PDA

Visualizza Versione Completa : Cazari



nhmem
03-05-03, 18:04
Dall'inserto ttL del numero odierno de La Stampa:

http://www.lastampa.it/_settimanali/ttl/estrattore/Tutto_Libri/art6.asp

Koestler ritrova gli ebrei in Caucaso

3/5/2003

TRA miti e pregiudizi da mandare a picco, allorché si discute delle origini del popolo ebraico e relativo distinguo della razza ariana, dovremmo includere proprio quello - sappiamo quanto pernicioso - della separatezza, della «differenza»: genetica e culturale. E’ ciò che emerge da un singolare libro di Arthur Koestler appena riproposto dalla Utet, La tredicesima tribù, introdotto da Elena Loewenthal, che rievoca un evento di vasta portata nella storia medievale e si allunga per vie sotterranee fino alle «sublimazioni» etniche del Novecento. Arthur Koestler, noto romanziere di famiglia ebraica ungherese, morto a Londra nel 1983, combattente in Spagna contro i franchisti, ex militante del partito comunista e tenace accusatore del regime staliniano (Buio a mezzogiorno, 1940), indossa qui i panni, del resto a lui consueti, di acuto saggista, e ci conduce alle fonti di una tribù, la «tredicesima», responsabile, per così dire, di rovesciare o almeno intaccare genealogia e credo di salda tradizione.
Stando all’indagine di Koestler gli antenati di Israele non provengono dal Giordano bensì dal Volga, non da Canaan ma dall’arianissimo Caucaso, fisicamente molto più vicini agli unni e ai magiari che al seme di Abramo, Isacco e Giacobbe. Con una conseguenza paradossale segnalata dalla Loewenthal: «L’antisemitismo come odio per una razza diversa, inferiore e indegna di vivere, assume un carattere tragicamente grottesco, e più che mai all’indomani di Auschwitz». La specie umana in questione è la tribù dei cazari (probabile derivazione turca da gaz = «errante»), nomadi sbucati dalle steppe asiatiche nel V secolo, «la cui lingua somiglia al pigolio dei storni» - nella descrizione di un raffinato viaggiatore arabo. Barbari pressoché indistinti nella mappa dei gruppi coevi che nel giro di pochi secoli diventano protagonisti di una gigantesca parabola evolutiva: dalle ordinarie migrazioni, dai sanguinosi insediamenti nell’Europa orientale, alla costituzione di un prospero impero, l’impero di Cazaria, esteso dal Caucaso al lago d’Aral, dagli Urali a Kiev, dalle colonie gotiche e greche di Crimea alle foreste nordoccidentali.
Fattore decisivo di questi successi, il «colpo di genio» - tale lo definisce Koestler -, ossia la conversione in massa dallo sciamanesimo al giudaismo intorno alla metà dell’VIII secolo. Una scelta politica, calcolata, pragmatica, che consente alla Cazaria di assumere il ruolo di «terza forza» negli opposti schieramenti: croce e mezzaluna, Bisanzio e Baghdad.
Ma chi erano i cazari? Come si presentavano? Si chiede Koestler e ci chiediamo noi altrettanto incuriositi. I documenti arabi e bizantini, pur nell’esiguità del materiale pervenutoci, consentono di ottenere un verosimile identikit: carnagione chiara, occhi azzurri, capigliatura fluente perlopiù rossastra, corporatura robusta e temperamento algido. Un’impietosa cronaca georgiana li assimila alle schiere di Gog e Magog; un autore armeno li descrive «dalle facce larghe, insolenti e senza ciglia», mentre il geografo arabo Istakhri divide i cazari in bianchi e neri, e nella categoria dei bianchi «trovansi individui di sorprendente bellezza». I costumi sessuali rivelano un colorito miscuglio di liberalità, tolleranza e ferocia. Quasi nullo il pudore nelle donne che nuotano nude come naiadi nei fiumi e nude si muovono in casa al cospetto dello straniero. Raro l’adulterio, ma se l’adulterio è scoperto, viene «spezzato in due»; analoga sorte è riservata agli omosessuali. Il sovrano, ovvero il Gran Kagan, dispone di venticinque mogli e sessanta concubine; e addirittura superiore all’opulenza faraonica risulta il complesso funerario predisposto da artisti di scuola persiana sassanide: venti stanze nelle quali trionfa il broccato di seta intessuto di fili d’oro. Non a caso la tomba viene chiamata «Paradiso». Il declino della Cazaria - dovuto principalmente all’irrompere dei rus’, dei mongoli, dei vichinghi - ha inizio intorno al Mille e si conclude, con precarie rimonte, nei tre secoli successivi. L’ultima menzione di rilievo la troviamo della Historia Mongolorum del missionario francescano Giovanni dal Pian del Carpine, là dove, insieme ai circassi e agli alani, figurano i «cazari che praticano la religione giudaica». Poi cala il sipario, e sarà compito degli storici moderni (in particolare, J. B. Bury e A. N. Poliak) analizzare il peso geopolitico della loro conversione, affermare la supremazia dell’eterogeneità, del meticciato, sul principio leggendario di una razza discendente dalla tribù biblica e mettere in luce il coefficiente «biologico» non solo nei luoghi prossimi all’epicentro del fenomeno (Polonia, Russia, Lituania) ma anche nelle comunità ebraiche sparse in altre parti del mondo.

(Recensione di Giuseppe Cassieri)