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Davide (POL)
19-06-03, 14:43
I rischi dell'agricoltura geneticamente modificata e le promesse non mantenute del bio-tech, i timori per la salute dei consumatori. Un incontro con Mae-Wan Ho, biologa e attivista tra i ricercatori firmatari del documento «The Case For a Gm-Free Sustainable World», presentato a Roma nel corso del convegno su «Ogm, brevetti e fame nel mondo»
MATTEO BARTOCCI

Mae Wan Ho è una scienziata combattiva e radicale che da anni segnala i rischi dell'agricoltura geneticamente modificata. In questi giorni si trova a Roma per il convegno «Ogm, brevetti e fame nel mondo» (del quale si parla in questa pagina). La minuta scienziata di origine malese - nota ai lettori italiani per il suo Ingegneria genetica. Scienza e business delle biotecnologie, DeriveApprodi, 2001 - sorride spesso nel corso dell'intervista ma, il tono lieve non smorza la durezza dei suoi giudizi. Le promesse dei sostenitori degli Ogm si sono rivelate una chimera. Quello di cui c'è bisogno è invece un cambiamento di paradigma nella genetica molecolare, una nuova biologia olistica ed ecologica, una scienza che non consideri più i geni come oggetti isolati ma li veda come parti di una relazione più ampia in cui essi stessi sono sottoposti alle influenze e al cambiamento indotti dall'ambiente. Il modello riduzionista, dice Ho con un sorriso, è finito.

Dottoressa Ho, insieme ad altri ricercatori ha appena pubblicato un documento chiamato «The case for a GM-Free Sustainable World». Di che si tratta?

Insieme a alcuni scienziati di vari paesi,molto critici sul biotech, abbiamo prodotto un rapporto dettagliato, oltre 130 pagine, che raccoglie tutte le prove che mettono in dubbio la sicurezza degli Ogm.
Ce le può riassumere in breve?
Gli organismi transgenici non hanno mantenuto nessuna delle promesse fatte dai loro promotori o creatori. Le difficoltà che abbiamo di fronte oggi erano state ampiamente previste da chi dubitava e criticava: resistenza delle piante e dei parassiti agli erbicidi e ai pesticidi, contaminazione delle piante normali a causa del polline, e così via. Ma le prove di questo disastro sono state soppresse, per motivi commerciali, economici o politici.
Cosa dite dal punto di vista scientifico nel vostro documento?
Le preoccupazioni della scienza sugli Ogm sono molte. Per esempio si usano vettori virali e batterici modificati, in qualche caso anche pericolosi. Il cibo creato in laboratorio, inoltre, non fa parte della nostra catena alimentare e non conosciamo i suoi effetti sul lungo periodo.

Lei si definisce una «scienziata radicale». Qual è la situazione a livello accademico per i ricercatori che la pensano come lei?

In Gran Bretagna, ma anche in altri paesi, ci sono molti scienziati che hanno perso il lavoro o i fondi per le loro ricerche semplicemente perché cercavano di rendere noti i risultati delle loro scoperte sugli Ogm. Scoperte che mettono in luce, in base a test scientifici, la pericolosità e la mancanza di sicurezza di questi organismi creati in laboratorio. Il caso più celebre è quello di Arpad Pusztai, un ricercatore del Rowett Institute in Scozia. Ma una cosa simile è successa anche a me quando mi occupavo del trasferimento genico orizzontale, cioè tra specie diverse. Quando lavoravo all'Open University fui incoraggiata a ritirarmi prima della fine del mio contratto. Oggi infatti mi occupo poco di ricerca di base.
Il governo americano sta per lanciare al Wto un'offensiva contro l'Unione Europea a causa della moratoria sugli Ogm in vigore nel nostro continente....
A livello internazionale gli Ogm sono regolati dal protocollo sulla biosicurezza di Cartagena firmato nel 2000 da 139 nazioni. Il trattato è stato ratificato da 50 stati ed è quindi entrato in vigore, permettendo ad ogni paese o regione, come l'Europa, di decidere cosa possa entrare e cosa no in base a leggi appropriate e autonome. E' vero però che il protocollo è costantemente minacciato e rischia di essere inefficace. L'aspetto più importante, a mio avviso, è cosa pensano i cittadini: i consumatori europei non vogliono prodotti Ogm e questo sentimento va tenuto in considerazione e accompagnato da conoscenze scientifiche valide.

Qual è la situazione in Gran Bretagna?

Anche i cittadini inglesi sono nettamente contrari agli Ogm. Penso alle molte battaglie locali nei piccoli paesi scelti come terreno di prova per la coltivazione di piante trangeniche. Molti cittadini sono intervenuti per distruggere questi raccolti, perché la preoccupazione sulla sicurezza e sui tentativi di instaurare un monopolio sul cibo sono molto diffusi. Sicurezza, salute e tutela dell'ambiente sono preoccupazioni molto sentite in Inghilterra.

Proprio per contrastare queste resistenze, il governo britannico ha lanciato in questi giorni un dibattito nazionale aperto a tutti i cittadini sulle questioni sollevate dagli Ogm, chiamato «GM Nation?». Di che cosa si tratta?

Finalmente il governo ha deciso di dare il via a una consultazione nazionale. E ha impostato il dibattito su tre filoni principali: cosa deve fare il Regno Unito nei confronti del transgenico, gli aspetti economici del biotech; le valutazioni scientifiche sugli Ogm. Il che, detto per inciso, si riduce a una serie di incontri poco pubblicizzati e a un sito web. Infatti ci sono state molte polemiche in Gran Bretagna, perché il governo ha destinato ai dibattiti fondi insufficienti e non ha fatto alcuna promozione agli eventi tenuti nelle varie città. Ma chi è andato, molte centinaia di persone, è riuscito comunque a esprimere la propria contrarietà.

Nonostante questi limiti è però la prima volta che un governo consulta i cittadini su questioni così complesse ma che li riguardano direttamente. Un'iniziativa tutto sommato interessante e forse da approfondire anche in altri paesi. Come si svolgeva il dibattito in concreto?

Le riunioni si svolgevano in alcune grandi sale allestite con tavoli e sedie. Non ci sono stati interventi diretti di esperti, attivisti o politici. All'inizio della riunione veniva proiettato un video abbastanza obiettivo preparato dal governo. E su questa semplice base, del tutto insufficiente a soddisfare le molteplici curiosità su questioni così complesse, i cittadini iniziavano a discutere tra di loro. Non c'è stata abbastanza informazione, specialmente scientifica. Né si potevano porre domande, perché non c'era nessuno a cui rivolgerle.

Se «Gm Nation?» non è un modello appropriato, cosa si dovrebbe fare allora per coinvolgere il pubblico nelle questioni scientifiche e ambientali che lo riguardano?

A mio avviso è più utile creare una serie di eventi pubblici in cui tutte le questioni siano presentate in modo chiaro. Riunioni in cui il pubblico possa fare domande e ottenere risposte sincere e attendibili. Un video non basta per farsi un'opinione... Il pubblico ha bisogno di avere un'informazione completa e non deve essere tenuto all'oscuro. Nessuno può dire: «Non ti preoccupare, io sono un esperto», oppure «Tu non puoi capire perché non hai studiato biologia». Chiunque può farsi un'idea sulla base di prove attendibili e scientificamente valide.

Lei ha pubblicato recentemente un libro intitolato Living with the Fluid Genome, non ancora tradotto nel nostro paese. Il concetto di genoma «fluido» si sta diffondendo nel dibattito sulla biologia, penso ad esempio al lavoro di Evelyn Fox Keller, ma anche ad alcuni risultati del Progetto Genoma Umano. Ci può spiegare meglio di che si tratta?

Il mio libro è un'introduzione al cambiamento di paradigma in atto nella biologia molecolare. Alla base delle biotecnologie e delle tecniche sul Dna ricombinante c'è infatti un approccio riduzionista, espresso a chiare lettere da Francis Crick in quello che lui ha chiamato il «dogma centrale della biologia molecolare»: l'informazione genetica si muove in modo unidirezionale: dal Dna va all'Rna, poi alle proteine e infine arriva all'organismo. Questo modello è falso e inadeguato alla realtà del vivente. Le proteine non sono burattini manovrati dai geni. Il «genoma fluido» significa che ci sono molteplici sentieri che conducono dai geni alle proteine e, soprattutto, che il movimento non è lineare, ci sono feedback e relazioni che vanno a ritroso dall'ambiente alle proteine al Dna. Si fa quindi strada, anche nella scienza più ortodossa, il concetto di «reti di regolazione e di espressione genica». Un'idea molto diversa dal dogma di cui le ho parlato. Il Dna è una molecola molto dinamica e i geni, a differenza dei diamanti, non sono per sempre. Il corredo genetico è sensibile all'ambiente che lo circonda. Ecco perché pesticidi, erbicidi e vaccini possono condurre a un rimescolamento genetico, un fenomeno di cui cominciamo solo ora a capire i pericoli.
Dopo concetti come «sicurezza», «tracciabilità» e «etichettatura» si sta affrontando ora quello di «prossimità». Gli scienziati come lei sono contrari alla coesistenza tra prodotti geneticamente modificati e non. Perché?
Perché non esiste separazione tra organismi e ambiente. Se distruggiamo quello che ci circonda distruggiamo noi stessi. Le prove scientifiche dicono infatti che i geni delle piante modificate contaminano le altre tramite il polline. Non c'è modo di bloccare il vento. In Canada, per esempio, 32 varietà di semi su 33 sono contaminati con Ogm, anche se non dovrebbero. Le ricerche sugli Ogm agricoli non dovrebbero essere ammesse in campo aperto, ma confinate nei laboratori.

Molti dicono che gli Ogm potranno contribuire a risolvere il probema della fame nel mondo e accusano gli ambientalisti di una sorta di barbaro cinismo. Lei che ne pensa?

Sono consulente scientifico del Third World Network e quindi sono coinvolta direttamente in queste questioni. Vorrei raccontare il caso dello Zambia. L'anno scorso questo paese africano è stato colpito da una pesante carestia, ma rifiutò i semi transgenici inviati dagli Stati Uniti, una decisione che fu accolta come uno scandalo. Prima della decisione, però, il presidente dello Zambia invitò nel paese molti scienziati internazionali e alla fine del dibattito si votò democraticamente a favore del rifiuto degli aiuti «umanitari» americani. Il problema era che se li avessero accettati avrebbero perso lo status di paese «Ogm-free» e quindi le loro esportazioni agricole ne avrebbero risentito. In seguito, in un forum panafricano, fu firmata la «dichiarazione di Lusaka» che afferma che gli Ogm non sono la soluzione alla fame nel continente. L'Africa è in grado di nutrirsi. Però mancano l'acqua, le strade, le infrastrutture, le attrezzature agricole. Il problema della fame è un problema di distribuzione, non di produzione. Nel mondo c'è un surplus di cibo e gli Ogm non possono risolvere i problemi logistici e di distribuzione degli alimenti, dell'acqua e della produzione agricola.

Lei è contraria anche all'uso delle biotecnologie in medicina?

Sebbene abbia registrato una manciata di successi, il biotech in campo sanitario sta incontrando molte difficoltà. I problemi principali sono, per esempio, i vari e complessi meccanismi di rigetto messi in atto dal nostro corpo di fronte a oggetti estranei, come le cellule modificate. In qualche caso, poi, le cure hanno anche dato luogo a forme tumorali, cioè a delle vere e proprie disfunzioni cellulari. Inoltre le patologie basate sul malfunzionamento di un singolo gene - le migliori candidate a una terapia genica funzionante -, purtroppo sono solo una minoranza. Infine l'esposizione al Dna transgenico potrebbe essere una cosa pericolosa in sé. La medicina «riduzionista» non funziona. Per avere un organismo in salute ed efficiente dobbiamo trovare un equilibrio sano con l'ambiente che ci circonda.