PDA

Visualizza Versione Completa : confessioni di un boia



adsum
04-05-03, 13:24
CONFESSIONE
DI UN BOIA


E' apparsa sul Venerdì de La Repubblica una intervista di Vittorio Zucconi con Joseph Malta, uno dei due boia di Norimberga, oggi residente a Boston. Riteniamo istruttivo far conoscere il pensiero di questo "giustiziere". Tra sadismo e necrofilia, ecco alcuni passi della confessione di un carnefice "democratico":

"Il primo a morire fu Ribbentrop. Morì con i denti stretti, una bollicina fra le labbra chiuse in una smorfia di disprezzo e quando staccai il suo cadavere dalla forca pensai, cristo, quel figlio di puttana è rimasto arrogante fino all' ultimo, anche davanti al boia, ma adesso è un figlio di puttana morto, e l' ho fatto fuori io, Joe Malta, il figlio del piastrellista siciliano... Non rimpiango niente... non ho incubi, provai solo piacere, un grande, immenso piacere ad ammazzarli, e se mi chiedessero di impiccare anche questo vostro maggiore Priebke delle SS, verrei a Roma domattina... La guerra era finita in maggio ed io non avevo potuto fare niente per saldare i conti con quei porci. Dare una mano a impiccarli mi sembrò un modo per farlo...
Ho il rimpianto di essere arrivato in Germania troppo tardi con la mia forca... Ogni volta che mettevo il cappio attorno al collo di uno di loro, di Ribbentrop, di Keitel, di Jodl, di Streicher, di Seyss-Inquart e sentivo il loro corpo irrigidirsi nell'attesa gli mormoravo "e adesso prova tu quello che hai fatto provare a quegli innocenti...", loro capivano tutti un po' di inglese... forse mi hanno sentito prima di precipitare dentro la botola... lo spero".
Sbuffa la moglie in una nube di parole e di fumo: "Quando ebbe un infarto, lo ricoverarono all'Ospedale Generale del Massachussets, in corsia, ma il primario cardiologo, che era un ebreo, scoprì chi era. Si precipitò al suo letto con gli assistenti dietro, gli strinse la mano, lo fece trasferire in una stanza privata di lusso e disse ai medici:"se questo paziente muore, vi faccio impiccare tutti, come lui impiccò i nazisti".
"Saliva e sangue -ricomincia lui- di impiccagioni ne feci in tutto quaranta, fra i pezzi grossi di Norimberga e i piccoli criminali minori, le SS, che venivano condannati dai tribunali straordinari. Gli impiccati impiegano fino a venti minuti per morire, prima che il cuore smetta di battere, e qualcuno non perde i sensi subito, quando il nodo gli spezza il collo, gorgogliano, gemono, si lamentano, vomitano sangue e saliva. A volte mi trovavo l'uniforme coperta di sangue, quando gli davo il colpo di grazia. Con queste mani".
Afferra il suo cappio, lo infila al collo del giornalista, lo stringe e con le dita fredde, ancora strordinariamente forti, dà il colpo di grazia: "Ci si mette di fronte all'impiccato, lo si tiene con il braccio sinistro, con la destra si passa dietro la nuca e si afferra l'orecchio destro e si dà uno strattone forte all'indietro. Il collo si spezza, fa "snap" e lui non si lamenta più. L' osso del collo è già incrinato e cede subito, così... Ehi, non mi fissi con quegli occhi sbarrati. Non sono mica una belva. Non credo in Dio, ma se c'è un Dio sono sicuro che quando mi riceverà in cielo mi dirà: "grazie Joe, per aver fatto bene il mio lavoro"...
Jonny, dissi al sergente, non siamo macellai, che figura ci facciamo. Ordiniamo delle forche nuove da un carpentiere di Norimberga e facciamo mettere potenti calamite sotto il pavimento e sotto la botola, così che le due mezze porte restino aperte quanto vogliamo e il corpo possa precipiotare pulito pulito...
Goering mi fregò, si suicidò nella sua cella inghiottendo una capsula di cianuro che nessuno ha mai saputo come gli fosse arrivata... Mi fregò? E sì, ormai era un fatto personale fra noi carnefici e lui. Quando passavo davanti alla sua cella, Goering mi gridava sempre, in un inglese spezzato ma comprensibile: "Ehi, boia, non riuscirete ad ammazzarmi" e io gli gridavo di rimando: "Aspetta, aspetta, bastardo, che sto preparando una corda speciale per impiccare proprio te". E invece la corda che doveva strangolare Goering è proprio quì, mai utilizzata, tra le dita di un pensionato in una casa di riposo di Revere Beach di Boston.
Ma le tre forche costruite dal falegname di Norimberga, due attive e una di scorta, non difettarono di clienti. Poco dopo l'una, alle ore 1,11 del 16 ottobre, le due guardie condussero il primo condannato, conte Joachim von Ribbentrop. Sotto la luce da teatro di anatomia del ginnasio di Lansberg, illuminato al neon per le riprese fotografiche, il ministro degli Esteri del Reich salì i tredici gradini del patibolo fino al soldato scelto Joseph Malta.
"John, il sergente Woods, il capo carnefice, stava allo stik, al Bastone, alla leva che apriva la botola. Io aspettavo Ribbentrop al cappio". Mentre il cappellano mormorava le preghiere della morte, Joseph Malta gli legò insieme le caviglie con una cintura militare, gli infilò la calza, come la chiamavano i boia, il cappuccio attorno al collo.
"Spinsi fino in fondo il nodo scorsoio, così, vede, per stringere il laccio attorno alla gola e perchè il nodo prmesse forte tra collo e nuca, perchè è quello che spezza l'osso subito", snap? "sì, appunto, snap, e fa perdere i sensi al condannato, se tutto va bene".
Poi si sistemò alle sue spalle e afferrò la corda per tenerla ben tesa e assicurare che lui andasse giù verticale.
"Se la corda è troppo lenta, il corpo casca male e non va bene, il nodo strappa la pelle del collo, il sangue esce a flotti e la testa rischia di strapparsi dal collo".
I due carnefici avevano stabilito un'intesa segreta, fra loro. Per decidere quando azionare la leva e spalancare la botola avevano scelto la preghiera del capellano come segnale.
Nei secoli dei secoli, amen! Il sergente azionò la leva, John Malta lasciò andare la corda. Il corpo di Ribbentrop sprofondò nel buco, sparendo alla vista di tutti. Ma non alla vista di Joe.
Il figlio del piastrellista di Palermo doveva correre giù dalla scaletta, infilarsi sotto la sottana che nascondeva la base sotto il patibolo e accertarsi che il condannato fosse privo di sensi.
"Guardavo l'angolo della testa rispetto alle spalle, nel quadrato di luce della botola tenuta aperta dalla calamita. Se l'amgolo era molto acuto, voleva dire che l'osso si era spezzato bene. Se la testa era troppo diritta, gli saltavo addosso, mi aggrappavo al suo corpo, per aumentare il peso e se ancora non bastava, gli spezzavo il come le ho fatto vedere e se vuole glielo faccio ancora", no grazie. "A volte erano necessari due tentativi". Snap Snap.
Ribbentrop morì in fretta, dopo aver gridato "Auguro pace per il mondo", e il pensiero ancora infuria Joe, "se ci avesse pensato un pò prima, il grandissimo pezzo di merda, alla pace del mondo". Altri non furono così fortunati, i condanati più grossi, massicci, morivano meglio, grazie al loro peso. I piccoletti, i magri, dovevano soffrire.
"Il più tremendo fu Julius Streicher. Era un omuncolo e quando lo andai a vedere sotto la forca era ancora vivo, il sangue e il muco gli gorgogliavano dalla bocca in un rantolo. Mi aggrappai a lui e lo tirai più volte, e ancora non moriva". L' impiccato e il suo carnefice avvingiati come sacrestani alla fune di una campana. Finalmente Joe riuscì a spezzargli il collo con la sua tecnica. Snap.
Quando il suo lavoro era finito, faceva un cenno d'intesa ai medici che entravano al suo posto e auscultavano il moribondo fino a quando lo pronunciavano legalmente morto. Sette minuti dall'apertura della botola per Ribbentrop. Diciotto minuti per il piccolo Streicher. Il sergente Woods tagliava la corda in alto e altri MP, poliziotti militari, buttavano il corpo, con ancora il cappio al collo, nelle casse di pino aperte, allineate contro il muro. Dopo Ribbentrop, gli altri salirono sul patibolo vedendo i cadaveri di chi li aveva preceduti, nelle casse.
"Era una vista perfetta, per quelli", mormora Joe, e le dita si stringono in un riflesso di nostalgia attorno al nodo scorsoio "vedevano sè stessi come sarebbero come sarebbero stati dopo pochi secondi".
La sera del 16 dopo le 10 esecuzioni, Joseph Malta dormì "benissimo", come ancora oggi dorme. "Non ho mai avuto dubbi nè ripensamenti. Credo oggi, come credevo allora, alla pena di morte".
Della notte delle forche, nel ginnasio di Norimberga, non ha riportato a casa nulla. Soltanto la sua foto in divisa da MP, i documenti del suo congedo e una vecchia scatola di cartone, tipo quelle che contengono coppe e trofei. "Fagliela vedre, Joe". Oddio tremo. Che souvenir avrà mai riportato il boia di Norimberga?
La apre. Dalla scatola affiora un giocattolo infernale: se le figlie del diavolo avessero una casa di bambola, questo sarebbe il loro pezzo forte. E' una forca, un patibolo in miniatura e in perfetta scala, completo di tutto, i 13 gradini, la cordina, il cappietto, la botolina con le calamite sotto, la sottanina attorno alla base per nascondere il corpo dell' impiccato.
"Me la feci fare dal carpentiere di Norimberga, è stupenda". La accarezza. La rimira. Si arrampica sulla scaletta con le dita e titilla con l' indice il cappietto.
"Liz Taylor, che è ebrea, ha saputo della sua esistenza e mi aveva chiesto di comprarlo per una grossa cifra. Le ho risposto di no, non fino a quando sono vivo". Sospira, tace.
"Adesso basta -interviene Cathy, la moglie-"che ti senti male, Joe. Oggi è sabato, sa -insiste per cambiare discorso- e nel salone del pensionato viene un' orchestrina, balliamo".
Valzer per un carnefice e signora, al ballo degli spettri della nostra storia.

Vittorio Zucconi