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Visualizza Versione Completa : Antisemitismo, Antisionismo, Antigiudaismo



Pieffebi
19-04-03, 18:08
da "Uomini Nuovi - Mensile di Informazione Cristiana".

" L’ANTISEMITISMO È:

l dare la colpa agli ebrei per ogni disastro nel mondo;

l nutrire pregiudizi contro il popolo ebraico;

l dare la colpa agli ebrei per ogni tipo di malvagità;

l diffamare e insultare verbalmente gli ebrei;

l sospettare degli ebrei per una cospirazione universale massonico-capitalistica;

l incolpare gli ebrei di essere dei continui elementi disturbatori e nemici n.1 del mondo;

l minimizzare le sofferenze del popolo ebraico durante il periodo nazista o glorificare il nazismo;

l negare la morte dei sei milioni di ebrei nell’Olocausto (rifiuto dell’Olocausto);

l negare agli ebrei il diritto di vivere, desiderare la loro distruzione, annientare tutto ciò che sia ebraico.

l L’antisemitismo si basa principalmente su stereotipi medievali riguardo agli ebrei ed ha motivazioni razziste.



L’ANTISIONISMO È:

l rifiutare il ritorno degli ebrei alla terra dei loro padri e della loro fede;

l negare agli ebrei il diritto di vivere in Israele in libertà, pace e dignità umana;

l negare allo Stato di Israele il diritto di vivere e di esistere;

l volere l’esodo degli ebrei da Israele;

l desiderare la cancellazione dello Stato di Israele dalla cartina geografica e volere gettare gli ebrei nel mare;

l L’antisionismo nega agli ebrei il diritto biblico e storico di tornare alla loro madrepatria -Israele- e di vivere in quella terra con uno Stato sovrano in libertà e dignità.



L’ODIO CONTRO ISRAELE È:

l dare la colpa solo ad Israele per il conflitto nel Medio Oriente;

l accusare Israele di nazismo, fascismo, imperialismo e razzismo;

l giustificare teologicamente l’intifada (la rivolta dei palestinesi) come "lotta per la libertà, divinamente ispirata" e glorificarla come "divina intifada" contro il male (Israele);

l accettare tacitamente il terrore arabo-palestinese contro Israele e gli ebrei di tutto il mondo.

l negare allo Stato di Israele e al suo governo il diritto fondamentale all’esistenza;

l non riconoscere allo Stato di Israele e alla sua capitale, Gerusalemme, di sottostare al diritto internazionale;

l diffondere deliberatamente mezze verità e informazioni false su Israele e fare propaganda ostile ad Israele attraverso i media (TV, radio, giornali ed internet).

l Odio contro Israele significa mirare alla diffamazione e alla distruzione dello Stato di Israele e discriminare i sostenitori del mandato ebraico.



L’ANTIGIUDAISMO È:

l accusare gli ebrei per la morte di Gesù;

l accusare gli ebrei di essere "assassini di Dio sul Golgota";

l tacciare gli ebrei di essere "maledetti" e "rigettati" da Dio;

l ritenere le sofferenze del popolo ebraico come "la giusta punizione di Dio";

l diseredare spiritualmente gli ebrei e proclamare la Chiesa Cristiana come Nuovo e Vero Israele;

l Interpretare tutte le benedizioni di Dio in riferimento alla Chiesa e tutte le maledizioni in riferimento agli ebrei;

l Rifiutare il significato del popolo, dello Stato e della terra di Israele nella storia del mondo e nella storia della salvezza;

l Proclamare che gli ebrei di oggi non sono più il popolo scelto da Dio ma una nazione proprio come le altre.

L’antigiudaismo è un peccato originale del Cristianesimo tradizionale, una dichiarazione morale e spirituale del fallimento della Chiesa. "

Come semplificazioni ed esemplificazioni possono andar bene.

Shalom!!!

Pieffebi
19-04-03, 19:29
dalla rete...
" Ebrei e Islam
Amos Luzzatto su l'Unità
del 18.09.2001

È ricorrente la tentazione di attribuire agli ebrei un complotto contro il resto dell'umanità. Tale era il contenuto dei "Protocolli dei Savi anziani di Sion" (gentilmente distribuito a Durban da qualche Ong); tale sta diventando ora il "Sionismo". Che il Sionismo, movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico, abbia, fra le sue correnti, anche degli estremisti, è certamente vero. Né più né meno di quanto è successo in tutti i movimenti di liberazione nazionale, compreso quello palestinese . Noi, da parte nostra, non commetteremo l'errore di estrapolare dalla minacciosa attuale, presenza di un terrorismo internazionale di matrice musulmana (che esiste) l'identificazione di tutto l'Islam con il terrorismo. Questo atteggiamento ci collocherebbe su un terreno che confina con il razzismo. Sappiamo che l'Islam, come religione, non diversamente dalle altre religioni, conosce elementi di pensiero pacifista, di amore universale, persino di spunti di tradizioni ebraiche. Anche in Italia esistono esponenti musulmani che si esprimono lungo queste linee di pensiero. Li conosciamo, li apprezziamo. Non li respingeremo mai, resteremo in dialogo con loro. Allo stesso tempo, però, ci aspettiamo da loro di non accontentarsi di una testimonianza personale, per quanto nobile e apprezzabile, ma di passare da questa a un autentico movimento di opinione, a un'espressione di massa. Il mondo deve cercare di costruire una estesa alleanza democratica che sappia sconfiggere il terrorismo, come metodo di lotta e come bandiera di mobilitazione. In questa, e solo in questa cornice, deve esserci lo spazio anche per i musulmani. "

Shalom!!!

Pieffebi
19-04-03, 19:47
da www.vangelo.org

" ANTISEMITISMO ISLAMICO SOSTENUTO DAL POTERE TECNOLOGICO DEI MEDIA

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Le menzogne antisemite che minacciano tutti noi

di Harold Evans
(trad.Valentina Piattelli)

Il dilagare dell'antisemitismo nel mondo islamico, dalla scuola alla stampa, tv e internet, non solo rende la pace in Medio Oriente impossibile, ma ci rende tutti bersagli.
Appena prima di essere cacciato dal Presidente Bush, Yasser Arafat aveva fatto una straordinaria offerta - straordinaria perché non riguardava una delle solite richieste che Bush stava per fare, straordinaria perché Arafat ha ammesso un orrore finora nascosto: l'indottrinamento dei giovani che diventano terroristi suicidi. In una comunicazione di sei pagine che ha spedito al Presidente Bush e alle capitali arabe, descrivendo il suo progetto di riforma in 100 giorni, Arafat ha affermato che avrebbe "rinunciato al fanatismo nei programmi educativi e contribuito alla diffusione dello spirito di democrazia e all'apertura culturale".
C'è molto dietro al sasso che Arafat ha lanciato. Il fanatismo è stato alimentato nei terroristi suicidi e in milioni di giovani in tutte le nazioni arabe, con l'indifferenza dei media, governi, università e chiese del mondo civilizzato. Le scuole palestinesi, finanziate dall'Europa, sono fogne a cielo aperto in termini di odio che seminano. Odio non solo per Israele, ma per tutti gli ebrei e i loro amici. Il dottor Ahmad Abu Halabiya, ex rettore dell'Università Islamica di Gaza, ha affermato in un suo discorso: "Ovunque siate, uccidete gli ebrei, gli americani, che sono come loro, e tutti quelli che li sostengono". I leader arabi vengono a Washington, Londra e Ginevra con piani di pace, mentre a casa propria incitano i loro popoli con questi propositi. Significa che se anche per qualche miracolo ci fosse un accordo per formare uno stato palestinese, non ci sarà pace in Medio Oriente per una generazione. Gli israeliani potrebbero dimenticare o perdonare i terroristi assassini; i palestinesi potrebbero scordarsi l'umiliazione dell'occupazione. Ma il conflitto politico è solo uno degli aspetti del fanatismo che viene fomentato. Si somma alla disumanizzazione di tutti gli ebrei ed è stato creato e diffuso in tutto il Medio Oriente e nel sud Asia con proporzioni ed intensità senza precedenti. Si tratta di qualcosa di relativamente nuovo nel mondo islamico. C'era più tolleranza per gli ebrei nell'impero islamico di quanta non ce ne fosse nell'Europa cristiana.
Ero consapevole, come tutti, che i palestinesi odiano lo stato di Israele. Quello che mi ha stupito è la virulenza di questo nuovo antisemitismo in ogni parte dei paesi musulmani. È delirante, infervorato, paranoico, violento, prolifico, e solo incidentalmente connesso al conflitto palestinese. La speranza - è un luogo comune - sembra che non c'entri niente. Il momento di grande speranza, in conseguenza a Camp David, ha dato origine a un aumento di odio, non ad una sua diminuzione. È un fenomeno unico; non esiste niente di simile per gli arabi o i musulmani.
Chiunque parli di Palestina o di terrorismo parla a vanvera, di niente che possa essere compreso senza tener conto del modo in cui le menti sono state avvelenate. Il singolo assalto di uno skinhead a una sinagoga fa notizia, ma non l'incessante assalto agli ebrei che si svolge dal Marocco al Cairo, da Damasco, a Baghdad e Teheran, dalla striscia di Gaza a Karachi.
Il paradosso è che questo avviene oggi che il mondo è collegato come mai prima d'ora in termini di diffusione delle notizie, ma molti di questi collegamenti sono mortalmente appassiti. Il fanatismo religioso, che ha diffuso e condonato il terrorismo e guidato il nuovo antisemitismo, è insensibile alla ragione. Jonathan Swift aveva riconosciuto questo dilemma più di 200 anni fa: Non puoi ragionare con qualcuno su qualcosa su cui questi non abbia ragionato prima da solo.
Ciò con cui siamo alle prese è ben illustrato da quello che gli ebrei fecero al World Trade Centre. Tutti nel mondo islamico sanno che l'11 settembre è stato un complotto ebraico per aprire la strada ad un'operazione militare israeliana e statunitense contro Bin Laden e i talebani, ma anche contro i militanti islamici in Palestina. Nel giorno dell'attentato, 4000 ebrei erano assenti dal World Trade Centre; erano stati avvertiti.
Pensavo che questa bufala fosse svanita nel nulla, ma mi è stata riferita in tutta sincerità da un taxista pakistano la settimana scorsa a New York; questo dimostra che si tratta della fedele rappresentazione di una ben salda convinzione musulmana. Milioni e milioni di persone credono a queste sciocchezze, come riportato da un sondaggio sottoposto a persone provenienti da nove paesi islamici (Pakistan, Iran, Indonesia, Turchia, Libano, Marocco, Kuwait, Giordania ed Arabia Saudita) che rappresentano circa metà della popolazione musulmana mondiale.
Circa il 67% considera gli attacchi moralmente ingiustificati; è già qualcosa (perché non il 100%?). Poi è stato chiesto se credevano che fossero stati gruppi arabi a compiere gli attentati. Solo in Turchia la risposta è stata vicina al "si", circa 45%. In tutti gli altri otto paesi islamici, la popolazione respinge l'idea che arabi o Al Qaeda siano responsabili. Si tratta si un sondaggio di un paio di mesi fa, dopo milioni di servizi dei reporter e gli esultanti video di Osama Bin Laden. La maggioranza è schiacciante in Pakistan, Kuwait, Iran e Indonesia. In Pakistan solo il 4% ammette che gli assassini fossero arabi. Thomas Friedman, del "New York Times", ha dichiarato il mese scorso che in Indonesia, il più grande stato musulmano del mondo, nessuno dubita che si tratti di una cospirazione del Mossad . Chi può essere ingenuo/pazzo/malvagio/perverso abbastanza per seminare queste menzogne? Queste notizie arrivano dalle fonti ufficiali, dai giornali e dalle televisioni degli stati arabi, dalle scuole e dalle moschee finanziate dal governo, dai giornalisti arabi, dai vignettisti, dai religiosi e dagli intellettuali, dai siti web che contengono un'infinità di calunnie . La parvenza di modernità nei media arabi è un'illusione. Più importante della presenza dell'hardware è l'assenza di software, la nozione di un giornalismo libero, indipendente ed autocritico. La CNN riprenderà i danni dei bombardamenti in Afghanistan; Al Jazeera e le stazioni mediorientali non si sognerebbero mai di parlare con gli orfani e le vedove i cui amati sono stati assassinati da un terrorista suicida.
L'ultima parola viene sempre data alla critica araba all'America. Come è possibile che le persone siano così sensibili alla disinformazione? Beh, le teorie della cospirazione semplificano un mondo complesso. L'assenza di prove costituisce la prova di un complotto: registrazioni mancanti a Pearl Harbor, pallottole mancanti a Dallas, corpi mancanti a Jenin. I pregiudizi vengono completati dalla fantasia. La smentita delle autorità è indice dell'entità del complotto: anche lei è coinvolta. Complotti e dicerie fioriscono, specialmente dove la circolazione delle informazioni e delle opinioni è limitata e l'analfabetismo è alto.
Ma c'è un'altra spiegazione per il potere della menzogna oggi. È l'aurea di autenticità conferita dalla tecnologia, da Internet. John Daniszewski, del "Los Angeles Times", ha chiesto alla direttrice di "The Nation" ad Islamabad, Ayesha Haroon, perché se la prendono con Israele. "È possibile che ci sia malafede in quello che viene scritto" ha ammesso. "Penso anche che abbia a che fare con internet. Quando vedi qualcosa su un computer, tendi a credere che sia vero". Questo nuovo prodigio è anche fonte di sventura. Un indonesiano in visita alla fortezza islamica di Yogyakarta, secondo Friedman, si è detto spaventato dalla propensione alla jihad contro cristiani ed ebrei. Gli utenti di internet sono solo il 5 per cento della popolazione, ma questo 5% diffonde dicerie sugli ebrei a tutti gli altri. Dicono: "l'ha preso da internet". Pensano che sia la Bibbia.
La calunnia riguardo agli ebrei che sono morti nel World Trade Centre, che milioni di persone considerano vera, ha iniziato a circolare nel settembre 2001 in un sito web chiamato InformationTimes.com "un servizio indipendente di notizie e informazioni", il cui indirizzo ufficiale è l'Ufficio Stampa di Washington . Ho pensato che valesse la pena chiedere al redattore capo, Syed Adeeb, per avere una conferma. Mi ha detto che la fonte era la stazione televisiva libanese Al Manar. Quando gli ho chiesto se non avesse qualche scrupolo ad affidarsi ad Al Manar, portavoce del gruppo terroristico hezbollah, il cui scopo è " promuovere un'efficace guerra psicologica contro il nemico sionista" la risposta di Adeeb è stata: "Beh, è una rete televisiva molto popolare ". Adeeb evidentemente crede a questa storia; quando gli ho detto che ci sono stati ebrei morti nelle torri, ha ammesso che uno o due potrebbero essere morti, ma che gli pare sospetto che nessuno sappia dirgli quanti. Poi ha tenuto a dirmi di essere un cittadino americano e che alcuni dei suoi migliori amici sono ebrei . La visione del mondo di Adeeb si intuisce dai titoli sul suo giornale: "Israeliani con materiale esplosivo arrestati a Washington", "La mafia israeliana controlla il congresso americano", "Pazzi terroristi indu minacciano l'America", "FBI e CIA dovrebbero indagare sulla lobby israeliana", "Selvaggi soldati israeliani hanno violentato e torturato 86 donne a Nablus, Palestina".
Ho chiesto quale fosse la fonte della notizia sulla violenza carnale e mi ha risposto che era stata riferita dalla deputata laburista Lynne Jones. Ho verificato. La dottoressa Jones aveva veramente messo in giro questa atrocità, citando l'email di un certo Anthony Razook di Nablus, ma è stata abbastanza accorta da precisare che "la notizia non era stata dimostrata". Questi distinguo scompaiono nella lavanderia dell'informazione.
Un tempo storie come queste circolavano solo su sgualciti fogli ciclostilati, che non venivano mai alla luce. Oggi un Mago di Oz come Adeeb possiede un megafono per parlare al mondo credulone, con la falsa autenticità della distribuzione elettronica . Negli anni trenta, Cordell Hull si rammaricò del fatto che con la stampa e la radio una bugia poteva aver fatto il giro di mezzo mondo prima che la verità avesse avuto il tempo di infilarsi i calzoni; oggi può andare su Marte e tornare indietro prima che uno abbia il tempo di svegliarsi. Al capolinea dei titoli incendiari e della diffusione imprudente di email c'è Danny Pearl, torturato e sgozzato come un animale perché era ebreo e giornalista.
Sfortunatamente, la stampa occidentale molto spesso, con le migliori intenzioni, ingenuamente rinforza le tendenze antisemite. Israele è sostenuta come diceva Lenin, come una corda sostiene un impiccato. Viene dato lo stesso peso alle notizie provenienti da una polizia corrotta o da risaputi bugiardi che alla notizie provenienti da una forte democrazia capace di autocritica . L'assunto - bonario, ma sciocco - è che questo sia in qualche modo equo, come se la verità potesse esistere soltanto in un vuoto morale, qualcosa che possa essere misurato al metro, come la stoffa. Cinque milioni di ebrei in Israele sono una minoranza a rischio, circondata da 300 milioni di musulmani governati per la maggior parte da regimi autoritari, stati quasi di polizia che in oltre 50 anni non hanno mai smesso di cercare di cancellare dalla faccia della terra Israele con la guerra o il terrorismo. Questi stati mettono a tacere il dissenso e il giornalismo critico, hanno sistemi penali vendicativi e scuole velenose, non riescono ad attuare praticamene nessuna misura di giustizia sociale o politica, sviano le frustrazioni della piazza verso il capro espiatorio del sionismo e alimentano il terrorismo internazionale. Eppure è Israele che è guardato con scetticismo e talvolta ostilità.
Prendete la battaglia di Jenin. L'aspettativa di un'abbuffata da parte dei migliori giornali in Europa e di ora in ora delle televisioni portava a credere che le storie palestinesi di 3000 uccisi e sepolti in fosse comuni segrete dovesse essere vera, nonostante il principale diffusore di questa storia, Saeb Erekat , fosse stato accusato di essere un bugiardo. "The Guardian" è stato perfino indotto a scrivere un editoriale secondo il quale gli attacchi di Israele a Jenin erano "disgustosi in ogni loro aspetto" esattamente come l'attacco di Osama Bin Laden a New York l'11 settembre.
"Disgustosi in ogni loro aspetto"?. Ci siamo forse persi qualcosa? Qualche provocazione americana ad Osama comparabile all'uccisione continua di israeliani - donne, bambini, anziani e malati? Al World Trade Centre accadeva qualcosa di minaccioso quanto la costruzione di bombe a Jenin, riconosciuta con orgoglio dai palestinesi come la Capitale del Suicidio? In realtà non c'è stato massacro, non ci sono state fosse comuni. Human Rights Watch ha finora contato 54 morti, compresi 22 civili - ma secondo gli israeliani sarebbero solo 3. Alcuni militanti palestinesi in realtà sostengono che Jenin sia stata una vittoria per l'uccisione di 23 soldati israeliani.
Naturalmente la stampa aveva il dovere di riportare le affermazioni palestinesi secondo le quali c'era stato un massacro; doveva fare domande e dare l'allarme nei suoi editoriali. Ma non si può trovare la verità accostando affermazioni opposte, né l'isteria serve a raggiungere la verità. Le grandi storie come questa devono essere riportate con estremo rigore, trattenendo il linguaggio, ponendo attenzione scrupolosa nei titoli, ponendo attenzione alle fonti e mettendo sopra a tutto il senso di responsabilità: quando è reale, l'uso della parola "genocidio" è troppo doloroso per essere svalutato con un continuo uso per fatti ben più piccoli. Descrivere i bombaroli suicidi come "martiri", come è stato fatto di recente in alcuni titoli in Gran Bretagna, significa approvare la barbarie; i palestinesi possono chiamare i terroristi "martiri", se preferiscono, ma è una offesa ai veri martiri che hanno dato la loro vita per salvare altre persone, non per uccidere a casaccio e per ottenere una ricompensa economica per le loro famiglie. Le parole, ha detto Churchill, sono l'unica cosa che dura per sempre. Dobbiamo tutti avere molta attenzione con il potere esplosivo delle parole, la stessa che ci aspettiamo abbiano all'aeroporto con le nostre valigie.
Lasciatemi respingere il sofismo secondo il quale discutere simili argomenti significa giustificare qualsiasi cosa fatta con la pretesa di protestare contro l'antisemitismo. Non è antisemita far domande su Jenin, non più di quanto non sia ostile alla stampa far domande su come la notizia è stata riportata dai media. Non è antisemita denunciare e protestare contro i maltrattamenti dei palestinesi. Non è antisemita ritenere che nel passato di Sharon si trovino le premesse del futuro. Non è antisemita deplorare un'occupazione così lunga, anche se originariamente determinata dai leader arabi che hanno istigato e perso tre guerre.
È invece antisemita disprezzare lo stato di Israele come un'astrazione diabolica, mostrando tolleranza per il singolo ebreo, ma non per gli ebrei nel loro insieme; È antisemita inventarsi oltraggi maliziosi; È antisemita condannare costantemente in Israele ciò che viene ignorato o condonato altrove; in particolare È antisemita disumanizzare l'ebraismo e il popolo ebraico incitando o giustificando il loro sterminio. Che è quello che abbiamo visto migliaia e migliaia di volte in una proporzione oltraggiosa.
La Comunità Europea ha recentemente approvato ulteriori donazioni milionarie all'Autorità Palestinese. Corrotta com'è, si simpatizza con il suo bisogno di alleviare la sofferenza e la povertà; non si dovrebbe però porre come condizione a queste donazioni che l'Autorità Palestinese cessi di usare i soldi europei per la propaganda razzista attraverso le sue scuole, moschee, televisione e radio, nei comizi politici e nei campi estivi? Il fanatismo al quale Arafat si offre di rinunciare "quale mezzo di baratto, non come principio morale" è il fanatismo stimolato dalla sua Autorità Palestinese la quale, fra gli altri progressi, produce documentari educativi con bambine che cantano la loro devozione al martirio. Il grado di infezione è stato evidente all'Università Al-Najah, a Nablus, dove gli studenti hanno organizzato una "Mostra sul Caffè Sbarro".
Il Caffè Sbarro è una tavola calda dove un terrorista suicida ha ucciso 15 persone che stavano mangiando. La mostra, secondo Associated Press e i media israeliani, includeva anche un esposizione con fette di pizza e parti di cadaveri mescolate insieme sparse in tutta la stanza. Le mura erano dipinte di rosso per indicare il sangue schizzato ovunque.
È difficile in queste cose trovare ragionevolezza - soprattutto nel Dipartimento di Psichiatria dell'Università di Ein Shams, al Cairo. Qui troviamo il Dr. Adel Sadeq, che è anche Presidente dell'Associazione Araba degli Psichiatri, che commenta riguardo ai bombaroli suicidi: "Come psichiatra professionista, io dico che il massimo dell'estasi arriva alla fine del conto alla rovescia; dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno. Quando il martire raggiunge l'uno ed esplode, ha come la sensazione di volare, perché è sicuro di non essere morto. È una transizione verso un altro mondo, più bello. Nessuno in occidente sacrifica la propria vita per la patria. Se la sua Patria sta affondando, l'occidentale è il primo a saltare su una barca. Nella nostra cultura è diverso; Questa è l'unica arma araba che c'è e chiunque dice diversamente è un sovversivo".
Il prossimo paziente prego! Le caricature con cui il mondo musulmano mette continuamente in ridicolo gli ebrei calcano noiosamente sulle stesse accuse: gli ebrei sono sempre sporchi, con il naso adunco, avidi di soldi, vendicativi, vili parassiti, barbari che diffondono deliberatamente il vizio, la droga e la prostituzione e avvelenano l'acqua. u] Fra le storie inventate: le autorità israeliane hanno infettato 300 bambini palestinesi con l'HIV facendo loro iniezioni durante gli anni dell'intifada; gli israeliani hanno avvelenato i palestinesi con uranio e gas nervino; Israele sta diffondendo gomme da masticare e cioccolatini drogati per rendere le donne lascive; gli ebrei usano il sangue dei gentili per fare le azzime per Pasqua ("Al- Ahram", Cairo). Questo aprile, gli studenti di una scuola pubblica di San Francisco hanno appeso un poster di un bambino "ucciso secondo i riti ebraici su licenza americana". [/u]
È incredibile ma i media arabi e musulmani, e dietro questi i loro stati, hanno resuscitato il noto imbroglio bolscevico, i Protocolli dei Savi Anziani di Sion . Questo documento presunto segreto, ritenuto troppo ridicolo per una sceneggiatura di Mel Brooks, è il piano segreto sionista tramite il quale i demoniaci ebrei raggiungerebbero il dominio del mondo. Ha ricevuto più colpi al cuore da parte di accademici delle innumerevoli rivisitazioni del mito di Dracula, ma questa bizzarra contraffazione è ancora diffusa comunemente nel mondo musulmano. Sui Protocolli la Radiotelevisione Araba ha prodotto una serie televisiva in 30 puntate, costata milioni di dollari, con un cast di 400 persone. E non si trattava di una satira.
Sono i Protocolli a ispirare Hamas, il Movimento di resistenza islamica, a insegnare ai loro bambini che gli ebrei controllano la ricchezza e i media del mondo. Secondo Hamas - e chi in classe solleverà dubbi? - gli ebrei hanno deliberatamente istigato le rivoluzioni russa e francese e la Prima Guerra Mondiale, in modo da cancellare il califfato islamico e istituire la Lega delle Nazioni "per comandare sul mondo attraverso i loro intermediari".
Quando ho controllato sul sito della "Palestine Watch", fra l'altro, per indagare su cosa stessero dicendo al mondo sulla propaganda israeliana, sono rimasto allibito: descrivevano Hamas come se cercasse soltanto la pace con dignità, dimenticando di menzionare la piccola faccenda che lo scopo di Hamas è la distruzione dello stato di Israele.
Tralasciando l'intensità e la forza di questa campagna svolta con tutti i mezzi, ci sono stati allarmanti cambiamenti nella sua direzione politica. La frustrazione araba per il riconoscimento dello stato di Israele dopo la Seconda Guerra Mondiale è stata espressa per decenni come "Perché gli arabi dovrebbero compensare gli ebrei per l'Olocausto perpetrato dagli europei?".
Oggi però si sostiene che l'Olocausto sia un'invenzione sionista. Questo viene espresso con una veemenza così strabiliante quanto il disprezzo per gli studiosi.
Un giornalista tipico di "Al-Akhbar", il quotidiano governativo egiziano, il 29 aprile ha scritto. "L'intera faccenda (l'Olocausto) come è stato provato da molti scienziati francesi e britannici, non è nient'altro che un enorme complotto israeliano per estorcere soldi al governo tedesco e ad altri governi europei. Personalmente, e alla luce di questa favola, mi lamento con Hitler dicendogli: "Se solo l'avessi fatto, fratello, se solo l'avessi fatto davvero, almeno il mondo potrebbe tirare un sospiro di sollievo senza il loro male e i loro peccati"."
Hiri Manzour nel giornale ufficiale palestinese ha scritto: "La cifra di sei milioni di ebrei cremati nel campo nazista di Auschwitz è una bugia", un imbroglio promosso dagli ebrei all'interno delle loro "operazioni di marketing" internazionali.
Seif al-Jarawn nel giornale palestinese Al-Hayat al-Jadeeda: "Si sono inventati storie orribili sulle camere a gas che Hitler, secondo loro, avrebbe usato per bruciarli vivi. La stampa è satura di immagini di ebrei fucilati o spinti in camere a gas. La verità è che questa malefica persecuzione è una malefica invenzione degli ebrei".
Chiaramente siamo di fronte a un tentativo costante di minare le fondamenta morali dello Stato di Israele, e questo tentativo viene portato avanti anche da un certo numero di persone ritenute moderate. L'ex presidente dell'Iran, Ali Akbar Hashemi- Rafsanjani, ha detto questo a Radio Teheran: "Una bomba atomica spazzerà via Israele dalla faccia della terra, mentre il mondo islamico verrebbe soltanto danneggiato e non distrutto dalla rappresaglia nucleare israeliana".
La meraviglia di questa campagna di antisemitismo è la sua stupefacente perversità: i media arabi e musulmani e le moschee dipingono gli israeliani come nazisti - perfino il conciliante Barak e il falco Sharon sono vestiti entrambi con svastiche e hanno zanne grondanti sangue - ma i media e le moschee smerciano la stessa giudeofobia che ha preparato la strada per Auschwitz . Come si può parlare con uno che conduce tutti i discorsi stando sulla testa urlando? Le persone che in Occidente adottano la stessa metafora omicida per Israele, e l'ho sentito spesso durante le mie visite recenti in Europa, possono anche essere ritenute scherzose nei loro paesi, ma non è là che si svolgono i fatti. Sono degli idioti morali, ma danno credibilità ai bugiardi malevoli del Medio Oriente.
Paragonata alla fantasmagoria che ho descritto finora, può sembrare una faccenda minore il fatto che, senza eccezioni, i libri di testo palestinesi, forniti dall'Autorità Palestinese e finanziati dall'Europa, non contengano nelle loro mappe lo stato di Israele, non menzionino i suoi cinque milioni di abitanti, non riconoscano i legami storici degli ebrei con Gerusalemme.
La richiesta palestinese di uno Stato è una domanda senza risposta, e con una leadership più saggia tale Stato avrebbe potuto fiorire da tempo. È tragico che questa causa sia adesso sfruttata così crudelmente con gli ebrei come una parola in codice per l'incitazione estremista contro l'America e dell'Occidente. Questa è una jihad. Il suo obiettivo siamo anche noi, gli europei che "somigliamo" agli americani perché credono nella liberaldemocrazia e sono infetti dalla cultura americana. Ma le prime vittime sono i palestinesi e le masse frustrate del mondo musulmano. I loro leader li hanno portati all'umiliazione con tre guerre. Non sono stati in grado di riformare le loro società corrotte e inette. Conviene loro piegare la rabbia e la disperazione delle piazze verso Israele e gli ebrei che secondo loro controllano l'Occidente, ma il terrore e l'odio hanno modo di avvelenare ogni società che li incoraggia o che li tollera.
Quando Bernard Lewis ha osservato 16 anni fa che l'antisemitismo stava diventando parte della vita intellettuale degli arabi "praticamente allo stesso modo di quanto accaduto in Germania", ha aggiunto la riflessione consolante che esso mancava della qualità viscerale dell'antisemitismo viscerale dell'Europa centrale e orientale, essendo un antisemitismo "ancora prevalentemente politico, ideologico, intellettuale e letterario", privo di qualsiasi profonda animosità o risonanza popolare, talvolta cinicamente sfruttate dai governanti e dalle elite arabi, insomma un'arma politica di cui liberarsi quando non più utile.
Ma questo è stato scritto prima dell'attuale rifiorire elettronico di odio, prima del lavaggio del cervello che ho riassunto, prima dell'11 settembre. Le abitudini mentali che tendono ad approvare il terrorismo si stanno ormai innestando nel mondo musulmano, sanzionate dalla letargia e dal pregiudizio dell'Europa: quei palestinesi che hanno ballato per la gioia l'11 settembre e quegli studenti che hanno allestito quell'orrenda mostra sugli assassini in pizzeria non erano membri di al-Qaeda, ma la loro accettazione del terrore quale sostituto della politica non è di buon auspicio per il futuro dei loro paesi o per le possibilità di un dialogo politico pacifico in uno qualsiasi degli Stati arabi.
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Questo articolo è tratto da una lezione preparata per il 30° anniversario dell'"Index on Censorship". Harold Evans, ex direttore di "The Sunday Times" e di "The Times" è stato recentemente presidente della Random House, New York, e direttore editoriale del "Daily News", "Atlantic Monthly" e "US News & World Report". E' l'autore di "The American Century".

"

Anche dei nazistoidi di mezzo mondo e persino su POL.com brindarono pubblicamente per la strage dell'11 settembre...... brindarono per un complotto...ebraico?????

Shalom!!!

Shambler
19-04-03, 21:28
http://www.ifrance.com/amipalazzi/

DucadeiFalchi
20-04-03, 08:37
Serenissimo moderatore.La ringrazio di aver aperto questo 3d pedagogico ed educativo.
Le vorrei porre una domanda, ma forse esula dalla discussione.
Essendo un grandissimo ammiratore di Sergio Leone, mi sembra che C'era una volta in America sia un film in cui, il grande Maestro, abbia voluto riconoscere il contributo culturale ebraico alla New York scenario del film, in cui, un grande De Niro, ricostruisce i suoi ricordi minuziosamente e psicanaliticamente.
Crede che è ravvisabile in Sergio Leone un tributo, in questo film, alla cultura ebraica?

Secondo punto: Personalmente possego una vasta biblioteca di testi ebraici ed inerenti alla cultura dell'ebraismo.
Non pensa che tale cultura, essendo raffinata ed articolata, sia spesso impermiabile a gran parte della gente che preferisce affidarsi a stereotipi semplicistici e spesso stucchevoli.

Terzo punto: Non vorrei sbagliare, ma per CONVERTIRSI all'ebraismo, secondo la corrente progressista sionista non c'è bisogno di una discendenza carnale ebraica, mentre per i sionisti conservatori, è necessaria la madre ebrea.
E' interessante notare come l'ebraismo sia ramificato in numerossisime sfumature, affascinanti da studiare e approfondire.

Quarto punto: Consiglio a tutti di approfondire l'umorismo Yiddish autentica miniera di saggezza.

Con Affetto
DucadeiFalchi

Woody Allen, genio dell'umorismo Ebraico Newyorkese

http://digilander.libero.it/allenwoody/images/ptwoody021.jpg

Pieffebi
20-04-03, 12:29
Sono anch'io un ammiratore del grande Sergio Leone, e il film che lei cita è tra i miei preferiti. Non credo, tuttavia, che si possa intravedere un collegamente diretto fra tale film e la cultura ebraica. Sul secondo punto sono senz'altro in accordo con lei. Sul terzo punto ovviamente vi sono fra gli ebrei ortodossi e quelli riformati notevoli differenze in merito all'osservanza delle prescrizioni della Torah. Riguardo al proselitismo esso fu tuttavia praticato in tutta la storia dell'ebraismo. Ovviamente chiunque può diventare ebreo per conversione (proselita) assoggettandosi alla Torah dopo averla imparata, mentre una persona è un ebreo per nascita secondo la Torah (in via matrilineare secondo la Legge).
Quando nel primo secolo al rabbino Hillel fu chiesto da un pagano di insegnargli tutta la Legge, questi rispose: " Ama il Signore Dio tuo..... e ama il prossimo tuo come te stesso, e quindi ciò che non vorresti fosse fatto a te non farlo agli altri. Il resto..... è commento". Tuttavia per divenatare un ebreo era richiesta l'osservanza di tutti i precetti.
Il cristianesimo primitivo risolse il problema del rapporto fra la conversione al cristianesimo dei gentili e la le prescrizioni della Legge mosaica, dopo un dibattito fra gli apostoli in cui erano presenti, in origine, posizioni giudeizzanti più spinte, altre più moderate , posizioni "libertine" e posizioni intermedie. Prevalse, con qualche compromesso transitorio, il punto di vista di San Paolo, che procurò la totale separazione del cristianesimo dalla radice giudaica a cagione dell'universalizzazione della Salvezza Evangelica annunciata dal Cristo. Furono però respinti i tentativi di procurare una de-giudeizzazione radicale del cristianesimo attraverso il ripudio delle Scritture dell'Antica Alleanza (marcionismo).
Shalom!!!

DucadeiFalchi
20-04-03, 15:40
Caro Moderatore, in merito a c'era una volta in America, faccio ammenda di aver posto male la domanda.
Se Lei ricorda il film, i ricordi del giovane Noodles (De Niro) partono proprio dal quartiere ebraico NewYorkese, coì come era ebrea la sua prima fiamma che tale rimarrà per tutta la vita.


Vorrei ancora rilanciare con i complimenti, perchè questo 3d offre un' occasione di riflessione della immensa cultura ebraica, spesso non conosciuta.
La ringrazio ancora quindi di aver aperto questo 3d
DucadeiFalchi

Noodles

http://www.aboutfilm.com/movies/o/onceamerica3.jpg

Deborah, la giovane ebrea di cui si innamora Noodles

http://www.aboutfilm.com/movies/o/onceamerica4.jpg

Pieffebi
20-04-03, 15:58
Ricordo molto bene il film, se non altro per averlo visto più volte, e su questi fora in passato ne ho discusso con una signora che ultimamente non frequanta ...molto questo sito.
L'immigrazione ebraica dall'est Europa fu un fenomeno che per molti anni investì gli Stati Uniti, e tra questi immigrati (come tra quelli italiani, irlandesi....) che nascono anche fenomeni malavitosi, connessi con l'emarginazione sociale, che sono uno degli elementi costitutivi alla base sceneggiatura dello splendido film del grande Sergio Leone.
L'argomento è interessante anche sotto un altro punto di vista, proprio ora che in molti tornano ad agitare gli spettri complottardi antisemiti, collegandosi in modo pseudo-logico e pseudo-storico al fenomeno del lobbysmo ebraico americano e alle sue tendenze sioniste.
Infatti è da dire che l'ebraismo americano del XIX secolo, in grande maggioranza costituito da ebrei tedeschi, era molto lontano dall'ideologia sionista e quando giunsero gli ebrei russi e polacchi, invece largamente favorevoli al sionismo, vi fu una dialettica molto aspra e molto lunga all'interno dell'ebraismo politico e sociale americano.
La prevalenza numerica degli ebrei dell'Europa orientale fece sì che la maggioranza dell'ebraismo americano si orientasse infine se non proprio verso un sionismo radicale, almeno in modo benevolo e favorevole al sionismo, mentre la minoranza di origine tedesca e di più antica americanizzazione, restava alquanto critica e scettica. Questo anche per dire che l'ebraismo americano, a cui molti vogliono attribuire oscure strategie di dominio mondiale, accanto allo Stato di Israele, è tutt'altro che omogeneo e monolitico.... e la pluralità delle tendenze nel suo seno risale alle sue origini.


Shalom!!!

DucadeiFalchi
20-04-03, 17:00
Caro moderatore, dialogare con Lei è un vero piacere, anche perchè stà dimostrando di essere un Uomo di grande cultura.

Piano piano stiamo snocciolando, nel nostro piccolo, l'immensità della cultura ebraica, mettendo in luce dialetticamente e sostanzialmente, di come siano malevoli le teorie di complottismi intessuti sediziosamente sulla storia del popolo ebraico.
In verità, la cultura ebraica è vastissima e sconfinata, e chi ha la saggezza di attingere ad essa, scoprirà inestimabili tesori di sapienza e di progresso culturale.

Ora devo andare a fare il giro degli auguri in famiglia.
Vi saluto con affetto, e modestamente, proporrei di mettere in rilievo questo 3d come umile monito ed insegnamento, a coloro che superficialmente si fermano agli stereotipi, non assaporando così, il grande tesoro di civiltà d'Israele.
Con Amicizia
DucadeiFalchi

Bryger
22-04-03, 15:53
Che teneri che siete...:D

Perchè non andate a bervi una birra al bar brindando al prossimo palestinese o pacifista schiacciato sotto un carro-armato israeliano?

Salute!:K

Pieffebi
22-04-03, 16:12
Perchè non siamo folli come coloro che brindano ai civili israeliani assassinati dai delinquenti-bomba palestinesi.

Shalom!!!

mustang
22-04-03, 16:26
Originally posted by Pieffebi
da "Uomini Nuovi - Mensile di Informazione Cristiana".

" L’ANTISEMITISMO È:

l dare la colpa agli ebrei per ogni disastro nel mondo;

l nutrire pregiudizi contro il popolo ebraico;

l dare la colpa agli ebrei per ogni tipo di malvagità;

l diffamare e insultare verbalmente gli ebrei;

l sospettare degli ebrei per una cospirazione universale massonico-capitalistica;

l incolpare gli ebrei di essere dei continui elementi disturbatori e nemici n.1 del mondo;

l minimizzare le sofferenze del popolo ebraico durante il periodo nazista o glorificare il nazismo;

l negare la morte dei sei milioni di ebrei nell’Olocausto (rifiuto dell’Olocausto);

l negare agli ebrei il diritto di vivere, desiderare la loro distruzione, annientare tutto ciò che sia ebraico.

l L’antisemitismo si basa principalmente su stereotipi medievali riguardo agli ebrei ed ha motivazioni razziste.



L’ANTISIONISMO È:

l rifiutare il ritorno degli ebrei alla terra dei loro padri e della loro fede;

l negare agli ebrei il diritto di vivere in Israele in libertà, pace e dignità umana;

l negare allo Stato di Israele il diritto di vivere e di esistere;

l volere l’esodo degli ebrei da Israele;

l desiderare la cancellazione dello Stato di Israele dalla cartina geografica e volere gettare gli ebrei nel mare;

l L’antisionismo nega agli ebrei il diritto biblico e storico di tornare alla loro madrepatria -Israele- e di vivere in quella terra con uno Stato sovrano in libertà e dignità.



L’ODIO CONTRO ISRAELE È:

l dare la colpa solo ad Israele per il conflitto nel Medio Oriente;

l accusare Israele di nazismo, fascismo, imperialismo e razzismo;

l giustificare teologicamente l’intifada (la rivolta dei palestinesi) come "lotta per la libertà, divinamente ispirata" e glorificarla come "divina intifada" contro il male (Israele);

l accettare tacitamente il terrore arabo-palestinese contro Israele e gli ebrei di tutto il mondo.

l negare allo Stato di Israele e al suo governo il diritto fondamentale all’esistenza;

l non riconoscere allo Stato di Israele e alla sua capitale, Gerusalemme, di sottostare al diritto internazionale;

l diffondere deliberatamente mezze verità e informazioni false su Israele e fare propaganda ostile ad Israele attraverso i media (TV, radio, giornali ed internet).

l Odio contro Israele significa mirare alla diffamazione e alla distruzione dello Stato di Israele e discriminare i sostenitori del mandato ebraico.



L’ANTIGIUDAISMO È:

l accusare gli ebrei per la morte di Gesù;

l accusare gli ebrei di essere "assassini di Dio sul Golgota";

l tacciare gli ebrei di essere "maledetti" e "rigettati" da Dio;

l ritenere le sofferenze del popolo ebraico come "la giusta punizione di Dio";

l diseredare spiritualmente gli ebrei e proclamare la Chiesa Cristiana come Nuovo e Vero Israele;

l Interpretare tutte le benedizioni di Dio in riferimento alla Chiesa e tutte le maledizioni in riferimento agli ebrei;

l Rifiutare il significato del popolo, dello Stato e della terra di Israele nella storia del mondo e nella storia della salvezza;

l Proclamare che gli ebrei di oggi non sono più il popolo scelto da Dio ma una nazione proprio come le altre.

L’antigiudaismo è un peccato originale del Cristianesimo tradizionale, una dichiarazione morale e spirituale del fallimento della Chiesa. "

Come semplificazioni ed esemplificazioni possono andar bene.

Shalom!!!
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l Proclamare che gli ebrei di oggi non sono più il popolo scelto da Dio ma una nazione proprio come le altre.

Sarebbe interessante iniziare d qui. Naturalmente metto subito la mani avanti dichiarando la mia profonda ignoranza in materia, molto parzialmente colmata da esperienze di vita vissuta.

Chi, dunque, dovrebbe proclamare che gli ebrei di oggi non sono più il popolo eletto da Dio?
Gli stessi ebrei o i "soliti cristiani"?

E, ammesso che il miracolo avvenga, c'è qualcuno che alza la mano per promerttere che a questo punto mai chiederà: se non lo sono più oggi, lo erano ieri?

saluti

Pieffebi
22-04-03, 16:54
Dall'Epistola di San Paolo Apostolo ai Romani - cap. XI:

" 25 Infatti, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d'Israele, finché non sia entrata la totalità dei Gentili [pagani] ; 26 e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: " Il liberatore verrà da Sion. 27 Egli allontanerà da Giacobbe l'empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati ". 28 Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l'elezione, sono amati a causa dei loro padri; 29 perché i doni e l'elezione di Dio sono irrevocabili. " (Verbum Domini)

Shalom!!!

Pieffebi
22-04-03, 17:03
Breve descrizione dell'elezione di Israel da parte di un ebreo:

" Scrive G. Della Pergola: "L 'ebraismo nasce come distinzione. Dalla distinzione prendono forma il suo specifico modo di conoscere, la sua ermeneutica fondamentale, il suo metodo, la sua capacità di analisi, il suo rigore, il modo con cui si applica al mondo. Nell'ebraismo ogni cosa è determinata in quanto tale perché distinta: le acque sono distinte e separate dalla terra, la luce è distinta dalle tenebre. Così in Genesi si descrive la creazione: e il popolo di Israele è distinto e separato da ogni altro popolo. Anzi: addirittura è popolo "eletto ", scelto. È infatti popolo di Dio e non solo appartenente al mondo e alla storia degli uomini. Popolo santo "Kasher", di sacerdoti, separato. Popolo che abita "al di là del fiume" a cui è stata data una Legge che è anche una Strada. Un popolo che cammina sulla strada di Dio. Distinto ma non solitario; separato, ma non “per sé solo ". Non come tutti gli altri, eppure né snob né aristocratico. Non confuso con gli altri seppure con gli altri: ma convinto che il modo più corretto per stare con gli altri parte dalla non rinuncia ad una definizione di sé, alla propria identità e alla propria memoria ". "
L'elezione non è un privilegio ma un dovere dato dal rapporto con Dio determinato dal dono della Torah.

Shalom!!!

Pieffebi
22-04-03, 18:55
ancora una riflessione ebraica sull'elezione d'Israele

" Quando un ebreo dice: i "Dieci Comandamenti" dice la Torà; dice quello che il babbo o la mamma gli hanno insegnato, dice quello che i maestri gli hanno illustrato, sa di dire l'essenza, lo spirito della Torà. Tutti noi sappiamo questo, eppure ogni volta che torniamo su questa pagina, ogni volta che la meditiamo, avvertiamo come un senso di sgomento dinanzi alla maestà del racconto biblico, sentiamo di essere troppo piccoli dinanzi a questa sconfinata grandezza, sentiamo che il nostro animo si smarrisce come nella vastità di un orizzonte senza limiti. Proprio come dinanzi all'infinità del cielo e del mare o alla profondità di un firmamento stellato, noi avvertiamo in questa pagina la presenza e la grandezza di Dio. È la parola di Dio che ci sta dinanzi ed essa è immensa ed infinita come e più delle creazioni di Dio nel mondo della natura. Forse perciò quella parola è risuonata nel deserto, in un paesaggio rupestre e desolato: perché solo la maestà delle montagne sinaitiche o la sconfinata grandezza dei deserti, potevano essere degna cornice a un evento di tanta grandezza. - Il Midrash, anzi, dice di più: dice che la parola di Dio fu proclamata nel deserto, perché potesse essere egualmente retaggio di tutti gli uomini, di tutti i popoli; non fu annunciata nel territorio di alcuno Stato perché nessuna gente ostentasse l'orgoglio di averla per sé sola posseduta o creata! A conferma di questo valore universale della Torà, il Midrash aggiunge che la Parola dei divini comandamenti miracolosamente risuonò e si diffuse nell'aria, da un estremo all'altro della Terra, nelle 70 lingue del mondo allora conosciute , sicché ogni popolo avrebbe potuto udirla direttamente . Ma perché proprio ad Israele doveva essere direttamente rivelata la parola di Dio? Perché questa schiera di liberti, or ora usciti da un regime di schiavitù, doveva avere il privilegio o forse l'onere di ascoltarla per primi di mezzo alla tempesta di fuoco dei cieli e della terra? È qui che sta forse il mistero, il segreto o l'insondabile destino d'Israele. Fra i popoli della terra uno ve ne doveva pur essere che avrebbe accettato d'essere custode e depositario di quella parola: quell'uno doveva essere Israele che portava nel suo stesso nome il segno di questa incomparabile missione; doveva essere quell'Israele che si era formato dal nucleo di una gente che il nome di Dio e la vocazione dell'Uno aveva sempre sentito nelle proprie vene e nel proprio sangue. Così nacque la cosiddetta elezione d'Israele o la sua autoelezione al servizio di Dio. Essa nacque quando nell'immensa distesa del deserto un popolo volle consacrarsi a un'idea e quella volle servire per tutti i tempi. Quell'idea era l'idea dell'Uno, era l'idea di Dio, l'idea dell'Assoluto da realizzarsi sulla terra; era un popolo che nei Dieci Comandamenti prendeva nelle sue mani la consegna di quell'idea per sé e per gli uomini. L'aspirazione e il sogno, il desiderio e la nostalgia di far regnare l'Assoluto in mezzo agli uomini, di far scendere sulla terra un raggio della gloria divina, mediante la santificazione della vita e la proclamazione dell'amore di Dio tra gli uomini, questo doveva essere il programma che il popolo d'Israele si proponeva di tradurre in realtà. Fuori di quel programma, la vita d'Israele non avrebbe avuto significato . I Dieci Comandamenti segnano le linee maestre di quel programma, sono dieci parlate, ma sono una sola, sono dieci comandi, ma scendono da un principio e conducono a una meta, sono una sintesi, sono, come tutta la Torà, una via: la via del Re, la via dell'Uno. Se gli uomini hanno troppo spesso dimostrato di dimenticare quel supremo insegnamento che hanno ricevuto da Dio e da Israele, se gli uomini hanno ripagato con l'odio il debito d'onore che avevano verso Israele, ciò non significa altro che gli uomini e i popoli sono ancora lontani, troppo lontani da quell'insegnamento. Non per questo Israele verrà meno al suo mandato, non per questo abbasserà la sua insegna che è sempre quella ove sta scritto in eterno la parola di Dio, parola di amore e di fratellanza: in quella parola Israele troverà sempre ragione di vita per sé e per gli uomini. " (Rabbino Riccardo Pacifici)

e una riflessione cristiana :

" Il disegno di Dio, essendo un progetto di relazioni interpersonali, si realizza nella storia. Non è possibile scoprirlo ricorrendo a deduzioni filosofiche sull'essere umano in generale. Esso si rivela attraverso iniziative divine imprevedibili e, in particolare, con una chiamata rivolta a una persona scelta tra tutte nella moltitudine umana , Abramo (Gn 12,1-3), e prendendo in mano la sorte di questa persona e della sua posterità, che diventa un popolo, il popolo d'Israele (Es 3,10). L'elezione d'Israele, tema centrale nell'Antico Testamento (Dt 7,6-8), resta fondamentale nel Nuovo Testamento. Ben lungi dal rimetterla in questione, la nascita di Gesù dà ad essa la più eclatante conferma. Gesù è « figlio di Davide, figlio di Abramo » (Mt 1,1). Viene a « salvare il suo popolo dai suoi peccati » (1,21). È il Messia promesso a Israele (Gv 1,41.45); è « la Parola » (Logos) venuta « tra i suoi » (Gv 1,11-14). La salvezza da lui apportata col suo mistero pasquale viene offerta in primo luogo agli Israeliti. 345 Come previsto dall'Antico Testamento, questa salvezza ha, d'altra parte, ripercussioni universali. 346 È offerta anche ai Gentili [pagani] . Effettivamente essa è accolta da molti di loro, tanto che sono diventati la grande maggioranza dei discepoli di Cristo. Ma i cristiani provenienti dalle nazioni beneficiano della salvezza solo in quanto introdotti, con la loro fede nel Messia d'Israele, nella posterità di Abramo (Gal 3,7.29). Molti dei cristiani provenienti dalle « nazioni » non hanno abbastanza consapevolezza che erano, per natura, degli « olivastri » e che la loro fede in Cristo li ha innestati sull'olivo scelto da Dio (Rm 11,17-18).

L'elezione d'Israele si è concretizzata nell'alleanza del Sinai e le istituzioni ad essa collegate, soprattutto la Legge e il santuario. Il Nuovo Testamento si situa in un rapporto di continuità con questa alleanza e queste istituzioni. La nuova alleanza annunciata da Geremia e fondata nel sangue di Gesù ha portato a compimento il progetto di alleanza tra Dio e Israele, superando l'alleanza del Sinai con un nuovo dono del Signore che integra e amplifica il suo primo dono . Similmente, « la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù » (Rm 8,2), che è un dinamismo interiore, rimedia alla debolezza (8,3) della Legge del Sinai e rende i credenti capaci di vivere nell'amore generoso, che è « pienezza della Legge » (Rm 13,10). Quanto al santuario terreno, il Nuovo Testamento si esprime in termini preparati dall'Antico Testamento, relativizzando il valore di un edificio materiale come abitazione di Dio (At 7,48) e appellandosi a una concezione del rapporto con Dio in cui l'accento si sposta verso l'interiorità. Su questo punto, come su molti altri, si vede quindi che la continuità si basa sull'impulso profetico dell'Antico Testamento. " (Pontificia Commissione Biblica : "Il Popolo ebraico e le sue Scritture nella Bibbia Cristiana")

Shalom!!!

Pieffebi
23-04-03, 12:44
up! per atterraggio morbido

Bryger
23-04-03, 13:49
Originally posted by Pieffebi
Perchè non siamo folli come coloro che brindano ai civili israeliani assassinati dai delinquenti-bomba palestinesi.

Shalom!!!

Di folli ce ne sono da entrambe le parti, l'unica soluzione possibile è il riconoscimento di uno stato palestinese autonomo, con il ritiro degli israeliani dai territori occupati.

Il resto sono chiacchiere di parte.

Pieffebi
23-04-03, 20:43
In primo luogo le tue.

Shalom!!!

mustang
24-04-03, 00:05
...dimenticate sempre, dopo aver vinto tre guerre d'aggressione da parte di Stati arabi.

Territori serviti da "cuscinetto di sicurezza".

Lo Stato palestinese nascerà, i palestinesi ne hanno il diritto, ma solo dopo aver "garantito" la pacifica vicinanza con il legittimo Stato d'Israele.

Bryger, non confondere la Palestina con la padania e l'Italia con Israele.

Pieffebi
24-04-03, 13:00
sottoscrivo

Pieffebi
25-04-03, 14:23
" DALLA STAMPA (Del 7/1/2002 Sezione: Cultura Pag. 18)


DOPO L´11 SETTEMBRE, DALL´AMERICA ALL´EUROPA, TORNA IL PERICOLO
DELL´ANTISEMITISMO: ACCOLTO ORMAI IN OGNI STRATO SOCIALE
RAZZISMO stella gialla 2002

di Fiamma Nirenstein

SERATA a Londra, fra aristocrazia e argenti, a casa di una signora che mi si dice italiana, di nome Carla, moglie di un inglese di primo piano. Fra i distinti ospiti l'ambasciatore francese in Inghilterra, Daniel Bernard, che parlando del Medio Oriente si riferisce a Israele in maniera inequivoca. «Quel piccolo paese di m... - dice in perfetto inglese
(«That shitty little country») - non ci porterà tutti alla terza guerra mondiale». L'elegante ospite, abituata a maneggiare la conversazione, è tutta animata: «Io non ho mai potuto soffrire gli ebrei - finalmente esclama - e tutto ciò che gli capita è colpa loro». Sul Daily Telegraph la famosa columnist Barbara Amiel racconta altri due o tre episodi di antisemitismo britannico. D´ altronde il ministro degli Esteri Straw ha dichiarato che non c'è da paragonare il terrorismo che uccide gli israeliani con quello antiamericano. La notizia di una sinagoga bruciata a Nord di Londra ha trovato spazio solo su un giornale ebraico locale. Si moltiplicano in Europa gli episodi di antisemitismo con minacce fisiche, solo nell´area di Parigi nel 2001 si sono contate 300 aggressioni, questa settimana una scuola ebraica parigina dei sobborghi è stata incendiata, la sinagoga attigua presa a sassate. « Dall'11 settembre nel mondo - dice Elan Steinberg, vice presidente del Congresso mondiale ebraico - si sono bruciate più sinagoghe che in qualsiasi altro periodo, dai tempi della Notte dei Cristalli. E si tratta di eventi legati senz'ombra di dubbio alla violenza arabo-palestinese, fisica e verbale, contro Israele e alla versione antiebraica del conflitto che è divenuto lexicon comune. Fermo restando il diritto di critica, qui si è andati enormemente oltre: ogni gesto di Israele, che pure è l'evidente vittima, dopo gli accordi di Oslo, di un odio ontologico che ha provocato il rifiuto di Camp David, è stato demonizzato e coperto di menzogne, e ora la tabe dell'antisemitismo, oltretutto accompagnata dal terrorismo, si è ripresentata ».

In Italia molti circoli intellettuali e di affari si domandano come mai ( e naturalmente l'informazione è disgustosamente falsa ) non ci fossero ebrei nelle Torri gemelle quando sono state abbattute. Un amico industriale (non ebreo) racconta che si parla di nuovo del controllo ebraico mondiale della finanza e della stampa, come ai bei tempi. Si ripete che gli ebrei sono diventati come i nazisti. Paolo Mieli ha scritto sul pericolo delle risurrezione dell'antisemitismo. Per un ebreo in Europa è diventato difficile ormai incontrare socialmente gli amici a meno che non si dimostri disposto a un'abiura rispetto a Israele, a meno che non si allinei nel disconoscere le profferte di pace di Israele o non sia pronto a dichiarare che Sharon è un criminale.

Negli Stati Uniti fa epoca un lungo articolo sul New York Magazine uscito a due mesi di distanza dagli attentati estremisti islamici: «La scomoda questione dell'antisemitismo». Sottotitolo sconsolato:
«Risvegliarsi al mondo di mio padre». L´autore, Jonathan Rosen, intellettuale di sinistra, scrive: «Quando ero piccolo mio padre andava a letto con una radio a transistor sempre sintonizzata sulle notizie. Era sotto la minaccia della storia..., nato a Vienna nel 1924, fuggito nel 1938, i suoi genitori uccisi nell'Olocausto... Ne ero depresso, e così ho sintonizzato la mia vita sulla più lieta musica dell'America contemporanea. Adesso, però, mi sono ritrovato sulla frequenza di mio padre. Mi sono
risvegliato nell'antisemitismo». Rosen racconta quello che ancora gli intellettuali europei non vogliono raccontare: come la criminalizzazione degli ebrei da parte araba, che nella sua sboccata paradossalità è apparsa una sorta di deiezione etnica, da non prendere nemmeno in considerazione, sia stata volentieri accolta in ogni strato, solo che si cerchi un capro espiatorio. « Solo gli ebrei sono capaci di distruggere il World Trade Center » ha detto a Rosen lo Sceicco Muhammad Gemeha , rappresentane negli Usa del Centro di studi islamici del Cairo e Imam del centro Culturale Islamico di New York. «Se questo fosse chiaro al popolo americano, farebbe agli ebrei ciò che fece loro Hitler». E si rimasticano le voci oscene che
gli ebrei avrebbero ritirato i loro soldi dal mercato prima dell'11 di settembre. Il Mossad viene confidenzialmente ancorché furbescamente citato, anche in Italia, come responsabile dell'attacco terroristico .

Del resto il terreno era pronto: le organizzazioni palestinesi distribuivano a Durban i Protocolli dei Savi di Sion sulla congiura ebraica per conquistare il mondo ; ripetuto da francesi, italiani, inglesi, danesi, è sorto d´incanto (non a caso, in Sud Africa) lo slogan modernissimo perché attinente al tema dei diritti umani: «Israele, Stato di apartheid», una follia logica e storica . Intanto la macchina di propaganda ripeteva (Arafat ne fece parte del suo discorso a Oslo): gli israeliani usano uranio impoverito e gas nervino, avvelenano le acque, danno giocattoli esplosivi ai bambini, usano soldatesse nude per confondere i combattenti islamici, i soldati israeliani violentano le ragazze palestinesi per provocare poi nella famiglia palestinese l'omicidio-faida contro la violentata stessa. L'Olocausto, nelle parole di Bashar Assad, su tutti i maggiori giornali del Medio Oriente, nella maggior parte dei sermoni del venerdì nelle moschee, sugli schermi di Al Jazeera e della tv palestinese, è diventato una favola usata per arricchire Israele e gli ebrei . Dieci giorni fa Israele è stata definita dall'Iran un cancro da eliminare, gli Hezbollah seguitano a promettere la distruzione di tutti gli ebrei. La Francia ha presentato come una grande vittoria e un segno di simpatia al Libano (da cui l´esercito israeliano ha sgombrato da tempo) il fatto di avere evitato che gli Hezbollah siano nella lista europea delle organizzazioni terroriste. Si sente dire in giro con grande insistenza che, se non fosse per gli ebrei, Bin Laden non ce l'avrebbe tanto con l'Occidente, mentre, per chiunque conosca minimamente la storia dei suoi interventi è evidente il contrario: Israele è una vittima dell'integralismo islamico perché è una scheggia di Occidente in medio Oriente .

Ma tant'è: Israele è il massimo concentramento di ebrei nel mondo, quindi attira il massimo di antisemitismo. Gli arabi, che ne sono il grande nemico, lo hanno elaborato secondo standard classici, di demonizzazione totale, di negazione di diritto all'esistenza, di sistematica costruzione di menzogne evidenti simile a quelle che il tempio di Salomone o quello di Erode non sono mai stati là o che l'Olocausto non è mai esistito . Tutto questo pacchetto velenoso ha ben poco a che fare con la questione israelo palestinese, con i Territori, con la pace. Anche qui, la parola «occupazione» è destituita ormai di ogni significato, fa parte del lessico comune, come quando si diceva - pardon si dice, perché è di nuovo sui giornali arabi - che le azzime sono impastate col sangue. In una parola, l'antisemitismo europeo nutrito delle invenzioni arabe, è di nuovo al lavoro, l'idea che gli ebrei siano un blocco malefico destinato a rovinare il mondo, proprio come vuole Mein Kampf, è di nuovo nei pensieri sull'11 settembre, su Israele, sulla potenza ebraica nel mondo, nella stampa, nelle finanze. Si è rinverdita la criminalizzazione che ha portato al più grande eccidio della storia umana. Può capitare di nuovo? Israele ha un grande esercito, ma un paio di missili pieni di armi chimiche o biologiche possono sempre colpire i grattacieli Azrieli di Tel Aviv, o la sinagoga di Roma .

Fiamma Nirenstein
[/i] "

Sì... le bufale antiebraiche sono sintomi inconfutabili di antisemitismo viscerale delirante.


Shalom!

Pieffebi
26-04-03, 20:07
da www.shalom.it

" Israele ed ebrei al centro di una nuova campagna di odio e disinformazione
Spira forte il vento dell'antisemitismo

di Fiamma Nirenstein


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Dopo l'11 di settembre, l'America è un'altra cosa, e un'altra cosa siamo noi ebrei.
E' come se il risveglio del mondo intero all'antagonismo infinito fra mondi, allo scontro delle culture e delle civiltà, ci avesse richiamato d'un tratto a quella frattura, a quella malattia delle coscienze che si chiama antisemitismo: l'avevamo obliterata, scambiata per qualcos'altro, attribuita a differenze d'opinione sulla politica israeliana, messa da una parte.

E adesso, però, si avverte qualcosa di infetto nell'aria, spore che volano da più di un anno e infiammatesi da qualche mese. Quando ero piccola, e con mia nonna e mia sorella Susanna cantavamo e ballavamo una hora inventata nella nostra casa di Firenze, la Shoah aveva appena chiuso le sue fauci.

L'Italia avvolta in un vento resistenziale e Israele intesa come modello socialista, somma di tutte le perfezioni, scevra dal peccato originale, garantivano che quella fornace era chiusa per sempre. Quando ho visto le ceneri dell'11 settembre al Ground Zero e al Pentagono, solo la voce forte di mio cugino Andrea Fiano (ormai quasi newyorkese per quanto noto giornalista economico italiano) il cui ufficio era a dieci metri dalle Twin Towers mi ha risvegliato da una sensazione buia, nota:" Ricordati", mi ha detto "che la mana jomit (la porzione quotidiana) di Auschwitz, come la chiama Aleph Beth Yeoshua, era di 15mila persone al giorno".

E' vero; e tuttavia io vedo in queste ceneri il segno di un odio spietato e grandioso che mi ricorda quello, e solo quello. E che deve fare ricordare, e pensare bene a quello che oggi gli Ebrei e Israele passano. Dove siamo noi in questo frangente storico? Intanto, con Israele, siamo nel mezzo geograficamente, fisicamente, in una situazione di faglia fra Occidente e mondo islamico in cui siamo rigettati, delegittimati come Stato e come Nazione (nazione di esseri umani, non necessariamente tutti raccolti in un luogo, ma 13milioni di persone che sentono insieme). Siamo nella posizione fisica e morale in cui è facile citare gli ebrei e Israele del tutto pretestuosamente, come ha subito fatto Bin Laden, come causa di uno scontro di cui invece siamo una delle vittime e dei bersagli, come ogni altro pezzetto d'Occidente.

In più siamo affondati, da quando è in atto questa seconda Intifada (che è stata chiamata come la prima, ma che non ne ha nessun tratto) in un mare di odio, di parole malate, di sciocchezze scambiate per realtà. Non è nuovo l'odio antisraeliano, ma da quando abbiamo sentito ripetere che se non fosse stato perché l'America è amica di Israele non sarebbe mai stata attaccata; o in forma ancora più volgare che il Mossad ha organizzato tutto il disastro; o peggio, che quel giorno nelle Twins non c'era neppure un ebreo, ecco che di nuovo ci si ripropone all'ennesima potenza la vecchia storia della ricerca del capro espiatorio, dell'ebreo colpevole, complottardo, egoista, un mostro, nemico humanis generis.

Roba da primitivi, niente di cui preoccuparsi veramente? Eppure c'è chi lo seguita a chiedere: "E' vero che non c'era neppure un ebreo, là?". E quanti magnati e intellettuali arabi l'hanno detto e ridetto, come lo sceicco Muhammad Gemeaha rappresentante in America dell'Università di al Azhar, la grande Università del Cairo: "Solo gli ebrei" ha detto "sono capaci di distruggere il World Trade Center, e quando questo sarà compreso dagli americani, essi faranno agli ebrei ciò che fece loro Hitler". E questo è uno studioso, uno dei tanti rappresentanti islamici che parlano così. Ma prima di lui, i protocolli dei Savi di Sion sono stati distribuiti a Durban e gli ebrei presenti sono stati picchiati, mentre Israele veniva definito uno Stato di apartheid; Assad dice al papa che gli ebrei fanno ai palestinesi ciò che sono sempre stati abituati a fare, basta guardare cosa hanno fatto a Gesù; l'Olocausto è stato negato sulle prime pagine di tutto il mondo arabo, e fior di intellettuali siriani, giordani, egiziani, hanno sostenuto che gli ebrei se lo sono inventato per mettere insieme soldi e consenso per Israele...Non è finita: non vi sarete dimenticate le storie dei chewing gum avvelenati, del gas nervino, dell'uranio impoverito, delle soldatesse israeliane nude che distraggono i combattenti palestinesi... e al di là di queste menzogne così infantili da apparire ingenue, la sottile ma intensa penetrazione dell'idea che non sia da prendersi neppure in considerazione il fatto che Israele possa aver ragione e non torto, in questo conflitto. L'idea di un Israele criminale, situato in Palestina per un volere colonialistico ed espansionista è passata; l'idea di un conflitto nato per la prepotenza e persino per l'espansionismo israeliano - e non, come si vede benissimo nella storia, da un rifiuto arabo e palestinese - non è parte della grammatica giornalistica e intellettuale corrente.

Volano nell'aria ormai inquinata l'idea di una mostruosa occupazione imposta per priapismo ideologico (non si sa neppure che il 98 per cento della popolazione palestinese già vive sotto Arafat) e l'idea vuota di senso storico che una volta finita l'occupazione il mondo arabo accetterà Israele; è accaduta un'obliterazione spietata, nella mente e nel cuore della gente, del terrorismo cui gli israeliani sono sottoposti, in misura che le parole non bastano a spiegare; e soprattutto ha preso piede la delegittimazione storica di Israele, l'accettazione del punto di vista che la soluzione in fondo risieda nel fatto che gli ebrei smettano di avere tutte queste pretese, smettano di agitarsi, smettano...

Il mondo ha già creduto varie volte di vedere negli ebrei i perturbatori da scansare. Dopo l'Olocausto, c'è stato un attimo di respiro; oggi sento che di nuovo il peso della menzogna è sugli ebrei come un tempo. Chi crede che riguardi Israele, si veda tutte le chiamate in causa degli ebrei, in Europa e in America, tutte le richieste di abiurare, di discolparsi, di farsi indietro. Tutta la vicenda del processo Sharon in Belgio.

Questa Intifada è stata una terribile rivelazione dello stato della psiche del mondo; poi, Durban l'ha identificato e definito punto per punto, rincorrendo gli ebrei sudafricani o francesi con la kippà mentre Israele veniva chiamata assassina e violatrice di diritti umani; e infine, l'11 di settembre, ha alzato alte nuvole di fumo.

Israele ed ebrei al centro di una nuova campagna di odio e disinformazione
Spira forte il vento dell'antisemitismo

di Fiamma Nirenstein


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Dopo l'11 di settembre, l'America è un'altra cosa, e un'altra cosa siamo noi ebrei.
E' come se il risveglio del mondo intero all'antagonismo infinito fra mondi, allo scontro delle culture e delle civiltà, ci avesse richiamato d'un tratto a quella frattura, a quella malattia delle coscienze che si chiama antisemitismo: l'avevamo obliterata, scambiata per qualcos'altro, attribuita a differenze d'opinione sulla politica israeliana, messa da una parte.

E adesso, però, si avverte qualcosa di infetto nell'aria, spore che volano da più di un anno e infiammatesi da qualche mese. Quando ero piccola, e con mia nonna e mia sorella Susanna cantavamo e ballavamo una hora inventata nella nostra casa di Firenze, la Shoah aveva appena chiuso le sue fauci.

L'Italia avvolta in un vento resistenziale e Israele intesa come modello socialista, somma di tutte le perfezioni, scevra dal peccato originale, garantivano che quella fornace era chiusa per sempre. Quando ho visto le ceneri dell'11 settembre al Ground Zero e al Pentagono, solo la voce forte di mio cugino Andrea Fiano (ormai quasi newyorkese per quanto noto giornalista economico italiano) il cui ufficio era a dieci metri dalle Twin Towers mi ha risvegliato da una sensazione buia, nota:" Ricordati", mi ha detto "che la mana jomit (la porzione quotidiana) di Auschwitz, come la chiama Aleph Beth Yeoshua, era di 15mila persone al giorno".

E' vero; e tuttavia io vedo in queste ceneri il segno di un odio spietato e grandioso che mi ricorda quello, e solo quello. E che deve fare ricordare, e pensare bene a quello che oggi gli Ebrei e Israele passano. Dove siamo noi in questo frangente storico? Intanto, con Israele, siamo nel mezzo geograficamente, fisicamente, in una situazione di faglia fra Occidente e mondo islamico in cui siamo rigettati, delegittimati come Stato e come Nazione (nazione di esseri umani, non necessariamente tutti raccolti in un luogo, ma 13milioni di persone che sentono insieme). Siamo nella posizione fisica e morale in cui è facile citare gli ebrei e Israele del tutto pretestuosamente, come ha subito fatto Bin Laden, come causa di uno scontro di cui invece siamo una delle vittime e dei bersagli, come ogni altro pezzetto d'Occidente.

In più siamo affondati, da quando è in atto questa seconda Intifada (che è stata chiamata come la prima, ma che non ne ha nessun tratto) in un mare di odio, di parole malate, di sciocchezze scambiate per realtà. Non è nuovo l'odio antisraeliano, ma da quando abbiamo sentito ripetere che se non fosse stato perché l'America è amica di Israele non sarebbe mai stata attaccata; o in forma ancora più volgare che il Mossad ha organizzato tutto il disastro; o peggio, che quel giorno nelle Twins non c'era neppure un ebreo, ecco che di nuovo ci si ripropone all'ennesima potenza la vecchia storia della ricerca del capro espiatorio, dell'ebreo colpevole, complottardo, egoista, un mostro, nemico humanis generis.

Roba da primitivi , niente di cui preoccuparsi veramente? Eppure c'è chi lo seguita a chiedere: "E' vero che non c'era neppure un ebreo, là?". E quanti magnati e intellettuali arabi l'hanno detto e ridetto, come lo sceicco Muhammad Gemeaha rappresentante in America dell'Università di al Azhar, la grande Università del Cairo: "Solo gli ebrei" ha detto "sono capaci di distruggere il World Trade Center, e quando questo sarà compreso dagli americani, essi faranno agli ebrei ciò che fece loro Hitler". E questo è uno studioso, uno dei tanti rappresentanti islamici che parlano così. Ma prima di lui, i protocolli dei Savi di Sion sono stati distribuiti a Durban e gli ebrei presenti sono stati picchiati, mentre Israele veniva definito uno Stato di apartheid; Assad dice al papa che gli ebrei fanno ai palestinesi ciò che sono sempre stati abituati a fare, basta guardare cosa hanno fatto a Gesù; l'Olocausto è stato negato sulle prime pagine di tutto il mondo arabo, e fior di intellettuali siriani, giordani, egiziani, hanno sostenuto che gli ebrei se lo sono inventato per mettere insieme soldi e consenso per Israele...Non è finita: non vi sarete dimenticate le storie dei chewing gum avvelenati, del gas nervino, dell'uranio impoverito, delle soldatesse israeliane nude che distraggono i combattenti palestinesi... e al di là di queste menzogne così infantili da apparire ingenue, la sottile ma intensa penetrazione dell'idea che non sia da prendersi neppure in considerazione il fatto che Israele possa aver ragione e non torto, in questo conflitto. L'idea di un Israele criminale, situato in Palestina per un volere colonialistico ed espansionista è passata; l'idea di un conflitto nato per la prepotenza e persino per l'espansionismo israeliano - e non, come si vede benissimo nella storia, da un rifiuto arabo e palestinese - non è parte della grammatica giornalistica e intellettuale corrente.

Volano nell'aria ormai inquinata l'idea di una mostruosa occupazione imposta per priapismo ideologico (non si sa neppure che il 98 per cento della popolazione palestinese già vive sotto Arafat) e l'idea vuota di senso storico che una volta finita l'occupazione il mondo arabo accetterà Israele; è accaduta un'obliterazione spietata, nella mente e nel cuore della gente, del terrorismo cui gli israeliani sono sottoposti, in misura che le parole non bastano a spiegare; e soprattutto ha preso piede la delegittimazione storica di Israele, l'accettazione del punto di vista che la soluzione in fondo risieda nel fatto che gli ebrei smettano di avere tutte queste pretese, smettano di agitarsi, smettano...

Il mondo ha già creduto varie volte di vedere negli ebrei i perturbatori da scansare. Dopo l'Olocausto, c'è stato un attimo di respiro; oggi sento che di nuovo il peso della menzogna è sugli ebrei come un tempo. Chi crede che riguardi Israele, si veda tutte le chiamate in causa degli ebrei, in Europa e in America, tutte le richieste di abiurare, di discolparsi, di farsi indietro. Tutta la vicenda del processo Sharon in Belgio.

Questa Intifada è stata una terribile rivelazione dello stato della psiche del mondo; poi, Durban l'ha identificato e definito punto per punto, rincorrendo gli ebrei sudafricani o francesi con la kippà mentre Israele veniva chiamata assassina e violatrice di diritti umani; e infine, l'11 di settembre, ha alzato alte nuvole di fumo.
"

Cordiali saluti

Pieffebi
27-04-03, 18:46
da www.tempi.it/archivio/

" In primo piano
Rubrica: Esteri
Numero: 5 - 31 Gennaio 2002

Le (sinistre) manovre del nuovo antisemitismo
...
di Rodolfo Casadei

Doveva, giustamente, essere un’occasione di denuncia, e occasione di denuncia è stata. Non ha senso commemorare le vittime dell’Olocausto, una tragedia vecchia quasi sessant’anni, senza richiamare l’attenzione sul persistere del pregiudizio antisemita in diversi luoghi e ambienti sociali del mondo d’oggi. I casi preoccupanti non mancano: sinagoghe e scuole ebraiche devastate da attentati incendiari in Francia, studenti con la kipah vittime di aggressioni e intimidazioni nella patria dei Lumi, cimiteri profanati in Germania, l’incredibile facilità con cui si è diffusa la leggenda metropolitana dei 4mila impiegati ebrei che sarebbero sfuggiti al disastro delle Twin Towers perché avvertiti dal Mossad. Storici, giornalisti e intellettuali si sono ribellati e, animati da giusto sdegno verso gli antisemiti, hanno colto l’occasione della “giornata della memoria” per mettere alla gogna... i Papi della Chiesa cattolica! Domenica 20 gennaio il Corriere della Sera pubblica nella sua pagina culturale un pezzo dal titolo “I Papi contro gli ebrei. Io accuso” che è una recensione dell’omonimo libro dello storico David Kertzer appena tradotto in italiano. Giovedì 25 gennaio nella puntata di “Diario di guerra e di pace” su La7 Gad Lerner, il redattore del settimanale dehoniano Il Regno Alberto Melloni e Kertzer in persona martellano con assoluta intransigenza la loro tesi: la gerarchia cattolica è stata non solo teologicamente antigiudaica, ma antisemita tout court; la Chiesa è perciò moralmente responsabile dell’Olocausto; i nazisti hanno imitato le pratiche dei cristiani contro gli ebrei. Concetti simili erano apparsi un paio di settimane prima su New Republic, negli Usa, attraverso la penna di Daniel J. Goldhagen, l’autore de I volonterosi carnefici di Hitler.
Nel suo saggio si leggeva che la tradizione cattolica presenta «un’evidente relazione integrale con la genesi dell’Olocausto», che la Chiesa era «in grande sintonia con gli impulsi sterminatori dei tedeschi» e altre lepidezze del genere.

Silenzio sui deliri antisemiti del mondo arabo
Questa penosa vicenda ha un che di surreale. I personaggi sopra citati dedicano le loro energie migliori a imprimere un marchio di infamia sulla memoria di tanti ecclesiastici che, al di là dei pregiudizi di cui li si può rimproverare, hanno contribuito alla salvezza di migliaia di ebrei nel pieno della persecuzione nazista e rappresentano gli avi di una Chiesa che vuole dialogo e riconciliazione autentica con gli ebrei. Intanto centinaia di milioni di persone di una fascia geografica che va dal sub-continente indiano fino alle coste africane dell’Oceano Atlantico sono esposte senza difese (in mancanza di un sistema di informazione libero) alla propaganda antisemita più becera, che sta evidentemente gettando le basi di un futuro Olocausto. Hanno fatto scandalo, nel maggio dello scorso anno, le parole pronunciate dal presidente siriano Bashar Assad al cospetto del papa in visita alla principale moschea di Damasco. In quell’occasione il figlio e successore di Hafez el Assad, a capo di uno degli stati arabi più polizieschi, aveva affermato che gli ebrei «hanno cercato di uccidere i prìncipi di tutte le religioni con la stessa mentalità con cui hanno tradito Gesù Cristo e nello stesso modo in cui hanno cercato di tradire e uccidere il profeta Maometto». In realtà l’antigiudaismo primitivo di Assad junior non rappresenta che la punta di un iceberg costituito da leggende e falsificazioni antisemite vecchie e nuove, promosse presso l’opinione pubblica dei paesi arabi e a maggioranza musulmana dai loro stessi governi. È noto che fra i delegati della recente Conferenza Onu di Durban sul razzismo (settembre scorso) sono state diffuse molte copie de I protocolli dei savi di Sion, il falso storico architettato dalla polizia zarista ai primi del Novecento per fornire una giustificazione ideologica alla persecuzione anti-ebraica. In esso si denunciava una riunione dei più importanti rabbini d’Europa in un cimitero di Praga per mettere a punto un piano di conquista delle leve di potere nel mondo da parte degli ebrei. Il nazismo ha sfruttato questo documento per avvalorare le sue tesi sul “complotto giudaico” per il dominio del mondo. All’alba del XXI secolo, sono stati verosimilmente i delegati governativi dei paesi arabi a rilanciare un testo la cui totale inattendibilità è già stata definitivamente provata. Sia quelli “laici” che quelli “islamisti”. In Arabia Saudita i Protocolli dei Savi di Sion sono addirittura l’argomento di uno sceneggiato televisivo. Ma anche su Al-Hayat-Al-Jadeeda, il giornale ufficiale dell’Autorità palestinese, si trovano regolarmente riferimenti a quel testo falso. In uno di questi l’articolista proponeva la seguente conclusione: «Tutti questi segni dimostrano senza equivoci che il conflitto fra ebrei e musulmani è eterno, anche se può arrestarsi per brevi periodi… Questo conflitto assomiglia a quello fra l’uomo e Satana… Questo è il destino della nazione musulmana e di tutte le nazioni del mondo: di essere tormentati dalla nazione ebraica. Il destino del popolo palestinese è di lottare contro gli ebrei per conto dei popoli arabi, dei popoli islamici e di tutti i popoli del mondo».

Il pane azzimo impastato col sangue dei Gentili
Anche una delle più cupe leggende antisemite raccoglie oggi grandi consensi nel mondo arabo: quella del pane azzimo (matzah) impastato col sangue dei Gentili. Nel 1983 l’allora ministro della difesa siriano Mustafa Tlass scrisse il libro Le matzah di Sion, in cui si affermava che gli ebrei uccidevano bambini arabi per impastare col loro sangue il pane azzimo della Pasqua ebraica. Un delirio di vent’anni fa? Niente affatto. Lo scorso anno Al Ahram, il più diffuso quotidiano egiziano, ha scritto: «La bestiale inclinazione a impastare le matzah per la Pasqua col sangue di non ebrei è confermata dagli archivi della polizia palestinese, dove sono registrati molti casi di bambini arabi scomparsi e poi ritrovati morti e fatti a pezzi, completamente privi di sangue. La spiegazione più ragionevole è che il sangue sia stato prelevato per incorporarlo all’impasto con cui estremisti ebrei preparano le matzah da divorare a Pasqua». Sempre secondo Al Ahram sarebbe imminente la produzione di un film tratto dal libro di Tlass, Le matzah di Sion, concepito per «reagire a tutti i film sionisti distributi dall’industria cinematografica americana, che è supportata dall’apparato propagandistico sionista». Se questi sono i discorsi sulla stampa araba ufficiale e semi-ufficiale, non c’è da meravigliarsi se poi un sondaggio condotto per conto di Newsweek scopre che il 48 per cento dei pakistani è convinto che i responsabili degli attacchi al World Trade Center siano ebrei.
Probabilmente nei paesi arabi la percentuale sarebbe stata ancora più alta.

E a Nazareth Le Monde schierato con Hamas
La domanda, come diceva Antonio Lubrano, sorge spontanea: perché, mentre aggressioni e propaganda antisemite aumentano di intensità in Europa e nel mondo islamico, intellettuali e giornalisti americani ed europei preferiscono denunciare le presunte responsabilità cattoliche nell’Olocausto piuttosto che la minaccia anti- ebraica presente? La risposta sembra dover essere tutta politica: la sinistra, sia europea che nordamericana, vuole impedire a tutti i costi la riconciliazione fra Chiesa cattolica ed ebraismo su un piano di uguale dignità perché vede in essa una minaccia all’egemonia culturale e al monopolio del magistero della morale pubblica, nazionale e internazionale, che ha saputo così bene costruire e imporre negli ultimi cinquant’anni. E perché ritiene che la rivalutazione delle comuni radici giudaico- cristiane dell’Occidente andrebbe, politicamente parlando, a vantaggio dei liberal-conservatori: Bush e Fox nell’America del nord, Berlusconi, Aznar e Stoiber in Europa. Le prove di questa tesi? Stanno cominciando ad accumularsi, e noi le proporremo alla vostra attenzione volta per volta. Cominciamo dall’articolo con cui il 24 gennaio Le Monde, uno dei quotidiani francesi (di sinistra) che più si distinguono negli attacchi alla Chiesa cattolica sul tema dell’antisemitismo, ha commentato la recente decisione del governo israeliano di bloccare la costruzione di una moschea a Nazareth in faccia alla basilica dell’Annunciazione. Titolo: “Agitazione attorno al congelamento dei lavori per la moschea di Nazareth”. Occhiello: “Il governo di Ariel Sharon è accusato di attizzare la divisione fra cristiani e musulmani”. Sommario: “Perché mai rimettere in causa oggi questa costruzione, dal momento che sul posto la calma, se non addirittura la concordia, sono ristabilite?”.
Chi legge il servizio dell’inviata speciale Catherine Dupeyron ha l’impressione che i musulmani siano dalla parte della ragione, che i cristiani accettino oramai il fatto compiuto e che a intorbidire le acque sia il governo israeliano (le dichiarazioni di un giornalista di Ha’aretz, giornale filo-laburista, vengono portate a sostegno). Davvero curioso che il laico e illuminista Le Monde prenda le parti di un progetto voluto con tutte le forze da quegli intemerati fautori della tolleranza religiosa e razziale e del rispetto della vita umana che sono i militanti di Hamas. Curioso, ma spiegabile: l’arresto dei lavori della moschea a Nazareth è il segno più evidente del riavvicinamento fra il Vaticano e Gerusalemme, e in questo caso il gesto non viene da parte cattolica, ma da parte ebraica. Prospettiva inquietante per tutta la sinistra francese, da scongiurare anche al prezzo di stringere un patto col diavolo (islamista). Tanti anni fa si diceva: Parigi (appunto!) val bene una Messa. Oggi si può aggiungere: una Messa, oppure una preghiera del venerdì in moschea.
di Casadei Rodolfo "

Shalom!!!

Pieffebi
29-04-03, 22:18
da "quadernopadano" sulla rete digilander...

" Ecco perchè studiosi, scrittori e politologi sostengono il mondo arabo
Quell'Islam strisciante dei salotti culturali europei

di Davide Gianetti

Esiste in Europa un diffuso sentimento filo-islamico che lega, trasversalmente, aree politico-culturali eterogenee fra loro eppure in grado di trovare, su questo terreno, punti in comune davvero sorprendenti. Dopo gli attentati alle torri gemelle sembrava che i fans e gli ammiratori di Bin Laden e dei kamikaze potessero godere di un certo credito esclusivamente presso i popoli delle latitudini levantine o presso gli Stati del Medio-Oriente. In realtà si è visto che gli individui affascinati dalla mentalità musulmana non si trovano solamente nelle comunità islamiche radicatesi nelle metropoli tedesche, francesi ed italiane, ma anche e soprattutto nei salotti culturali e nei circoli intellettuali di mezza Europa. Permane infatti una benevola accondiscendenza quando non un aperto e smaccato sostegno da parte di studiosi, politologi, scrittori e financo politici nei confronti del mondo arabo, e questo sia a destra che a sinistra.
Per quanto riguarda la destra, specie quella radicale, limitiamoci ad osservare il caso italiano: da sempre antisemita ed antiamericana, l’estrema destra ha spesso guardato con simpatia alla cultura musulmana giudicata non ancora erosa dal materialismo consumistico proprio dell’Occidente. L’organizzazione tradizionale - cioè essenzialmente patriarcale - e per certi versi arcaica della società islamica solletica l’immaginario pseudomachista del militante neofascista che vede in essa la forma, pura ed ideale, di come dovrebbe essere strutturata una comunità “virile”, in opposizione ad un Occidente - in versione Sodoma e Gomorra - “debosciato”, “femminilizzato”, colpevole di essersi fatto sedurre dalle sirene del femminismo, della rivoluzione sessuale e, da ultimo, del consumismo “yankee” di impronta americana. Tali suggestioni vanno peraltro a impiantarsi e ad alimentare le ossessioni più recondite degli ambienti ultranazionalistici confortando i suoi componenti, frastornati da fallimenti sociali e da frustrazioni personali, nell’illusione di un ritorno all’“età dell’oro”, pre-moderna e pre-illuministica, stile ancien règime. Facendo coincidere la modernità con la società occidentale ed addebitando allo stesso Occidente la responsabilità delle condizioni in cui versa il terzo mondo, gli esponenti della destra scivolano così inconsapevolmente nelle capaci braccia di quell’ideologia terzomondista secondo cui l’Europa dovrebbe sistematicamente recitare il mea culpa per le sofferenze inflitte ai Paesi poveri, ai quali sarebbe stato irrimediabilmente strappato un modus vivendi tradizionale ed autoctono a causa di una occidentalizzazione forzata. Un altro motivo per cui negli ambienti dell’estrema destra l’islamismo viene guardato con rispetto e favore risiede sostanzialmente nella sua secolare funzione antiebraica ed antigiudaica. L’antisemitismo nazi-fascista che non ha mai smesso di scorrere, come un fiume carsico, in certi settori - seppur marginali - della sottocultura europea ha quindi l’occasione di tornare alla ribalta e di riprender fiato grazie al principio in base al quale “i nemici dei miei nemici sono miei amici”. Individuando nell’ebraismo internazionale e nello Stato di Israele il capro espiatorio grazie al quale può giustificare le proprie sconfitte storiche addossando la colpa della disfatta in cui sono precipitati i regimi dittatoriali degli anni 30 ad una non meglio specificata cospirazione mondiale di cui gli ebrei sarebbero stati i registi occulti, il radicalismo neofascista condivide con il mondo islamico la visione paranoide di un mondo dominato dalle potenti lobby ebraiche intente a tramare per la supremazia planetaria nonché di essere le fomentatrici di tutte le guerre, di tutti i disordini e di tutte le “ingiustizie” che dilanierebbero il Medio-Oriente. Ci troviamo al cospetto del consueto e ormai abusato complotto “giudaico” che non cessa mai di esercitare in fascino perverso ed una influenza negativa negli ambienti più disparati (si pensi all’accusa lanciata da importanti Paesi arabi - come la Siria - all’indomani dell’11 Settembre secondo cui i veri responsabili degli attacchi suicidi a New York sarebbero stati nientemeno che gli agenti del Mossad. Una “tesi”, questa, perfettamente simmetrica e speculare alle paranoie complottistiche proprie dell’estrema destra). L’attrazione fatale che i rappresentanti della destra radicale provano nei confronti del mondo arabo non manca tuttavia di creare contraddizioni notevoli nella misura in cui agli ottimi ed affettuosi rapporti di amicizia fra le due parti (le visite diplomatiche dei politici nazionalisti nei Paesi islamici - come i viaggi di Haider nell’Iraq di Saddam Hussein - sono emblematiche in proposito) si alternano aspre critiche che gli stessi esponenti della destra rivolgono alle comunità arabe in Europa, colpevoli di ridurre le città del vecchio continente in squallidi slums contrassegnati da delinquenza e criminalità dilaganti e contro i quali invocare la “tolleranza zero”.

Nel campo della sinistra radicale le posizioni - pur originando da premesse differenti, convergono nel medesimo punto. L’antiamericanismo è infatti, come per l’estrema destra, anche qui un elemento distintivo per comprendere la difesa che la sinistra compie nei confronti dell’Islam e di ciò che esso rappresenta. Agli occhi del militante comunista l’estremismo musulmano sarebbe, infatti, la risposta emotiva di una parte del terzo mondo - vittima ovviamente dello sfruttamento capitalistico occidentale - all’imperialismo made in Usa, agli embarghi economici e, non da ultimo, alla presenza americana in Medio Oriente sotto forma di Israele. In questo senso il terzomondismo neomarxista giustifica il terrorismo islamico in quanto esso costituirebbe un’importante resistenza alla penetrazione capitalistica americana, un argine allo sfruttamento messo in atto dall’uomo “bianco”, “razzista”, “ricco”, “egoista” a tutto detrimento dell’abitante del terzo mondo, ovviamente “schiavizzato” e “discriminato”. A differenza dell’estrema destra, la sinistra post o neo comunista mantiene una sua precaria coerenza allorquando estende alle comunità islamiche presenti in Europa la medesima amicizia e il medesimo sostegno che essa accorda all’Islam in quanto tale. E tuttavia la strenua battaglia che la sinistra compie nel rivendicare pari diritti, pari dignità e forti garanzie a favore delle comunità musulmane trapiantate sul suolo europeo collide incredibilmente con i princìpi e i valori assunti, dalla sinistra stessa, a elementi imprescindibili e fondativi della civiltà occidentale. Come è infatti possibile per un militante progressista affermare l’intangibilità e l’inviolabilità di princìpi quali la laicità delle istituzioni, l’emancipazione della donna, la tutela delle nuove forme di convivenza, il contrasto ad ogni forma di maschilismo, omofobia e intolleranza e, allo stesso tempo, proclamarsi paladino di una cultura, di una mentalità - quella appunto islamica - fondata sulla coincidenza, piena e totale, tra la sfera politica e quella religiosa, sulla subalternità della figura femminile, sulla persecuzione e sulla eliminazione fisica di adultere, omosessuali etc...? Come già per la destra neofascista, anche la sinistra radicale trova in Israele un ulteriore, essenziale, puntello per rafforzare la propria affinità verso il mondo islamico. In questo caso lo Stato ebraico non sarebbe altro che l’avamposto “capitalista” del satana americano, creato ab nihilo al solo scopo di mantenere in una posizione di sfruttamento e di assoggettamento le nazioni arabe. Israele come longa manus degli Usa, dunque, quale strategico tassello per i presunti progetti di dominio da parte americana. A differenza della destra ultranazionalista, la sinistra non teme - attaccando Israele - di sconfinare nel più acceso antisemitismo allorquando imputa a Gerusalemme di organizzarsi e di imporsi secondo un regime di apartheid razziale ai danni dei palestinesi e di promuovere una sorta di pulizia etnica in base ad un bisogno, “imperialista”, di espansione. A conferma di questa impostazione ideologica è sufficiente scorrere gli editoriali e i commenti di molti quotidiani e riviste comuniste, oppure osservare gli atteggiamenti tenuti dagli esponenti dell’ultrasinistra quando si tratta di marciare per la pace in Palestina (in occasione di questi cortei vengono date alle fiamme le bandiere di Israele e vengono scanditi slogan come “Ebrei nazisti”) per rendersi conto di come il cosiddetto antisionismo, apertamente rivendicato dalla sinistra, rappresenti in realtà la classica foglia di fico, un artificio dialettico privo di riscontro oggettivo, per celare e dissimulare il radicato e storico antisemitismo di derivazione comunista.

Antiamericanismo, anticapitalismo, antiebraismo e filo-islamismo costituiscono allora la piattaforma ideologica comune grazie alla quale l’estrema destra e l’estrema sinistra si danno la mano, entrambe unite dall’odio viscerale nei confronti dell’Occidente ed entrambe disposte ad impegnarsi senza risparmio perché la società contemporanea trovi finalmente la giusta punizione a motivo dei suoi supposti “crimini” " .

Shalom!!!

Pieffebi
30-04-03, 16:01
dalla rete...un articolo di Livio Caputo

" A causa del conflitto israelo-palestinese, gli ebrei sono di nuovo il bersaglio di attacchi e calunnie in tutto il mondo
I segnali arrivano ormai da tutto il mondo: la piaga antica e terribile dell’antisemitismo, in genere esplicito, ma spesso anche dissimulato o addirittura inconscio, è tornata a farsi purulenta, e l’Occidente tende a chiudere entrambi gli occhi di fronte a questo fenomeno. Per giustificare il rigurgito di ostilità nei confronti degli ebrei, molti fanno riferimento al conflitto arabo-israeliano e alle presunte prevaricazioni di Gerusalemme nei confronti dei palestinesi, senza rendersi conto di fare così da cassa di risonanza alla furiosa propaganda antisemita che – processo di pace o no – impregna da sempre la stampa, l’editoria e le televisioni mediorientali. Ma c’è di peggio: la durezza di Sharon nella repressione dell’Intifada è diventata il pretesto per dare sfogo – senza più ritegno - a risentimenti e odi fin qui repressi, come nel caso di quell’esimio professore universitario di parte cattolica che si è rifiutato di partecipare a un convegno sul dramma degli insegnanti israeliti colpiti dalle leggi razziali o del premio Nobel Samarago che, solo sulla base di quanto ha letto in certi giornali, non ha esitato a paragonare quel che gli israeliani fanno a Ramallah e Gaza a quel che fecero i tedeschi ad Auschwitz e Treblinka. Un’altra vergognosa manifestazione di antisemitismo di massa si è avuta a Roma sabato 9 marzo, quando migliaia di esponenti della sinistra italiana, compresi alcuni leader che siedono in Parlamento, hanno marciato intorno al Ghetto dando fuoco a bandiere biancazzurre con la stella di Davide, mentre alcuni gruppi cantavano in coro “Palestina/vogliamo tutto/lo Stato d’Israele/deve essere distrutto”. I partecipanti si sono difesi sostenendo che manifestavano non contro gli ebrei in quanto tali, ma solo contro Sharon e il suo governo. Mettevano, cioè, l’accento sulla differenza tra Ebrei ed israeliani e tra antisemitismo e antisionismo, come se nel 2002 questi sofismi avessero ancora un senso. In ogni caso, la scusa non regge, visto che i dimostranti mettevano in discussione addirittura il diritto del popolo ebraico ad avere una patria. La verità è che processare Israele per l’occupazione dei territori, equiparare il terrorismo suicida dei palestinesi che ogni settimana fa decine di vittime innocenti alla guerra partigiana, perfino rilanciare quella criminalizzazione degli ebrei che sessant’anni fa sfociò tragicamente nell’Olocausto, sta diventando in molti ambienti “politicamente corretto”: in questo perverso gioco, è evidente che agli arabi bisogna perdonare tutto, agli israeliani niente. Ricordiamoci che quando le TV di Mediaset filmarono e mandarono in onda il linciaggio di due riservisti israeliani a Ramallah, il corrispondente della RAI si affrettò a far sapere ai palestinesi che lui non c’entrava. In un clima così avvelenato, neppure le rivelazioni contenute in una serie di nuovi libri-inchiesta sulle complicità della chiesa cattolica nella Shoah hanno destato particolare scandalo. Quando uno storico serio come Giovanni Belardelli scrive sul Corriere della Sera che “i ritardi e la debolezza delle iniziative prese da parte vaticana nei confronti di Hitler vanno però addebitati soprattutto al radicato orientamento antigiudaico della Chiesa e del mondo cattolico, che da tempo avevano individuato negli ebrei i principali responsabili dei mali della modernità e dunque della scristianizzazione che minacciava il mondo contemporaneo, e ritenevano perciò legittimo che una società si difendesse dal pericolo giudaico anche con misure discriminatorie”, dovrebbe in teoria scatenarsi una polemica: invece, l’articolo è passato sotto silenzio, come se l’intelligentia italiana di sinistra, che lo ha sempre giudicato un bieco reazionario, pensasse che su questo punto Pio XII avesse in fondo ragione. Del resto neppure Giovanni Paolo II, che pure ha chiesto perdono agli ebrei e ha visitato a Gerusalemme il Museo dell’Olocausto, ha ritenuto opportuno replicare quando, durante il suo recente viaggio in Siria, si è sentito dire testualmente dal presidente Bashar Assad nel corso di una cerimonia a Quneitra: “Gli ebrei e gli israeliani cercano di uccidere tutti i principi della fede con la stessa mentalità con la quale hanno tradito e torturato Gesù Cristo, e allo stesso modo hanno cercato di tradire il profeta Maometto”. Anche limitando la ricerca agli ultimi sei mesi, cioè al periodo successivo agli attentati dell’11 settembre che dovrebbero avere, se mai, acuito la diffidenza verso i musulmani, la varietà delle manifestazioni di antisemitismo lascia sgomenti. La fase in cui un ristretto gruppo di intellettuali negava – tra la riprovazione generale - l’esistenza dell’Olocausto, o quantomeno le sue dimensioni, appare ormai superata. Adesso si va più in là, si accusa apertamente Israele di avere speculato sulle persecuzioni hitleriane per ottenere risarcimenti e finanziamenti, che le hanno permesso di costruire il potente esercito con cui ora opprime i palestinesi. Secondo il Congresso mondiale ebraico, in quest’ultimo semestre si sono bruciate più sinagoghe nel mondo che in qualsiasi altro periodo, dai tempi della famigerata Notte dei Cristalli in Germania. In Francia gli attacchi ai simboli dell’ebraismo, non solo sinagoghe, ma anche scuole e cimiteri, hanno raggiunto punte che ricordano il periodo di Vichy, e l’Eliseo ha presentato come una sua grande vittoria il fatto che gli Hezbollah libanesi, forse i più feroci nemici di Israele, non siano stati inclusi nella lista europea delle organizzazioni terroristiche. Nel corso di una cena ad alto livello a Londra, l’ambasciatore di Francia, Daniel Bernard, ha detto, riferendosi ad Israele, che “non permetteremo a quel piccolo Paese di merda di portarci tutti alla terza guerra mondiale”, e non è stato neppure richiamato dal suo governo quando la cosa è stata riferita da una opinionista (israelita) del Daily Telegraph. Daniel Pearl, inviato del Wall Street Journal in Pakistan, è stato rapito e sgozzato da una organizzazione di fondamentalisti islamici non perché americano, ma perché ebreo. Alexei Sayle, noto articolista dell’Independent di Londra, non si è vergognato di commentare uno dei tanti attentati dei kamikaze palestinesi a Gerusalemme con queste assurde parole: “Se a un vivisezionista viene bruciata la macchina, o qualche esponente della destra israeliana viene assassinato o il musical di Ben Elton chiude in anticipo a causa della scarsa vendita di biglietti, non potrei dire di essere preoccupato per questo”. In Germania, dove molti cittadini si sentono ancora in colpa per la Shoah, il direttore di Der Spiegel, Augstein, ha deplorato in un articolo che nel suo Paese non sia possibile parlare male degli ebrei come in Francia”. “In Italia”, ha scritto già nel gennaio scorso su La Stampa Fiamma Nirenstein, autrice di una devastante denuncia del tradimento degli Ebrei da parte dell’Occidente (“L’abbandono”, Rizzoli, marzo 2002) “molti circoli intellettuali e di affari si domandano (e naturalmente l’informazione è disgustosamente falsa) come mai non ci fossero ebrei nelle Torri Gemelle quando sono state abbattute. Si rimasticano le voci oscene che gli ebrei avrebbero ritirato i loro soldi dal mercato alla vigilia dell’11 settembre, e qualcuno ne conclude furbescamente che il vero responsabile dell’attentato deve essere il Mossad. Un amico industriale (non ebreo) mi racconta che si parla di nuovo del controllo ebraico della finanza e della stampa, come ai bei tempi. Si ripete che gli ebrei sono diventati come i nazisti. Paolo Mieli ha scritto sul pericolo della risurrezione dell’antisemitismo (ricevendo per questo più critiche che consensi da parte dei lettori del Corriere – n.d.r.). Per un ebreo in Europa è ormai diventato difficile incontrare socialmente gli amici a meno che non si dimostri disposto a un’abiura rispetto a Israele, a meno che non si allinei nel disconoscere le profferte di pace di Israele e non sia pronto a dichiarare che Sharon è un criminale”. Bruno Carmi, uno stimato quadro della CGIL, deve essere d’accordo con la Nirenstein se ha ritenuto di doversi dimettere clamorosamente dal sindacato, dopo che questo aveva trasformato un Congresso della Funzione pubblica in una manifestazione contro Israele e a favore di Arafat. Nelle stesse settimane, era “Famiglia cristiana” a scatenare una violenta campagna antisraeliana, tirando fuori argomenti che sembravano sepolti negli archivi della storia. E, sul fronte laico, giornali come La Repubblica, che raccoglie e interpreta tutte le pulsioni della sinistra, non le sono da meno. L’odio che tutti questi organi di stampa esprimono non solo per Sharon, ma per tutto il mondo che egli rappresenta, cioè per quei milioni di ebrei che non credono alla volontà di pace degli arabi, è tale da fare loro perfino dimenticare che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente, l’unico avamposto occidentale in un mondo che ci sta diventando profondamente ostile, e che lo stesso Sharon ha avuto – che ci piaccia o non ci piaccia - una ampia investitura popolare. Se poi dall’Europa ci spostiamo nel mondo arabo, lo sgomento cresce. Al contrario di quanto è avvenuto in Europa, dove l’antisemitismo è stato, anche in passato, un movimento che si è diffuso dal basso verso l’alto, quello musulmano ha seguito il percorso contrario, è stato instillato dai governanti nelle masse in funzione antisraeliana con una campagna martellante che si avvale di tutte le leggende e di tutte le calunnie inventate nel corso dei secoli, dai famigerati “Protocolli dei savi di Sion” prodotti dalla polizia zarista (e adesso addirittura trasformati in serial da una TV araba) alla storia del pane azzimo impastato con il sangue dei bambini. Da almeno due generazioni, i popoli arabi vengono educati all’odio contro gli ebrei, alla equiparazione tra sionismo e nazismo, alla necessità di eliminare “l’entità sionista” dal Medio Oriente. Questa campagna non si è fermata neppure quando, dopo gli accordi di Oslo, la pace sembrava dietro l’angolo e continua anche nei Paesi – come l’Egitto e la Giordania – che hanno fatto la pace con Israele e hanno allacciato relazioni diplomatiche con Gerusalemme (ma senza mai normalizzare davvero i rapporti). Al contrario, la stampa egiziana è la più accanita nel vilipendere gli ebrei, e il regime che la controlla non alza un dito per fermarla. Al Akhbar, giornale ufficiale del governo, è arrivato a scrivere un articolo in lode di Hitler, rammaricandosi che non abbia avuto il tempo di completare la sua lodevole opera di sterminio. In una spirale preordinata, i media aizzano le folle contro Israele, le folle chiedono più fermezza nei suoi confronti, i governi le accontentano e forniscono nuova esca alle campagne dei media. Ormai da mesi, la musicassetta più venduta nel mondo arabo riporta una mediocre canzone che comincia con le parole “Odio Israele”. Tra il Cairo e Damasco, sono sorti addirittura laboratori che producono bandiere israeliane da bruciare durante le manifestazioni. Ad Amman, quella stessa Amman in cui nel settembre 1970 il defunto Re Hussein fece compiere alla Legione araba un massacro di palestinesi ben maggiore di quello di Sabra e Chatila, l’Università ha organizzato di recente un convegno mondiale di studiosi per negare la realtà dell’Olocausto. Arafat, quando parla in arabo, è tra i più feroci calunniatori di Israele: di recente, ha accusato Sharon di usare gas nervino, di sparare granate all’uranio impoverito, di avere provocato nei territori un’epidemia di afta, di avere distribuito ai bambini palestinesi chewing-gum avvelenati. I libri di testo distribuiti dall’Autorità nazionale palestinese (e pagati per intero dall’Unione Europea) non solo utilizzano carte in cui lo Stato d’Israele non compare, non solo incitano senza remore i ragazzi al martirio, ma contengono un incredibile campionario di infamie. Per citare ancora Fiamma Nirenstein “Israele è presentato come un’entità malefica astratta perché è assente dalle carte geografiche; nella fantasia popolare costruita da leader e intellettuali arabi non ha cittadini, né case, né ospedali, né scuole, ma divise, fucili, carri armati; non è un Paese ma un esercito assatanato…. Ha ogni possibile connotazione negativa: aggressore, usurpatore, peccatore, occupante, corruttore, infedele, assassino, barbaro”. Non si capisce come Arafat, avendo educato così la sua gioventù, possa poi far credere all’Occidente che – se otterrà il suo Stato indipendente - è pronto a una convivenza pacifica con quello ebraico. Non contenti di demonizzare gli ebrei sui propri media, l’anno scorso gli arabi hanno tentato, con la complicità di molte Organizzazioni non governative europee, di trasformare la conferenza di Durban contro il razzismo in un’occasione di condanna di Israele e di negazione della Shoah. Il documento originale delle ONG presentava Israele come uno stato di apartheid, attribuendogli tutti i peggiori crimini razzisti. Non solo Israele, ma anche gli Stati Uniti hanno sbattuto la porta in segno di protesta, i governi della UE sono rimasti nel tentativo (solo parzialmente riuscito) di evitare questa infamia. Resta il fatto che durante tutta la conferenza i delegati ebrei sono stati minacciati, esclusi dalle riunioni, messi brutalmente a tacere. Forse mai, nel dopoguerra, si erano sentiti in una occasione ufficiale toni di così immemore e acceso antisemitismo. Ma l’indignazione della stampa occidentale è stata molto misurata, come se – in definitiva – quella indegna campagna avesse qualche giustificazione. Né è molto diverso l’atteggiamento di molti giornalisti “politicamente corretti” quando riferiscono gli sviluppi della guerra: chi si fa saltare per aria in un albergo o in una strada di Israele, uccidendo e martoriando centinaia di civili, non è presentato come un terrorista, ma come un giovane che si sacrifica per la causa del suo popolo. Dove ci porterà tutto questo? Sempre la Nirenstein scrive: “Se l’Occidente non si sveglia, Israele e gli ebrei rischiano la vita, perché senza l’Occidente Israele è un condannato a morte che rinvia l’esecuzione con continui negoziati”. L’autrice, che risiede a Gilo, un sobborgo di Gerusalemme continuamente sotto il tiro dei palestinesi, vive in prima persona il dramma di un popolo che, per l’ennesima volta nella sua storia millenaria, teme per la sua sopravvivenza. Anche se pensiamo che Israele ha i suoi torti nel conflitto, non possiamo ignorare questo grido di dolore. "

Shalom

F.B.
30-04-03, 16:42
Originally posted by Pieffebi
da "Uomini Nuovi - Mensile di Informazione Cristiana".

" [i] L’ANTISEMITISMO È:

l dare la colpa agli ebrei per ogni disastro nel mondo;

l nutrire pregiudizi contro il popolo ebraico;

l dare la colpa agli ebrei per ogni tipo di malvagità;

l diffamare e insultare verbalmente gli ebrei;

l sospettare degli ebrei per una cospirazione universale massonico-capitalistica;

l incolpare gli ebrei di essere dei continui elementi disturbatori e nemici n.1 del mondo;

l minimizzare le sofferenze del popolo ebraico durante il periodo nazista o glorificare il nazismo;

l negare la morte dei sei milioni di ebrei nell’Olocausto (rifiuto dell’Olocausto);

l negare agli ebrei il diritto di vivere, desiderare la loro distruzione, annientare tutto ciò che sia ebraico.

l L’antisemitismo si basa principalmente su stereotipi medievali riguardo agli ebrei ed ha motivazioni razziste.

...



Come semplificazioni ed esemplificazioni possono andar bene.

Shalom!!!

Avrei una domanda da fare, assolutamente fuori da qualsivoglia polemica e/o intento provocatorio.

Come mai il termine "antisemitismo" viene inteso esclusivamente con accezione anti ebraica se:

- la stragrande maggioranza dei semiti non sono Ebrei

- la stragrande maggioranza degli Ebrei odierni non sono semiti


Saluti cordiali

Pieffebi
30-04-03, 16:51
E' un'imprecisione dovuta agli antisemiti stessi ...che dalla seconda metà del XIX secolo, ad iniziare dalla Germania, hanno iniziato a definire antisemita la loro concezione antiebraica, forse per distinguirla dall'antigiudaismo meramente religioso di matrice cristiana. Ormai però il significato storico, al di là dell'inesattezza filologica ed etimologica...è quello che è.
dalla rete :
" Il termine antisemitismo venne coniato per la prima volta nel suo significato moderno nel 1879 dallo storico tedesco Wilhelm Marr. non c’è dubbio che l’ultimo quarto del secolo XIX sia da considerarsi il periodo centrale per la genesi di quel complesso di azioni politiche, interventi ideologici, strumentalizzazioni giornalistiche, pregiudizi religiosi , diffidenza e odio che è conosciuto oggi col nome di antisemitismo che è poi l'antiebraismo radicale moderno.

Shalom!!!

Pieffebi
04-05-03, 18:15
da www.isral.it

" Tipi di antisemitismo

Alla fine del 1894, l’ufficiale francese Alfred Dreyfus, ebreo, fu accusato di spionaggio a favore della Germania, sbrigativamente processato davanti a una corte marziale militare e, nonostante gli indizi a suo carico non sembrassero conclusivi, condannato alla degradazione e alla prigionia perpetua sull’Isola del Diavolo. Due anni più tardi, mentre il fratello di Dreyfus indagava per suo conto, il nuovo capo del Servizio Informazioni, colonnello Picquart, riaprì il caso essendosi convinto dell’innocenza di Dreyfus e accusò un altro ufficiale, il colonnello Esterhazy, di nobile famiglia, ma giocatore e bon vivant. Picquart dopo poco fu promosso e trasferito e Dreyfus restò in prigione. E’ a questo punto che secondo lo storico Léon Poliakov inizia il vero Affare Dreyfus, con la pubblicazione , su L’Aurore, il giornale dell’uomo politico radicale Georges Clemenceau, di una lettera aperta dello scrittore Emile Zola intitolata “J’accuse”. Alla fine del 1897 la Francia offrì al mondo l’immagine di un paese sull’orlo della guerra civile, dove i sostenitori di Dreyfus, pochissimi dalla prima ora, e la maggioranza dell’opinione pubblica antidreifusarda si combattevano sui giornali e spesso anche nelle strade. Dreyfus fu riconosciuto innocente nel 1907 e graziato e a molti questo parve un compromesso politico. Le reiterate condanne subite da Dreyfus anche quando i colpevoli e i mandanti dell’azione di spionaggio erano stati chiaramente individuati e la successiva concezione della grazia servirono ad evitare un colpo di stato da parte della francese militarista e nazionalista.
Il caso Dreyfus, con cui inizia questa scheda, è un evento importante storicamente, per molti periodizzante nei confronti dell’emersione di un fenomeno esistente da secoli, ma che alla fine dell’Ottocento veniva ad assumere connotati nuovi: l’antisemitismo . L’antisemitismo si differenzia dalla tradizionale ostilità nei confronti degli ebrei legata alla tradizione cristiana ( antigiudaismo) e nata nella tarda antichità nel momento in cui il cristianesimo si distacca dalla cultura ebraica che lo ha generato. Tale atteggiamento, che si concretizza immediatamente nella presentazione degli ebrei come il popolo deicida viene mantenuto e perpetuato sia nel mondo cattolico, sia in quello protestante, sia , almeno parzialmente, in quello ortodosso. Questo atteggiamento si accompagna, in età moderna, anche una polemica antiebraica di matrice economica, legata alle attività commerciali e bancarie svolte tradizionalmente dagli ebrei, proprio a causa della proibizione ecclesiastica di possedere la terra.
A partire dagli anni ‘70 dell’ottocento, anche se persiste l’antigiudaismo di matrice prevalentemente cattolica – si pensi al caso Mortara, il bambino rapito ai propri genitori, battezzato e mai restituito – nasce in Germania e in Francia un atteggiamento laico di rifiuto degli ebrei che si nutre di elementi culturali e sociali contemporanei.
La parola antisemitismo (antisemitismus ) in tedesco viene coniata da Wilhelm Marr, un ex socialista convertito ai valori germanici, nel libro Semite Jude, esempio eminente di una campagna di diffamazione contro gli ebrei molto virulenta negli anni ’70 e ’80 e collegata ad una situazione economica e sociale difficile ( la nazionalizzazione delle ferrovie). Il bacino di raccolta di questa campagna, che utilizza il lessico antigiudaico già proprio del mondo cristiano , è quello dei contadini e piccoli proletari, che votano per lo più il partito Cristiano Sociale e al tempo stesso sono vicini all’Antisemiten Liga . Questo antisemitismo laico è supportato dalla nascita del cosiddetto mito ariano, derivato a sua volta dagli studi di orientalistica del primo ottocento, che hanno diffuso in occidente la cultura indiana più antica dei Veda , delle Upanisad e del Mahabarata . Per la prima volta l’origine della civiltà e dei valori occidentali vengono distaccati dalla cultura giudaico –cristiana, per risalire ad una mitologia più antica, guerriera ed indoeuropea, di cui i Germani vengono considerati gli unici veri eredi ariani . La nuova cittadinanza tedesca viene associata al recupero dei miti e delle leggende tedesche, il cui più noto divulgatore è il musicista Richard Wagner , autore del lungo ciclo di opere liriche tratto dal Nibelungenlied ( L’oro del Reno, la Walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei ). Il suo genio innovativo e drammaturgico ha diffuso i valori del pangermanesimo. Wagner è uno dei più noti rappresentanti dell’antisemitismo tedesco, pur essendo lui stesso stato aiutato, nel corso dei suoi travagliati esordi , da musicisti ebrei come Meyerbeer o Mendelhsson - Bartholdy. Nello scritto “Il giudaismo nella musica” sostiene che gli ebrei non hanno alcun contatto con il popolo, che dominano una società ormai degenerata, cercando di assimilarsi al punto da dissolversi in essa. In tal modo l’ebreo perde anche la sua specificità culturale, come un ramo secco. “ Il giudaismo non è altro che la cattiva coscienza della civiltà moderna”
Una seconda culla per il movimento antisemita sta nelle numerose teorie razzistiche nate a vario titolo dall’ambito degli studi biologici darwiniani. Nel 1858 Ernest Renan pubblica “Storia generale e sistema comparato delle lingue semitiche.” Lo storico francese contrappone la civiltà ariana a quella semitica insistendo sul tema della razza. La razza ariana è dotata di ampiezza di vedute e profondità di pensiero, che sono l’eredità culturale lasciata dal politeismo antico, mentre la razza semitica è dogmatica e priva di spirito e rigore scientifico. Gesù costituisce un progresso rispetto al formalismo della religione ebraica.
Renan non formula ancora una concezione delle razze umane come determinate biologicamente. Alcuni anni più tardi De Gobineau pubblica il “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”. In esso la differenza fra le razze umane è determinata da criteri biologici, quale la forma e la grandezza del cranio, che sono causa di un diverso grado di sviluppo delle varie civiltà. Sinché le razze sono rimaste pure, la civiltà umana ha prosperato, mentre la mescolanza delle razze, in particolare ad opera dei semiti, ha provocato una generale decadenza. La razza rimasta più pura è quella ariana, prevalente in Germania e nella aristocrazia francese che discende dagli antichi Germani (la borghesia invece deriva dagli schiavi Gallo romani..) Anche De Gobineau si riallaccia ai miti orientali che vedono l’origine della civiltà sull’Himalaya, anziché nella cultura biblica. Nel 1892 Theodor Fritsch, animatore di gruppi e persino società segrete antisemite, nel “ Catechismo dell’Antisemitismo”, dimostrò l’arianità di Gesù. Quest’opera costituisce una sorta di ponte tra l’antisemitismo in cui perdurano ancora gli stereotipi tradizionali dell’antigiudaismo e il razzismo sviluppato in coerentemente in senso biologico. Il maggiore rappresentante di questa corrente è H.St.Chamberlain, un inglese che vive in Germania , dove diviene genero di Wagner e suo collaboratore a Bayreuth , il teatro costruito dal suo mecenate, il re di Baviera, per la rappresentazione delle opere wagneriane. Chamberlain è influenzato dal darwinismo sociale, che applica i principi dell’evoluzione e della selezione naturale alle società umane. Ai due estremi ci sono da una parte le razze più giovani come quella teutonica o nordica, più forte ed elevata moralmente, dall’altro la razza semitica, la più antica, ma anche la più degenerata moralmente. Secondo Chamberlain i contenuti della Bibbia sono stati generati da altre culture, in particolare quella egizia, e poi assimilati dagli ebrei. Il Cristo è ariano. L’opera di Chamberlain ha un grande successo e a sua volta ispira un altro libro famoso e controverso, pubblicato nel pieno della I Guerra Mondiale, “Il declino dell’Occidente” di Oswald Spengler. Cercando di nascondere la derivazione da Chamberlain, rifiuta i “ridicoli cliché di Semita e di Ariano” e li sostituisce con una dicotomia tra “stati faustiani”, tra i quali, ben inteso, c’è la Germania, e le nazioni magiche, che annoverano gli arabi e gli ebrei. C’è una totale incomprensione tra le nazioni faustiane e quelle magiche, perché queste ultime non si identificano mai completamente con il popolo ospite sino a farne il proprio destino. Il sentimento di questa incomprensione genera l’odio, che si nutre di simboli come la razza, la professione, il sangue. Per quanto nel testo abbondino espressioni poi largamente utilizzate anche dalla successiva propaganda nazista, non c’è traccia in Spengler del consueto attacco alla finanza ebraica dominatrice del mondo, come se l’autore avesse voluto distinguersi da coloro che fomentavano volgarmente l’opinione pubblica.
Resta da esaminare un ultimo tipo di antisemitismo, che Poliakov definisce “la rivincita degli atei”. Si tratta di quello anticapitalista. Già il socialista francese Pierre Proudhon considerava l’ebreo com il principe del male, Satana, Arimane, insomma il male incarnato, un essere fraudolento e parassita che non è né lavoratore, né industriale e né veramente commerciante; la sua nefasta influenza nella società è un segno della decadenza dei tempi, che Proudhon associa alla diminuzione del numero dei coscritti, all’imbastardimento delle razze cavalline (!) e all’emancipazione femminile, cui era risolutamente contrario.. Si tratta probabilmente di ossessioni personali, che culturalmente non derivano tanto dal socialismo riformista, quanto, almeno come linguaggio dai tradizionalisti romantici francesi come Bonald. L’ostilità contro gli ebrei è infatti assente tra i socialisti francesi degli anni ’40 dell’Ottocento; anzi i vari Blanqui, Blanc e Fourier spesso prendono le difese degli ebrei. Si potrebbe dire che l’antisemitismo come la religione sia quasi un fatto privato. Tuttavia, una delle opere giovanili di Marx, Die Judenfrage ( La questione ebraica), ha caratteristiche molto diverse. Marx ignora e rinnega le proprie origini ebraiche polemizzando in generale contro la religione. Religione e stato sono due entità inscindibili all’origine di due profonde forme di alienazione. Il vero Dio d’Israele è il denaro e gli ebrei sono legati da interessi puramente materiali che nascondono attraverso la diversità religiosa. E’ inutile parlare di emancipazione degli ebrei, come si chiedeva anche in Germania nel 1840, l’emancipazione dell’ebreo è l’emancipazione dell’ebraismo – e Marx ignora le masse ebraiche proletarie oppresse e sfruttate nella vicina Polonia.
Con questi precedenti e identificando l’ebreo con il capitalismo finanziario il socialismo della prima e della seconda Internazionale è piuttosto ambiguo nel suo atteggiamento verso gli ebrei. Anche durante l’affaire Dreyfus i socialisti francesi , per bocca del loro organo di stampa “ La petite Republique” di Jaurès mantengono un atteggiamento prudente e incerto proprio per questa vocazione “classista”. Solo dal 1897 esponenti importanti come lo stesso Jaurès e Millerand prendono apertamente posizione a favore di Dreyfus, quando ancora l’opinione pubblica socialista era molto più indecisa sul partito da prendere.



Crisi di fine secolo e formazione dell’opinione pubblica

Negli ultimi anni dell’Ottocento le certezze legate al progresso economico e tecnologico si affievoliscono considerevolmente. Gli anni a cavallo del secolo nuovo ci presentano una crisi sia economica , sia politica. I rapporti tra Francia e Germania, già guastati dalla guerra del 1870, peggiorano ulteriormente dopo l’affaire Dreyfus. La Germania, tenendo una politica di basso profilo, ha buon gioco nel demonizzare l’avversario qualificando di barbaro il comportamento dell’opinione pubblica francese. Ma le masse che gridano in Francia “morte agli ebrei” non sono diverse dalle masse tedesche, che hanno votato massicciamente per il Bismark prima, che apparentemente non sono contrarie all’assimilazione degli ebrei, ma plaudono privatamente alle misure restrittive di ogni genere – dall’obbligo di residenza alla durata del servizio militare - approvate in Russia sin dal 1880 o come, l’imperatore Guglielmo II, sono entusiasti dei pogrom antiebraici di Kishinev (1903). Le stesse masse qualche anno più tardi sosterranno la guerra, il presidente Hindemburg e voteranno Hitler.
I “valori nazionali” e patriottici insegnati nelle scuole, o fatti propri dalla stampa costituiscono un fattore di coesione all’interno dei singoli popoli, coesione che implica l’esclusione di tutti i diversi . Quello che sconcerta Clemenceau e altri attenti commentatori è la trasformazione del popolo sovrano in una plebe molto attirata dal mito dell’uomo forte, in Germania, come in Francia . questo perché quasi ovunque al progresso economico non ha fatto eco un progresso dei diritti e della consapevolezza politica, anche in quei paesi di più antica democratizzazione. Inoltre permangono, in paesi come la Russia o l’Italia, sacche di privilegi e di arretratezza politica ed economica. Anche la presenza di vasti imperi coloniali, quello francese e quello inglese in particolare, non serve da freno alle tensioni sociali emergenti, anzi diventa un ulteriore fattore di competizione.
In questo panorama l’esercito diventa quasi ovunque il baluardo contro la mutevolezza dei rapporti sociali e la tempo stesso e proprio per questo un premio molto ambito per gli ebrei come simbolo della loro emancipazione e integrazione ( il “sangue versato”). L’esercito è l’ultimo bastione dell’aristocrazia, è legato alla tradizione ( antirepubblicana in Francia, antiparlamentare in Germania e in Italia, imperiale in Austria- Ungheria), generalmente clericale, ancora molto influente per chi vuole fare carriera. L’esercito, sino alla Seconda Guerra Mondiale, mantiene uno spirito di corpo fortissimo al suo interno e una quasi totale seclusione dalla vita civile, cui non è sottoposto. Non viene per ciò stesso democratizzato. Ciò fa nascere diffidenze reciproche, che sono molto evidenti nell’ affaire Dreyfus , che è anche un caso aperto tra giurisdizione civile e militare, risolto alla fine dal compromesso cui si è accennato.
Sebbene non sempre in aperto conflitto con il mondo civile, esercito e burocrazia dello stato si mantengono separati e si controllano. L’esercito spesso si presenta come elemento di ordine ed efficienza in senso antiparlamentare, specie dove questo tipo di regime mostra segni di debolezza: in Italia alla vigilia della prima Guerra Mondiale, in Germania nel primo dopoguerra, durante la Repubblica di Weimar. Non a caso le costituzioni più recenti in Europa mettono l’esercito sotto il controllo democratico, come accade nella Costituzione italiana, che però al suo apparire lasciava sopravvivere la pena di morte, altrimenti abolita, nell’ambito dei tribunali militari.
Tutti questi elementi , sovente contraddittori, costituiscono lo sfondo entro cui viene individuato negli ebrei un ideale capro espiatorio. L’opinione pubblica, in Francia ma non solo, risponde, istigata dalla stampa, che è il mezzo ideale per diffondere idee, polemiche, anche menzogne. Il processo Dreyfus è un affare perfetto, per la stampa, tanto che proprio su di essa inizia. Ci sono arringhe, lettere aperte, polemiche assimilate avidamente dai lettori, che si identificano con uno dei due schieramenti e anche con un giornale piuttosto che un altro: “L’Aurore” di Clemenceau , o “La Libre parole” di Edouard Drumont, già autore de “La France Juive” ( “La Francia Ebraica”), antidreyfusardo, in nome della tradizione, di quella Francia della religione , delle crociate, di Luigi XIV, libera dall’influenza dei laici, degli ebrei, dei repubblicani. La Chiesa, quasi ovunque, ma in Francia più che altrove, perde posizioni di potere e di influenza nella società, ma questo non elimina le tensioni sociali, anzi le esaspera. L’antisemitismo, ovunque, diventa un fattore interclassista.
Le masse sono in primo piano. Sono il frutto della sovranità popolare, del suffragio universale ( maschile), ma il loro comportamento dimostra che sono facilmente influenzabili e che il loro comportamento collettivo è sovente irrazionale anche nelle scelte elettorali. Il popolo – scrive Clemenceau – “ è cacciato dal suo trono di giustizia e privato della sua maestà”. Vediamo le masse sobillate dalla chiesa o dalla propaganda razzista aggredire uomini politici e cittadini ebrei, assalire attività ebraiche, in una anticipazione dei pogrom russi e poi nazisti.
Si tratta di un periodo di crisi e non si può non notare come, dalla fine dell’Ottocento in poi, si sia avuto un ritorno dell’antisemitismo in forme più o meno esplicito nei momenti di maggiore crisi economica, politica e culturale.
A questi elementi si deve aggiungere un elemento di crisi di tipo filosofico: la crisi ( per alcuni definitiva) del sistema di valori creato dall’illuminismo. Nell’ottocento l’uomo è ancora convinto di vivere nella luce della ragione e non nelle tenebre.
Però.. A fine secolo, accanto alle esposizioni universali che dipingono a tinte rosee il futuro dell’uomo, si diffonde una cultura che è stata definita “del sospetto” da Gianni Vattimo, che coglie nella filosofia di Nietzsche il punto di rottura con una tradizione che ha fatto dell’uomo e delle sue possibilità una religione. Ma se l’uomo non ha più bisogno di dio, se Dio è morto – la nuova aurora di cui parla Nietzsche- che cosa è l’uomo? E’ su questa definizione che si gioca la partita, e il tragico travisamento di cui la filosofia di Nietzsche è stata vittima ne è la dimostrazione. Chi non rientra entro una precisa definizione di “umano” è una cosa, un non-essere, un non-esistente ( gli ebrei nei campi, per i nazisti, non erano uomini, ma Figuren, fantocci). Lo stesso progresso diventa un mito distruttore, fine a se stesso, che serve a giustificare razze, religioni, arte, eugenetica, con l’effetto di distruggere ogni memoria, ogni senso, ogni valore, ogni morale.
E dopo il 1945 il progresso, dopo aver condotto l’umanità sull’orlo dell’autoannientamento, si trasforma nella felicità immediata che rifiuta ogni domanda, anche su questioni essenziali come la vita, la sofferenza e la morte, lasciando l’uomo completamente disarmato di fronte alla vita.



Antisemitismo e persecuzione

Il legame tra antisemitismo culturale e persecuzione attiva è presente sin dall’inizio dell’età moderna, con la cacciata degli ebrei dalla Spagna (Gerush): ho usato volutamente la parola antisemitismo, in questo caso, poiché questa persecuzione non è solo religiosa, ma presenta, se non apertamente almeno nei fatti, un aspetto razziale ( la limpieza de sangre). Prima di allora, oltre alla segregazione, all’obbligo di portare segni distintivi e a tutta una serie di limitazioni nel movimento e nelle attività economiche permesse, c’erano stati sporadici attacchi di violenza “dal basso”, sostenuti solitamente, quando non apertamente incoraggiati da Chiesa e sovrani laici, il cui comportamento presenta non poche ambiguità. Spesso tolleravano e favorivano la presenza degli ebrei, ma la loro situazione restava precaria e in balia di circostanze sovente fortuite.
Nell’ Ottocento l’antisemitismo nei paese occidentali comincia ad assumere caratteri violenti con l’ affaire Dreyfus.: attacchi ad ebrei, negozi assaltati e devastati, lo stesso Dreyfus percosso in strada e il suo aggressore mandato assolto dal tribunale che riconosce che il popolo non ha accettato l’innocenza. In Russia sin dagli anni ’80 avviene lo stesso fenomeno . Il governo, di fronte alla campagna di attentati e all’azione dei movimenti democratici, oltre alla repressione generalizzata e alle deportazioni , vara una serie di misure discriminatorie verso ebrei, come l’estensione del servizio militare, la limitazione all’accesso alle università, la residenza coatta. A queste si accompagnano esplosioni di violenza dal basso, realizzate però con il pieno appoggio dell’autorità, che vedono nei pogrom un modo di deviare il malcontento popolare verso un comodo capro espiatorio ( nel mondo orientale gli ebrei sono spesso piccoli commercianti e artigiani, dal reddito molto basso, ma dalla elevata visibilità per i loro usi e le loro pratiche religiose). Opera del generale Ratchkovskij, alto funzionario della polizia segreta zarista, l’Ochrana, sono anche “ I protocolli dei savi anziani di Sion” , plagio di un libello antisemita di un certo Joly , che diffonde la teoria del complotto degli ebrei per dominare il mondo attraverso da un lato l’azione dei sindacati e dei movimenti socialisti e dall’altro attraverso il capitale finanziario e la massoneria . E’ un libro di straordinario successo anche al di fuori della Russia: nonostante gli stessi russi abbiano in seguito dimostrato la sua falsità continua a essere ristampato ancora oggi. L’apparato militare fa pressione sulla chiesa e sulla magistratura: sino agli inizi del ‘Novecento si susseguono le accuse e i processi per omicidio rituale, ma la Chiesa e la magistratura si mostrano , nella maggior parte dei casi, indipendenti nel loro giudizio. Questo accanimento contro gli ebrei è spiegabile osservando le statistiche degli arresti: la percentuale degli ebrei processati per motivi politici è nettamente superiore al rapporto tra popolazione ebraica e popolazione complessiva, e questo li rende particolarmente sospetti. Del resto i pochi ebrei che riescono a terminare gli studi non possono non agire per cercare di migliorare le spaventose condizioni in cui vivono. I pogrom russi, in particolare quello di Kishinev ( Pasqua 1903) sollevarono una vasta eco anche in Europa, di simpatia verso gli ebrei ( ma anche di plauso verso gli assassini, come abbiamo visto) : i banchieri ebrei come i Rothschild rifiutarono ulteriori prestiti alla Russia, il valore delle obbligazioni russe crollò, ma la persecuzione non cessò. L’alternativa rimasta agli ebrei era o l’emigrazione verso gli Stati Uniti sino al 1910 più di un milione e mezzo di persone partì, o la conversione al cristianesimo o all’Islam, o come si è visto, la militanza politica, sia nel movimento sionista fondato in Austria da Theodore Herzl o nei partiti politici come il Bund, il partito operaio ebraico, che vedono la luce entrambi nel 1897.
Dopo la Prima Guerra Mondiale e la rivoluzione russa, vi sono altri movimenti antiebraici come il pogrom di Simon Petliura in Ucraina, che sono meno spontanei e più determinati . si inscrivono nelle lotte antibolsceviche. D’altro canto la rivoluzione russa, dove agisce un gruppo dirigente di origine ebraica, e i successivi accordi di Brest Litovsk che provocano il ritiro della Russia dall’Intesa vengono attribuiti agli ebrei anche dalla più autorevole stampa occidentale, come il Times di Londra, e L’homme enchainé di Clemenceau.
Gli accordi di pace e la “ dichiarazione Balfour” (1917) sembrano aprire nuove prospettive alla possibilità, per gli ebrei, di ottenere un “focolare” , cioè uno stato indipendente in Palestina, sotto al mandato britannico. Mentre si intensifica l’emigrazione ebraica verso la Palestina, il mondo occidentale si avvia verso la deflagrazione di un antisemitismo non più astratto, ma reale. Questo processo viene accelerato dalla nascita dei totalitarismi, il nazismo in Germania, lo stalinismo in Unione Sovietica e infine (dal punto di vista dell’adozione dell’antisemitismo) il fascismo italiano.
Il legame tra totalitarismo e sterminio degli ebrei, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale viene spiegato da due principali scuole interpretative.
La prima è più diffusa ed è quella dello “sterminio volontario” ( tesi intenzionalista). Ossia della persecuzione antiebraica come elemento connaturato al totalitarismo, presente nella sua ideologia e nelle sue politiche attive. In questo modo sia la politica eugenetica del nazismo, sia la Shoà ( che fra l’altro furono condotte dagli stessi individui) sono elementi fondamentali della costruzione dell’ordine nuovo di cui parlava Hitler. Questa è la tesi sostenuta da Raul Hillberg, da Poliakov, da Laqueur, e più recentemente da Browing e da Goldhagen ( cfr. il cap.I di “ I volonterosi carnefici di Hitler”)
La seconda sostiene che lo sterminio degli ebrei è uno strumento necessario, ma contingente, alla guerra ideologica contro l’URSS. In caso contrario, la politica di Hitler si sarebbe “accontentata” della segregazione e della espulsione “eventuale”, con qualche pogrom “spontaneo” come la “notte dei cristalli”. Questa tesi giustifica le saltuarie esplosioni di antisemitismo sovietico prima e dopo la guerra : già nel 1919 un operaio, parlando con il dirigente bolscevico Kalinin, diceva che i Russi sarebbero diventati tutti bolscevichi e subito, se la rivoluzione li avesse sbarazzati degli ebrei… Giustifica inoltre l’adesione tardiva del fascismo all’antisemitismo, al momento della alleanza con la Germania. In questo modo però viene a mancare la tesi dell’unicità della Shoà come forma di sterminio programmato e lo si assimila ad altri grandi massacri del passato, tutti legati a circostanze eccezionali politiche e militari. ( tesi di Arno Mayer, La soluzione finale)



Totalitarismo e antisemitismo

Il totalitarismo hitleriano fa dell’antisemitismo un aspetto fondamentale della sua ideologia e un principio necessario della sua azione politica. Il saggio ormai classico di Hannah Arendt “Le origini del totalitarismo” (1951) analizza le origini del totalitarismo proprio a partire dalla condizione degli ebrei nella seconda metà dell’ottocento, così come noi l’abbiamo delineata nei paragrafi precedenti, individuando nell’ affaire Dreyfus e nell’imperialismo di alcuni stati europei, in particolare della Germania, i fattori scatenanti dell’antisemitismo di massa. Il totalitarismo è una nuova forma di stato diversa dalle altre forme di “governo degli uomini” (Bobbio) che si sono presentate nella storia come la dittatura dell’antichità o più recentemente il regno di Napoleone I o Napoleone III. Lo sfondo del totalitarismo è una società di massa, dove agiscono partiti e istituzioni di tipo parlamentare . Il movimento che fa capo ad un leader carismatico ( tema questo non utilizzato dalla Arendt, ma analizzato già nel 1920 da Max Weber) si contrappone ai partiti tradizionali in nome di una forza decisionale e di identificazione personale organica che superano per rapidità efficienza e solidità l’istituzione giuridica. Il nucleo centrale dell’ideologia totalitaria è l’obbedienza e questa risposta identifica nell’opposizione radicale alla modernità e ai suoi valori di libertà la chiave per comprendere, almeno in parte il successo del movimento nazista. Hitler voleva fare risorgere, nello stato razziale, il popolo tedesco e la sua identità nazionale e il suo passato mitologico dalla sconfitta subita nella Prima Guerra mondiale. Gli ebrei rappresentavano perfettamente quegli ideali di democrazia, pacifismo e internazionalismo che il nazismo combatteva e non rientravano nell’ideal tipo tedesco, come gli zingari. Questo era sufficiente per determinare la loro eliminazione. Non mancavano nemmeno le ragioni economiche, come il desiderio di appropriarsi di ricchezze e posizioni detenute dagli ebrei in Germania in nome di una razionalizzazione organica dell’economia, in ogni caso le ragioni politiche ed ideologiche hanno la meglio sulle altre considerazioni, come si vedrà durante la guerra, quando gli ebrei nei campi vengono eliminati anche quando il loro lavoro di manodopera a costo zero è utile allo sforzo bellico tedesco.
Al sistema democratico il nazismo e il fascismo prima di lui sostituiscono un sistema militare, costituito dall’esercito da organizzazioni paramilitari e dalla polizia: l’elemento chiave è il terrore, che permea di sé ogni livello sociale.
Il recente libro di Zsigmund Bauman “Modernità e olocausto” (1989) aggiunge a questi alcuni altri elementi. Riprendendo il tema del capo carismatico caro a Weber , Bauman rileva come tra il capo, il gruppo dei suoi seguaci “della prima ora” e il resto del Volk ci fosse una burocrazia del partito che trasformava la volontà del leader in legislazione e la faceva rispettare. Uno dei primi provvedimenti del nazismo, all’indomani della presa del potere, fu ad esempio l’espulsione degli ebrei dalle università tedesche. A questi provvedimenti, non a caso, si accompagnano ad altri che pongono le basi dello stato razziale, come la sterilizzazione volontaria o coatta degli asociali e degli affetti da malattie trasmissibili per via ereditaria . Segue negli anni successivi uno stillicidio di provvedimenti discriminatori volti ad accentuare l’isolamento degli ebrei nel mondo tedesco, che culminano con le leggi di Norimberga del 1935. Esse ratificano il processo di espulsione degli ebrei tedeschi dalla società stabilendo che solo chi ha sangue tedesco può essere cittadino e vietano qualunque contatto sia di lavoro, sia sentimentale o sessuale tra appartenenti a razze diverse. L’unica concessione che viene fatta alle necessità di un paese sulla via del riarmo riguarda i meticci (Mischlinge). : con un regolamento successivo, i figli di matrimoni misti vengono assimilati ai tedeschi a meno che non siano a loro volta sposati con ebrei o membri attivi della comunità ebraica.
Il popolo tedesco e la chiesa, sia cattolica sia protestante, accettarono passivamente questi provvedimenti.
Le leggi razziali italiane del 1938 furono promulgate sulla base di quelle tedesche. Al concetto culturale di razza ariana si accompagna una serie di provvedimenti economici che mirano ad escludere gli ebrei da ogni tipo di attività. Sono le banche ad incaricarsi della confisca e della gestione dei beni degli ebrei, creando così un contenzioso difficile da sanare quando, dopo la fine della guerra, superstiti ed eredi cercheranno di rientrare in possesso dei loro beni.





L’antisemitismo del secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra assistiamo alla nascita dello stato di Israele (1948), risultato più rilevante del movimento nazionale ebraico, il sionismo. La rinascita di uno stato ebraico dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 e.v. è un tema sempre presente nella tradizione rabbinica e religiosa, dove spesso si accompagna a fantasie mistico –messianiche come quelle di Shabbetai Zevi nel 1600. Nell’ ‘800 il mondo ebraico della diaspora si interroga sulla necessità dell’assimilazione o si laicizza, mentre nasce l’idea di una nazione ebraica in autori come Moses Hess . E’ l’antisemitismo aggressivo dell’ affaire Dreyfus e dei pogrom che spinge il giornalista Theodoro Herzl a fondare nel 1897 un movimento politico, attivo in particolare nell’europa orientale dove si diversifica in varie componenti, che vanno dal nazionalismo dei “revisionisti” al socialismo al messianismo religioso.
Vent’anni dopo il primo congresso sionista, e dopo infruttuose trattative con molti stati europei incluso il Vaticano, la dichiarazione Balfour apre possibilità politiche concrete, che il blocco dell’immigrazione negli anni ’30 e l’opposizione della Gran Bretagna alla fine della guerra sembrano portare al fallimento. Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra migliaia di profughi provenienti dalle zone occupate dai tedeschi cercano di entrare più o meno legalmente in Palestina, sovente arrestati e internati a Cipro. Bisogna aggiungere che nonostante le morte di milioni di persone nei lager l’antisemitismo, specie in Polonia, non è spento e vi sono parecchi episodi di violenza contro i sopravvissuti che culminano nel pogrom di Kielce nel 1946.
Per sanare la crescente tensione tra ebrei e arabi, l’Onu presenta un piano che preveda la spartizione della Palestina tra le due comunità, piano rifiutato dagli arabi. Alla proclamazione dello stato d’Israele scoppia una guerra tra il nuovo stato e i paesi arabi confinanti che si conclude con la loro sconfitta militare e con il riconoscimento del nuovo stato da parte della comunità internazionale.
La presenza di Israele, e ancora prima l’immigrazione ebraica, fa nascere nei paesi arabi e in generale nel mondo musulmano un antisemitismo politico prima che religioso, alimentato dal nascente nazionalismo di questi paesi. I discorsi del Gran Muftì di Gerusalemme, che durante la guerra fu ricevuto da Hitler, riecheggiano frequentemente “I protocolli dei savi anziani di Sion”.
In questa sede non saranno analizzate le complesse vicende mediorientali, la cui risoluzione purtroppo non sembra prossima. Il sostegno ai diritti del popolo palestinese ha favorito il nascere, in Europa ed in altre parti del mondo di un antisionismo che sovente non è stato altro che una forma appena mascherata di antisemitismo.
Contestualmente, nel mondo occidentale, in Europa come negli Stati uniti, come in Russia, la rinascita di movimenti neonazisti e neofascisti o nazionalisti ha riportato in auge l’antisemitismo di tipo razziale e generalmente xenofobo. Ci sono stati partiti come quello Republikaner in Germania, messi al bando proprio per l’apologia del nazismo e dello sterminio sostenuti in scritti e recentemente anche su siti internet. La riproposta del libro di Hitler “Mein Kampf” come dei “Protocolli” non conosce sosta.
Dal punto di vista culturale, la riflessione sui fatti del Novecento ha fatto nascere una scuola storica detta negazionista, nella quale polemisti come il francese Faurisson o storici come Irving sono giunti a negare la realtà della Shoà , dello sterminio degli ebrei e delle camere a gas attribuendoli alla propagnada alleata o a un complotto ebraico a sostegno del sionismo . Le tesi di questi autori hanno suscitato una giusta indignazione nell’opinione pubblica europea e hanno ricevuto una sanzione giuridica in vari paesi tra cui la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. L’antisemitismo è tuttavia una pesante eredità del secolo scorso che nonostante tutto quello che è accaduto non siamo ancora riusciti ad estirpare.





Bibliografia


Della numerosa bibliografia sull’antisemitismo vengono qui citati soltanto quelli direttamente utilizzati per elaborare questa scheda.
Adorno, Frenkel Brunswick, Levinson, Sanford, La personalità autoritaria, Comunità, Milano, 1973 (1950)
Arendt, H., Le origini del totalitarismo, Comunità, Milano, 1967 (1951)
Barromi, J., Storia dell’antisemitismo, Marietti, Genova, 1988
Bauman, Z., Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna, 1994 (1991)
Browning, C.R., Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale “ in Polonia, Einaudi, Torino 1995(1991)
Browning, C.R., Verso il genocidio. Come è stata possibile la soluzione finale, Il Saggiatore, Milano, 1998 (1992)
Girard, Il capro espiatorio, Adelphi , Milano, 1987(1987)
Goldhagen,D.J. , I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Mondadori, Milano,1997 (1996)
Gozzini, G., La strada per Auschwitz, Bruno Mondadori, Milano, 1996
Hillberg, R., La distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi , Torino, 1995 ( 2voll.) ( 1985)
Hillberg, R, Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 1933-1945, Mondadori, Milano, 1994(1992)
Lewis, B., Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e un pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1990 (1986)
Mayer A.J., La soluzione finale. Lo sterminio degli ebrei nella storia europea, , Mondadori, Milano, 1990 (1988)
Mosse, G.L., La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania, Il Mulino, Bologna, 1984(1975)
Poliakov, L., Storia dell’Antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze,1974 (1955)
Todorov,T., Di fronte all’estremo, Garzanti, Milano, 1992 (1991) "


Shalom!!!!

Pieffebi
07-05-03, 13:49
da www.shalom.it


" Delegittimare Israele era il vero motivo del rifiuto di Arafat alla pace con Barak
Se le menzogne diventano verità

di Fiamma Nirenstein


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Fra le molte rivelazioni sulla vera storia del rifiuto di Arafat a Camp David, quando Barak fece tutte le sue offerte di pace e il Presidente dei palestinesi rispose "no" fra lo stupore del mondo intero, ce ne sono un paio che riguardano il Monte del Tempio, ovvero la Spianata delle Moschee, cui sono portata ad attribuire un significato particolare.
Il primo: il Presidente americano Bill Clinton discusse a lungo e con particolare trepidazione la divisione di quella zona così santa ad ambedue le religioni. Lo fece con pazienza e cercando di trovare varie possibilità (il sopra e il sotto, la spianata e il Muro del Pianto, la sovranità secolare e quella religiosa...) che potessero essere confacenti ad una divisione sensata.

Ma ad un certo punto Arafat disse a Clinton che comunque il Tempio di Salomone, e poi quello di Erode erano tutta un'invenzione, che niente provava che quella zona fosse santa agli ebrei, mentre le moschee erano là in bella vista, e che l'unica religione che avesse un diritto a proclamare la sua supremazia era quella musulmana. Clinton si infuriò, disse ad Arafat che egli sapeva per certo che quello era da più di duemila anni il più importante ed anzi l'unico dei luoghi di culto fondamentali per gli ebrei, mentre i musulmani ne avevano anche altri. Arafat chiese di rimando da dove lo sapesse, e Clinton lo scrutò stupefatto, come qualcuno che avesse chiesto se era sicuro delle propria esistenza. Disse più o meno: "Lo so, l'ho letto, l'ho studiato, tutti lo sanno. E' così, e la prego di non tentare di nuovo di suggerire una cosa non vera".

La storia è certificata dall'ex Presidente americano stesso.

La seconda riguarda invece la trattativa in sé: Barak e Arafat erano quasi arrivati alla conclusione della spartizione del Monte su cui sorge la Moschea di Al Aqsa e che è la sede storica e archeologica del Beit ha Midrash che conteneva il Kodesh ha Kodashim. Arafat però rifiutò recisamente che nella risoluzione fosse scritto che il luogo era sacro "alle religioni musulmana ed ebraica".

Qui non si tratta di nessuna questione territoriale e neppure di principio: la negazione della presenza ebraica a Gerusalemme, e quindi in Israele, la scelta di praticare una strada di negazione di ogni diritto ebraico a stabilirsi in Medio Oriente come nella propria casa naturale, è un elemento strategico di questa Intifada. L'argomento degli insediamenti è, per quanto importante, del tutto secondario nella campagna di delegittimazione che è il vero cuore della vicenda.

C'è una ragione formale in questo, legata al fatto che, per così dire, ogni argomento sostanziale era difficile da riprendere dopo il fallimento del summit americano. Che altro avrebbe potuto chiedere la leadership palestinese dopo il rifiuto di quelle proposte israeliane, così palesemente vantaggiose? Il rilancio al tavolo da gioco era indispensabile.

Ma c'è anche un argomento sostanziale, molto angoscioso e preoccupante, che è questo: la storia porta con sé molte prove di quanto sia facile convincere il mondo di una quantità di bugie che riguardano gli ebrei. Racconta che gli ebrei fanno le azzime con il sangue umano; racconta che perseguono una congiura mondiale per prendere il potere in tutto il mondo; racconta che gli ebrei odiano tutti e tramano per il male del paese in cui vivono; racconta che sono ricchissimi e potenti, quanto ontologicamente perfidi e devoti al male; racconta che bisogna liberarsene, prima o poi... racconta.

Ci sono buone probabilità che ti credano. Racconta che il tempio di Salomone e quello di Erode non hanno niente a che fare con la storia ebraica, che forse il popolo ebraico è estinto, non è mai esistito, racconta che gli abitanti originari del luogo sono i cananei da cui derivano i palestinesi, e che gli ebrei sono stati sparsi al vento. Racconta insieme a questo che gli ebrei compiono oggi stragi preordinate, che le loro risposte agli attentati e al fuoco degli attentati e ai colpi di mortaio su Ghilò sono aggressioni programmate, che i bambini sono le loro vittime preferite, che Sharon è una belva assetata di sangue e che è a causa sua che adesso il Medio Oriente è in fiamme; che, nonostante il giudizio di non colpevolezza di due processi, è lui il perpetratore consapevole di una strage di palestinesi compiuta vent'anni fa dalla falange libanese. Ripeti la barzelletta che l'esercito israeliano usa gas nervino e uranio impoverito, che lancia caramelle avvelenate ai bambini. Metti per iscritto in un bel documento firmato da tanti Paesi Mediorentali, africani e anche europei, alla conferenza dell'ONU sul razzismo, che Israele è un Paese razzista, tornando così a quella inverosimile risoluzione da Guerra Fredda che l'ONU ha dovuto cancellare quando è caduta l'URSS, ovvero "sionismo eguale razzismo". Ripeti la bestemmia che l'unico Paese disperatamente democratico del Medio Oriente, un Paese democratico in guerra, l'unico del mondo in questa situazione, non è degno di essere considerato un partner dai Paesi civili... ripetilo, mentre nessuno ha il coraggio di farti rilevare che i Paesi mediorientali non godono di un centesimo delle libertà civili e dei diritti umani di cui gode quel Paese... sarai creduto.

Perché? Le risposte sono complesse, ognuno di noi può trovarne almeno tre o quattro: la semplificazione di un conflitto in cui Israele appare molto più forte; il desiderio europeo di togliersi il senso di colpa accusando finalmente gli ebrei di terribili responsabilità; l'eredità del Terzomondismo, della Guerra Fredda, del Comunismo. L'antisemitismo, perché osservando molto bene e nei particolari come l'informazione sui fatti non sfondi un complesso muro di menzogne, come ciò che appare palese a un osservatore onesto è tutto il contrario di ciò che la gente vede e sa di questo conflitto, il pensiero non può che correre a quella muraglia di bugie che le ideologie assassine del Ventesimo secolo costruirono intorno agli ebrei: i nazisti per sterminarli; i comunisti per confinarli, perseguitarli, ghettizzarli, e in parte anche per ucciderli. Abbiamo oggi i mezzi per fermare una nuova Grande Menzogna, che non si sa in quale direzione corra? Gli intellettuali tedeschi, quelli italiani, gli uomini che in Europa assistettero alla sua costruzione, non seppero, allora, farlo. Eppure era chiara, era ridicola, era insomma una menzogna. Oggi siamo avvertiti dal passato, ed esiste lo Stato d'Israele. I mezzi per affrontarla sono migliori. Ciò che è da verificare è la nostra forza morale, la volontà di impegnarci in un duro confronto di opinione. "


Cordiali saluti

Paul Atreides
07-05-03, 17:43
Originally posted by Pieffebi
da www.isral.it

" Tipi di antisemitismo

Alla fine del 1894, l’ufficiale francese Alfred Dreyfus, ebreo, fu accusato di spionaggio a favore della Germania, sbrigativamente processato davanti a una corte marziale militare e, nonostante gli indizi a suo carico non sembrassero conclusivi, condannato alla degradazione e alla prigionia perpetua sull’Isola del Diavolo. Due anni più tardi, mentre il fratello di Dreyfus indagava per suo conto, il nuovo capo del Servizio Informazioni, colonnello Picquart, riaprì il caso essendosi convinto dell’innocenza di Dreyfus e accusò un altro ufficiale, il colonnello Esterhazy, di nobile famiglia, ma giocatore e bon vivant. Picquart dopo poco fu promosso e trasferito e Dreyfus restò in prigione. E’ a questo punto che secondo lo storico Léon Poliakov inizia il vero Affare Dreyfus, con la pubblicazione , su L’Aurore, il giornale dell’uomo politico radicale Georges Clemenceau, di una lettera aperta dello scrittore Emile Zola intitolata “J’accuse”. Alla fine del 1897 la Francia offrì al mondo l’immagine di un paese sull’orlo della guerra civile, dove i sostenitori di Dreyfus, pochissimi dalla prima ora, e la maggioranza dell’opinione pubblica antidreifusarda si combattevano sui giornali e spesso anche nelle strade. Dreyfus fu riconosciuto innocente nel 1907 e graziato e a molti questo parve un compromesso politico. Le reiterate condanne subite da Dreyfus anche quando i colpevoli e i mandanti dell’azione di spionaggio erano stati chiaramente individuati e la successiva concezione della grazia servirono ad evitare un colpo di stato da parte della francese militarista e nazionalista.
Il caso Dreyfus, con cui inizia questa scheda, è un evento importante storicamente, per molti periodizzante nei confronti dell’emersione di un fenomeno esistente da secoli, ma che alla fine dell’Ottocento veniva ad assumere connotati nuovi: l’antisemitismo . L’antisemitismo si differenzia dalla tradizionale ostilità nei confronti degli ebrei legata alla tradizione cristiana ( antigiudaismo) e nata nella tarda antichità nel momento in cui il cristianesimo si distacca dalla cultura ebraica che lo ha generato. Tale atteggiamento, che si concretizza immediatamente nella presentazione degli ebrei come il popolo deicida viene mantenuto e perpetuato sia nel mondo cattolico, sia in quello protestante, sia , almeno parzialmente, in quello ortodosso. Questo atteggiamento si accompagna, in età moderna, anche una polemica antiebraica di matrice economica, legata alle attività commerciali e bancarie svolte tradizionalmente dagli ebrei, proprio a causa della proibizione ecclesiastica di possedere la terra.
A partire dagli anni ‘70 dell’ottocento, anche se persiste l’antigiudaismo di matrice prevalentemente cattolica – si pensi al caso Mortara, il bambino rapito ai propri genitori, battezzato e mai restituito – nasce in Germania e in Francia un atteggiamento laico di rifiuto degli ebrei che si nutre di elementi culturali e sociali contemporanei.
La parola antisemitismo (antisemitismus ) in tedesco viene coniata da Wilhelm Marr, un ex socialista convertito ai valori germanici, nel libro Semite Jude, esempio eminente di una campagna di diffamazione contro gli ebrei molto virulenta negli anni ’70 e ’80 e collegata ad una situazione economica e sociale difficile ( la nazionalizzazione delle ferrovie). Il bacino di raccolta di questa campagna, che utilizza il lessico antigiudaico già proprio del mondo cristiano , è quello dei contadini e piccoli proletari, che votano per lo più il partito Cristiano Sociale e al tempo stesso sono vicini all’Antisemiten Liga . Questo antisemitismo laico è supportato dalla nascita del cosiddetto mito ariano, derivato a sua volta dagli studi di orientalistica del primo ottocento, che hanno diffuso in occidente la cultura indiana più antica dei Veda , delle Upanisad e del Mahabarata . Per la prima volta l’origine della civiltà e dei valori occidentali vengono distaccati dalla cultura giudaico –cristiana, per risalire ad una mitologia più antica, guerriera ed indoeuropea, di cui i Germani vengono considerati gli unici veri eredi ariani . La nuova cittadinanza tedesca viene associata al recupero dei miti e delle leggende tedesche, il cui più noto divulgatore è il musicista Richard Wagner , autore del lungo ciclo di opere liriche tratto dal Nibelungenlied ( L’oro del Reno, la Walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei ). Il suo genio innovativo e drammaturgico ha diffuso i valori del pangermanesimo. Wagner è uno dei più noti rappresentanti dell’antisemitismo tedesco, pur essendo lui stesso stato aiutato, nel corso dei suoi travagliati esordi , da musicisti ebrei come Meyerbeer o Mendelhsson - Bartholdy. Nello scritto “Il giudaismo nella musica” sostiene che gli ebrei non hanno alcun contatto con il popolo, che dominano una società ormai degenerata, cercando di assimilarsi al punto da dissolversi in essa. In tal modo l’ebreo perde anche la sua specificità culturale, come un ramo secco. “ Il giudaismo non è altro che la cattiva coscienza della civiltà moderna”
Una seconda culla per il movimento antisemita sta nelle numerose teorie razzistiche nate a vario titolo dall’ambito degli studi biologici darwiniani. Nel 1858 Ernest Renan pubblica “Storia generale e sistema comparato delle lingue semitiche.” Lo storico francese contrappone la civiltà ariana a quella semitica insistendo sul tema della razza. La razza ariana è dotata di ampiezza di vedute e profondità di pensiero, che sono l’eredità culturale lasciata dal politeismo antico, mentre la razza semitica è dogmatica e priva di spirito e rigore scientifico. Gesù costituisce un progresso rispetto al formalismo della religione ebraica.
Renan non formula ancora una concezione delle razze umane come determinate biologicamente. Alcuni anni più tardi De Gobineau pubblica il “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”. In esso la differenza fra le razze umane è determinata da criteri biologici, quale la forma e la grandezza del cranio, che sono causa di un diverso grado di sviluppo delle varie civiltà. Sinché le razze sono rimaste pure, la civiltà umana ha prosperato, mentre la mescolanza delle razze, in particolare ad opera dei semiti, ha provocato una generale decadenza. La razza rimasta più pura è quella ariana, prevalente in Germania e nella aristocrazia francese che discende dagli antichi Germani (la borghesia invece deriva dagli schiavi Gallo romani..) Anche De Gobineau si riallaccia ai miti orientali che vedono l’origine della civiltà sull’Himalaya, anziché nella cultura biblica. Nel 1892 Theodor Fritsch, animatore di gruppi e persino società segrete antisemite, nel “ Catechismo dell’Antisemitismo”, dimostrò l’arianità di Gesù. Quest’opera costituisce una sorta di ponte tra l’antisemitismo in cui perdurano ancora gli stereotipi tradizionali dell’antigiudaismo e il razzismo sviluppato in coerentemente in senso biologico. Il maggiore rappresentante di questa corrente è H.St.Chamberlain, un inglese che vive in Germania , dove diviene genero di Wagner e suo collaboratore a Bayreuth , il teatro costruito dal suo mecenate, il re di Baviera, per la rappresentazione delle opere wagneriane. Chamberlain è influenzato dal darwinismo sociale, che applica i principi dell’evoluzione e della selezione naturale alle società umane. Ai due estremi ci sono da una parte le razze più giovani come quella teutonica o nordica, più forte ed elevata moralmente, dall’altro la razza semitica, la più antica, ma anche la più degenerata moralmente. Secondo Chamberlain i contenuti della Bibbia sono stati generati da altre culture, in particolare quella egizia, e poi assimilati dagli ebrei. Il Cristo è ariano. L’opera di Chamberlain ha un grande successo e a sua volta ispira un altro libro famoso e controverso, pubblicato nel pieno della I Guerra Mondiale, “Il declino dell’Occidente” di Oswald Spengler. Cercando di nascondere la derivazione da Chamberlain, rifiuta i “ridicoli cliché di Semita e di Ariano” e li sostituisce con una dicotomia tra “stati faustiani”, tra i quali, ben inteso, c’è la Germania, e le nazioni magiche, che annoverano gli arabi e gli ebrei. C’è una totale incomprensione tra le nazioni faustiane e quelle magiche, perché queste ultime non si identificano mai completamente con il popolo ospite sino a farne il proprio destino. Il sentimento di questa incomprensione genera l’odio, che si nutre di simboli come la razza, la professione, il sangue. Per quanto nel testo abbondino espressioni poi largamente utilizzate anche dalla successiva propaganda nazista, non c’è traccia in Spengler del consueto attacco alla finanza ebraica dominatrice del mondo, come se l’autore avesse voluto distinguersi da coloro che fomentavano volgarmente l’opinione pubblica.
Resta da esaminare un ultimo tipo di antisemitismo, che Poliakov definisce “la rivincita degli atei”. Si tratta di quello anticapitalista. Già il socialista francese Pierre Proudhon considerava l’ebreo com il principe del male, Satana, Arimane, insomma il male incarnato, un essere fraudolento e parassita che non è né lavoratore, né industriale e né veramente commerciante; la sua nefasta influenza nella società è un segno della decadenza dei tempi, che Proudhon associa alla diminuzione del numero dei coscritti, all’imbastardimento delle razze cavalline (!) e all’emancipazione femminile, cui era risolutamente contrario.. Si tratta probabilmente di ossessioni personali, che culturalmente non derivano tanto dal socialismo riformista, quanto, almeno come linguaggio dai tradizionalisti romantici francesi come Bonald. L’ostilità contro gli ebrei è infatti assente tra i socialisti francesi degli anni ’40 dell’Ottocento; anzi i vari Blanqui, Blanc e Fourier spesso prendono le difese degli ebrei. Si potrebbe dire che l’antisemitismo come la religione sia quasi un fatto privato. Tuttavia, una delle opere giovanili di Marx, Die Judenfrage ( La questione ebraica), ha caratteristiche molto diverse. Marx ignora e rinnega le proprie origini ebraiche polemizzando in generale contro la religione. Religione e stato sono due entità inscindibili all’origine di due profonde forme di alienazione. Il vero Dio d’Israele è il denaro e gli ebrei sono legati da interessi puramente materiali che nascondono attraverso la diversità religiosa. E’ inutile parlare di emancipazione degli ebrei, come si chiedeva anche in Germania nel 1840, l’emancipazione dell’ebreo è l’emancipazione dell’ebraismo – e Marx ignora le masse ebraiche proletarie oppresse e sfruttate nella vicina Polonia.
Con questi precedenti e identificando l’ebreo con il capitalismo finanziario il socialismo della prima e della seconda Internazionale è piuttosto ambiguo nel suo atteggiamento verso gli ebrei. Anche durante l’affaire Dreyfus i socialisti francesi , per bocca del loro organo di stampa “ La petite Republique” di Jaurès mantengono un atteggiamento prudente e incerto proprio per questa vocazione “classista”. Solo dal 1897 esponenti importanti come lo stesso Jaurès e Millerand prendono apertamente posizione a favore di Dreyfus, quando ancora l’opinione pubblica socialista era molto più indecisa sul partito da prendere.



Crisi di fine secolo e formazione dell’opinione pubblica

Negli ultimi anni dell’Ottocento le certezze legate al progresso economico e tecnologico si affievoliscono considerevolmente. Gli anni a cavallo del secolo nuovo ci presentano una crisi sia economica , sia politica. I rapporti tra Francia e Germania, già guastati dalla guerra del 1870, peggiorano ulteriormente dopo l’affaire Dreyfus. La Germania, tenendo una politica di basso profilo, ha buon gioco nel demonizzare l’avversario qualificando di barbaro il comportamento dell’opinione pubblica francese. Ma le masse che gridano in Francia “morte agli ebrei” non sono diverse dalle masse tedesche, che hanno votato massicciamente per il Bismark prima, che apparentemente non sono contrarie all’assimilazione degli ebrei, ma plaudono privatamente alle misure restrittive di ogni genere – dall’obbligo di residenza alla durata del servizio militare - approvate in Russia sin dal 1880 o come, l’imperatore Guglielmo II, sono entusiasti dei pogrom antiebraici di Kishinev (1903). Le stesse masse qualche anno più tardi sosterranno la guerra, il presidente Hindemburg e voteranno Hitler.
I “valori nazionali” e patriottici insegnati nelle scuole, o fatti propri dalla stampa costituiscono un fattore di coesione all’interno dei singoli popoli, coesione che implica l’esclusione di tutti i diversi . Quello che sconcerta Clemenceau e altri attenti commentatori è la trasformazione del popolo sovrano in una plebe molto attirata dal mito dell’uomo forte, in Germania, come in Francia . questo perché quasi ovunque al progresso economico non ha fatto eco un progresso dei diritti e della consapevolezza politica, anche in quei paesi di più antica democratizzazione. Inoltre permangono, in paesi come la Russia o l’Italia, sacche di privilegi e di arretratezza politica ed economica. Anche la presenza di vasti imperi coloniali, quello francese e quello inglese in particolare, non serve da freno alle tensioni sociali emergenti, anzi diventa un ulteriore fattore di competizione.
In questo panorama l’esercito diventa quasi ovunque il baluardo contro la mutevolezza dei rapporti sociali e la tempo stesso e proprio per questo un premio molto ambito per gli ebrei come simbolo della loro emancipazione e integrazione ( il “sangue versato”). L’esercito è l’ultimo bastione dell’aristocrazia, è legato alla tradizione ( antirepubblicana in Francia, antiparlamentare in Germania e in Italia, imperiale in Austria- Ungheria), generalmente clericale, ancora molto influente per chi vuole fare carriera. L’esercito, sino alla Seconda Guerra Mondiale, mantiene uno spirito di corpo fortissimo al suo interno e una quasi totale seclusione dalla vita civile, cui non è sottoposto. Non viene per ciò stesso democratizzato. Ciò fa nascere diffidenze reciproche, che sono molto evidenti nell’ affaire Dreyfus , che è anche un caso aperto tra giurisdizione civile e militare, risolto alla fine dal compromesso cui si è accennato.
Sebbene non sempre in aperto conflitto con il mondo civile, esercito e burocrazia dello stato si mantengono separati e si controllano. L’esercito spesso si presenta come elemento di ordine ed efficienza in senso antiparlamentare, specie dove questo tipo di regime mostra segni di debolezza: in Italia alla vigilia della prima Guerra Mondiale, in Germania nel primo dopoguerra, durante la Repubblica di Weimar. Non a caso le costituzioni più recenti in Europa mettono l’esercito sotto il controllo democratico, come accade nella Costituzione italiana, che però al suo apparire lasciava sopravvivere la pena di morte, altrimenti abolita, nell’ambito dei tribunali militari.
Tutti questi elementi , sovente contraddittori, costituiscono lo sfondo entro cui viene individuato negli ebrei un ideale capro espiatorio. L’opinione pubblica, in Francia ma non solo, risponde, istigata dalla stampa, che è il mezzo ideale per diffondere idee, polemiche, anche menzogne. Il processo Dreyfus è un affare perfetto, per la stampa, tanto che proprio su di essa inizia. Ci sono arringhe, lettere aperte, polemiche assimilate avidamente dai lettori, che si identificano con uno dei due schieramenti e anche con un giornale piuttosto che un altro: “L’Aurore” di Clemenceau , o “La Libre parole” di Edouard Drumont, già autore de “La France Juive” ( “La Francia Ebraica”), antidreyfusardo, in nome della tradizione, di quella Francia della religione , delle crociate, di Luigi XIV, libera dall’influenza dei laici, degli ebrei, dei repubblicani. La Chiesa, quasi ovunque, ma in Francia più che altrove, perde posizioni di potere e di influenza nella società, ma questo non elimina le tensioni sociali, anzi le esaspera. L’antisemitismo, ovunque, diventa un fattore interclassista.
Le masse sono in primo piano. Sono il frutto della sovranità popolare, del suffragio universale ( maschile), ma il loro comportamento dimostra che sono facilmente influenzabili e che il loro comportamento collettivo è sovente irrazionale anche nelle scelte elettorali. Il popolo – scrive Clemenceau – “ è cacciato dal suo trono di giustizia e privato della sua maestà”. Vediamo le masse sobillate dalla chiesa o dalla propaganda razzista aggredire uomini politici e cittadini ebrei, assalire attività ebraiche, in una anticipazione dei pogrom russi e poi nazisti.
Si tratta di un periodo di crisi e non si può non notare come, dalla fine dell’Ottocento in poi, si sia avuto un ritorno dell’antisemitismo in forme più o meno esplicito nei momenti di maggiore crisi economica, politica e culturale.
A questi elementi si deve aggiungere un elemento di crisi di tipo filosofico: la crisi ( per alcuni definitiva) del sistema di valori creato dall’illuminismo. Nell’ottocento l’uomo è ancora convinto di vivere nella luce della ragione e non nelle tenebre.
Però.. A fine secolo, accanto alle esposizioni universali che dipingono a tinte rosee il futuro dell’uomo, si diffonde una cultura che è stata definita “del sospetto” da Gianni Vattimo, che coglie nella filosofia di Nietzsche il punto di rottura con una tradizione che ha fatto dell’uomo e delle sue possibilità una religione. Ma se l’uomo non ha più bisogno di dio, se Dio è morto – la nuova aurora di cui parla Nietzsche- che cosa è l’uomo? E’ su questa definizione che si gioca la partita, e il tragico travisamento di cui la filosofia di Nietzsche è stata vittima ne è la dimostrazione. Chi non rientra entro una precisa definizione di “umano” è una cosa, un non-essere, un non-esistente ( gli ebrei nei campi, per i nazisti, non erano uomini, ma Figuren, fantocci). Lo stesso progresso diventa un mito distruttore, fine a se stesso, che serve a giustificare razze, religioni, arte, eugenetica, con l’effetto di distruggere ogni memoria, ogni senso, ogni valore, ogni morale.
E dopo il 1945 il progresso, dopo aver condotto l’umanità sull’orlo dell’autoannientamento, si trasforma nella felicità immediata che rifiuta ogni domanda, anche su questioni essenziali come la vita, la sofferenza e la morte, lasciando l’uomo completamente disarmato di fronte alla vita.



Antisemitismo e persecuzione

Il legame tra antisemitismo culturale e persecuzione attiva è presente sin dall’inizio dell’età moderna, con la cacciata degli ebrei dalla Spagna (Gerush): ho usato volutamente la parola antisemitismo, in questo caso, poiché questa persecuzione non è solo religiosa, ma presenta, se non apertamente almeno nei fatti, un aspetto razziale ( la limpieza de sangre). Prima di allora, oltre alla segregazione, all’obbligo di portare segni distintivi e a tutta una serie di limitazioni nel movimento e nelle attività economiche permesse, c’erano stati sporadici attacchi di violenza “dal basso”, sostenuti solitamente, quando non apertamente incoraggiati da Chiesa e sovrani laici, il cui comportamento presenta non poche ambiguità. Spesso tolleravano e favorivano la presenza degli ebrei, ma la loro situazione restava precaria e in balia di circostanze sovente fortuite.
Nell’ Ottocento l’antisemitismo nei paese occidentali comincia ad assumere caratteri violenti con l’ affaire Dreyfus.: attacchi ad ebrei, negozi assaltati e devastati, lo stesso Dreyfus percosso in strada e il suo aggressore mandato assolto dal tribunale che riconosce che il popolo non ha accettato l’innocenza. In Russia sin dagli anni ’80 avviene lo stesso fenomeno . Il governo, di fronte alla campagna di attentati e all’azione dei movimenti democratici, oltre alla repressione generalizzata e alle deportazioni , vara una serie di misure discriminatorie verso ebrei, come l’estensione del servizio militare, la limitazione all’accesso alle università, la residenza coatta. A queste si accompagnano esplosioni di violenza dal basso, realizzate però con il pieno appoggio dell’autorità, che vedono nei pogrom un modo di deviare il malcontento popolare verso un comodo capro espiatorio ( nel mondo orientale gli ebrei sono spesso piccoli commercianti e artigiani, dal reddito molto basso, ma dalla elevata visibilità per i loro usi e le loro pratiche religiose). Opera del generale Ratchkovskij, alto funzionario della polizia segreta zarista, l’Ochrana, sono anche “ I protocolli dei savi anziani di Sion” , plagio di un libello antisemita di un certo Joly , che diffonde la teoria del complotto degli ebrei per dominare il mondo attraverso da un lato l’azione dei sindacati e dei movimenti socialisti e dall’altro attraverso il capitale finanziario e la massoneria . E’ un libro di straordinario successo anche al di fuori della Russia: nonostante gli stessi russi abbiano in seguito dimostrato la sua falsità continua a essere ristampato ancora oggi. L’apparato militare fa pressione sulla chiesa e sulla magistratura: sino agli inizi del ‘Novecento si susseguono le accuse e i processi per omicidio rituale, ma la Chiesa e la magistratura si mostrano , nella maggior parte dei casi, indipendenti nel loro giudizio. Questo accanimento contro gli ebrei è spiegabile osservando le statistiche degli arresti: la percentuale degli ebrei processati per motivi politici è nettamente superiore al rapporto tra popolazione ebraica e popolazione complessiva, e questo li rende particolarmente sospetti. Del resto i pochi ebrei che riescono a terminare gli studi non possono non agire per cercare di migliorare le spaventose condizioni in cui vivono. I pogrom russi, in particolare quello di Kishinev ( Pasqua 1903) sollevarono una vasta eco anche in Europa, di simpatia verso gli ebrei ( ma anche di plauso verso gli assassini, come abbiamo visto) : i banchieri ebrei come i Rothschild rifiutarono ulteriori prestiti alla Russia, il valore delle obbligazioni russe crollò, ma la persecuzione non cessò. L’alternativa rimasta agli ebrei era o l’emigrazione verso gli Stati Uniti sino al 1910 più di un milione e mezzo di persone partì, o la conversione al cristianesimo o all’Islam, o come si è visto, la militanza politica, sia nel movimento sionista fondato in Austria da Theodore Herzl o nei partiti politici come il Bund, il partito operaio ebraico, che vedono la luce entrambi nel 1897.
Dopo la Prima Guerra Mondiale e la rivoluzione russa, vi sono altri movimenti antiebraici come il pogrom di Simon Petliura in Ucraina, che sono meno spontanei e più determinati . si inscrivono nelle lotte antibolsceviche. D’altro canto la rivoluzione russa, dove agisce un gruppo dirigente di origine ebraica, e i successivi accordi di Brest Litovsk che provocano il ritiro della Russia dall’Intesa vengono attribuiti agli ebrei anche dalla più autorevole stampa occidentale, come il Times di Londra, e L’homme enchainé di Clemenceau.
Gli accordi di pace e la “ dichiarazione Balfour” (1917) sembrano aprire nuove prospettive alla possibilità, per gli ebrei, di ottenere un “focolare” , cioè uno stato indipendente in Palestina, sotto al mandato britannico. Mentre si intensifica l’emigrazione ebraica verso la Palestina, il mondo occidentale si avvia verso la deflagrazione di un antisemitismo non più astratto, ma reale. Questo processo viene accelerato dalla nascita dei totalitarismi, il nazismo in Germania, lo stalinismo in Unione Sovietica e infine (dal punto di vista dell’adozione dell’antisemitismo) il fascismo italiano.
Il legame tra totalitarismo e sterminio degli ebrei, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale viene spiegato da due principali scuole interpretative.
La prima è più diffusa ed è quella dello “sterminio volontario” ( tesi intenzionalista). Ossia della persecuzione antiebraica come elemento connaturato al totalitarismo, presente nella sua ideologia e nelle sue politiche attive. In questo modo sia la politica eugenetica del nazismo, sia la Shoà ( che fra l’altro furono condotte dagli stessi individui) sono elementi fondamentali della costruzione dell’ordine nuovo di cui parlava Hitler. Questa è la tesi sostenuta da Raul Hillberg, da Poliakov, da Laqueur, e più recentemente da Browing e da Goldhagen ( cfr. il cap.I di “ I volonterosi carnefici di Hitler”)
La seconda sostiene che lo sterminio degli ebrei è uno strumento necessario, ma contingente, alla guerra ideologica contro l’URSS. In caso contrario, la politica di Hitler si sarebbe “accontentata” della segregazione e della espulsione “eventuale”, con qualche pogrom “spontaneo” come la “notte dei cristalli”. Questa tesi giustifica le saltuarie esplosioni di antisemitismo sovietico prima e dopo la guerra : già nel 1919 un operaio, parlando con il dirigente bolscevico Kalinin, diceva che i Russi sarebbero diventati tutti bolscevichi e subito, se la rivoluzione li avesse sbarazzati degli ebrei… Giustifica inoltre l’adesione tardiva del fascismo all’antisemitismo, al momento della alleanza con la Germania. In questo modo però viene a mancare la tesi dell’unicità della Shoà come forma di sterminio programmato e lo si assimila ad altri grandi massacri del passato, tutti legati a circostanze eccezionali politiche e militari. ( tesi di Arno Mayer, La soluzione finale)



Totalitarismo e antisemitismo

Il totalitarismo hitleriano fa dell’antisemitismo un aspetto fondamentale della sua ideologia e un principio necessario della sua azione politica. Il saggio ormai classico di Hannah Arendt “Le origini del totalitarismo” (1951) analizza le origini del totalitarismo proprio a partire dalla condizione degli ebrei nella seconda metà dell’ottocento, così come noi l’abbiamo delineata nei paragrafi precedenti, individuando nell’ affaire Dreyfus e nell’imperialismo di alcuni stati europei, in particolare della Germania, i fattori scatenanti dell’antisemitismo di massa. Il totalitarismo è una nuova forma di stato diversa dalle altre forme di “governo degli uomini” (Bobbio) che si sono presentate nella storia come la dittatura dell’antichità o più recentemente il regno di Napoleone I o Napoleone III. Lo sfondo del totalitarismo è una società di massa, dove agiscono partiti e istituzioni di tipo parlamentare . Il movimento che fa capo ad un leader carismatico ( tema questo non utilizzato dalla Arendt, ma analizzato già nel 1920 da Max Weber) si contrappone ai partiti tradizionali in nome di una forza decisionale e di identificazione personale organica che superano per rapidità efficienza e solidità l’istituzione giuridica. Il nucleo centrale dell’ideologia totalitaria è l’obbedienza e questa risposta identifica nell’opposizione radicale alla modernità e ai suoi valori di libertà la chiave per comprendere, almeno in parte il successo del movimento nazista. Hitler voleva fare risorgere, nello stato razziale, il popolo tedesco e la sua identità nazionale e il suo passato mitologico dalla sconfitta subita nella Prima Guerra mondiale. Gli ebrei rappresentavano perfettamente quegli ideali di democrazia, pacifismo e internazionalismo che il nazismo combatteva e non rientravano nell’ideal tipo tedesco, come gli zingari. Questo era sufficiente per determinare la loro eliminazione. Non mancavano nemmeno le ragioni economiche, come il desiderio di appropriarsi di ricchezze e posizioni detenute dagli ebrei in Germania in nome di una razionalizzazione organica dell’economia, in ogni caso le ragioni politiche ed ideologiche hanno la meglio sulle altre considerazioni, come si vedrà durante la guerra, quando gli ebrei nei campi vengono eliminati anche quando il loro lavoro di manodopera a costo zero è utile allo sforzo bellico tedesco.
Al sistema democratico il nazismo e il fascismo prima di lui sostituiscono un sistema militare, costituito dall’esercito da organizzazioni paramilitari e dalla polizia: l’elemento chiave è il terrore, che permea di sé ogni livello sociale.
Il recente libro di Zsigmund Bauman “Modernità e olocausto” (1989) aggiunge a questi alcuni altri elementi. Riprendendo il tema del capo carismatico caro a Weber , Bauman rileva come tra il capo, il gruppo dei suoi seguaci “della prima ora” e il resto del Volk ci fosse una burocrazia del partito che trasformava la volontà del leader in legislazione e la faceva rispettare. Uno dei primi provvedimenti del nazismo, all’indomani della presa del potere, fu ad esempio l’espulsione degli ebrei dalle università tedesche. A questi provvedimenti, non a caso, si accompagnano ad altri che pongono le basi dello stato razziale, come la sterilizzazione volontaria o coatta degli asociali e degli affetti da malattie trasmissibili per via ereditaria . Segue negli anni successivi uno stillicidio di provvedimenti discriminatori volti ad accentuare l’isolamento degli ebrei nel mondo tedesco, che culminano con le leggi di Norimberga del 1935. Esse ratificano il processo di espulsione degli ebrei tedeschi dalla società stabilendo che solo chi ha sangue tedesco può essere cittadino e vietano qualunque contatto sia di lavoro, sia sentimentale o sessuale tra appartenenti a razze diverse. L’unica concessione che viene fatta alle necessità di un paese sulla via del riarmo riguarda i meticci (Mischlinge). : con un regolamento successivo, i figli di matrimoni misti vengono assimilati ai tedeschi a meno che non siano a loro volta sposati con ebrei o membri attivi della comunità ebraica.
Il popolo tedesco e la chiesa, sia cattolica sia protestante, accettarono passivamente questi provvedimenti.
Le leggi razziali italiane del 1938 furono promulgate sulla base di quelle tedesche. Al concetto culturale di razza ariana si accompagna una serie di provvedimenti economici che mirano ad escludere gli ebrei da ogni tipo di attività. Sono le banche ad incaricarsi della confisca e della gestione dei beni degli ebrei, creando così un contenzioso difficile da sanare quando, dopo la fine della guerra, superstiti ed eredi cercheranno di rientrare in possesso dei loro beni.





L’antisemitismo del secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra assistiamo alla nascita dello stato di Israele (1948), risultato più rilevante del movimento nazionale ebraico, il sionismo. La rinascita di uno stato ebraico dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 e.v. è un tema sempre presente nella tradizione rabbinica e religiosa, dove spesso si accompagna a fantasie mistico –messianiche come quelle di Shabbetai Zevi nel 1600. Nell’ ‘800 il mondo ebraico della diaspora si interroga sulla necessità dell’assimilazione o si laicizza, mentre nasce l’idea di una nazione ebraica in autori come Moses Hess . E’ l’antisemitismo aggressivo dell’ affaire Dreyfus e dei pogrom che spinge il giornalista Theodoro Herzl a fondare nel 1897 un movimento politico, attivo in particolare nell’europa orientale dove si diversifica in varie componenti, che vanno dal nazionalismo dei “revisionisti” al socialismo al messianismo religioso.
Vent’anni dopo il primo congresso sionista, e dopo infruttuose trattative con molti stati europei incluso il Vaticano, la dichiarazione Balfour apre possibilità politiche concrete, che il blocco dell’immigrazione negli anni ’30 e l’opposizione della Gran Bretagna alla fine della guerra sembrano portare al fallimento. Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra migliaia di profughi provenienti dalle zone occupate dai tedeschi cercano di entrare più o meno legalmente in Palestina, sovente arrestati e internati a Cipro. Bisogna aggiungere che nonostante le morte di milioni di persone nei lager l’antisemitismo, specie in Polonia, non è spento e vi sono parecchi episodi di violenza contro i sopravvissuti che culminano nel pogrom di Kielce nel 1946.
Per sanare la crescente tensione tra ebrei e arabi, l’Onu presenta un piano che preveda la spartizione della Palestina tra le due comunità, piano rifiutato dagli arabi. Alla proclamazione dello stato d’Israele scoppia una guerra tra il nuovo stato e i paesi arabi confinanti che si conclude con la loro sconfitta militare e con il riconoscimento del nuovo stato da parte della comunità internazionale.
La presenza di Israele, e ancora prima l’immigrazione ebraica, fa nascere nei paesi arabi e in generale nel mondo musulmano un antisemitismo politico prima che religioso, alimentato dal nascente nazionalismo di questi paesi. I discorsi del Gran Muftì di Gerusalemme, che durante la guerra fu ricevuto da Hitler, riecheggiano frequentemente “I protocolli dei savi anziani di Sion”.
In questa sede non saranno analizzate le complesse vicende mediorientali, la cui risoluzione purtroppo non sembra prossima. Il sostegno ai diritti del popolo palestinese ha favorito il nascere, in Europa ed in altre parti del mondo di un antisionismo che sovente non è stato altro che una forma appena mascherata di antisemitismo.
Contestualmente, nel mondo occidentale, in Europa come negli Stati uniti, come in Russia, la rinascita di movimenti neonazisti e neofascisti o nazionalisti ha riportato in auge l’antisemitismo di tipo razziale e generalmente xenofobo. Ci sono stati partiti come quello Republikaner in Germania, messi al bando proprio per l’apologia del nazismo e dello sterminio sostenuti in scritti e recentemente anche su siti internet. La riproposta del libro di Hitler “Mein Kampf” come dei “Protocolli” non conosce sosta.
Dal punto di vista culturale, la riflessione sui fatti del Novecento ha fatto nascere una scuola storica detta negazionista, nella quale polemisti come il francese Faurisson o storici come Irving sono giunti a negare la realtà della Shoà , dello sterminio degli ebrei e delle camere a gas attribuendoli alla propagnada alleata o a un complotto ebraico a sostegno del sionismo . Le tesi di questi autori hanno suscitato una giusta indignazione nell’opinione pubblica europea e hanno ricevuto una sanzione giuridica in vari paesi tra cui la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. L’antisemitismo è tuttavia una pesante eredità del secolo scorso che nonostante tutto quello che è accaduto non siamo ancora riusciti ad estirpare.





Bibliografia


Della numerosa bibliografia sull’antisemitismo vengono qui citati soltanto quelli direttamente utilizzati per elaborare questa scheda.
Adorno, Frenkel Brunswick, Levinson, Sanford, La personalità autoritaria, Comunità, Milano, 1973 (1950)
Arendt, H., Le origini del totalitarismo, Comunità, Milano, 1967 (1951)
Barromi, J., Storia dell’antisemitismo, Marietti, Genova, 1988
Bauman, Z., Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna, 1994 (1991)
Browning, C.R., Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale “ in Polonia, Einaudi, Torino 1995(1991)
Browning, C.R., Verso il genocidio. Come è stata possibile la soluzione finale, Il Saggiatore, Milano, 1998 (1992)
Girard, Il capro espiatorio, Adelphi , Milano, 1987(1987)
Goldhagen,D.J. , I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Mondadori, Milano,1997 (1996)
Gozzini, G., La strada per Auschwitz, Bruno Mondadori, Milano, 1996
Hillberg, R., La distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi , Torino, 1995 ( 2voll.) ( 1985)
Hillberg, R, Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 1933-1945, Mondadori, Milano, 1994(1992)
Lewis, B., Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e un pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1990 (1986)
Mayer A.J., La soluzione finale. Lo sterminio degli ebrei nella storia europea, , Mondadori, Milano, 1990 (1988)
Mosse, G.L., La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania, Il Mulino, Bologna, 1984(1975)
Poliakov, L., Storia dell’Antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze,1974 (1955)
Todorov,T., Di fronte all’estremo, Garzanti, Milano, 1992 (1991) "


Shalom!!!!

Ahahahah. Ma questo non è il polpettone di tale Antonella Ferraris, già chiosato nel thread ''antisemitismo in cattedra''?

Pieffebi
08-05-03, 13:07
da www.novecento.org

" Il dibattito sulla Shoah è entrato in una nuova fase dopo l’11 settembre 2001. L’attacco alle Twin Towers ha ad esempio risvegliato, negli ebrei di New York, “la memoria di un’altra conflagrazione che uccise su scala assai più grande”. Come ad Auschwitz, elementi dominanti di questa catastrofe sono stati il fuoco, la cenere, la gente dispersa, i corpi inceneriti: il paragone si è imposto spontaneamente e in molti anziani sopravvissuti sono tornati incubi che non li visitavano più da decenni.

La frase tante volte ripetuta dopo l’11 settembre, “nulla può essere più come prima”, ha assunto anche una specifica valenza per quanto riguarda il mondo delle religioni e in particolare gli ebrei. Sono note le molteplici ripercussioni politiche di quegli eventi - e della lotta contro il terrorismo che ne è conseguita - sul conflitto israelo-palestinese, come i contraccolpi sui rapporti tra Stati Uniti e Israele, il tentativo di bin Laden di appropriarsi della causa palestinese, l’identificazione tra bin Laden e Arafat proposta da Sharon e così via. Esistono però anche conseguenze più profonde, che investono il rapporto tra l’Occidente e le religioni. In tale dibattito sono emerse tendenze diverse volte soprattutto a distinguere e contrapporre terrorismo e Islam e più in generale fedi e violenza, valorizzando viceversa gli elementi delle religioni in grado sia di rafforzare l’identità occidentale sia di favorire una pacifica convivenza multireligiosa. In particolare, si è sviluppata la spinta a contrastare - non sulla base di riferimenti laici ma in nome dei principi propri di ciascuna religione - le tendenze fondamentaliste presenti all’interno delle varie religioni.

Tale dibattito ha riguardato anche gli ebrei e in particolare Israele, considerata un pezzo di Occidente nei mondi arabo, islamico e non-occidentale e che perciò è stato sollecitato ad assumere orientamenti diversi o talora contrapposti, secondo le varie strategie di volta in volta ipotizzate per gestire i rapporti con questi mondi. E’, infatti, molto diverso se Israele deve costituire l’avamposto della forza occidentale che si oppone ad un blocco in cui è sempre più difficile distinguere tra palestinesi, musulmani, terroristi; o se invece devono essere contrastati gli aspetti aggressivi della sua politica che maggiormente provocano l’esasperazione palestinese e facilitano la formazione di un blocco di questo tipo, pericoloso per la sopravvivenza stessa di tutto l’Occidente. Tutto ciò ha finito per coinvolgere – indirettamente ma significativamente - anche il discorso sulla Shoah, inevitabilmente chiamata in causa ogni volta che si discute dell’identità stessa di Israele.

La discussione apertasi su questi temi negli Stati Uniti, è arrivata in Italia attraverso varie strade, tra cui il dibattito suscitato dall’editoriale di Barbara Spinelli pubblicato su “La Stampa” del 28 ottobre 2001, contenente un appello per un generale “mea culpa” ebraico. Punto di arrivo del suo ragionamento è un’affermazione che suona provocatoria:

“Ci si può domandare se Israele e la diaspora facciano bene a vedere il mondo come raffigurazione di un antisemitismo eterno, e se sia giusto che la Shoah continui a essere elemento fondante dell’ebraismo statuale e spirituale”.

La possibilità che l’appello della Spinelli a “un mea culpa ebraico” aprisse la strada a risorgenti forme di antisemitismo ha costituito la preoccupazione principale di vari ebrei italiani che sono intervenuti nel dibattito. In seguito, il problema di nuove forme di antisemitismo dopo l’11 settembre 2001 è stato affrontato tra gli altri da Ernesto Galli della Loggia, Sandro Viola, Paolo Mieli, Fiamma Nirestein ed altri. In particolare, Mieli ha denunciato sia la presenza di forti spinte antisemite tra palestinesi, arabi e musulmani, sia di complicità occidentali, in particolare tra gli intellettuali italiani.

Nel complesso, all’interno del dibattito che si è aperto dopo l’11 settembre, un elemento ricorrente è costituito da una crescente considerazione per gli aspetti propriamente religiosi. Tradizionali impostazioni laiche, basate sulla separazione tra religione e politica, non sono sembrate più pienamente adeguate in una situazione profondamente mutata. Nel caso specifico del conflitto israelo-palestinese, continuare ad insistere unicamente sulla diversità tra ebrei ed Israele, antisionismo e antisemitismo non è apparso più sufficiente.

Da questo punto di vista, l’impostazione “eterodossa” di Barbara Spinelli sembra prevalere su quella dei suoi critici. Più della forza delle sue argomentazioni, tuttavia, ha potuto lo sviluppo della situazione internazionale dopo l’11 settembre e il dibattito che ne è conseguito anzitutto negli Stati Uniti. Nel quadro di un conflitto di tipo nuovo, è apparsa, infatti, prevalente l’esigenza di stabilire una sorta di nuova alleanza tra Occidente e religioni, evitando che il mondo islamico nel suo complesso si riconoscesse nella contrapposizione all’Occidente auspicata da bin Laden e cercando di stringere legami più stretti tra le tre religioni monoteiste e la “civiltà occidentale”. In particolare, come si è detto, è apparso molto importante cercare di favorire, all’interno del mondo delle religioni, la lotta contro il fondamentalismo. Il cresciuto ruolo pubblico delle religioni rappresenta in questo senso una conseguenza dell’11 settembre.

Nel contesto del grande conflitto mondiale fra terrorismo e antiterrorismo, è stato inevitabile chiedersi: la politica di Israele favorisce o danneggia la causa occidentale? Sotto il profilo religioso, la questione è invece diventata: qual è il legame tra l’Occidente e Israele? Barbara Spinelli l’ ha affrontata ponendo una sorta di alternativa: gli ebrei sono capaci di superare il senso della propria identità per riconoscersi fino in fondo in una più ampia appartenenza occidentale? Ai suoi occhi, il banco di prova di tale capacità è rappresentato da ciò che è stato cruciale nella definizione contemporanea dell’identità ebraica (e non solo della nascita dello Stato di Israele): sono capaci gli ebrei di rinunciare al loro legame particolare con la Shoah? In modo ancora più schematico, la questione potrebbe essere posta in questi termini: sono capaci gli ebrei di anteporre la tragedia dell’11 settembre, nuovo fondamento dell’identità occidentale, al ricordo della Shoah? In questo modo, tra Auschwitz e le Twin Towers viene stabilita una sorta di singolare concorrenzialità ed è su questo terreno che la posizione della Spinelli appare più discutibile. Se, infatti, l’invito al “mea culpa” può assumere un ruolo positivo per contrastare le tendenze fondamentaliste che favoriscono lo scontro di civiltà e che sono presenti anche all’interno dell’ebraismo, tale invito appare inaccettabile se si traduce in una spinta alla “rimozione” della Shoah.

Sotto il profilo del rapporto tra Shoah e storia contemporanea tale alternativa assume la valenza implicita di una proposta di periodizzazione: l’11 settembre 2001 segnerebbe la fine di un’epoca in cui la Shoah ha svolto un ruolo centrale, concorrendo alla realizzazione di molti altri eventi, come la nascita dello Stato d’Israele ma non solo. Preoccupazioni di un risorgente antisemitismo, sia nel mondo extraoccidentale sia in quello occidentale, spingono invece a mantenere vivo la memoria della Shoah e perciò, conseguentemente, a relativizzare la discontinuità e a limitare l’”effetto cesura” dell’11 settembre. Più che concorrenziali tra loro, la Shoah e la tragedia delle Twin Towers vanno legate in un rapporto che le rende capaci di illuminarsi l’un l’altra e di rafforzarne la memoria. In questo senso, la reazione degli ebrei di New York all’11 settembre costituisce una lezione significativa: più delle differenze sono importanti le analogie, entrambe queste tragedie rappresentano “incubi” della modernità contro cui irrobustire continuamente il fronte della memoria.
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Shalom!!!

Pieffebi
04-11-03, 22:31
up!!!

Pieffebi
06-05-04, 21:29
da www.ebraismoedintorni.it

" Attualità
Articolo di: May/2004


Antisemitismo di sinistra

L’antisemitismo è la reazione, scriveva Antonio Labriola, già in polemica con alcune manifestazioni elettorali del neonato PSI(l’evangelico Prampolini). Da questo punto di vista, l’antisemitismo è per definizione reazionario, cioè di destra. Ma non si può trarne , chè sarebbe un sofisma, il sillogismo, che cioè la “sinistra”, il movimento operaio organizzato, non può essere per definizione antisemita. Infatti, incoerenze e contaminazioni ideologiche (borghesi, piccolo-borghesi, addirittura preborghesi, possono ben essere presenti nell’ideologia del movimento operaio, come pure nella sua coscienza “spontanea”; in altri termini, in questo come su altri piani, la “sinistra” determinata, nel momento storico dato, può non essersi completamente emancipata dal ciarpame ideologico reazionario di cui l’antisemitismo è comune componente.Sintomatico che lo stesso termine antisemitismo sia stato coniato, nel 1879, da Wilhelm Marr, fondatore di una Antisemiten-Liga,ed ex-esponente di un “socialismo” piccolo-borghese anarcoide (benché senza sottofondo cristiano o altrimenti religioso).

Premessa indispensabile: vi è un’identificazione della causa ebraica con la destra israeliana, e peggio ancora con l’imperialismo USA di cui essa è strumento. Del resto, il sionismo non può storicamente identificarsi col “revisionismo” di Jabotinsky, né con il Likud ed il Gush Emunim. E’ altrettanto antistorico implicare nella condanna del Likud ecc. quella del sionismo in toto, come vedervi l’antisemitismo per definizione. Certamente, tra gli avversari di Sharon vi sono antisemiti, come ve ne sono tra i sedicenti “antiamericani”; la questione è complicata dal filoamericanismo di molti (la maggioranza degli) antisemiti (che magari si “conciliano” con Sharon, come Mussolini simpatizzava con Jabotinsky e la tendenza fascisteggiante ebraica nell’ Yishuv e nella Diaspora).

Ovviamente, per il marxismo ed il leninismo, è assolutamente esclusa ogni identificazione tra il popolo ebraico, israeliano e diasporico, e l’imperialismo, anche solo USA. Solo la propaganda di Washington può fare dell’antisemitismo (giudeofobia) un corollario dell’anticapitalismo, antimperialismo, ecc., ed in particolare del comunismo scientifico (marxista-leninista): si tratta del resto di un’identificazione in sé “giudeofobica” (con importanti precedenti nell’antisemitismo classico, nazista, ma anche anarchico)(sarebbe come attribuire il Finanzkapital agli Svizzeri, e l’amplificazione del “potere ebraico” è uin Leitmotiv giudeofobico). Ma la “sinistra” tuttora non coincide sic et simpliciter con il comunismo critico e scientifico marxista e leninista;anzi ne è ben lontana (se a qualcuno piace così, se la goda).Alcune contaminazioni sono palesemente reazionarie (retrograde), anche se per qualcuno possono parere auspicabili e necessarie. Inoltre, nella storia del movimento operaio, non mancano fasi di ripiegamento e “revisionismo”, con sospensione delle difese immunologiche contro la pressione dell’ambiente, delle classi e dell’ideologia dominante(il movimento operaio non nasce in vitro, e la coscienza di classe è anch’essa un prodotto di una lotta, di una separazione dai legami della classe con altri settori e ceti, di una “autocritica” continua,di un’incessante definizione della propria strategia e tattica, dell’assunzione progressiva di tutte le contraddizioni che minano la società borghese (Lenin, Che fare?), un farsi intellettuale collettivo, classe in sè e per sè, che espleta una funzione generale per cui, liberandosi, liberi l’umanità tutta.Rigettare dunque ciò che è stato chiamato, infelicemente, “il ricatto dell’antisemitismo”della destra reazionaria ed imperialista,non significa affatto negare la consistenza del problema, come parte dell’eterogeneità e contraddittorietà della “sinistra”, o ridurlo al semplice paradigma ”da che pulpito vien la predica”.

Componenti identificabili nell’ “antisemitismo di sinistra”;

Antigiudaismo cristiano
L’antigiudaismo (v. Apione ecc.) precede il cristianesimo, ma è questo a formarsi (Paolo di Tarso) come rottura col giudaismo, in funzione di adattamento all’ Impero romano, e poi, sempre più nettamente, come religione di redenzione o salvazione individuale ed ultraterrena (sincretismo con i culti misteriosofici di Atis, Mitra, Orfeo, ecc.) contrapposta alla liberazione collettiva e terrena (Tiqqun:. Unificazione dell’umanità con restaurazione del comunismo primitivo edenico) ancora adombrata nel protocristianesimo gerosolimitano. Quindi la ricorrente accusa di “carnalità” /materialismo), fino al marcionismo che codifica la denigrazione della Torah a “Vecchio testamento” (superato ed obsoleto, nonostante lo stesso testo evangelico). Impostazione agostiniana dell’ebraismo come testimonianza (nell’umiliazione e soggezione) del cristianesimo, per cui gli ebrei sarebbero cristiani mancati(eretici) scusabili e compatibili solo fintanto che si attengono al ruolo di martiri (gr. testimoni) sui generis; perfidi (infedeli) invece, od eretici, se restano ebrei o addirittura cercano di far proselitismo; le persecuzioni diventano una sorta di sacrificio espiatorio (donde il termine di Olocausto) per il deicidio, anche quando sono tollerate o promosse dalla Chiesa (Verus Israrel).Per inciso, Wojtyla ha riconosciuto la rresponsabilità di singoli cristiani, ma mai della Chiesa in quanto tale, beatificando tra l’altro PioIX, quello del “caso Mortara”).La Restaurazione, reintroducendo i ghetti,sulla base delle “insogenze” sanfediste, ha comportato un’esa-sperazione di giudeofobia cristiana,ed ha cominciato ad identificare ebraismo con capitalismo e socialismo (in quanto prodotti della Rivoluzione Francese e dal bomapartismo)-

Il paradigma originario implica che ogni liberazione terrena e collettiva è in sostanza eresia “giudaizzante”, dentro e fuori del cristianesimo (v. Asor Rosa, che riproduce luoghi comuni della Restaurazione, a partire da Burke, in chiave “libertaria(antitotalitaria). Oltre agli esempi medievali, alla Guerra dei Contadini del XVI sec.,tanto osteggiata da luterani e cattolici insieme, alla Rivoluzione Inglese (in cui invece vi è un recupero ideale del messianesimo), l’esempio più significativo e prototipico è quello del gesuita Barruel, poi ripreso dal protofascismo (ebrei ‡ protestanti ‡massoni ‡giacobini), su cui si modellerà la “tesi” del complotto (Protocolli, che aggiungeranno i Gesuiti, a partire dal protoanarchico individualista Max Stirner), ecc. (v. Dostoevskij, Th. Mann). Quindi, l’ebraismo come “dissolvente” della comunità (diBlut, Boden, Glaube u. Volk) cristiana. Questo antigiudaismo, se non coincide evidentemente con il razzismo “biologico”, si incorpora nell’antisemitismo moderno (in particolare hitleriano, tutt’altro che riducibile al razzismo biologico), ed influisce nettamente sul “socialismo feudale” e sul

Socialismo piccolo-borghese

Che pretende “superare” il capitalismo con un ritorno, non al comunismo primitivo,ovviamente in un quadro di sviluppo produttivo e culturale consentito dalla stessa società capitalistica, ma alla comunità contadina ed artigiana medievale, ritrasformando le classi in “ordini” o Stände (anticapitalismo romantico-reazionario). Tipico il “Vero socialismo” tedesco, che peraltro denigra i Rithschild ed esalta il banchiere cristiano Laffitte(su ciò polemizza Marx). Non del tutto esente dall’antisemitismo è il socialismo utopista (Fourier), ma paradigmatico è quello proudhoniano. Marx non può essere seriamente tacciato di antisemitismo, nemmeno per la Judenfrage in cui si oppone all’assimilazione (cristianizzazione) degli ebrei, contrastando l’astratto concetto di “cittadinanza” borghese-liberale-illuministico (ben diverso da quello rousseauiano- giacobino: Robespierredifese decisamente la causa dell’emancipazione ebraica,mentre Hébert cercò di combinare la “scristianzzazione”con una “disebraicizzazione”, su basi illuministiche), ma purtroppo considerando piuttosto la borghesia ebraica (assimilata, cristianizzata) della Germania contemporanea, che le grandi masse semiproletarie dello Yiddishland.
L’anarchismo (Proudhon, Bakunin, ecc.) è sempre stato correlato all’antisemitismo; così l’anarco-sindacalismo neoproudhoniano e soreliano.

Populismo
Nella fase iniziale di formazione del movimento operaio, pesa in tutto il mondo i nessi ancora con-siderevoli con la piccola borghesia contadina/artigianale, i cui pregiudizi reazionari gravano silla stessa ideologia della classe operaia, sia direttamente, sia perché vengono ritenuti tatticamente utili, se non altro come locus minoris resistentiæ per l’accesso alle masse agricole, in cui i populisti vedono il soggetto rivoluzionario per eccellenza.Esempi sono i narodniki russi, che giungono fino a fare appelli ai pogrom, e certi settori, per lo più proudhoneggianti, anche se talvolta di origine blanquista (piò o meno passati al proudhonismo), della sinistra francese della seconda metà del sec. XIX (Tridon,Toussenel[fourerista] ecc.).

La stessa formula di Bebel sul “socialismo degli imbecilli” implicava che la “base lavoratrice dell’antisemitismo potesse rivolgere la propria ostilità, dagli ebrei (visti come capitalisti in blocco), all’insieme della classe borghese”. Socialdemocratici e democratici (V. Hugo) [les juifs triomphent, race avare/ et sans foi]trovavano nel ruolo svolto da avventurieri come Fould uno dei tratti peggiori del II Impero (come se il blocco reazionario su cui poggiava non fosse completamente franco-cristiano, con massiccia partecipazione della Chiesa, mentre l’effimera Comune di Marsiglia fu guidata dall’ebreo G. Crémieux, poi assassinato dai versagliesi).

Di tradizione proudhoniana, ed in Germania lassalliana (un altro ebreo autofobo!), l’indifferentismo politico, massimamente evidente col caso Dreyfus (1894), visto (anche da Liebknecht e Bebel), come “scontro interno alla borghesia”, inizialmente dallo stesso Jaurès, riformista ma con impulsi “giacobini”, e soprattutto da Guesde (proveniente dall’anarchismo, e poi precipitato nel social-sciovinismo, peraltro anticipato da posizioni xenofobe contro l’immigrazione italiana, ecc.). Il ruolo di B. Lazare fu del tutto eccezionale, e coincise con una sostanziale autocritica del suo anarchismo di partenza (anarchica e giudeofobica, nonostante la sua origine ebraica).

L’identificazione tra ebraismo e bolscevismo è rintracciabile anche nella destra socialdemocratica (Noske ecc., v. l’appello alla liquidazione della “consorteria” Luxemburg-Liebknecht-Radek sul Vorwärts del gennaio 1919,nei “social-populisti” collaboratori degli invasori imperialisti durante la Guerra Cibile in Russia v. i pogrom ucraini [ Rada capeggiata da Semën Petljura]durante la Guerra Civile, ed altri governi-fantoccio dell’ Intesa).Lo stesso partito polacco di Pi_sudski era “socialista-irredentista” (ma non certo privo di elementi antisemiti, esasperati dall’anticomunismo e dalla russofobia).

Si può notare una certa banalizzazione della “questione nazionale” ebraica perfino negli scritti di Lenin, che era sommamente avverso all’antisemitismo. Il sionismo non c’entrava affatto: si trattava del Bund, antisionista (“col mal di mare”, suonava la pessima battuta diffusa nel POSDR).Ma anche il sionismo di massa nello Yiddishland, come il bundismo, conoscerà importantissime tendenze comuniste (Kom-Bund, Poalei Sion di sinistra, Hashomer Ha-tsair, ecc.), che incideranno potentemente sull’ Yishuv e sulla fase iniziale dello Stato di Israele.

La rivolta del Ghetto di Varsavia (1943) vede la formazione di un “Governo operaio” di tutte le tendenze della sinistra ebraica (sionisti di sinistra, comunisti di osservanza staliniana e trozkista,Bund).L’orrenda repressione, più che un episodio di genocidio razzista stricto sensu, assume il carattere di una nuova e più duratura semaine sanglante(solo i comunisti polacchi dell’ Armja Ludova, tra i non-ebrei, collaborano con gli insorti del Ghetto).

A proposito dell’”antisemitismo staliniano”: Stalin stesso scrisse che l’antisemitismo era “un residuo di cannibalismo”, ma, a parte le sue convinzioni personali (M:Gilas non è mai stato molto attendibile), non si peritò di far appello all’antisemitismo popolare (di origine cristiano-ortodossa) contro i suoi oppositori comunisti ebrei (dai Processi di Mosca, 1937-37, a quelli di Praga e Budapest, 1952, rispettivamente contro Slanskij e Rayk.

E’ del resto chiaro che le trasformazioni rivoluzionarie effettuate per “assimilazione strutturale” nell’ Est Europa non potevano rimpiazzare totalmente una rivoluzione autonoma, che si realizzò solo in Jugoslavia; e che, particolarmente in Polonia (ma anche in Ungheria, Cecoslovacchia, Germania Est), l’antisemitismo già diffuso, combinandosi con l’anmticomunismo e la russofobia,diede luogo a persecuzioni e pogrom (a Jedvabne nel 1941, ancora nel 1946 a Kielce ecc., ed anche durante la “insurrezione” del 1944).Queste tedenze, anche nelle forme più estreme (v. neo-ustascia croati) sono state incoraggiate dall’imperialismo durante la Guerra Fredda.

Il fatto che gli USA abbiano sistematicamente utilizzato lo Stato d’ Israele come proprio “avamposto” mediorientale ha prodotto, durante la Guerra Fredda, reazioni antisionioste ed anti-israeliane di indubbio sapore antisemita nell’ URSS e nell’ Europa Orientale (v. i libelli di Trofim Kishko, 1963 e 1968 e l’opposizione di U. Terracini); allora come ora, è giocoforza riconoscere che l’identificazione e l’estensione della “riprovazione” a tutto il popolo di Israele, ed anche alla diaspora, le pretese di “dissociazione”, ecc. si sono concentrate sugli ebrei, piuttosto che p.es. sugli italiani e sui loro governi (almeno altrettanto succubi agli USA) in sintonia con un precedente diffuso antisemitismo, che con la restaurazione del 1989-91 è andato caso mai intensificandosi.

Terzomondismo

La svalutazione della classe operaia dei Paesi imperialisti,e l’esaltazione delle masse contadine dei Paesi oppressi e dominati facilmente comportano l’idealizzazione di tendenze “popolari anche reazionarie, come il fondamentalismo islamico, di cui l’antisemitismo è solo una, benché significativa, componente, che non configura affatto una “reazione”, pur distorta, alla concreta politica israeliana, e che anzi trae origine dall’identificazione tra ebrei (sionisti) e comunisti(prima e nei primi due decenni dello Stato d’Israele), che fu tra l’altro un Leitmotiv del reazionario panislamismo, poi fondamentalismo islamico, è proseguito in tempi modermi (Arabia Saudita, Afghanistan, ecc.).Del resto, il colonialismo e l’imperialismo sono parte della realtà di ieri o di oggi del cosiddetto “Occidente cristiano”, ed è indice di tendenze antisemite identificarli solo o precipuamente con la prassi dello Stato di Israele.

Quanto poi alla mitologia della lobby ebraica che condizionerebbe decisivamente, o addirittura dirigerebbe da dietro le quinte, la politica USA, si tratta di un ovvio motivo reazionario, purtroppo ereditato da buona parte della sinistra “terzomondista”. D’altro canto, la “conversione” filoamericana di tanta parte della “sinistra” di natura socialdemocratica (ex-comunista) ha indotto in essa una dubbia rivalutazione di Israele come parte appunto del “sistema occidentale” (non molto diversamente da quanto è avvenuto per destre cosiddette “postfasciste” tipo AN, o integraliste cattoliche).Ma questa “rivalutazione” non impedisce periodiche manifestazioni di giudeofobia, per lo più mutuate dall’antigiudaismo cristiano (v. in occasione del Natale).

Fraintendimento del genocidio

L’abuso del termine genocidio è stato introdotto dai revisionisti “di destra”, tedeschi (Nolte: bolsce-vismo come “genocidio di classe”)e francesi (Vandea come “genocidio franco-francese”).Questa “banalizzazione”è un omologo attenuato del negazionismo. L’esempio classico è l’assimilazionmre tra Shoah e Nakbah)benchè I. Deutscher definisse a ragione questa uno “scherzo da bambini” rispetto a quella).Ma vi è pure l’abuso del termine in casi come Bosnia. Kossovo, e perfino Tibet, anche da parte della “sinistra” alternativa/antagonistica(di fatto postmoderna e New Age). Così la negazione del carattere peculiare giudeofobo dello sterminio nazista:zingari, omosessuali, ecc. Delle tendenze proletarie i “banalizzatori” si curano poco æ i realtà, l’atroce repressione anticomunista ed antisocialdemocra-tica, con sfruttamento schiavista, non può esser descritta come “genocidio”, e rientra nell’ambito generale della distruzione fascista delle organizzazioni operaie (mentre gli ebrei vennero sterminati in quanto tali, non per la loro classe sociale o militanza politica, ancorché vi sia stata “sovradeterminazione”, p.es. nel caso dei “commissari ebrei bolscevichi”, e nella persecuzione dei russi, anche rispetto ad altri slavi come i polacchi, o nel trattamento dei prigionieri di guerra).Ivece, si daà rilievo “concorrenziale” a zingari ed omosessuali (il caso dei Testimoni di Geova, per lo più tedeschi “ariani”, rientra nelle persecuzioni politiche, nella fattispecie contro i pacifisti).

Luoghi comuni

L’obiezione che si incontra comunemente “a sinistra” è che questi tentativi di ricostruzione storica avvalorerebbero il concetto “sionista” dell’ostilità perpetua ed irrimediabile dei goyim. Obiezione che a me pare estremamente futile ed ignorante della concreta realtà storica della Shoah, e del nazismo, purissimo prodotto della “civiltà cristiano occidentale”, ossia capitalista, nelle convulsioni della sua reazione alle conquiste rivoluzionarie comuniste, che sono state alla base dell’ascesa e del dominio nazista(chi non vuol parlare di capitalismo, è meglio taccia sul fsascismo, [Horkheimer].

Altro argomento inconsistente: non essere antisemita chi è “solo” antiebreo, ma non antiarabo, argomento estremamente equivoco e intrinsecamente reazionario, specie (ma non solo) quando poggia su considerazioni “religiose” e “razziali” (non-discendenza degli ebrei attuali da quelli dei tempi mosaici o dividici,postulato di una stirpe semitica invece che di un gruppo linguistico, già implicita nel “mito ariano” delle origini).

Più di tutti reazionario, eppur comunissimo, l’argomento della Shoah come “mito fondatore” dello Stato israeliano: che il sionismo revisionista del Likud ricorra frequentemente a tale retorica, non autorizza nessuna delle varianti di “negazionismo”, pur ampiamente presenti nella sinistra, specie estremistico-settaria,stalinofoba, di discendenza anarchica(Rassinier), bordighista (democrazia uguale o peggiore del fascismo, “stalinismo” peggiore di tutto:Thion, La Vecchia Talpa, ecc.) o neosocialdemocratica di destra, ispirata alla dottrina arendtiana del “totalitarismo” (Furet, Faurisson, ecc.). Questa posizione spesso si completa con quella, di ovvia ascendenza antigiudaico-cristiana (v. Abbé Pierre) delle “vittime che divengono carnefici”, detto altrimenti, l’unico ebreo buono è quello morto,crocifisso,senza resistere, come agnello espiatorio (Anna Frank sì, Mordechai Anjelewicz no!), a parte l’assurdità storica (the dead don’t bite, Stevenson), e la ricorrente accusa di infanticidio rituale, e perfino deicidio (il “bambinello” di Betlemme e gli shabab, ecc; il “dio vendicativo del Vecchio testamento”: neomarcionismo cattolico (e protestante) ripreso da “laici” “antitotalitari”(lo Stato di Israele sarebbe “totalitario” perchè “ideologico”, si è scritto recente-mente), anche in versioni grottesche (femministe antipatriarcali, New Age, neopagane tardo-hippy, ecc.), specie, ma non solo, in versione neoanarchica (neo-autonoma) e cattolica “di sinistra”, v. Indymedia.

Nel quadro del bovarismo tardo-terzomondista e cristianeggiante (v. “zapatismo” chiapaneco) si collocano assurdità del calibro del “Gesù palestinese” o addirittura feddayi, riproposizione del famigerato “Cristo ariano”; tòpoi purtroppo non esclusivi di gruppuscoli estremisti e settari, ma rintracciabili in commenti ed interpretazioni giornalistiche e nella propaganda di gran parte della stessa “sinistra responsabile”.

Il compito dei comunisti è, per quanto concerne il fronte della lotta teorica, inseparabile da quella economica e politica, contrastare con energia queste ed altre “contaminazioni”non per, aspirazione ad un’astratta “purezza” o per “chiusura autoreferenziale”, ma perché si tratta di sviluppare il marxismo sulle proprie basi, cioè su solide fondamenta materialiste e classiste, approfondendo via via la comprensione delle contraddizioni anche “sovrastrutturali” e “secondarie”, a partire da quelle nazionali (ed è anche la lezione del leninismo, che non ha mai ipostartizzato (a differenza di cerrte sue caricature) la “autodeterminazione nazionale”, ma ha insegnato che l’avanguardia cosciente dei lavoratori deve farsi carico della lotta contro tutte le discriminazioni ed oppressioni della società capitalistica, e delle loro proiezioni “ideologiche”, da cui le masse lavoratrici devono liberarsi per asttingere la propria coscienza ed attività di classe “in sé e per sé”, senza cui non solo il socialismo, ma anche la democrazia, sono flatus vocis.

Ma non si può “rovesciare” l’insinuazione reazionaria (anche di fior di antisemiti “americanizzati”) che ogni critica allo Stato d’ Israele è antisemita nell’assoluto opposto, che cioè ogni critica ad Israele non è antisemita. Per es., le diverse “critiche” che fanno, grottescamente, dipendere la politica di conquista USA da Israele, cioè fanno di Bush il fantoccio di Sharon o della solita lobby (in sostanziale accordo col miti dello ZOG dei neonazisti USA), si rivelano fondate più su miti reazionari che su analisi serie dell’imperialismo odierno. D’altronde, l’identificazione del sionismo sic et simpliciter con Ariel Sharon vale quella della “I Repubblica” italiana immediatamente postresistenziale coll’odierno regime berlusconiano.L’adozione di “due pesi, due misure”æ per cui le stragi di israeliani, di russi,serbi, afghani progressisti (negli anni ’80), di algerini (intellettuali, contadini, operai) sarebbero in qualche modo più commendevoli di quelle di nordamericani (17 sett. 2001), o perfino di azioni militari mirate contro gli occupanti (anche italiani, specie nel caso iracheno)æ non potrà mai essere spacciata per un criterio “marxista”, e nemmeno “progressista”.Nè si può continuare a chiedere agli ebrei, anche diasporici, quelle professioni e dissociazioni che a nessuno (almeno “a sinistra”) viene in mente di chiedere, p.es. ai cittadini statunitensi, e meno ancora ai rappresentanti di altre “religioni del Libro”(piccolo aneddoto: ho sentito, distrattamente, alla TV il card. Arcivescovo di Milano esaltare il governatore romano Ambrogio come esempio precipuo di tolleranza ecc.: S. E. Tettamanzi, che non è peraltro un ignorante parroco leghista del Varesotto, sembra ignorare l’emblematico episodio della sinagoga di Callinico, incendiata dai buoni cristiani con l’assenso e la lode del futuro santo, che perciò venne a diverbio con Teodosio…).

Un tasto delicato e doloroso è quello dell’autofobia ebraica(Judische Selbsthass) “a sinistra”, tanto più se sovradeterminata ed esacerbata dall’autofobia comunista (bisognerebbe “vergognarsi” delle aspirazioni “messianiche”, anche e soprattutto quanto più profondamente secolarizzate). Si tratta di un cedimento all’innegabile pressione ambientale(U. Eco, superficiale ma non affatto sciocco, obiettava ad una critica, che gli veniva mossa, da parte “liberale”, di “apocalitticismo” scrivendo “per fortuna non sono anche ebreo”). Spazzare via, non già il lievito,come a Pesach, ma la muffa reazionaria che ha rivestito la forma mentis della “sinistra” sarebbe compito degno degli intellettuali veramente critici ed organici, ma l’impressione è che i “novatori” si preoccupino piuttosto di adeguare il proprio patrimonio al marketing postmoderno ed alle sue effimere mode, p.es. negando lìimperialismo ma rimpiazzandolo col “sionismo”, il tutto sotto il mantello del buonismo del “meticciato” æcon tutto, dal pensiero della Konservative Revolution al buddismo lamaista ed al vudù, tranne che coll’ebraismo, nonostante occasionali e formali scappellate a E. Bloch, ed a W. Benjamin, ridicolmente travestito da “libertario” in Internet (forse perché aveva polemicamente detto, tra l’altro, di auspicare un “anarchismo teocratico”, che non mi sembra però armonizzare molto né con l’anarchismo classico, né col neoanarchismo,p.es., dei Disobbedienti).
Dobbiamo quindi scrivere il “di sinistra” con le virgolette, batterci per una “sinistra” che sia veramente tale, e non consenta a contaminazioni reazionarie, vecchie o nuove, ma attualizzi e svi-luppi creativamente le proprie stesse fondamenta teoriche e politiche.E dobbiamo smascherare la ipocrisia reazionaria del nemico politico ed ideologico, senza venir con esso a patti per quanto riguarda i princìpi della nostra azione e del nostro stesso essere.

Queste osservazioni non possono dunque venir intese come “giustificazioni”, o come una “difesa d’ufficio” delle deviazioni ed aberrazioni della “sinistra”, e tanto meno come “concessioni” alla campagna ignobile ed ipocrita della destra. Essenziale è riconoscere la verità storica,che è “rivolu-zionaria” anche in quanto consente l’autocritica e l’identificazione delle superfetazioni e distorsio-ni che hanno svisato il patrimonio teorico ed esperienziale della rivoluzione proletaria. "

Una riflessione....."rivoluzionaria".....


Shalom!!!