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padus996 (POL)
30-04-03, 14:33
Dieci sfide cruciali per il futuro dell’Ue


DUELLI ALL’EUROPEA

di CLAUDIO LINDNER


BRUXELLES - Il cruccio dell’Europa frammentata è forse quello di non avere oggi una Dichiarazione Schuman da spendere per unire i 25 Paesi dell’allargamento. Come, invece, accadde il 9 maggio di 53 anni fa, quando l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman sollecitò i governi dei sei Paesi fondatori a unirsi e creare organi comuni per scongiurare il pericolo di altre guerre e garantire la stabilità del Vecchio continente. Il 9 maggio, per tradizione, festeggiamo tutti la «Giornata dell’Europa». Quest’anno con un po’ di amaro in bocca. Non solo per il vertice di ieri sulla Difesa con il solito strascico di polemiche, a dimostrazione che in Europa si marcia a corrente alternata. Non è l’unico duello. Ne abbiamo contati almeno dieci. TONY & JACQUES - Politica estera e di difesa sono oggi il cuore dei problemi europei, Blair e Chirac i principali interlocutori, su fronti opposti nella guerra all’Iraq, entrambi con «qualche sogno di reminiscenza coloniale» come sottolinea un’analista di Bruxelles, storicamente d’accordo nel rafforzare l’Europa militare, ma divisi in questo frangente dal vertice a quattro, impegnati in una lenta marcia di avvicinamento.
Chi dei due rischia di più l’isolamento nell’Unione? Il presidente francese, sotto tiro a Washington e poco amato nei dieci Paesi dell’Est che hanno appena firmato il trattato di adesione? O il premier inglese, schiacciato tra il filoatlantismo radicale emerso nella vicenda irachena e il desiderio di rilanciare la propria credibilità di europeista, il più europeista dei leader britannici? Tony e Jacques ora di nuovo si parlano, ma non perdono l’occasione di punzecchiarsi. Il primo accusa il secondo di voler trascinare l’Europa alla Guerra Fredda con gli Usa, il secondo replica (lo ha fatto ieri) sostenendo che il mondo multipolare «è inevitabile». Nessuno dei due molla la presa.


GRANDI & PICCOLI - E’ la principale frattura sorta nella Convenzione che sta mettendo a punto la nuova Costituzione. La proposta di un Superpresidente del Consiglio europeo, a tempo pieno e in carica due anni e mezzo rinnovabili, è stata bocciata in modo netto da 19 dei 25 Paesi, che preferiscono mantenere le presidenze a rotazione semestrale (da Londra a Tallin...).
La rivolta è culminata nella riunione all’Intercontinental di Atene, coordinata dal premier belga (per questo è stata denominata «Benelux breakfast»), che aveva il compito di definire una posizione unitaria dei «piccoli» durante l’incontro tra capi di Stato sulla Convenzione. «Una divisione preoccupante, ci va di mezzo la democrazia, bisogna trovare un compromesso» è il commento più diffuso.


VALERY & IL PAPA - Si sono visti, in ottobre, a Roma. Wojtyla ha chiesto che la Costituzione europea contenesse un articolo sulle radici cristiane dell’Europa, se non addirittura un riferimento a Dio. I popolari europei alla Convenzione hanno chiesto di «copiare» in pratica la Costituzione della Polonia, la terra del Pontefice. Ma Valéry Giscard d’Estaing, presidente della Convenzione stessa, ha detto no. Un riferimento (quale?) ci sarà «al momento di stendere il Preambolo, alla fine dei lavori». Si confrontano due visioni diverse del mondo e delle istituzioni, una più laica e illuminista e l’altra più attenta ai valori spirituali e religiosi. Un compromesso vero è molto difficile.


VALERY & ROMANO - Qui sono fuoco e fiamme. Prodi ha bocciato il piano di riforme istituzionali, perché teme che il ruolo della Commissione venga ridimensionato, che possa perdere iniziativa legislativa e rappresentatività esterna. Il Superpresidente voluto da Giscard rischia di entrare in rotta di collisione con il presidente della Commissione anche se i ruoli sono, sulla carta, ben definiti.
Prodi è appoggiato dalla Commissione, dai Paesi piccoli, dai nuovi dell’Est. Afferma di non condurre una battaglia personale, ma a favore dell’istituzione. Qualche sostegno arriva dal ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, convinto «comunitario» che deve però accettare il compromesso raggiunto tra Francia e Germania. Come finirà? «Giscard sente tutti, poi decide lui».


JACQUES & GERHARD - L’asse Parigi-Berlino ha resuscitato gli antichi splendori (e mai sopite diffidenze), l’ottobre scorso, trovando un accordo-ponte sulla spesa agricola. Cominciò da lì il percorso comune di Chirac e Schröder, rafforzato dalla posizione pacifista sull’Iraq e dall’univocità su Convenzione e Difesa. Per un po’ di tempo possono stare tranquilli.
Ma quando si tornerà a discutere di risorse all’agricoltura il clima cambierà. La Germania cercherà nuovamente di ridurre il budget, la Francia punterà a mantenere le quote (allargamento incluso) per evitare di trovarsi gli agricoltori nelle piazze. E quelli francesi picchiano duro. Il dossier resta, per ora, nei cassetti.


VECCHI & NUOVI - Parliamo dei cosiddetti Fondi strutturali, quelli destinati alle aree più disagiate dell’Ue, ma anche in questo caso si tratta di una rivalità «dormiente» che esploderà quando si comincerà a trattare il sistema di distribuzione dei quattrini dal 2007 in avanti.
L’ingresso dei dieci Paesi dell’Est abbasserà il reddito procapite dei 25 da 23 mila e 200 a 19 mila e 600 euro e alcune aree bisognose dell’Europa a quindici che prima avevano diritto ai fondi potrebbero uscire dall’elenco a favore delle nuove regioni. Il Sud d’Italia sarà tra le zone penalizzate, anche se si tratta di quella meno fragile.


PEDRO & IL PATTO - L’accordo per rendere più flessibile il Patto di stabilità, raggiunto soprattutto per merito del Commissario Solbes, non ha cancellato i malumori tra alcuni partner. C’è chi, come i francesi, mostra insofferenza verso i vincoli imposti, anche per ragioni istituzionali. E chi, come gli inglesi, vorrebbero liberarsene. Blair, tra l’altro, ha deciso di rinviare il referendum sull’euro a dopo le elezioni politiche. L’impressione generale è comunque che alla fine il Patto uscirà indenne dagli attacchi, nessuno oserà proporre di tornare indietro alle finanze allegre del passato.


LATTE & ROMA - E’ una battaglia tutta italiana. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, spinto da Umberto Bossi e spalleggiato da Silvio Berlusconi, punta i piedi. Chiede uno sconto sulle multe per le quote latte per gli agricoltori italiani minacciando, in caso contrario, di bloccare la riforma fiscale europea. Su questa vertenza l’Italia vuole mostrare i muscoli. Appare invece defilata sulle questioni centrali della Nuova Europa. Evita di prendere posizione, per esempio sui temi caldi della Convenzione, sostenendo che l’imminente presidenza di turno impone un atteggiamento equilibrato e neutrale. Solo un alibi?


SATELLITI & MADRID - Venerdì scorso si è avuta una nuova puntata della commedia «Galileo», il progetto europeo per lanciare 30 satelliti nello spazio entro il 2008 con l’obiettivo di contrastare il dominio americano e creare 100 mila posti di lavoro. Alla società partecipano Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia con il 70% complessivo e la Spagna con il 9%. José Maria Aznar vuole contare di più, teme di essere emarginato: un altro caso di campagna nazionale. Madrid ha lasciato intendere che l’intero progetto potrebbe fallire.


NUCLEARE & EST - I Quindici hanno chiesto ai Dieci nuovi membri di chiudere gran parte delle centrali nucleari, ritenute obsolete e pericolose. Si teme una nuova Chernobyl. E per ora tutto è rimasto come prima. Anzi, Paesi come Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia stanno investendo nei reattori. Finora se ne è parlato troppo poco.
Dieci duelli simbolici, alcuni caldi e altri meno. Forse non gli unici. Alti e bassi, l’Unione li ha sempre avuti. Proprio nei momenti difficili ha saputo risolvere le partite battendo nazionalismi, localismi, egoismi. Mercato unico ed euro sono lì a dimostrare questa capacità di recupero. L’allargamento ha decisamente alzato il livello di sfida e la coincidenza temporale con la frattura provocata dalla guerra in Iraq sta complicando i piani. I governi si accapigliano, poi tentano di ricucire, si intrecciano storie passate e presenti di Paesi della Ue, sulle alleanze si allunga l’ombra di George Bush, interessato a un’Europa forte ma non troppo. E l’Europa ripensa, con qualche nostalgia, ai tempi di Schuman.

padus996 (POL)
30-04-03, 14:53
«Creiamo un’Unione di sicurezza e difesa»

Francia, Germania, Lussemburgo e Belgio propongono un comando unico e una forza militare europea


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES - Il premier belga, Guy Verhofstadt, promotore del vertice a quattro sulla difesa europea, elenca puntigliosamente «le sette proposte concrete», messe a punto dopo una mezza mattinata di discussioni con il presidente francese Jacques Chirac, il cancelliere tedesco Gerhard Schröder e il primo ministro del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker. Verhofstadt si aggiusta gli occhialoni da professorino un po’ fuori moda e, davanti a una folla di giornalisti convocati all’ora di pranzo in un hotel di Bruxelles, comincia a scorrere la «dichiarazione finale». Spiccano tre punti: istituzione di «un comando europeo per il trasporto strategico, disponibile per azioni della Ue e della Nato, da costituire entro il giugno del 2004»; insediamento di «un quartiere generale europeo per il dispiegamento entro due anni di una forza multinazionale per operazioni congiunte, sotto la bandiera dell’Unione Europea o della Nato»; formazione di «un’Agenzia comune per gli armamenti». Come dire: vedete? Facciamo sul serio: Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo si autopromuovono «avanguardia» di un progetto che è militare e politico nello stesso tempo. Militare perché punta a mobilitare una sorta di «coalizione europea» anche senza il via libera della Nato. Politica perché vuole proiettare l’Europa sugli scenari di crisi internazionali, alla pari con la superpotenza americana.
Ma i due leader più influenti, Chirac e Schröder, rilassati e spiritosi, fanno a gara per apparire il più possibile «aperti» e «concilianti». Insieme ripetono almeno dieci volte lo stesso concetto. Dice Schröder: «Questa non è un’iniziativa contro gli Stati Uniti o contro la Nato. Noi non pensiamo che ci sia troppa America nell’Alleanza atlantica, il problema è che c’è poca Europa». Aggiunge Chirac: «La nostra proposta è rivolta a tutti i Paesi dell’Unione Europea. Possiamo lavorare tutti insieme nella Convenzione e rinforzare il capitolo dedicato alla difesa nella nuova Costituzione della Ue».
La prima verifica è a portata di mano. Venerdì e sabato i Quindici ministri degli Esteri (più i dieci dei «nuovi Paesi» in veste di osservatori) si ritroveranno in un singolare summit-crociera nelle isole greche di Rodi e Castellorizo. I rappresentanti dei «Quattro di Bruxelles» saranno accolti, nell’ipotesi migliore, da un robusto scetticismo. Anche dal quartier generale della Nato, nella capitale belga, arrivano, come riferisce un portavoce, segnali di «preoccupazione» per le «possibili duplicazioni» con le strutture dell’Alleanza atlantica.
In effetti la base di partenza è sicuramente impegnativa. Il lussemburghese Juncker paragona «l’operazione difesa» al processo che ha portato alla moneta unica. Nel documento finale compare anche il nome in codice: «Unione Europea della sicurezza e della difesa». Chi vuole aderire deve sottoscrivere impegni speciali, esattamente come è successo per l’euro. Uno su tutti: «partecipare ai programmi di equipaggiamenti», a cominciare dal progetto A400M, cioè l’aereo per il trasporto di truppe, osteggiato, tra gli altri, da Italia e Portogallo. Chirac e gli altri immaginano la creazione di «un’Agenzia» che coordini «le capacità degli eserciti», stimolando la cooperazione tra le industrie militari. Anche gli obiettivi sono piuttosto ambiziosi. Si parte con l’idea di costituire una «forza di reazione rapida», intorno al nerbo della «brigata franco-tedesca», per arrivare, entro il 2004, a insediare un «quartiere generale multinazionale».
Il progetto si inserisce in una visione politica che Chirac riassume così: «Il mondo multipolare è una realtà inevitabile, lo si voglia o no. Europa e Stati Uniti possono essere partner con eguali capacità». Un’idea opposta a quella del premier britannico Tony Blair e di tutti coloro che non vedono alternative alla centralità americana.

Montebardosu
26-05-03, 22:56
Come sempre è avvenuto, anche all'epoca dell'istituzione degli stati "nazionali" ottocenteschi, i Governi degli Stati europei non tengono in alcun conto che in Europa esistono molte minoranze (leggasi: popoli, nazioni) a cui sono stati e vengono tuttora negati la libertà ed il diritto ad essere indipendenti.

Non potranno fare sempre i conti senza l'oste!

NO A QUESTA EUROPA DEGLI STATI, NO ALL'EUROPA CENTRALISTA. AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI!