Mappo
27-09-09, 02:58
Giannino: non sono i cattolici a condannare Berlusconi, ma i “laici”. Come vuole il catechismo di Kant
Il sondaggio di Mannheimer non indica che i credenti sostengono l’immorale, ma solo che calibrano il loro giudizio sul concreto operato del politico più che sul suo privato rispetto dei precetti
di Oscar Giannino
«Forse non c’è nessuna morale», s’azzardò a osservare Alice nel paese delle meraviglie. «Che, che, bambina!», disse la Duchessa, «in tutto c’è una morale, basta trovarla». Così Lewis Carrol, e lo stesso vale per il singolare risultato dell’ultimo aggiornamento, curato dal professor Renato Mannheimer, dell’osservatorio sulla popolarità di Silvio Berlusconi. La popolarità di Berlusconi tra i cattolici praticanti tra settembre 2008 e settembre 2009 risulta calata solo del 2 per cento, mentre nello stesso periodo scende molto di più tra i “cattolici sporadici”, dal 52 al 43 per cento, e tra i laici, dove passa dal 38 al 31. D’accordo, ai sondaggi bisogna sempre fare la tara, non tanto per il metodo con cui vengono condotti – Mannheimer e il suo istituto sono una garanzia, in materia –, quanto perché sui giudizi degli interpellati pesa sempre in qualche misura l’impatto emotivo delle notizie dei giorni in cui il sondaggio è stato effettuato.
In ogni caso, il problema resta. Cosa bisogna dedurre da un simile andamento diversificato? Forse che l’aspetto morale della vita di un leader politico conta meno, nel giudizio complessivo, proprio per quella fascia di elettorato generalmente considerata la più attenta ai temi dell’etica e della moderazione nei costumi e negli stili di vita, soprattutto poi quando entrano in campo terreni scivolosi come il sesso e il rispetto della famiglia, dei suoi vincoli come dei suoi affetti? O piuttosto che i cattolici praticanti sono i più fermi nel tarare il proprio giudizio secondo una netta distinzione tra le due città di Agostino, quella di Dio e quella degli uomini?
Nel dare una risposta, dichiaro innanzitutto il mio punto di vista. Sono liberale e liberista, e insieme fortemente incardinato alla centralità e alla preminenza della persona. Dunque, per il sottoscritto non vale la massima utilitarista di Jeremy Bentham, secondo la quale la morale non è nient’altro che la regolarizzazione dell’egoismo. Non è così per me, e soprattutto non è così per i cattolici. Fin qui, sono sicuro che siamo tutti d’accordo, credenti e non credenti.
Aggiungo un’altra premessa, più delicata perché su di essa scommetto invece che i fronti cominciano a dividersi. Diceva Bertrand Russel, molto caro ai laici, che senza moralità civile le comunità periscono, e senza moralità privata la loro sopravvivenza è priva di valore. Apparentemente, anche su questa affermazione tutti potrebbero andare d’accordo. In realtà non è affatto così. Per un laico kantiano osservante, è la ragion pura ad essere di per se stessa pratica ed è essa a dare all’uomo una legge universale, che noi umani stessi chiamiamo legge morale. Di conseguenza, per un kantiano Berlusconi è unfit – come direbbe l’Economist – non solo perché quanto afferma il prosseneta Tarantini rende il suo stile di vita privo di moralità privata, ma perché proprio l’eventuale venir meno di tale moralità privata rende privo di valore pubblico il modo in cui il leader politico di un paese svolge l’intero suo mandato.
È una spada affilata, l’etica kantiana laica. Ipotizza uomini buoni in sé e per sé, per fondamento su null’altro centrato che la ragione naturale umana. Di conseguenza, diventa giudice spietata dei comportamenti privati per chi riveste incarichi pubblici (e non solo politici: varrebbe lo stesso per un grande manager). Non è un paradosso, dunque, il fatto che i laici diano su Berlusconi risposte più “moraliste” dei cattolici osservanti. È una conseguenza ferrea di due diverse concezioni della morale, una che guarda verso il Cielo, l’altra che nega qualunque altro orizzonte oltre la Terra. Potrei ammannirvi decine e decine di trattati dell’antica patristica su una materia che era molto delicata, per i primi cristiani: prima di Costantino e dell’elevazione del cristianesimo a religione di Stato, per i seguaci di Gesù il problema era con quale metro giudicare l’imperatore idolatra e spesso sanguinario omicida, se pagargli le tasse, se rispettare le sue leggi, se servire nelle sue legioni. La disputa fu risolta separando nettamente la coerenza dei fedeli dal rispetto per l’ordinamento costituito. Ieri come oggi non significa affatto sostenere l’immorale, ma solo calibrare il giudizio sul suo concreto operato di politico più che sul suo privato rispetto dei precetti di fede. In altre parole: a differenza dei laici, i cattolici praticanti preferiscono non adottare come moralità l’atteggiamento che riserviamo alle persone che ci stanno personalmente antipatiche.
Giannino: non sono i cattolici a condannare Berlusconi, ma i ?laici?. Come vuole il catechismo di Kant | Tempi (http://www.tempi.it/opinioni/007637-giannino-non-sono-i-cattolici-condannare-berlusconi-ma-i-laici-come-vuole-il-catechi)
Il sondaggio di Mannheimer non indica che i credenti sostengono l’immorale, ma solo che calibrano il loro giudizio sul concreto operato del politico più che sul suo privato rispetto dei precetti
di Oscar Giannino
«Forse non c’è nessuna morale», s’azzardò a osservare Alice nel paese delle meraviglie. «Che, che, bambina!», disse la Duchessa, «in tutto c’è una morale, basta trovarla». Così Lewis Carrol, e lo stesso vale per il singolare risultato dell’ultimo aggiornamento, curato dal professor Renato Mannheimer, dell’osservatorio sulla popolarità di Silvio Berlusconi. La popolarità di Berlusconi tra i cattolici praticanti tra settembre 2008 e settembre 2009 risulta calata solo del 2 per cento, mentre nello stesso periodo scende molto di più tra i “cattolici sporadici”, dal 52 al 43 per cento, e tra i laici, dove passa dal 38 al 31. D’accordo, ai sondaggi bisogna sempre fare la tara, non tanto per il metodo con cui vengono condotti – Mannheimer e il suo istituto sono una garanzia, in materia –, quanto perché sui giudizi degli interpellati pesa sempre in qualche misura l’impatto emotivo delle notizie dei giorni in cui il sondaggio è stato effettuato.
In ogni caso, il problema resta. Cosa bisogna dedurre da un simile andamento diversificato? Forse che l’aspetto morale della vita di un leader politico conta meno, nel giudizio complessivo, proprio per quella fascia di elettorato generalmente considerata la più attenta ai temi dell’etica e della moderazione nei costumi e negli stili di vita, soprattutto poi quando entrano in campo terreni scivolosi come il sesso e il rispetto della famiglia, dei suoi vincoli come dei suoi affetti? O piuttosto che i cattolici praticanti sono i più fermi nel tarare il proprio giudizio secondo una netta distinzione tra le due città di Agostino, quella di Dio e quella degli uomini?
Nel dare una risposta, dichiaro innanzitutto il mio punto di vista. Sono liberale e liberista, e insieme fortemente incardinato alla centralità e alla preminenza della persona. Dunque, per il sottoscritto non vale la massima utilitarista di Jeremy Bentham, secondo la quale la morale non è nient’altro che la regolarizzazione dell’egoismo. Non è così per me, e soprattutto non è così per i cattolici. Fin qui, sono sicuro che siamo tutti d’accordo, credenti e non credenti.
Aggiungo un’altra premessa, più delicata perché su di essa scommetto invece che i fronti cominciano a dividersi. Diceva Bertrand Russel, molto caro ai laici, che senza moralità civile le comunità periscono, e senza moralità privata la loro sopravvivenza è priva di valore. Apparentemente, anche su questa affermazione tutti potrebbero andare d’accordo. In realtà non è affatto così. Per un laico kantiano osservante, è la ragion pura ad essere di per se stessa pratica ed è essa a dare all’uomo una legge universale, che noi umani stessi chiamiamo legge morale. Di conseguenza, per un kantiano Berlusconi è unfit – come direbbe l’Economist – non solo perché quanto afferma il prosseneta Tarantini rende il suo stile di vita privo di moralità privata, ma perché proprio l’eventuale venir meno di tale moralità privata rende privo di valore pubblico il modo in cui il leader politico di un paese svolge l’intero suo mandato.
È una spada affilata, l’etica kantiana laica. Ipotizza uomini buoni in sé e per sé, per fondamento su null’altro centrato che la ragione naturale umana. Di conseguenza, diventa giudice spietata dei comportamenti privati per chi riveste incarichi pubblici (e non solo politici: varrebbe lo stesso per un grande manager). Non è un paradosso, dunque, il fatto che i laici diano su Berlusconi risposte più “moraliste” dei cattolici osservanti. È una conseguenza ferrea di due diverse concezioni della morale, una che guarda verso il Cielo, l’altra che nega qualunque altro orizzonte oltre la Terra. Potrei ammannirvi decine e decine di trattati dell’antica patristica su una materia che era molto delicata, per i primi cristiani: prima di Costantino e dell’elevazione del cristianesimo a religione di Stato, per i seguaci di Gesù il problema era con quale metro giudicare l’imperatore idolatra e spesso sanguinario omicida, se pagargli le tasse, se rispettare le sue leggi, se servire nelle sue legioni. La disputa fu risolta separando nettamente la coerenza dei fedeli dal rispetto per l’ordinamento costituito. Ieri come oggi non significa affatto sostenere l’immorale, ma solo calibrare il giudizio sul suo concreto operato di politico più che sul suo privato rispetto dei precetti di fede. In altre parole: a differenza dei laici, i cattolici praticanti preferiscono non adottare come moralità l’atteggiamento che riserviamo alle persone che ci stanno personalmente antipatiche.
Giannino: non sono i cattolici a condannare Berlusconi, ma i ?laici?. Come vuole il catechismo di Kant | Tempi (http://www.tempi.it/opinioni/007637-giannino-non-sono-i-cattolici-condannare-berlusconi-ma-i-laici-come-vuole-il-catechi)