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Ulan
19-05-03, 18:22
Esiste in Italia un insieme di garanzie noto come stato sociale ed è altresì risaputo che i servizi che vi fanno capo sembrano sempre inferiori alle necessità, forse si dovrebbero tarare le necessità sulle disponibilità e non viceversa ma non è questo ora il punto.
Esiste pure una lamentele ricorrente tra gli anziani o, in generale, tra tutti coloro che vorrebbero beneficiare di un po’ di questo benedetto stato sociale: «qualsiasi cosa tu chieda c’è sempre un d’extracomunitario prima di te».
Per reddito, per figliolanza a carico o per qual si voglia parametro sono sempre davanti.
Questo fenomeno è così marcato che alcuni settori dell’assistenza sono ormai monopolio degli stranieri ed i nativi rinunciano anche a presentare quelle domande che già si sa non verranno esaudite.
È l’uguaglianza ci dicono, pagano le tasse anche loro ci dicono e, davanti a queste considerazioni, i più tacciono rassegnati: «non si può andare contro lo spirito dei tempi»
Sarà ma qualche considerazione la si deve pur fare, qualche domanda va pure posta.
È noto che lo stato sociale germogliò in Europa dopo la Grande Guerra, fu il prezzo saldato alle classi popolari per i lutti i dolori e le privazioni patti in quel conflitto (non a caso negli USA, non essendoci stati tanti lutti, dolori e privazioni, pochi chiesero e nessuno concesse quel tipo di compensazioni).
Una seconda e più massiccia azione di perequazione sociale avvenne dopo la II Guerra Mondiale
Poi dagli anni ’70 l’espansione irrefrenabile della spesa pubblica
Questo excursus, necessario a capire come nacque il sistema, serve anche ad illustrare le logiche che dovrebbero sottostare all’erogazione dei servizi.
Meglio serve a mostrare che possono esservi diverse logiche che, partendo da diversi presupposti, conducono a differenti risultati.
Quello che, senza troppo rifletterci su, si rubrica come diritto acquisito, è in realtà il risultato di un patto di coesione nazionale, è un sistema costruito in ottant’anni, fondato sul sangue di nonni e bisnonni e sui debiti dei padri, sul sacrificio di tre o quattro generazioni per costruire un avvenire più facile a noi discendenti, a noi discendenti diretti, non al primo che passa.
Sono i sacrifici di un popolo per la propria progenie e null’altro, sarà quella progenie a poterne disporre decidendo se continuare su quella strada o meno ma certo non può vedersene esclusa.
Non basta versare poche lire di tasse ogni tanto per godere in eterno di servizi che costano milioni (che valgano quelle cifre è altra cosa).
Questo si giustifica se alle spalle ci sono generazioni di tartassati&reduci, una nazione non è un albergo, men che meno un albergo ad ore.
Una nazione è una comunità ed in quanto tale può e deve essere solidale ma con gradazioni diverse tra chi vi appartiene e chi passa di li, altrimenti che vantaggio c’è ad esserne membri responsabili?
Che ci si guadagna ad assolvere coscienziosamente a quel genere di doveri e convenzioni sociali?
Mi risponda, se può, chi afferma, al contrario, che va dato tutto a tutti.
Né venga fuori con la storia della non discriminazione.
Eguaglianza, ci dicono, è trattare situazioni eguali in modo eguale, già ma dimenticano la seconda metà dell’enunciato: trattare situazioni differenti in maniera differente.
Lo status civitatis è una legittima discriminante giuridica!
Essere o non essere cittadini è condizione giuridicamente rilevante per legittimare trattamenti diversi.
Residenza, contribuzione sono tutte cose importanti ma non possono far aggio sulla Cittadinanza.
In caso contrario mi dicano, mi spieghino cosa me n’è venuto ad averla, perché dovrei conservarla?