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Visualizza Versione Completa : Religiosità indoeuropea



Harm Wulf
09-05-03, 15:07
http://www.dhm.de/ausstellungen/wahlverwandtschaft/15licht.jpg


Lichtgebet, : Hugo Höppener, Fidus, 1894 , Öl auf Leinwand, 150 x 100 cm (Berlin, Deutsches Historisches Museum)

"... E poichè non è servo di un sovrano Iddio, l'indeuropeo non prega a terra o in ginocchio, ma in piedi, con gli occhi al cielo e le braccia protese in avanti. Nella sua pienezza di uomo, in tutta la sua dignità sta l'Ariano di fronte al suo Dio o ai suoi Dei. Ogni forma di religiosità che diminuisce l'uomo per rimpicciolirlo di fronte ad una divinità troppo potente e oppressiva non è religiosità indoeuropea."

Hans F. K. Günther "Religiosità indoeuropea" Ed. Ar
www.libreriaar.it

Mjollnir
13-05-03, 20:11
Un bellissimo dipinto..grazie Harm. Non conosco questo artista... simpatizzava per il paganesimo ?

Harm Wulf
14-05-03, 13:04
Ho inserito ieri una sua breve storia nel forum scampoli d'arte.
Il messaggio si chiama "Dedicato a Fidus"

Mjollnir
23-06-03, 13:17
Tratto da: J. Haudry, Gli Indoeuropei. Ar, Padova, 1999 - Cap. 3, § 1 "Caratteristiche generali della religione indoeuropea".


La religione indoeuropea è politeista, poichè consiste in una pluralità di riti caratteristici di vari gruppi sociali e di diversi luoghi, e pagana, ossia rurale, poiché riflette la diversità del popolo, non l'unità di un culto di Stato o di una chiesa istituzionalizzata.

Essendo pluralista e diversificata, questa religione è per sua natura tollerante; anziché impegnarsi nel proselitismo, ciascun gruppo custodisce gelosamente i propri Dèi, riti e formule. In questo senso può essere definita esoterica ed iniziatica. Essa possiede miti e simboli, ma è priva di dogmi.
É una religione di opere, non di fede, vissuta anzichè meditata. Lo svolgimento dei riti tradizionali e dei doveri inerenti alla propria condizione ne rappresenta le parti essenziali.

Religione politica se si considera il suo contesto (quello di varie unità etniche) e - come vedremo - religione di capi e non di sacerdoti se si considera gran parte del suo pantheon, essa è immune dal fanatismo. Il poeta può essere un personaggio ispirato, colto talora dal furore divino, ma l'officiante è un magistrato degno ed austero. La superstizione e i culti estatici stranieri (o arcaici) sono disapprovati e la stregoneria viene repressa con severità. Tuttavia, la pratica privata della magia è ampiamente attestata: dall' Atharvaveda dell'India antica, ai rituali ittiti, ai numerosi esempi del mondo classico, dei Celti e dei Germani.

ScimmioneNudo
28-06-03, 02:29
Originally posted by Mjollnir
Tratto da: J. Haudry, Gli Indoeuropei. Ar, Padova, 1999 - Cap. 3, § 1 "Caratteristiche generali della religione indoeuropea".
[b][FONT=arial][COLOR=royalblue]La religione indoeuropea è politeista, poichè consiste in una pluralità di riti caratteristici di vari gruppi sociali e di diversi luoghi, e pagana, ossia rurale, poiché riflette la diversità del popolo, non l'unità di un culto di Stato o di una chiesa istituzionalizzata.

Non sono d'accordo. Innanzitutto faccio fatica a capire come si possa fare un minestrone gigante di tutte le varie religioni pretendendo di parlare di una Religione Indoeuropea dove rischiamo di trovare tutto, ma anche il contrario di tutto.


Originally posted by Mjollnir
Essendo pluralista e diversificata, questa religione è per sua natura tollerante; anziché impegnarsi nel proselitismo, ciascun gruppo custodisce gelosamente i propri Dèi, riti e formule. In questo senso può essere definita esoterica ed iniziatica.

Ad esempio nessuna religione rurale e popolare (come descritto sopra nella deduzione di pagana) puo' essere esoterica ed iniziatica. Ad esempio penso ai Pitagorici, col cavolo che rientrano nella definizione di cui sopra...


Originally posted by Mjollnir
Essa possiede miti e simboli, ma è priva di dogmi.

Religioni prive di dogmi non me ne viene in mente nemmeno una, al limite le mitologie, quelle sì ma si tratta d'altro.


Originally posted by Mjollnir
É una religione di opere, non di fede, vissuta anzichè meditata.

Questa frase vuol dire poco o nulla...


Originally posted by Mjollnir
Lo svolgimento dei riti tradizionali e dei doveri inerenti alla propria condizione ne rappresenta le parti essenziali.

Questo è comune a OGNI religione del globo terracqueo, la parte ritualistico-superstiziosa è parte fondamentale di ogni credo, escluse alcune rarissime eccezioni (buddhismo, protestantesimo).


Originally posted by Mjollnir
Religione politica se si considera il suo contesto (quello di varie unità etniche) e - come vedremo - religione di capi e non di sacerdoti se si considera gran parte del suo pantheon, essa è immune dal fanatismo.

Ricordiamo che la religione Romana prima di diventare cattolica fu di stato (diventò pagana in seguito) e perseguì alcune religioni (tra cui quella cristiana).


Originally posted by Mjollnir
Il poeta può essere un personaggio ispirato, colto talora dal furore divino, ma l'officiante è un magistrato degno ed austero.

Il poeta NON esiste se non in un interpretazione neoclassicheggiante, erano persone comuni, che spesso si lasciavano trascinare nel furore religioso spesso indotto da aktri mezzi (sesso, danze, droghe).


Originally posted by Mjollnir
La superstizione e i culti estatici stranieri (o arcaici) sono disapprovati e la stregoneria viene repressa con severità.

Ma non era tollerante?

Scusate il tono polemico, ma alle volte alcuni argomenti mi toccano più sensibilmente.

Albino Cecina
30-06-03, 01:15
Originally posted by ScimmioneNudo
Non sono d'accordo. Innanzitutto faccio fatica a capire come si possa fare un minestrone gigante di tutte le varie religioni pretendendo di parlare di una Religione Indoeuropea dove rischiamo di trovare tutto, ma anche il contrario di tutto.

Non “tutte le varie religioni”, ma solo quelle dei popoli indoeuropei, che (non totalmente) discendono da un modello unico. È appunto di questo modello che l’autore cerca di tracciare un profilo.




Religioni prive di dogmi non me ne viene in mente nemmeno una, al limite le mitologie, quelle sì ma si tratta d'altro.

I dogmi ce li hanno solo le religioni monoteiste rivelate: fammi un esempio di dogma nelle religioni politeiste europee.




Questa frase vuol dire poco o nulla...


Significa che nelle religioni politeiste si ha esperienza diretta del divino, e non si tira avanti con la fede in qualche cosa di cui non siamo sicuri, come accade nei monoteismi rivelati.




Questo è comune a OGNI religione del globo terracqueo, la parte ritualistico-superstiziosa è parte fondamentale di ogni credo, escluse alcune rarissime eccezioni (buddhismo, protestantesimo).


Ma niente affatto: a parte che non è corretto unire il rito (rapporto con divino) con la superstizione (ciò che non è necessario al rito), bisogna dire che nei politeismi la religione è il culto (religione id est cultus deorum, dice Cicerone), cioè il rapporto diretto fra uomini e Dèi, dunque quello che Haudry chiama “riti tradizionali e doveri inerenti alla propria condizione”. Nei monoteismi, invece, si è unita al rito tutta una parte filosofica e una legislativa che si pretende facciano parte della religione.




Ricordiamo che la religione Romana prima di diventare cattolica fu di stato (diventò pagana in seguito) e perseguì alcune religioni (tra cui quella cristiana).

La religione romana non diventò cattolica, perché sono due sistemi totalmente diversi: casomai la soppiantò.
Inoltre la religione romana non perseguiva altre religioni.
Era lo Stato Romano che perseguiva quei gruppi che si dedicavano ad attività sovversive volte a rovesciare lo Stato stesso. Dai Baccanali, ai Cristiani, dagli Ebrei, ai Manichei, tutti questi gruppi furono perseguiti quando le loro attività criminali furono manifeste, ma non furono mai perseguitati per la loro religione. Se così fosse stato, gli stessi Cristiani sarebbero stati perseguitati sempre e dovunque, e non sarebbero certo sopravvissuti fino a noi.




Il poeta NON esiste se non in un interpretazione neoclassicheggiante, erano persone comuni, che spesso si lasciavano trascinare nel furore religioso spesso indotto da aktri mezzi (sesso, danze, droghe).

In un vecchio thread salvato da it.cultura.classica ho ritrovato questo passo:
Il _daimon_ è una potenza
sovrumana, a metà strada fra un mortale e un dio, e non vi è certo da
meravigliarsi se ispira i poeti. Lo stesso Eros è un _daimon_, capace
di infondere negli uomini ogni sorta di abilità, inclusa l'ispirazione
poetica (cf. Eur. fr. 663 N. nonché Plat. _Symp._ 196e).




Ma non era tollerante?

Vedi sopra.

Mjollnir
19-01-04, 02:53
Il passo che segue è tratto dal famoso saggio di F. Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa. Il Mulino, Bologna, 1997 - pp. 139-142.

É interessante notare come un approcio iperspecialistico seguito dal linguista (da lui stesso posto a fondamento metodologico, ove afferma che "Gli Indoeuropei sono quei popoli che parlano una lingua indoeuropea, indipendentemente dalle dimensioni cefaliche, dalla cultura materiale, dalle credenze religiose o dall'ubicazione geografica" porti ad una totale incomprensione dell'interpretazione funzionale della religione indoeuropea, riducendo il tutto ad un problema di nomi. Risultato, l'intepretazione dumeziliana viene liquidata in 2 paginette con obiezioni invero al limite del ridicolo:


Anche in altri ambiti dell'indoeuropeistica, ma in modo particolare per quanto riguarda la religione, esistono 2 tendenze abbastanza opposte, che potremmo chiamare pessimista e ottimista. Mentre gli ottimisti - tra cui spicca su tutti Dumezil - descrivono dettagliatamente i molteplici Dèi indoeuropei, le loro funzioni, la loro organizzazione strutturata, i pessimisti pensano che nulla o quasi possiamo conoscere della religione indoeuropea o delle sue divinità.
Una delle argomentazioni principali dei pessimisti consiste nel dimostrare che le lingue storiche hanno in comune soltanto il nome proprio di un Dio, cosa che, ricorrendo all'aiuto dell'archeologia linguistica, permetterebbe soltanto il riconoscimento di una sola divinità del popolo originario (...).
Questa argomentazione tuttavia non spaventa gli ottimisti. Dumezil per es. contrattaccava sostenendo che il nome delle divinità in fondo non è poi così importante. Frequentemente nelle religioni una medesima divinità può avere vari nomi. (...) Pertanto, secondo Dumezil, bisognerebbe ricostruire la religione indoeuropea non limitandosi soltanto ai nomi delle divinità ma tenendo conto anche delle rispettive funzioni.
Il metodo così proposto non è scevro da vari rischi e presenta una evidente analogia con il procedimento utilizzato per l'etimologia prescientifica, che si basava essenzialmente sul significato, sottovalutando la corrispondenza dei significanti. Oggi ogni linguista sa che ciò che garantisce l'origine comune di un elemento comparato non è tanto il suo significato quanto la sua forma. Non potremmo attribuire per es la categoria dell'aspetto verbale alla lingua comune soltanto perchè l'aspetto verbale esiste in un determinato numero di lingue storiche, ma per il fatto che tale categoria si esprime in esse mediante una forma comune.
Parallelamente, l'esistenza di un dio della guerra nel pantheon germanico (Tyr), latino (Marte), greco (Ares) e vedico (Indra) non ha una forza probatoria decisiva.
Di divinità della guerra ce ne sono, e ce ne sono state in popoli molto eterogenei, sicchè l'unica prova determinante potrebbe essere l'esistenza di un teonimo comune a tutte queste figure.



Per lo studioso spagnolo dunque non si potrebbe dire quasi nulla della teologia indoeuropea perchè i nomi delle divinità sono diversi (sic) ! Obiezione che forse è comprensibile limitandosi appunto al solo piano linguistico; sbalorditiva, invece, tanto da far sospettare un preventivo riduzionismo della tesi "ottimista", l'argomentazione secondo cui siccome molti popoli hanno avuto divinità "dedicate" (della guerra, dell'amore etc...) ciò non dice niente sugli Indoeuropei. Villar in questo modo ignora sistematicamente un punto fondamentale: Dumezil stesso ha precisato di ritenere decisive la relazione reciproca tra le funzioni e la complementarietà del sistema generale. Tanto che poi esso innerva (anzitutto idealmente, e poi realmente) tutti gli altri aspetti della vita associata. Ricordiamo inoltre che l'analisi delle religioni antiche ha confermato che questo "sistema organico" della religione si ritrova coscientemente formulato solo presso i popoli Indoeuropei, ma non presso altri gruppi umani. Tipico ad es il caso dell'ebraismo, nella cui tradizione non si trova traccia di strutture indoeuropee - questo fra l'altro è un grosso smacco per le tesi perennialiste/universaliste.

Dumezil stesso, quindi, ha per così dire superato ante litteram le obiezioni di Villar, al quale va dunque l'addebito di non aver potuto o voluto riconoscerle. Del resto, il "minimalismo" che permea questo saggio sembra fare danni anche in altri campi, ad es in ambito antropologico ed etnico: secondo Villar l'indoeuropeistica non ha niente da dire su questo punto, ma si contraddice poi verso la fine del volume, quando da buon linguista riconosce che i popoli cambiano molti aspetti della loro cultura ma molto difficilmente la lingua, che rimane uno dei più conservativi. Quindi - prosegue - bisogna riconoscere la validità sostanziale della tesi migrazionista, che afferma che un cambiamento di gruppo linguistico presuppone la presenza di un popolo diverso, o un gruppo di popoli parenti portatore di un'altra lingua prima non presente. Villar in sostanza si ferma qui con le ammissioni; ma si potrebbe proseguire, tenendo per fermo il principio che dietro una lingua c'è un popolo che ne è il portatore, e così anche per cultura e religione. Scambi e prestiti non sarebbero poi in grado di spiegare innovazioni così radicali, per cui si può fare facilmente il passo successivo e chiedersi chi fossero i portatori originari della lingua e della religione indoeuropea, ossia i portatori in proprio, prima che tali forme venissero assunte da altri popoli di diversa origine.

Mjollnir
19-01-04, 03:17
Un altro aspetto dell'indoeuropeistica in cui il lavoro di Villar è assolutamente deludente è quello della locazione della patria originaria, e precisamente il trattamento che riserva alla teoria della sede artica. Vediamo infatti che Villar tratta le argomentazioni di Tilak ancora peggio dell'opera di Dumezil, non degnandole neanche dello status di verosimiglianza.
Ecco come vengono scartate:

(...) Ancora più pittoresca risulta l'idea di Tilak, uno studioso indiano che credette di trovare nei Veda e nell'Avesta indizi o reminescenze di un'epoca in cui il sole sorgeva a sud invece che a est; le stelle tracciavano cerchi nel cielo invece di sorgere a est e tramontare a ovest; un anno era fatto di una sola notte di 6 mesi e un solo giorno di altri 6. poichè tali condizioni si verificano solo al Polo Nord, sarebbe stato questo il nostro focolare ancestrale in un momento di benignità climatica interglaciale. Sarebbero stati i successivi freddi a spingere i nostri antenati a emigrare verso sud.

Dunque, l'ipotesi artica è "pittoresca" e nient'altro, e non è dato di sapere in base a quali precisi motivi.

nhmem
06-04-04, 19:07
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=91997

Mjollnir
17-05-04, 15:57
In Origine Postato da Mjollnir
Dumezil stesso, quindi, ha per così dire superato ante litteram le obiezioni di Villar, al quale va dunque l'addebito di non aver potuto o voluto riconoscerle

Eccone ad es un riscontro preciso:

I primi comparatisti s'erano dati come compito principale quello di stabilire una nomenclatura divina indoeuropea. La consonanza di un nome indiano e di un nome greco o scandinavo sembrava loro essere tanto la garanzia che confrontavano delle cose confrontabili e l'indizio che un confronto indoeuropeo era già accessibile.
Ora, con il passare degli anni, pochissime di queste equazioni hanno resistito ad un esame fonetico + esigente. La + incontestabile si è rivelata la + ingannevole: nel Dyau vedico, il cielo è orientato in modo del tutto diverso che lo Zeus greco o il Giove romano, ed il raffronto non insegna quasi nulla.

(Dumezil, Mito ed epopea. I, pg. 11)

Queste parole sono del 1968 (edizione originale francese), mentre il saggio di Villar è del 1991... :fru

Orazio Coclite
09-10-04, 19:16
Roberto Incardona
De religionibus. Norme, prescrizioni e tempi del culto romano
Palermo 1989, Cap. 2, pag. 14-20



http://utenti.lycos.it/quirinus753/immagini/dereligionibus.jpg

"RELIGIOSITA' INDOEUROPEA": ERRORI ED EQUIVOCI

Chiarito e fissato, nelle sue linee essenziali il concetto autentico della religione a Roma, non sarà privo di interesse soffermarsi, per una messa a punta rettificatrice, su alcune curiose idee circa una presunta "religiosità indoeuropea", che da tempo si sono sedimentate acriticamente presso un largo strato dell'ambiente tradizionalista italiano.
E dato che tali idee hanno contribuito non poco ad alimentare errori ed equivoci, anche gravi, sia di ordine interpretativo che culturale, sarà bene esaminarle con attenzione e, nei limiti del presente scritto, cercare di confutarle alla luce di precisi riferimenti dottrinarî.

Innanzitutto occorre dire che ad originare la formazione di tutta una serie di opinioni arbitrarie e preconcette sull'originaria spiritualità dei popoli indoeuropei, sono state le interpretazioni e le ricostruzioni di alcuni autori, soprattutto tedeschi, che, motivati per 1o più da preoccupazioni politiche o "razziali", utilizzarono tendenziosamente il cosiddetto mito dell'"arianità", specie nel suo retaggio nordico-germanico.

Tra le varie pubblicazioni caratterizzate da questo orientamento, quella che indubbiamente ha riscosso maggiore credito e popolarità è stata l'opera di Hans F.K. Günther, "Frömmgkeit nordischer Artung", cioè "La religiosità di tipo nordico", meglio nota in italiano con il titolo di "Religiosità indoeuropea". (1)
E' davvero incredibile constatare come le tesi di questo scritto hanno profondamente influenzato tutta un'ampia fascia di autori che si sono occupati della antica spiritualità indoeuropea, proiettando le proprie suggestioni soprattutto in quell'ambiente politico e militante di estrema destra che da sempre é stato avido di "miti" e di "idee-forza" con le quali supportare spesso 1a mancanza di serie e lucide proposte culturali e programmatiche.
Così non fà eccessiva meraviglia, ad esempio, scorrendo le pagine di una rivista che si è fatta recentemente portavoce di un tale ambiente, trovare affermazioni come le seguenti:

"(...) tutte le religioni sono morte e conseguentemente sono privi di valenza tutti i riti - per loro natura direttamente collegabili alla religione (...), ma alcuni uomini sono potenzialmente in grado di ridestare 1'anima originaria degli indoeuropei avendo come punto di riferimento la religiosità che sopravvive quasi intatta in larghi strati della popolazione europea." (2)
Come si può facilmente comprendere, anche dalla sola citazione di questo esempio fra i tanti, l'accoglimento passivo ed acritico di molte delle tesi del Günther non è stato privo di conseguenze. (3)
Ma esaminiamo con ordine le pagine di "Religiosità indoeuropea" ed isoliamone i punti particolarmente problematici.
E' significativo che già nella parte introduttiva del suo saggio Günther confessi apertamente che il suo tentativo d'indagine risente delle sue "limitate conoscenze" non essendo egli uno "storico delle religioni". (4)
Del resto egli precisa che quella che vuole "descrivere non è la religione, o le religioni, degli Indoeuropei ma la loro religiosità". (5)
E già qui siamo di fronte ad una delle tante generalizzazioni che possono indurre all'equivoco.
Infatti Parlare. di "religiosità" significa limitare e ridurre tutta la portata del concetto di religione ad una semplice aspirazione sentimentale più o meno vaga e inconsistente.
La "religiosità" stando alla religione nello stesso rapporto in cui l'ombra sta al corpo.
Ma, anche a voler dare al concetto di "religiosità" usato dal Günther il senso di quella generica attitudine che l'indoeuropeo assume di fronte al Divino, qualunque sia poi la forma assunta da questo Divino stesso, le cose non cambiano affatto.
Così, mentre si afferma, giustamente, che gli Indoeuropei nonconcepirono il mondo come creazione, nè come l'opera di un Dio creatore, sorta in un certo momento del tempo, si aggiunge che essi "quasi presentendo ipotesi e concetti della fisica e dell'astronomia moderna, credettero a un'eterna vicenda di mondi che nascono e tramontano, a ripetuti "crepuscoli degli Dei"' con relativo rinnovamento del mondo e dei suoi Dei". (6)
Quest'ultima affermazione poi, deriva da un'errore dottrinario veramente grave, che è quello di concepire "nella forza del Fato alcunchè di superiore agli stessi dèi". (7)
Come già ebbe a scrivere Evola, "Non vediamo come si possa fondare una simile idea, la quale se mai, ha prevalso in aree non ritenute propriamente indoeuropee". (8)

Ma non basta soltanto smentire l'origine indoeuropea di un simile concetto del Fato, occorre anche dimostrarne tutta la erroneità.
Senza bisogno di scomodare i testi sapienziali delle scuole platoniche (9), basterà qui ricordare che già negli stessi autori latini il Fato, lungi dal condizionare l'ordine divino, è, semmai, proprio da quest'ultimo originato.
Il fato, nell'Eneide, è concepito come volontà e parola divina, secondo la derivazione stessa del termine fato dal verbo fari, cioè "dire" o "parlare".
Ed i fata deum, i decreti degli Dei, sono a loro volta soggetti al Fato supremo, che equivale alla suprema volontà divina, personificata da Giove e dai fata Iovis.
Giove stesso, in un dialogo dell'Eneide, dice a Giunone: "Rex Iuppiter omnibus idem. Fata viam invenient". (10)
(Il Re Giove è uguale per tutti, i fati troveranno una via).
E Servio, commentando l'"Eneide", scrive: "fati dixit voluntatis Iovis". (11)
Lungi dunque dall'essere ciò che condiziona l'ordine universale è il fato stesso, che in quanto volontà e decreto divino, viene inquadrato e subordinato all'interno di quest'ordine: "Referens se ad naturalem ordinem". (12)

Altri tratti caratteristici della "religiosità indoeuropea" sarebbero da ravvisare, per il Günther, nell'assenza di quel rapporto di sottomissione e di sudditanza nei confronti del divino, che è invece tipico dei popoli di origine semitica. "Uomini e Dei non sono per gli Indoeuropei esseri incompatibili, remoti gli uni agli altri, meno che altrove presso gli Elleni: gli Dei ci appaiono come uomini superiori e immortali, e gli uomini quali nobili esemplari di stirpe elette possono nutrire in sé alcunchè di divino, possono vantare per la loro schiatta un'affinità con gli Dei". (13)
Ma anche qui occorre stare attenti ai possibili malintesi, soprattutto quando l'autore sembra proclive a concepire gli dèi sotto la specie del "Superuomo" di nietzschiana memoria. Specie quando si tende a identificare la religiosità propria ai popoli indoeuropei con "quella forma che la storia delle religioni chiama "religione naturale"". (14)
Mentre sappiamo che la nozione di un'identità metafisica tra l'uomo "nobile" e la Divinità, fù propria degli insegnamenti sapienziali e misterici.
E' ben nota la famosa espressione di Plotino:
"Agli Dei bisogna farsi simili: non già agli uomini dabbene.
Non l'essere esenti dal peccato, ma l'essere un Dio - è il fine". (15)
Ma queste affermazioni non possono essere generalizzate e ridotte ad espressioni di mera "religiosità", appartenendo esclusivamente alla sfera dell'iniziazione e della conoscenza realizzatrice.

E le cose si aggravano nel Günther, quando egli tira in ballo l'opinione che "nell'ambito dell'originario mondo ariano, si potrà parlare tutt'al più di una "auto-redenzione" dell'uomo mediante le sue forze, senza l'intervento di un Dio o di un semidio". (16)
Opinioni molto pericolose, sulle quali è bene avanzare precise riserve.
Un'ultima considerazione del Günther sulla quale vale la pena di soffermarsi è quella che vorrebbe attribuire al patrimonio religioso degli Indoeuropei il concetto di "panteismo".
Scrive testualmente l'autore:
"Nascendo da un senso di sicurezza esistenziale questa religiosità, quando si mescola alla riflessione filosofica, diventa facilmente adorazione del Tutto (Panteismo) o inclina a certe forme panteistiche di coscienza mistica...". (17)
E come riprova di questa "religiosità panteistica", tesa alla "divinificazione del tutto" egli scrive:
"Nella venerazione delle cime montane, dei fiumi, degli alberi, nell'adorazione del sole, della primavera, dell'aurora, nel culto della terra coltivata, di alcune primordiali personalità elevate a semidei - in tutto ciò si esprime la religiosità mondana degli Indoeuropei come espressione di quella sicurezza esistenziale propria di questa gente". (18)

Crediamo che quanto si è fin qui messo in evidenza, nell'opera del Günther, basti a dare la misura della sua problematicità, della sua "distanza" dal senso originario ed autentico del concetto di religione.
Più che tratti fondamentali di una presunta "religiosità indoeuropea" noi abbiamo riscontrato molti dei tipici pregiudizi della cultura profana contemporanea, aggravati per giunta, da quella vena di "eroismo tragico" che, come scriveva Evola, "a noi sembra saper molto di romantico, di wagneriano e di crepuscolare, restando abbastanza lontano dalla linea di quella olimpicità vittoriosa molteplicemente attestata nell'antichità indoeuropea e classica". (19)





NOTE

1. Pubblicato per la prima volta in Germania nell'aprile del 1934, questo saggio è stato tradotto e successivamente ristampato a cura delle Edizioni di AR, Padova 1970. Per le nostre citazioni dell'opera faremo costante riferimento alla seconda edizione, Padova 1980.

2. Nota anonima (a cura della Redazione). Orion n° 14, novembre 1985, p. 32.

3. Molto illuminante a tale riguardo è stato il dibattito sulle "vie tradizionali" che si ritengono accessibili all'europeo di oggi, dibattito originatosi sulle pagine della rivista francese "Totalitè" e rimbalzato in Italia sulle riviste "Heliodromos" prima, e "Orion", poi.

4. H.K. Günther, Religiosità indoeuropea, Edizioni di AR, Padova 1980, p. 25.

5. Günther, op.cit., p.29.

6. Günther, op.cit., p.30.

7. Günther, op.cit., p. 37.

8. J. Evola, Presentazione a "Religiosità Indoeuropea", p. 12.

9. Sulla nozione di fato e sulle sue implicazioni metafisiche e "teologiche", si veda l'esauriente trattazione di Proclo, La Provvidenza e la libertà dell'uomo, Laterza, Bari 1986.

10. Virgilio, Aen., X, 112-113.

11. Servio, ad Aen., I, 299.

12. Servio, ad Aen., XI, 160.

13. Günther, op.cit., p. 33.

14, Günther, op.cit., p. 69.

15. Plotino, Enneadi, I, II, 7. I, II, 6.

16. Günther, op.cit., p. 37.

17. Günther, op.cit., p. 46-47.

18. Günther, op.cit., p. 46.

19. J. Evola, Presentazione, op.cit., p. 12.

Orazio Coclite
09-10-04, 19:18
Roberto Incardona
De religionibus. Norme, prescrizioni e tempi del culto romano
Palermo 1989, Cap. 4, pag. 26-29


DELLE VIRTU' ETICHE

Un altro dei tanti equivoci ricorrenti, presso coloro che affrontano lo studio della problematica religiosa, è quello di operare un'indebita assimilazione tra punto di vista religioso e punto di vista etico-morale.
Così, ad esempio, nell'opera del Günther di cui ci siamo precedentemente occupati, abbiamo trovato elencate ed indicate come specificamente religiose tutta una serie di virtù che rientrano più propriamente nell'ambito di un'etica tradizionale.
"Gli ideali della fermezza e della grandezza dell'animo, di un naturale dominio di sé, di un altrettanto naturale senso di distanza e di non promiscuità, della diffidenza per ogni abbandono dall'anima e quindi anche per un incomposto, anelante misticismo.
In più, il sentimento connaturato dell'onore, la disposizione alla fedeltà e alla lealtà, una misurata, consapevole dignità e l'humanitas nell'accezione classica, l'amore per la verità e la ripugnanza per la menzogna", tutto ciò, mentre definisce abbastanza chiaramente i tratti salienti di una sana attitudine etica, ci appare attestato non esclusivamente nelle stirpi indoeuropee ma anche presso altre razze.
Basterà per tutte citare l'esempio della più pura nobiltà giapponese. (1)

Ma con questo noi non intendiamo sposare la tesi, tutta moderna, del carattere "autonomo" e indipendente della morale, tanto che oggi si arriva al punto di parlare di "morale laica", "filosofica" e perfino "scientifica".
Se la degenerazione che ha investito il mondo moderno, con la conseguente incomprensione delle verità tradizionali, può vedere nei precetti della religione solo delle semplici regole morali (il che ovviamente significa misconoscerne del tutto la loro ragione profonda), va detto chiaramente che anche qui occorre operare quella trasposizione che ne faccia comprendere l'autentico significato.
Così se pur può avere un suo fondamento la considerazione che "per gli Indoeuropei onorare una divinità, "adorarla", era soprattutto educazione e coltivazione dell'istinto della venerazione e del rispetto, un colere tra i Romani, un therapeùein tra i Greci". (2)
Con ciò non si può esaurirne e limitarne tutto il significato. Ciò equivarrebbe a svuotare ed a svilire, ad esempio, quelle prescrizioni contenute nei "Versi d'Oro" pitagorici che, se intesi solo nel loro significato più letterale diverrebbero l'equivalente di banali regole di condotta morale.
In realtà, come già si è detto parlando del valore catartico della religione, anche i precetti etici devono essere visti come "strumenti dell'animo", da far agire in vista di un preciso sviluppo spirituale.
La "'retta condotta", che le varie norme etiche e religiose intendono propiziare, deve essere intesa come una virtus non in senso moralistico, bensì nel senso antico di "energia virile", di forza d'animo.
Contrariamente a quello che comunemente si pensa, anche il mondo greco-romano, e non solo le tradizioni orientali, conobbe proprie tecniche di concentrazione e di ascesi.
"In tutte le scuole filosofiche venivano praticati esercizi destinati ad assicurare il progresso spirituale verso lo stato ideale della saggezza". (3)
In termini generali, tali esercizi miravano soprattutto al "controllo di sé" e alla "contemplazione" interiore.
"Est profecto animi medicina philosophia" (4), scriveva Cicerone.
Ed Epitteto aggiunge:
"La scuola del filosofo è una sala operatoria". (5)
La vita filosofica fu sempre considerata nell'antichità come un vero e proprio "esercizio spirituale" ed è alla luce di questa interpretazione che bisognerà valutare le virtù etiche e morali.
Ecco, a tale proposito, un significativo passo di Galeno:
"Quando ci si alza, occorre esaminare in anticipo, a proposito delle diverse azioni della giornata, se sia meglio vivere schiavi delle proprie passioni oppure servirsi della ragione contro di esse". (6)





NOTE

1. J. Evola, Presentazione a "Religiosità indoeuropea", p. 13.

2. Günther, Religiosità indoeuropea, p. 31.

3. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino 1988, p. 15.

4. Cicerone, Tusculanae disputationes, III, 6.

5. Epitteto, Diatrive, III, 23, 30.

6. Galeno, De cognoscendis curandisque animi morbis, I, 5, 24.

Mjollnir
09-10-04, 20:31
Leggendo il titolo mi aspettavo una tirata di sapore satyriconiano ( e mi perdoni il nostro stimato e bravo forumista, ma non c'era termine più calzante per significare una certa attitudine :D ;) ).
Invece non si arriva a negare l'esistenza degli Indoeuropei, ma semplicemente a correggere il tiro su alcuni punti. Bene, il discorso ne guadagna in verosimiglianza.
Nel merito, è vero che talune formulazioni del Günther appaiono non molto precise, ma sarebbe ingeneroso prendere il suo piccolo saggio per qualcosa di più di quello che è, ossia un abbozzo di indagine che tratteggiava delle linee-guida e che certo non pretendeva di essere esaustivo.

Tuttavia ad una lettura attenta la sua unilateralità si rivela minore di quella che qui si paventa, ad es. l'autore non si astiene dal criticare aspetti della religione germanica (strano per degli intenti nazionalisti !), oppure a ritrovare spesso aspetti più limpidi dell'ethos indoeuropeo in Grecia e a Roma (anche questo poco funzionale per interessi politici o razziali dei nordico-germanici o peggio del suprematismo anglosassone !!!).

Sulla questione del Destino/Fato non concordo completamente con la "revisione" di Incardona e nemmeno di Evola, ma è un punto piuttosto complesso, che richiederebbe delle precisazioni preliminari.

Sulla questione dell'etica "aristocratica", ci andrei cautamente con i paragoni con altri contesti; del resto il Giappone è un caso piuttosto singolare ed "originale", che mal si presta agli esempi.

Infine una osservazione generale: da tempo mi sembra di percepire in ambienti culturali e spirituali "identitari" o "tradizionalisti" una reazione uguale e contraria agli usi strumentali e tendenziosi dell'arianità, reazione non meno strumentale e tendenziosa, per vari motivi:


motivo principale, è una reazione che va pericolosamente oltre misura, quando oltre a negare errori o strumentalizzazioni nega l'arianità stessa;
è ugualmente strumentale, poichè spesso è ispirata a sua volta da moventi etnico-politici di piccolo cabotaggio, come il nazionalismo piccolo-italiano o addirittura il suprematismo "mediterraneo" od orientale, nonchè il solito cliché da dimenticare dei barbari selvaggi etc etc...! ;
è ampiamente fuori tempo, il che fa pensare che questi fenomeni di reazione "antinordicista" non siano capaci di una sufficiente contestualizzazione e messa in prospettiva storica dei presunti abusi, oppure che siano perturbati da fattori emotivi e non-disciplinari;

Orazio Coclite
10-10-04, 00:24
Originally posted by Mjollnir
Leggendo il titolo mi aspettavo una tirata di sapore satyriconiano (e mi perdoni il nostro stimato e bravo forumista, ma non c'era termine più calzante per significare una certa attitudine.
Stimato amico, come avrai oramai avuto modo di capire il sottoscritto difficilmente ama prendere posizione per mera partigianeria di questa o quella idea. E dal mio punto di vista, ossia di chi cerca la verità tra il chiasso della propaganda e degli interessi particolari, sia Semeraro, Bernal e Cheikh Anta Diop da un lato, così come Günther, Romualdi e Kemp dall'altro, sono per me parimenti espressioni di miti che hanno più a che vedere con le contigenze politiche del loro tempo piuttosto che con l'autentica ricerca storica.
Da grande ammiratore di Giuseppe Verdi quale sono, grandissimo compositore e patriota, posso solo dirti che: "Questa o quella per me pari sono."



Invece non si arriva a negare l'esistenza degli Indoeuropei, ma semplicemente a correggere il tiro su alcuni punti. Bene, il discorso ne guadagna in verosimiglianza.
Roberto Incardona è da decenni uno studioso serio e giudizioso della tradizione italica. Trovo quindi assai ingenerose queste tue considerazioni, e finanche improntante a una qualche arroganza. Incardona non ha mai negato la realtà indoeuropea, e francamente non capisco nemmeno perché dovrebbe? Non capisco quindi in cosa consista il tuo farlo salvo da queste considerazioni che nulla hanno con lui a vedere. Lo stesso termine da te usato, 'verosimiglianza', sottende ai miei occhi ad una posizione di declamata superiorità che si trova contrapposta a qualcosa viziato da errore. Ma io francamente questa posizione non riesco affatto a coglierla. Cerchiamo quindi di essere quanto più chiari possibile per non ricadere in errori. Considera infine che lo scritto risale al 1989, ossia ben 15 anni fa.
Ti ripeto infine che mi sento equidistante dalle varie concezioni del mito, siano esse nordiciste, afrocentriste o chissà cos'altro. Ho letto con vivo interesse quanto scritto da te finora sul Günther, ma mi astengo dall'entrare nel merito della discussione, dato che lo considero comunque un autore interessante al pari di Wirth e Altheim, seppure irrimediabilmente datati e superati alla luce degli studi e delle scoperte più recenti. Ma è un argomento vasto, e quindi, come già detto, mi asterrò per il momento riservandomi magari un futuro contributo.



oppure a ritrovare spesso aspetti più limpidi dell'ethos indoeuropeo in Grecia e a Roma (anche questo poco funzionale per interessi politici o razziali dei nordico-germanici o peggio del suprematismo anglosassone !!!).
Mah, va da sè che dando per scontata questa presuntissima nordicità dei romani prischi, è giocoforza inifluente una preminenza accordata al mondo greco-romano quando poi lo stesso si trova comunque forzosamente inserito nel contesto delle razze nordiche. O mi sbaglio?



Infine una osservazione generale: da tempo mi sembra di percepire in ambienti culturali e spirituali "identitari" o "tradizionalisti" una reazione uguale e contraria agli usi strumentali e tendenziosi dell'arianità, reazione non meno strumentale e tendenziosa, per vari motivi.
E' una realtà che va avanti da decenni ormai, come logica vuole laddove si verifichino contrasti che danno vita a dispute di carattere accademico. Penso ad esempio al libello di Jacopo Da Coreglia su Ghibellinismo dantesco e tradizione italica che risale al 1979, a dimostrazione che nonostante la colonizzazione culturale operata da modelli d'importazione nordeuropei in Italia rimane vivo il desiderio di interpretare e conoscere le proprie radici per tramite delle proprie conoscenze dirette ed immediate e non con schemini e formulette pre-digeriti da una cultura che ha chiaramente mostrato le proprie mire egemoniche.



motivo principale, è una reazione che va pericolosamente oltre misura, quando oltre a negare errori o strumentalizzazioni nega l'arianità stessa;
Questo è un argomento invero interessante e complicato. Ad oggi anch'io ho molte perplessità al riguardo. Lo studio dell'indoeuropeistica va avanti, e forse ci vorranno ancora molti altri anni per arrivare ad intravedere la verità. Fatto sta che ho trovato molto interessanti le analisi effettuate da Mario Alinei e dal suo gruppo di studi. Evito però di pronunciarmi non ritenendo di avere le conoscenze adeguate per poter dire la mia su quella che è una questione assai ingarbugliata e basantesi su studi linguistici di cui non posso proprio dirmi un esperto ( il forumista Lupo Mannaro invece potrebbe, a differenza di me, dir la sua con una certa qual cognizione di causa).



è ugualmente strumentale, poichè spesso è ispirata a sua volta da moventi etnico-politici di piccolo cabotaggio, come il nazionalismo piccolo-italiano o addirittura il suprematismo "mediterraneo" od orientale, nonchè il solito cliché da dimenticare dei barbari selvaggi etc etc...!;
Secondo me stai rivoltando la proverbiale frittata. Perché sappiamo tutti che una certa impostazione culturale figlia dell'egemonia politica e coloniale inglese ed europea ha portato nei secoli scorsi all'affermarsi di teorie suprematiste basantesi sovente su interpretazioni del tutto personali dei fatti. La risposta al profluvio di arbitrarietà in cui anche tanti studiosi italiani sono caduti è, perlomeno nel nostro caso di europei meridionali (ossia dalle Alpi a scendere), null'altro che il sacrosanto diritto alla salvaguardia della propria cultura contro la colonizzazione culturale di modelli che stanno ormai impietosamente mostrando i propri limiti.
Che poi da un estremo si passi ad un altro è cosa scontata. L'importante è mantenere sempre una drittura interiore cercando di valutare i dati con il metro del giudizio e della equidistanza dalle mode e dalle politiche in atto.
Unico appunto che posso muoverti è quello dei barbari selvaggi che, sebbene non lo fossero in proprio, lo divenivano comunque impietosamente una volta posti in paragone con la grandezza e la manifesta superiorità del mondo greco-romano. E questo è un dato di fatto incontrovertibile per quanti riconoscono il significato della gerarchia e della diversità. D'altronde se c'è un fattore superiore dovrà per forza essercene anche uno inferiore, o sbaglio?
Tanto per fare un esempio chiarificatore: cosa sappiamo oggi di quei barbari che vivevano al di fuori del limes danubiano? Delle loro usanze e della loro religione? Ben poco o quasi nulla. Qualcosa di più sappiamo invece al riguardo di quei popoli barbari che vivevano all'interno dell'Impero o con i quali i romani entrarono in contatto. Quindi il fattore superiore dato dalla civiltà romana ci ha portato testimonianza di popoli e culture che laddove i romani non sono arrivati sono spariti nell'oblio dei tempi senza lasciarci né un nome, né uno scritto e la cui storia riusciamo oggigiorno ad intravedere solamente grazie alle scoperte archeologiche.
Quindi mi spiace ma rifiuto recisamente il relativismo portato all'estremo così come il mondo dell'uguale che pone tutto su uno stesso piano livellatore.



è ampiamente fuori tempo, il che fa pensare che questi fenomeni di reazione "antinordicista" non siano capaci di una sufficiente contestualizzazione e messa in prospettiva storica dei presunti abusi, oppure che siano perturbati da fattori emotivi e non-disciplinari;
Mah, in Italia anche in un ambiente asfittico e auto-referenziale come quello tradizionalista sono decenni che esistono esegesi di carattere identitario che vanno oltre le mitografie del secolo scorso. Ovviamente certe voci tardano ad affermarsi proprio laddove è presente una forte colonizzazione culturale e uno scarso amore per la propria, come nel caso della nostra povera nazione.
Trovo inoltre poco comprensibile questa tua considerazione proprio in ragione del fatto che comunque nel mondo degli studi accademici sovente ci sono voluti decenni, quando non addirittura secoli, per permettere ad una correzione od inversione di tendenza di prendere piede.
E comunque al di fuori del nostro ambiente tradizionalista il nordicismo è stato ampiamente sconfessato e confutato, anche se magari per tramite della diffusione dell'ennesima forma di conformismo culturale che non sempre serve gli interessi della verità.
Per cui la 'reazione antinordicista', come tu la chiami, non solo esiste da tempo, ma è anche preminente e diffusa in confronto ai propugnatori del nordicismo oramai in nettissima minoranza.
Quindi anche qui non riesco a capire bene le tue rimostranze.

Questi i miei pensieri in libertà.
Saluti.

Mjollnir
11-10-04, 02:06
In Origine Postato da Orazio Coclite

Roberto Incardona è da decenni uno studioso serio e giudizioso della tradizione italica. Trovo quindi assai ingenerose queste tue considerazioni, e finanche improntante a una qualche arroganza. Incardona non ha mai negato la realtà indoeuropea, e francamente non capisco nemmeno perché dovrebbe? Non capisco quindi in cosa consista il tuo farlo salvo da queste considerazioni che nulla hanno con lui a vedere.

Ma infatti non mi riferivo a Incardona...



In Origine Postato da Orazio Coclite

Mah, va da sè che dando per scontata questa presuntissima nordicità dei romani prischi, è giocoforza inifluente una preminenza accordata al mondo greco-romano quando poi lo stesso si trova comunque forzosamente inserito nel contesto delle razze nordiche. O mi sbaglio?

Non credo proprio che ciò sarebbe stato ininfluente, tenendo presente il presunto quadro di strumentalizzazione etnico-politica del nazionalismo tedesco. Pensa solo alle critiche che Günther muove alla figura di Odino. Voglio dire, un conto è un Chamberlain che arrivava a scrivere il grado di civiltà di un popolo si misura direttamente dalla percentuale di biondismo in esso presente (cito a memoria, perdonami eventuali imprecisioni), e un conto è il Günther, di ben altro livello !
Pensa allo stesso Evola, che qui da noi viene bistrattato da alcuni come testa di ponte di questi abusi nordicisti, mentre dai nazionalsocialisti venne invece guardato con molto sospetto e distacco.



In Origine Postato da Orazio Coclite

Questo è un argomento invero interessante e complicato. Ad oggi anch'io ho molte perplessità al riguardo. Lo studio dell'indoeuropeistica va avanti, e forse ci vorranno ancora molti altri anni per arrivare ad intravedere la verità. Fatto sta che ho trovato molto interessanti le analisi effettuate da Mario Alinei e dal suo gruppo di studi. Evito però di pronunciarmi non ritenendo di avere le conoscenze adeguate per poter dire la mia su quella che è una questione assai ingarbugliata e basantesi su studi linguistici di cui non posso proprio dirmi un esperto ( il forumista Lupo Mannaro invece potrebbe, a differenza di me, dir la sua con una certa qual cognizione di causa).


La retrodatazione della formazione dei gruppi linguistici indoeuropei mi sembra plausibile, meno plausibile mi sembra il modello diffusionista in ambito geografico: lo trovo incapace di spiegare mutamenti di grande profondità.
Neanch'io sono un esperto di linguistica, e preferisco attenermi al piano speculativo e della visione del mondo. Attenzione però alla corrente di ricerca che citi, la quale bordeggia volentieri il monogenismo, le tesi di Cavalli Sforza e - ohibò che sorpresa - l'afrocentrismo.




In Origine Postato da Orazio Coclite

Secondo me stai rivoltando la proverbiale frittata. Perché sappiamo tutti che una certa impostazione culturale figlia dell'egemonia politica e coloniale inglese ed europea ha portato nei secoli scorsi all'affermarsi di teorie suprematiste basantesi sovente su interpretazioni del tutto personali dei fatti. La risposta al profluvio di arbitrarietà in cui anche tanti studiosi italiani sono caduti è, perlomeno nel nostro caso di europei meridionali (ossia dalle Alpi a scendere), null'altro che il sacrosanto diritto alla salvaguardia della propria cultura contro la colonizzazione culturale di modelli che stanno ormai impietosamente mostrando i propri limiti.
Che poi da un estremo si passi ad un altro è cosa scontata. L'importante è mantenere sempre una drittura interiore cercando di valutare i dati con il metro del giudizio e della equidistanza dalle mode e dalle politiche in atto.
Unico appunto che posso muoverti è quello dei barbari selvaggi che, sebbene non lo fossero in proprio, lo divenivano comunque impietosamente una volta posti in paragone con la grandezza e la manifesta superiorità del mondo greco-romano. E questo è un dato di fatto incontrovertibile per quanti riconoscono il significato della gerarchia e della diversità. D'altronde se c'è un fattore superiore dovrà per forza essercene anche uno inferiore, o sbaglio?

Questa è una posizione contraddittoria: non si capisce perchè una certa impostazione culturale sarebbe fondata su "mire egemoniche" e un'altra invece sarebbe solo - più innocentemente - la difesa della propria identità culturale.
In parole povere: perché l' imperialismo anglosassone sarebbe da condannare e quello romano no ? Ti rendi conto che non si può parlare di giusta reazione e una riga dopo proclamare la "manifesta superiorità dei Romani" ? Come equidistanza non è affatto credibile.



In Origine Postato da Orazio Coclite

Tanto per fare un esempio chiarificatore: cosa sappiamo oggi di quei barbari che vivevano al di fuori del limes danubiano? Delle loro usanze e della loro religione? Ben poco o quasi nulla. Qualcosa di più sappiamo invece al riguardo di quei popoli barbari che vivevano all'interno dell'Impero o con i quali i romani entrarono in contatto. Quindi il fattore superiore dato dalla civiltà romana ci ha portato testimonianza di popoli e culture che laddove i romani non sono arrivati sono spariti nell'oblio dei tempi senza lasciarci né un nome, né uno scritto e la cui storia riusciamo oggigiorno ad intravedere solamente grazie alle scoperte archeologiche.
Quindi mi spiace ma rifiuto recisamente il relativismo portato all'estremo così come il mondo dell'uguale che pone tutto su uno stesso piano livellatore.


Non posso farti passare praticamente nulla di quanto sopra. Sai bene che il rullo compressore rappresentato dal cristianesimo ha distrutto quasi tutto quello che ha trovato sul suo cammino. Questo non permette di dedurre che i popoli fuori dal limes fossero inferiori, ma semplicemente che di essi noi conosciamo pochissimo.
Sai bene anche che tali popoli si fondavano sulla tradizione orale e non scritta (carattere che invece per me mostra una sensibilità metafisica superiore rispetto a civiltà storicistiche e "razionalistiche" come quelle classiche). Sai bene anche che tali popoli non erano ignari della scrittura, ma che la utilizzavano solo per scopi rituali, e non per lasciare testimonianza sistematica di sé.
É evidente che, date queste caratteristiche, la persistenza di queste culture sarebbe stata possibile solo in condizioni di relativo isolamento, di supremazia politica e/o di forte conservatorismo sociale.
Per alcuni di questi popoli, ad es. i Celti, queste condizioni sono venute meno proprio a causa dei Romani, che hanno - ebbene sì - le loro gravi colpe. Un Tiberio che reprime l'insegnamento druidico, nel momento in cui la classe druidica è l'unica depositaria della cultura celtica "alta", per di più orale, praticamente colpisce al cuore ed uccide la tradizione celtica, né più né meno. Importa poco poi che qualche storico od annalista romano abbia riportato alcune notizie di popoli assorbiti o in via di assorbimento.
É quindi paradossale, nonché di pessimo gusto, che tu adduca come inferiorità dei "barbari" il fatto che di essi è rimasto poco, anche a causa di coloro che, lungi da essere i salvatori delle loro culture, ne furono gli affossatori.
Non è un caso, infatti, che non sappiamo praticamente nulla dei miti e della religione della Gallia continentale, mentre la principale fonte in questo campo è l'Irlanda, che non ha subito la presenza romana.



In Origine Postato da Orazio Coclite
Mah, in Italia anche in un ambiente asfittico e auto-referenziale come quello tradizionalista sono decenni che esistono esegesi di carattere identitario che vanno oltre le mitografie del secolo scorso. Ovviamente certe voci tardano ad affermarsi proprio laddove è presente una forte colonizzazione culturale e uno scarso amore per la propria, come nel caso della nostra povera nazione.
Trovo inoltre poco comprensibile questa tua considerazione proprio in ragione del fatto che comunque nel mondo degli studi accademici sovente ci sono voluti decenni, quando non addirittura secoli, per permettere ad una correzione od inversione di tendenza di prendere piede.
E comunque al di fuori del nostro ambiente tradizionalista il nordicismo è stato ampiamente sconfessato e confutato, anche se magari per tramite della diffusione dell'ennesima forma di conformismo culturale che non sempre serve gli interessi della verità.
Per cui la 'reazione antinordicista', come tu la chiami, non solo esiste da tempo, ma è anche preminente e diffusa in confronto ai propugnatori del nordicismo oramai in nettissima minoranza.
Quindi anche qui non riesco a capire bene le tue rimostranze.



Ma è proprio questo il punto, che tale reazione ha esaurito la sua funzione eppure non viene metabolizzata, non sparisce. In questo modo impedisce di trovare un nuovo equilibrio che faccia giustizia di tutti gli estremi. E qui mi riferisco non tanto agli ambienti accademici e scientifici ufficiali, che possono anche fare con comodo, ma a quelli "militanti", che avrebbero così bisogno di superare questi campanilismi intracontinentali dannosi e portatori di divisioni.

In ultimo devo dire che nelle mie pie (?) intenzioni questo forum era nato anche con lo scopo di superare l'eterna diatriba Nord-Sud d'Europa nel campo dello spirito, quindi il fatto che tu esca a parlare di civiltà/barbari a questo punto suona come una secca sconfitta di queste intenzioni. :( :( :(

Orazio Coclite
13-10-04, 17:14
Originally posted by Mjollnir
Ma infatti non mi riferivo a Incardona...
Scusami allora, ma da come era messa la sequenza ed il tono delle risposte è stato facile equivocare.



Pensa solo alle critiche che Günther muove alla figura di Odino. Voglio dire, un conto è un Chamberlain che arrivava a scrivere il grado di civiltà di un popolo si misura direttamente dalla percentuale di biondismo in esso presente (cito a memoria, perdonami eventuali imprecisioni), e un conto è il Günther, di ben altro livello!
Concordo col tuo giudizio. Se rileggi quello che ho scritto nel mio precedente intervento vedrai che infatti assolvo in parte Günther addossandogli l'unica colpa di essere coevo ai suoi tempi, per cui superato oggigiorno.



Pensa allo stesso Evola, che qui da noi viene bistrattato da alcuni come testa di ponte di questi abusi nordicisti, mentre dai nazionalsocialisti venne invece guardato con molto sospetto e distacco.
Beh, non vorremo adesso porre su di uno stesso piano la critica evoliana o comunque d'area sviluppatasi del dopoguerra in Italia con i vecchi e moderni esegeti del nazionalsocialismo, ancora pesantemente ancorati alla radice sciovinista e razzista della propria dottrina politica?



Neanch'io sono un esperto di linguistica, e preferisco attenermi al piano speculativo e della visione del mondo. Attenzione però alla corrente di ricerca che citi, la quale bordeggia volentieri il monogenismo, le tesi di Cavalli Sforza e - ohibò che sorpresa - l'afrocentrismo.
Io ho solo detto che la trovo interessante e degna di ulteriori approfondimenti, una volta letto cosa avranno da dire tirerò le mie somme, questo è di solito il mio metodo d'indagine. Nessuna pregiudiziale.
Piuttosto mi spiegheresti meglio di questo connubio tra afrocentrismo e monogenetismo e Cavalli Sforza? Grazie.



Questa è una posizione contraddittoria: non si capisce perchè una certa impostazione culturale sarebbe fondata su "mire egemoniche" e un'altra invece sarebbe solo - più innocentemente - la difesa della propria identità culturale.
Francamente non vedo alcuna contraddizione. Perché contro una cultura pervasiva e fedifraga dedita al furto e all'appropriazione indebita quale questa moderna d'impronta anglo-giudaica, l'unica arma è la salvaguardia delle radici, ossia la difesa della propria identità culturale. Mi pare un discorso semplice e diretto.



In parole povere: perché l' imperialismo anglosassone sarebbe da condannare e quello romano no?
Perché esiste appunto una abissale differenza tra il concetto di Impero tradizionale quale fu quello romano e invece l'imperialismo moderno tipo quello inglese. Ritengo tu conosca bene la differenza senza che sia io a qui dovertela ripetere.



Ti rendi conto che non si può parlare di giusta reazione e una riga dopo proclamare la "manifesta superiorità dei Romani" ? Come equidistanza non è affatto credibile.
Perdonami, ma anche qui ho serie difficoltà a seguirti. E' forse la storia un elemento oggettivo? E' possibile porre tutte le culture, tutti i popoli e tutte le religioni su uno stesso piano qualitativo? Sei forse un relativista a cui piace l'uguaglianza e il livellamento? Mi sembra proprio di no, quindi non riesco a capire queste tue perplessità.
Perché dal momento che esistono le sacrosante differenze qualitative, noi non possiamo porre Roma, che assieme alla Grecia fu il faro autentico della civiltà in Europa e nel mondo, allo stesso livello delle altre culture esistenti. Roma fu Roma proprio perché seppe innalzarsi al di sopra delle contingenze del suo tempo dimostrandosi superiore per forza, fedeltà, rispetto degli Dei, cultura, disciplina e molto altro. In questo si fonda la sua oggettiva e qualitativa superiorità. E la cosa mi pare acclarata. Altrimenti perché tanto clamore nei confronti dell'Impero Romano? Perché tanta attenzione?



Non posso farti passare praticamente nulla di quanto sopra. Sai bene che il rullo compressore rappresentato dal cristianesimo ha distrutto quasi tutto quello che ha trovato sul suo cammino. Questo non permette di dedurre che i popoli fuori dal limes fossero inferiori, ma semplicemente che di essi noi conosciamo pochissimo.
Ripeto il concetto prima espresso. Non dico che gli altri popoli furono inferiori in quanto tali, ma di certo lo furono se posti in raffronto a Roma, che fu il culmine dell'evo antico.



Sai bene anche che tali popoli si fondavano sulla tradizione orale e non scritta (carattere che invece per me mostra una sensibilità metafisica superiore rispetto a civiltà storicistiche e "razionalistiche" come quelle classiche). Sai bene anche che tali popoli non erano ignari della scrittura, ma che la utilizzavano solo per scopi rituali, e non per lasciare testimonianza sistematica di sé.
Ecco, questa può essere una mozione interessante. Anche se mi riesce difficile collegare il concetto di civiltà alla tramissione culturale per via esclusivamente orale. Per fortuna che il divario esistente verte anche su molte altre cose che non siano solo questa, aiutandoci ad inquadrare la questione in un più ampio contesto.
Tema questo che necessiterebbe comunque di maggiore approfondimento.



Per alcuni di questi popoli, ad es. i Celti, queste condizioni sono venute meno proprio a causa dei Romani, che hanno - ebbene sì - le loro gravi colpe. Un Tiberio che reprime l'insegnamento druidico, nel momento in cui la classe druidica è l'unica depositaria della cultura celtica "alta", per di più orale, praticamente colpisce al cuore ed uccide la tradizione celtica, né più né meno. Importa poco poi che qualche storico od annalista romano abbia riportato alcune notizie di popoli assorbiti o in via di assorbimento.
Nessuno nega che molte nequizie avvennero per mezzo del ferro romano, come l'esempio dei druidi celta ci mostra. Però non cadiamo nell'errore di interpretare la storia come un teatrino di buoni e cattivi perché cadremmo in un errore semmai peggiore: quello di moralizzare e giudicare a posteriori vicende che invece dovrebbero essere comprese e assimilate in maniera corretta e senza sentimentalismi.
Mi preme inoltre far notare che la scomparsa del sapere dei druidi non è comunque imputabile totalmente ai romani, perché fu con all'avvento del cristianesimo che i tanti druidi ancora rimasti in circolazione decisero senza coercizione alcuna di convertirsi alla nuova fede, relegando definitivamente nell'oblio il loro antico sapere.
E comunque ricordiamo sempre la proverbiale tolleranza romana per i culti degli altri popoli, anche se nemici, e il rispetto sempre riposto nei confronti del sacro.



É quindi paradossale, nonché di pessimo gusto, che tu adduca come inferiorità dei "barbari" il fatto che di essi è rimasto poco, anche a causa di coloro che, lungi da essere i salvatori delle loro culture, ne furono gli affossatori.
Mah, non è col moralismo che si interpretano i rivolgimenti storici. E nonostante ciò fatico ancora a seguire la tua linea logica, perché di quel poco che conosciamo dei barbari europei molto è dovuto alla documentazione raccolta dai romani, cosa che invece non accade làddove i romani non arrivarono. Mi citi poi l'Irlanda come maggiore fonte delle nostre conoscenze attuali sui miti e le religioni dei Celti, ma l'Irlanda, per tramite della Britannia subì comunque l'influsso romano. Sarebbe poi da chiarire a quale fonti tu ti riferisca esattamente, e anche al periodo storico, perché, per quanto mi sovviene, le stesse dovrebbero essere tutte posteriori alla romanizzazione della Britannia e anche al cristianesimo, giusto? E questo invaliderebbe questa tua considerazione.
Non era quindi colpa dei romani se i popoli barbarici non avevano una propria annalistica, ma anzi sarebbe importante cercare di capire la portata dell'impatto culturale romano sulle isole britanniche del tempo. E lo stimolo che diedero allo sviluppo delle arti e della cultura, e quindi della memorialistica.



In ultimo devo dire che nelle mie pie (?) intenzioni questo forum era nato anche con lo scopo di superare l'eterna diatriba Nord-Sud d'Europa nel campo dello spirito, quindi il fatto che tu esca a parlare di civiltà/barbari a questo punto suona come una secca sconfitta di queste intenzioni.
Io in questo forum ci vengo per discutere di paganesimo, ma mai e poi mai sarei concorde a svilire e snaturare le radici della mia cultura per adattarle ad un utopica uguaglianza che di fatto mai esistette anticamente così come oggigiorno. Siamo tutti diversi, c'è chi è meglio in una cosa e invece peggio in un'altra, ed è bene che tu ne prenda atto onde evitare di perderti in strane utopie livellatrici. Cosa vogliamo fare? Negare le contingenze e i fatti storici per richiamarci ad una mai esistita uguaglianza?
Bisogna invece ritrovare l'orgoglio nelle proprie radici, qualunque esse siano, l'orgoglio di stirpe che ci lega alla nostra terra. Specie noi italiani che abbiamo una lunga storia di cui possiamo andare solo che orgogliosi.

In ultimo una domanda, ma che cosa ti avranno mai fatto di male i nostri antenati tanto da bistrattarli continuamente paragonandoli alla stregua dei popoli barbarici e negandogli gli oneri e il primato che tutto il mondo da sempre gli riserva? Essere italiani e discendenti di Roma è d'altronde un onore di cui si può solo che andare orgogliosi.

Ciao.

Mjollnir
13-10-04, 19:23
In Origine Postato da Orazio Coclite
Concordo col tuo giudizio. Se rileggi quello che ho scritto nel mio precedente intervento vedrai che infatti assolvo in parte Günther addossandogli l'unica colpa di essere coevo ai suoi tempi, per cui superato oggigiorno.

Bene, ma pensa allora quanto è superato il dualismo civiltà/barbari, che tu invece accarezzi costantemente !



In Origine Postato da Orazio Coclite
Beh, non vorremo adesso porre su di uno stesso piano la critica evoliana o comunque d'area sviluppatasi del dopoguerra in Italia con i vecchi e moderni esegeti del nazionalsocialismo, ancora pesantemente ancorati alla radice sciovinista e razzista della propria dottrina politica?


Intendevo dire che alcune accuse ingenerose verso Evola - non dico mosse espressamente da te - come il pangermanismo, le "fisime nordiciste" etc... sono state smentite già all'epoca per mezzo del banco di prova più efficace che potesse esservi, ossia il pangermanismo nordicista della NSDAP. Quindi il fatto che vengano ancora riproposte, da parte di una certa "critica d'area", mi sa tanto di malafede, tanto più che già nei suoi scritti Evola aveva affermato che la tesi nordico-aria non era affatto al servizio del nazionalismo tedesco o di altre contingenze politiche.
Il volume su Il mistero iperboreo della Fondazione Evola, curato da Alberto, a questo proposito è molto chiarificatore.




In Origine Postato da Orazio Coclite
Piuttosto mi spiegheresti meglio di questo connubio tra afrocentrismo e monogenetismo e Cavalli Sforza? Grazie.

Come ho detto non sono un esperto né di linguistica nè di antropologia, ho semplicemente constatato che non di rado le critiche all'indoeuropeistica partono da modelli già predeterminati (come l'origine africana dell'Homo Sapiens) oppure ancora peggio da intenti ideologico-politici ben precisi, e quindi non hanno nulla a che fare con la ricerca della verità delle cose.



In Origine Postato da Orazio Coclite
Francamente non vedo alcuna contraddizione. Perché contro una cultura pervasiva e fedifraga dedita al furto e all'appropriazione indebita quale questa moderna d'impronta anglo-giudaica, l'unica arma è la salvaguardia delle radici, ossia la difesa della propria identità culturale. Mi pare un discorso semplice e diretto.

Sì ma perchè questo discorso deve valere solo per gli Europei del Sud ? Permetti che se un Europeo del centro o del nord si sente tacciato di barbarie e inferiorità culturale, se gli si dice che la civiltà gliel'hanno portata da fuori, ha la stessa legittima reazione di voler difendere le proprie radici ?
Inoltre: non erano i Romani che prima di muovere guerra ufficialmente ad altri popoli cercavano di avocare a sé i loro Déi ? E quale appropriazione e invasività è peggiore di quella che spezza la fedeltà tra uomini e Dèi ? Secondo te questi popoli come la prendevano questa prassi ??



In Origine Postato da Orazio Coclite
Perché esiste appunto una abissale differenza tra il concetto di Impero tradizionale quale fu quello romano e invece l'imperialismo moderno tipo quello inglese. Ritengo tu conosca bene la differenza senza che sia io a qui dovertela ripetere.

Sì ma Roma non fu l'unico Impero dell'antichità, men che meno della storia. Essa stessa cozzò contro altri Imperi. Perchè quindi dovrebbe essere stato l'unico "tradizionale" ?



In Origine Postato da Orazio Coclite
Perdonami, ma anche qui ho serie difficoltà a seguirti. E' forse la storia un elemento oggettivo? E' possibile porre tutte le culture, tutti i popoli e tutte le religioni su uno stesso piano qualitativo? Sei forse un relativista a cui piace l'uguaglianza e il livellamento? Mi sembra proprio di no, quindi non riesco a capire queste tue perplessità.

Io non perseguo il livellamento, io combatto il suprematismo infraeuropeo. La tua assolutizzazione della romanità alimenta tale suprematismo, il quale genera legittime reazioni. Per superare le reazioni, bisogna superarne anche la causa.




In Origine Postato da Orazio Coclite
Perché dal momento che esistono le sacrosante differenze qualitative, noi non possiamo porre Roma, che assieme alla Grecia fu il faro autentico della civiltà in Europa e nel mondo, allo stesso livello delle altre culture esistenti. Roma fu Roma proprio perché seppe innalzarsi al di sopra delle contingenze del suo tempo dimostrandosi superiore per forza, fedeltà, rispetto degli Dei, cultura, disciplina e molto altro. In questo si fonda la sua oggettiva e qualitativa superiorità. E la cosa mi pare acclarata. Altrimenti perché tanto clamore nei confronti dell'Impero Romano? Perché tanta attenzione?


Ciò che è sbagliato è l'approccio alla radice, ossia parlare della civiltà tout court. Il tuo errore è passare da un etnocentrismo pratico, che indica delle priorità, ad una comparazione gerarchica teorica, che pretenderebbe di cogliere degli status oggettivi. Cioé: è abbastanza naturale che un Sudeuropeo privilegi le componenti romane e mediterranee della sua identità, ma ciò non toglie che altri ne possano privilegiare altre.

Passiamo in rassegna i caratteri della "superiorità" romana:

forza: a che forza ci si riferisce ? Alla forza militare ? Vero, fu tra le macchine belliche più potenti del mondo antico. Ma non conquistò non dico tutto il mondo, ma nemmeno tutta l'Europa. Fu fermata dai "barbari" senza "disciplina". Ma poi, la forza militare è un carattere "tradizionale" ? Gli Usa, unica iperpotenza mondiale, sono allora "tradizionali" ?

fedeltà: ai propri Dèì ? Alle proprie radici ? E perchè dovremmo ritenere che fuori dal limes queste qualità fossero presenti in minor grado ?


rispetto degli Dei: ved. sopra. Con l'aggravante dell'appropriazione sistematica di cui si diceva.

cultura: mah, niente di più aleatorio. Questa è una petizione di principio.



In Origine Postato da Orazio Coclite
Ripeto il concetto prima espresso. Non dico che gli altri popoli furono inferiori in quanto tali, ma di certo lo furono se posti in raffronto a Roma, che fu il culmine dell'evo antico.

Secondo i canoni di chi ? Dei Romani ?


In Origine Postato da Orazio Coclite
Nessuno nega che molte nequizie avvennero per mezzo del ferro romano, come l'esempio dei druidi celta ci mostra. Però non cadiamo nell'errore di interpretare la storia come un teatrino di buoni e cattivi perché cadremmo in un errore semmai peggiore: quello di moralizzare e giudicare a posteriori vicende che invece dovrebbero essere comprese e assimilate in maniera corretta e senza sentimentalismi.

Ma infatti, non si tratta di moralismo, bensì di valutazioni storiche.
Mi sembra incontestabile che sul continente la romanizzazione fu il principale fattore di disgregazione della tradizione celtica.



In Origine Postato da Orazio Coclite
Mi preme inoltre far notare che la scomparsa del sapere dei druidi non è comunque imputabile totalmente ai romani, perché fu con all'avvento del cristianesimo che i tanti druidi ancora rimasti in circolazione decisero senza coercizione alcuna di convertirsi alla nuova fede, relegando definitivamente nell'oblio il loro antico sapere.

Questo al max vale appunto per l'Irlanda e altre regioni celtiche non romanizzate. Sul continente il cristianesimo trova già un sincretismo gallo-romano, in cui l'istituzione del druidismo e il suo patrimonio non esistono più come tali.
Le autorità romane, prima del cristianesimo, vietano l'insegnamento druidico. Ed è ovvio che se il druido non può insegnare, le conoscenze si perdono.



In Origine Postato da Orazio Coclite
E comunque ricordiamo sempre la proverbiale tolleranza romana per i culti degli altri popoli, anche se nemici, e il rispetto sempre riposto nei confronti del sacro.


Una immagine che forse bisognerebbe cominciare a rivisitare...



In Origine Postato da Orazio Coclite
E nonostante ciò fatico ancora a seguire la tua linea logica, perché di quel poco che conosciamo dei barbari europei molto è dovuto alla documentazione raccolta dai romani, cosa che invece non accade làddove i romani non arrivarono.

Semplifico al max: la scrittura e la documentazione possono arrivare anche al seguito di una forza distruttiva, ad es una aggressione militare. Ma a quel punto chi se ne frega. Invece di sapere qualcosa dei druidi da Cesare, avrei preferito saperlo direttamente dai loro eredi contemporanei.



In Origine Postato da Orazio Coclite
Mi citi poi l'Irlanda come maggiore fonte delle nostre conoscenze attuali sui miti e le religioni dei Celti, ma l'Irlanda, per tramite della Britannia subì comunque l'influsso romano.

Ma andiamo, Orazio ! Finora in Irlanda si sono trovate solo alcune monete romane !!! E cmq il "notaio" della mitologia irlandese è stato il monachesimo insulare, non gli annalisti romani. Non esistono documenti scritti in latino che ci informano sulla religione irlandese al di fuori al di fuori o prima della cristianizzazione.



In Origine Postato da Orazio Coclite
Sarebbe poi da chiarire a quale fonti tu ti riferisca esattamente, e anche al periodo storico, perché, per quanto mi sovviene, le stesse dovrebbero essere tutte posteriori alla romanizzazione della Britannia e anche al cristianesimo, giusto? E questo invaliderebbe questa tua considerazione.

Non la invalida, perchè dimostra che una zona non romanizzata ci ha conservato più materiale di una romanizzata. Quindi smentisce che la romanizzazione fu l'unico canale di documentazione.




In Origine Postato da Orazio Coclite
Non era quindi colpa dei romani se i popoli barbarici non avevano una propria annalistica, ma anzi sarebbe importante cercare di capire la portata dell'impatto culturale romano sulle isole britanniche del tempo. E lo stimolo che diedero allo sviluppo delle arti e della cultura, e quindi della memorialistica.

Infatti, la colpa dei Romani è quella di avere distrutto i portatori viventi della memoria..
Il tuo limite invece è quello di non cogliere che non tutti sono tenuti ad avere una annalistica, ma non per questo sono inferiori.



In Origine Postato da Orazio Coclite
Io in questo forum ci vengo per discutere di paganesimo, ma mai e poi mai sarei concorde a svilire e snaturare le radici della mia cultura per adattarle ad un utopica uguaglianza che di fatto mai esistette anticamente così come oggigiorno. Siamo tutti diversi, c'è chi è meglio in una cosa e invece peggio in un'altra, ed è bene che tu ne prenda atto onde evitare di perderti in strane utopie livellatrici. Cosa vogliamo fare? Negare le contingenze e i fatti storici per richiamarci ad una mai esistita uguaglianza?
Bisogna invece ritrovare l'orgoglio nelle proprie radici, qualunque esse siano, l'orgoglio di stirpe che ci lega alla nostra terra. Specie noi italiani che abbiamo una lunga storia di cui possiamo andare solo che orgogliosi.


Non mi pare di aver mai sostenuto utopie livellatrici. Al contrario le mie posizioni vanno nel senso di una maggiore attenzione alla multiformità.
La mia constatazione è che l'Europa precristiana non inizia e non finisce con Roma. La romanità deve quindi essere relativizzata, non può essere il punto dove tutto si riassume e a cui tutto si riconduce. Roma fu un centro spirituale "tradizionale" importante ed anche, dal punto di vista politico, una incarnazione del principio della sovranità, ma lo fu per un'epoca, che si è chiusa. Parlando in termini di geografia sacra, un centro tradizionale come lo furono precedentemente Thule, Tara, Delfi, etc... L'incarnazione passa, il principio resta.
Per quanto riguarda il futuro, poiché Roma non unificò l'Europa, assolutizzare la romanità al giorno d'oggi è un fattore di divisione, non di unione.



In Origine Postato da Orazio Coclite
In ultimo una domanda, ma che cosa ti avranno mai fatto di male i nostri antenati tanto da bistrattarli continuamente paragonandoli alla stregua dei popoli barbarici e negandogli gli oneri e il primato che tutto il mondo da sempre gli riserva? Essere italiani e discendenti di Roma è d'altronde un onore di cui si può solo che andare orgogliosi.
Ciao.

Mah... e poi ci si stupisce del fatto che l'Unione Europea rimane una accolita di tecnocrati, finanzieri, burocrati ecc... :(

Orazio Coclite
30-10-04, 14:12
In Origine Postato da Mjollnir
Bene, ma pensa allora quanto è superato il dualismo civiltà/barbari, che tu invece accarezzi costantemente !
Sono d’accordo che, al pari di buona parte degli assunti della superstizione nordicista, questa del dualismo barbarie/civiltà è una posizione che è stata ampiamente superata. Ma ovviamente qui stavamo parlando di Roma, e, tanto per ripetermi, da un punto di vista qualitativo, un raffronto anche fugace mette chiaramente in evidenza i valori superiori di questa o quella civiltà. Altrimenti tutti i popoli sono uguali e tutti i popoli occupano lo stesso posto nella nicchia della storia. Ma, come appare evidente ai più, così non è stato e non è.
Nessuno nega il necessario rispetto nei confronti di ogni popolo di questa terra, che in quanto tale ha appunto valore a sé, e non inserito in una scala valoriale importata dall’esterno. Ma che invece diventa essenziale se vogliamo raffrontare due civiltà differenti. Quindi io ho molto rispetto dei tanti popoli della terra, siano stati essi i Celti, gli aborigeni austrialiani o i negri Dogon, ma per favore evitiamo di livellare tutto allo stesso piano in nome di una non meglio chiarita uguaglianza o superamento di un dualismo civiltà/barbarie.
Qui, caro amico, si tendono a confondere piani e gradi diversi, perché non è proprio plausibile far finire in un unico pentolone elementi differenti come spiritualità, cultura, razza e attitudine guerriera. L’acclarata superiorità di cui Roma fu portatrice, non implica affatto uno spregio degli altri popoli. Non è questo un discorso partigiano perché sono ben conscio che non si può primeggiare in tutto e sempre, ma, andando indietro nel tempo, da Roma fino al XVII secolo, ma qualcosina pure dopo, noi italiani ne abbiamo avuti di motivi per cui sentirci orgogliosi.



Intendevo dire che alcune accuse ingenerose verso Evola - non dico mosse espressamente da te - come il pangermanismo, le "fisime nordiciste" etc... sono state smentite già all'epoca per mezzo del banco di prova più efficace che potesse esservi, ossia il pangermanismo nordicista della NSDAP. Quindi il fatto che vengano ancora riproposte, da parte di una certa "critica d'area", mi sa tanto di malafede, tanto più che già nei suoi scritti Evola aveva affermato che la tesi nordico-aria non era affatto al servizio del nazionalismo tedesco o di altre contingenze politiche.
Il volume su Il mistero iperboreo della Fondazione Evola, curato da Alberto, a questo proposito è molto chiarificatore.
Qui bisognerebbe un attimo mettersi d'accordo, perché ricordo con esattezza che ai primordi di questo forum, a fronte di una mia difesa di Evola, Guénon e degli altri autori tradizionalisti, tu, e altri che non scrivono più qui, diceste che era finalmente ora di passare oltre questi pensatori.
Ora, Evola, al pari di ogni altro essere umano di questa terra, è passibile di critica, specie làddove, nella vastità del patrimonio sapienziale lasciatoci, ha indotto errori che poi, come un grande domino, hanno creato tutta una catena di altri errori.
Il volume da te citato è un ricco compendio di questi sviamenti, e se vuoi ne possiamo andare ad esaminare alcuni passaggi.



Come ho detto non sono un esperto né di linguistica nè di antropologia, ho semplicemente constatato che non di rado le critiche all'indoeuropeistica partono da modelli già predeterminati (come l'origine africana dell'Homo Sapiens) oppure ancora peggio da intenti ideologico-politici ben precisi, e quindi non hanno nulla a che fare con la ricerca della verità delle cose.
Può essere, anzi, talvolta sicuramente è proprio come dici tu. Ma cosa ha questo a che vedere con quanto da me scritto? Perché non mi sembra di aver mai ricorso ad alcun modello predeterminato.
Nonché facendoti notare, per amor di verità, che sovente anche tante posizioni di difesa dell’indoeuropeità sono passate per quelle che tu efficacemente descrivi come ‘ modelli già predeterminati e intenti ideologico-politici ben precisi’, e basti qui guardare a tanti aspetti del lavoro dei vari Günther, Wirth, Altheim e finanche il buon Romualdi. Anzi, vediamo come nei due secoli scorsi viene creata una visione dell’indoeuropeità completamente astratta e funzionale alle mire politico-ideologiche di alcuni popoli europei. E questo bisognerebbe avere l’onestà di ammetterlo.



Sì ma perchè questo discorso deve valere solo per gli Europei del Sud ? Permetti che se un Europeo del centro o del nord si sente tacciato di barbarie e inferiorità culturale, se gli si dice che la civiltà gliel'hanno portata da fuori, ha la stessa legittima reazione di voler difendere le proprie radici ?
Qui non si parla di un mero confronto dialettico, ma di vera e propria appropriazione di una cultura, quale quella greco-romana, di cui a più riprese e in forme differenti il mondo germanico-anglosassone dei secoli trascorsi cercò in ogni maniera di ricollegarsi per ascriversi un’eredità che non le è propria. Tattica che non sembra essere passata di moda visto come, in questi tempi di ‘politicamente corretto’, la stessa operazione sia portata avanti da quello che è il gemello speculare del nordicismo, ossia l’afrocentrismo. Un altro gruppo etnico-culturale-linguistico che cerca di mettere le mani sul patrimonio dei popoli centro-sud europei.
E visto che tu mi domandi se lo stesso discorso non debba valere anche per gli europei del sud vorrei adesso mi dimostrassi in quale momento storico gli italiani, i greci o magari gli austriaci e gli spagnoli si sono ascritti le glorie e la cultura dei popoli del nord Europa.

Rimane poi alquanto evidente e storicamente dimostrabile che il percorso di acculturazione viaggi da sempre sull’asse sud --> nord, e in questo l’Italia ne è esempio lampante in quasi ogni periodo storico. E solo con la perversione perpetrata dal mondo moderno assistiamo oggigiorno, in tempi di MTV, Grande Fratello e Mc Donalds, a un flusso di senso inverso, dove la pervasività della cultura anglosassone, principalmente (ma che racchiude in sé aspetti sia del mondo nordico, in maggior parte, che qualcosa anche dell’antico mondo romano-mediterraneo) e con decisi innesti ideologici semiti, sta conducendo il pianeta intero all’entropia. E a parte i soliti suprematisti white power e qualche altro ottuso di par risma, è veramente impossibile chiudere oggi gli occhi sulla realtà dell’Inghilterra e della sua propaggine principale, ossia gli U$A, maggiori responsabili della disgregazione delle società tradizionali di mezzo mondo per tramite di quell’imperialismo che tu improvvidamente paragoni alla romanità, peccando, e mi duole fartelo notare ancora una volta, di un gravissimo abbaglio metafisico che è, per chi si richiama ad Evola, come tu fai in apertura, un errore assolutamente ingiustificabile.

Quindi, per tornare al tema da te proposto, che ognuno trovi orgoglio nelle proprie radici, ma evitando quanto possibile di falsare la storia.

Tanto per rimanere a questioni recenti: la seconda guerra mondiale, noi abbiamo la vergogna del tradimento dell’8 settembre che divise di fatto il paese in due spezzoni, cosa che invece i tedeschi non hanno conosciuto, rimanendo coesi e bellicosi fino al termine. Appare qui evidente che noi italiani ci siamo chiaramente dimostrati inferiori ai nostri ex-alleati nel frangente delle temperie belliche. Così come invece abbiamo dimostrato un superiore vitalismo e voglia di riscatto a guerra finita quando gli ex-belligeranti tedeschi si sono appiattiti con docilità al nuovo stato di cose convergendo in massa nei partiti democratici e comunisti del tempo. Ed è curioso notare come questo comportamento sottolinei una caratteristica razziale che già i romani imputavano ai guerrieri barbarici, ossia quello della volubilità. Ossia del facile entusiasmo e della furia in battaglia, così come dell’immediato scoramento e abbattimento a seguito della sconfitta.



Inoltre: non erano i Romani che prima di muovere guerra ufficialmente ad altri popoli cercavano di avocare a sé i loro Déi ? E quale appropriazione e invasività è peggiore di quella che spezza la fedeltà tra uomini e Dèi ? Secondo te questi popoli come la prendevano questa prassi ??
Questo dimostra rispetto verso ogni forma cultuale, perché gli Déi non sono proprietà esclusiva degli uomini, e Roma anche in questo si dimostrò superiore, d’altronde è ben nota la definizione che si aveva dei Romani come il popolo più religioso del mondo antico. Uso qui ancora una volta il termine superiore perché i Romani, a differenza dei barbari, una volta sottomesso il nemico non entravano nei templi a saccheggiare, non rubavano i monili d’oro dalle statue, non stupravano le vestali, queste erano invece cose appunto da barbari, gli stessi barbari che poi contribuirono massicciamente a diffondere la superstizione semita nell’ormai morente Impero Romano.
Quindi non capisco proprio per tramite di quale ardita acrobazia dialettica tu faccia passare per deprecabile quello che è stato invece un atteggiamento chiaramente positivo e retto. Ossia del rispetto del sacro in ogni sua forma.
Certo però che parlando in astratto, come tu ti stai limitando a fare in questa tua risposta, tutto può essere applicabile a tutto.
La fedeltà agli Dei dei propri antenati non era per il romano ragione sufficiente per spregiare quelli degli altri popoli, è d’altronde nota la pratica dell’interpretatio. Essere romano, in quanto tipo umano conformato a valori autenticamente superiori di fedeltà, onore e disciplina, significava essere rispettosi del Sacro, sempre e comunque. Altri popoli così non agivano, e anche in questo non erano al livello dei romani.



Sì ma Roma non fu l'unico Impero dell'antichità, men che meno della storia. Essa stessa cozzò contro altri Imperi. Perchè quindi dovrebbe essere stato l'unico "tradizionale" ?
Riandiamo alle categorie del lapalissiano. Roma unico impero dell’antichità? E, di grazie, dov'è che io avrei detto una cosa del genere?
Perché caro amico, e te lo dico senza spirito di polemica ma con il solo intento di riuscire a far lievitare questa discussione oltre le mere contrapposizioni partigiane e ideologiche, tu continui a rispondere in astratto, a domande con altre domande, come in questa tua ultima risposta, e sovente equivocando totalmente o rispondendo con considerazioni tutte tue su cose che a me non sono passate nemmeno lontanamente per l'anticamera del cervello.



Io non perseguo il livellamento, io combatto il suprematismo infraeuropeo. La tua assolutizzazione della romanità alimenta tale suprematismo, il quale genera legittime reazioni. Per superare le reazioni, bisogna superarne anche la causa.
Il suprematismo indoeuropeo, come tu giustamente lo chiami, a che io ricordi fu stigmatizzato tra i primi proprio da Renato Del Ponte nel suo testo ‘Déi e miti italici’, dove si richiede una revisione critica di alcuni aspetti dell’intero impianto indoeuropeistico che da Dumézil fino ai suoi epigoni più moderni, ha sempre posto eccessiva importanza negli indoeuropei a discapito dei popoli neoliotici autenticamente autoctoni europei.
Io non ‘assolutizzo’ affatto la romanità, perché la romanità correttamente intesa, ossia scevra dalle contingenze storiche, è in sé un valore superiore a cui ogni popolo potrebbe richiamarsi (e come hanno infatti cercato di fare nei secoli, sovente con pessimi risultati, inglesi, tedeschi, ecc.), tanto che, ad esempio, in non pochi soldati dell’asse durante il secondo conflitto mondiale è stato possibile riconoscere quella romanità spirituale che da sempre identifica i migliori tra gli uomini.
Tu ti domanderai probabilmente perché non si parlà allora di ‘celticità’, ma, come da me ampiamente sottolineato, non tutti i popoli sono pari nelle proprie attitudini e capacità, e quello che il legionario romano rappresentò in termini di fedeltà e onore, non lo ritroviamo nella stessa misura se non in ben poche altre popolazioni. E questo non è ovviamente uno spregio nei confronti del ceppo etnico celta, che, è bene non scordare, al pari di altri popoli italici è comunque parte della nostra eredità etnica, ma un semplice guardare alla storia con occhi liberi da lenti deformanti ideologiche e romantiche come l’uguaglianza o il livellamento qualitativo.
Il barbaro celta aveva certamente altre qualità, era un buon mercenario, un astuto e abile razziatore, era pieno di vitalità e malsopportava la disciplina, et cetera.



Ciò che è sbagliato è l'approccio alla radice, ossia parlare della civiltà tout court.
Continui imperterrito ad attribuirmi considerazioni non mie, perché ho ben chiarito in precedenza che a ogni civiltà va tributato un giusto rispetto proprio perché difficilmente paragonabili e non sempre è facile trovare una scala valoriale per giudicare con correttezza le valenze materiali e spirituali che questi popoli hanno espresso.
Ma è comunque possibile a volte porre popoli differenti sui due piatti della stessa bilancia per cercare di capirne le diversità così come le similitudini, specie quando, come nel caso qui in esame dei Romani e dei popoli barbarici, si parla di popolazioni grossomodo affini, sebbene poi sviluppatesi differentemente. Quindi il metro di giudizio si può trovare, e può variamente essere l’architettura, la statuaria, la capacità bellica, la raffinatezza letteraria, l’eleganza nel vestire, il perseguimento del bello e del giusto, l’ordinamento giuridico. Tutte cose in cui il mondo greco e italico/romano-etrusco fu di fatto ineguagliato. E se preferisci possiamo iniziare a porre alcuni raffronti pratici.
Dopotutto io sono italiano, sono erede di Enea, quindi di quale altra civiltà dovrei parlare? Dei Caldei? Dei Maori? In quanto italiano Roma è la stella polare del mio essere, l’esempio meta-storico a cui tendere con tutto il corpo e lo spirito, il meglio mai espresso in termini guerrieri, culturali e spirituali dalla nostra razza.



è abbastanza naturale che un Sudeuropeo privilegi le componenti romane e mediterranee della sua identità, ma ciò non toglie che altri ne possano privilegiare altre.
Giustissimo, e chi lo nega? Ho ripetuto ben due volte nelle mie precedenti risposte che è giusto e lecito richiamarsi al proprio passato sia come antidoto alla modernità sia come necessario orgoglio di stirpe.
E comunque io non lo chiamerei ‘privilegiare’ ma semplicemente scegliere il meglio e il giusto. Meglio perché, come già ampiamente espresso, Roma fu di fatto la primizia del mondo antico. E giusto perché solo Roma regnò incontrastata sull’Italia per centinaia di anni, inglobando i vari popoli italici, tra cui anche i Celti, e colonizzando massicciamente tutte le regioni italiane, anche a nord del Po, come posso facilmente dimostrarti,se vuoi, con una successiva disamina. Quindi, se paganesimo vuole significare radici, allora Roma è la nostra radice, altrimenti ci si richiami pure, che so, agli Aztechi, ai Vichinghi o agli aborigeni australiani...



Passiamo in rassegna i caratteri della "superiorità" romana:
forza: a che forza ci si riferisce ? Alla forza militare ? Vero, fu tra le macchine belliche più potenti del mondo antico. Ma non conquistò non dico tutto il mondo, ma nemmeno tutta l'Europa. Fu fermata dai "barbari" senza "disciplina". Ma poi, la forza militare è un carattere "tradizionale" ? Gli Usa, unica iperpotenza mondiale, sono allora "tradizionali" ?
Roma non fu ‘fermata dai barbari’, ma semplicemente, per le capacità del tempo, si espanse talmente tanto, e in una maniera che voglio ricordarti nessun altro popolo è stato capace di fare in Europa, che non fu più possibile mantenere il controllo sulle proprie frontiere. Frontiere dove appunto vivevano anche popoli barbarici e belligeranti. Lo stesso crollo definitivo dell'Impero d'Occidente fu dovuto a cause molteplici, come la storiografia moderna ci dimostra ampiamente.
Per rispondere alla forza militare come carattere tradizionale, mi sembra ovvio che lo è làddove la forza nasce dalla disciplina e dalla fede del legionario. Ancora una volta fai un raffronto, come questo con gli USA, che non sta né in cielo né in terra, tanto che la forza degli USA nasce dalla tecnologia e dalla vigliaccheria di chi dotato di armi più avanzate bombarda dall’alto dei cieli. I romani invece marciavano a piedi e si battevano ad armi pari, o forse nemmeno questo visto la ridotta stazza fisica nei confronti dei barbari, contro tutti i popoli dell’evo antico.
Quindi, ancora una volta, trovo queste tue rimostranze francamente incomprensibili e pretestuose.



cultura: mah, niente di più aleatorio. Questa è una petizione di principio.
Non sono d'accordo, come già detto, il relativismo assoluto è figlio della modernità. Tanto per capirci, dove sono gli Orazio, i Virgilio, i Cicerone dei popoli barbarici? E i Fidia, i Prassitele?



Secondo i canoni di chi ? Dei Romani ?
Ancora relativismo? Secondo, ovviamente, i canoni comuni a tutti i popoli della terra.



Mi sembra incontestabile che sul continente la romanizzazione fu il principale fattore di disgregazione della tradizione celtica.
Sebbene non ne sia così certo, potrebbe anche essere, se vogliamo dar retta ad alcune fantasiose ricostruzioni alla Markale, tanto per intenderci.
Vorrei invece farti notare che la tradizione druidica scomparì definitivamente non per mano romana, ma con l’avvento del cristinesimo, che fu, a differenza dei pagani italico-romani, che combatterono fino all’ultimo e furono sottomessi solamente con l’uso della forza e delle leggi, accettato dai druidi senza particolari disagi. Un dilemma questo su cui anche i moderni scolari ancora si interrogano, e che viene rimbalzato pretestuosamente dalla solita apologetica cristiana.



Una immagine che forse bisognerebbe cominciare a rivisitare...
Per me va bene, perché sono sempre aperto al dialogo. Non sono un tifoso di nulla. Che altri esempi hai a disposizione?



Invece di sapere qualcosa dei druidi da Cesare, avrei preferito saperlo direttamente dai loro eredi contemporanei.
Fatto sta che se fosse stato per i Druidi, con la loro tradizione orale, è assai probabile che senza i romani e gli scrittori cristiani, probabilmente dei celti non si sarebbe conservato nemmeno il nome.



Ma andiamo, Orazio ! Finora in Irlanda si sono trovate solo alcune monete romane !!! E cmq il "notaio" della mitologia irlandese è stato il monachesimo insulare, non gli annalisti romani. Non esistono documenti scritti in latino che ci informano sulla religione irlandese al di fuori al di fuori o prima della cristianizzazione.
Appunto, e cosa ho detto io? Il monachesimo insulare fu diretta emanazione delle spoglie dell’Impero romano, raccogliendone la missione civilizzatrice.
Il problema risiede secondo me, sebbene tu lo neghi, in un’interpretazione moralistica della storia, perché, tanto per fare un esempio ragionando da par tuo, i popoli barbarici e celtici agirono ben più massicciamente da fattore disgregante dell’originario mondo politeista europeo, come non pensare qui al sacco del tempio di Delfi ad opera dei Celti di Brenno o alla definitiva imposizione del morbo cristiano in Europa grazie alla veicolazione che ne fecero i barbari? Come non pensare ai tanti episodi di empietà nei confronti di luoghi sacri che tanti popoli europei, barbarici in primis, commisero?
Se dovessi ragionare come te sarei costretto a giudicare negativamente questi popoli perché di fatto fautori dell’avvento del cristianesimo in Europa e comunque assai poco rispettosi nei confronti degli Déi, eppure così non faccio, perché non moralizzo i fatti storici e perché cerco di capire i meccanismi storici e sovra-storici cercando di inserirli nel loro giusto contesto.
Quindi, prendendo a conferma quanto appena scritto, se parlo di maggiore rispetto dei Romani nei confronti del sacro parlo con cognizione di causa, visto che gli stessi assai raramente si abbandonarono allo scempio e al disrispetto degli Déi. Quindi anche in questo i nostri antenati Romani dimostrarono ampiamente la propria connaturata superiorità.
(interessante poi notare che uno dei casi più noti di distruzione di un luogo sacro da parte dei Romani fu la devastazione del Tempio di Salomone da parte di Tito Imperatore nel 70 d.c. durante le guerre giudaiche, fatto che i cronisti antichi riportano dovuto sia a cause fortuite, l’incendio dei grandi recipienti di olio che si usavano per i riti, sia al fatto che la resistenza si concentrò dentro al tempio e i romani dovettero combatterla all’interno del luogo sacro causandone la rovina.)



Non la invalida, perchè dimostra che una zona non romanizzata ci ha conservato più materiale di una romanizzata. Quindi smentisce che la romanizzazione fu l'unico canale di documentazione.
Io non ho scritto che la romanizzazione fu l’”unico canale di documentazione”, questo lo scrivi tu adesso. Reputo solamente falso l’assunto secondo il quale Roma fu la causa della scomparsa della spiritualità celtica, sebbene nel combattere i celti di certo apportò guasti, anche gravi, a questa particolare forma spiritualis.
Ti rammento poi che le fonti da te citate sono tutte risalenti al medioevo e cristiane, quindi di molto posteriori alla romanizzazione delle isole britanniche.



La mia constatazione è che l'Europa precristiana non inizia e non finisce con Roma. La romanità deve quindi essere relativizzata, non può essere il punto dove tutto si riassume e a cui tutto si riconduce. Roma fu un centro spirituale "tradizionale" importante ed anche, dal punto di vista politico, una incarnazione del principio della sovranità, ma lo fu per un'epoca, che si è chiusa. Parlando in termini di geografia sacra, un centro tradizionale come lo furono precedentemente Thule, Tara, Delfi, etc... L'incarnazione passa, il principio resta.
Tutto molto corretto. Ma chi ha mai sostenuto il contrario? Con l'unico discrimine che per noi ITALIANI la romanità è centrale.



Per quanto riguarda il futuro, poiché Roma non unificò l'Europa, assolutizzare la romanità al giorno d'oggi è un fattore di divisione, non di unione.
E’ un fattore di identità per noi italiani, e comune anche a buona parte dell’Europa se ad oggi gli stessi inglesi ancora ne declamano l’eredità.



Mah... e poi ci si stupisce del fatto che l'Unione Europea rimane una accolita di tecnocrati, finanzieri, burocrati ecc...
Ai fini di una più proficua discussione, ti invito ancora una volta a passare oltre questo tuo atteggiamento, che trovo oltremodo offensivo e assai pooco riguardoso, perché un dialogo è tale quando due parti scambiano i propri punti di vista, e come io ho risposto sempre alle tue domande, si ritiene opportuno tu faccia altrettanto, senza eludere continuamente quanto ti viene chiedo.
Quindi ti inviterei a non rispondere alle mie, tra l'altro poche, domande con altre domande, ad attenerti a quanto da me scritto senza imputarmi altre cose e a risparmiarmi considerazioni tipo quest'ultima che non capisco bene cosa c’entri col discorso, con me e con la romanità.
Rispondi piuttosto alle domande che ti sono state poste. Te ne ripeto una interessante: "Ma che cosa ti avranno mai fatto di male i nostri antenati tanto da bistrattarli continuamente paragonandoli alla stregua dei popoli barbarici e negandogli gli oneri e il primato che tutto il mondo da sempre gli riserva?"


E questo, per ora, è quanto.
A presto.

Mjollnir
07-11-04, 01:39
Dunque, mi pare che in molti punti non ci capiamo semplicemente perchè uno o l'altro non va oltre una assunzione letterale degli interventi, oppure ci si sente attribuiti argomentazioni che invece sono di carattere generale.
Inoltre, la discussione sta aumentando la sua temperatura relazionale in modo notevole, cosa che non è un bene né per l'argomento né per il forum.

Cerco comunque di passare in rassegna i vari punti:

un raffronto anche fugace mette chiaramente in evidenza i valori superiori di questa o quella civiltà. Altrimenti tutti i popoli sono uguali e tutti i popoli occupano lo stesso posto nella nicchia della storia

Nessuno dice che i popoli sono tutti uguali, ma la superiorità, se se ne vuol parlare, non può che essere relativa, a seconda del criterio di volta in volta adottato. Mi sembra lampante. Per cui la superiorità di Roma non è affatto acclarata, a meno che prima non si specifichino i parametri di giudizio adottati. Comunque, a prescindere dai criteri favoriti, il punto essenziale che esprimevo è che bisogna rifiutare la teorizzazione di una superiorità globale e permanente. Mentre nelle tue parole, mi pare, ce la vedo ancora.


Qui bisognerebbe un attimo mettersi d'accordo, perché ricordo con esattezza che ai primordi di questo forum, a fronte di una mia difesa di Evola, Guénon e degli altri autori tradizionalisti, tu, e altri che non scrivono più qui, diceste che era finalmente ora di passare oltre questi pensatori.

Sì, ma ciò era riferito all'idea della tradizione primordiale unica, che secondo me è ingannevole; la mia critica non verteva sulla considerazione evoliana dell'eredità indoeuropea, che anzi Evola comprende molto meglio di Guenon...e questo è un suo titolo di merito, non di superamento.


Perché non mi sembra di aver mai ricorso ad alcun modello predeterminato.

Se ti limiti a leggere solo il messaggio inmediatamente precedente al tuo, non ci capiremo mai. Io non imputavo a te il ricorso a modelli predeterminati, la mia era una considerazione relativa alle varie correnti critiche dell'indoeuropeistica, che - notavo - spesso muovono non da finalità conoscitive ma da piattaforme ideologiche o intenti politici predeterminati.

vediamo come nei due secoli scorsi viene creata una visione dell’indoeuropeità completamente astratta e funzionale alle mire politico-ideologiche di alcuni popoli europei. E questo bisognerebbe avere l’onestà di ammetterlo.

E invece è onesto non ammetterlo, perchè non è così. L'indoeuropeistica parte da un terreno linguistico perlomeno nella seconda metà del '700, si sviluppa con il Romanticismo, e proprio in età romantica la cultura europea comincia a far filtrare i tesori della sapienza asiatica, cioé indiana e persiana, in occidente, in alternativa e opposizione ai quadri del sapere giudaico-cristiano.
La direzione è quindi est-ovest, ovvero a queste civiltà viene implicitamente riconosciuta un tipo di sapienza più arcaica e ricca di quella dominante in occidente. Si addita dunque la sapienza "orientale" come modello, il che è proprio il contrario dell'appropriazione e dello sfruttamento colonialistico, se è questo che intendevi.
Le distorsioni del "mito indoeuropeo" in realtà sono più limitate nel tempo dei 2 secoli di cui parli, e coincidono con la fine dell'800 e la prima metà del '900; su tali speculazioni, poi, si inserirà l'ideologia nazionalsocialista. Con il secondo dopoguerra l'indoeuropeistica viene associata suo malgrado proprio al nazionalsocialismo, il che ne determina la sua squalifica, rimozione, o ridimensionamento; quindi è tutto un fiorire di reazioni ipercritiche e di rifiuto dei dati precendentemente acquisiti. Quindi, se c'è un compito da fare in questo ambito, è quello di ristabilire l'equilibrio e ripartire dalla acquisizioni passate, e non distruggere ulteriormente.


[/i]E visto che tu mi domandi se lo stesso discorso non debba valere anche per gli europei del sud vorrei adesso mi dimostrassi in quale momento storico gli italiani, i greci o magari gli austriaci e gli spagnoli si sono ascritti le glorie e la cultura dei popoli del nord Europa.[/i]
Ma scusa, è da metà della discussione che stai parlando di superiorità culturale dei Romani, di civiltà e barbarie ! Questo è ancora peggio della appropriazione, perchè non riconosce una forma culturale già esistente, ma suppone una civilizzazione portata in blocco dall'esterno.
L'appropriazione del nord da parte del sud è certo più difficile come tattica cultural/ideologica, perchè al contrario di quel che dici le evidenze non suffragano un costante processo dal sud al nord. Ci sono però tentativi in questo senso, da parte dei cosiddetti "mediterraneisti" tipo Gimbutas, Marconi etc.. che vorrebbero spacciare come vera Europa i pochi resti archeologici delle comunità agricole neolitiche, probabilmente nemmeno dotate di una sufficiente unitarietà culturale.
E poi ci sono casi estremi come Semerano, che si inventa fantasmagoriche aree di unità culturale in grado di spiegare tutto.


E solo con la perversione perpetrata dal mondo moderno assistiamo oggigiorno, in tempi di MTV, Grande Fratello e Mc Donalds, a un flusso di senso inverso, dove la pervasività della cultura anglosassone, principalmente (ma che racchiude in sé aspetti sia del mondo nordico, in maggior parte, che qualcosa anche dell’antico mondo romano-mediterraneo) e con decisi innesti ideologici semiti, sta conducendo il pianeta intero all’entropia

Ma questo semmai è un flusso da ovest a est, e non nord-sud. Il mondo wasp moderno rappresenta la cultura nordica nella stessa misura in cui Totti è un degno erede di Cicerone. Non c'entra niente. Ancora una volta fai l'errore madornale di retrodatare l'antioccidentalismo ad epoche in cui l'occidente (come visione del mondo) non esisteva neanche. Mi ricordi le stramberie di Peucezio, che sosteneva che i Germani - siccome un millennio più tardi hanno aderito alla Riforma - sono intrinsecamente portati al semitismo... peccato che prima del proselitismo cattolico non se ne trovi traccia !!!

Questo dimostra rispetto verso ogni forma cultuale, perché gli Déi non sono proprietà esclusiva degli uomini

Questo è un punto molto delicato, e io non sarei così sbrigativo ed apodittico. Se gli Dèi non sono proprietà esclusiva degli uomini, è anche vero che nel paganesimo, religione etnica ed ancestrale dei popoli, vi è fondamentalmente un rapporto privilegiato tra essi ed un popolo, od un insieme di popoli, o una città, o una componente sociale particolare ecc... Vi sono anche divinità legate ad una terra o ad un luogo particolare. Sono cose che sai benissimo e che non serve spiegare. Però tale rapporto reciproco non è un caso o un capriccio umano, ma nasce anzitutto da parte degli Dèi e risponde ad un più vasto ordine sacrale (ved. ad es. la teologia etnica di Giuliano); quindi cercare di recidere questi legami, come nel caso di questa avocazione a sé, è anzitutto un torto verso determinati Dèi ancor prima che verso i popoli loro devoti. Il fenomeno è "aggravato", se così si può dire, dal fatto che quando Roma assorbe un culto o delle divinità, non le assorbe per quello che sono, ma le romanizza sistematicamente. Il che è certo una scelta saggia dal punto di vista politico, perchè facilità il consenso di una nuova popolazione, ma dal punto di vista religioso appare come una strumentalizzazione politica, e quindi come una mancanza di rispetto.


d’altronde è ben nota la definizione che si aveva dei Romani come il popolo più religioso del mondo antico

Definizione che i Romani davano di sè stessi...

Uso qui ancora una volta il termine superiore perché i Romani, a differenza dei barbari, una volta sottomesso il nemico non entravano nei templi a saccheggiare, non rubavano i monili d’oro dalle statue, non stupravano le vestali, queste erano invece cose appunto da barbari, gli stessi barbari che poi contribuirono massicciamente a diffondere la superstizione semita nell’ormai morente Impero Romano.

Semplicemente falso. Ti cito un solo esempio, che non capisco come possa essere sfuggito a te, grande cultore della storia romana.
Come riporta Tacito negli Annales, nel 60-61 e.v. Svetonio Paolino sbarca sull'Insula Mona, ovvero l'odierna Anglesey, già conosciuta da Cesare come importante centro spirituale, e dopo una certa esitazione dovuta agli incantesimi loro lanciati, i legionari massacrano tutti i druidi e distruggono i nemeton, i boschi sacri, l'equivalente celtico del tempio.
E questo è solo un esempio. Quindi non facciamoci prendere da pulsioni emotive o intenti ideologici, neanche quando parliamo di Romani.

Mjollnir
07-11-04, 02:50
Riandiamo alle categorie del lapalissiano. Roma unico impero dell’antichità? E, di grazie, dov'è che io avrei detto una cosa del genere?
Perché caro amico, e te lo dico senza spirito di polemica ma con il solo intento di riuscire a far lievitare questa discussione oltre le mere contrapposizioni partigiane e ideologiche, tu continui a rispondere in astratto, a domande con altre domande, come in questa tua ultima risposta, e sovente equivocando totalmente o rispondendo con considerazioni tutte tue su cose che a me non sono passate nemmeno lontanamente per l'anticamera del cervello.

Il riferimento è anche ai messaggi precedenti. Come sempre, non è detto che ogni mia riflessione parta da una tua precisa frase. Allora: tu mi dici che l'impero romano non ha niente a che vedere con l'imperialismo moderno. Bene, sarei anche propenso a crederlo, però bisogna in qualche modo provarlo. Scartato dunque l'imperialismo moderno, rimaniamo in epoca antica. Abbiamo uno scontro tra 2 imperi, ovvero 2 incarnazioni del principio tradizionale, oppure solo Roma è tradizionale e l'altro no ? Oppure, è plausibile lo scontro tra 2 entità portatrici concrete del principio imperium ? É questo quello che intendevo dire.


Il suprematismo indoeuropeo, come tu giustamente lo chiami, a che io ricordi fu stigmatizzato tra i primi proprio da Renato Del Ponte nel suo testo ‘Déi e miti italici’.

Forse hai letto male: io ho affermato di combattere il suprematismo INFRAeuropeo, ossia tra rami distinti dello stesso ceppo; attualmente non riesco a vedere atteggiamenti più nocivi ed improduttivi. E sicuramente parlare ad ogni piè sospinto di superiorità dei Romani fa parte di questo atteggiamento.
Te lo dico esplicitamente: si cerca di allacciare rapporti con tutti i pagani d'Europa, per indicare con forza dove debbano essere cercate le vere radici, ma come pensi di presentarti in sede WCER ? Glorificando la potenza delle legioni o parlando di barbarie a rappresentanti francesi, tedeschi etc ??? Che risposte pensi di ottenere ? O cambi musica, almeno all'estero, oppure è meglio che il MTR rimanga nel suo cantuccio !

Quindi, se paganesimo vuole significare radici, allora Roma è la nostra radice

Ma per favore ! Mi devo ripetere: Roma fu un centro importante ma non l'inizio né la fine di tutto. Il paganesimo non comincia e non finisce con Roma, certamente.

giusto perché solo Roma regnò incontrastata sull’Italia per centinaia di anni, inglobando i vari popoli italici, tra cui anche i Celti, e colonizzando massicciamente tutte le regioni italiane, anche a nord del Po, come posso facilmente dimostrarti,se vuoi, con una successiva disamina.

Quindi il motivo determinante è il dominio politico ? É quello che determina i fatti spirituali ?

Roma non fu ‘fermata dai barbari’

Ricordati Teutoburgo. Che fra l'altro, come episodio, ci interessa anche dal punto di vista religioso, perchè attesta il ricorso al sacrificio umano in grandi proporzioni in epoca storica.


semplicemente, per le capacità del tempo, si espanse talmente tanto, e in una maniera che voglio ricordarti nessun altro popolo è stato capace di fare in Europa, che non fu più possibile mantenere il controllo sulle proprie frontiere. Frontiere dove appunto vivevano anche popoli barbarici e belligeranti

Ma è un fatto storico, e non una interpretazione, che nonostante tutti i suoi tentativi Roma non riuscì a romanizzare tutta l'area germanica, oltre Reno e Danubio, tant'è che anche il limes linguistico attuale ricalca questa situazione.

Per rispondere alla forza militare come carattere tradizionale, mi sembra ovvio che lo è làddove la forza nasce dalla disciplina e dalla fede del legionario. Ancora una volta fai un raffronto, come questo con gli USA, che non sta né in cielo né in terra, tanto che la forza degli USA nasce dalla tecnologia e dalla vigliaccheria di chi dotato di armi più avanzate bombarda dall’alto dei cieli. I romani invece marciavano a piedi e si battevano ad armi pari, o forse nemmeno questo visto la ridotta stazza fisica nei confronti dei barbari, contro tutti i popoli dell’evo antico.
Quindi, ancora una volta, trovo queste tue rimostranze francamente incomprensibili e pretestuose.

Io non sto facendo l'apologia degli Usa, ci mancherebbe. Voglio semplicemente capire se per te il dominio politico-militare è un criterio sufficiente per valutare i fatti di ordine spirituale...

dove sono gli Orazio, i Virgilio, i Cicerone dei popoli barbarici? E i Fidia, i Prassitele?

Ti consiglio di accingerti alla scoperta, ma con un atteggiamento di umiltà ben maggiore rispetto a quella attuale, della poesia irlandese e gallese, e del mondo delle saghe nordiche; tutti monumenti culturali dello spirito indoeuropeo che non hanno nulla da invidiare quanto a ricchezza, complessità e profondità, rispetto ai succitati classici. E anche di documentarti sull'artigianato "barbarico", che nella lavorazione dei metalli era insuperato.

Ah! Quanti threads, quante segnalazioni, quante recensioni buttate al vento !! :( :(

Vorrei invece farti notare che la tradizione druidica scomparì definitivamente non per mano romana, ma con l’avvento del cristinesimo, che fu, a differenza dei pagani italico-romani, che combatterono fino all’ultimo e furono sottomessi solamente con l’uso della forza e delle leggi, accettato dai druidi senza particolari disagi

Questo solo in Irlanda, che appunto è un'eccezione. Il che ribadisce la regola: sul continente la prima causa di disgregazione del druidismo fu la romanizzazione. A me basta che si ammetta questo punto, poi ognuno ne dà la valutazione che crede. Il cristianesimo, dove arriva in tempo, eventualmente dà il colpo di grazia.
Del resto i testi mitologici irlandesi che ci sono rimasti mostrano chiaramente, nonostante la nuova impostazione religiosa, gli scontri e i contrasti che vi furono tra druidi detentori dell'antica tradizione e i missionari cristiani.


Fatto sta che se fosse stato per i Druidi, con la loro tradizione orale, è assai probabile che senza i romani e gli scrittori cristiani, probabilmente dei celti non si sarebbe conservato nemmeno il nome.

Perchè ?Il compito di ogni classe sacerdotale è trasmettere la conoscenza, non disperderla. Pensa che il Kalevala è stato messo per iscritto addirittura nell'800. Dovremmo forse essere grati ai cristiani per averci riferito qualche frammento delle antiche credenze in mezzo a falsità, propaganda, proselitismo, dopo che gli stessi hanno provveduto a sradicarla ???

Appunto, e cosa ho detto io? Il monachesimo insulare fu diretta emanazione delle spoglie dell’Impero romano, raccogliendone la missione civilizzatrice.

NO, tu hai detto che l'Irlanda ha subito l'influsso romano tramite la Britannia. Il che è comunque aleatorio (perchè qualche moneta non basta a decretare un influsso) e comunque inutile rispetto al fatto principale: la scrittura arriva in Irlanda col monachesimo cristiano, non con i Romani.
E poi scusa, se il monachesimo raccoglie la missione "civilizzatrice" romana, allora ha ragione De Giorgio ? La Roma vaticana continua Roma pagana ? Dovremmo aderire al cattolicesimo ??? Attenzione alla tua smania di infilare i Romani dappertutto, perchè potrebbero ritorcersi contro di te !

Otto Rahn
07-11-04, 03:27
Wow qui la temperatura si fa sempre più scottante :D

In ogni caso è interessante leggere questo particolare dibattito tra Orazio e Mjollnir che solleva innumerevoli punti che meriterebbero di essere trattati separatamente.

Per quanto mi riguarda farò solo due appunti.

Per prima cosa mi trovo d' accordo con il ragionamento di Mjollnir di non esasperare i contrasti fra le tradizioni di comune matrice indoeuropea o che in ogni caso, sono accomunate da un' origine antica, precristiana e politeista.

Rigetto il suprematismo sia che provenga dal nord che dal sud.
Le differenze esistono per carità, vanno valutate e prese in considerazione ma bisogna fare attenzione a non scivolare nei luoghi comuni e negli stereotipi (es. i latini sono popoli meticci...pregiudizio nordicista - i popoli del nord sono tutti barbari e incivili...pregiudizio mediterraneocentrico)

Secondo punto.
Quel che dice Mjollnir a riguardo della pratica dei romani di "fregare" gli dei ai popoli da conquistare o conquistati non mi sembra regga su solide basi. Posso essere d'accordo fino a un certo punto quando si parla di "etnicità" di determinate divinità
ma non con quanto risulta da questo:


quindi cercare di recidere questi legami, come nel caso di questa avocazione a sé, è anzitutto un torto verso determinati Dèi ancor prima che verso i popoli loro devoti.

Qui mi sembra che si infiltri quasi una visione sentimentalistica.
Gli Dei sono innanzitutto Potenze, Archetipi. La loro evocazione agisce coercitivamente senza che vi sia nessun torto, nessun bene, nessun male. L' antica dottrina dei Numina-Nomina dovrebbe venire in aiuto.

Con questo per ora è tutto ma ripeto, la discussione offre diversi spunti e in quanto tale mi auguro che prosegua costruttivamente da entrambe le parti.

Saluti

Mjollnir
07-11-04, 22:52
Reputo solamente falso l’assunto secondo il quale Roma fu la causa della scomparsa della spiritualità celtica, sebbene nel combattere i celti di certo apportò guasti, anche gravi, a questa particolare forma spiritualis.

E in questo caso sbagli, perchè per salvare a tutti i costi Roma dalle critiche, vai contro le evidenze storiche. La religione celtica è intimamente legata al druidismo, e colpendo l'uno (anche se ovviamente per motivi politici e non dottrinali), Roma ha reso impossibile l'altra.

Ti rammento poi che le fonti da te citate sono tutte risalenti al medioevo e cristiane, quindi di molto posteriori alla romanizzazione delle isole britanniche.

Infatti, risalgono al medioevo irlandese perchè è l'unico caso in cui la religione celtica come tale ha potuto superare l'evo antico.
Ciò conferma l'importanza del fattore romano nella sua sparizione.

Tutto molto corretto. Ma chi ha mai sostenuto il contrario? Con l'unico discrimine che per noi ITALIANI la romanità è centrale.

Stiamo parlando di tradizioni plurimillenarie, sorte da contesti completamente diversi dai nostri; quindi mi sembra del tutto fuori luogo riferirsi a nazioni moderne ed altri concetti politici che all'epoca neanche esistevano. Così facendo c'è sempre il rischio di una strumentalizzazione politica di fatti spirituali che vanno ben oltre tale dimensione, rischio da cui spesso non ti vedo esente, caro Orazio.
La romanità è centrale per gli italiani, anch'io ho detto una cosa simile prima, quando parlavo di privilegiare delle componenti rispetto ad altre. Tuttavia resta il fatto che l'Europa non si riduce all'Italia, nè essa ne è il centro, per cui ridurre i politeismi europei alla religione romana o voler elevare quest'ultima sugli altri è del tutto scorretto.

E’ un fattore di identità per noi italiani, e comune anche a buona parte dell’Europa se ad oggi gli stessi inglesi ancora ne declamano l’eredità.

Non capisco... di che cosa gli Inglesi declamerebbero l'eredità ? Della religione romana ?

Ai fini di una più proficua discussione, ti invito ancora una volta a passare oltre questo tuo atteggiamento, che trovo oltremodo offensivo e assai pooco riguardoso, perché un dialogo è tale quando due parti scambiano i propri punti di vista, e come io ho risposto sempre alle tue domande, si ritiene opportuno tu faccia altrettanto, senza eludere continuamente quanto ti viene chiedo.Quindi ti inviterei a non rispondere alle mie, tra l'altro poche, domande con altre domande, ad attenerti a quanto da me scritto senza imputarmi altre cose e a risparmiarmi considerazioni tipo quest'ultima che non capisco bene cosa c’entri col discorso, con me e con la romanità.
Rispondi piuttosto alle domande che ti sono state poste. Te ne ripeto una interessante: "Ma che cosa ti avranno mai fatto di male i nostri antenati tanto da bistrattarli continuamente paragonandoli alla stregua dei popoli barbarici e negandogli gli oneri e il primato che tutto il mondo da sempre gli riserva?"

Nessun atteggiamento offensivo, né elusivo. Ma mi sembra che il senso delle mie parole fosse già chiaro. Se io affermo di rigettare i suprematismi infraeuropei, e tu mi riproponi l'apologia della Roma-civiltà-superiore, è chiaro che sto parlando al vento, cioé non sono riuscito a farti adottare un minimo di senso critico nei confronti della romanità. E poi mi vieni a chiedere perchè sono così cattivo da bistrattare gli antenati.... francamente è una risposta un pò scoraggiante !!! A quel punto, cosa avrei dovuto rispondere che fosse per te soddisfacente ??

L'unica considerazione poteva essere (ed è stata): si critica tanto l'Unione Europea come organismo artificiale, burocratico e disanimato, lontano dalle radici e dalle culture dei suoi popoli, ma poi, quando si cerca di delineare quali sono le sue vere radici, quando si cerca di riscoprire l'eredità culturale COMUNE, arrivi tu a parlare di civiltà e barbarie, inorridisci alla semplice idea di un paragone fra le varie sfaccettature del continente, mi parli di orgoglio di una nazione moderna, riducendo così la religione romana a stampella del piccolo-nazionalismo italiano, ebbene, allora chi la pensa come te si tenga questa pseudo-Europa e la subisca, perchè in fondo se la merita !

Mjollnir
07-11-04, 23:05
In Origine Postato da Otto Rahn
Secondo punto.
Quel che dice Mjollnir a riguardo della pratica dei romani di "fregare" gli dei ai popoli da conquistare o conquistati non mi sembra regga su solide basi. Posso essere d'accordo fino a un certo punto quando si parla di "etnicità" di determinate divinità
ma non con quanto risulta da questo:
Qui mi sembra che si infiltri quasi una visione sentimentalistica.
Gli Dei sono innanzitutto Potenze, Archetipi. La loro evocazione agisce coercitivamente senza che vi sia nessun torto, nessun bene, nessun male. L' antica dottrina dei Numina-Nomina dovrebbe venire in aiuto.


Non mi sono fatto ancora una idea definitiva di questa pratica, che comunque ritengo piuttosto singolare. Mi chiedevo però se e in che misura invocare gli Dèi del nemico e farli passare dalla propria parte possa essere compatibile con l'idea di divinità che presiedano a determinate frazioni dell'umanità o di un territorio, funzione non certo dovuta alle aspirazioni umane ma allo stesso ordine divino del mondo.
E adesso ho anche un altro interrogativo: gli Dèi come archetipi sono del tutto equivalenti ed interscambiabili ? O in questa evocazione la coercitività è limitata dal fatto che alcuni aspetti sfuggono al controllo di chi opera ? O peggio, non sono nemmeno conosciuti ?



In Origine Postato da Otto Rahn
Con questo per ora è tutto ma ripeto, la discussione offre diversi spunti e in quanto tale mi auguro che prosegua costruttivamente da entrambe le parti.
Saluti

Per la verità, dopo le risposte che Orazio riterrà di dare, vorrei che la discussione tornasse al suo oggetto originario, visto che si è abbondantemente sforato...

Mjollnir
08-11-04, 18:53
Queste sono parole tue, caro Orazio, dal forum Destra Radicale > Assassinato il regista olandese Theo Van Gogh:


Orazio Coclite []
Quirís Civis Romanus
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Post #25 di 74


Quello che tu e gli altri entusiasti apologeti dell'islam sovente dimenticate è che la 'destra radicale' basa il suo stesso essere sul concetto di Europa, concetto che ha naturalmente anche una determinata connotazione etnica e religiosa.

Last edited by Orazio Coclite on 03-11-2004 at 18:40

03-11-2004 18:18

E dal 3d Destra Radicale > Pim Fortuny e il "problema" islamico:



Orazio Coclite []
Quirís Civis Romanus
Registrato il: Apr 2002
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Post #15 di 23

Riguardo invece il tema della discussione. Non so onestamente se un personaggio del genere si possa definire a ragione un "patriota europeo". Fatto sta che, frocio o meno, trattavasi comunque di un europeo etnico che combatteva contro l'invasione allogena che, tengo a ricordare agli smemorati, è al momento il problema più impellente e pressante che l'Europa si trova ad affrontare.
Quello che poi questa persona faceva nel privato della propria camera da letto non mi riguarda granché.
Anche perché la cultura europea più pura, ossia quella che affonda le proprie radici nel mondo classico, a differenza del mondo semita che si è andato affermando successivamente per tramite del cristianesimo, rispettava e tollerava le differenti espressioni della sessualità umana.

Oggi come ieri NE' USA, NE' ISLAM, EUROPA NAZIONE!

08-11-2004 02:22


Ora vorrei capire da te come si può parlare di "Europa Nazione" sul piano politico, mentre sul piano spirituale - e in senso lato "culturale" - parlare di barbari selvaggi per i popoli d'oltralpe. Talmente selvaggi che inorridisci a paragonarli a "Roma civilizzatrice".
Non ti sembra un tantino CONTRADDITTORIO ???
Se le cose stessero come tu dici, su che radici spirituali si potrebbe mai fondare questa Europa Nazione :confused:

Pensi forse di italianizzare i popoli anticamente non raggiunti, o solo sfiorati, dall'impero ?? E come ? Militarmente ? Linguisticamente ? Mediaticamente ?

Illuminami su questo punto importante, o monocolo :cool:

Orazio Coclite
09-11-04, 00:32
Originally posted by Mjollnir
Ora vorrei capire da te come si può parlare di "Europa Nazione" sul piano politico, mentre sul piano spirituale - e in senso lato "culturale" - parlare di barbari selvaggi per i popoli d'oltralpe. Talmente selvaggi che inorridisci a paragonarli a "Roma civilizzatrice". Non ti sembra un tantino contraddittorio ??? Se le cose stessero come tu dici, su che radici spirituali si potrebbe mai fondare questa Europa Nazione
Ti rispondo di corsa ripromettendomi di tornare sull'argomento quanto prima.
Purtroppo, caro amico, il tutto nasce da una tua incomprensione di fondo delle questioni da me avanzate, su cui comunque ho a più riprese cercato di richiamare la tua attenzione, ma senza sortire risultato alcuno, a quanto sembra.
Ad ogni modo, per ripetermi, qui si sta purtroppo facendo un minestrone di cose che viaggiono comunque su livello differenti, ossia, per chiarirti la mia posizione una volta ancora, non ritengo metodologicamente corretto, nonché oltremodo superficiale, porre su di uno stesso piano quello che è spiritualità, religione, storia, cultura, costume, eccetera. Quando io parlo di differenza qualittativa dei popoli durante i differenti periodi storici, non dico alcuna eresia, come tu lasceresti intendere dall'uso costante che fai di parole in grassetto o sottolineate con enfasi, ma affermo quella che è, molto semplicemente, una realtà inoppugnabile risultante dall'analisi del dato archeologico e storico, e che nessuno studioso di nessuna disciplina si permetterebbe mai di negare se non magari qualche marxista ritardatario e folle dell'ultima ora con una fisima per il livellamento qualitativo.
Ogni popolo ha una sua spiritualità, una propria religiosità, una propria storia artistica e letterale, ma a livelli differenti, c'è infatti chi è riuscito ad esprimere di più e meglio e chi invece no. E scrivendo ciò mi sembra semplicemente di ribadire una cosa talmente lapalissiana che non arrivo a capacitarmi del fatto che tu non sembreresti arrivare a comprenderla.
Ti ripeto infatti, ancora una volta, che è mera utopia il pretendere di livellare le differenze storiche avute dai popoli durante l'arco di tutta la loro storia solamente ai fini di una costruzione ideologica moderna quale quella dell'unione europea, basantesi infatti su tutt'altri presupposti. Perché se oggigiorno noi vogliamo un'unione dei popoli europei contrapposti al mondialismo montante, quest'unione, fatte salve le tante differenze che ovviamente, e per fortuna, ci sono all'interno dell'Europa, si basa su dati etnici, geografici e storici. E le differenze vanno comunque accettate e comprese. Non si può negare che non esistano solamente per soddisfare il proprio impianto ideologico, cosa che appunto facevano e fanno i progressisti ed illuministi di ogni tempo e dove. L'unione europea non si basa certo sulle differenze spirituali tra Celti e Romani, che comunque sono tutt'altro paio di maniche dall'analisi storico/culturale che io ho fatto nei miei precedenti contributi, cose che invece tu continui a confondere e mischiare.
Spero, con questa disamina più semplice e diretta, di essere finalmente compreso da te. :)

Quello poi del contrasto tra civiltà e barbarie è un dato storico facilmente constatabile dal semplice raffronto dei dati archeologici, che non per questo squalifica altri popoli al rango di semi-umani, come tu sembreresti intendere, ma è il semplice risultato che viene fuori da un normale processo di indagine storica.
E, tanto per ribadire ancora una volta anche questo, la cosa non significa certo che i Celti erano un popolo con connotazioni negative e spregevoli, tutt'altro, perché se presi a se stanti sicuramente esprimono una civiltà ed una cultura di estremo interesso e rispetto. Solo che, ed è questo che ho a più riprese cercato di farti capire, una volta messi a confronto con quello che fu Roma assumono di certo una posizione di subordinazione che possiamo ottenere dal semplice riscontro 'oggettivo', ossia non visto né dal metro di misura di uno né dall'altro dei due popoli, del dato storico ed archeologico.
Se poi tu continui a ritenere che per permettere oggigiorno l'unione delle nazioni europee bisognerebbe guardare al passato come ad un orizzonte piatto e livellato, allora alzo le mani in segno di resa, non capendo inoltre che diamine c'entri una cosa con l'altra (solito minestrone di storia/cultura/religiosità/geografia)...

Ora scusami ma stacco che ho alcuni impegni impellenti. A breve le mie altre risposte, anche perché vedo che non hai seguito affatto i consigli e le richieste che ti avevo inoltrato, trovandomi ancora imputate cose non dette, risposte non esaudite e ipersemplificazioni decisamente strumentali di quanto da me in precedenza scritto.
A breve allora.

Saluti.