PDA

Visualizza Versione Completa : Mauro Meriggi: Karol Wojtyla e le 'radici cristiane dell'Europa'



Orazio Coclite
06-07-03, 20:09
Da: http://www.lacittadella-mtr.com



LA CITTADELLA
Anno II, nuova serie, numero 05 MMDCCLV a.U.c.

KAROL WOJTYLA E LE “RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA”
di Mauro Meriggi

Il disegno di “rievangelizzazione” dell’Europa caro a Giovanni Paolo II muove dall’ormai noto concetto di “secolarizzazione”, ovvero da un’interpretazione della storia europea che vede il Medioevo come l’epoca della “Cristianità”, cioè quella di una religiosità alta e diffusa la quale sarebbe stata poi messa in crisi dal Rinascimento, parzialmente recuperata con le due Riforme (la protestante e la cattolica), colpita al cuore a partire dall’Illuminismo. Fatto sta che l’idea della “scristianizzazione” dell’Europa parte già da un assunto che è in buona misura confutabile: quello che l’Europa, e soprattutto l’Europa popolare, e rurale in particolare, sia stata, fino alle soglie della Rivoluzione francese, profondamente ed autenticamente cristiana.

Lo storico Jean Delumeau, col suo saggio Cristianità e cristianizzazione, è forse stato quello che meglio ha smontato il mito dell’Europa cristiana di cui Karol Wojtyla è l’ultimo grande banditore. Ricercatore accuratissimo, Delumeau è giunto ad affermare: “E’ probabile che la stragrande maggioranza degli europei avesse, all’alba del secolo XVI, un’idea confusa del cristianesimo, in cui frammenti di dogmi si mescolavano a superstizioni nate nella notte dei tempi e a un politeismo mal camuffato. Le due riforme, apparentemente antagoniste ma di fatto solidali, costituirono un’ondata di cristianesimo sicuramente paragonabile a quella dei primi tempi della chiesa. Ci si sforzò di insegnare il catechismo alle masse, soprattutto alle masse rurali fino a quel momento gravemente trascurate. Non c’è dubbio che questi sforzi diedero un risultato importante. Ma, da una parte, si scontrarono con l’analfabetismo di almeno il 50% della popolazione e con le resistenze di una mentalità che rimase a lungo animista. Dall’altra il cristianesimo insegnato ai fedeli inserì spesso il credo all’interno di una religiosità costrittiva, minacciosa, dai toni manichei, utilitaristica e tuttavia ostile al mondo”(1). Peraltro, va detto che la stessa grande opera evangelizzatrice promossa dal cattolicesimo controriformistico non riuscirà in pieno. Si pensi solo al dato riferito sempre da Delumeau circa le “persone devote” (cioè partecipanti almeno alla confessione e alla comunione nelle feste solenni) censite dai visitatori episcopali nella diocesi di Tolosa a cavallo tra il XVI e il XVII secolo: le percentuali oscillano tra il 2,6 e il 3,9%(2).

Se le ricerche di un Delumeau intaccano il mito, figlio della cultura antiilluministica e romantica, di un’Europa perfettamente coincidente con un’ideale Cristianità, d’altro canto sarebbe esagerato, se non addirittura sciocco, volerne concludere che il Cristianesimo ha solo superficialmente influito sulla coscienza dell’uomo europeo. In realtà la trasformazione della mentalità delle nostre popolazioni operata da quella credenza d’origine semitica è stata profonda, come profonda è oggi una crisi di rigetto che tuttavia non sa darsi sbocchi salutari ed adeguati.

Curioso, ma non troppo, è che gli studi di Delumeau (edito in Italia dalla casa editrice cattolica Marietti) abbiano trovato entusiastica adesione in certi ambienti del cattolicesimo progressista che non amano i lamenti sulla secolarizzazione del filosofo Del Noce e dei suoi più che mediocri epigoni(3), e che anzi, sulla scia del teologo Gogarten, sostengono che la secolarizzazione è il “frutto maturo e coerente della fede biblica e cristiana, rovesciando così la tendenza dominante nelle chiese cristiane, che vede nella secolarizzazione la prima radice dei mali che affliggono le chiese e il mondo contemporaneo”(4).

L’idea di “secolarizzazione” in effetti è del tutto interna al Cristianesimo, dato che saeculum è, nel vocabolario cristiano, il tempo-spazio del mondo “mondano” ed “immondo”, che il cristiano attraversa come un estraneo pellegrino nella speranza della “consumazione dei secoli” e dell’avvento della Gerusalemme Celeste. Allora la secolarizzazione è sì il fatto tutto moderno, e ormai pressoché planetario, dell’irreligiosità di massa, ma prima ancora è il frutto della consapevole riduzione, operata proprio dal Cristianesimo fin dalle sue origini, del mondo di quaggiù a saeculum nell’accezione anzidetta(5), di contro alla visione pagana del cosmo ben espressa dal virgiliano “Iovis omnia plena”. Le radici cristiane dell’Europa sono dunque le radici stesse della secolarizzazione, che a noi appare piuttosto come il frutto compiuto della “de-sacralizzazione”, ovvero dell’estirpazione violenta delle radici pagane dell’Europa da parte dei fautori di un credo allogeno che solo a prezzo del mantenimento di una buona dose di “superstizioni pagane” garantirà pur esso ancora per qualche secolo una residua concezione sacrale, animata, del mondo naturale ed umano.

Le scuse che Giovanni Paolo II ha pronunciato contro i misfatti del Cattolicesimo e dell’Europa cattolica sono state assai ampie e a volte storicamente infondate e inopportune. Ma non hanno mai riguardato l’Europa pagana. Restano giustificati la rimozione dell’altare della Vittoria dall’aula del Senato di Roma(6) come il massacro carolingio dei Sassoni(7). Cosa vuol dire tutto ciò, se non che l’uso del potere politico-militare rimarrebbe giustificato ancor oggi di fronte ad un riaffiorare delle radici pagane? E la prima grande secolarizzazione, non investì forse il potere politico, con la deposizione da parte di Graziano, nel 376, delle insegne del pontificato massimo pagano? Da allora non vi fu più una “città dell’uomo” capace di essere al contempo una “città degli Dei”, ma solo una “civitas diaboli” di contro ad una “civitas Dei”, la cui rappresentante terrena, la Chiesa, sa però far buon uso, casta meretrix quale la diceva Agostino d’Ippona, dello zampino, anzi dello zampone a giudicare dai fatti, del diavolo.

Il “pacifico” messaggio cristiano così mette le sue definitive radici nell’Occidente romano, con le leggi antipagane di Teodosio che nel 391 vietano i culti pubblici: “Nessuno ha il diritto di compiere sacrifici, nessuno frequenti i templi, nessuno veneri i santuari. Tutti riconoscano che la nostra legge proibisce queste empie frequentazioni, cosicché se qualcuno compie, malgrado questa proibizione, qualcosa che riguardi gli dèi e le cose sacre, sappia che nessuna indulgenza lo sottrarrà al castigo” (Codice Teodosiano, XVI, 10, 7). Né tali leggi si fermarono alle soglie delle abitazioni private, ville o tuguri che fossero: “Nessun individuo, di qualsivoglia classe o ordine, anche se ricopre una carica o l’ha ricoperta in passato, che sia potente per nascita o umile per stirpe, rango e patrimonio, sacrifichi vittime innocenti alle immagini prive di senso, in qualsiasi luogo di qualsiasi città; nessuno, con un sacrilegio più segreto, veneri il suo lare col fuoco, il suo genio col vino, i suoi penati con profumi gradevoli, accenda lumi a essi, bruci incenso, sospenda corone” (Codice Teodosiano, XVI, 10, 12). Da qui cominciarono non solo le sistematiche distruzioni dei luoghi di culto, ma anche i pogrom antipagani, quelli che portarono, ad esempio, al linciaggio di Ipazia, aristocratica e filosofa neoplatonica, luce femminile della sua epoca, ad Alessandria d’Egitto: “Accordatisi alcuni uomini ardenti d’animo, a capo dei quali era un certo Pietro il Lettore, aspettarono la donna mentre non so da dove si recava a casa. E tirandola giù dal cocchio la trascinarono nella chiesa che prende il nome dal Cesare imperatore: la spogliarono delle vesti e con gusci di conchiglie la fecero a brandelli. E quando l’ebbero fatta a pezzi, portarono le membra nel luogo detto Cinaron e le distrussero col fuoco”(8).

Insegnava, la religione prisca di Roma, a espiare la deviazione di un fiumiciattolo offrendo alle ninfe, e ciò non impediva ai Romani, anzi, di conquistare il mondo(9). Desacralizzata la natura, il mondo “cosificato” sarà aperto alle più brutali conquiste. Che vi fosse nel Cristianesimo un’implicita e pericolosa violazione della sacralità della natura, l’anima europea ancora per un po’ seppe avvertirlo, e tornava a guardare indietro, a usi e costumi non intristiti dal verbo venuto dall’arida terra delle tribù di Israele.

Cesario di Arles (arcivescovo dal 503 al 543), così era costretto a parlare, poco più di un secolo dopo le leggi teodosiane, al popolo romano-celtico della sua diocesi: “Sono dei disgraziati, dei miserabili coloro che danzano senza timore e senza giustamente arrossire davanti alle chiese dei santi. Anche se essi giungono alla chiesa cristiani, se ne ritornano pagani, poiché il costume di danzare è un residuo dei culti pagani. Voi vedete già cosa vale quel cristiano che, venuto in chiesa per pregare, trascura la preghiera e non esita a proferire le formule sacre dei pagani; domandatevi ugualmente, fratelli miei, se è giusto che da questa bocca cristiana dove penetra il corpo di Cristo, venga fuori una canzone oscena, una specie di veleno diabolico. […] Io devo ben essere persuaso che, guidati da Dio, voi avete saputo correggere e far scomparire da questi luoghi questa usanza funesta, residuo di un culto empio dei pagani, tuttavia, se voi conoscete ancora delle popolazioni che si rendono colpevoli della più disgustosa delle sozzure travestendosi con fattezza di vecchia o di cervo, riservate un trattamento così severo che quelle si pentano per aver commesso un sacrilegio. E se voi sapete che alcuni hanno conservato l’abitudine di lanciare grida quando la luna è al suo declino, rimproverateli con severità, mostrando loro che commettono un grave peccato immaginando di potere, attraverso le loro urla o i loro malefici di una audacia sacrilega, venire in aiuto della luna che si oscura nel tempo fissato secondo la volontà di Dio. E se voi ancora vedete alcuni indirizzare voti presso fontane o presso alberi oppure interrogare, come io ho già detto, dei maghi, degli indovini o degli incantatori, oppure appendere al loro collo, o al collo dei loro parenti, amuleti diabolici, segni magici, erbe oppure pezzi d’ambra, biasimateli con estrema severità, dicendo loro che tutti quelli che commettono questo peccato perdono il sacramento del battesimo. Noi abbiamo anche sentito dire che ci sono degli uomini e delle donne resi ciechi a tal punto dal diavolo che il quinto giorno della settimana gli uomini non lavorano nei campi e le donne non filano la lana, e noi affermiamo davanti a Dio e ai suoi angeli che tutti coloro che agiscono così, se non correggono questa idolatria così grave con una lunga e dura penitenza, saranno condannati a bruciare là dove brucerà il diavolo. Poiché questi disgraziati, questi miserabili che in onore di Giove si astengono dal lavorare il quinto giorno si dedicano certamente agli stessi lavori la domenica, senza vergogna e senza preoccupazione. Stroncate dunque molto severamente tutti coloro che secondo la vostra conoscenza vivono così. Se essi non vogliono correggersi, non parlate loro e non mangiate con essi. Se vi appartengono, voi dovete anche frustarli affinché coloro i quali non pensano alla salvezza della loro anima temano almeno la mortificazione del loro corpo. Noi altri, cari fratelli, vi avvertiamo con la sollecitudine di un padre, conoscendo bene il nostro proprio pericolo. Se volete ascoltarci, voi ci causerete una grande gioia e perverrete gloriosamente nel regno dei cieli”(10).

Può anche darsi che fosse già in buona parte, quello dei Gallo-romani della diocesi di Arles, il “paganesimo” come mera sopravvivenza, dagli incerti legami con la realtà metafisica. Ma si ricordi che proprio dalla Gallia era partita la riscossa di Giuliano(11), e si pensi che l’ultimo grande metafisico dell’antichità pagana, il neoplatonico Proclo, muore ad Atene solo qualche decennio prima della predica di cui sopra, nel 485. E di lui sappiamo che era in grado sicuramente di intervenire per ridare il giusto indirizzo a riti deviati od obliati: “Egli – racconta il discepolo e biografo Marino – apprendeva con precisione gli usi degli abitanti e, se essi a causa del lungo tempo trascorso incorrevano in qualche errore nel celebrare i riti, li istruiva spiegando con particolare competenza quanto riguardava gli dèi”(12). Su questa base si spiega come l’“Anatolia, la Cilicia e la Bitinia sono tanto poco cristianizzate che nel 484 i filosofi Pamprepio e Illo vi si recano per suscitarvi un movimento di reazione pagana”(13). E sorprendente è il dato della Sicilia, i cui culti pagani ancora resistenti nel VII secolo lasciano “supporre l’esistenza di una corrente pagana ancora potente”(14).

Ma è pur vero che la violenza cristianizzatrice che si abbatteva sulle campagne non risparmiava nemmeno le città in cui aveva radici la più alta sapienza dell’Occidente. Nel 529 l’imperatore Giustiniano, cui pure si dovette l’imposizione della obbligatorietà del battesimo cristiano e l’iniqua legge che vietava e invalidava i lasciti testamentari ai seguaci del Paganesimo e ordinava l’esproprio dei beni fondiari ad essi delegati, proibiva altresì una volta per tutte ai pagani, che dunque ancora esistevano in non scarsa misura, di ricoprire impieghi pubblici e pertanto anche di insegnare. Nel Codex si affermava: “Noi proibiamo che venga insegnata ogni dottrina da parte di coloro che sono affetti dalla pazzia degli empi Pagani. Perciò nessun Pagano simuli di istruire coloro che sventuratamente li frequentano, mentre in realtà, egli non fa altro che corrompere le anime dei discepoli. Inoltre, che egli non riceva sovvenzioni pubbliche, poiché non ha alcun diritto derivante da divine scritture o da editti statali per ottenere licenza di cose di questo genere. Se qualcuno, qui [a Costantinopoli] o nelle province, risulterà colpevole di questo reato e non si affretterà a ritornare in seno alla nostra santa Chiesa, insieme alla sua famiglia, ossia insieme alla moglie e ai figli, cadrà sotto le suddette sanzioni, le loro proprietà verranno confiscate ed essi stessi verranno mandati in esilio”(15). Così fu chiusa d’autorità la gloriosa scuola di Atene. “Associazione di professori pagani, essa soccombe a tutte queste leggi. I beni confiscati, il diadoco Damaskios e i suoi discepoli si ritirano in Persia dove credono di trovare in Khusraw il ‘sovrano filosofo’ vagheggiato da Platone; ben presto disillusi rientrano nell’Impero dopo la pace perpetua del 531, contando sulla promessa fatta da Giustiniano di lasciarli liberi delle loro opinioni. Tuttavia il gruppo viene smembrato, i più cercando rifugio a Costantinopoli, la metropoli, dove sperano di passare inosservati. Vanamente: nel 564 il prefetto Giovanni d’Asia riceve l’ordine di dar loro la caccia; fa così arrestare grammatici, giuristi, retori, medici molti dei quali finiscono sotto tortura e altri. Sempre nella capitale altri pagani arrestati nel 562 vengono trascinati per la città, fra i lazzi del pubblico, fino alla piazza del Kynegion sulla quale i loro libri e le immagini delle loro divinità con rituale solennità van preda delle fiamme”(16). Così fu cristianizzata l’Europa: né più né meno nel modo in cui è stato comunistizzato e cinesizzato il Tibet. E come per impedire le offerte ad Apollo si costruirono sulle fondamenta dei suoi templi rasi al suolo le chiese per San Michele Arcangelo, così sulla sapienza classica si edificò, cristianizzando Platone ed Aristotele, la metafisica del Medioevo. Sotto le pur belle chiese e le pur sapienti summae theologiae stanno le più antiche radici d’Europa: scavare per credere. E non dimenticare che, come accade per i palinsesti in cui il classico latino giace sotto lo scritto medievale cristiano, non vi può essere dubbio su cosa rappresenti il più e cosa il meno. Con buona pace di papa Wojtyla e della sua Europa cristiana dall’Atlantico agli Urali(17).





NOTE

1) J. Delumeau, Cristianità e cristianizzazione, Casale Monferrato 1984, pp. 160-161.

2) Cfr. ibid., p. 203.

3) Cfr. F. Gentiloni, Wojtyla nostalgico di un’Europa che non ci fu. La cristianità di Delumeau, ne «il manifesto» del 27.09.1984

4) Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Milano 1981, voce Secolarizzazione.

5) Il termine latino saeculum aveva a Roma un significato del tutto diverso, legato come era alla scienza sacra del tempo e del fato di origine etrusca. «La Cittadella» ne parlerà in altra occasione.

6) Il 1° dicembre del 1996 Giovanni Paolo II indirizzò all’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini una “epistola apostolica” (Operosam diem, pubblicata ne «L’Osservatore Romano» del 6 dicembre 1996) in relazione al XVI centenario della morte di Sant’Ambrogio (4 aprile 397), ove era fatto riferimento alla violenta opposizione manifestata dal santo, vescovo di Milano e padre della Chiesa, alla richiesta con cui nel 384 il senatore pagano Simmaco aveva sollecitato il ripristino dell’ara della Vittoria nel Senato, rimossa congiuntamente all’abolizione del culto pubblico degli Dei con i decreti del 382 dell’imperatore cristiano Graziano. Scrivendo a Martini Wojtyla rivendicava la “fermezza” e l’“equilibrio” dimostrati da Ambrogio e il “corretto rapporto tra Chiesa e Stato” di cui l’allora vescovo di Milano sarebbe stato interprete. Nella stessa epistola, di contro, Wojtyla stigmatizzava l’intolleranza antigiudaica di Ambrogio, che impedì all’imperatore Teodosio di rendere giustizia agli ebrei di Callinico, a cui i cristiani avevano distrutto la sinagoga. In tal caso, per Wojtyla, cui interessa il “dialogo” con i cosiddetti “fratelli maggiori” del Giudaismo, Ambrogio avrebbe agito “pregiudicando l’altrui diritto alla libertà e alla giustizia”. Il che rende evidente che ad un’analoga libertà i pagani non avevano diritto…

7) La violenza di Carlo Magno contro questo popolo fu tale che lo stesso abate Alcuino, suo prestigioso consigliere e direttore della Scuola Palatina, fu costretto ad ammonire il suo sovrano che “si può bensì convincere un uomo a credere, ma non lo si può costringere”. Nella Capitulatio de partibus Saxoniae emanata da Carlo, tra le tante disposizioni si legge questa: “Se qualcuno d’ora innanzi avrà voluto nascondersi tra i Sassoni senza essere battezzato, e si sarà rifiutato di ricevere il battesimo, e avrà voluto rimanere pagano, sia condannato a morte” (da A. Camera e R. Fabietti, Corso di storia antica e medievale, Bologna 1997, vol. II, p. 525)

8) Le citazioni dal Codice Teodosiano sono tratte da A. Giardina e B. Gregari, Materiali di Storia antica e medievale, Roma-Bari 2001, vol. B3, pp. 35-36. Dallo stesso vol., p. 39, il brano su Ipazia, proveniente da Socrate, Storia ecclesiastica, VII, 15.

9) E’ significativo che ancora in piena età imperiale in ambito militare si mantenesse vivissimo il senso del sacro entro la natura. Nella sua iscrizione sepolcrale un primipilo anonimo poteva lasciar detto tranquillamente: “Volevo vedere le Ninfe nude: le ho viste” (in Y. Le Bohec, L’esercito romano, Roma 1993, p. 317)

10) Dai Sermones, riportato in A. Giardina, Uomini e culture. Dalla Preistoria all’Alto Medioevo, Roma-Bari 1996, p. 446.

11) Si racconta non a caso che “non appena egli fu giunto in Gallia, dove Costanzo lo inviava ad esercitare l’ufficio di re, ed entrò in Vienna fra le acclamazioni della folla, una vecchia cieca, chiesto chi arrivava e rispostole: ‘Giuliano Cesare’, - ‘Questto è’, gridò, ‘colui che ristabilirà gli altari degli Dei’” (da Giuliano Imperatore, La rinascita degli Dei, Genova 1988, p. 14; le parole citate sono di Augusto Rostagni). Interesserà sicuramente i nostri lettori sapere che secondo talune fonti nella Francia meridionale culti pagani romani, e non celtici, si sarebbero continuati fino alla nostra epoca. Proprio ad Arles, ad esempio, il culto della Dea Dia.

12) In Proclo, I manuali. I testi magico-teurgici – Marino, Vita di Proclo, Milano 1985, p. 298.

13) A. Ducellier, Bisanzio, Torino 1988, p. 43.

14) Ibid., p. 44.

15) Tratto da G. Reale e D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, vol. 1, VIII ed., Brescia 1986, p. 268.

16) A. Ducellier, op. cit., p. 52.

17) Sarà utile ricordare che nell’estremo Occidente nord-atlantico, ovvero in Islanda, la conversione al Cristianesimo si è avuta solo nell’anno 1000 e più viva che altrove lì si è mantenuta la memoria della tradizione nordico-pagana (cfr. Storia delle religioni, a c. di H.-Ch. Puech, vol. 5, Slavi, Balti, Germani e Celti, Roma-Bari 1977, pp. 59-60). Quanto all’Est europeo, rammentiamo che gli antichi abitatori della Prussia, i Prutheni, furono “evangelizzati” dall’Ordine Teutonico solo nel 1283, ma “la conversione della massa della popolazione fu lenta e sanguinosa e solo con la fine del XV secolo si arriverà a eliminare ogni residuo di paganesimo, ma a prezzo dello sterminio e della deportazione da parte dei colonizzatori germanici” (ibid., p. 30). Più significativa la vicenda della Lituania, che non solo resistette più a lungo e con successo agli assalti colonizzatori-cristianizzatori dei Cavalieri Teutonici ma, anche dopo la conversione attraverso il cattolicesimo polacco, in certe regioni si conservò fedele al suo passato tanto che ancora nel 1560 era possibile trovarvi “una religione pressoché immune dall’influenza cristiana” (ibid., p. 38). Per l’odierna rinascita pagana in Islanda, cfr. E. Franksson, Quand l’Islande retrouve ses dieux, in «Eléments», n. 89, Juillet 1997. Sulla Lituania, per la quale sarebbero desiderabili degli aggiornamenti e degli approfondimenti, cfr. Picus, Gli dèi proteggano la Lituania, ne «La Cittadella» (vecchia serie), n. 24, apr.-giu. 1990.

Vahagn
07-07-03, 00:49
Tutto vero! La storia della cristianità parte da un atteggiamento infame nei confronti di chi non è "figlio di Abramo", ed è costretta a tale atteggiamento, fintantoché mantiene quella strana malattia mentale ebraica che è l'esclusivismo.
Però ... Però, sta di fatto che il Medioevo è stato anche una splendida epoca in cui la Tradizione ha potuto perfettamente espletarsi; e in tutti i secoli della cattolicità gli individui hanno potuto usufruire degli strumenti per elevarsi e per trascendersi in esseri superiori - sebbene spesso in maniera diversa dai tempi antichi.
Penso che se la provvidenza divina ha voluto così, ci sono delle ragioni per cui sia giusto così. E che per capire tali ragioni non basti, anzi sia fuorviante appoggiarsi a spiegazioni profane, politiche, di risentimento, in generale non-tradizionali.

Orazio Coclite
07-07-03, 19:10
Originally posted by Vahagn
Tutto vero! La storia della cristianità parte da un atteggiamento infame nei confronti di chi non è "figlio di Abramo", ed è costretta a tale atteggiamento, fintantoché mantiene quella strana malattia mentale ebraica che è l'esclusivismo.
Però ... Però, sta di fatto che il Medioevo è stato anche una splendida epoca in cui la Tradizione ha potuto perfettamente espletarsi; e in tutti i secoli della cattolicità gli individui hanno potuto usufruire degli strumenti per elevarsi e per trascendersi in esseri superiori - sebbene spesso in maniera diversa dai tempi antichi.
Penso che se la provvidenza divina ha voluto così, ci sono delle ragioni per cui sia giusto così. E che per capire tali ragioni non basti, anzi sia fuorviante appoggiarsi a spiegazioni profane, politiche, di risentimento, in generale non-tradizionali.
Curioso, usi la stessa metodologia difensiva che ho visto mettere in pratica dal prof. Polia durante un attacco pagano ad alcune sue interpretazioni storiche un po' troppo cristocentriche. Ad ogni modo ciò che dici é vero, e di certo il medioevo fu un periodo pregno e gravido di sviluppi in seno alla Tradizione. Ma fu anche vero che il medioevo cristiano (almeno nominalmente, a leggere quanto sopra) sorse sulle rovine del mondo classico da cui vampirescamente attinse linfa vitale e temi essenziali, rielaborò tutto un corpus di miti e credenze europee pre-cristiane, paganizzando di fatto il cristianesimo e allontanandolo dalle sue radici semite. Ed é anche vero che il medioevo fu il preludio all'inizio della fine, con l'avvento delle Riforme e delle rivoluzioni sociali che portarono all'illuminismo e su su fino ai giorni nostri. Il cristianesimo ha inoltre in sé i germi dell'ateismo e della desacralizzazione di ogni aspetto della vita, con le ovvie conseguenze che abbiamo oggigiorno sotto gli occhi. E non so quanto possa servire l'affidarsi ogni volta alla Provvidenza Divina per cercare di capire questa fase storica ed eventualmente uscirne fuori.

Mjollnir
07-07-03, 22:27
La questione determinante è però se il Medioevo potè garantire questa continuità nonostante la conversione oppure a causa di essa. Cioè se tale nuova fede fu un veicolo strumentale di realtà e verità che non nascono e non finiscono con esso, oppure no. Nel qual caso, avremmo la situazione piuttosto imbarazzante di uno iato tra la cessazione dell'unica via spirituale "valida" rimasta e la rigenerazione della comunanza umano-divina.
Considero scontato, ovviamente, che il fenomeno del tradizionalismo cattolico è di natura difensiva e di retroguardia, nel senso che il cristianesimo, seppure temperato, non potrà mai + fungere da struttura integratrice di tutti gli aspetti della realtà, come verità immediatamente data, come nel quadro medioevale.

Ludovico
07-07-03, 22:50
Originally posted by Vahagn
Tutto vero! La storia della cristianità parte da un atteggiamento infame nei confronti di chi non è "figlio di Abramo", ed è costretta a tale atteggiamento, fintantoché mantiene quella strana malattia mentale ebraica che è l'esclusivismo.


Scusa Vahagn, non capisco in che maniera il cristianesimo sia esclusivista, dal momento che il suo credo è basato sulla conversione sprituale di ogni uomo alla Verità. Non è colpa del cristiano se la Verità è una.
D'altra parte potrei dire che l'islam è esclusivista, che gli stessi pagani lo sono in quanto anticristiani...
Il problema magari è decidere se attenerci alla Verità oppure no?

PS: per evitare ogni equivoco ti informo che per motivi di tempo non ho letto il primo post.

Ludovico
07-07-03, 22:52
Originally posted by Orazio Coclite
Il cristianesimo ha inoltre in sé i germi dell'ateismo e della desacralizzazione di ogni aspetto della vita, con le ovvie conseguenze che abbiamo oggigiorno sotto gli occhi.

E in quale modo il cristianesimo contemplerebbe l'ateismo?

Vahagn
07-07-03, 23:47
Originally posted by Ludovico
Scusa Vahagn, non capisco in che maniera il cristianesimo sia esclusivista, dal momento che il suo credo è basato sulla conversione sprituale di ogni uomo alla Verità. Non è colpa del cristiano se la Verità è una.
D'altra parte potrei dire che l'islam è esclusivista, che gli stessi pagani lo sono in quanto anticristiani...
Il problema magari è decidere se attenerci alla Verità oppure no?

PS: per evitare ogni equivoco ti informo che per motivi di tempo non ho letto il primo post.

Beh, che non solo il cristianesimo, ma tutte e tre le religioni di derivazione abramica, siano oltremodo esclusiviste, direi che è un dato di fatto innegabile, non negato da nessuno - e tu stesso non fai che confermarlo nella tua affermazione.
E' possibile dire che tutte le tradizioni positive possiedono in qualche misura un po' di esclusivismo, nel senso che, se non vi fosse la credenza nella bontà della Via che si percorre, non si potrebbe nemmeno credere.
Ma da qui a farne un tratto patologicamente esasperato - come avvenne per i popoli desertici, in particolare per gli Ebrei - ce ne passa. E purtroppo questa caratteristica, che io definirei alla stregua di un tratto mentale tipico di popoli barbari e semplici (un egotismo religioso/superstizioso), è passata dagli Ebrei a molti cristiani (e il mix tra la forza di volontà del tipo europeo e l'esclusivismo ebraico, ha dato origine all'atteggiamento degli occidentali nei confronti del mondo: la "conversione" forzata e il massacro di civiltà, ieri, il Mondialismo, oggi).
Vedi l'errore metafisico a mio avviso sta qui:
la pretesa di avvocare a sè, alla propria Via in maniera esclusiva, il possesso della Verità tout court, è una pretesa impossibile da portarsi avanti. Una determinazione (una Via singola) non può contenere tutta l'indeterminazione (la Verità completa), ma solo una parte di essa. Parte sicuramente indispensabile e probabilmente completa per gli aderenti a quella Via, ma ridicola quando pretende di esaurire le possibilità di raggiungere la Verità.

Ludovico
08-07-03, 00:59
Originally posted by Vahagn
Vedi l'errore metafisico a mio avviso sta qui:
la pretesa di avvocare a sè, alla propria Via in maniera esclusiva, il possesso della Verità tout court, è una pretesa impossibile da portarsi avanti. Una determinazione (una Via singola) non può contenere tutta l'indeterminazione (la Verità completa), ma solo una parte di essa. Parte sicuramente indispensabile e probabilmente completa per gli aderenti a quella Via, ma ridicola quando pretende di esaurire le possibilità di raggiungere la Verità.

Benvengano le possibilità "altre" di raggiungere la Verità, purchè questi "percorsi" non siano in contraddizione con i precetti divini o con la parola di Dio.
Se cioè si ammette che la Verità sia una e che non contraddica mai se stessa perchè perfetta ed eterna (si concederà almeno questo alla Verità...), ed è così, non si potrà fare a meno di scegliere una Via e non riconoscerne molteplici in contraddizione tra loro.
Non potrei mai credere a Nostro Signore e al tempo stesso riconoscere l'islamismo come via certa alla salvezza... Sennò tantovale dar ragione all'ecumenismo modernista, ai baci al corano, al "parlamento delle religioni", etc etc.

Mjollnir
08-07-03, 01:51
In Origine Postato da Ludovico
Scusa Vahagn, non capisco in che maniera il cristianesimo sia esclusivista, dal momento che il suo credo è basato sulla conversione sprituale di ogni uomo alla Verità. Non è colpa del cristiano se la Verità è una.
D'altra parte potrei dire che l'islam è esclusivista, che gli stessi pagani lo sono in quanto anticristiani...
Il problema magari è decidere se attenerci alla Verità oppure no?



La "colpa" del cristiano è la pretesa di conoscerla totalmente, e quindi di esserne unico depositario. Per chiarire, la colpa è quella di voler svelare il dio ignoto(sacralizzazione dell'alterità relativa) che ovviamente non ha + lo stesso senso se si pretende di caratterizzarlo, di renderlo manifesto.

Mjollnir
08-07-03, 01:56
In Origine Postato da Ludovico
E in quale modo il cristianesimo contemplerebbe l'ateismo?

Nietzsche, fra gli altri, lo ha mostrato efficacemente: il creazionismo ex nihilo, separando Dio dal mondo, ha sdivinizzato il mondo stesso, che diventa quindi autonomo ma profano.

Ludovico
08-07-03, 02:27
Originally posted by Mjollnir
La "colpa" del cristiano è la pretesa di conoscerla totalmente, e quindi di esserne unico depositario. Per chiarire, la colpa è quella di voler svelare il dio ignoto(sacralizzazione dell'alterità relativa) che ovviamente non ha + lo stesso senso se si pretende di caratterizzarlo, di renderlo manifesto.

Veramente l'unica depositaria della Verità è la Chiesa. E' stato Dio a istituirla.

Ludovico
08-07-03, 02:35
Originally posted by Mjollnir
Nietzsche, fra gli altri, lo ha mostrato efficacemente: il creazionismo ex nihilo, separando Dio dal mondo, ha sdivinizzato il mondo stesso, che diventa quindi autonomo ma profano.

A me sembra che Nietzsche abbia insegnato l'ateismo proclamando la morte di Dio e lasciando il mondo solo a se stesso.

Voi siete i miei fedeli? Ma che importano tutti i fedeli...

Mjollnir
08-07-03, 02:46
In Origine Postato da Ludovico
Veramente l'unica depositaria della Verità è la Chiesa. E' stato Dio a istituirla.

E grazie !! Così sei già dentro l'esclusivismo cristiano :fru
É inutile, non puoi pervenire alla comprensione (attenzione, non dico giustificazione, ma mera comprensione analitica) delle altre prospettive se non muti le tue categorie di riferimento.

Su Nietzsche: egli ha preso semplicemente atto della morte del "Dio morale" come esito finale di un lungo processo.

Ludovico
08-07-03, 03:03
Originally posted by Mjollnir
E grazie !! Così sei già dentro l'esclusivismo cristiano :fru

Ma scusa, prima si parlava di esclusivismo in relazione alla "strana malattia entale ebraica" di cui parlava Vahagn che il cristianesimo nega con il proselitismo.

É inutile, non puoi pervenire alla comprensione (attenzione, non dico giustificazione, ma mera comprensione analitica) delle altre prospettive se non muti le tue categorie di riferimento.

Si possono anche mutare, purchè non si entri in contraddizione.

Su Nietzsche: egli ha preso semplicemente atto della morte del "Dio morale" come esito finale di un lungo processo.

Ok, ma non si dica che il cristianesimo diffonda l'ateismo.

Mjollnir
08-07-03, 03:32
Il proselitismo cristiano non nega il carattere esclusivistico, poichè non accorda nessun valore di verità a tradizioni diverse dalla sua.
Anche se poi ci marcia su, visto che se fosse stato assolutamente coerente con le sue premesse, il cattolicesimo istituzionalizzato non esisterebbe neanche, e qualsiasi altra confessione sarebbe stata probabilmente riassorbita o comunque rimasta marginale.

Contraddizione ? Ma una fede religiosa non è un trattato di logica: ci comunica qualcosa della divinità, non ha la pretesa di essere coerente e di rispettare le regole del pensiero formale.

Il cristianesimo diffonde l'ateismo, perchè esso cova già al suo interno, recando in sè una concezione di Dio impraticabile, patologica.

Ludovico
08-07-03, 12:49
[QUOTE]Originally posted by Mjollnir

Contraddizione ? Ma una fede religiosa non è un trattato di logica: ci comunica qualcosa della divinità, non ha la pretesa di essere coerente e di rispettare le regole del pensiero formale.

La fede religiosa non è un trattato di logica, e non esiste linguaggio che riesca ad esprimerla, ma un dogma di fede non può essere in contraddizione con un altro perchè uno dei due sarebbe falso e quello che è di Dio non può essere falso.
Comunque capisco che per chi non ha la Fede non esista vero o falso, giusto o ingiusto etc etc... E' tutto relativo e nelle mani dei molteplici schemi di riferimento...

Il cristianesimo diffonde l'ateismo, perchè esso cova già al suo interno, recando in sè una concezione di Dio impraticabile, patologica.

Mi stupisco di questa affermazione, poichè da quello che dicevi sembrava fossi contro l'esclusivismo mentre qui invece escludi il cristianesimo come modo di porsi davanti a Dio dicendo che ne sostiene una concezione impraticabile...

Senatore
08-07-03, 15:16
Originally posted by Mjollnir
La "colpa" del cristiano è la pretesa di conoscerla totalmente, e quindi di esserne unico depositario. Per chiarire, la colpa è quella di voler svelare il dio ignoto(sacralizzazione dell'alterità relativa) che ovviamente non ha + lo stesso senso se si pretende di caratterizzarlo, di renderlo manifesto.

Dico la mia: l'errore del cristiano medio è di pretendere che tutta la verità sia racchiusa nei dogmi e negli insegnamenti della Chiesa, dimenticandosi che su molti punti la comprensione è esclusa dalla stessa previsione di un "mistero di fede".
Ovviamente io ritengo che questi misteri siano tali solo dal punto di vista exoterico che la Chiesa incarna, mentre sono schiariti a chi ha intrapreso la via della santità. Il quid che costituisce la santità evidentemente non è accessibile alla massa dei fedeli, chè altrimenti si sarebbe tutti santi.
Ora, qui più che mai il cristiano dovrebbe essere umile, e ammettere che la propria fede, se gli dà le chiavi della salvezza, non gli dà titolo di esprimersi sulla possibilità della santità al di fuori del cristianesimo: tutto ciò è e deve restare per lui un "mistero". Anzi, l'esclusivismo di cui parla Vahagn è veramente un grave peccato di orgoglio intellettuale, perchè vorrebbe racchiudere le possibilità di Dio entro i confini fissati da una società di uomini; nè si obietti che la Chiesa ha certe prerogative proprio per la sua sanzione divina, in quanto,ancora una volta, Colui la cui Volontà ha permesso che la Chiesa esistesse - e che esistesse entro determinati confini - ben potrebbe aver dato analogo mandato ad altri gruppi umani senza sentirsi obbligato ad avvisare i prelati cristiani...

Ludovico
08-07-03, 17:11
[QUOTE]Originally posted by Senatore
Dico la mia: l'errore del cristiano medio è di pretendere che tutta la verità sia racchiusa nei dogmi e negli insegnamenti della Chiesa, dimenticandosi che su molti punti la comprensione è esclusa dalla stessa previsione di un "mistero di fede".

Guarda che proprio in forza dei dogmi, che sono verità indimostrabili, i cristiani si ricordano che su molti punti la comprensione è esclusa...

Ora, qui più che mai il cristiano dovrebbe essere umile, e ammettere che la propria fede, se gli dà le chiavi della salvezza, non gli dà titolo di esprimersi sulla possibilità della santità al di fuori del cristianesimo: tutto ciò è e deve restare per lui un "mistero".

Ma scherziamo? E le "verità" delle altre religioni contro i cristiani e contro la Santissima Trinità sono un "mistero" sul quale bisogna cordialmente evitare di esprimersi?

Anzi, l'esclusivismo di cui parla Vahagn è veramente un grave peccato di orgoglio intellettuale, perchè vorrebbe racchiudere le possibilità di Dio entro i confini fissati da una società di uomini; nè si obietti che la Chiesa ha certe prerogative proprio per la sua sanzione divina, in quanto,ancora una volta, Colui la cui Volontà ha permesso che la Chiesa esistesse - e che esistesse entro determinati confini - ben potrebbe aver dato analogo mandato ad altri gruppi umani senza sentirsi obbligato ad avvisare i prelati cristiani...

E quali sarebbero questi gruppi umani?

Orazio Coclite
08-07-03, 19:00
Originally posted by Ludovico
E in quale modo il cristianesimo contemplerebbe l'ateismo?
Come ti ha risposto Mjollnir, questa é una questione già efficacemente trattata, in primis, proprio da Nietzsche, e successivamente dai pensatori che a lui hanno fatto riferimento.

Tutto ruota attorno alla concezione di nichilismo. Il nichilismo é la constatazione che la morte di Dio é un processo giunto ormai a conclusione. E con Dio muoiono anche tutti i valori che su di lui erano stati eretti, da questo un forte senso di smarrimento che porta a diverse reazioni: nichiliste, nichilistiche e post-nichiliste, ossia di nichilismo 'attivo'.
Che il nichilismo sia un fattore intimamente legato al cristianesimo ce lo dimostra il fatto che tale movimento sia sorto esclusivamente in occidente.
L'idea che il nichilismo sia qualcosa di strettamente correlato al cristianesimo, al cui interno si é innescato crescendo fino a portarsi a compimento nei tempi moderni, é idea condivisa da molti. E questo é dovuto alla natura profondamente patologica della religione cristiana, nel fatto che proprio dal luogo in cui tutti i valori dovrebbero trarre il loro fondamento, una 'religione', si generi il processo che porta allo svuotarsi dei valori, alla negazione dei valori di sé.
Vi è dunque qualcosa di intenzionalmente degenerativo all'interno del cristianesimo? Ci sarebbe molto da parlare al riguardo. Il cristianesimo nasce come eresia giudaica, ma si sviluppa in Europa, attingendo a piene mani dalle pre-esistenti Tradizioni spirituali (un appropriazione indebita a seconda dei pagani, una trasmissione vivificatrice a seconda dei tradizionalisti). Nonostante ciò é proprio all'interno dell'ecumene cristiana che, nonostante repressioni e violenze di ogni sorta, nasce il pensiero laicista, scientifico, quindi profano. E' proprio dal cristianesimo che si sviluppano molti dei mali che ancora attanagliano il mondo moderno, da questi nasce una concezione della vita mercantilista, dove in alcuni casi ciò viene addirittura visto come cosa sacra (vedi Calvino). E voler combattere oggigiorno i mali del mondo ponendo come rimedio il cristianesimo, sarebbe come voler spengere un incendio gettando benzina sul fuoco. La concezione antropocentrica, desacralizzata ed esclusivista delle religioni semite é un morbo mortale per la società umano quanto più per il mondo naturale.
I risultati finali di questa corsa nel vuoto sono oggi visibili a tutti, viviamo in un mondo in cui non c'é più spazio per il sacro, e questo nemmeno nei posti teoricamente ad esso adibiti (guardate alla messa cristiana, ad esempio, dove il comportamento di tanti ed il malcelato imbarazzo rivelano un non sapersi più porre seriamente di fronte ad una visione di sacralità autentica). Le religioni semite hanno desacralizzato la Natura, il mondo a noi circostante, ci hanno privato dei riferimenti immediati con cui il sacro si é manifestato ai nostri antenati per migliaia e migliaia di anni. Queste credenze provenienti dal deserto hanno di fatto accresciuto il deserto interiore dei popoli occidentali, il deserto dello spirito, e 'guai a chi lascia crescere deserti dentro di sé!' ammoniva il filosofo baffuto di cui sopra.
La desacralizzazione della Natura operata dal cristianesimo ha portato ai nostri giorni all'insostenibile situazione mondiale di devastazione dell'ambiente. Di contro i popoli politeisti, in special modo se europei, vista l'importanza che termini come 'foresta' o 'albero' rivestono all'interno del lessico indoeuropeo, hanno sempre vissuto in armonia con l'ambiente circostante, e questo proprio perché consci di vivere in un ambito sacro, nella dimora dimora degli Dei e degli Spiriti della Terra, di tanti genius loci, delle ninfe dei ruscelli, delle diadri, degli elementali, eccetera. Questo modo di rapportarsi alla Natura é comune a tutte le tradizioni pagane del mondo, dalla Polinesia al Nord America, dall'India alla Bretagna. Ma con l'avvento delle religioni abramiche questo viene a cessare, dall'arrivo dei seguaci del Dio geloso del deserto il mondo viene svuotato di alcuna valenza sacra per divenire luogo da sfruttare senza rispetto per gli egoistici fini ultimi della razza umana. In tal senso é molto istruttiva la lettura di S.Agostino o di S. Tommaso d'Aquino, autori che portano l'antropocentrismo cristiano a vette inusitate di arroganza ed efferatezza contronatura.

Queste le prime cose che mi vengono alla mente, vedrò di tornare sulla questione in maniera più ordinata ed articolata.

Valete.

Senatore
08-07-03, 19:50
Originally posted by Ludovico

E quali sarebbero questi gruppi umani?

I popoli depositari delle altre forme tradizionali.

Mjollnir
08-07-03, 20:41
In Origine Postato da Ludovico
[QUOTE]Originally posted by Senatore
Dico la mia: l'errore del cristiano medio è di pretendere che tutta la verità sia racchiusa nei dogmi e negli insegnamenti della Chiesa, dimenticandosi che su molti punti la comprensione è esclusa dalla stessa previsione di un "mistero di fede".

Guarda che proprio in forza dei dogmi, che sono verità indimostrabili, i cristiani si ricordano che su molti punti la comprensione è esclusa...

Ora, qui più che mai il cristiano dovrebbe essere umile, e ammettere che la propria fede, se gli dà le chiavi della salvezza, non gli dà titolo di esprimersi sulla possibilità della santità al di fuori del cristianesimo: tutto ciò è e deve restare per lui un "mistero".

Ma scherziamo? E le "verità" delle altre religioni contro i cristiani e contro la Santissima Trinità sono un "mistero" sul quale bisogna cordialmente evitare di esprimersi?

Anzi, l'esclusivismo di cui parla Vahagn è veramente un grave peccato di orgoglio intellettuale, perchè vorrebbe racchiudere le possibilità di Dio entro i confini fissati da una società di uomini; nè si obietti che la Chiesa ha certe prerogative proprio per la sua sanzione divina, in quanto,ancora una volta, Colui la cui Volontà ha permesso che la Chiesa esistesse - e che esistesse entro determinati confini - ben potrebbe aver dato analogo mandato ad altri gruppi umani senza sentirsi obbligato ad avvisare i prelati cristiani...

E quali sarebbero questi gruppi umani?

Ludovico, è chiaro che in ambito non cristiano si parla di verità in senso piuttosto diverso: il problema della contraddizione sorge solo quando gli enunciati religiosi si cristallizzano in dogmi immutabili e dal senso univoco, fenomeno che nel paganesimo è, come ben sai, assente. Così come la pretesa che gli Dèi o Dio debbano osservare il principio di non-contraddizione nel manifestarsi.

Ludovico
08-07-03, 21:40
Originally posted by Orazio Coclite


Caro Orazio, non condivido nemmeno una sillaba di quanto ti è venuto alla mente.

In particolare (visto che mi sembra anche il nucleo del tuo discorso):
E' proprio dal cristianesimo che si sviluppano molti dei mali che ancora attanagliano il mondo moderno, da questi nasce una concezione della vita mercantilista, dove in alcuni casi ciò viene addirittura visto come cosa sacra (vedi Calvino).

Non è dal cristianesimo che si sviluppano i mali del mondo moderno, ma contro di esso. (Non a caso il calvinismo è un'eresia combattuta dal cattolicesimo -unico vero cristianesimo).
E' il cattolicesimo stesso a denunciare il modernismo come "sintesi di tutti i mali" (illuminismo, positivismo, liberalismo, marxismo, laicismo...).

Ludovico
08-07-03, 21:45
Originally posted by Mjollnir
Ludovico, è chiaro che in ambito non cristiano si parla di verità in senso piuttosto diverso: il problema della contraddizione sorge solo quando gli enunciati religiosi si cristallizzano in dogmi immutabili e dal senso univoco, fenomeno che nel paganesimo è, come ben sai, assente. Così come la pretesa che gli Dèi o Dio debbano osservare il principio di non-contraddizione nel manifestarsi.

Certamente, caro Mjollnir, quella di non dar valore al principio di non-contraddizione è una "malattia" che avevo anch'io...;)

Vahagn
08-07-03, 23:19
A questo punto,
va da sè che ci si trova davanti a tre ottiche diverse, le quali "filosoficamente" ricadono poi nei due piani: exoterico-devozionale (il piano della lettera) e esoterico-tradizionalista.
Sia il neopagano che il cattolico comune si situano sul primo dei due piani, pur da "fronti" diversi (opposti); mentre il tradizionalista riterrà questione poco influente la contrapposizione di forme, considerando come fondamentale solo il nocciolo perenne (la "sophia perennis", appunto, rivestita nelle più varie maniere a seconda dei contesti e presentatasi ai vari tipi umani in diverse occasioni contingenti).
Se non si è consapevoli dell'esistenza di queste angolature con cui si può contemplare il divino e parteciparne, non vi potrà essere che un reciproco monologo.
Ovviamente, colui che ha fatto propria l'angolatura exoterico-devozionale (specie il cattolico comune) cercherà di restringere le possibilità alla sola propria ottica, avvocando il divino stesso a proprio personalistico sostegno. Non farlo, significherebbe dover render conto di tutta una serie di fatti che egli non riesce a spiegarsi - mentre è molto più facile liquidarli secondo gli stilemi dell'apologetica (un drastico hic sunt leones, secondo cui tutto quanto superi il piano devozionale "non esiste" o è inganno instillato dal demonio o dai suoi servi, gli ebrei, gli onnipresenti "gnostici", etc.).
Cercheremo di dimostrare come i diversi livelli di cui sopra non solo esistono, ma la loro comprensione rende conto di tante cose che semplificherebbero di molto le pastoie e le sabbie mobili in cui invece il mono-exoterismo costringe il fedele.

Mjollnir
09-07-03, 02:07
In Origine Postato da Ludovico
il calvinismo è un'eresia combattuta dal cattolicesimo -unico vero cristianesimo.

Vedi, questo è un efficacissimo esempio di mentalità esclusivista.

Mjollnir
09-07-03, 02:12
In Origine Postato da Ludovico
Certamente, caro Mjollnir, quella di non dar valore al principio di non-contraddizione è una "malattia" che avevo anch'io...;)

Perchè malattia ? Si tratta semplicemente non di negarne il valore, ma di attribuirgli il giusto valore, ossia di non usarlo a sproposito ;)

Ludovico
09-07-03, 13:05
Originally posted by Mjollnir
Vedi, questo è un efficacissimo esempio di mentalità esclusivista.

Dovevo pur far notare al caro Orazio che caristianesimo (inteso solo come cattolicesimo) è opposto al calvinismo.
Esistono due esclusivismi sui quali è nato un equivoco in questo thread: quello secondo cui i non cristiani sono esclusi dalla via della verità (pur con il dovere, da parte dei cristiani, di diffondere tale verità e quindi di farla conoscere a tutti in modo da non escludere nessuno)* e quello secondo cui non si può accedere ad una religione se non si appartiene ad una razza, ad un popolo al di fuori del quale tutti sono esclusi.

*in questo senso e solo in questo il cristianesimo è esclusivista.

Ludovico
09-07-03, 13:31
Originally posted by Vahagn
A questo punto,
va da sè che ci si trova davanti a tre ottiche diverse, le quali "filosoficamente" ricadono poi nei due piani: exoterico-devozionale (il piano della lettera) e esoterico-tradizionalista.


Caro Vahagn, posso comprendere le differenze che poni in rilievo, ma nel Vangelo sono dette cose dalle quali è difficile sfuggire. Capisco che esistano la lettera e lo spirito, ma certe affermazioni non si possono stravolgere per farle rientrare nel piano esoterico tradizionalista.

Mi par di capire però che mentre gli altri sono proprio anticristiani (pur dicendosi antiesclusivisti... il che è tutto dire) tu non lo sia affatto il che non è tutto ma neanche poco, e mi fa piacere.

Orazio Coclite
09-07-03, 14:57
Originally posted by Ludovico
Dovevo pur far notare al caro Orazio che caristianesimo (inteso solo come cattolicesimo) è opposto al calvinismo.
Per essere chiaro, diretto e conciso, io ho usato la terminologia cristianesimo per definire tutte le correnti religiose facenti capo alla figura del Cristo. Quindi, al di là delle lotte intestine tra le varie correnti che fanno capo a questo spirito religioso semita, io non percepisco queste abissali differenze fra cattolici romani, protestanti od ortodossi, anzi, per me rappresentano una composita ma tutto sommato abbastanza uniforme ecumene. Infatti non trovo tra di loro le abissali differenze che invece percepisco esistere quando la visione esclusivista semita viene a cozzare col solare e virile mondo pagano e politeista.
Tanto che tutte le religioni della famiglia semita, giudaismo, cristianismo e islam, sono molto vicine come concezione spirituale e visione del mondo. Qui si traccia la linea, dall'altra parte stanno le credenze spirituali di tutti gli altri popoli del mondo. Fino a prova contraria, ovunque vanno cristiani e musulmani si finisce inesorabilmente con lo scontro, la soppressione e la repressione.

Gli Dei dei nostri antenati ci indicano invece tutt'altra strada, una strada solare, gioconda, forte, virile, sacra. Dove il rapporto con il Divino non é di paurosa sudditanza ma di partecipazione e rispetto. Vuoi mettere?

Mjollnir
09-07-03, 17:04
Sulla opposizione: quando mai essa ha solo denotato distanza e diversità fra i soggetti? Anzi, spesso la + forte inimicizia ed ostilità si ha tra soggetti molto affini e vicini, che proprio per questo sono costretti ad accentuare all'inverosimile ciò che li divide.

Non sorprende, ad es, che il pagano fu spesso meno ostile del cristiano nei confronti dell'ebraismo: la semplice coscienza di sè e della propria tradizione bastava a riconoscere l'ebraismo per una realtà abissalmente differente, con una validità geograficamente e culturalmente limitata ad un determinato insieme di tribù (chiaramente però quando la questione si spostava sul piano politico, i termini mutavano radicalmente).
Niente a che vedere, invece, con i rapporti ebraismo-cristianesimo, che per la loro stessa intrascendibile parentela, sono destinati a contendersi nella storia la patente di "verus Israel" ed il senso di tutta una parte della rivelazione monoteista.

É chiaro che per il pagano gran parte delle controversie che seguono a questa filiazione e a questo odium non hanno significato, in quanto rientrano in un orizzonte spirituale a lui alieno. Ma da questo non è affatto lecito sostenere una "solidarietà" o una "connivenza" tra pagani ed ebrei.

Paul Atreides
09-07-03, 18:03
Il giudaismo era semplicemente una ''religio licita'' in base al fatto che rappresentava una ''religione nazionale'' [Celso, al riguardo è chiarissimo]. Inoltre, proprio certi atteggiamenti giudaici [amixia, misoxenia, ecc], se da un lato provocavano reazioni nel mondo ''pagano'', dall'altro rassicuravano sul ''non-espansionismo'' dello stesso giudaismo.

Paul Atreides
09-07-03, 22:08
Originally posted by Mjollnir
Sulla opposizione: quando mai essa ha solo denotato distanza e diversità fra i soggetti? Anzi, spesso la + forte inimicizia ed ostilità si ha tra soggetti molto affini e vicini, che proprio per questo sono costretti ad accentuare all'inverosimile ciò che li divide.

Non sorprende, ad es, che il pagano fu spesso meno ostile del cristiano nei confronti dell'ebraismo: la semplice coscienza di sè e della propria tradizione bastava a riconoscere l'ebraismo per una realtà abissalmente differente, con una validità geograficamente e culturalmente limitata ad un determinato insieme di tribù (chiaramente però quando la questione si spostava sul piano politico, i termini mutavano radicalmente).
Niente a che vedere, invece, con i rapporti ebraismo-cristianesimo, che per la loro stessa intrascendibile parentela, sono destinati a contendersi nella storia la patente di "verus Israel" ed il senso di tutta una parte della rivelazione monoteista.

É chiaro che per il pagano gran parte delle controversie che seguono a questa filiazione e a questo odium non hanno significato, in quanto rientrano in un orizzonte spirituale a lui alieno. Ma da questo non è affatto lecito sostenere una "solidarietà" o una "connivenza" tra pagani ed ebrei.

Infatti. A noi non vedo cosa possa interessare della querelle tra fratelli [maggiori gli ebrei, minori i cristiani].

Vahagn
09-07-03, 22:16
Riporto qui di seguito una più corposa spiegazione, rispetto ai nostri fugaci accenni, del punto di vista tradizionalista riguardo all'esclusivismo (mono-)exoterista: è quella di Frithjof Schuon, per la precisione un capitolo della sua opera prima "Unità trascendente delle religioni" (pubblicata dalle Edizioni Mediterranee).
Mi scuso per la lunghezza (questa è una prima parte del capitolo, seguirà l'ultima parte), non è mia intenzione nè mia politica abituale "floodare" i thread, ma, dopo aver pensato di farne un riassunto, ho creduto cosa migliore postare le parole dirette di Schuon, autore al pari di Guénon dotato di concisione e chiarezza (almeno credo).
Il testo comunque si divora in un baleno, per chi è realmente interessato ad approfondire queste tematiche.
Consiglio anche l'acquisto del libro per la lettura dell'intero testo, visto che è un'opportunità offertaci non di frequente nel panorama editoriale (di tutto il catalogo delle Mediterranee, p.es., si salvano dal punto di vista tradizionale pochi testi, giusto Evola, Guénon e Schuon, e pezzetti di altri), e visto che la lettura di un capitolo avulso può non risultare del tutto chiara a chi non possedesse alcune nozioni date per note, oltre a necessitare del sostegno degli altri capitoli.

Vahagn
09-07-03, 22:20
LIMITAZIONE DELL’EXOTERISMO

La visuale exoterica, che propriamente parlando esiste – almeno in ciò che ha d’esclusivo di fronte alle verità superiori – soltanto nelle tradizioni monoteistiche, non è altro in fondo che quella dell’interesse individuale più elevato, ossia esteso all’intero ciclo di esistenza dell’individuo e non circoscritto semplicemente alla vita terrena. La verità exoterica o religiosa è dunque limitata per definizione, e ciò data la limitazione della sua finalità, senza che tale restrizione possa tuttavia ledere l’interpretazione esoterica di cui questa stessa verità è suscettibile grazie all’universalità del suo simbolismo, o piuttosto, prima di tutto, grazie alla duplice natura “interiore” ed “esteriore”, della Rivelazione medesima; quindi il dogma è insieme un’idea limitata e un simbolo illimitato. Per dare un esempio, diremo che il dogma dell’unicità della Chiesa di Dio deve escludere una verità come quella della validità delle altre forme tradizionali ortodosse, perché l’idea dell’universalità tradizionale non è di nessuna utilità per la salvezza e può anzi recarle nocumento, poiché essa provocherebbe quasi inevitabilmente, in coloro che non possono elevarsi sopra tale prospettiva individuale, l’indifferenza religiosa e perciò la negligenza dei doveri religiosi il cui compimento è appunto la condizione principale della salvezza; invece questa stessa idea dell’universalità tradizionale – idea che è più o meno indispensabile alla via della Verità totale e disinteressata – è tuttavia inclusa simbolicamente e metafisicamente nella definizione dogmatica o teologica della Chiesa o del Corpo mistico di Cristo; o anche, per parlare il linguaggio delle altre due religioni monoteistiche, il Giudaismo e l’Islam, rispettivamente per mezzo della concezione del “Popolo eletto”, Israel, e di quella della “sottomissione”, El-Islâm, viene simboleggiata dogmaticamente l’ortodossia universale, il Sanâtana-Dharma degli Indù.
Chiaramente la limitazione “esteriore” del dogma, limitazione che gli conferisce proprio quel carattere dogmatico, è perfettamente legittima, giacché la prospettiva individuale, alla quale questa limitazione corrisponde, è una realtà sul suo piano d’esistenza. Data tale realtà relativa, l’ottica individuale non in ciò che può avere di negativo rispetto a una visuale superiore, ma in ciò che ha di limitato per il semplice fatto della sua natura, può e deve perfino integrarsi, in qualsiasi modo, con ogni via a finalità trascendente; in questo aspetto l’exoterismo o piuttosto la forma in quanto tale non implicherà più una visuale intellettualmente ristretta, ma avrà solamente la funzione d’un mezzo spirituale accessorio, senza che la trascendenza della dottrina esoterica ne sia lesa, nessuna limitazione essendole imposta per motivi d’opportunità individuale. Non bisogna confondere, infatti, la funzione della visuale exoterica con quella dei mezzi spirituali dell’exoterismo: tale visuale è incompatibile, in una stessa coscienza, con la Conoscenza esoterica che la dissolve per riassorbirla nel centro da cui è venuta; ma i mezzi exoterici continuano tuttavia a essere utilizzabili, e anche in due modi, sia per trasposizione intellettuale nell’ordine esoterico – e saranno allora sostegni d’”attualizzazione” intellettuale – sia per la loro azione regolatrice sulla parte individuale dell’essere.
L’aspetto exoterico d’una tradizione è dunque una disposizione provvidenziale che, lungi dall’essere biasimevole, è necessaria,, visto che la via esoterica non può riguardare, soprattutto nelle condizioni attuali dell’umanità terrestre, che una minoranza, e che non c’è niente di meglio, per il comune mortale, della via consueta della salvezza; biasimevole non è pertanto l’esistenza dell’exoterismo, ma piuttosto la sua autocrazia invadente – dovuta forse, nel mondo cristiano, soprattutto alla “precisione” angusta dello spirito latino – la quale fa sì che un buon numero di coloro che sarebbero qualificati per la via della pura Conoscenza non solo si fermino all’aspetto esteriore della tradizione, ma giungano perfino a rigettare l’esoterismo che conoscono unicamente attraverso pregiudizi o deformazioni; salvo che, non trovando nell’exoterismo quel che s’addice alla loro intelligenza, non si smarriscano in dottrine false e artefatte, dove vogliono trovare ciò che esso non offre loro, e che crede addirittura di poter proibire loro (1).
La prospettiva exoterica, infatti, deve approdare, appena non è più vivificata dalla presenza interiore dell’esoterismo di cui è insieme l’irradiamento esteriore e il velo, alla propria negazione, nel senso che la religione, in quanto nega le realtà metafisiche e iniziatiche e s’irrigidisce in un dogmatismo letteralista, produce inevitabilmente la miscredenza; l’atrofia arrecata ai dogmi con la privazione della loro “dimensione interna” ricade su di essi dall’esterno, in forma di negazioni eretiche e atee.

La presenza del nucleo esoterico in una religione di carattere specificamente semitico le garantisce uno sbocco normale e un massimo di stabilità; tale nucleo non è del resto affatto una parte, nemmeno interna, dell’exoterismo, ma rappresenta invece una dimensione quasi indipendente rispetto a questo (2). Non appena quella dimensione o quel nucleo viene meno, cosa che può accadere soltanto in circostanze completamente anormali, sebbene cosmologicamente necessarie, l’edificio tradizionale è scosso, crolla perfino in parte, e finisce col trovarsi ridotto a ciò che esso comporta di più esteriore, ossia il letteralismo e la sentimentalità (3); pertanto i criteri più evidenti d’una decadenza simile sono, da un canto l’ignoranza e anche la negazione dell’esegesi metafisica e iniziatica, cioè del significato “mistico” delle Scritture – esegesi che è nondimeno in connessione intima con l’intera intellettualità della forma tradizionale contemplata – e dall’altro il rigetto dell’arte sacra, vale a dire delle forme ispirate e simboliche attraverso le quali s’irradia questa intellettualità per comunicarsi così, con un linguaggio immediato e illimitato, a tute le intelligenze. Ma tutto questo non basta forse per far comprendere perché l’exoterismo necessiti indirettamente dell’esoterismo, non diciamo per poter sussistere, giacché il semplice fatto della sua sussistenza è fuori discussione, come pure l’incorruttibilità dei suoi mezzi di grazia, ma solamente per poter sussistere in condizioni normali; ora la presenza della “dimensione trascendente” al centro della forma tradizionale fornisce all’aspetto exoterico di questa una forza vivificante d’essenza universale, “paracletica”, senza la quale non potrà che ripiegarsi interamente su sé stessa per divenire, abbandonato unicamente alle proprie risorse che sono limitate per definizione, un corpo greve e opaco la cui densità stessa provocherà fatalmente delle fenditure, come dimostra la storia moderna della Cristianità; in altre parole, allorché l’exoterismo si priva delle interferenze complesse e sottili della dimensione trascendente, si vede alla fine annientato dalle conseguenze esteriorizzate delle proprie limitazioni, queste essendo diventate per così dire totali.
Ora, quando si muove dall’idea che gli exoterici non capiscono l’esoterismo e che hanno anche il diritto di non capirlo, addirittura di considerarlo inesistente, si deve pure riconoscere loro il diritto di condannare alcune manifestazioni dell’esoterismo che paiono usurpare il loro territorio e farvi “scandalo”, secondo il detto evangelico; ma come spiegarsi che nella maggior parte di tali casi, se non in tutti, gli accusatori privano sé stessi di questo diritto agendo con iniquità? Non certo la loro incomprensione più o meno naturale, né la difesa del loro diritto reale, ma unicamente la perfidia dei loro mezzi costituisce in essi un vero “peccato contro lo Spirito” (4); questa perfidia prova del resto come le accuse che credono di dover formulare servano in genere soltanto di pretesto per appagare un odio istintivo contro tutto ciò che sembra minacciare il loro equilibrio superficiale, il quale, in conclusione, non è che una forma d’individualismo, dunque d’ignoranza.

Rammentiamo d’aver inteso dire una volta che “la metafisica non è necessaria per la salvezza”; ora questo è radicalmente falso quando viene utilizzato in un senso del tutto generico; difatti l’uomo che è metafisico per natura e che ne è consapevole non può trovare la sua salvezza nella negazione di quello che l’attrae verso Dio; d’altronde ogni via spirituale deve poggiare su una predisposizione naturale che ne determina il modo, ed è ciò che si chiama la vocazione; nessuna autorità spirituale consiglierebbe di seguire una via per la quale non si è fatti. Questo insegna tra l’altro la parabola dei talenti; lo stesso significato si ritrova ancora nelle parole di San Giacomo: “Chiunque osserverà tutta la Legge, ma mancherà in un solo punto, diventerà reo di tutti i precetti”, e “Chi sapendo fare il bene, non lo fa, commette un peccato”; ora l’essenza della Legge, secondo le stesse parole di Cristo, è l’amore di Dio per mezzo di tutto il nostro essere, compresa l’intelligenza che ne è la parte centrale; in altri termini, poiché dobbiamo amare Dio con tutto ciò che siamo, Lo dobbiamo pure amare con l’intelligenza, che è la parte migliore di noi. Nessuno contesterà che l’intelligenza non sia affatto un sentimento, ma infinitamente di più; è dunque ovvio che la parola “amore” utilizzata dalle Scritture per designare i rapporti tra l’uomo e Dio, e prima di tutto tra Dio e l’uomo, non può avere soltanto un senso meramente sentimentale, e significare unicamente un desiderio d’attrazione. D’altra parte, se l’amore è la tendenza d’un essere verso un altro in vista della loro unione, proprio la Conoscenza, per definizione, attuerà l’unione più perfetta tra l’uomo e Dio, giacché solo essa si rivolge a ciò che, nell’uomo, è già divino, ossia all’Intelletto; questo modo supremo dell’ “amore di Dio” è quindi la possibilità umana di gran lunga più elevata, a cui nessuno può sottrarsi volontariamente senza “peccare contro lo Spirito”. Pretendere che la metafisica sia, di per sé e per ogni uomo, qualcosa di superfluo, che non sia in nessun caso necessaria alla salvezza, equivale non solo a disconoscere la sua natura, ma anche a negare semplicemente il diritto all’esistenza agli uomini che sono stati dotati da Dio – a un grado trascendente naturalmente – della qualità d’intelligenza.
Si potrebbe fare ancora questa osservazione: si merita la salvezza con l’azione, nell’accezione più ampia del termine, e ciò spiega come taluni possano giungere a svilire l’intelligenza che, da parte sua, può appunto rendere l’azione inutile, e le cui possibilità sottolineano la relatività del merito e della prospettiva che vi si riferisce; pertanto la visuale specificamente religiosa tende a considerare la pura intellettualità, che non distingue per altro quasi mai dalla semplice razionalità, come più o meno opposta all’atto meritorio, e di conseguenza come pericolosa per la salvezza; per questo s’attribuisce facilmente all’intelligenza un aspetto luciferino e si parla abitualmente d’ “orgoglio intellettuale”, quasi che non vi fosse in ciò una contraddizione in termini; da qui anche quell’esaltazione della “fede del fanciullo” o della “fede del semplice” che d’altronde siamo i primi a rispettare quando è spontanea e naturale, ma non quando è teorica e ostentata.
Si sente spesso esprimere la seguente riflessione: dal momento che la salvezza comporta uno stato di beatitudine perfetta e la religione non esige altro, perché scegliere la via che ha per fine la “deificazione”? A tale obiezione risponderemo che la via esoterica, per definizione, non può essere affatto l’oggetto d’una “scelta” per coloro che la seguono, infatti non è scelta dall’uomo, ma essa sceglie l’uomo; in altre parole, il problema d’una scelta non sussiste, giacché il finito non può scegliere l’Infinito; si tratta qui piuttosto d’una questione di “vocazione”, e quelli che sono “chiamati”, per valersi del termine evangelico, non possono sottrarsi alla chiamata, a pena di “peccare contro lo Spirito”, come un uomo qualsiasi non può sottrarsi legittimamente agli obblighi della propria religione.
Se è improprio parlare d’una scelta rispetto all’Infinito, lo è altrettanto parlare d’un desiderio, perché non si tratta per l’iniziato d’un desiderio di Realtà divina, ma piuttosto d’una tendenza logica e ontologica verso la propria Essenza trascendente. Questa definizione è di estrema importanza.

La dottrina exoterica in sé, ossia considerata fuori dell’influsso spirituale che può agire sulle anime indipendentemente da tale dottrina, non possiede affatto la certezza assoluta; perciò la conoscenza teologica non può escludere per sé stessa le tentazioni del dubbio, perfino nei grandi mistici, e quanto alle grazie che possono sopraggiungere in casi simili, esse non sono circostanziali all’intelligenza, in modo che la loro permanenza non dipende dall’essere che ne beneficia; limitandosi a una prospettiva relativa, quella della salvezza individuale – prospettiva interessata che influenza pure la concezione della Divinità in un senso restrittivo – l’ideologia exoterica non dispone di nessun mezzo di prova o di legittimazione dottrinale proporzionato alle sue esigenze. Difatti la caratteristica di ogni dottrina exoterica è la sproporzione tra le sue esigenze dogmatiche e le sue garanzie dialettiche: dato che le sue esigenze sono assolute, giacché provengono da un Volere divino, dunque anche da una Conoscenza divina, mentre le sue garanzie sono relative, giacché indipendenti da tale Volere e fondate non su tale Conoscenza, bensì su una visuale umana, quella della ragione e del sentimento. Ci si rivolge, per esempio, ai Brahmani per richiedere loro l’abbandono totale d’una tradizione plurimillenaria, di cui innumerabili generazioni hanno fatto l’esperienza spirituale e che ha generato fiori di sapienza e di santità fino ai nostri giorni; le argomentazioni prodotte per giustificare questa esigenza inaudita non contengono tuttavia niente di logicamente concludente, né di proporzionato all’ampiezza dell’esigenza stessa; le ragioni che avranno i Brahmani per restare fedeli al proprio patrimonio spirituale saranno dunque infinitamente più solide per loro di quelle con cui si vuole indurli a smettere di essere quello che sono. La sproporzione, nell’ottica indù, tra l’immensa realtà della tradizione brahmanica e l’insufficienza degli argomenti religiosi contrapposti è tale, che ciò dovrebbe bastare per provare che, se Dio volesse sottomettere tutto il mondo a una sola religione, gli argomenti di questa non sarebbero tanto deboli, né quelli di certi cosiddetti “infedeli” tanto forti; in altri termini, se Dio fosse unicamente dalla parte di una sola forma tradizionale, la potenza persuasiva di questa sarebbe tale che nessun uomo di buona fede potrebbe sottrarvisi. Del resto la stessa parola “infedele” attribuita a civiltà più vetuste, tranne un’eccezione, di quella cristiana, civiltà che hanno tutti i diritti spirituali e storici per ignorarla, fa anche intuire, con l’illogicità della sua ingenua pretesa, tutto quel che c’è d’abusivo nelle rivendicazioni religiose nei confronti di altre forme tradizionali ortodosse.
L’esigenza assoluta di credere in tale e non in altra religione può, infatti, cercare di giustificarsi soltanto con mezzi eminentemente relativi: tentativi di prove filosofico-teologiche, storiche o sentimentali: ora non esiste in realtà nessuna prova a sostegno di queste pretese alla verità unica ed esclusiva, e ogni tentativo possibile di prova può riferirsi solamente alle attitudini individuali degli uomini, attitudini che, limitandosi in definitiva a un problema di credulità, sono tra le più relative. Ogni prospettiva exoterica pretende, per definizione medesima, di essere la sola vera e legittima, e questo poiché la visuale exoterica, tendente solamente a un interesse individuale: la salvezza, non ha nessun beneficio nel conoscere una verità delle altre forme tradizionali; disinteressandosi della propria verità, si disinteressa anche molto di più di quella degli altri, o piuttosto la nega, giacché la nozione d’una pluralità di forme tradizionali rischia di nuocere alla sola ricerca della salvezza individuale; e questo chiarisce precisamente il carattere relativo della forma che, invece, è d’una necessità assoluta per la salvezza dell’individuo. Ci si potrebbe però domandare perché le garanzie, ossia le prove di veracità o di credibilità, che la polemica religiosa si sforza di produrre, non provengano spontaneamente dal Volere divino come avviene per le esigenze della religione; ovviamente tale problema ha un senso soltanto se si riferisce a verità, giacché non si possono provare errori; ora gli argomenti della polemica religiosa, appunto, non possono in nessun modo dipendere dalla sfera intrinseca e positiva della fede; un’idea la cui importanza è solo estrinseca e negativa, e che in fondo deriva unicamente da un’induzione – come per esempio l’idea della verità e della legittimità esclusive di una certa religione, oppure, il che fa lo stesso, della falsità e illegittimità di tutte le altre tradizioni possibili – una conceione simile non può evidentemente essere l’oggetto di una prova né divina, né a maggior ragione umana. Circa i dogmi veri – cioè non derivati per induzione, ma di valore rigorosamente intrinseco – se Dio non ha fornito le prove teoriche della loro verità, questo significa che, in primo luogo tali prove sono inconcepibili e inesistenti sul piano in cui si pone l’exoterismo, e pretenderle come fanno i miscredenti sarebbe una contraddizione vera e propria; in secondo luogo, come vedremo poi, se queste dimostrazioni esistono, sono su tutt’altro piano, e la Rivelazione divina le include perfettamente, senza nessuna omissione; in terzo luogo, infine, tornando al piano exoterico, dove solamente può porsi tale problema, la Rivelazione comporta, in ciò che ha d’essenziale, un’intelligibilità sufficiente per poter servire da veicolo all’azione della grazia (5), che, dal canto suo, è l’unica ragion sufficiente pienamente valida per l’adesione a una religione. Tuttavia, questa grazia essendo così suscitata soltanto nei confronti di quelli che non ne posseggono effettivamente l’equivalente in un’altra forma rivelata, i dogmi rimangono senza potenza persuasiva, potremmo dire senza prove, per quelli che posseggono questo equivalente; costoro saranno quindi “inconvertibili” – prescindendo dai casi di conversione dovuti alla forza suggestiva d’uno psichismo collettivo, la grazia non cominciando allora a operare che a posteriori (6) – giacché l’influsso spirituale non farà presa su di loro, come una luce non può illuminare un’altra luce; ciò è conforme quindi al Volere divino che ha rivestito la Verità una di differenti forme, e l’ha suddivisa tra differenti umanità ciascuna delle quali è simbolicamente la sola esistente; e soggiungeremo che, se la relatività estrinseca dell’exoterismo è conforme al Volere divino, che s’afferma così nella natura stessa delle cose, è evidente che questa relatività non può essere abolita da un volere divino.
Ora, se non esiste alcuna dimostrazione rigorosa a favore d’una pretesa exoterica al possesso esclusivo della verità, non si deve forse essere portati a credere che l’ortodossia medesima di una forma tradizionale non possa essere dimostrata? Questa sarebbe una conclusione molto artefatta e in ogni modo del tutto erronea: poiché ogni forma tradizionale comporta una prova assoluta della propria verità, dunque della propria ortodossia; ciò che non può essere dimostrato, in mancanza di una prova assoluta, non è la verità intrinseca e pertanto la legittimità tradizionale d’una forma della Rivelazione universale, ma unicamente il fatto ipotetico che una tale forma particolare sarebbe la sola vera e legittima, e questo non può essere dimostrato per la semplice ragione che è falso.
Vi sono dunque prove inoppugnabili della verità d’una religione; ma tali prove, che sono d’ordine meramente spirituale, pur essendo le sole prove possibili a sostegno d’una verità rivelata, comportano in pari tempo la negazione dell’esclusivismo pretenzioso delle forme; in altre parole, chi vuol dimostrare la verità d’una religione, o non ha prove, non esistendone, oppure ha soltanto prove che affermano ogni verità religiosa senza eccezione, qualunque sia la forma che essa può rivestire.

La pretesa exoterica al possesso esclusivo d’una verità unica, o della Verità senza epiteti, è quindi un vero e proprio errore; in realtà ogni verità espressa riveste di necessità una forma, quella della sua espressione, ed è metafisicamente impossibile che una forma abbia un valore unico escludendo altre forme: giacché una forma, appunto per definizione, non può essere unica ed esclusiva, ossia una forma non può essere la sola possibilità d’espressione di ciò che esprime; dire forma è dire specificità o distinzione, e lo specifico è concepibile soltanto come modalità d’una specie, dunque d’un ordine che include un insieme di modalità analogiche; o anche il limitato, che è tale per l’esclusione di quel che i suoi limiti non comprendono, deve compensare questa esclusione con una riaffermazione o ripetizione di sé fuori dei propri limiti, e ciò equivarrebbe a dire che l’esistenza di altre cose limitate è rigorosamente contenuta nella definizione stessa del limitato. Pretendere che una limitazione, come per esempio una forma considerata in sé, sia unica nel suo genere e incomparabile, che escluda quindi l’esistenza di altre modalità analoghe a essa, significherebbe attribuirle l’unicità dell’Esistenza medesima; ora, nessuno potrà contestare che una forma è sempre una limitazione, e che una religione è per necessità sempre una forma, non, ovviamente, per la sua Verità interna che è d’ordine universale, quindi sopraformale, ma per il suo modo d’espressione, che, come tale, non può non essere formale, pertanto specifico e limitato. Non si può ripetere abbastanza che una forma è sempre una modalità d’un ordine di manifestazione formale, dunque distintiva e molteplice, e conseguentemente, come dicevamo poc’anzi, una modalità tra altre, essendo unica solo la loro causa sopraformale; e ripetiamo anche – poiché non va mai dimenticato – che la forma – proprio per il fatto che è limitata, lascia necessariamente qualcosa fuori di sé, cioè quello che il suo limite esclude; e questo qualcosa, se appartiene allo stesso ordine, è necessariamente analogo alla forma esaminata, perché la distinzione delle forme deve essere compensata da un’indistinzione, quindi da un’identità relativa, altrimenti le forme sarebbero assolutamente distinte le une dalle altre, cosa che equivarrebbe a una pluralità di unicità o di Esistenze; ogni forma allora sarebbe una sorta di divinità priva di qualsiasi relazione con altre forme, supposizione che è assurda.
La pretesa exoterica al possesso esclusivo della verità cozza pertanto, l’abbiamo appena visto, contro l’obiezione assiomatica che non esiste un fatto unico, per la semplice ragione che è rigorosamente impossibile che un tale fatto esista, essendo unica solo l’unicità, e un fatto non essendo l’unicità; ed è ciò che ignora l’ideologia “credente” che in fondo è soltanto la confusione interessata tra il formale e l’universale. Le idee che s’affermano in una forma religiosa – come l’idea del Verbo o quella dell’Unità divina – non possono non affermarsi, in una maniera o in un’altra, nelle altre religioni; così i mezzi di grazia o d’attuazione spirituale di cui dispone un certo sacerdozio non possono non trovare l’equivalente altrove; e, aggiungeremo, proprio in quanto un mezzo di grazia è importante o indispensabile, lo si rinverrà necessariamente in tutte le forme ortodosse in un modo adeguato all’ambito rispettivo.
Possiamo riepilogare le considerazioni precedenti con questa formula: la Verità assoluta non è che di là da tutte le sue espressioni possibili; tali espressioni, in sé, non possono aspirare agli attributi di questa Verità; il loro allontanamento relativo rispetto a essa si manifesta con la loro differenziazione e con la loro molteplicità, che necessariamente le limitano.


- continua -


Note [dell’autore]:

(1) Si ricorderà la maledizione di Cristo: “Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza: voi non siete entrati, e l’avete impedito a quelli che volevano entrare” (Lc., XI, 52).
(2) Per ciò che concerne la tradizione islamica, citiamo la riflessione d’un principe musulmano dell’India: “La maggior parte dei non Musulmani, e perfino molti Musulmani interamente formati in un ambiente di cultura europea, ignorano quell’elemento peculiare dell’Islam che ne costituisce il midollo e il centro, che dà realmente vita e vigore alle sue forme e attività esteriori e che, grazie al carattere universale del suo contenuto, può apertamente prendere come testimoni i discepoli delle altre religioni” (Nawab A. Hydari Hydar Nawaz Jung Bahadur, nella prefazione a Studies in Tasawwuf di Khaja Khan).
(3) Di là viene la prepotenza sempre più netta della “letteratura”, nel senso peggiorativo, da un lato sull’intellettualità autentica, e dall’altro sulla pietà reale; di là anche l’importanza esagerata che s’attribuisce a ogni sorta d’attività più o meno futili che trascurano sempre diligentemente la “sola cosa necessaria”.
(4) Così né l’incomprensione da parte d’una data autorità religiosa, e neppure una certa fondatezza dell’accusa mossa da essa, giustificano l’iniquità del processo intentato al Sufi El-Hallâj, come l’incomprensione dei Giudei non giustifica l’iniquità del processo intentato a Cristo. In un ordine di idee molto simile, ci si può chiedere perché s’incontri nelle polemiche religiose tanta stupidità e malafede, e ciò anche in persone che altrimenti ne sono immuni; questo è un indizio sicuro che, nella maggioranza di tali polemiche, c’è una parte di “peccato contro lo Spirito”. Nessuno è biasimevole per il solo fatto d’attaccare, in nome del proprio credo, una tradizione straniera, se lo fa per pura ignoranza; ma quando non è così, l’uomo sarà colpevole di bestemmia, giacché, oltraggiando la Verità divina in una forma straniera, non fa insomma che profittare di un’occasione per offendere Dio senza doversene fare un caso di coscienza; è questo, in fondo, il segreto dello zelo grossolano e impuro mostrato da coloro che, in nome del loro convincimento religioso, consacrano la vita a rendere invise cose sacre, il che possono fare solo con modi spregevoli.
(5) Un esempio della conversione per l’influsso spirituale o la grazia, e in mancanza di qualsiasia rgomento d’ordine dottrinale, ci è offerto dalla ben nota vicenda di Sundar Singh; questo Sikh di natura nobile, dal temperamento mistico, ma senza vere qualità intellettuali, aveva giurato un odio implacabile non solo ai Cristiani, ma anche al Cristianesimo e perfino al Vangelo; tale odio, data la sua coincidenza paradossale col carattere nobile e mistico di Sundar Singh, si scontrò con l’influsso spirituale di Cristo e si mutò in disperazione; sopraggiunse allora una conversione folgorante provocata da una visione; ora non vi fu nessuna intromissione della dottrina cristiana, e il convertito non pensò nemmeno mai di ricercare l’ortodossia tradizionale. L’esempio di San Paolo presenta, d’altronde, sebbene a un livello notevolmente superiore rispetto al personaggio e alle circostanze, alcune analogie meramente “tecniche” con l’esempio citato. In breve, si può affermare che quando un uomo di natura religiosa odia e perseguita una religione, è assai vicino a convertirsi, col favore delle circostanze.

Paul Atreides
09-07-03, 22:20
Originally posted by Ludovico
Dovevo pur far notare al caro Orazio che caristianesimo (inteso solo come cattolicesimo) è opposto al calvinismo.
Esistono due esclusivismi sui quali è nato un equivoco in questo thread: quello secondo cui i non cristiani sono esclusi dalla via della verità (pur con il dovere, da parte dei cristiani, di diffondere tale verità e quindi di farla conoscere a tutti in modo da non escludere nessuno)* e quello secondo cui non si può accedere ad una religione se non si appartiene ad una razza, ad un popolo al di fuori del quale tutti sono esclusi.

*in questo senso e solo in questo il cristianesimo è esclusivista.

Infatti è proprio questo il punto, ossia una sorta di ''teologia etnica'' di cui parlano, fra gli altri, Celso e Giuliano Augusto. Tra l'altro, anche altre forme di ''religio'' hanno assunto caratteristiche del genere, dall'induismo allo shintoismo, al lamaismo [ovviamente inteso non alla stregua delle ridicole pagliacciate dell'attuale dalai lama].

Questa teologia etnica è esclusiva MA NON esclusivista. Ossia, non nega altre forme o vie o esperienze del divino [al contrario dei monoteisti], ma ritiene che la propria via sia appunto propria, dunque specifica di una determinata cultura, etnia, ecc.

Così come, tanto per riferirsi alla romanità, nella specifica ''via romana agli dei'' era contemplata la cosiddetta ''interpretatio''.

Vahagn
09-07-03, 22:31
Ho dimenticato la Nota n°6:

(6) E' il caso dei non Cristiani che si convertono al Cristianesimo così come adottano qualsiasi forma della civiltà occidentale moderna; ciò che, negli Occientali stessi, è sete di novità, negli altri è sete di mutamento, si potrebbe dire di rinnegamento; da ambedue le parti c'è la medesima tendenza ad attuare e a esaurire possibilità che erano state escluse dalla civiltà tradizionale.

Vahagn
09-07-03, 22:32
Originally posted by Paul Atreides
Infatti è proprio questo il punto, ossia una sorta di ''teologia etnica'' di cui parlano, fra gli altri, Celso e Giuliano Augusto. Tra l'altro, anche altre forme di ''religio'' hanno assunto caratteristiche del genere, dall'induismo allo shintoismo, al lamaismo [ovviamente inteso non alla stregua delle ridicole pagliacciate dell'attuale dalai lama].

Questa teologia etnica è esclusiva MA NON esclusivista. Ossia, non nega altre forme o vie o esperienze del divino [al contrario dei monoteisti], ma ritiene che la propria via sia appunto propria, dunque specifica di una determinata cultura, etnia, ecc.

Così come, tanto per riferirsi alla romanità, nella specifica ''via romana agli dei'' era contemplata la cosiddetta ''interpretatio''.

Distinzione esatta. Come accenavo in un post precedente, un pizzico di "esclusivismo" è presente naturalmente in po' in tutte le tradizioni. Altra cosa è quando diventa patologico.

Paul Atreides
09-07-03, 22:40
Originally posted by Vahagn
Distinzione esatta. Come accenavo in un post precedente, un pizzico di "esclusivismo" è presente naturalmente in po' in tutte le tradizioni. Altra cosa è quando diventa patologico.

Infatti. Altrimenti si precipiterebbe nel relativismo, e quindi in una equivalenza indifferenziatrice.

Ps. va da sé che nei monoteismi quel che tu chiami ''patologico'' è...fisiologico

Mjollnir
09-07-03, 23:06
In Origine Postato da Vahagn

Mi scuso per la lunghezza (questa è una prima parte del capitolo, seguirà l'ultima parte), non è mia intenzione nè mia politica abituale "floodare" i thread, ma, dopo aver pensato di farne un riassunto, ho creduto cosa migliore postare le parole dirette di Schuon, autore al pari di Guénon dotato di concisione e chiarezza (almeno credo)

Caro Vahagn, non ti preoccupare per la lunghezza, anzi, ti ringrazio a nome di tutti anche per la fatica materiale di trascrivere e renderci disponibili testi così lunghi :)

Vahagn
09-07-03, 23:18
Originally posted by Ludovico
Caro Vahagn, posso comprendere le differenze che poni in rilievo, ma nel Vangelo sono dette cose dalle quali è difficile sfuggire. Capisco che esistano la lettera e lo spirito, ma certe affermazioni non si possono stravolgere per farle rientrare nel piano esoterico tradizionalista.



Non si tratta affatto di "stravolgere", caro Ludovico, ma di un senso (quello esoterico) che è già insito nei testi sacri, anzi è quello principale, il senso letterale-formale a ben vedere essendo solo un suo "velo". Non meno importante, per chi non intraprenderà lo sforzo di sollevare il velo, limitandosi a contemplarne i magnifici ricami. Ma nondimeno non unico.

Senatore
09-07-03, 23:35
Originally posted by Ludovico
Caro Vahagn, posso comprendere le differenze che poni in rilievo, ma nel Vangelo sono dette cose dalle quali è difficile sfuggire. Capisco che esistano la lettera e lo spirito, ma certe affermazioni non si possono stravolgere per farle rientrare nel piano esoterico tradizionalista.

Mi par di capire però che mentre gli altri sono proprio anticristiani (pur dicendosi antiesclusivisti... il che è tutto dire) tu non lo sia affatto il che non è tutto ma neanche poco, e mi fa piacere.

Ci tengo a dire che io sono cristiano.
Su un altro piano aderisco al tradizionalismo, quello cd integrale, a là Guenon per intenderci.

Vahagn
16-07-03, 10:13
Originally posted by Paul Atreides
Infatti. Altrimenti si precipiterebbe nel relativismo, e quindi in una equivalenza indifferenziatrice.

Ps. va da sé che nei monoteismi quel che tu chiami ''patologico'' è...fisiologico

Tuttavia, anche il Mircea Eliade giovane si sforza di comprendere questa "patologia":
"L'ortodossia, quale che sia, ha una posizione ferma quando viene a contatto con le altre religioni. Essa non dice 'rispetto la fede di ognuno', perché per essa ogni altro credo è una 'miscredenza'. L'inflessibilità verso il polimorfismo religioso, l'intolleranza sorretta dalla rivelazione, costituiscono il suo titolo di merito. Ed è questo suo aspetto a far sì che non sia alterato il tesoro della sacralità (certamente irrazionale, essendo rivelato e trasmesso in modo carismatico) che le teosofie e le riforme svigoriscono, polverizzano e guastano"
(tratto da "Soliloqui")

Paul Atreides
16-07-03, 23:24
Mah...

A me pare che Eliade dica, molto semplicemente, che l'intolleranza eretta a sistema è, per il monoteismo [infatti usa l'espressione ''un SUO titolo di merito''], un titolo di merito perché permette a quella fede di perpetuarsi.

Il che non mi pare un gran complimento, quanto una constatazione ovvia.

Per quel che riguarda infine il ''tesoro della sacralità'', beh, ciò conferma che Eliade, non appartenendo alla ''vil razza'' dei monoteisti, non riduce ciò che è altro da sé a ''superstitio'' idolatrica o a demonologia varia e assortita ma lo rispetta [pur non condividendolo].

E comunque trattasi dell'Eliade giovane.

Vahagn
16-07-03, 23:32
Originally posted by Paul Atreides

Per quel che riguarda infine il ''tesoro della sacralità'', beh, ciò conferma che Eliade, non appartenendo alla ''vil razza'' dei monoteisti, [...]

... ma appartenendo a quella dei "tradizionalisti" (o semi-tradizionalisti) era conscio che tale "tesoro" è presente in tutte le vie (legittime).

Paul Atreides
16-07-03, 23:57
Io penso che tale ''consapevolezza'' abbia bisogno di molte prove a supporto e non di una singola citazione dell'Eliade giovane.

Comunque condivido il tuo ''semi-tradizionalista'' riferito ad Eliade. L'ultima cosa che gli potrebbe capitare, infatti, è di ritrovarsi ad essere un replicante di Guénon.

Anche perché, se così fosse, Eliade avrebbe indicato anche massoneria e islamismo come vie ''legittime'', cosa che, mi pare, si è ben guardato dal fare.

Vahagn
17-07-03, 00:12
Originally posted by Paul Atreides
Io penso che tale ''consapevolezza'' abbia bisogno di molte prove a supporto e non di una singola citazione dell'Eliade giovane.

Ve ne sono sicuramente altre. E non credo sia difficile trovarne, data la sua formazione - benché breve - presso un ashram tradizionale induista. Prossimamente su questi schermi.


Originally posted by Paul Atreides
Comunque condivido il tuo ''semi-tradizionalista'' riferito ad Eliade. L'ultima cosa che gli potrebbe capitare, infatti, è di ritrovarsi ad essere un replicante di Guénon.

Cosa che non gli avrebbe fatto certo male! Cmq vi è chi ha azzardato che il suo accademismo non fosse in realtà che tradizionalismo mascherato, per inserire in un ambiente solitamente razionalista tematiche che altrimenti sarebbero state tenute fuori.


Originally posted by Paul Atreides
Anche perché, se così fosse, Eliade avrebbe indicato anche massoneria e islamismo come vie ''legittime'', cosa che, mi pare, si è ben guardato dal fare.

Potresti indicarmi dei passi in proposito? (In cui cioè Eliade avrebbe afermato che massoneria ed islamismo non sarebbero vie legittime?)

Senatore
17-07-03, 00:55
Originally posted by Paul Atreides

E comunque trattasi dell'Eliade giovane.

L'Eliade migliore, secondo me!