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carbonass
24-05-03, 19:31
Warburg: occorre risuscitare il mito per non sprofondare nel caos

24/5/2003

NEL 1879, mentre Caikovskij metteva in scena l'Onegin e la Germania e
l'Austria-Ungheria stipulavano la Duplice Alleanza e von Siemens costruiva
il primo tram elettrico e nelle grotte di Altamira venivano scoperte le
prime opere d'arte dell'uomo paleolitico, un allievo tredicenne del
Realgymnasium di Amburgo, figlio maggiore di una famiglia di banchieri
ebrei, decise di diventare uno studioso. Aby, così si chiamava il ragazzo,
cedette a suo fratello Max la primogenitura. Il piatto di lenticchie con cui
la scambiò - l'acquisto di tutti i libri che avesse voluto - fu, dichiarò in
seguito Max, l'assegno in bianco più esoso che avesse mai firmato. Mentre
Max si occupava della banca, Aby si dedicava al greco e al latino,
all'archeologia e alla storia dell'arte, alla filosofia e alla storia delle
religioni. «Dio è in noi», diceva, «e il lavoro quotidiano è la stessa cosa
del servizio divino». Dai musei anseatici alla Biblioteca Vaticana, dalla
ferrovia di Santa Fe al mitreo di Capua, Aby Warburg viaggiava e guardava,
annotava, fotografava, studiava. Comparava le danze delle ninfe e le
traiettorie degli astri nello zodiaco, la discesa agli inferi di Proserpina
in Rembrandt e il rituale del serpente fra gli indiani Hopi, l'antichità
demonica dei greci e i dèmoni della Riforma. «Siamo nell'età di Faust»,
diceva Warburg. Ma si considerava «nato in Platonia». Esplorava febbrilmente
le regioni semisotterranee che da un capo all'altro del mondo legavano la
tradizione ellenica, indiana e araba all'alfabeto di simboli in cui ancora
gli dèi pagani erano sopravvissuti come immagini delle costellazioni.
Ripercorreva la via che erroneamente chiamiamo medievale, ma che in realtà,
passando per Bisanzio, collega in un'unica linea ininterrotta la tarda
antichità al Rinascimento. Laggiù, logica e magia fiorivano ancora da un
unico tronco. Warburg voleva riconquistare la chiarezza e superare
l'opposizione tragica tra il pensiero magico e il discorso logico. Aby
Warburg era clinicamente pazzo. Temeva a volte che le sue opere sarebbero
rimaste depositate negli archivi dei suoi psichiatri a Kreuzlingen. Sono le
confessioni, diceva, di un incurabile schizoide. Ma tutta l'umanità è in
ogni epoca schizofrenica. E lo è di più da quando la civiltà delle macchine
ha distrutto quel senso di distanza che il sapere scaturito dal mito aveva
conquistato. Secondo Warburg il moderno Prometeo e il moderno Icaro,
Franklin e i fratelli Wright, sono i fatidici distruttori della sfera della
contemplazione che crea spazio al pensiero. Il fulmine imprigionato nel filo
ha creato una civiltà che si allontana dal paganesimo. La connessione
istantanea dell'elettricità distrugge la relazione degli uomini con
l'ambiente. Il telegramma e il telefono polverizzano il cosmo. Il progresso,
secondo Warburg, minaccia di riportare il globo nel caos. Occorre che
un'umanità disciplinata risusciti il mito, riabiliti il simbolo,
ristabilisca le inibizioni della coscienza. «Occorre sempre», diceva
Warburg, «salvare Atene da Alessandria».

Vahagn
02-06-03, 00:29
Su Warburg è appena uscito: Ernst H. Gombrich, "Aby Warburg. Una biografia intellettuale", Le Comete, Feltrinelli, 2003, pp. 320, eur. 30.