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Davide (POL)
23-06-03, 18:40
Animalismo e consumo critico

Antonella De Paola

Negli ultimi 30 anni, dalla pubblicazione di "Liberazione Animale" ad oggi, l'animalismo non è più un'astrazione filosofica ma un concretissimo movimento socio-politico. Dal 1975 ad oggi, molto è cambiato, a livello ideologico e a livello giuridico.
Per quanto riguarda la sensibilità nei confronti della questione animale, pensiamo ad esempio alla legge italiana sull'obiezione di coscienza nei confronti della sperimentazione animale per motivi didattici; o al riconoscimento di uno statuto giuridico speciale per i primati messo a punto in Nuova Zelanda; o alla recente legge italiana per i maltrattamenti su animali, che riconoscono gli animali come soggetti di diritto; o alla legge sulla festa dei grilli emanata dal Comune di Firenze.
A livello giuridico, le pressioni del mondo animalista hanno portato ad una serie di leggi che verranno messe in atto proprio nel prossimo decennio (leggi comunitarie contro il "gavage", la spiumatura di volatili vivi, gli allevamenti di visone, dei vitelli "da carne bianca", delle galline ovaiole; la legge sulla sperimentazione animale per cosmetici).
Nonostante ciò, gli animali vengono regolarmente seviziati nei laboratori, sgozzati e scuoiati nei macelli, imprigionati a vita nelle gabbie degli zoo e dei circhi, presi a pallottole per divertimento. Questo è dovuto in buona parte all'ignoranza di ciò che avviene in questi luoghi di tortura animale (è del resto assai raro che qualcuno ci racconti la realtà delle condizioni di vita degli animali da macello o di come nascono le nostre pellicce o di come sono costretti a vivere gli animali utilizzati nei circhi).
La ragione principale per cui gli animali continuano ad essere in balia del più bieco sfruttamento da parte dell'uomo è però un'altra. Per usare un’espressione oggi di moda, la liberazione animale è ostacolata da un pesantissimo "conflitto d'interesse". I diritti degli animali sono in netto contrasto con gli interessi umani e, siccome gli animali non sono in grado di organizzarsi per far valere i loro diritti, la loro liberazione è nelle mani proprio dei loro aguzzini, cioè di noi umani. Ammettere i diritti degli animali, ci costringe a capovolgere il nostro stile di vita in maniera drastica e a rinunciare ad abitudini estremamente radicate, come ad esempio il mangiare carne. E se questo è estremamente difficile per noi singoli individui, è ancora più difficile a livello macroscopico perché lo sfruttamento degli animali è alla base dell'attuale economia mondiale. Se per noi, singoli individui, è difficile ammettere che una bistecca è il frutto di una violenza arbitraria nei confronti degli animali, è sicuramente più difficile che questa affermazione venga ammessa da parte della McDonald's, per cui lo sfruttamento degli animali è condizione indispensabile per la propria attività.
Chiedere ed ottenere leggi migliori per il benessere degli animali è sicuramente importante, ma la questione animale non cambierà radicalmente fintanto che il mondo dell'industria continuerà a raccogliere grossi profitti dallo sfruttamento degli animali. Gli animalisti, così come tutti coloro che hanno a cuore un mondo più giusto, dovranno pertanto fare pressione proprio sul mondo della produzione per incentivarlo ad abbracciare comportamenti eticamente accettabili.
Di fronte alla potenza economica, finanziaria ed anche politica delle multinazionali ci sentiamo del tutto inermi ma questa sensazione di impotenza è assolutamente infondata. Dovremmo invece renderci conto che in un mondo basato sulla compravendita di merci, la scelta di cosa comprare e cosa no è l'arma più potente che ci sia. La scelta di cosa comprare è fondamentalmente l'unico reale potere che la società dei consumi ci concede, forse persino più importante del voto elettorale se si considera che il mondo della politica è comunque pesantemente influenzato dal mondo della produzione.
È per questo nostro immenso potere che siamo bombardati dalla pubblicità (nella sola Italia, in un anno, si spendono oltre 25.000 miliardi di pubblicità, soldi peraltro che poi paghiamo al momento dell'acquisto). Il mondo della produzione ci considera come delle prede da catturare, delle mucche da mungere, delle marionette telecomandate ed insensate. La folle corsa agli acquisti che ci è stata abilmente imposta, non conviene né a noi, né agli animali, né all'ambiente. Conviene solo agli interessi di un manipolo di finanzieri ed alti dirigenti aziendali.
Ed eccoci quindi arrivati all'importanza del consumo critico o alla sua forma estrema: il boicottaggio. Il primo punto del consumo critico è quindi quello di non farci prendere in giro. Tanto per cominciare, dovremmo imparare a consumare solo quello che ci serve realmente, cioè meno. Se, per pura ipotesi, riuscissimo a comprare sempre e comunque prodotti etici, continuando a comprare forsennatamente così come facciamo, contribuiremmo comunque al depauperamento delle risorse naturali del pianeta, risorse che, a questo ritmo, secondo gli scienziati, si esauriranno nell'arco di 50 anni. Se volessimo poi estendere il nostro benessere all'intera umanità, visto che i paesi del primo mondo consumano l'80% delle risorse della Terra, dovremmo inventarci altri 4 pianeti. Ad esempio, se volessimo che tutti i cittadini di questo mondo mangiassero tanta carne quanto ne mangiamo noi, considerato che un chilo di carne richiede un consumo, da parte dell'animale, di 16 chili di cereali, è evidente che i pascoli del mondo non sarebbero sufficienti a questo scopo.
Oltre ad una riduzione dei consumi, è poi importante acquisire l'abitudine a consumare secondo criteri etici e non secondo la pressione pubblicitaria o il costo del prodotto o la gradevolezza dell'involucro. Comprare quindi solo prodotti rispettosi dei diritti dell'uomo, degli animali e dell'ambiente.
Diventare consumatori critici non è però facilissimo, soprattutto all'inizio, non solo perché ci obbliga a fare delle scelte e delle rinunce ma anche perché è oggettivamente difficile riuscire a capire cosa è etico e cosa non lo è. E' difficile, cioè, sapere quali sono i comportamenti di produzione e vendita delle aziende, è difficile capire a quale azienda fa capo un determinato marchio, è difficile capire la reale qualità dei prodotti (ad esempio, se un prodotto contiene OGM o meno).
Non tutte queste informazioni possono essere indicate sulle etichette ma anche quelle che potrebbero essere indicate non lo sono perché a tutt'oggi la normativa sulle etichette permette alle aziende di non fare dichiarazioni al riguardo e non permette quindi al consumatore di fare scelte motivate. Ad esempio, le diciture “no-cruelty” sui cosmetici sono più forme di inganno che di reale informazione.
Per il momento queste difficoltà pratiche possono essere superate solamente appoggiandosi a studi specifici su questi argomenti. Per lo meno all'inizio, bisogna appoggiarsi ad una guida che dia tutte queste indicazioni. Con il tempo e la pratica però si sviluppano anche tecniche di consumo responsabile individuali e, con queste, una maggiore indipendenza (preferenza per prodotti biologici, equo-solidali, cosmetici di erboristeria, prodotti di piccole aziende locali anziché delle multinazionali, prodotti "vecchi").
Varie sono le forme di consumo critico: si può ad esempio decidere di non comprare una tipologia di prodotti che disapproviamo (ad esempio le uova di batteria); oppure si può boicottare una multinazionale di cui disapproviamo la politica (ad esempio, la Procter & Gamble, che testa i suoi cosmetici su animali, e di conseguenza boicottare anche tutti gli altri prodotti dell'impero P&G); oppure si può puntare sull'acquisto di prodotti etici (prodotti “no-cruelty”, biologici, equo-solidali). L'ideale sarebbe riuscire a portare avanti tutte e tre le forme di protesta, cioè l'approccio multiplo, perché in questo modo togliamo fondi alle aziende che disapproviamo e, nel contempo, sovvenzioniamo le aziende etiche, normalmente piccole aziende che hanno bisogno dei nostri soldi per poter crescere tecnologicamente ed ampliare la propria fetta di mercato.
In Italia il consumo critico è un'arma poco diffusa. Si può dire che sia stata introdotta dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, un gruppo appartenente alla sinistra cattolica, con la pubblicazione, nel 1994, del primo studio approfondito sui comportamenti etici delle aziende e sull'eticità dei loro prodotti. In realtà, il boicottaggio, ovverosia una forma di consumo critico mirato al raggiungimento di un determinato obiettivo, ha radici storiche e, in campo umanitario, ha ottenuto notevoli successi. Tra i boicottaggi più significativi, il boicottaggio dei prodotti realizzati dagli schiavi da parte dei francesi, che ha portato alla abolizione della schiavitù nel 1792; il boicottaggio promosso da Martin Luther King, che ha favorito l'approvazione di leggi anti razziali; il boicottaggio dei prodotti inglesi promosso in India da Gandhi, che ha favorito la rinuncia da parte della Gran Bretagna ai suoi possedimenti in questo Paese. In tempi più recenti, il boicottaggio contro Nike, Reebok, Del Monte. E in campo animalista, quelli contro Gillette e L'Oreal.
Bisogna infine tenere conto che questi successi contro le grosse multinazionali, instaurano un positivo processo a catena perché l'accettazione, da parte di un'azienda, di determinati comportamenti etici, è da esempio alle altre aziende del settore per cui una vittoria apparentemente isolata è spesso l'inizio di un cambiamento molto più vasto.
Una campagna di boicottaggio è sempre efficace, anche quando non riesce a provocare un concreto calo del fatturato dell'azienda. Il boicottaggio è infatti efficace anche in altri modi. Innanzitutto, contribuisce a sensibilizzare l'opinione pubblica su questo o quel problema e a far circolare le informazioni. Secondariamente, danneggia l'immagine dell'azienda e, nell'attuale sistema commerciale, l'immagine di un'azienda è alla base del successo dell'azienda stessa. Un prodotto "griffato" non è sempre migliore di un analogo prodotto anonimo; il motivo per cui la gente è però disposta a comprare il prodotto "griffato" anziché quello anonimo, e ad un costo di gran lunga superiore, è perché comprando quel prodotto, insieme al prodotto vero e proprio, si compra l'immagine sociale che l'azienda è riuscita a creare intorno al proprio nome e si entra a far parte di quel mondo "elitario" che l'azienda rappresenta. Da qui la necessità, da parte delle aziende, di preservare un'immagine assolutamente positiva. E' per questo che le aziende spendono ingenti capitali per monitorare in continuazione la propria immagine tra l'opinione pubblica ed è per questo che sempre più adottano una nuova tecnica di marketing che consiste nello sponsorizzare varie forme di "missioni bontà", tecnica sicuramente organizzata per motivi commerciali, ma che ha tuttavia il vantaggio di promuovere azioni concrete a favore dei meno fortunati o dell'ambiente e che dimostra che le aziende cominciano a recepire le pressioni dei consumatori etici e cercano di soddisfare le loro esigenze.
Quel che è certo è che il consumo responsabile riesce a condizionare i metodi di produzione e vendita delle aziende solo quando è condiviso da un alto numero di persone e perché questo avvenga occorre che le campagne di pressione siano convogliate su pochi obiettivi comuni. Senza un'azione di coordinamento, il risultato è di frammentare le forze e di rendere la pressione insufficiente. E siccome le stesse multinazionali che sono nel mirino degli animalisti perché testano i loro fondotinta negli occhi dei conigli, sono spesso oggetto di boicottaggio anche per motivi sociali perché, ad esempio, si avvalgono di lavoratori sottopagati del Terzo Mondo o perché inquinano l'ambiente, è importante unire le forze tra i vari ambiti di giustizia e convogliare la protesta su pochi obiettivi comuni. La ricerca di un effetto sinergico è particolarmente conveniente al mondo dell'animalismo perché il nostro movimento è ancora troppo recente, troppo disorganizzato e troppo debole. Un boicottaggio unitario potrebbe ad esempio essere condotto contro la Friskies, azienda e marchio di proprietà della Nestlè, già notoriamente oggetto di boicottaggio da parte delle associazioni umanitarie di oltre 20 nazioni di tutto il mondo e colpevole di testare su animali, anche in maniera cruenta, i propri mangimi per cani e gatti domestici.
L'importante è non farsi sconfiggere dal pessimismo e ricordarsi che le grandi battaglie morali richiedono sempre tempi lunghi. L'importante è che ognuno faccia la sua parte. I risultati prima o poi arrivano. Come disse Einstein, "solo coloro che sono così folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero".