi, armi, ecc. Questi oggetti che erano ammassati in depositi o favisse, recano spesso iscrizioni dedicatorie. Essi variano per valore artistico e per pregio (la massima parte è costituita da modeste figuri ne di terracotta lavorate a stampo): ciò che indica, intorno ai grandi centri del culto, una diffusa e profonda religiosità popolare.

Mjollnir
01-05-04, 02:05
Dopo che i sacerdoti avevano ottenuto attraverso la divinazione la conoscenza del volere divino, si dava attuazione a tutto ciò che ne derivava dal punto di vista del comportamento, sulla base delle norme che facevano anch'esse parte della ''disciplina etrusca" ed erano oggetto di trattazione nei Libri Rituales. Queste norme si traducevano (e si esaurivano) in una serie impressionante di pratiche, cerimonie e riti rigidamente codificati e ripetuti meccanicamente fino a diventare puro e semplice formalismo. Essi toccavano sia gli aspetti religiosi della vita degli etruschi sia quelli civili, secondo il principio che ''ogni azione umana doveva essere compiuta in conformità della disciplina". E per ogni rito, cerimonia di culto o servizio divino doveva essere stabilito con precisione il luogo, il tempo, il modo, lo scopo, la persona preposta e, naturalmente, la divinità che veniva chiamata in causa. Le funzioni sacre si svolgevano perciò in luoghi rigidamente circoscritti e consacrati (templi, santuari, altari) e il loro svolgimento era codificato fin nei minimi particolari tanto che, se veniva sbagliato od omesso anche un solo gesto, tutta l'azione doveva essere ripetuta da capo. Musica e danza vi trovavano ampio spazio. Oltre all'uso di sacrificare bovini, ovini e volatili, particolarmente diffuso era quello dei doni votivi che potevano andare dagli ex voto (statue e statuine di divinità e di offerenti), alle prede di guerra (armi, carri), agli stessi edifici sacri (dedicazione di un tempio o di un sacello).
Tra le pratiche di carattere religioso quelle destinate ai defunti avevano presso gli etruschi un carattere tutto particolare. Esse erano legate alla concezione (del resto diffusa in altre civiltà del Mediterraneo) che l'attività vitale del defunto, la sua ''individualità" continuasse anche dopo la morte e che questa sopravvivenza avesse luogo nella tomba. Spettava però ai vivi, ai familiari e dei parenti, garantire la sopravvivenza dell'entità vitale del defunto al quale doveva essere data una tomba, cioè una nuova casa, e un corredo di abiti, oggetti d'uso personali, cibi, di cui si serviva simbolicamente o magicamente. Per la stessa ragione vitalità e forza venivano trasmesse al defunto con giochi e gare atletiche che si svolgevano in occasione dei funerali o delle ricorrenze anniversarie della morte. Quanto alle pratiche proprie dei funerali, la prassi non era dissimile da quella che avveniva altrove: esposizione del cadavere al compianto pubblico e alle lamentazioni di donne appositamente pagate (prefiche), corteo funebre e banchetto presso la tomba. Il culto della ''sopravvivenza" nel sepolcro era ulteriormente sviluppato nel culto degli antenati e in particolar modo del capostipite, specie delle famiglie gentilizie. Tra il V e il IV secolo a.C., però, la fede della sopravvivenza del morto nella tomba cambiò sotto l'effetto delle suggestioni provenienti dalla civiltà greca. Ad essa si sostituì la concezione di un ''mondo dei morti" (simile all'Averno o all'Ade) dove le ''ombre" soggiornavano. Ai defunti vennero allora dedicati particolari riti di suffragio, stabiliti dai Libri Acherontici, e offerte alle divinità infere (in particolare il sangue di alcuni animali) che potevano consentire alle anime il conseguimento di uno speciale stato di beatitudine

Mjollnir
01-05-04, 02:07
Secondo gli etruschi gli dèi condizionavano il mondo e ogni azione umana: occorreva quindi "tradurre" la loro volontà andando in cerca dei segni attraverso i quali essa si manifestava. Perciò era necessario avere a disposizione un codice che interpretasse quei segni e un prontuario di norme precise e costanti che per ogni segno indicasse il conseguente comportamento atto a soddisfare (e quindi a seguire) la volontà degli dèi. Questo complesso di conoscenze fu chiamato dai romani ''disciplina etrusca" i cui principi ispiratori erano fatti risalire dagli etruschi all'intervento rivelatore della stessa divinità. Essa si sarebbe servita di esseri mitici o semidei (come il fanciullo Tagete o la ninfa Vegoe) i quali avrebbero ''dettato" le verità soprannaturali e insegnato agli uomini l'arte di avvicinarsi ad esse: in pratica la divinazione. Appositi collegi sacerdotali, che si tramandavano la professione di padre in figlio, erano preposti all'interpretazione dei segni della volontà divine: i fulguratores osservavano le traiettorie dei fulmini, gli àuguri interpretavano i voli degli uccelli, gli arùspici leggevano il fegato delle pecore e di altri animali sacrificati. Le dottrine divinatorie, e tutte le altre che formavano il corpus minuzioso e vastissimo dei riti etruschi, erano tramandati nei testi della cosiddetta ''disciplina etrusca": i Libri Haruspicini, svelati dal fanciullo Tagete, trattavano la consultazione delle viscere degli animali; i Libri Fulguratores, il cui contenuto era stato manifestato dalla ninfa Vegoe, riguardavano la scienza dei fulmini; i Libri Rituales, svelati anch'essi dalla ninfa Vegoe, trattavano della suddivisione della volta celeste, della gromatica (ripartizione dei campi), dei riti e delle modalità per la fondazione delle città e per la consacrazione dei santuari, e infine degli ordinamenti civili e militari. Esistevano poi i Libri Acherontici, svelati da Tagete, che esponevano le credenze nell'oltretomba e dettavano le norme per i riti di salvazione. Infine v'erano i Libri Fatales, nei quali si trattava dei dieci secoli di vita assegnati dal Fato alla nazione etrusca, e i Libri Ostentaria che trattavano dell'interpretazione dei prodigi e dei fenomeni naturali.

Mjollnir
01-05-04, 02:13
L?osservazione e l?interpretazione dei fulmini era regolata da una casistica alquanto complessa. Grande importanza avevano il luogo e il giorno in cui essi apparivano, ma anche la forma, il colore e gli effetti provocati. Le varie divinità che avevano la facoltà di lanciarli disponevano, ciascuna, di un solo fulmine alla volta, mentre Tinia ne aveva a disposizione tre. Il primo era il fulmine ?ammonitore? che il dio lanciava di sua spontanea volontà e veniva interpretato come avvertimento; il secondo era il fulmine che ?atterrisce? ed era considerato manifestazione d?ira; il terzo era il fulmine ?devastatore?, motivo di annientamento e di trasformazione: Seneca scrive che esso ?devasta tutto ciò su cui cade e trasforma ogni stato di cose che trova, sia pubbliche che private?. I fulmini erano variamente classificati a seconda che il loro avviso valesse per tutta la vita o solamente per un periodo determinato oppure per un tempo diverso da quello della caduta. C?era poi il fulmine che scoppiava a ciel sereno, senza che alcuno pensasse o facesse nulla, e questo, sempre stando a quel che dice Seneca, ?o minaccia o promette o avverte?; quindi quello che ?fora?, sottile e senza danni; quello che ?schianta?; quello che ?brucia?, ecc. Ma Seneca parla anche di fulmini che andavano in aiuto di chi li osservava, che recavano invece danno, che esortavano a compiere un sacrificio, ecc. Con un tale groviglio di possibilità, solo i sacerdoti esperti potevano sbrogliarsi. Plinio il Vecchio arriva ad affermare che un sacerdote esperto poteva anche riuscire a scongiurare la caduta di un fulmine o, al contrario, riuscire con speciali preghiere, ad ottenerla. Resta da dire che dopo la caduta di un fulmine c?era l?obbligo di costruire per esso una tomba: un piccolo pozzo, ricoperto da un tumuletto di terra, in cui dovevano essere accuratamente sepolti tutti i resti delle cose che il fulmine stesso aveva colpito, compresi gli eventuali cadaveri di persone uccise dalla scarica. Naturalmente, il luogo e la tomba erano considerati sacri e inviolabili ed essendo ritenuto di cattivo auspicio calpestarli, erano recintati e accuratamente evitati dalla gente, quali ?nefasti da sfuggire?, come scriveva nel I secolo d.C. il poeta romano Persio originario dell?etrusca Volterra.

Mjollnir
01-05-04, 02:15
Le viscere degli animali di cui si servivano gli Aruspici (dette in latino exta) erano di diverso tipo: polmoni, milza, cuore, ma specialmente fegato (in latino hepas). Esse venivano strappate ancora palpitanti dal corpo degli animali appena uccisi ed espressamente riservati alla consultazione divinatoria e quindi distinti da quelli immolati per il sacrificio. Esse venivano strappate ancora palpitanti dal corpo degli animali appena uccisi ed espressamente riservati alla consultazione divinatoria e quindi distinti da quelli immolati per i sacrifici. Si trattava in genere di buoi e talvolta anche di cavalli ma soprattutto di pecore.
Delle viscere dovevano essere prese in considerazione la forma, le dimensioni, il colore ed ogni minimo particolare, specialmente gli eventuali difetti. Quando non rivelavano nulla di apprezzabile per la divinazione, erano ritenute ?mute? e inutilizzabili; erano invece ?adiutorie? quando indicavano qualche rimedio per scampare ad un pericolo; ?regali? se promettevano onori ai potenti, eredità ai privati, ecc.; ?pestifere? quando minacciavano lutti e disgrazie. L?osservazione era più minuziosa nel caso del fegato, dato che in esso, per l?aspetto generale e per la particolare conformazione, veniva riconosciuto il ?tempio terrestre? corrispondente al ?tempio celeste?. La sua importanza era del resto connessa alla credenza diffusa presso gli antichi che esso fosse la sede degli affetti, del coraggio, dell?ira e dell?intelligenza. Ritenuto che nel fegato fosse esattamente proiettata la divisione della volta celeste, si trattava di riconoscere a quale delle caselle di quella corrispondessero, nel fegato, le irregolarità. Le imperfezioni, i segni particolari o anche le regolarità, e quindi prendere in considerazione i messaggi della divinità che occupava la casella interessata. Per meglio riuscire nell?intento, per l?istruzione dei giovani aruspici, venivano utilizzati degli appositi modelli di fegato, in bronzo o in terracotta, sui quali erano riprodotte le varie ripartizioni e scritti i nomi delle diverse divinità.

Mjollnir
01-05-04, 02:16
La fama di insuperabili interpreti di viscere e fulmini, della quale godevano gli Etruschi, era completata da quella che li riteneva anche esperti conoscitori del significato di ogni genere di prodigi. Il romano Varrone, che desumeva evidentemente da fonti etrusche, riferisce che tra i prodigi si distinguevano l?ostentum, che prediceva il futuro; il ?prodigio?, che indicava il da farsi; il ?miracolo?, che manifestava qualcosa di straordinario; il ?mostro?, che dava un avvertimento. Tra i prodigi più frequenti erano annoverati la pioggia di sangue, la pioggia di pietre e quella di latte, gli animali che parlavano, la grandine, le comete, le statue che sudavano, ecc. In aggiunta alle manifestazioni di carattere straordinario, nelle categorie dei prodigi rientravano anche fatti del tutto naturali: c?erano perciò alberi e animali ?felici? o ?infelici?, cioè portatori di cattivo o di buon auspicio, piante commestibili che portavano bene e piante selvatiche che portavano male. La casistica era infinita: ad essa tutti prestavano in genere molta attenzione, magari per tradizione o per rispetto della comune opinione.

Mjollnir
01-05-04, 02:17
Seneca (II 32 ss.) e Plinio (II,135 ss:) hanno conservato una larga parte di excepta dai libri fulgorales etruschi e della loro minuziosa casistica (soprattutto delle opere del volterrano Cecina). Il principio basilare e' quello secondo il quale: alcuni Dei posseggono le Manubiae, ovvero le potesta' di scagliare i fulmini.(Serv. Aen. I,42.) In particolare 9 dei (Plin. n. h.,II,138), forse da identificare con i misteriosi dii novensiles o novensides della lista di Marziano Capella, ma noti anche in dediche romane.
I tipi di Fulmine sono 11 per 9 Dei, perche' Tinia (Tin = Giove) possiede 3 manubiae. (Plin. n.h., II, 138; Sen. n.q. II,41) Le 3 manubie possono distinguersi per il loro significato e per il fatto di essere scagliati da Giove da solo o con il "consiglio" degli altri Dei.
Prima manubia: del Solo Tinia
Seconda manubia: di Tinia + i 12 Dei Consentes
Terza Manubia: di Tinai + Dei Involuti
I 3 tipi di fulmini possono essere di natura fisica (Fest. p. 114 L; Sen. n.q. II, 40) oppure per alcuni (Serv. auct. Aen. VIII, 429)
ostentatorium = dimostrativo
(dopo consultazione con i 12 Dei Consentes. Segno di Ira degli Dei.Utile e dannoso serve per impaurire). peremptorium = perentorio
(Dopo consultazione con i Dei superiores et involuti. Devasta. Indica che tutto verra' radicalmente trasforamato nella vita pubblica o privata.)
presagum = presago
(Di avvertimento per suadere (convincere) o dissuadere (far cambiare idea)).
Da Seneca ..manubia placata est et ipsius concilio iovis mittitur.
oppure per altri (Serv. Aen. I, 230)
quod terreat = che atterisce
quod adflet = che soffia
quod puniat = che punisce
Degli altri 9 Dei abbiamo solo degli indizi,dalle fonti letterari, per 5 di essi:
Uni = Giunone
Menerva = (Mnrva,Menrua,Meneruva,Merva,Merua,Mera)= Minerva
Sethlans = Vulcano
Mari = (Mars,Maris) Marte
Satres = (Satrs) Saturno
La dottrina romana del fulmine attribuiva i fulmini notturni a Summanus e tenendo conto del fegato di Piacenza e cio' che dice Capella probabilmente il corrispondente etrusco potrebbe essere Cilen - Nocturnus. Mentre l'identita' tra Vetisl etrusco e Vediovis o Veiovis romano farebbe attribuire a questo una manubia infera, anche in considerazione di uno Zeus sbarbato munito di fulmine frequente nella iconografia etrusca. Anche per i fulmini vale la dottrina delle 16 regioni che vale per l'epatoscopia.(Plin. n.h. II, 143)
L'esame del fulmine (e del tuono) da parte dell'aruspice prevedeva una casitica precisa, enunciataci da Seneca (n.q. II ,48 ,2 ):


Da parte di quale Dio proviene

quale = di che tipo e'

quantum = la durata

ubi factum sit, cui = l'oggetto colpito

quando, in qua re = in che circostanza

Per quel che riguarda il tipo:
1) di che colore era il fulmine
manubiae albae = bianche = forse di Tinia
manubiae nigrae = nere = di Sethlans
manubiae rubrae = rosse = forse di Mari
Provenienti dai Pianeti associati al nome divino e non dal Dio.
I fulmini provenienti da Satres provenivano anche dalla Terra in inverno ed erano detti Infernali.

2) genus:
l'acre del fulmine, il grave del tuono, intensita' e capacita' erano di 3 tipi:
quod terebrat = che perfora,sottile e fiammeggiante.
quod dissipat = che si disperde,passante,capace di rompere senza perforare.
quod urit = che brucia in 3 modi
come un soffio (afflat) e senza grave danno bruciando dando fuoco

3) C' erano fulmini Secchi - Umidi e Clarum (Plinio)
Per quel che riguarda l'oggetto colpito i fulmini possono essere
fatidica = cioe' portatori espressi di segni eventualmente comprensibili (fata)
bruta = privi di significato
vana = il cui significato si perde
l'oggetto puo' essere
schiantato = discutere
non rompersi = terebrare
essere + o - affumicato = urere
restare affumicato = fuscare

Per quel che riguarda l'auruspice Seneca dice che il sacerdote procedeva
con l'analisi sistematica = quomodo exploremus
con l'interpetazione dei segni = quomodo interpretemus
con l'espiazione, propiziazione e purificazione = quomodo exoremus
Ma soprattuto il sacerdote non era solo in grado di leggere i segni
ma anche di evocarli con l'attirare (exorare) il fulmine.

Mjollnir
01-05-04, 02:18
Il segno più importante, la "voce" più potente della divinità era il fulmine, che proveniva direttamente dal dio supremo Tinia; l'ars fulguratoria, cioè quella di trarre dalla sua osservazione tutte le informazioni possibili, era quindi al primo posto nella divinazione etrusca. Era regolata da una casistica alquanto complessa che teneva conto della parte del cielo in cui il fulmine appariva (la volta celeste era divisa in sedici parti, abitata ognuna da una divinità), della forma, del colore, degli effetti provocati e del giorno della caduta. Oltre all'osservazione dei fulmini (cheraunoscopia) c'era un'altra forma di divinazione molto generalizzata alla quale era possibile ricorrere ogni volta che fosse ritenuto utile o necessario senza dover attendere altre forme di prodigi dipendenti invece dal caso, come appunto il fulmine. Era l'epatoscopia, o lettura del fegato degli animali sacrificati, che i romani chiamavano haruspicina. Il fegato, la cui immagine si riteneva fosse proiettata la divisione della volta celeste, veniva strappato ancora palpitante dal corpo dell'animale (pecora, bue, cavallo) e se ne osservavano le regolarità e irregolarità a ognuna delle quali era attribuito un messaggio. Per questo venivano usati degli appositi modelli in bronzo o in terracotta sui quali erano riprodotte le varie ripartizioni e scritti i nomi delle divinità. Fra i modelli giunti sino a noi il più celebre è il "Fegato di Piacenza". Oltre al fegato gli arùspici leggevano anche altre viscere come il cuore, i polmoni, la milza

Mjollnir
01-05-04, 02:19
Fra i dettami della disciplina etrusca famoso in tutta l'antichità era quello della fondazione di città per il quale erano previste meticolosissime disposizioni. Gli aùguri cominciavano col delimitare una porzione di cielo consacrata proprio in funzione del rito (e definita con il termine significativo di templum) all'interno della quale trarre gli auspici dedotti dal volo degli uccelli che la attraversavano, dai fenomeni meteorologici che in quel perimetro potevano verificarsi, o da altre manifestazione considerate provenienti dalle divinità. Erano poi individuati il centro della città stessa e delle principali direttrici viarie scavando fosse in cui venivano deposte offerte e sovrapposti cippi che fungevano sia da punti di riferimento sia da luoghi sacrali. Veniva poi tracciato con un aratro dal vomere di bronzo un solco continuo che disegnava il perimetro delle mura, interrotto solo là dove si sarebbero aperte le porte delle città; il solco diventava subito linea inviolabile per tutti gli uomini e attraversarlo equivaleva ad attaccare la città. Lungo tutto il perimetro delle mura correva inoltre, tanto all'esterno quanto all'interno, un'ampia fascia di terreno (il pomerium) che non doveva essere né coltivata né edificata e che era dedicata alla divinità. Una solenne cerimonia di sacrificio inaugurava la città così prefigurata. La fondazione di Roma a opera di Romolo e Remo così come ce l'hanno tramandata le leggende è un'applicazione puntuale del rito etrusco: i gemelli che osservano il volo degli uccelli per decidere chi dei due dovesse dare il nome alla città, il solco tracciato da Romolo, l'uccisione di Remo che, saltando all'interno del perimetro, profana i sacri confini e "invade" la nuova fondazione.

Mjollnir
01-05-04, 02:20
Dal momento che con le arti divinatorie veniva raggiunta la conoscenza del volere divino, si trattava di dare attuazione a tutto ciò che ne derivava dal punto di vista del comportamento. Occorreva cioè agire sulla base delle norme prescritte dalla ?disciplina? e oggetto della trattazione specifica dei ?libri rituali?. Tali norme si traducevano in una serie interminabile di pratiche, di cerimonie, di riti. Si dovevano perciò determinare i luoghi, i tempi e i modi nei quali e con i quali doveva essere eseguito quello che veniva chiamato il ?servizio divino? (aisuna o aisna, da ais che significa dio), nell?indicazione delle persone alle quali l?azione competeva e, naturalmente, prima di tutto, della divinità alla quale essa era dedicata. I luoghi dovevano essere circoscritti, delimitati e consacrati; i tempi regolati dalla successione cronologica delle feste e delle cerimonie previste ed elencate nei calendari sacri; i modi rispettati fin nei minimi particolari, tanto che, qualora fosse stato sbagliato oppure omesso un solo gesto, tutta l?azione avrebbe dovuto essere ripresa da capo. Nelle funzioni trovavano ampio spazio la musica e la danza; le preghiere potevano essere d?espiazione, di ringraziamento o di invocazione; i sacrifici cruenti riguardavano particolari categorie di animali; le offerte comprendevano prodotti della terra, vino, focacce e altri cibi preparati.
Particolarmente diffusa, tanto a livello di religiosità ?ufficiale? quanto a livello di religiosità popolare, era l?usanza dei doni votivi. Nel primo caso poteva trattarsi di statue o altre opere d?arte, di oggetti particolarmente preziosi, di prede di guerra e di edifici sacri; nel secondo caso i doni erano solitamente piccoli oggetti, per lo più di terracotta (ma anche di bronzo, di cera e mollica di pane) che i fedeli compravano nelle apposite rivendite presso i santuari.

Mjollnir
01-05-04, 02:21
Durante il periodo villanoviano, il corpo del defunto era spesso cremato; le sue ossa combuste venivano raccolte in un apposito vaso che per la sua forma gli archeologi hanno chiamato "biconico", poichè costituito da due coni contrapposti, collegati per le basi (museo archeologico-topografico, sala di Roselle ecc.). In genere, questo contenitore ha soltanto un' ansa (quando ve n'erano due, una veniva ritualmente spezzata). Inoltre, la sua bocca è coperta da una ciotola, anch'essa munita di una sola ansa; oppure, nel caso che il defunto fosse appartenuto alla classe dei guerrieri, è talvolta coperta da un elmo. Il vaso e il corredo funebre, composto dagli oggetti più cari al defunto, vengono deposti in un "pozzetto", scavato appositamente nel terreno; talvolta, le sue pareti vengono foderate con lastre di pietra e l'apertura ne è chiusa con un lastrone. In alcune zone dell'Etruria d'epoca villanoviana i cinerari hanno la forma di capanna, le cosiddette "urne a capanna" appunto (museo archeologico-topografico, sala di Vetulonia), quasi a voler ricostruire per il defunto la sua casa terrena.
Il corredo mostra alcune differenze, soprattutto a livello di sesso: spesso la presenza di un rasoio distingue la deposizione dell'uomo, mentre quella della donna è evidenziata da oggetti usati per la filatura, come un fuso o una fuseruola. Successivamente, nell'VIlI secolo a.C. il corredo che accompagna il defunto diventa più prezioso, aumentano gli oggetti di metallo, soprattutto in bronzo, e compa- provenienti dalla Grecia; cominciano inoltre altri tipi di sepolture, contraddistinte da dimensioni maggiori, come le tombe a fossa, nelle quali viene deposto il defunto inumato. Con l'inizio di questo tipo di sepoltura, il rito cambia; in- fatti, il corpo del defunto non è cremato, ma è deposto in una fossa scavata nel terreno, munita talvolta di pareti foderate con lastre di pietra -Sovana-, come i "pozzetti". In alcune aree dell'Etruria, per esempio a Vetulonia, più tombe di questo tipo vengono riunite entro circoli di pietre, quasi a voler tener uniti i membri di una medesima famiglia.
La differente ricchezza presente nei contesti funebri è un dato molto importante perche segnala, all'interno della società etrusca, il formarsi di una diversa stratificazione sociale rispetto alla più omogenea situazione del periodo villanoviano. Nel periodo orientalizzante, nel VII secolo a.C., troviamo tombe costruite o scavate nella roccia; la scelta fra le due possibilità è dovuta ai diversi tipi di formazione geologica presenti nelle differenti aree e, per molti decenni, i membri di una stessa famiglia (gens) vengono sepolti all'interno di una medesima tomba . I corredi raggiungono talora livelli di ricchezza eccezionali; la tomba assume carattere monumentale, manifestando così la potenza della famiglia a cui appartiene. Un lungo dròmos (corridoio) porta all'interno della tomba, in cui è scavata o costruita la camera funeraria sotterranea; all'esterno la protegge un tumulo artificiale di terra, contenuto da un "tamburo" (un muro circolare) di pietra. Dal VI secolo a.C. diminuiscono le dimensioni delle tombe, scompare il loro aspetto monumentale e si assiste talvolta a una specie di "pianificazione edilizia" all'interno della necropoli, come quella della Necropoli del Crocifisso del Tufo a Orvieto. Il dato archeologico ci fa comprendere, in tale caso, che la grande aristocrazia, quella proprietaria dei monumentali tumuli, ha perso potere in quest'area, lasciando spazio a un ceto medio. Le costruzioni monumentali permangono in uso solo in alcune zone dell'Etruria. A Populonia troviamo nella seconda metà del VI secolo un tipo di costruzione piuttosto origi nale, la cosiddetta "tomba a edicola", il cui esterno è simile a una piccola casa munita di un tetto a doppio spiovente. Nel periodo ellenistico ci sono ancora tombe di proporzioni monumentali, come quelle di Sovana o di Norchia, le note e affascinanti tombe rupestri scavate nella roccia tufacea. Le loro facciate imitano quelle dei templi o dei palazzi, come si rileva per la tomba Ildebranda a Sovana. S'intendeva evidentemente eroizzare il defunto, deponendo il suo corpo all'interno di un vero e proprio "tempio"; vicino alla tomba vi possono essere altari per le celebrazioni cultuali dei defunti. Nello stesso periodo, a Volterra le tombe vengono scavate nella roccia tufacea; sulle loro banchine, ricavate nella pietra, troviamo urne contenenti le "ceneri" dei defunti di una medesima gens . Tali "urnette", prodotte dalle botteghe locali in alabastro o tufo, sono decorate sulla cassa con rilievi più o meno alti, raffiguranti scene mitologiche tratte dal repertorio greco (Iliade, Odissea, ecc. ) oppure legati al mondo etrusco (il congedo del defunto dai propri cari, mostri dell'aldilà ecc.). Il coperchio "rappresenta" in genere il defunto/a disteso sul letto da banchetto. Il viso della persona effigiata non è inteso quale ritratto nel senso proprio del termine, ma piuttosto una ?tipologia? di volto, che raffigura per esempio una "giovane donna" oppure un "uomo anziano".
Nel II secolo a.C., accanto a questo tipo di urna cineraria, rivolta a una committenza appartenente a un ceto "medio", compaiono urnette in terracotta, provenienti dal territorio di Chiusi, realizzate a matrice e deposte in tombe a "nicchiotto" semplicemente scavate. Furono fatte per una classe sociale economicamente meno rilevante, che tuttavia ebbe notevole fortuna politica nell'Etruria Settentrionale del tempo. In alto, sulla cassa, è scritto il nome del defunto, a testimoniare la diffusione dell'alfabetizzazione, ormai raggiunta anche da ceti sociali "subalterni".

Mjollnir
01-05-04, 02:22
Il Museo Archeologico di Firenze rivela al visitatore un aspetto interessante della civiltà etrusca, talvolta non del tutto conosciuto. Il fenomeno riguarda in particolare la città di Chiusi, le cui manifestazioni connesse all'arte e all'artigianato rivelano, già nel VII secolo a.C., una tendenza all'antropomorfizzazione: i vasi canopi. Sono ossuari realizzati in genere con ceramica di impasto, ma talvolta anche in metallo (bronzo), cinerari che presentano per coperchio una raffigura zione stilizzata della testa del defunto; qualche volta, il "vaso" ha due piccole braccia disegnate a rilievo e può essere collocato sulla rappresentazione miniaturizzata di un sedile (Museo archeologico-topografico, sala di Chiusi). Qualcosa di simile troviamo anche nel periodo Villanoviano, quando per coperchio del vaso biconico è posto un elmo, quasi a voler restituire un 'integrità fisica al defunto.
Successivamente, nel V secolo a.C., questa tendenza diventa ancora più evidente con la presenza, sempre nella città di Chiusi, di statue cinerario: grandi sculture, come quella della Mater Matuta, scolpite in pietra, che ospitano in una cavità interna le "cene ri" del defunto, mentre la testa amovibile della statua funge da "chiusura?.

Mjollnir
01-05-04, 02:23
Gli scavi archeologici delle necropoli ci hanno fornito molti dati sulla civiltà etrusca. Un fattore costante nell'ideologia funeraria etru- sca risulta la tomba, sentita come dimora del defunto. Abbiamo già riferito di alcune urne cinerarie conformate "a capanna", ma anche taluni monumenti funerari possono denotare questo aspetto. L'ingresso della tomba può essere costituito da una porta in pietra con tanto di battenti e, a guardia di essa come a custodia di un'abitazione terrena, sono poste statue di animali fantastici, quali sfingi leonine, o più vicini alla realtà, come i leoni; oppure, a testimonianza dell' importanza del defunto, troviamo statue rigididamente composte di prefiche. Talvolta le camere sotterranee delle tombe gentilizie riproducono fedelmente la pianta e l'interno di un'abitazione, il cui "arredo" viene allora "scolpito" nell'interno: sedie, letti, porte modanate, le stesse suppellettili, nonche i tetti a doppio spiovente con l'orditura delle travi del soffitto. Medesima decorazione si riscontra nella forma e nel coperchio di alcune urne cinerarie, che hanno l' aspetto esteriore identico a quello di una casa. Da tutto ciò emerge chiaramente l'immagine di un mondo dell'aldilà molto prossimo a quello terreno. Gli oggetti che facevano parte del corredo funebre testimoniano la volontà degli Etruschi di ricreare nell'oltretomba la realtà di ogni giorno. Un'ulteriore testimonianza di ciò è notoriamente rappresentata dalle pitture delle tombe, che spesso riproducono scene di vita quotidiana e in particolare di banchetto.

Mjollnir
01-05-04, 02:24
Tra le pratiche di carattere religioso, un posto del tutto particolare occupavano quelle che avevano come destinatari i defunti. Nei primi tempi, esse erano legate alla concezione della continuazione dopo la morte di una speciale attività vitale del defunto. A tale concezione si accompagnava l?idea che quell?attività avesse luogo nella tomba e fosse in qualche modo congiunta alle spoglie mortali. Dato però che tutto dipendeva dalla collaborazione dei vivi, i familiari del defunto erano tenuti a garantire, agevolare e prolungare per quanto possibile la ?sopravvivenza? con adeguati provvedimenti.
La prima esigenza da soddisfare era quella di dare al morto una tomba, che sarebbe diventata la sua nuova casa; subito dopo veniva quella di fornirgli un corredo di abiti, ornamenti, oggetti d?uso e, insieme, una scorta di cibi e bevande. Il resto era un arricchimento e poteva variare a seconda del rango sociale del defunto e delle possibilità economiche degli eredi. Si poteva così foggiare la tomba nell?aspetto sia pure parziale o soltanto allusivo della casa, e dotarla di suppellettili e arredi, e magari affrescarla sulle pareti con scene della vita quotidiana o dei momenti più significativi della vita del defunto. Quanto alle pratiche proprie dei funerali, esse andavano dall?esposizione al compianto pubblico al corteo funebre al banchetto davanti alla tomba. Tutte queste pratiche, insieme alle cerimonie e ai riti che dovevano essere compiuti in onore di divinità connesse con la sfera funeraria, facevano parte di un autentico culto dei morti, sacro da rispettare e da venerare. La situazione tuttavia cambiò con il tempo: infatti, per effetto delle suggestioni provenienti dal mondo greco, nel corso del V secolo a .C., alla primitiva fede di sopravvivenza del morto nella tomba, si sostituì l?idea di uno speciale regno dei morti. Questo fu immaginato sul modello dell?Averno (o Acheronte) greco, il regno dei morti, governato dalla coppia divina di Aita e Phersipnai (Ade e Persefone greci).

Mjollnir
01-05-04, 02:26
Tutto il materiale tratto da: http://storiafi.altervista.org/popoli/etruschi1.htm

nhmem
01-05-04, 22:32
Originally posted by Mjollnir
... All'antico pantheon appartenevano anche gli dèi Selvans (Silvano) e Ani

Su Ani riconfermo quanto detto in precedenza http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=470213#post470213

nhmem
01-05-04, 23:01
http://www.isa.it/tuscia/storia/etrus.htm

nhmem
14-05-04, 22:42
Originally posted by Mjollnir
Tutto il materiale tratto da: http://storiafi.altervista.org/popoli/etruschi1.htm

Lo stesso materiale si trova anche in http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/religione.html

Mjollnir
17-05-04, 02:39
In Origine Postato da nhmem
Su Ani riconfermo quanto detto in precedenza http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=470213#post470213

Quindi non solo non assimilabile a Giano, ma non esistente presso gli Etruschi ???
Dovrò passare al setaccio tutti i messaggi per espellerlo :( :D

In ogni caso, nhmem, cosa te ne pare delle note di cui sopra ?

nhmem
18-05-04, 00:34
Originally posted by Mjollnir
Quindi non solo non assimilabile a Giano, ma non esistente presso gli Etruschi ???

Esatto non è mai esistito. E' stato il frutto di una cattiva lettura del fegato di Piacenza ormai superata da almeno 15 anni. Il Giano Etrusco è CULSANS. Una bellissima statua che lo rappresente si trova a Cortona presso l'Accademia Etrusca ed è stata utilizzata per la copertna del libro Il dio Giano di Nuccio D'Anna (Sear 1992). In vecchi libri si trovano ancora riferimenti ad Ani (vedi anche il buon Dumèzil, e sbagliano i traduttori ha non inserire note esplicative a correzione) ma a fare riferimento adesso ad Ani si rischia il ridicolo.


Dovrò passare al setaccio tutti i messaggi per espellerlo :( :D

No, basta ricordarsi della cosa e regolarsi di conseguenza.


In ogni caso, nhmem, cosa te ne pare delle note di cui sopra ?

Ho dato solo una scorsa. Mi ero riproposto di leggerli con calma prima possibile.

nhmem
27-05-04, 00:11
http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=42

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=100665

nhmem
01-06-04, 22:17
da http://www.antikitera.net/news.asp?numnews=594

Riemerge il favoloso regno etrusco?

30 Maggio 2004

Il favoloso regno del re etrusco Porsenna sta lentamente venendo alla luce sulle colline toscane presso Firenze, secondo un professore universitario italiano.
Conosciuta come Chamars, dove il re lucumone Porsenna regnò nel VI secolo a.C., questa era la capitale della civiltà etrusca che dominò gran parte dell’Italia prima dell’emergere di Roma.
Fu da qui che - si dice - Porsenna avrebbe sferrato il suo attacco vincente su Roma, nell’intento di rimettere sul trono l’esiliato Tarquinio il Superbo. Porsenna diede l’assedio alla città, ma accettò un accordo di pace e si ritirò.
Se confermata, la scoperta potrebbe aiutare a comprendere meglio uno dei popoli più misteriosi d’Europa. Potrebbe persino indicare la posizione della mitica tomba del re etrusco.
Plinio il Vecchio racconta che la tomba di Porsenna consisteva in un labirinto di 300 metri quadrati, sormontato da piramidi. Secondo la leggenda, fu ornata con un carro d’oro, 12 cavalli d’oro, una gallina e 5,000 polli d’oro.
“A parte la leggenda, ritengo che Chamars sia quasi stata trovata. Era la più grande città italiana prima di Roma e rappresenta l’intera civiltà toscana dalle origini al suo declino” ha dichiarato Giuseppe Centauro, professore di restauro urbano all’Università di Firenze, che ha lavorato a progetti di restauro a Pompei.
Vivendo in una stretta confederazione di città sparse attorno al fiume Po nel nord e alla Campania nel sud, gli Etruschi seppero creare una delle più raffinate civiltà precedenti ai romani.
Si svilupparono in tempi preistorici attorno al 900 a.C., e dominarono la maggior parte del paese per circa cinque secoli. Nel 90 d.C., dopo secoli di declino, divennero cittadini romani.
Non resta letteratura a registrare la loro cultura. Poche tracce del loro linguaggio – di radice non indo-europea – ancora sopravvivono. Solo le tombe riccamente decorate che ci hanno lasciato, ci offrono uno sguardo nel loro mondo.
Centauro ritiene che Chamars fosse collocata tra le montagne di Prato ed il Monte Morello di Firenze, in una remota provincia che era una volta usata dalle bande di criminali sarde per nascondere le vittime dei loro rapimenti.
L’area ha già svelato, in effetti, alcuni importanti elementi.
Due secoli fa, gli operai al lavoro per la costruzione di una casa, hanno dissotterrato la scoperta più preziosa che l’area ha prodotto, una statuetta di bronzo di un giovane uomo, databile attorno al 500-480 a.C., che si trova attualmente esposta al British Museum.
Più recentemente, nel corso dei lavori di scavo di alcune fondazioni, ci si è imbattuti nei resti di quello che gli archeologi, annunciando la scoperta nelle scorse settimane, hanno definito “una delle città etrusche più complete mai scoperte”.
Databile al V secolo a.C., l’insediamento fu costruito sulle rive del fiume Bisenzio, poco al di fuori di quelle che Centauro sostiene essere state le mura difensive di Chamars.
“La città era certamente abbandonata. Un’ipotesi è che fu invasa dalle acque del fiume Bisenzio” spiega Gabriella Poggesi, archeologo in carica per lo scavo.
Se interrogata sulla scoperta della città presso il fiume e la possibilità di trovare Chamars, la Poggesi non commenta le ipotesi di Centauro.
Centauro ed il suo gruppo di esperti hanno esposto dettagliatamente tutte le scoperte nell’area attorno alla città recentemente scoperta. Ritengono che gli insediamenti trovati sino ad ora siano soltanto alcuni dei villaggi satellite all’interno delle mura di Chamars.
Il suo gruppo aveva già scoperto le mura di pietra che circondano un’area di sette miglia quadrate. All’interno di quest’area, vi sono varie tombe, estese fondazioni di case, ed un sistema idrico sofisticato di canali e bacini artificiali.
Da un lato, mura difensive spesse 10 piedi emergono dalla vegetazione per circa 700 iarde.
“Le mura sembrano ben preservate. Speriamo di trovare più evidenze di siti abitati, così rare in luoghi che sono stati successivamente abitati”
In un’area lungo il settore orientale delle mura cittadine, si trova un’area rurale conosciuta come Chiusi, dove Centauro ritiene si trovasse Clusium, un insediamento presso Chamars, che fu attaccato e assediato dal generale romano Silla nell’89 a.C.
Se le ipotesi di Centauro fossero corrette, ciò potrebbe confermare lo scritto di Plinio e indicherebbe che la tomba di Porsenna potrà finalmente essere individuata.
Plinio il Vecchio scrive che il corpo di Porsenna fu seppellito “sub urbe Clusio” – sotto la città di Clusium, “con catene e campane che suonavano quando le muoveva il vento.”
Ufficiali regionali hanno fino ad ora respinto qualsiasi richiesta di scavare l’area, principalmente occupata da territori di proprietà privata.
“Il nostro compito è preservare, prima di tutto” ha dichiarato Angelo Bottini, sovrintendente di archeologia della Regione Toscana.
“Personalmente, non credo alle ipotesi di Centauro. Ma l’archeologia non è una scienza esatta e qui siamo aperti alle proposte. Per esempio, non avremmo nessun problema ad autorizzare lo scavo di rispettabili ricercatori di un’Università Americana” ha dichiarato Bottini.
Molti esperti contestano che le rovine scoperte da Centauro siano quelle di Chamars, ritenendo che l’antica città fossa invece situata in quella che è ora Chiusi, a sud ovest di Firenze. Centauro, invece, insiste che si sbaglino.
“Chamars e Clusium sono spesso state confuse con la moderna Chiusi per via delle somiglianze del loro nome” ha dichiarato. “Questo è il motivo per cui fino ad ora nessuno l’ha mai trovata”.

Fonte: it.geocities.com/newsarcheo
del 21 aprile 2004

nhmem
08-08-04, 17:13
Al parco naturalistico archeologico di Vulci , in mostra i dipinti "della François"

http://www.vulci.it/?id_articolo=39&da=0

http://www.vulci.it/images/Active/eroi_1.jpg

nhmem
08-08-04, 17:19
http://www.vulci.it/images/Active/Articolo-orari.jpg

nhmem
11-09-04, 16:12
"Il Lago degli Idoli" - Profilo storico sul ritrovamento

La conca naturale, posta a 1400 m. di quota, che oggi appare al visitatore come una delle tante piccole valli del Falterona prive di vegetazione arborea, era ancora agli inizi del XIX secolo un piccolo lago denominato "lago della Ciliegeta".
Nel maggio 1838, in seguito al ritrovamento fortuito sulle rive del lago di una statuetta in bronzo raffigurante Ercole, prendeva avvio a Stia la formazione di una Società di "amatori" locali con lo scopo di effettuare ulteriori ricerche.
Gli scavi portarono al prosciugamento dello specchio d'acqua e al ritrovamento di una delle più ricche stipi votive del mondo etrusco, che fece assumere al sito la denominazione di "Lago degli Idoli".
Furono recuperati infatti oltre 600 bronzetti, tra statuette a forma umana complete, piccole teste, parti anatomiche e figure di animali, oltre a diverse fibule, una gran quantità di monete, numerosi frammenti di armi in ferro e di ceramica.
I reperti furono offerti alle Regie Gallerie di Firenze, che ne rifiutarono l'acquisto accordando però il permesso di vendita della collezione formatasi. Questa venne esposta a Roma e successivamente venduta a singoli pezzi o a gruppi, della maggior parte dei quali si sono perse le tracce.
A tutt'oggi siamo a conoscenza che solo due bronzetti della primitiva raccolta sono ancora conservati in Casentino presso privati.
Della raccolta ottocentesca, esposta a Roma, rimangono i disegni di alcuni bronzetti che G.Micali pubblicò nel 1844; tramite tale documentazione è stato così possibile rintracciarne altri due: uno a Baltimora e uno a Parigi.
Probabilmente i pezzi più pregiati, furono ceduti al British Museum di Londra e al Louvre di Parigi, fra il 1844 ed il 1847, infatti al British sono visibili, oltre a due arti votivi, quattro bronzetti a figura intera ed una testina, al Louvre altri cinque bronzetti a figura intera.
Nel 1972, in seguito al ritrovamento nello stesso sito di altri tre bronzetti, fu intrapreso dalla Soprintendenza Archeologica un limitato saggio sul luogo dello scavo ottocentesco che permise il recupero di frammenti di ceramica, di varie parti di armi, e di altri cinque bronzetti in cattive condizioni di conservazione.
Infine in tempi recenti sono stati recuperati ed ora esposti al Museo di Partina assieme ai rinvenimenti del '72 altri piccoli bronzetti tra cui una punta di lancia miniaturistica, un piccolo uccello votivo, due testine, la parte superiore di Kouros e un bronzetto a figura intera.
Tutti questi ritrovamenti fanno del sito uno dei più importanti luoghi di culto di quel periodo, e il luogo, frequentato per quasi cinque secoli, rimane una delle testimonianze più importanti della viabilità che univa l'Etruria propria all'Etruria padana. La devozione di numerosi militari, di commercianti e di pastori, confermata dagli oggetti deposti, testimonia infine come il luogo fosse ritenuto tanto importante forse perché si intendeva onorare il laghetto come l'origine del fiume Arno, le cui sorgenti, "Capo d'Arno", ancora oggi distano alcune centinaia di metri.

da:
http://www.casentinoarcheologia.org/Profilo.html

http://www.casentinoarcheologia.org/bronzetti/grandi/1.jpg

nhmem
11-09-04, 16:20
BIBLIOGRAFIA:

C. Beni, Guida del Casentino (edizione aggiornata) a cura di F. Domestici, Firenze 1983.

M. Cristofani, I bronzi degli Etruschi, Novara 1985

D. Diringer, Foglio 107 (Monte Falterona), dell' Edizione Archeologica della Carta d'Italia al 100.000, I.G.M., Firenze 1929.

L. Fedeli, La stipe votiva del lago degli idoli, in "Gli Etruschi nel tempo. I ritrovamenti di Arezzo dal '500 ad Oggi" (Catalogo della mostra, Arezzo luglio 2001-gennaio 2002), Firenze 2001, pp. 98-108.

A.M. Fortuna e F. Giovannoni, Il Lago degli Idoli, testimonianze etrusche in Falterona, Firenze 1989.

Gruppo Archeologico Casentinese (a cura di), Profilo di una valle attraverso l'archeologia, il Casentino dalla Preistoria al Medioevo, Stia 1999.

G. Micali, Monumenti inediti a illustrazione della storia degli Antichi Popoli Italici, Firenze 1844.

(da:http://www.casentinoarcheologia.org/bibliografia.html)

nhmem
12-09-04, 23:13
da: http://web.tiscali.it/etruschi_tarquinia/autoctonia.htm

LA DIASPORA ETRUSCA

Auctonia dei Tirreni d'Italia (Etruschi) denominati Pelargi (Cicogne)



1. Platone

Platone (428-348 a.C.), che era ateniese, sosteneva che



chiunque si fosse accinto a porre le basi di uno Stato avrebbe dovuto attenersi ai responsi degli oracoli di Delfo, di Dodona e di Ammone i quali prescrivevano quei sacrifici e quei riti che si diceva fossero stati importati dall'Etruria (vedi cap. X, 2; XI, 2 e 3; XII, 2).





2. Mirsilo di Lesbo e la diaspora etrusca



Dionigi di Alicarnasso riferiva che,



<<rispetto ad Ellanico (il quale sosteneva che i Tirreni d'Italia erano originariamente Pelasgi venuti dalla Grecia), Mirsilo di Lesbo esponeva l'inverso, ed affermava che furono i Tirreni che, lasciata l'Etruria, assunsero nel corso del loro continuo vagare, il nome di Pelargi a somiglianza degli uccelli chiamati Pelargi (= cicogne) perché come questi migravano a stormo per la Grecia e nelle regioni dei barbari>>.



Dionigi riportava poi che Mirsilo di Lesbo (III sec.a.C.), aveva raccontato che,



molto tempo prima della guerra di Troia, gli Etruschi furono fatti segno di certe collere divine: alcuni furono rovinati da sventure inviate direttamente dagli Dei, altri furono distrutti dai barbari confinanti, i più si dispersero in terra greca e barbara, ed alcuni rimasero in Italia.

<<La prima manifestazione della calamità>>, diceva Mirsilo, <<sembrò alle città consistere nella siccità che aveva colpito la terra, a causa della quale i frutti non duravano sugli alberi fino al periodo della maturazione, ma cadevano anzitempo, e nemmeno i semi che davano germogli si sviluppavano il tempo indispensabile perché le spighe giungessero al massimo rigoglio; l'erba dei maggesi non era sufficiente per il bestiame, l'acqua delle sorgenti non era più bastevole per abbeverarsi; alcune riducevano la portata per le calure estive, altre si prosciugavano totalmente. Sorte corrispondente colpiva la riproduzione del bestiame e i parti delle donne; numerosi casi di aborto, di decessi postnatali e prenatali che risultavano fatali alla madre stessa. Quanti sfuggivano i pericoli del parto risultavano poi deformi o affetti da qualunque altra malformazione che ne rendeva inutile l'allevamento. La parte restante della popolazione in età adulta era soggetta ad una quantità di malattie e decessi decisamente sopra il normale. Consultarono allora l'oracolo per sapere a quale divinità o spirito avevano recato affronto, e quale rimedio si prospettava loro per sperare di vedere la fine dei mali. Il responso sortito dall'oracolo fu che quanto stava accadendo era colpa loro perché non avevano mantenuto quel che avevano promesso nelle preghiere, ed erano ancora debitori di gran parte dei beni>>. Infatti, gli Etruschi, siccome si era verificata una precedente casuale scarsità agricola complessiva, <<avevano promesso a Zeus, ad Apollo e ai Cabiri (Questi ultimi erano gli stessi Dei della Religione Misterica di Samotracia) di offrire la decima parte della produzione futura. Quando la loro preghiera era stata esaudita, essi avevano messo da parte la decima dei frutti e del bestiame e l'avevano offerta agli Dei, come se il loro voto avesse riguardato solo queste cose [...]. Quando dunque vennero a conoscenza del responso dell'oracolo, essi non furono capaci di afferrarne il senso. Ma uno dei più anziani ne colse il significato e, mentre tutti si dibattevano in quella perplessità, disse loro che erano completamente in errore se pensavano che gli dèi li rimproverassero ingiustamente. Dei beni, infatti, essi davano agli dèi tutte le primizie nella misura dovuta e come era giusto, ma quanto alla procreazione degli uomini, il bene più prezioso di tutti per gli dèi, erano ancora debitori della porzione dovuta. Solo se gli dèi avessero ricevuto anche la giusta parte delle nascite si sarebbe adempiuto quanto l'autentico significato dell'oracolo comportava. Ad alcuni parve che egli avesse detto tutto ciò a ragione, ad altri invece che la proposta poggiasse sull'inganno. Qualcuno avanzò allora la proposta di interrogare nuovamente la divinità per sapere se veramente desiderasse ricevere anche decime umane. Inviarono all'oracolo nuovamente gli incaricati della consultazione, ed esso confermò che lo dovevano fare. In seguito a ciò nacque fra la gente grande discordia sul modo di attuare la decimazione; la qual cosa coinvolse dapprima l'uno contro l'altro i magistrati delle città. Poi il resto della popolazione prese a sospettare i magistrati. Si verificarono delle emigrazioni senza alcun piano preordinato, ma come se la gente fosse incalzata dal pungolo del dio e dal suo sacro furore. Molte famiglie scomparvero completamente in seguito alla partenza di una parte dei loro membri. Infatti, non sembrava giusto ai congiunti dei fuoriusciti di essere abbandonati dalle persone più care e di rimanere in mezzo ai peggiori nemici. Costoro dunque furono i primi ad emigrare dall'Italia e ad andare in Grecia e in molte regioni dei barbari. Dopo di loro la stessa sorte toccò ad altri; e così si verificava ogni anno. I reggitori delle città non tralasciavano di scegliere le primizie della gioventù giunta all'età adulta, ritenendo di servire giustamente gli dèi e temendo ribellioni da parte di chi era sfuggito a tale sorte. Molti di essi venivano espulsi dagli avversari per inimicizia e con pretesti formali>>. Così dunque si verificarono numerose migrazioni, e la stirpe degli Etruschi si disperse in più regioni. Mirsilo afferma che costoro, <<lasciata la loro patria, assunsero nel corso dei loro spostamenti senza meta fissa il nome di Pelargi a somiglianza degli uccelli chiamati Pelargi (cicogne) perché come questi migrano a stormo per la Grecia e le regioni barbariche. Essi innalzarono anche il muro di cinta che circonda l'acropoli di Atene, il cosiddetto Muro Pelargico>>[1].



E' significativo che le cicogne, in autunno, dall'Etruria e dalle regioni dell'Europa centro-meridionale, emigravano effettivamente in Asia attraverso la Grecia[2].

E’ anche interessante che sull'Asklepion di Atene, fiancheggiante il Muro Pelargico, era raffigurata una cicogna, come è stato scoperto dall'esame di un rilievo trovato sul luogo[3].





3. L'epoca della dispersione



L'epoca , poi, in cui sarebbero cominciate le migrazioni, sarebbe stata, secondo Dionigi di Alicarnasso, <<all'incirca quella della seconda generazione anteriore alla guerra di Troia, e si protrasse anche dopo di essa>>[4]. Siamo, dunque agli inizi del XIII sec.a.C..

Nella stessa epoca, la tradizione Lidia, citata da Erodoto, poneva, viceversa, la migrazione dei Lidi, i quali, guidati da Tirreno, figlio di Ati, avrebbero raggiunto e colonizzato in Italia il paese degli Umbri, dove avrebbero assunto il nome di Tirreni[5].

Senza voler trarre deduzioni rischiose, ci limitiamo ad osservare che i geroglifici egizi del tempo del faraone Meremptah ci informano che i T.r.s. (= gr. Tyrsenoi?) rientravano in quei <<Popoli del mare>> che, nel 1260 a.C., tentarono di invadere l'Egitto.





4. Aristofane e Callimaco



Procedendo nell'esposizione delle testimonianze della migrazione dall'Etruria, particolare menzione meritano le note apposte da un certo Simmaco (II sec.a.C.?) ai versi 832, 836, 869 e 1139 della commedia Gli uccelli di Aristofane (450-385 a.C.).

In nota al verso 832 dove il commediografo nomina <<il muro pelargico>> in riferimento alla cinta muraria di una ipotetica città degli uccelli, costruita, in mezzo fra il cielo e la terra, dagli Ateniesi che fuggivano la vita convulsa della città, Simmaco dice



che il poeta Callimaco (320-240 a.C.) ricordava che la muraglia pelargica di Atene era stata costruita dai Tirreni.



Nelle note posteriori, lo scoliasta fa ancora riferimento al motivo delle cicogne, finché, nello scolio al verso 1139, dove Aristofane diceva che diecimila cicogne avrebbero portato i mattoni per costruire le mura della città, egli spiega che l'immagine



<<era dovuta al fatto che coloro che erano venuti dall'Etruria (apò Tyrrenìas), costruirono il muro Pelargico>>[6].



Il frammento di Callimaco acquista particolare valore se si considera che il medesimo poeta aveva pure evidenziato che il dio greco Ermes possedeva caratteristiche tirreniche, e che, presso i Tirreni, si chiamava Cadmilos (che era poi il nome mistico che assumeva, in Grecia, nella Religione dei Misteri)[7].

Non so se Callimaco alludesse ad una possibile derivazione etrusca del nome e del carattere del dio cabirico adorato in Grecia.





5. I Pelasgi-Siculi



L'originaria e genuina italicità dei Pelasgi di Atene è rivendicata anche da una tradizione raccolta personalmente da Pausania (I sec.d.C.) nella stessa Atene dove si diceva che la cerchia muraria dell'acropoli della città era stata opera dei Pelasgi che abitavano sulla medesima acropoli, e che i costruttori erano stati Agrola ed Iperbio i quali erano Pelasgi di origine sicula emigrati in Acarnania[8].

La notizia trova un parziale riscontro in Plinio, secondo il quale prima che Eurialo ed Iperbio, due fratelli di Atene, facessero mattoni e costruissero case, si abitava nelle caverne[9].

Altrove, lo stesso Plinio ci presenta Iperbio una volta come figlio di Marte, inventore della caccia, ed un'altra come un Corinto (Corinthius) inventore del tornio del vasaio[10].

Questo Iperbio Corinto era già stato menzionato anche da Teofrasto.

Iperbio, ne I sette a Tebe di Eschilo, è un personaggio mitico, fratello di Attore e figlio di Enopione.

Enopione vuol dire "colui che ha il colore del vino" o "che beve il vino"[11]. Ma quel che più ci interessa è che Lattanzio Placido una volta lo chiama Pelasgus, e un'altra <<Enopione detto Pelargus>>[12]. Soprattutto quest'ultima specificazione lo qualificherebbe di origine etrusca. Noi sappiamo, infatti, che mentre “Pelasgi“ poteva essere una denominazione più generale, “Pelargi” era la specifica denominazione dei Tirreni emigrati dall'Etruria verso oriente (vedi cap. XVI, 3).

Quanto ai Siculi, Filisto di Siracusa (430-356 a. C.), li presentava come un popolo di stirpe ligure, autoctono dell'Italia centrale, emigrato poi in Sicilia[13].

I Siculi vennero spesso assimilati o confusi con i Sicani (anche questi sovente ritenuti autoctoni dell'Italia centrale) al punto che Giovanni Lido (V sec.d.C.) poteva sostenere che



gli Etruschi erano un popolo di Sicani colonizzati dai Lidi di Tirreno[14].



Le città etrusche ritenute di origine sicula, espressamente menzionate da Dionigi di Alicarnasso, sono tutte nell'Etruria costiera ed in quella meridionale: Fescennio, Faleri, Cere, Alsio, Saturnia e Pisa[15].

Sia che si voglia ritenere che i Siculi dell'Acarnania provenissero direttamente dalla costa tirrena dell'Italia centrale, della quale erano originari, sia che si voglia intendere che la migrazione avesse avuto la Sicilia (gli Elimi? vedi par. 5) come sede intermedia, la loro origine italica è indiscutibile.

Giustamente, Jean Bérard ha messo in relazione i Siculi di Pausania con gli Etruschi di Mirsilo di Lesbo, e con quei "Pelasgi" che, come vedremo, erano partiti da Regisvilla o da Maltano (due porti fra Tarquinia e Vulci), sotto il comando del re Maleo per andare a stanziarsi in Atene (vedi cap. XV, 8)[16].

Egli avanza anche l'ipotesi che a queste indicazioni potrebbe collegarsi il fatto che una collina nei pressi di Atene si chiamava Sikelia[17].

Una località chiamata Sikelia esisteva anche nel Peloponneso. Piccola Sikelia era pure il nome che veniva dato a Nasso[18]. Un isolotto di tal nome era poi nel Canale di Eubea[19].

Ai nostri fini interessa rilevare che i Siculi erano un popolo italico autoctono, a volte ritenuto di stirpe ligure, stanziato nell'Etruria costiera e soprattutto in quella meridionale e nel Lazio vetus, dove la stessa Roma veniva considerata sicula.

***

Secondo Teofrasto e Plinio, come abbiamo visto, Iperbio era un Corinto (Corynthius) inventore del tornio del vasaio. Considerato il gioco delle omofonie che correvano fra il nome della etrusca città di Corythus/Corinthus (Tarquinia) e di quello della città greca di Corinthos/ Choritus (vedi cap. VI, 5), il fatto che Iperbio venisse a volte considerato un Corynthius potrebbe essere significativo del rapporto che correva fra il nome di Iperbio e l'origine etrusco-sicula dei Pelasgi di Atene.

Il nome di Agrola, poi, fratello di Iperbio, rimanda a quello del re Agrios, personaggio con il quale Esiodo personificava il popolo etrusco[20]. A sua volta, il nome di Agrios, come ha proposto Helbig, potrebbe stare per Tarchios (= Tarquinio, Tarconte)[21] (vedi cap. IX, 3).





6. Gli Elimi



Stefano di Bisanzio diceva che



<< Elimia, città della Macedonia, fu fondata dall'eroe Elymo o da Eleno o da Elima re dei Tirreni>>[22]. Aggiungeva, inoltre, che <<Aiane, città della Macedonia, fu fondata da Aiano, figlio di Elymo, re dei Tirreni emigrato in Macedonia>>[23].



Eleno era figlio di Priamo re di Troia.

Elymo, eponimo degli Elimi di Sicilia, veniva a volte considerato fratello del re sicano Erice, e altre volte fratello di Enea.

L'altro Elymo o Elima (omonimo di Elymo, fratello di Enea) e suo figlio Aiane non sono altrove documentati; ma, a quanto dice Stefano, erano sovrani tirreni (etruschi?) emigrati in Macedonia.

E' significativo che il fondatore di Elimia in Macedonia sia il troiano Eleno o, in alternativa il troiano Elymo o, ancora, un omonimo re tirreno (etrusco?). Elima era anche il nome di una città degli Elimi in Sicilia, ritenuta fondata variamente sia da Enea[24] che da Elimo[25].

Nonno di Panapoli, poi, narrando la spedizione del dio Dioniso in India, ricorda i Cilliri della Sicilia, gli Elimi, definiti troiani, Fauno figlio di Circe, e li pone tutti agli ordini di un certo Acate qualificato una volta come siculo e un'altra come tirreno (etrusco?)[26].

Le varie associazioni di nomi e di fatti potrebbero essere significative delle connessioni esistenti fra i Tirreni, gli Elimi e i Troiani. Gli Elimi, infatti, erano ritenuti alternativamente troiani e sicani o siculi di stirpe ligure venuti dall'Italia centrale dove avevano coabitato con gli Etruschi. Questi ultimi, secondo Giovanni Lido, che sosteneva di aver letto, nella originaria stesura etrusca, i Libri tagetici scritti da Tarconte, erano un popolo sicano colonizzato dai Lidi di Tirreno.

Contatti fra gli Etruschi e gli Elimi non dovettero mancare. Nel museo di Trapani esiste una piccola statua di bronzo del VII sec.A.C., trovata ad Erice, raffigurante un guerriero etrusco[27].

Il tutto potrebbe non essere estraneo alla tradizione secondo cui i Pelasgi di Atene erano siculi emigrati in Acarnania (vedi par. 5).





7. Metapo



Methapos, secondo Pausania, aveva introdotto in Andania i Misteri eleusini, ed a Tebe, nella Beozia, la pratica dei Misteri e il culto dei Cabiri[28] (vedi cap. VII, 1; 4).

In altre versioni, la religione misterica era stata introdotta a Tebe da Armonia, figlia di Ares e di Afrodite, che li aveva ricevuti in dono dalla madre in occasione delle nozze con Cadmo.

Secondo altri, le nozze di Cadmo e Armonia erano avvenute nell'isola di Samotracia. Armonia sarebbe stata sorella di Dardano, ed avrebbe ricevuto i Misteri in dono dalla madre Elettra. Armonia, poi, li avrebbe introdotti a Tebe, e Dardano li avrebbe istituiti a Samotracia ed introdotti nella Troade[29] (vedi cap. VII, 1).

La funzione di introdurre a Tebe, nella Beozia, la religione dei Misteri era, dunque, affidata una volta a Metapo ed un'altra ad Armonia nella duplice figura di figlia di Afrodite e di sorella di Dardano.





8. Metabo



Nell'Eneide è presente un Metabus, esule re etrusco dei Volsci di Priverno (nel Lazio vetus) di cui la moglie e la figlia si chiamavano rispettivamente Casmilla e Camilla come i ministri dei Grandi Dei[30]. Non si tratta di un'invenzione virgiliana, perché anche Igino, nella sua raccolta di miti, parlava di Metabo e della figlia Camilla[31].

Elio Donato notò che il personaggio virgiliano aveva lo stesso nome del re Metabo o Metaponto eponimo della città di Metabo o Metaponto nell'Italia meridionale[32]. Il personaggio virgiliano, tuttavia, apparteneva al tempo di Enea, mentre l'altro risaliva indietro di molte generazioni.

Antioco di Siracusa (V sec.a.C.) raccontava che, durante il regno di Morgete, figlio di Italo re degli Enotri, venne presso di lui un esule da Roma che si chiamava Siculo e gli successe al trono[33]. Strabone, poi, diceva, che Morgete aveva una figlia di nome Siri che sposò Metabo eponimo di Metaponto[34].

Metabo, in seguito, ripudiò Siri, sposò Arne e ne adottò il figlio Beoto. Questi gli successe al trono; ma, poiché uccise Siri, dovette fuggire in una regione della Grecia che dal suo nome si chiamò Beozia[35].





9. La Biblioteca di Fozio e l'Etymologicum Magnum



Che i costruttori del muro di Atene fossero Etruschi nella loro origine è riportato anche dai tardi compendi enciclopedici bizantini come la Biblioteca di Fozio e l'Etymologicum Magnum, secondo i quali l'appellativo di “Pelargi” sarebbe stato dato ai Tirreni (Etruschi) costruttori del muro di Atene a motivo del loro modo di vestire in bianco e nero come le ali delle cicogne[36].





10. Dardano



La stessa origine etrusca attribuita ai Pelasgi o Tirreni di Atene era conseguentemente riconosciuta a quei Pelasgi o Tirreni che da Atene erano emigrati nelle isole egee e sulle coste attorno allo stretto dei Dardanelli dove era Troia.

I Pelasgi di Atene, a detta di Erodoto, avevano introdotto nell'isola di Samotracia il culto dei Grandi Dei (vedi cap. IX, 1).

Come si vede, la funzione di istituire a Samotracia il culto dei Grandi Dei era affidata una volta a Dardano ed un'altra a quei Pelasgi di Atene, i quali, in altre fonti, sono chiamati Tirreni. I Grandi Dei o Cabiri erano poi le stesse divinità che Dardano da Samotracia introdurrà nella Frigia dove i suoi discendenti fonderanno Troia. Sono quegli stessi dèi Penati che Enea da Troia riporterà in Italia.

Callimaco non solo aveva testimoniato l'esistenza in Etruria del culto di Cadmilos, ma aveva pure evidenziato le componenti etrusco-tirreniche di Cadmilos-Ermes greco, uno dei Cabiri o Grandi Dei della Religione Misterica di Samotracia. Questi Dei erano gli stessi il cui culto Mirsilo attribuiva a quegli Etruschi che avevano emigrato ad Atene e fino alle regioni greche e barbare del bacino orientale del Mediterraneo.

E' significativo che i Greci, secondo quanto testimoniava Proclo il Diadoco identificavano Ermes ctonio con Tagete, il fanciullo divino emerso dalla terra di Tarquinia, figlio di Genio o Genio Gioviale o Gioviale, uno degli Penati o Grandi Dei etruschi (vedi cap. X, 2).

L'esistenza in Etruria del culto di Cadmilos era testimoniata anche da Dionigi di Alicarnasso quando riferiva:



<<Coloro che presso gli Etruschi celebravano i Misteri in onore dei Cureti e dei Grandi Dei erano chiamati Cadmiloi, e che allo stesso modo presso i Romani quelli che aiutano in questi riti sono chiamati Camilli>>[37].





11. Atene e i Troiani



Dionigi di Alicarnasso riferiva una tradizione secondo la quale



Dardano e Teucro, i due capostipiti dei troiani, erano nati in Grecia, rispettivamente in Arcadia e nell'Attica[38].



Strabone diceva, poi, che



alcuni scrittori, a sostegno dell'origine attica di Teucro, argomentavano che il nome di Erittonio figurava fra quello degli originari fondatori sia della dinastia ateniese che di quella troiana[39].



Secondo quanto è riferito in due scolii di Probo alle Georgiche di Virgilio, pare che Eschilo (VI-V sec.a.C.) abbia sostenuto che



Erittonio (e non Dardano) era il figlio di Giove e di Elettra. Da lui, di generazione in generazione, sarebbero discesi Troo, Assaraco, Capi, Anchise ed Enea[40].



Elio Donato e Servio riferivano, a loro volta, che



<<i Troiani, oltre che a Dardano e a Teucro riconducevano la loro origine agli Ateniesi, per cui anch'essi veneravano Minerva>>[41].



Elio Donato aggiungeva che



<<infatti, per questo anche i Troiani venerano Vesta, poiché ella stessa è la terra>>[42].



I due esegeti virgiliani non vedevano contrasti fra questa origine ateniese dei Troiani e l'origine etrusca di Dardano cantata da Virgilio, tanto è vero che attribuivano allo stesso Virgilio l'intenzione di alludere, in due passi del poema, all'origine ateniese dei Troiani[43].

Donato e Servio giustificavano la versione con il fatto che ad Atene, come a Troia, si praticava il culto di Minerva e, soprattutto, quello della Grande Madre Terra identificata, per i Romani, con Vesta, a sua volta associata agli dèi Penati[44].

Noi sappiamo che si diceva che il culto dei Grandi Dei era stato introdotto ad Atene dai Pelasgi (Erodoto), e che i Pelasgi d'Atene erano Tirreni partiti dall'Etruria (Tucidide, Mirsilo), e precisamente dal porto di Regisvilla (o Maltano?), fra Tarquinia e Vulci (Strabone) (vedi cap. XV, 8).

Non so, allora, se possa avere qualche significato il fatto che anche gli Etruschi, come gli Ateniesi, rivendicavano la loro parentela con i Troiani, ma non conoscevano la figura di Dardano (vedi capp. I, 2; VIII, 21). A titolo di pura ipotesi, possiamo pensare che gli Etruschi possedessero una tradizione che faceva risalire i loro primi contatti con l'Asia Minore a coloro che dall'Etruria erano dapprima emigrati ad Atene.





12. Pitagora



Si diceva che il filosofo greco Pitagora (571-497 a.C.) fosse un tirreno, e che fosse iniziato ai misteri di Samotracia.

Egli, secondo Aristosseno, Aristarco e Teopompo, era tirreno[45]. Lo stesso Aristarco specificava che



<<proveniva da una di quelle isole che erano state occupate dagli Ateniesi quando avevano cacciato via i Tirreni>>[46].



Neante di Cizico (III sec.a. C.) diceva che



<<c'è chi dimostra che suo padre Mnesarco fu un tirreno di quelli che colonizzarono Lemno. Da lì venuto a Samo per affari, vi rimase e vi divenne cittadino. Quando poi Mnesarco navigò per l'Italia, il giovane Pitagora lo accompagnò in quella terra che era molto fortunata, e poi di nuovo navigò in essa>>. Neante elencava infine i due fratelli più grandi: Eunosto e Tirreno[47].



E' interessante rilevare che l'isola di Lemno fu chiamata anche Etalia come l'omonima isola etrusca (oggi isola d'Elba), e che i Pitagorici ritenevano che nel loro maestro si fosse reincarnata l'anima di Etalide. Questi, secondo Apollonio Rodio, era figlio di Ermes, ed era stato un argonauta di quelli che erano andati ad abitare a Lemno prima che vi giungessero i Tirreni scacciati da Atene[48].

Etalide ed Etalio era anche il nome di uno dei marinai etruschi che avevano rapito Dioniso[49].

Secondo Cicerone ed Aulo Gellio, Pitagora venne in Italia durante il regno di Tarquinio il Superbo[50]. Per Tito Livio, egli era un contemporaneo di Servio Tullio[51].

Giamblico sosteneva che egli ebbe molti etruschi fra i suoi primi discepoli[52]. Con evidente anacronismo, si credette pure che Numa Pompilio, re di Roma, avesse frequentato la scuola di Pitagora nella città calabra di Crotone[53].

Plutarco riferiva che un etrusco di nome Lucio, discepolo di Moderato Pitagoreo (I sec.d.C.), sosteneva che



<<Pitagora fu un etrusco; non per parte di padre, come taluni intendono, ma per essere egli nato, cresciuto ed educato in Etruria. Il discorso si basava principalmente sui simboli, come lo scuotere le coltri alzandosi dal letto, il non lasciare sulla cenere l'impronta della pentola tolta dal fuoco bensì sconvolgerla, non accogliere le rondini in casa, non passare sopra la scopa e non nutrire in casa bestie con artigli ricurvi. Lucio diceva infatti che queste cose i pitagorici le dicono e le scrivono, ma che solo gli Etruschi di fatto le osservano e le custodiscono >>[54].



Aristotele e Giamblico menzionavano un episodio che sarebbe avvenuto in Etruria: il filosofo, con un morso, avrebbe ucciso un serpente velenoso[55].





13. Omero



l'isola di Itaca era uno dei luoghi dove si diceva che fosse nato Omero. Ma è interessante che il poeta, secondo un raro frammento che ci è rimasto di Eraclide di Lembo (II sec.a.C.),



<<[.?.] dalla Tirrenia si era recato a Cefallonia ed Itaca dove, ammalatosi, aveva perso la vista>>[56].



Poiché si credeva che Omero fosse nato ad Itaca, il frammento ci consente di ipotizzare che, nella parte del testo non pervenutaci, Eraclide avesse sostenuto che Omero fosse nato in Etruria.

La tradizione si giustifica nell'ambito dei rapporti che almeno dal sesto secolo avanti Cristo venivano attribuiti all'Etruria con il mondo cantato da Omero, e soprattutto perché doveva già aver preso corpo la tradizione della ascendenza degli Etruschi sui Troiani, che verrà poi recepita, adattata e cantata da Virgilio nell'Eneide.

Non dovrebbe quindi meravigliare il fatto che la leggenda virgiliana racconterà che i fratelli Dardano e Iasio dalla etrusca città di Corito erano emigrati a Samotracia, da dove, poi, Dardano avrebbe introdotto nella Troade il culto dei Grandi Dei o Cabiri o Penati, quelle stesse divinità che i Pelasgi di Samotracia e di Atene adoravano già dal tempo in cui vivevano in Etruria.





14. Tirreno e Liparo



Dobbiamo, infine, ricordare che esisteva una leggenda secondo la quale Tirreno, fratello di Liparo (perciò nipote di Ulisse), dall'Italia portò la guerra nel Peloponneso[57].





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[1] Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 23-24; 28.

[2] E. Whitney Martin, The birds of the latin poets, citato da M.Grass in Traffics Tyrrhéniens Archaiques, Roma, 1985.

[3] L. Beschi citato da M. Grass in op. u. cit..

[4] Dionigi di Alicarnasso, op. cit., I, 26, 1.

[5] Erodoto, Le Storie, I, 57.

[6] Scholia graeca in Aristophanem, Parigi, 1842.

[7] Callimaco, Dieg., VIII, 33-40; Varrone, De lingua latina, VII, 34; Servio Danielino, All' Eneide, XI, 543: <<Statius Tullianus de vocabulis rerum libro primo ait dixisse Callimachum apud Tuscos Camillum appellari Mercurium, quo vocabulo significant deorum praeministrum, unde Vergilius bene ait Metabum Camillam appellasse filiam, scilicet Dianae ministram: nam et Pacuvius in Medea loqueretur "caelitum Camilla exspectata advenis, salve hospita". Romani quoque pueros et puellas nobiles et investes camillos et camillas appellabant, flaminicarum et flaminum praeministros>>; Macrobio, Saturnali, III, 8, 6.

[8] Pausania, La Grecia: Attica e Megarite, XXXVIII, 3.

[9] Plinio, Storia naturale, VII, 57,4.

[10] Plinio, op. cit., VII, 57,7.

[11] In altre leggende, Enopione era figlio di Dioniso, ed era re dell'isola di Chio, dove aveva introdotto l'uso del vino insegnatogli dal padre. Egli era giunto a Chio da Creta, o da Lemno, oppure da Nasso. Altri lo identificavano con Irieo, eroe della Beozia, dove era Tebe.

[12] Pelargus (Mitografo Vaticano, II, 129); Pelasgus (Scolio a Stat. Tb. 7, 256).

[13] In Dionigi di Alicarnasso, op. cit., I, 9; 22.

[14] Giovanni Lido, De magistratibus populi romani (prefazione), testo italiano in G. Buonamici, Fonti di storia etrusca tratte dagli antichi classici, Firenze-Roma, Olsckhi, 1939, pag. 144.

[15] Dionigi di Alicarnasso, op. cit., I, 20-21.

[16] J. Bèrard, La Magna Grecia, Torino, Einaudi, 1965, pagg. 450-451.

[17] Pausania, La Grecia, VIII, 11, 12; Dione Crisostomo, XVII, 17; Suida, s.v. Sikelìzein.

[18] Diodoro Siculo, Biblioteca storica, V, 50; Plinio, op. cit., IV, 67.

[19] Stefano di Bisanzio, De urbibus, s.v. Sikelìa; Scolio ad Euripide, Fenicie, 208.

[20] Esiodo, Teogonia, 1013.

[21] W. Helbig, in Bull. dell'Inst., 1884; Ferstscrift f.Montelius,193.

[22] Stefano di Bisanzio, De urbibus, s.v. Elimia

[23] Stefano di Bisanzio, op. cit.,s.v. Aiane.

[24] Dionigi di Alicarnasso, op. cit., I, 53.

[25] Silio Italico, Puniche, XIV, 46, sgg.. Elimia era anche il nome di una città arcade, posta fra Orcomeno e Mantinea (Senofonte, Hell., VI, 5, 13). Pausania stabiliva un legame anche fra gli Elimi e la città arcade di Psofide. Egli raccontava, infatti, che la città doveva il suo nome ad una figlia del re sicano Erice, la quale, resa incinta da Ercole fu da questi affidata a Licorta che viveva a Fegea nell'Arcadia. Qui, ella diede alla luce due figli, Echefrone e Promaco, i quali fondarono la città che, in onore della loro madre, chiamarono Psofide. A sostegno di questa versione, Pausania osserva che a Psofide esisteva il culto di Afrodite Ericina (Pausania, La Grecia, VIII, 24, 2, 6 e 7; Stefano di Bisanzio, s.v. Fegeia e Psofis).

[26] Nonno di Panapoli, Dionisiache, XIII, 309-311; 328; XXXVII, 350.

[27] G. Kart Galinsky, Aeneas, Sicily and Rome, Princeton, 1969, pag. 114-115 e fig. 88.

[28] Pausania, op. cit., IV, 1, 7-9; 26, 7; 33, 4-6.

[29] Diodoro Siculo, op. cit., V, 49.

[30] Virgilio, Eneide, XI, 540-564.

[31] Igino, Miti, 252.

[32] Srvio Danielino, All'Eneide, XI, 540.

[33] Dionigi di Alicarnasso, op. cit., I, 12; 73, 4.

[34] Strabone, Geografia, VI, 264.

[35] Diodoro Siculo, op. cit., IV, 67; Scolio a Dionigi Periegeta 461.

[36] Fozio, Biblioteca; Etymologicum magnum, s.v. Pelargicon.

[37] Dionigi di Alicarnasso, op. cit., I, 22, 2.

[38] Dionigi di Alicarnasso, op. cit, I, 61; II, 68.

[39] Strabone, op. cit., XIII, 1, 48.

[40] Probo, Alle Georgiche, III, 36: <<Assaraci autem vult accipi Caesarem, qui deducat progeniem ab Anea, qui ex Anchise patr est. Capys Assaraci, filius, Assaracus autem Trois, Tros ipse Erichthonii filius, Erichthonius ex Electra et Iove nascitur, ut Aeschylos, tragicus scriptor, sentit>>; III, 113: <<Erychtonius Elecatrae et Iovis filius fuit>>.

[41] Servio Danielino, op. cit., III, 281: << "Patrias palestras". Palestrae usus primum apud Athenienses repertus est. Troiani autem praeter Dardanum et Teucrum etiam ab Atheniensibus originem ducunt: unde et Minervam colunt. Hinc est in secundo (II, 188) "neu populum antiqua sub religione tueri". "Antiqua" , scilicet ab Atheniensibus tradita. "Iliacis" ergo Atheniensibus, unde Ilienses didicerunt>>.

[42] Servio Danielino, op. cit., II, 188: <<"Neu populum antiqua sub religione tueri", id est loco Palladi secundum antiquam religionem tutelam colendi populo praestare, constat enim apud Troianos principe loco Minervam cultam>>; III, 281: <<Nam et Vestam ideo Troiani colunt, quia eadem terra est, terrigenos autem Athenienses nemo dubidat>>.

[43] Virgilio, op. cit., II 188: <<Neu populum antiqua sub religione tueri>>; III, 281: <<Patrias palestras>>.

[44] Servio Danielino, op. cit., I, 292: <<"Vesta" [...] ipsa enim esse dicitur terra>>; II, 296: <<Vestam deam ignis quae, ut supra diximus (I, 192), terra est>>; II, 296: <<Hic ergo queritur, utrum Vesta de numero penatium sit, an comes eorum accipiatur, quod cum consules et praetores sive dictator abeunt magistratu. Lavini sacra Penatibus simul et Vestae faciunt: unde Vergilius, cum praemisisset, "sacra suosque tibi [...]" adiecit "et manibus vittas Vestamque potentem". Sed "potentem" potest ad illud accipi (Theous dynatous), sicut vocari penates dictum est>>.

[45] Clemente Alessandrino, Strom., I, 62.

[46] In Diogene Laerzio, VIII, 1.

[47] Neante di Cizico, in Porfirio, Vita di Pitagora, 2.

[48] Apollonio Rodio, Argonautiche, I, 640 segg.; III, 1175.

[49] Ovidio, Metamorfosi, III, 647; Igino, Leggende, 134.

[50] Cicerone, Tuscolane, I, 38; La Repubblica, II, 28; Aulo Gellio, 17, 21,6.

[51] Tito Livio, Storia di Roma, I, 18, 2.

[52] Giamblico, La vita di Pitagora, 142.

[53]Dionigi di Alicarnasso, op. cit. , II, 59; Tito Livio, Op. cit., I, 18. 2-4.

[54] Plutarco, Questioni conviviali, VIII, 727 B.

[55] Aristotele, frag. 19, Rose.

[56] Eraclide di Lembo, F.H.G. , oag. 222.

[57] Servio Danielino, op. cit. , I, 52: <<Aeolus, Hippotoe sive Iovis filius qui cum immitteret bellum quo Tyrrhenus, Lipari frater, Peloponnesum vastare proposuisset, missus ab Agamennone ut freta tueretur, pervenit ad Liparum qui supra dictas insulas regebat imperio, factaque amicitia Cyanam filiam eius in matrimonium sumpsit et Strongulam insulam in qua maneret accepit>>.

nhmem
22-10-04, 23:11
Originally posted by nhmem


http://www.casentinoarcheologia.org/foto%20gac/big/libro_gac_03b.jpg

Orazio Coclite
02-11-04, 00:14
Caro nhmem, quello degli idoletti dello stagno sul Falterona è stato uno dei peggiori scempii ai danni del nostro patrimonio culturale e spirituale etrusco... :mad:

nhmem
02-11-04, 22:38
Originally posted by Orazio Coclite
Caro nhmem, quello degli idoletti dello stagno sul Falterona è stato uno dei peggiori scempii ai danni del nostro patrimonio culturale e spirituale etrusco... :mad:

...un danno del quale hanno beneficiato i maggiori Musei d'Europa e (pare) anche americani.

nhmem
02-11-04, 22:47
Originally posted by nhmem
Al parco naturalistico archeologico di Vulci , in mostra i dipinti "della François"

http://www.vulci.it/?id_articolo=39&da=0

http://www.vulci.it/images/Active/eroi_1.jpg


E' STATA PROROGATA AL 31/12/2004

nhmem
03-11-04, 02:31
http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=42

nhmem
05-11-04, 22:54
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=128353

nhmem
05-11-04, 22:57
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=129090

nhmem
11-11-04, 22:42
TIVOLI

L’ Ercole vincitore e il teatro da 3.000 posti

Si scava ad Ardea, dove riaffiora la prima città vista da Enea nel Lazio. E riemergono le Terme Taurine a Civitavecchia

Q uasi dieci milioni di euro per lo scavo archeologico e il restauro del grande Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli. Nei 47,5 milioni di euro ottenuti con i fondi del Lotto e destinati al recupero di beni archeologici e architettonici del Lazio è questo l’intervento più importante varato dal ministero. Seguono in ordine di fondi i 7 milioni destinati alla nuova sede della Biblioteca di archeologia e storia dell’arte, i 5,5 per la Domus Tiberiana al Palatino, i 4,7 per la Villa d’Este a Tivoli e poi sopra il milione di euro gli interventi per le Terme Taurine di Civitavecchia, gli scavi di Castrum Inui ad Ardea, la sistemazione di Villa Poniatowski a Roma, il restauro dell’ospedale San Gallicano. Interventi minori riguardano infine la Caserma Carreca di via Labicana (900 mila euro), Villa Odescalchi a Bassano Romano (600 mila), Palazzo Delfini (300 mila) e Casale Strozzi (200 mila).
A Tivoli dunque, nella grande area del Santuario, verrà restaurato il teatro romano di cui è riemersa la cavea capace di 3000 posti che ora verrà valorizzata e che doterà la cittadina di un importante spazio teatrale all’aperto. Verrà restaurata anche la via Tecta che ha inghiottito in parte la via Tiburtina. E sarà restaurato anche un triportico. «L’area che verrà resa fruibile comprende anche l’impianto, importante testimonianza di archeologia industriale, che per primo portò la luce elettrica a Roma Capitale», spiega la neodirettrice dei Beni archeologici del ministero, Anna Maria Reggiani, ex sovrintendengte del Lazio. Che aggiunge: «Voglio ricordare inoltre che col finanziamento per il progetto di Villa Poniatowski sarà completato il restauro della villa rendendo finalmente fruibile nella sua totalità il Polo Museale Etrusco, uno dei più importanti non solo per quanto riguarda le antichità etrusche ma anche per le testimonianze di antiche città latine, come Segni, Lanuvio, Alatri, e di santuari come quello di Diana Nemorense. L’intervento previsto per le Terme Taurine di Civitavecchia consentirà inoltre la completa fruizione del "Circuito Traianeo", che già comprende i Mercati Traianei a Roma e la nota Villa di Traiano ad Arcinazzo, ad un anno dal 1950° anniversario della nascita dell’Imperatore, avvenuta ad Italica nel 53 d.C.».
Si tratta di un complesso monumentale che rappresenta una delle testimonianze più significative dell’architettura romana imperiale. Ubicato a nord di Civitavecchia e fatto oggetto di scavi intorno alla metà del 1700, l’imponente complesso termale fu edificato in due tempi diversi. All’epoca repubblicana è riferibile un settore che, probabilmente realizzato a integrazione della vicina fonte termale della Ficoncella, si articola in un peristilio di ingresso, un tepidarium, un laconicum, un calidarium e altri piccoli vani di servizio. Di età traianea è un grandioso ampliamento caratterizzato da ambienti la cui monumentalità sottolinea la particolare importanza del complesso, certamente frequentato fino alla fine del V sec. d.C. L’impianto si estende su due ettari e comprende anche un orto botanico.
Importante anche l’intervento su Castrum Inui, la cittadina che sta riaffiorando alla foce del Fosso dell’Incastro di Ardea, e che coincide col favoloso approdo di Enea nel Lazio, secondo quanto riportato dal poeta Virgilio. La cittadina di cui sono al momento riemersi alcuni ambienti è stata in epoca imperiale sconvolta da un terremoto che ha lasciato i segni su molti muri ritrovati crollati dagli archeologi.

P. Br.


Cronaca di Roma


Corriere della Sera 11/11/2004

http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CRONACA_DI_ROMA&doc=BIBLIO

nhmem
15-11-04, 22:56
L'edificio si trova a Poggio Civitella, presso Montalcino

Non ha più segreti la fortezza degli etruschi

Per la prima volta portata alla luce ed esplorata in Toscana una cittadella eretta per difendersi dai Romani


Una fortezza etrusca eretta nello sforzo (inutile) di resistere agli

http://www.corriere.it/Media/Foto/2004/11_Novembre/07/etru--240x180.jpg
Lastra con processione proveniente da Velletri, terracotta a stampo del VI secolo (Agi)


attacchi dei romani, è stata portata alla luce ed esplorata per la prima volta in Italia. Si trova sulla vetta boscosa del rilievo collinare di Poggio Civitella presso Montalcino, in Toscana, ad una quota di 650 metri, ed è stata costruita sulle rovine di un villaggio risalente all’età arcaica. Si tratta di una scoperta di grandissimovalore storico ed archeologico: per oltre due secoli l’Etruscologia si è dedicata quasi esclusivamente alle tombe e agli abitati scavati nel secondo dopoguerra, mentre ora c’è la possibilità di conoscere a fondo una struttura di carattere militare. Gli scavi, iniziati nel 1993 dall’archeologo Luigi Donati, professore di etruscologia ed archeologia italica presso l’Università di Firenze, accertano la sua nascita in età ellenistica nel secolo IV a.C., dopo la fine dell’abitato sviluppatosi e scomparso nel secolo VI a.C..

Definito molti anni fa dal noto archeologo senese Ranuccio Bianchi Bandinelli «castelliere preistorico », il monumento risulta in realtà una fortezza etrusca territorialmente appartenente alla metropoli di Chiusi, che ha voluto la sua costruzione come difesa dai Romani, nel momento in cui è più aspro lo scontro tra Etruschi e i nemici tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. Lo scontro ha come esito finale il prevalere della città di Roma. Gli scavi, a cui collaborano numerosi studenti e l’associazione Ricerche e Studi Etruschi di Montalcino, si prefiggono di liberare l’intera struttura, i cui resti vengono quindi sottoposti a restauri conservativi e ricostruttivi. Il monumento è formato, sulla vetta, da unamuraglia circolare, spessa intorno ai 4 metri, con un diametro di 40 metri circa e con un’altezza massima conservata di circa 2 metri, circondata da altre due cinte fortificate ellittiche. La tecnica utilizzata per la costruzione è quella a sacco, che prevede due paramenti fatti con le pietre provenienti dalle cave presenti sul posto ed ancora visibili, con all’interno pietrame e terra. Mentre le due barriere difensive esterne sono costruite con materiale deperibile composto da terra pressata e legname, ora ridotti a dei lunghi dossi di terra. Lo scavo dell’anello sommitale è ormai ultimato, pertanto questa parte della fortezza può essere conosciuta in ogni dettaglio. Ha una porta principale larga a sufficienza per consentire il passaggio dei carri, mentre sotto il pavimento corre una canaletta per il drenaggio a valle delle acque piovane, che cadevano nel piazzale interno. È presente anche una postierla (porticina d’emergenza), disposta sul fianco più inaccessibile della collina, che era utilizzata in caso di assedio in agguati al nemico o nell’eventualità di una fuga repentina.

La postierla consiste in un lungo e stretto corridoio, che doveva rendere più difficoltoso il passaggio ai soldati nemici, nel caso fosse stata scoperta. Delle pareti, originariamente di tronchi di legno oggi non resta nulla. Mentre è conservato il pavimento in lastre di pietra, che presenta all’esterno una soglia affiancata da un profondo buco praticato nel terreno per ospitare lo stipite in cui si incardinava la porticina di legno. Su un lato dell’ingresso interno della postierla si trova, infine, una piccola costruzione in pietra che doveva fungere da garitta per il soldato di guardia. A lato della porta carraia è, inoltre, disposta una larga rampa che consentiva alle truppe di accedere rapidamente agli spalti. Mentre al centro del piazzale interno è presente un edificio con più ambienti, che doveva essere utilizzato come alloggiamento della guarnigione, come magazzino e forse anche come rimessa per i carri. La fortezza di Poggio Civitella non è l’unica nella zona, ma è inserita in un complesso sistema difensivo di cui fanno parte altri siti d'altura fortificati. Questi sono tutti collegati a vista e strategicamente dislocati dalla metropoli d i C h i u s i presso i suoi confini territoriali, allo scopo di garantire la sicurezza difensiva dagli attacchi nemici. Il monumento è già visitabile. Il progetto di scavo di questa fortezza prevede in un prossimo futuro l’allestimento di un’area archeologica attrezzata, mentre nel 2005 nel museo di Montalcino verrà aperta una sezione archeologica che, accanto all’esposizione dei reperti ritrovati, prevede anche l’illustrazione degli scavi con pannelli e plastici.

Barbara Cilenti

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/11_Novembre/07/etruschi.shtml

nhmem
12-12-04, 16:44
Dalla Toscana la storia della fata Turanna

"Turan è il nome etrusco di Verere ed appare così frequentemente insieme alle più indubitabili rappresentazioni della Dea che è tempo perso cercare le sue origini etrusche..."

http://guide.supereva.it/wicca/myimg/188271_1.jpg

(da una testimonianza raccolta alla fine dell' Ottocento dall'antropologo Leland nelle campagne toscane)

"Turanna è uno spirito che, quando era in vita, era una fata molto bella e buona e fece del bene a tutti quelli che erano come lei. Vi era in una terra una madre con un figlio che vivevano in grande miseria. Questa fata con la sua bacchetta magica trasportò questo giovane tutto stracciato in un luogo lontano. Lei era là e gli chiese perchè egli si fosse spinto così lontano in una contea dove non vi erano erbe per nutrirlo. Il giovane rispose che uno spirito lo aveva trasportato lì per fare la sua fortuna. La fata rispose:"Quello spirito sono io e farò di te un re". Il giovane la guardò meravigliato e disse:" Signora, è impossibile che un miserabile quale io sono possa mai divenire Re". "Vai giovane, a quell'albero che vedi. Vai sotto l'albero. Là trovarai delle noci che porterai al re. La tua fortuna e promesse e la tua fortuna arriverà quando sarai sotto l'albero. L'albero che vedi è là sotto. Porta le sue noci al re."

Egli si scoprì vestito come un signore e trovò nel cesto di noci, tanti diamanti e brillanti e perle preziose ed una corona su cui loro danzavano e cantavano. "Posta queste cose al re" disse la fata "e digli che desideri la sua figlia per moglie. Egli inveirà contro di te con malevolenza. In quel momento, per magia, farò apparire sua figlia come se fosse incinta ed ella dirà che tu sei il suo sire. Alloa il re, per evitare uno scandalo, la darà a te. E all'istante in cui sarete sposati ella non apparirà più incinta".

Così accadde. Quando il re era in preda alla collera, Turanna era in una foresta oscura con in mano una carta del Re di cuori, che era il povero giovane, il re di picche, che era il re, e la regina di cuori che era la principessa- Il suo incantesimo, ciò che cantò per incantare il re:

"Io sono Turanna la fata. Fino a che vivrò, la fata Turanna io sarò..."

( da "Streghe, esseri fatati ed incantesimi nell'Italia del Nord" di C. G. Leland)

Dopo questa premessa Leland descrive l'incantesimo che la fata Turanna compie per fare la fortuna del giovane, attraverso tre carte che nelle sue mani diventano "diavoli benevoli" cioè spiriti che lei invoca affinchè facciano la sua volontà. Leland continua con lo spiegare come il ricordo di questa fata che era ancora presente nella Toscana ottocentesca, coincida con la figura più primordiale della Dea Venere. A quest'ultima, infatti, nell'antica Roma erano associate le magie d'amore ed il gioco dei Dadi che poi divenne quello delle carte così come lo conosciamo.

nhmem
12-12-04, 16:48
da: http://guide.supereva.it/wicca/interventi/2004/12/188271.shtml

nhmem
23-12-04, 23:55
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=1708627#post1708627

nhmem
31-12-04, 00:08
http://www.lerma.it/Editore/Promozione/Images/2004_12/00011531.jpg

Alessandro Naso
La Pittura etrusca.


Indice
1. Il periodo orientalizzante (VII secolo a.C.): Le origini; Il ruolo di Caere; Il ruolo di Veio; Tarquinia e le altre località; 2. Dallarcaismo allepoca classica (VI - V secolo a.C.): Il ruolo di Tarquinia; I nuclei tematici e il linguaggio stilistico; Altri monumenti; I mutamenti del V secolo a.C:; Il ruolo di Chiusi; 3. Le epoche tardo-classica ed ellenistica (IV - III secolo a.C.): La nuova pittura a Tarquinia; I monumenti di Volsinii; Altri monumenti; La tecnica di esecuzione; La conservazione; le riproduzioni; Per saperne di più; elenco delle illustrazioni; Indice dei luoghi.

«L'ERMA» di BRETSCHNEIDER

nhmem
05-01-05, 16:28
http://www.shardana.org/copertina_nuova_ediz..jpg

Shardana (http://www.shardana.org/la%20storia.htm)

nhmem
15-01-05, 00:50
Originally posted by nhmem
http://www.vulci.it/images/Active/Articolo-orari.jpg PROROGA
A Vulci gli eroi etruschi e i miti greci della tomba François


Nuovo prorogata, questa volta fino al 28 febbraio, per la mostra «Eroi etruschi e miti greci. Gli affreschi della tomba François tornano a Vulci». La cittadina, in provincia di Viterbo, è immersa in un parco archeologico che ospita numerose aree funerarie etrusche: nella necropoli orientale, in particolare, è possibile visitare la celebre tomba François. La mostra, ospitata nel museo archeologico del Castello della Badia, espone per la prima volta al pubblico gli affreschi staccati dopo il ritrovamento della tomba. È compresa nel prezzo del biglietto d’ingresso alla mostra una visita guidata all’Ipogeo. Per ulteriori informazioni e per effettuare la prenotazione (che è obbligatoria): 0766.89298 oppure www.vulci.it.



Cronaca di Roma




Corriere (http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CRONACA_DI_ROMA&doc=BIOGaa)

nhmem
18-02-05, 23:08
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=1882101#post1882101

nhmem
26-02-05, 00:55
A tavola con gli Etruschi di Marzabotto
mostra

http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/Marzabotto/images/tre%20lati%2004.jpg
Bronzetto etrusco raffigurante Fufluns

Il Museo di Marzabotto partecipa alla rassegna nazionale "Cibi e sapori nell'Italia antica" con questa mostra che illustra, attraverso pannelli, didascalie e schede di sala predisposti ad hoc, tre aspetti specifici dell'alimentazione degli etruschi: le risorse dell’ambiente, le modalità del consumo del cibo e gli aspetti simbolici del cibo collegati ai banchetti in onore dei defunti.
La prima sezione tratta il tema delle risorse ambientali mostrando una selezione di reperti faunistici rinvenuti nel corso degli scavi affiancati dai risultati di recenti analisi paleobotaniche. La rivisitazione dei vecchi studi e il risultato dei nuovi consente di presentare in modo più completo e circostanziato l’habitat e le risorse dell'antica città etrusca.
La seconda sezione è dedicata al modo di consumare il cibo cioè a quegli utensili e stoviglie usati quotidianamente per mangiare. Il percorso tematico che si snoda tra le varie sale del museo evidenzia l’uso dei diversi recipienti fittili di produzione locale, di forma sia chiusa che aperta, che servivano per contenere o consumare alimenti liquidi e solidi. Alcune anfore commerciali ed una macina per il grano consentono di approfondire i temi dei prodotti d'importazione e della lavorazione delle materie prime mentre le modalità di sfruttamento delle risorse idriche sono introdotte dalla presenza di pozzi e bacili.
Il cuore della terza sezione è situato nella IV sala del museo dove sono esposte le due sepolture di V secolo a.C., recentemente restaurate, rinvenute nel vicino centro di Sasso Marconi. Fornite, per l’occasione, di pannelli informativi che illustrano gli aspetti simbolici che compongono la complessa ideologia del banchetto dell'aldilà, le due tombe presentano corredi dotati di tutti gli elementi più significativi del servizio da vino, dalla ceramica attica ai grandi recipienti ed utensili in bronzo.
L’itinerario tematico -che si snoda in tutte quattro le sale- pone l’accento sui vasi attici che afferiscono all’ideologia del simposio corredati da adeguate didascalie e pannelli che spiegano gli usi specifici delle diverse forme di vasi greci rinvenuti nelle necropoli di Marzabotto.
Nella II sala questo itinerario si apre sulle problematiche simboliche del vino dedicando una vetrina all’immagine di Dioniso, il dio del vino, quale appare sulla ceramica attica restituita dagli scavi di Marzabotto. L’interesse si concentra in particolare su una statuetta in bronzo raffigurante il Dionysos etrusco (Fufluns), nudo e con in mano il kantharos, il tipico bicchiere da vino che lo contraddistingue come divinità.
La statuetta -rinvenuta nell’ottocento nel territorio della Valle del Reno, presso Sasso Marconi, e successivamente entrata a far parte delle Collezioni del Museo Nazionale di Firenze- ritorna per la prima volta nella sua terra d’origine grazie al prestito cortesemente concesso per questa mostra dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.
La mostra si conclude con l'illustrazione dei vari aspetti del cibo nel mondo etrusco tramite una serie di pannelli didattici tratti dalla pubblicazione “Tutti a tavola”, curata dai Servizi Educativi della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna.
All'esposizione è collegato il progetto didattico della Scuola di Marzabotto che prevede, in occasione della Settimana della Cultura (16-22 maggio), la realizzazione di una rappresentazione in costume incentrata sui temi della preparazione del cibo e il banchetto in epoca etrusca.

Promosso da: Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna in collaborazione con il Dipartimento di Archeologia dell'Università degli Studi di Bologna e il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e del Comune di Marzabotto
Quando: da giovedì 3 marzo a domenica 28 agosto 2005
Orari: martedì, mercoledì, giovedì dalle 9 alle 13
venerdì, sabato, domenica 9-13 e 15-18,30
Giorno di chiusura: lunedì
Inaugurazione: giovedì 3 marzo alle ore 16.30
Costo biglietto: € 2,00 - ridotto € 1,00
Prenotazione: facoltativa
Città: Marzabotto
Luogo: Museo Nazionale Etrusco "Pompeo Aria"
Indirizzo: Via Porrettana Sud n. 13
Provincia: Bologna
Regione: Emilia-Romagna
Telefono e fax: 051.932353
E-mail: museonazionaletrusco@arti.beniculturali.it

da http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/mostre/marzabotto_cibo.htm

vedi anche http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=249

nhmem
02-03-05, 00:17
Vedi in http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=256
;)

nhmem
03-03-05, 22:38
Vedi http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=270&p=1&t=1109881753015#Last

nhmem
15-03-05, 01:19
Un reperto etrusco del VI secolo a.C. ritrovato nella citta'

(ANSA) - LUCCA, 12 MAR - Una coppa di bucchero del VI secolo a.C., appartenente all'arte etrusca, e' stata trovata durante i recenti scavi a Lucca. Questo conferma l'origine etrusca della citta' toscana che nell'area lungo il fiume Serchio e nella Piana ha ospitato comunita'etrusche. La coppa e' stata portata in superficie durante gli scavi archeologici nell'area del convento di San Ponziano durante i lavori di restauro ed adeguamento funzionale per la sede dell'Istituto di Studi Avanzati di Lucca.



http://www.ansa.it/main/notizie/awnplus/cultura/med/e61726834430a689ea5f9ec9d44cd3c8.jpg

http://www.ansa.it/main/notizie/awnplus/cultura/news/2005-03-12_4322667.html

nhmem
15-03-05, 01:23
Un «corridoio» per unire Villa Poniatowski col museo di Villa Giulia

Un secondo gioiello acquisito è la «Rocca Albornoz» a Viterbo

Anna Maria Moretti è contenta. La sovrintendente archeologica del Lazio, ex sovrintendente dell’Etruria meridionale (sovrintendenza oggi accorpata dal ministero dentro quella regionale), sta per dotarsi di due nuovi gioielli, la Rocca Albornoz a Viterbo e Villa Poniatowski a Roma. Più un corridoio, di vitale importanza. Grazie all’accordo con i francesi Villa Poniatowski infatti, appena restaurata, sarà riunita a Villa Giulia sede nazionale del Museo Etrusco grazie a un vialetto che sarà aperto alle falde della scarpata su cui sorge la fronzuta collina di Villa Strohl-Fern.
In arrivo due gioielli per l’arte etrusca. Rocca Albornoz sarà inmaugurata il prossimo sabato 19 marzo. Esporrà le meraviglie etrusche trovate in quel ricco tessuto archeologico che è il viterbese: da San Giuliano, a Blera, Barbarano, Vetralla, Grotte di Castro, Bisenzio. Un evento.
Il secondo gioiello è Villa Poniatowski, che sorge a un tiro di schioppo da Villa Giulia. La Villa, allestita nel ’700 dal principe Stanislao Poniatowski, ha attraversato alterne vicissitudini nel corso della sua storia: fu danneggiata durante la Repubblica Romana del 1849, negli scontri tra Garibaldi e i francesi. In seguito vi trovarono sede alcune installazioni industriali, come le concerie Riganti e, dopo l'8 settembre '43, vi si insediò un comando delle SS.
Lo Stato l’ha acquisita nel 1988, il restauro è ormai cosa fatta e grazie ai 31 miliardi spesi sono stati riportati alla luce cicli pittorici e decorativi come quelli della Sala Indiana, della Sala d’Ercole e della Sala Egizia, che erano andati perduti o erano stati occultati a fine ’700 dal Valadier, che Poniatowski aveva incaricato dei lavori di sistemazione. Dal 2001 la villa ha aperto battenti per ospitare mostre: dalle «Ricerche archeologiche a Veio, Ceveteri e Vulci», al «Centenario dei Borghese», alla fotografica «Roma com’era» allestita nell’Essiccatoio. Ora diventerà una sede permanente del Museo etrusco.
Spiega la sovrintendente Anna Maria Moretti: «Vi sistemeremo quanto prima il "Latium Vetus", con i reperti di Satrico, Palestrina e dell’Umbria, attualmente ospitati nell’ala destra di Villa Giulia. In quell’ala al loro posto, effettuato il trasferimento, andrà Veio con tutte le sue meraviglie. Tireremo fuori dai depositi molti reperti che andranno a fare da cornice al grande Apollo, insieme alle antefisse e ai sistemi decorativi. In questa nuova esposizione troveranno posto i materiali delle necropoli del IX, VIII e VII secolo avanti Cristo. E insieme mostreremo le documentazioni degli scavi effettuati anche dai colleghi archeologi della Sapienza, da Colonna a Bartoloni e Carandini».
Buone notizie dunque per chi ama l’archeologia e le bellezze etrusche. La cornice destinata ad accoglierle sempre meglio unirà al Ninfeo, all’Emiciclo, alle Logge, alla Fontana Bassa, ai Telamoni di Villa Giulia anche la Villa Poniatowski allestita da un principe annoiato, nipote del re di Polonia.

P. Br.

da Corriere della Sera 12 03 05

nhmem
19-03-05, 00:47
http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=317

nhmem
29-03-05, 19:54
Tra i nuovi ritrovamenti esposti a Viterbo c’è anche la biga etrusca di Ischia di Castro

È la biga etrusca di Ischia di Castro il reperto più affascinante del secondo settore del Museo nazionale della Rocca Albornoz di Viterbo aperto in questi giorni e dedicato alle nuove scoperte archeologiche nella Tuscia. Il ritrovamento della biga risale agli anni Sessanta. Adesso è possibile ammirarla al termine di un percorso illustrato da pannelli esplicativi con gigantografie e didascalie. La nuova parte del museo di Viterbo è stata aperta al termine di quasi cinque anni di lavori fatti eseguire dalla Provincia e dalla Soprintendenza per l'Etruria meridionale. Oltre alla celebre biga, finora esposta al pubblico una sola volta, da ammirare anche il prezioso corredo funerario, risalente al VI secolo a.C., riconducibile ad una figura femminile d'alto rango, trovato nella tomba. Il carro da parata in bronzo fu rinvenuto nella dromos insieme con i resti di una coppia di cavalli sacrificati al momento del seppellimento della donna. Il nuovo piano del museo viterbese offre la possibilitá di ammirare reperti provenienti da un'area archeologicamente tra le più importanti d'Italia per la presenza di estese necropoli rupestri. Le nuove sezioni ripercorrono da sud a nord il tracciato della via Clodia. Un'intera sezione è dedicata all'antico centro di Bisentium. (Giuseppe Rescifina)

MUSEO NAZIONALE ETRUSCO DI VITERBO, piazza della Rocca Albornoz, lunedì chiuso. Tel 0761.325929

nhmem
07-04-05, 00:26
http://www.archeogate.it/classica/article.php?id=266

segnalato da

http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=343

nhmem
12-04-05, 23:56
COMUNE DI CARMIGNANO
ASSESSORATO ALLA CULTURA - MUSEO ARCHEOLOGICO COMUNALE DI ARTIMINO
GRUPPO ARCHEOLOGICO CARMIGNANESE
SOPRINTENDENZA AI BENI ARCHEOLOGICI PER LA TOSCANA

Ciclo di conferenze 2005
GLI ETRUSCHI NEL CONTESTO ITALICO
Sala Consiliare del Comune di Carmignano


Venerdì 22 aprile - ore 21. 15
Gli Etruschi e l'angolo veneto
Prof. Giovannangelo Camporeale (Università degli Studi di Firenze)

Venerdì 6 maggio - ore 21.15
Gli Etruschi e i Liguri
Prof. Adriano Maggiani (Università degli Studi di Venezia)

Venerdì 13 maggio – ore 21.15
Gli Etruschi e i popoli dell'Italia meridionale
Dott. Angelo Bottini (Soprintendenza ai Beni Archeologici di Roma)

Venerdì 20 maggio – ore 21.15
Gli Etruschi e i Piceni
Dott. Alessandro Naso (Università degli Studi del Molise)

A conclusione delle conferenze:
Venerdì 27 maggio – ore 20.30
“Cena etrusca” ad Artimino
Prenotazioni presso il Museo Archeologico Comunale di Artimino 055- 8718124

Comune di Carmignano
Assessorato alla Cultura tel. 055 8750232-250 – Fax 055 8750210
cultura@comune.carmignano.po.it
www.comune.carmignano.po.it
Museo Archeologico Comunale di Artimino
c/o Villa Medicea La Ferdinanda – Artimino – tel.e Fax 055 8718124
ore 9,30-12,30 / Mercoledì chiuso
Gruppo Archeologico Carmignanese
Via della Chiesa, 2 – Artimino (Carmignano)



:lol :lol :lol :lol :lol

nhmem
04-05-05, 00:37
http://www.ansa.it/main/notizie/awnplus/cultura/med/d1c0b83cbc9f0143b272e7cfbabc9fc4.jpg
Dal 7 maggio al Pellegrinaio di Santa Maria della Scala

(ANSA) - SIENA, 3 MAG - Si apre il 7 maggio a Siena la mostra 'Mecenatismo e archeologia, la collezione Salotti' che esporra' 70 reperti etruschi. Gli oggetti, risalenti al periodo dall' ottavo secolo all'eta' romana, sono stati donati da Caterina e Antonio Salotti e rimarranno esposti nel Pellegrinaio di Santa Maria della Scala fino al 28 agosto. La collezione e' in larga parte costituita da materiali ceramici, oggetti in bronzo, calici, coppette riconducibili all'Etruria meridionale.

© Copyright ANSA Tutti i diritti riservati 2005-05-03 09:29

nhmem
04-05-05, 00:57
Originally posted by nhmem
COMUNE DI CARMIGNANO
ASSESSORATO ALLA CULTURA - MUSEO ARCHEOLOGICO COMUNALE DI ARTIMINO
GRUPPO ARCHEOLOGICO CARMIGNANESE
SOPRINTENDENZA AI BENI ARCHEOLOGICI PER LA TOSCANA

Ciclo di conferenze 2005
GLI ETRUSCHI NEL CONTESTO ITALICO
Sala Consiliare del Comune di Carmignano

.....

Venerdì 6 maggio - ore 21.15
Gli Etruschi e i Liguri
Prof. Adriano Maggiani (Università degli Studi di Venezia)

......
:lol :lol :lol :lol :lol

nhmem
12-05-05, 21:56
Date un'occhiatina:
http://www.renzobaldini.it/testi/Etruschi.html

nhmem
24-05-05, 22:07
Nel 3d di segnalazioni bibliografiche potete vedere l'indice completo. Qui segnalo:

“Archeologia del culto”: il “Lago degli Idoli”

nhmem
27-05-05, 00:00
Madre e figlia colpite dalla pioggia di calcinacci. Danni alla struttura portante

Viterbo, crollo al museo civico
Cede un’ala pochi minuti prima dell’inaugurazione di una mostra

E' crollata un'ala del Museo civico di Viterbo, famoso per le sue opere d'arte dal periodo etrusco all'Ottocento. E' accaduto ieri alle 18,15, appena un quarto d'ora prima della cerimonia d'inaugurazione di una mostra, la «Caccialtesoro». Fosse accaduto qualche minuto più tardi sarebbe stata una tragedia. Una donna e una bambina di pochi anni che passavano in via Monte Asolone, adiacente la centralissima piazza Crispi, sono state colpite dalla pioggia di massi, per fortuna in modo non grave. Una nube altissima, preceduta da un forte boato, ha invaso la strada e la piazza provocando paura e panico alle centinaia di persone che sostavano in attesa dell'inaugurazione. Il crollo riguarda una zona di circa cento metri quadrati nella quale si trovavano una preziosa cattedra lignea del XVI secolo, alcuni quadri coevi, un sarcofago etrusco. Salve le altre opere, tra cui la famosa «Pietà» (Notturno) di Sebastiano Del Piombo, che nella parte retrostante contiene un disegno attribuito a Michelangelo. In un’altra zona del museo al momento del crollo si trovava un'intera classe della Scuola Alberghiera di Caprarola. Il sindaco Giancarlo Gabbianelli, in trasferta a Roma, è tornato in città disponendo i primi interventi per evitare che le numerose opere d'arte possano essere preda di «sciacalli». Sul crollo, dopo il sopralluogo del vigili del fuoco, si fanno alcune ipotesi, ma la più consistente è il cedimento strutturale. Eppure il museo, rimasto chiuso per anni, era stato riaperto nel 1994 dopo un lungo restauro, alla presenza dell’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.

Giuseppe Rescifina
(Corriere della Sera 26 05 05 Cronaca di Roma)

NOTA PERSONALE: Avendo avuto modo di vederlo meno di due anni fa sono dispiaciuto dell'accaduto perchè è un museo veramente interessante. Tra l'altro devo ricordare dei magnifici sarcofaci etruschi che grazie all'intervento privato furono riacquistati in America.

nhmem
01-06-05, 00:27
http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/avele_feluske.jpg

nhmem
01-06-05, 00:35
http://www.fuocosacro.com/pagine/mitologia/ildebranda.htm

nhmem
04-06-05, 17:00
E' il titolo di un buon articolo di Maurizio Assalto apparso nel numero odierno (4/6/05) de "La Stampa" (p. 25) dedicato alla Tomba della Quadriga Infernale di Sarteano (SI).
Sottotitolo:
"Aperta da oggi la straordinaria tomba dipinta scoperta due anni fa a Sarteano, nel senese: così i demoni diventano benevoli".

nhmem
12-06-05, 00:12
http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=34767&idd=6&p=1&t=1118531105062#Last

nhmem
08-07-05, 00:12
http://digilander.libero.it/biennio1/feniglia.jpg

Come di consueto quando vado in ferie "stacco" anche con internet. Un saluto a tutti i partecipanti del forum. :cool: :-0#09p

Mjollnir
08-07-05, 00:27
Di già in ferie ? Accidenti :eek:

Beh auguri carissimo :) :K

Arthur I
08-07-05, 00:36
Originally posted by nhmem
http://digilander.libero.it/biennio1/feniglia.jpg

Come di consueto quando vado in ferie "stacco" anche con internet. Un saluto a tutti i partecipanti del forum. :cool: :-0#09p

Un saluto anche a te e scusa se mi faccio sentire solo ora (ti ho mandato anche una mail). Ci sentiamo nei prossimi mesi.;)

08-07-05, 08:35
BUONE VACANZE!

:-0008p :-00ap09b

nhmem
08-07-05, 17:37
UN GRAZIE A TUTTI.

(Arthur I ho risposto all' email).

...a presto;)

nhmem
01-08-05, 22:57
Il 1° agosto dell'anno 10 a. C. nasce a
Lugdunum, l'odierna Lione l'imperatore
romano Claudio.

da: BricioleDiStoria@yahoogroups.com

nhmem
07-08-05, 17:36
Diverse informazioni interessanti su gli Etruschi si trovano in alcune recensioni della Rassegna Bibliografica apparsa nel n. 12 nuova serie (2004) della rivista "Arthos" ora reperibile (la Rassegna) in formato pdf clickando qui (http://www.lacittadella-mtr.com/noi_altrove.htm) e successivamente al link "formato PDF".

nhmem
10-08-05, 18:41
Matrimonio etrusco con cortei e banchetto

Un matrimonio etrusco nella notte di Ladispoli. Velthur e Larthia sfileranno alla luce dei fuochi dei bracieri. Due cortei per rievocare il simposio dell’antico popolo. Oltre cento figuranti. La festa (con spettacoli e prove acrobatiche, gare e banchetti) si svolge questa notte nel bosco di Palo e Ladispoli.

LADISPOLI, via dei Delfini, ore 21.30. Info tel. 06.992311



Corriere della Sera 10/08/05 (http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CRONACA_DI_ROMA&doc=DUEaa)

;)

Albino Cecina
11-08-05, 02:11
È un po' che me lo chiedo.
Esiste (o è esistito) un gruppo che si occupa della tradizione religiosa etrusca (un MTR etrusco, insomma)?

nhmem
11-08-05, 21:22
Originally posted by Albino Cecina
È un po' che me lo chiedo.
Esiste (o è esistito) un gruppo che si occupa della tradizione religiosa etrusca (un MTR etrusco, insomma)?

Non ne conosco :( Cmq tutto può essere :mad:

A parte gli scherzi. Personalmente non ne vedo il bisogno.
Gli Etruschi erano presenti a Roma dalla sua fondazione alle ultime resistenze contro il monoteismo trionfante.
Mi risulata che ciò è chiaro anche all'interno dell'MTR (vedasi anche gli ultimi numeri - ed il prossimo (18) - de "La Cittadella").

Vale.

nhmem
24-08-05, 19:29
A Palazzo Casali, nel cuore di Cortona apre il MAEC. Il nuovo Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona
Cortona, Palazzo Casali - inaugurazione 5 settembre 2005
10 anni di restauri architettonici e studi scientifici sono stati necessari per dar vita a quello che si presenta come uno dei più significativi ed innovativi musei archeologici in Italia. Una complessa macchina organizzativa che si è messa in moto per concretizzare un sogno; un sogno che renderà visibili al pubblico i risultati di decenni di scavi e di scoperte eccezionali nel territorio cortonese, secondo innovativi criteri museografici ed allestitivi, che non pongono al centro dell’attenzione e della comunicazione museale il singolo oggetto ma il racconto complessivo della storia di Cortona. Il 5 settembre 2005, nel duecentesco Palazzo Casali, nel cuore storico della città toscana, si inaugurerà dunque il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona - il MA$C - che riunisce in un unico percorso espositivo lo storico Museo dell’Accademia Etrusca, ospitato al piano nobile dell’edificio, e la nuova sezione del Museo della Città etrusca e romana di Cortona nei suggestivi spazi sotterranei. Il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona - che nasce dalla collaborazione tra il Comune di Cortona e l’Accademia Etrusca, con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e la Soprintendenza per i Beni Architettonici, per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Arezzo, la Regione Toscana, la Provincia di Arezzo e l’Università degli Studi di Perugia - avrà così una doppia anima: quella della cultura archeologica settecentesca, con le collezioni dell’Accademia e quella moderna e all’avanguardia dei nuovi spazi del Museo della Città etrusca e romana di Cortona, grazie anche al continuum degli spazi vetrati, ai numerosi supporti multimediali, ai plastici ricostruttivi, agli schermi traslucidi e ad un percorso tattile per non vedenti. Quest’ultima sezione museale ripercorrerà la storia di Cortona soffermandosi in particolare sugli insediamenti etruschi e romani del territorio cortonese e raccogliendo i corredi relativi alle più importanti tombe etrusche, con esempi insuperabili di bronzistica ed oreficeria. Il progetto scientifico della nuova sezione del Museo della Città Etrusca e Romana di Cortona è di Mario Torelli, una delle massime autorità in materia, mentre il progetto allestitivo è degli architetti Giovanni Longobardi e Andrea Mandara. Nelle nuove sale sono visibili, oltre ad alcune importanti ricostruzioni come quella del tetto del tempietto funerario del Tumulo II del Sodo (VI secolo a.C.), reperti di grande fascino ed importanza storica: dai materiali dei corredi arcaici rinvenuti nelle tombe principesche del Tumulo I e del Tumulo II del Sodo - buccheri, ceramiche attiche, monili in oro - fino agli spettacolari bronzi provenienti dalle tombe di Trestina e Fabbrecce, alla famosa Tabula Cortonensis (terzo testo etrusco più lungo al mondo) ed infine ai reperti attinenti alla grandiosa villa imperiale della Tufa in località Ossaia con tre bellissimi mosaici a decorazioni geometrica e figurata, in particolare quello con il motivo dionisiaco delle due pantere. Il MAEC sarà inoltre il “cuore” del nascente Parco Archeologico di Cortona, che si estende in città e nel territorio circostante con 11 importanti siti archeologici – già restaurati e accessibili - tra cui lo straordinario Secondo Tumulo del Sodo (VI sec. a. C.) caratterizzato dalla monumentale gradinata-altare, decorata da grandi gruppi scultorei. Consentendo di rileggere e di contestualizzare la storia della città e del suo territorio e soprattutto - vero unicum nel suo genere - esponendo i reperti rinvenuti nei siti del parco, il MAEC diverrà il centro di accoglienza ed informazione per la visita dello stesso. “Il nuovo Museo – ha dichiarato il sindaco di Cortona, Andrea Vignini, sarà prima di tutto un potente motore culturale: non semplicemente uno spazio da visitare, ma un luogo dove progettare e costruirsi percorsi culturali e formativi”. Un’operazione imponente costata circa 2 milioni di euro, finanziata da Comune di Cortona, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Toscana e Provincia di Arezzo. La biglietteria e il bookshop del MAEC sono posti al piano terra dello storico edificio, mente i nuovi spazi espositivi (circa 1000 mq che si sommano ai 1000 mq del Museo dell’Accademia Etrusca per complessivi 2.000 mq) sono ambientati su due livelli nei seminterrati del Palazzo Casali. Per ospitare la nuova sezione museale, gli ambienti del palazzo sono stati oggetto di un importante intervento di restauro architettonico che, da un lato, ha consentito di adeguare i locali agli standard ambientali e di sicurezza - dotandoli anche di scale di collegamento, di ascensori e di minilift che rendono il nuovo museo completamente accessibile ai non deambulanti - dall’altro ha portato in luce e reso visibile un imponente e suggestivo muro di sostegno di una grande piazza di epoca etrusca e romana, probabile sede del foro cittadino.
Per settembre, in particolare, sarà completato l’allestimento del piano terra e del I livello interrato (il più ampio e rilevante dal punto di vista dei reperti esposti), e sarà opportunamente rivisitato il percorso espositivo della sezione del Museo dell’Accademia Etrusca. L’apertura del MA$C - che, grazie alla convenzione firmata tra il Sindaco di Cortona e il Lucumone dell’Accademia Etrusca, avrà una gestione innovativa affidata ad un comitato tecnico con membri espressi dal Comune di Cortona e dall’Accademia Etrusca - è accompagnata da alcune pubblicazioni: un importante catalogo scientifico a cura di Mario Torelli, con contributi di numerosi studiosi ed archeologi, una guida breve della nuova sezione museale ed una guida didattica per ragazzi relativa all’intero percorso museale, in cui una sorta di “Virgilio” etrusco - Laris - accompagnerà i più giovani alla scoperta del nuovo museo.
Conferenza stampa e anteprima:
Sabato 3 settembre,
ore 11.30 conferenza stampa presso Centro Convegni S. Agostino – Via Guelfa, 40
ore 12.30 vista in anteprima del MAEC presso Palazzo Casali – P.zza Signorelli
ore 16.00 vista guidata del Parco Archeologico di Cortona
Inaugurazione:
Lunedì 5 settembre, ore 17,00
Interverrà:
il Ministro per i Beni e le Attività Culturali
On. Rocco Buttiglione
Uffici stampa:
Ambra Nepi Comunicazione Villaggio Globale International
tel. 055/244217 - 242705 tel. 041/5904234 3494423193
ambranepicom@tin.it a.lacchin@villaggioglobale.191.it


(da: http://archeoitalia.blog.tiscali.it/fs2146748/ )

nhmem
25-08-05, 22:18
http://it.photos.groups.yahoo.com/group/ANTICAMADRE/lst

nhmem
01-09-05, 22:47
Ci sono voluti dieci anni di restauri architettonici e di studi scientifici per dar vita a quello che ora intende presentarsi come uno dei più innovativi musei archeologici d’Italia. Si chiama Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona e verrà inaugurato lunedì 5 settembre nel duecentesco Palazzo Casali, nel cuore storico della cittadina in provincia di Arezzo. All’interno saranno finalmente esposti al pubblico i risultati di decenni di scavi e di scoperte effettuate nel territorio cortonese con allestimenti che vogliono non solo presentare i singoli oggetti ma la storia complessiva della zona. Con l’aiuto di supporti multimediali, di plastici ricostruttivi, di schermi traslucidi e di un percorso tattile per i non vedenti, si potrà viaggiare nel tempo soffermandosi in particolare all’epoca degli insediamenti etruschi e romani. Nelle nuove sale sono visibili, oltre a importanti ricostruzioni come il tempietto funerario del Tumulo II del Dodo (VI sec. a.C.), reperti come i corredi rinvenuti nelle tombe principesche.

http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CRONACA_DI_ROMA&doc=UNOaa

nhmem
08-09-05, 19:25
L’EVENTO

ARCHEO

CORTONA (Arezzo) - Ci sono voluti tre secoli di studi e una decina d'anni di lavori per capire che a Cortona un Museo archeologico «classico» stava stretto. Come si fa a mettere sotto una teca un intero territorio che «parla»: dalle necropoli agli insediamenti, dalle mura alle fondamenta di un comprensorio abitato da tremila anni. O meglio, fondato un centinaio di anni dopo il diluvio universale, secondo il mito, da uno dei figli di Noè, Crano, nominato da lui stesso Corito (re) che alla città avrebbe dato il nome e una superbia millenaria: se infatti suo figlio Dardano è lo stesso che fuggì da questi colli per fondare Troia, da cui Enea scappò a sua volta per approdare sulle rive del Tirreno e dare la stirpe che avrebbe fondato Roma, vuole dire che Cortona può vantarsi di essere la «nonna» della città Eterna. Come si fa a fare un Museo all'ombra di tanto mito? Mario Torelli, che insegna all'università di Perugia e di Cortona ha fatto il centro di ricerche ventennali è partito proprio da qui: dare rigore scientifico agli studi su una realtà che di leggende ne aveva fin troppe. Al suo lavoro, agli scavi, ad una volontà politica per una volta unita nello scopo, si deve questo museo unico per una realtà così complessa.
La struttura nasce dall'archeologia romantica del XVIII secolo che proprio a Cortona ha vissuto una delle stagioni più importanti: l'Accademia Etrusca, fondata nel 1727, raccoglieva reperti che i primi esploratori dell'etrusticheria contendevano, già allora, a ladri e speculatori. Le donazioni dei benemeriti e gli acquisti dell'Accademia - uno dei pezzi più pregiati, un lampadario in bronzo del IV secolo a.C. ritrovato nel 1840 fu «salvato» dai soci acquistandolo per 1.600 scudi fiorentini, una fortuna per l'epoca - figuravano accanto ad una eterogenea raccolta del collezionismo d'epoca, con pezzi romani ed egizi, medievali e rinascimentali. Ora tutto questo è affiancato ad un percorso - curato dal professor Torelli - che riordina e mette in evidenza i risultati delle ricerche scientifiche sul territorio cortonese, e sulla vicenda millenaria di questa comunità, con ricostruzioni come quella del tetto di un tempietto funerario del VI secolo a.C. (del Tumulo II del Sodo), fino ai materiali e corredi, dalle ceramiche ai monili in oro, ai mosaici della villa imperiale della Tufa, agli spettacolari bronzi provenienti dalle tombe sparse nella valle ai piedi di Cortona. Un allestimento destinato a fare scuola per la cura dell'impianto didattico interamente bilingue (italiano e inglese), con un catalogo imponente, affiancato sia da una guida più agile, sia da una dedicata ai bambini, l'uso degli schermi al plasma, l'abbattimento di ogni barriera con l'installazione di ascensori e anche di un sofisticato percorso tattile e presto olfattivo destinato ai non vedenti.
Ma il Museo, ospitato dalle sale restaurate di palazzo Casali, diventa soprattutto il punto di riferimento del Parco Archeologico, facendone la naturale stazione di partenza per un viaggio attraverso undici siti archeologici tutti visitabili. Ha ragione il sindaco Andrea Vignini a parlare con orgoglio di un investimento che la sua amministrazione (e i cinque sindaci che lo hanno preceduto) ha dedicato all'impresa negli ultimi venti anni.
Convogliando cifre importanti per questo settore (in tutto cinque milioni di euro, la gran parte dal Comune, il resto dallo Stato, dalla Regione e dalla provincia di Arezzo), ma soprattutto gestendo una inedita unità di intenti. Riportando a Cortona pezzi pregiati, come la preziosa «Tabula Cortonensis», terzo testo etrusco più lungo al mondo. Un piccolo capolavoro di cura, attenzione ai rapporti istituzionali e attenta ricerca dei fondi, senza i quali le idee della cultura si fermano ai progetti, che ha avuto un protagonista, Angelo Bottini, per anni soprintendente archeologico della Toscana e oggi successore di Adriano La Regina alla Soprintendenza romana. E' stato lui a curare la nascita di questo polo - ha ricordato Giuseppina Carlotti Cianferoni che ha preso il suo posto a Firenze - impostando anche le restituzioni dal Museo Archeologico nazionale «non senza discussioni» anche all'interno della soprintendenza stessa.
«Un museo protetto dagli Etruschi» scherzava il giorno dell'inaugurazione davanti al sottosegretario Antonio Martusciello, l'ex ministro Antonio Paolucci. Ma doveva avere ragione se proprio nei giorni dell'apertura tanto attesa, nei pressi del Tumulo II del Sodo gli archeologi hanno scoperto una nuova necropoli del VII secolo a.C., con due tombe a circolo e cinque casse di deposizione colme di un centinaio di oggetti tra corredi, brocche, calici e anche una lancia in ferro. Un regalo che i pronipoti hanno dimostrato di sapersi meritare.


Corriere della Sera 8/9/05 (http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CRONACA_DI_ROMA&doc=CULT23)

nhmem
08-09-05, 19:31
Tutti i numeri e le informazioni

7.000 Le opere delle varie collezioni 2.000 metri quadrati di spazio espositivo
9 gli schermi al plasma e gli schermi Lcd
10.000 i volumi conservati nella biblioteca settecentesca dell'Accademia etrusca e del comune di Cortona
150 i bronzetti conservati al Museo
35 le campagne di scavo effettuate dal 1985 a oggi nel territorio di Cortona
664 le pagine di cataloghi e guide pubblicate per l'apertura del Museo
1727 l'anno di fondazione del Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona
LA SCHEDA
MAEC Museo dell'Accademia Etrusca e della città di Cortona
Palazzo Casali, piazza Signorelli 52044 Cortona
Telefono (anche per visite guidate) 0575 637235
www.cortonamaec.org
info@cortonamaec.org
Gli orari:
Dal 1° aprile al 31 ottobre tutti i giorni dalle 10 alle 19
Dal 1° novembre al 31 marzo, dal martedì alla domenica dalle 10 alle 17

nhmem
09-09-05, 21:54
http://www.ansa.it/main/notizie/awnplus/cultura/med/8491c24511549dea763bdf687e5460cf.jpg
Presentato oggi documentario sul restauro capolavoro etrusco


(ANSA) - ROMA, 8 SET - 'L'Apollo di Veio. Il restauro', documentario firmato da Folco Quilici, e' stato presentato oggi alla Mostra del Cinema di Venezia. Si tratta di un filmato di 20 minuti, sul restauro, conclusosi l'estate scorsa, del capolavoro dell'arte etrusca della fine del VI secolo a.c. conservato al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Il documentario e' nato da un' idea di 'Culturalweb.it', il quotidiano online del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali.

© Copyright ANSA Tutti i diritti riservati 2005-09-08 18:24

nhmem
12-09-05, 18:14
Veniva fatto in Mesopotamia ma tracce tra gli etruschi

(ANSA) - SCANSANO, 10 SET - I cocktail sarebbero nati in Mesoptamia, almeno cinquemila anni fa, ma piacevano anche agli etruschi, hanno scoperto gli archeologi. Si trattativa di miscugli di varie bevande che davano vita a primordiali grog o ponce. Lo ha scoperto Patrick McGovern, uno dei massimi esperti mondiali di chimica applicata. Il cocktail 'Mesopotamia' era un composto dolce - la moda del dry era di la' da venire - ed era una mescolanza di vino, birra, succo di mele e miele.


© Copyright ANSA Tutti i diritti riservati 2005-09-10 13:47

:D ;) :K

nhmem
08-10-05, 17:05
VULCI

È tornata nel suo santuario la statua del dio Mitra, raffigurato nell'atto di uccidere un toro, che è stato appena aperto al pubblico, nel Parco archeologico ambientale di Vulci,in provincia di Viterbo. Dopo anni di restauro il santuario, dedicato a questa divinità orientale che ebbe molti adepti anche a Roma e i cui resti sono emersi nei pressi di una domus del II secolo dopo Cristo, è quindi visitabile e rappresenta una nuova attrazione del parco, dopo le scoperte degli ultimi anni, che hanno portato alla luce successivamente la necropoli e l'area urbana di un centro abitato antichissimo, che risale al tempo degli etruschi e i resti di alcune tombe. Lo splendido mitreo è composto da due ambienti: un'anticamera e il luogo di culto vero e proprio, nei pressi del quale sono stati scoperti anche piccoli reperti votivi. (Giu. Res.)




Corriere della Sera 8 10 05 (http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CRONACA_DI_ROMA&doc=DUE23)

nhmem
11-11-05, 23:31
Esce il dizionario della Dessì

Il Dizionario della Lingua Etrusca (pagg. 528 in ottavo; sigla DEtr) è in assoluto il primo e fino ad ora l'unico vocabolario generale che sia stato pubblicato sulla lingua etrusca. La sua composizione ha richiesto all'autore un lavoro che è durato quasi 30 anni.

Esso contiene circa 8.500 vocaboli, cioè tutti quelli che sono stati rinvenuti in iscrizioni di vario genere fino al presente ed esattamente fino all'anno 2004/2005. Di ciascuno di questi vocaboli nel DEtr sono presentati tutti i dati che sono stati fino ad ora acquisiti dalla scienza linguistica, la quale opera sulla lingua etrusca da oltre 150 anni. L'autore si lusinga di avere raccolto e presentato tutte le scoperte fatte dai numerosi linguisti precedenti e anche quelle - non poche - fatte da lui personalmente.
Ovviamente molte cose della lingua etrusca risultano non ancora chiarite, tanto è vero che il DEtr per non pochi vocaboli riporta la dicitura "vocabolo di significato ignoto".

Nel DEtr risultano tradotte circa 1.600 iscrizioni etrusche, fra le quali quelle più lunghe, cioè «La scritta dell'Arringatore», «La scritta di San Manno di Perugia», «L'elogio funebre di Laris Pulenas», «L'epitafio di Lartia Cilnia», «Le lamine auree di Pirgi», «Il Cippo di Perugia» e la «Tabula Cortonensis». Della «Tabula Capuana» e del «Liber linteus della Mummia di Zagabria» figurano tutti i singoli vocaboli, assieme con la traduzione di qualche frase relativa ad un determinato vocabolo.

Nel DEtr sono confluiti tutti i risultati delle opere che il prof. Pittau aveva in precedenza dedicato alla lingua etrusca e precisamente: La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi (1981); Lessico etrusco-latino comparato col nuragico (1984); Testi etruschi tradotti e commentati - con vocabolario (1990); Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi - saggio storico-linguistico (1995); La Lingua Etrusca - grammatica e lessico (1997); Tabula Cortonensis, Lamine di Pirgi e altri testi etruschi tradotti e commentati (2000). Di certo il DEtr costituirà una delle tappe fondamentali nella lunga storia degli studi relativi alla lingua etrusca.

Pittau nutre anche la fondata speranza che termini finalmente l'opinione largamente diffusa persino tra uomini di cultura e di cultura umanistica, secondo cui la lingua etrusca è ancora tutta un "mistero", una lingua di cui non si sa nulla o quasi nulla, una lingua che attende ancora di essere "decifrata" del tutto e dall'inizio....


L’opera può essere acquistata, a 30 euro la copia, presso:
LIBRERIA EDITRICE DESSÌ
Largo Cavallotti 17
07100 SASSARI
tel. 079/23 16 73

da TG COM

nhmem
19-11-05, 18:46
http://www.lerma.it/Editore/Promozione/Images/2005_11-ant3/30012017.jpg


Giulio Quirino Giglioli
L'arte etrusca.




Offerte "L'Erma" (http://www.lerma.it/Editore/Promozione/2005_11-ant3/cod_30012017.htm)

Pisittu
02-12-05, 13:00
ci sono tesi che affermano la possibilità ,che gli etruschi discendano anche da popolazioni sarde che si sono spostate nel continente!ci sono molte similitudini al riguardo!

nhmem
02-12-05, 18:42
http://web.tiscali.it/pittau/libri/orig_parent.jpg

I N D I C E
Prefazione
Quadro cronologico
Abbreviazioni
Bibliografia
Scrittura e pronunzia del sardo

Cap. I LA SARDEGNA E IL MEDITERRANEO

1. L'ambiente geografico
2. Il flusso migratorio dal Mediterraneo orientale a quello centro-occidentale
3. L'importanza della Sardegna nelle antiche migrazioni mediterranee
4. Le rotte marittime dall'Asia Minore per l'Etruria e la Sardegna
5. La rotta della trasmigrazione degli Etruschi
6. Lidi, Fenici e Greci in Sardegna

Cap. II LA COLONIZZAZIONE LIDIA O SARDIANA IN SARDEGNA

7. La Lidia terra dell'Asia Minore
8. La vocazione metallurgica dei Lidi, dei Sardi e degli Etruschi
9. Ittiti, Lidi e Sardi
10. La grande emigrazione erodotea
11. Le tesi migrazionista ed autoctonista sugli Etruschi
12. Lo scolio del «Timeo» di Platone
13. I Sardiani della Lidia e quelli della Sardegna
14. La questione del «riso sardonico»
15. I Tirreni/Tirseni costruttori delle «torri nuragiche» della Sardegna
16. Le testimonianze di Esiodo, Strabone e Tzetzes
17. Tirreni, Sardi e Sibariti
18. Monetazione e scrittura presso i Sardiani/Nuragici
19. La Sardegna penultima tappa della migrazione dalla Lidia all'Etruria
20. La data della migrazione erodotea e l'inizio della civiltà nuragica
21. La nascita del «nuraghe» in Sardegna
22. L'entità numerica dei coloni lidio-sardiani in Sardegna
23. I rapporti fra i Lidi/Sardiani e i gruppi umani prenuragici
24. Lo stanziamento dei Sardiani nell'isola
25. Le varie tribù dei Sardiani

Cap. III LE CONNESSIONI CULTURALI FRA LA LIDIA E LA SARDEGNA

26. Il Sardus Pater e il santuario di Delfi
27. Incubazione ed oracolo nella Sardegna antica
28. Il culto dell'anatolica Artemide e la prostituzione sacra in Sardegna
29. Il culto dell'anatolico Bacco e il culto fallico in Sardegna
30. Il culto del dio Sole e della bipenne - Il re Manes e il drago
31. La lingua lidia e quella paleosarda o nuragica
32. I relitti della lingua nuragica
33. Le connessioni lessicali fra la Sardegna e l'area egeo-anatolica
34. Le conclusioni storico-linguistiche
35. Le connessioni onomastiche fra l'Asia Minore e la Sardegna
36. I rapporti dei coloni sardiani con la madrepatria anatolica
37. Nuragici ed Etruschi nel Mare Tirreno
38. I Tirreni nel Mare Ionio
39. Nuragici e Micenei e la xenomania
40. I Tirreni nel Mare Egeo
41. I Sardiani e l'isola di Creta


Cap. IV SARDIANI E TIRSENI FRA I "POPOLI DEL MARE"

42. I Sardiani in Egitto
43. I Tirseni/Tirreni della Sardegna in Egitto
44. Le influenze religiose egizie sui Sardi/Nuragici
45. Le inlluenze culturali egizie sui Sardi/Nuragici
46. La rotta marittima di Cipro
47. I Fenici in Sardegna

Cap. V LA TALASSOCRAZIA DEI LIDI E QUELLA DEI TIRRENI

48. La talassocrazia o dominio dei Lidi e dei Tirreni sui mari
49. I Tirreni/Nuragici nella Corsica meridionale
50. I Tirreni/Nuragici nelle Baleari
51. I Tirreni/Sardiani nella Cerdanya iberica e nella Gallia Narbonese
52. Le rotte dello stagno e dell'ambra
53. Il rinvenimento del ferro in Etruria

Cap. VI I SARDI / NURAGICI NELL'ETRURIA

54. Gli sbarchi dei Sardi/Nuragici nelle coste dell'Etruria
55. La città etrusca di Veio e la locuzione «Sardi venales»
56. La cronologia degli sbarchi dei Sardi/Nuragici
57. Sardiani/Nuragici e Sardiani/Lidi in Etruria
58. L"'Orientalizzante" in Etruria
59. I Tirreni/Tirseni e i Pelasgi
60. Le connessioni religiose fra i Sardi/Nuragici e gli Etruschi
61. Le connessioni culturali fra i Sardi/Nuragici e gli Etruschi
62. La fine dei rapporti dei Tirreni con la madrepatria Lidia
63. I Tirreni e Cartagine
64. La «federazione sardo-cartaginese»
65. La rottura dell'ethnos nuragico-etrusco

Cap. VII LINGUA NURAGICA E LINGUA ETRUSCA

66. Le connessioni linguistiche fra i Sardi/Nuragici e gli Etruschi
67. Le connessioni lessicali nuragico-etrusche
68. Le connessioni toponomastiche fra la Sardegna e l'Etruria

POSCRITTO

NOTE

INDICI LESSICALI

Pisittu
02-12-05, 19:01
non proprio,non lo conoscevo!ho visto dei documentari in tv,confrontavano i vari tipi di tombe, quelle che dentro ricordano la conformazione della casa(pilastri e architravi scolpiti nella pietra)e anche sulle tecniche di fusione dei metalli!cmq ci sono studi recenti che dimostrano che i sardi (shardana)erano dei grandi navigatori,e che avevano scambi con tutto il mediterraneo.:-0005F

nhmem
28-12-05, 23:38
http://www.saturniatellus.com/portale/viewtopic.php?t=128&highlight=

nhmem
28-02-06, 19:44
COMUNE DI CARMIGNANO Assessorato alla Cultura
Museo Archeologico Comunale di Artimino
Gruppo Archeologico Carmignanese
Provincia di Prato
Soprintendenza ai Beni Archeologici per la Toscana




GLI ETRUSCHI E IL MEDITERRANEO
Ciclo di Conferenze
Sala Consiliare del Comune di Carmignano
Piazza V.Emanuele II, 3

Venerdì 3 marzo - ore 21.15
Dall’Egitto all’Etruria, dal Villanoviano all’Orientalizzante
Prof. Giovannangelo Camporeale (Università degli Studi di Firenze)

Venerdì 10 marzo - ore 21.15
Siria, Fenicia, Grecia ed Etruria nell’Orientalizzante
Prof. Giovannangelo Camporeale (Università degli Studi di Firenze)

Venerdì 17 marzo – ore 21.15
Gli Etruschi e il Mediterraneo occidentale: la Francia e la Spagna
Prof. Adriano Maggiani (Università degli Studi di Venezia)

Venerdì 24 marzo – ore 21.15
L’Etruria, la Corsica e la Sardegna
Prof. Luigi Donati (Università degli Studi di Firenze)

A conclusione delle conferenze:
Venerdì 7 aprile – ore 20.30
“Cena etrusca” ad Artimino
Prenotazioni presso il Museo Archeologico Comunale di Artimino 055- 8718124


AMICO MUSEO
Visite di primavera 2006

Sabato 22 aprile – ore 10 e ore 11 visite guidate
Il tumulo etrusco di Montefortini a Comeana
a cura del Gruppo Archeologico Carmignanese

Sabato 6 maggio – ore 11
Guerrieri etruschi ad Artimino: testimonianze nel Museo Archeologico
con il gioco del Petaso, per conoscere, divertendosi, il mondo etrusco

Domenica 7 maggio
Visita all’insediamento etrusco di Pietramarina
ore 11.00 ritrovo in località San Giusto, passeggiata fino a Pietramarina
ore 11.30 Visita guidata a cura della Dott.ssa Maria Chiara Bettini






PASSEGGIATE ARCHEOLOGICHE IN ETRURIA



Domenica 21 maggio
Cortona: visita al nuovo museo archeologico e al monumentale tumulo del Sodo

Domenica 10 settembre
Sarteano: visita al museo archeologico e alla tomba dipinta della “Quadriga Infernale”

Informazioni e prenotazioni presso il Museo Archeologico Comunale di Artimino tel. 055 8718124









INFORMAZIONI

Comune di Carmignano
Assessorato alla Cultura tel. 055 8750232-250 – Fax 055 8750210
cultura@comune.carmignano.po.it
www.comune.carmignano.po.it
Museo Archeologico Comunale di Artimino
c/o Villa Medicea La Ferdinanda – Artimino – tel. e Fax 055 8718124
ore 9,30-12,30 / Mercoledì chiuso

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