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Orazio Coclite
10-04-03, 00:05
Continua il nostro viaggio alla scoperta della spiritualità delle popolazioni italiche arcaiche. Dopo gli etruschi ecco ora il turno dei sanniti. Tutte le informazioni sono tratte dall'ottimo e consigliatissimo sito: http://www.sanniti.info



LA RELIGIONE DEI SANNITI


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Chiave bronzea con iscrizione devozionale (1).

Adorare gli stessi dei fu per i Sanniti un fattore di unità tribale. La religione era molto importante tanto da connettere ad essa vari momenti dell'attività giornaliera. Non avevano un intero Olimpo in comune ma fu significativo che gran parte degli dei erano venerati da tutti i Sanniti. In caso di guerra, arruolavano intere schiere di combattenti vincolandoli ad un solenne giuramento sacro che non veniva mai violato, tanto era importante per loro mantenere il patto con gli dei.
Le grandi divinità antropomorfe erano le stesse delle popolazioni del centrosud Italia, e tra queste figure divine ricorrono spesso Juppiter (Giove), Mamerte (Marte) dio della guerra a cui si consacravano intere schiere di guerrieri sanniti anche mercenari, Mercurio, Diana, Apollo, Atena, i Dioscuri (Castore e Polluce), Dioniso, Kerres (Cerere) nelle varie forme nonché le Ninfee ed Ercole (http://space.tin.it/io/davmonac/sanniti/hercules.html), molto venerato e raffigurato sia da statuette che su scudi e paragnatidi.

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I Dioscuri - Castore e Polluce (2).

Risulta comunque evidente l'influenza dei Greci nella religione dei Sanniti, specialmente dopo l'espansione, alla fine del VI secolo a.C., verso i territori campani e le coste del Tirreno. Grande venerazione ebbe, già in epoca arcaica, una particolare divinità legata alle sorgenti, all'elemento acqua in generale ed alle sorgenti solfuree in particolare. La Mefite, "colei che sta in mezzo", fu una divinità seguita in tutto il Sannio come attestano i diversi santuari a lei dedicati sia in area pentra, come presso l'odierna Santa Maria di Canneto nella Val di Comino vicino Atina (FR), sia in area Irpina, come il santuario nella valle dell'Ansanto vicino Rocca San Felice (AV) oppure quello di Macchia Porcara presso Casalbore (BN).
Un altro elemento che sottolinea la loro profonda religiosità era il rispetto delle pratiche e le credenze religiose dei popoli con cui venivano in contatto. Alcune antiche testimonianze ci rivelano come, nello svolgimento di particolari rituali, i sacerdoti sanniti seguivano pratiche religiose non proprio autoctone ma ispirate a tradizioni di popoli amici, ma ciò non può meravigliare più di tanto, dati i continui contatti che le popolazioni sannitiche avevano con Etruschi, coloni Greci e Celti. Comunque questi rituali non sembrano essere stati particolarmente frequenti (3).

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Atena (4) da Roccaspromonte.

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Atena (4) da Roccaspromonte.

Molti sono i culti tramandatisi nel tempo tra gli Italici ma alcuni aspetti delle antiche pratiche, come il Ver Sacrum o "Primavera sacra", hanno impresso nelle credenze e nelle tradizioni dell'etnia sannita alcune espressioni rituali, come la consacrazione di uomini, animali e cose verso una divinità, ritrovate quasi intatte nell'odierno Sannio.
La Lex Sacrata, il rito che vincolava tra loro gli uomini a compiere una determinata azione, consacrandoli ad una divinità insieme alla loro famiglia ed ai loro beni, era una pratica comune a tutti i popoli italici, ma solo i Sanniti la portarono all'estrema esaltazione dei valori, spesso in relazione con avvenimenti bellici. Anche la polilatria, adorare più dei nello stesso luogo, era tipico della religione sannita. Infatti le divinità non erano isolate nella riservatezza dei loro templi individuali come in Grecia, né varie divinità erano riunite nello stesso luogo ma adorate separatamente.

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Ercole (http://www.genie.it/utenti/davimon/schede/sched001.doc)

Gli dei sanniti erano adorati ciascuno per la propria funzione ma tutti insieme e nel medesimo luogo sacro. Tipico esempio è la Tavola di Agnone (http://space.tin.it/io/davmonac/sanniti/smagnon.html) iscrizione sacra incisa in lingua osca, dove 17 divinità venivano celebrate in un unico posto. I Sanniti veneravano i loro dei, semidei e numina, non con questi rapporti di priorità e di importanza, concependo il proprio mondo come popolato da poteri e spiriti misteriosi che andavano rispettati e che incutevano loro un timore reverenziale tanto da dover sempre instaurare buone relazioni. Non sempre venivano immaginati in forma umana ed incerto era anche il loro sesso, ma quelli antropomorfi erano in maggioranza più dee che dei. Dimoravano in luoghi particolari e bisognava sempre conquistarnei favori e l'amicizia, sia che erano benevoli sia malevoli, con preghiere ed offerte.

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Ercole bronzeo da Macchia d'Isernia - III secolo a.C. (5).

Di particolare importanza erano luoghi come la casa, per il focolare, la porta e la dispensa, oppure come i campi per il raccolto, i boschi, i ruscelli, le sorgenti e i luoghi di sepoltura. I Sanniti temevano elementi o azioni contaminanti e per scongiurarle facevano ricorso a cerimonie di purificazione. L'invasione del proprio territorio, ad esempio, apportava una contaminazione e la cerimonia del giogo sotto di cui furono fatti passare i Romani alle Forche Caudine fu un atto di purificazione dal pericoloso contagio della terra e delle genti apportato dall'invasore sconfitto.
I Sanniti facevano uso di amuleti per propiziarsi la buona sorte. Orazio, di stirpe sabellica, menziona spesso i Sabella Carmina, frasi di formule magiche che propiziavano gli dei e gli spiriti in occasioni particolari come il matrimonio o il raccolto. Queste pratiche, anche se più affini alla magia che alla religione, erano molto usate nel Sannio. Praticavano la divinazione del futuro, interpretando il volo degli uccelli o le viscere degli animali sacrificati. Un aruspice pare vivesse nella zona di Agnone, a cui i Sanniti si rivolgevano per interpretare i segni prima di una battaglia.

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Histonium - Juppiter Liber (6).

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Histonium - Juppiter Liber (6).

Orazio Coclite
10-04-03, 00:11
NOTE

(1) La chiave bronzea, con iscrizione devozionale in osco:

herettates sum / agerllud
Sono di Venere, da Agello

è stata ritrovata a Tufillo ed è conservata nel Museo Nazionale di Chieti.


(2) La lastrina di piccole dimensioni, di argento ricoperta da foglia d'oro, è stata ritrovata nell'area sacra di Campochiaro, nella zona a sud-ovest del tempio. Lo schema principale raffigura, su di una linea di base, i Dioscuri, nudi, simmetricamente affiancati presso i loro cavalli. Le due figure tengono la lancia con il braccio interno e poggiano sulla gamba dello stesso lato. Il braccio esterno è appoggiato sulla testa dei cavalli che sollevano una delle zampe anteriori. La scena è inquadrata sia in alto che in basso da una medesima decorazione costituita da una serie di teste volte alternamente a destra ed a sinistra, intercalate da elementi di non chiara comprensione. Sopra e sotto vi sono una serie di perline accostate. Sulla superficie anteriore rimangono evidenti tracce di doratura. Posteriormente la lamina è stata rinforzata con un'altra sottile lamella d'argento. I due tagli laterali sono antichi, praticati quindi prima che l'oggetto venisse offerto al santuario.


(3) Di particolare importanza sono le relazioni sociali che questo popolo ebbe con i Celti.
Molte pratiche religiose sannite descritte dagli storici antichi hanno riferimenti nei riti druidici ed alcune testimonianze pervenuteci, come i ciottoli incisi in lingua osca, sembrano essere di ispirazione celtica. Anche l'assenza di grandi costruzioni formali negli arcaici luoghi sacri, la forma degli antichi recinti, gli "horti", dedicati a più divinità ed il fatto che l'area sacra fosse distante dagli insediamenti urbani, trovano comunanza con la religione dei Druidi. Nel rito dei sacrati alla Legio Linteata, nel 293 a.C., non si esclude che ad Aquilonia oltre ai sacerdoti sanniti ci fossero anche Druidi.
Il sacrificio di uomini ed animali contemporaneamente, descritto da Livio, è proprio un rito dei Druidi. Inoltre il libro sacro utilizzato dal sacerdote il cui nome è forse scaturito dalla fantasia di Tito Livio, un certo Ovio Paccio (che all'epoca equivaleva ad un nome generico osco), era formato da pagine scritte su lino, molto simile al libro sacro etrusco recuperato tra i bendaggi della mummia di Zagabria ed anch'esso di ispirazione druidica.

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Elmo sannitico dalla tomba celtica di Felsina. Bologna - Tomba Bonacci 953 Inizi III Secolo a.C.

(4) Statua in terracotta di Atena da Roccaspromonte in provincia di Campobasso, attualmente custodita presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. La statua, alta 151 cm. e datata intorno al IV secolo a.C., sembra riprodurre l'iconografia dell' Athena Pròmachos ed ispirarsi a proptotipi di età classica. Fu rinvenuta nel 1777 durante i lavori di aratura di un campo a Roccaspromonte, in un'area forse pertinente ad un antico santuario. Fu acquistata dal conte Lamberg, ambasciatore d'Austria a Napoli, la cui collezione di oggetti d'arte fu immessa poi nel Museo Imperiale di Vienna nell'anno 1815. La dea indossa un chitone dorico che nella parte posteriore è modellato con profonde pieghe verticali somiglianti alle scanalature di una colonna, e porta sul petto l'egida (la misteriosa pelle di capra ornata di frange che, scossa, provoca spavento e che è proprietà di Giove) a forma di mantello, con il gorgoneion. E' posta su di una base dalle fattezze molto arcaiche.
Insieme alla statua fu rinvenuto anche un altare di pietra andato purtroppo perduto, recante l'iscrizione in osco (Vetter 1953, n.158) :

tanas niumeríis / frunter

dove, nell'ultima parola, frunter, si è soliti riconoscere il nome della divinità, e nelle due precedenti, il prenome ed il gentilizio del dedicante. Il gentilizio niumeriis, invece di niumsis, si presenta in forma latinizzata. E' probabile che ciò testimoni la continuità del culto almeno fino all'epoca della romanizzazione del Sannio.

(5) La statuina in bronzo, alta circa 30 cm., è stata recuperata da un contadino durante i lavori di aratura nei pressi della località di Sant'Angelo in agro di Macchia d'Isernia. Rappresenta un Ercole, purtroppo mancante di parte degli arti superiori, con la classica pelle di leone (leontè) attorno al collo e sulle spalle. Una clava doveva essere mantenuta dalla mano destra. La foto mostra un reperto conservatosi in maniera ottimale, rinvenuto con altri oggetti votivi poco tempo fa in un luogo dove è stata ipotizzata, da tempo, l'ubicazione di un'area sacra dedicata ad una divinità dell'Olimpo sannita ancora non individuata.

(6) Il peso bronzeo con iscrizione osca alla base proviene da Punta Penne nei pressi di Vasto. Infatti un culto di Juppiter Liber esisteva in loco. L'iscrizione recita:

íúveís lúvfreís

L'organizzazione del culto è documentata nei Vestini dalla Lex Aedis Furfensis ed è da supporre che anche a Punta Penne, dove altri indizi rivelano la presenza di un insediamento frentano, vi fosse un santuario di carattere paganico - vicano.

Orazio Coclite
10-04-03, 00:22
LA TAVOLA OSCA

La Tavola Osca, chiamata anche Tavola di Agnone per il luogo dove è stata trovata (1), è una tavoletta di bronzo, delle dimensioni di centimetri 28x16,5, munita di una maniglia. Attualmente si trova al British Museum di Londra. E' la più importante iscrizione in lingua osca, dopo il Cippo Abellano e la Tabula Bantina di maggiore lunghezza, risalente circa al 250 a.C. a giudicare dalla forma delle lettere.
Le iscrizioni sulla tavola, ben leggibili ed incise profondamente, sono poste su ambedue le facciate. La prima contiene 25 righe e la seconda 23 righe.

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La prima facciata tratta di un recinto sacro, un santuario dedicato a Cerere, dove si svolgono cerimonie religiose. Questi culti hanno luogo durante il corso dell'anno in giorni stabiliti per 15 divinità elencate in seguito. Poi l'iscri- zione rivela che all'interno di questo recinto sacro, ogni due anni, sull'ara del fuoco avrà luogo la cerimonia. Quindi viene attestato che ogni anno, al tempo della Floralia, presso il santuario si deve sacrificare a quattro divinità.
Questa facciata nel suo insieme sembra indicare ciò che accade o deve accadere nel santuario tanto da sembrare norme relative al suo funzionamento o un calendario rituale.
Nell'altra facciata viene precisato che al recinto appartengono gli altari dedicati alle divinità che vengono venerate all'interno del santuario. Poi si afferma che il saahtúm tefúrúm deve essere sull'aria ignaria. Quindi viene attestato che il santuario appartiene a coloro che pagano la decima. Quest'altra facciata elenca, come un inventario, ciò che è di proprietà del santuario e le persone che possono frequentarlo e che lo gestiscono.
Il boschetto di Agnone doveva essere situato nelle vicinanze del Monte del Cerro, fra Capracotta ed Agnone, dove venne trovata la tavoletta più di un secolo fa. La località (Fonte del Romito) veniva chiamata ancora con il termine dialettale Uorte cioè Orto, Hortus in latino e Húrz sulla tavoletta.
Questo luogo era dedicato a Kerres (Cerere) ed i fedeli pagavano una decima per la sua cura. Si svolgevano processioni sacre in periodi ben definiti. Per compiere riti lustrali venivano effettuate soste presso ognuno dei quindici altari presenti all'interno dell'Orto sacro. Ogni due anni si manteneva acceso un fuoco e si facevano offerte su un altare sacrificale. Cerimonie al di fuori dell'Orto sacro venivano celebrate per Flora, processioni con soste rituali in onore di quattro divinità.
La tavola di Agnone menziona diciassette divinità e tale numero è la prova evidente che i Sanniti tendevano alla polilatria. Tutte le divinità hanno un nesso con l'agricoltura, il raccolto ed i frutti della terra, sottolineato dall'epiteto Kerríiaís (Cereale) che si trova dopo il nome di alcuni di essi.


Di seguito vengono elencate le divinità nominate sulla tavoletta:

Kerres - Cerere (la dea greca Demetra), la divinità cui era dedicata l'area sacra;

Vezkeí - Vetusco oppure Veiove;

Evklúí Patereí - Euclo padre (Ade); oppure Hermes.

Futreí Kerríiaí - Persefone figlia di Cerere;

Anter Stataí - Stata Mater;

Ammaí Kerríiaí - Maia, dea italica della primavera;

Diumpaís Kerríiaís - Le Ninfee delle sorgenti;

Liganakdíkei Entraí - Divinità legata alla vegetazione ed ai frutti;

Anafríss Kerríiuís - Le Ninfee delle piogge;

Maatúís Kerríiúís - Dea italica dispensatrice di ruggiada per i raccolti;

Diúveí Verehasiúí - Giove Virgator;

Diúveí Regatureí - Giove Pluvio;

Hereklúí Kerríiuí - Ercole;

Patanaí Piístíaí - Dea della vinificazione.

Deívaí Genetaí - Mana Geneta;

Pernaí Kerríiaí - Pales, la dea dei pastori.

Fluusaí - Flora protettrice dei germogli.


L'elemento di maggiore spicco è l'importanza attribuita a Kerres. L'area sacra era a lei intitolata e tutti gli dei venerati in quel luogo erano gli stessi dell'Olimpo sannita ma in relazione alla funzione cui erano pregati di svolgere: guidati da Cerere, dovevano sostenerla nel propiziare la terra e proteggerne i frutti. Quindi Kerres è il fulcro dei rituali religiosi che si svolgevano nell'Orto Sacro, inteso questo come simbolo di tutte le terre coltivate, e non è una coincidenza che la Tavola sia stata ritrovata sull'altura che oggi viene chiamata Monte del Cerro ed è stata realizzata in bronzo, un metallo che occupava un posto di rilievo nei rituali in onore di Cerere.

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TRASCRIZIONE DELLA TAVOLA

LATO A
a)
statús pús set húrtín
kerríiín: vezkeí statíf,
evklúí statíf, ,
futreí kerríiaí statíf,
anter stataí statíf,
[kerrí statíf],
ammaí kerríiaí statíf,
diumpaís kerríiaís statíf,
liganakdíkei entraí [kerríiaí] statíf,
anafríss kerríiúís statíf,
maatúís kerríiúís statíf,
diúveí verehasiúí statíf,
diúveí [piíhiúí] regatureí statíf,
hereklúí kerríiúí statíf,
patanaí piístíaí statíf,
deívaí genetaí statíf;
b)
assaí purasiaí
saahtúm tefúrúm alttreí
pútereípid akeneí / sakahíter;
c)
fiuusasiaís az húrtúm
sakarater:
pernaí kerríiaí statíf,
ammaí kerríiaí statíf,
fluusaí kerríiaí statíf,
evklúí patereí statíf.


LATO B
a)
aasas ekask eestínt / húrtúí:
vezkeí,
evklúí,
fuutreí,
anter stataí,
kerrí,
ammaí,
diumpaís,
liganakdíkeí entraí / kerríiaí,
anafríss,
maatúís,
diúveí verehasiú,
diúveí piíhiúí regatureí,
hereklúí kerriiúí,
patanaí piístíaí,
deívaí genetaí;
b)
assaí purasiaí
saahtúm tefúrúm
alttreí pútereípid
akeneí;
c)
húrz dekmanniúís staít.


Il testo seguente è tratto da uno studio effettuato dal Prof. Adriano La Regina:

Sappiamo che la lastra fu trovata con il chiodo di cui era munita per l’affissione ancora conficcato in una pietra apparentemente crollata da un muro costruito con blocchi squadrati e legati con malta. Questo è l’unico, seppure vago, elemento esterno che possediamo per determinare la data del bronzo, che non dovrebbe essere anteriore al II secolo a.C., allorquando nell’edilizia si diffonde localmente l’impiego della malta. La datazione convenzionale alla metà del III secolo è basata su criteri paleografici non vincolanti - lettere quadrangolari, presenza di í e di ú - perché consentono solamente di determinare l’appartenenza dell’iscrizione alla fase alfabetica media, secondo la classificazione del Conway, o recente, secondo quella di Heurgon, ma comunque delimitabile tra il III ed il II secolo a.C.
Il testo è inciso senza utilizzare appieno gli spazi disponibili, ma con linee di scrittura predeterminate, in numero di 25 sul primo lato (A), e di 23 sul secondo (B). Un breve tratto orizzontale inciso sotto l’inizio di una parola, presente in tre casi (dopo A19, B2, B11), sta a significare che quella parola appartiene alla linea di scrittura precedente, e che solo per mancanza di spazio disponibile essa è stata scritta a capo. Ciò dimostra l’intenzione di riprodurre, anche nella distribuzione del testo, il modello da cui esso deriva.
Nonostante questa attenzione vi sono imprecisioni ortografiche ed omissioni, in parte intenzionali, che risultano evidenti dall’esame comparativo dei due documenti.
Il modello da cui il testo fu copiato era dunque scritto su una superficie più ampia; esso è però ricostruibile con notevole approssimazione nei paragrafi Aa e Ba, che si sviluppano parallelamente con nomi di divinità in colonna: è anomala la posizione di kerrí statíf in A3, perché le due parole furono omesse non intenzionalmente dopo A5, e reinserite in A3, nell’unico spazio rimasto disponibile sulla superficie già completamente utilizzata.
Uno spostamento intenzionale, come si è pensato con conseguenze sul piano interpretativo, non è giustificabile, in primo luogo perché esso si sarebbe riprodotto anche in B, e poi soprattutto perché esso avrebbe rispettato il principio di elencare ogni singola divinità su linee diverse. Se si tiene conto di questo e del riaccorpamento di B1-2 e di B10-11 risulta perfetto il parallelismo nella distribuzione testuale dei paragrafi iniziali di A e B.
Sempre dall’esame comparativo dei due testi, e al tempo stesso della superficie scrittoria utilizzata si può riconoscere l’intenzionalità di altre omissioni: A8 omette kerríiaí per evidente carenza di spazio, mentre nel corrispondente B11 la parola resta, ma con l’annotazione di pertinenza alla riga precedente; ugualmente in A12 si omette piíhiúí, che trova invece spazio, e resta, in B15.
Nei paragrafi successivi Ab e Bb fa fede, per la ricostruzione del modello, Ab: sul lato opposto infatti la scrittura diviene più sciatta e si allarga di molto. In B21 alttreí doveva appartenere alla linea precedente e così pure akeneí di B22. Sembra quindi che a questo punto sia stata abbandonata ogni attenzione nell’attenersi al criterio di riprodurre nel testo la stessa distribuzione del modello. I paragrafi successivi non consentono comparazioni perché differiscono totalmente.


Contenuto dei testi

Aa: status pus set "i sacrifici che devono aver luogo; stata sono per Festo, 466L, i sacrifici che devono aver duogo nei giorni fissati; húrtín kerríín letteralmente "nell’orto di Cerere" ove la divinità compare però nella forma aggettivale; si tradurrà "nell’orto sacro di Cerere" - o meglio "nel santuario di Cerere". I nomi delle quindici divinità, elencate in forma dativa, sono seguiti dalla parola statíf "nel giorno stabilito", quale esso risultava dal Calendario ufficiale, e che quindi non richiedeva particolare annotazione. Le divinità sono certamente elencate in successione cronologica durante il corso dell’anno; la divinità principale, Cerere, è infatti menzionata tra le altre e non in posizione iniziale. Nel corso dell’intero ciclo annuale si tenevano dunque nel santuario 15 cerimonie sacrificali, a cui sono da aggiungere le altre quattro menzionate in Ac, pertinenti alle Floralia.

Ab: Il significato della parola tefúrúm non è stato chiarito, donde la difficoltà di intendere appieno la prescrizione, indicata dal verbo sakahíter, "sacrificetur" o simile. Il senso che se ne ricava è "sull’ara ignea il santo tefúrúm ogni due anni sia sacrificato/consacrato" o similmente.

Ac: fluusasiaís "durante i ludi Florales"; az húrtúm "presso il santuario", non all’interno del recinto ma in sua immediata adiacenza, si sacrifica a quattro divinità nei giorni stabiliti. Solamente due di queste divinità compaiono nell’elenco precedente, ma Euclo figura qui come "padre"; tra le due divinità aggiunte, che non hanno altari permanenti elencati in B all’interno del santuario, vi è anche Flora, fluusaí.

Ba: "Questi gli altari che sono nel santuario"; non si tratta di un catalogo ma di un elenco normativo; segue la lista delle 15 divinità già menzionata in Aa, di solito senza annotazione dell’epiteto kerríi.

Bb: Ritorna la clausola relativa al tefúrúm, come in Ab ma senza il verbo; non si tratta di omissione in questo caso, ma di un principio normativo: come in Ba si elencano gli altari che sono (e devono essere) nel santuario, qui si stabilisce che ogni due anni il tefúrúm è (e deve essere) sull’ara ignea; le prescrizioni rituali sono rispettivamente in Aa ed in Ab.

Bc: Enuncia la pertinenza del santuario dekmanniúís, "per coloro che versano le decime".

L’insieme dei dati che ci vengono offerti dalla Tavola di Agnone è sufficiente per comprendere molto di questo luogo sacro, di cui abbiamo la fortuna di sapere tutto ciò che si ignora degli altri santuari sannitici conosciuti invece nella loro consistenza monumentale. Sul lato A del bronzo sono contenute le norme relative ai riti ed ai ludi, a ciò che si deve fare dunque; sul lato B è invece indicato ciò che deve essere nel santuario e la sua condizione giuridica. I riti si risolvono in 15 cerimonie annue nei giorni stabiliti, nella cerimonia biennale del tefúrúm, e nella celebrazione delle Floralia che si svolgevano apparentemente per quattro giorni.
Il santuario aveva poi 15 altari per cerimonie annue al suo interno, certamente senza tempio (almeno nell’epoca in cui fu redatta la legge), un tefúrúm che si istituiva annualmente su una sedicesima ara ad esso riservata o dedicata.
Conosciamo infine il nome di tutte le divinità, anche se di molte di esse il significato è oscuro: sono evidenti Cerere, Giove che compare due volte con attributi diversi, Ercole, Flora; probabile la presenza della Figlia (Proserpina): futreí, delle Ninfe: diumpaís, di Euclo: evklúí.
Cerere è la divinità dominante in tutto il corso dell’anno, anche attraverso il carattere "cereale" attribuito a gran parte delle altre. Nel suo complesso il sistema si rivela come ciclo culturale agrario, del grano, collegato quindi con il mondo infero. L’elenco di divinità non costituisce dunque un generico pantheon italico, ma il particolare sistema cultuale di quel santuario, la cui area di influenza doveva essere limitata all’ambito paganico, o interpaganico, a cui apparteneva. Vi si celebravano annualmente solo i ludi Florales, certamente con rappresentazioni sceniche. Il carattere dei ludi concorda con quello agricolo dei culti.
Il bronzo contiene quindi non una qualunque legge sacra, ma la legge sacra di quel santuario.
Poiché il testo non riporta le date, né per le cerimonie né per la celebrazione delle Floralia risulta difficile qualunque ricostruzione dell’intero ciclo annuale, anche se qualcosa si può tentare di stabilire. Ciò soprattutto sulla base delle Floralia che si dovevano protrarre per almeno 4 giorni; sappiamo che a Roma, verso la fine del I secolo a.C. esse duravano sei giorni a partire dal 28 aprile. Il 19 aprile cadevano a Roma le Cerialia.
La successione kerrí e ammaí nell’elenco delle divinità sembrerebbe indicare che a quel punto siamo nel mese di aprile; ammaí ritorna infatti tra le quattro divinità delle Floralia, A23; evklúí patereí, distinto per la presenza dell’epiteto da evkúí, come del resto vi sono due diúveí in date diverse, chiudeva le Floralia. Se così è, si può attribuire ad aprile questa sequenza di celebrazioni:

húrtin:/
húrtin: kerrí statíf
az húrtúm: pernaí kerríiaí statíf
az húrtúm: ammaí kerríiaí statíf
az húrtúm: fluusai kerríiaí statíf
az húrtúm: evklúi patereí statíf

E' infatti evidente che l’ ammaí kerríiaí statíf indica l’identica data sia in A6 che in A23; sono le cerimonie che si duplicano, l’una all’interno dell’húrz, l’altra all’esterno. Sappiamo, del resto, che il mese di aprile prendeva nome, nelle lingue italiche, proprio da Flora: mesene flusore in un’iscrizione sabina (Ve. 227), e mense flusare in un testo latino della zona vestina, datato al 58 a.C. (CIL I 756, cfr. G. Radke, in Rh. M. 1963, p. 313 sgg.). Flora era infatti la divinità che presiedeva alla fioritura della vegetazione (Florae quae rebus florescendis praeest, nei Fasti Prenestini al 28 aprile).

(Testo tratto da: F. COARELLI e A. LA REGINA - Abruzzo e Molise - Guide archeo Laterza - Bari 1984)



NOTE

(1) La località rustica, denominata Fonte del Romito o dell'Eremita, era un podere del Sig. Giangregorio Falconi situato nelle vicinanze del monte del Cerro, tra Agnone e Capracotta, coltivato dal contadino Pietro Tisone che rinvenne la tavola mentre procedeva ai lavori di aratura nel 1848. L'importante reperto venne visionato dai fratelli Cremonese di Agnone, intenti allo studio di resti lapidei rinvenuti in precedenza. Tempo dopo i due fratelli Francesco Saverio e Domenico Cremonese riferirono al Mommsen dell'importante rinvenimento del reperto bronzeo in lingua osca. Lo studioso tedesco era già stato ad Agnone poco tempo addietro quando, ospite del duca D'Alessandro di Pescolanciano, aveva visitato quella parte del Sannio e le importanti vestigia sannitiche ivi scoperte. Molti anni dopo la Tavola di Agnone era in possesso dell'antiquario Alessandro Castellani di Roma che la vendette al British Museum di Londra.

nhmem
10-04-03, 22:13
[QUOTE]Originally posted by Orazio Coclite
Continua il nostro viaggio alla scoperta della spiritualità delle popolazioni italiche arcaiche. Dopo gli etruschi ecco ora il turno dei sanniti. Risulta comunque evidente l'influenza dei Greci nella religione dei Sanniti, specialmente dopo l'espansione, alla fine del VI secolo a.C., verso i territori campani e le coste del Tirreno. Grande venerazione ebbe, già in epoca arcaica, una particolare divinità legata alle sorgenti, all'elemento acqua in generale ed alle sorgenti solfuree in particolare. La [B]Mefite, "colei che sta in mezzo", fu una divinità seguita in tutto il Sannio come attestano i diversi santuari a lei dedicati sia in area pentra, come presso l'odierna Santa Maria di Canneto nella Val di Comino vicino Atina (FR), sia in area Irpina, come il santuario nella valle dell'Ansanto vicino Rocca San Felice (AV) oppure quello di Macchia Porcara presso Casalbore (BN).

;) Su Mefite vedi di Renato del Ponte http://www.lacittadella-mtr.com/pdf/Mefite.pdf
;)

Antiokos
06-11-06, 14:45
Hirpus porto su dalla pag. 30 del forum questo topic per te, dovrebbe interessarti... :D

Vale! ;) :)

Hirpus
06-11-06, 16:54
Grazie Antiokos, molto gentile, ma questo sito lo conosco a memoria :)