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Visualizza Versione Completa : Ricchezza ecologica



Davide (POL)
08-07-03, 18:44
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Quintessenza del bene o quintessenza del male? Monsieur de La Palisse direbbe che a fil di logica il mercato è lo strumento migliore per far circolare le merci. Anzi che le merci e il mercato - lo dice la parola stessa - sono inscindibili, come la vite e il bullone, il treno e i binari, il caminetto e il fuoco. L'esperienza storica dimostra che le cose stanno proprio così. La concorrenza tra i produttori e la dinamica tra la domanda e l'offerta, sono gli strumenti più efficaci per avere le merci migliori ai prezzi più convenienti. Non è compito dello Stato entrare nelle attività economiche, né in tutto, come è accaduto nel socialismo reale, né in parte, come è awenuto nei paesi capitalisti con le industrie di proprietà pubblica. Nei confronti del mercato lo Stato ha due doveri imprescindibili. Il primo è la definizione del contesto normativo entro il quale si devono svolgere la concorrenza tra i produttori e la dinamica tra la domanda e l'offerta, per impedire che la riduzione dei costi avvenga a scapito della sicurezza sui luoghi di lavoro, dei diritti civili, della tutela dei minorenni, dell'ambiente, dei diritti degli animali, della salute pubblica, ecc. Il secondo è la definizione degli interessi pubblici da tutelare, privilegiare e difendere mediante un uso discreto e attento delle leve tariffarie e fiscali. In sostanza, stabilire cosa non si deve fare e incentivare i fini sociali da perseguire attraverso le attività economiche e produttive. All'interno di questi limiti e di queste priorità che garantiscono a tutti gli operatori uguali condizioni e opportunità, il mercato è lo strumento più efficace per selezionare le merci migliori qualitativamente e più convenienti economicamente.

Il mercato sarebbe quindi la quintessenza del bene? Se tutta la produzione umana fosse produzione di merci sì. Ma se merce e mercato linguisticamente hanno la stessa radice e sono inscindibili, non tutti i prodotti del lavoro umano sono merci. Il lavoro umano può dare origine a due tipi di prodotti non paragonabili tra loro: i valori d'uso e i valori di scambio. I valori d'uso, i beni prodotti per sé e i servizi autogestiti, non sanno cosa sia il mercato perché non si valutano in base al prezzo. I prodotti di un orto a gestione familiare hanno sicuramente un costo di produzione più alto delle verdure comprate al supermercato, ma ciò non impedisce che molti preferiscano coltivali anziché comprarli. Le ore di un infermiere costano sicuramente meno di quelle di un professionista che rinunci a una parte del suo lavoro per accudire un genitore malato, ma la qualità del rapporto umano che si instaura tra chi svolge un servizio in cambio di denaro e chi lo fa per affetto non è paragonabile. Il mercato, questa misteriosa entità metafisica, lo sa. Sa che se certamente vince in termini monetari, in termini qualitativi non può che perdere. E questo non lo tollera. Non accetta una concorrenza che si svolga al di fuori del suo dominio, che è il dominio del denaro. Per questo non può che fagocitare sistematicamente tutti gli àmbiti dell'attività umana che ancora gli sfuggono. Ogni sacca di resistenza in cui ancora si producano valori d'uso, sia nei territori su cui già da tempo ha esteso il suo dominio, sia nei territori in cui ancora non è arrivato, è un'intollerabile provocazione che mette in crisi la sua onnipotenza. E una divinità non onnipotente non è una divinità. O è onnipotente o non è. Per questo qualsiasi nicchia al di fuori del suo dominio, per piccola o insignificante che sia, è intollerabile e va distrutta. «Ma come, ho conquistato la Cina, con il suo miliardo e passa di abitanti, e non riesco a piegare la resistenza di quel montanaro? Ma come, ho sconfitto quelli che pensavano di tagliare la mia mano invisibile mentre moltiplicavano la produzione di merci a danno dei valori d'uso, e intellettuali incuranti delle fittizie barriere che ho innalzato tra destra e sinistra riscoprono gli scambi fondati sul dono e sulla reciprocità? Ma come, ho spostato milioni di persone dalle campagne alle città, dai paesi del terzo mondo ai paesi dell'occidente avanzato, facendo luccicare vetrine e tubi catodici e quel cittadino da tre generazioni ritorna in campagna?».


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La rivincita dell'economia è cominciata negli ultimi decenni del secolo attraverso la sua internazionalizzazione sempre più spinta. Lo sviluppo dell'elettronica, dell'informatica e della telematica hanno consentito ai grandi gruppi industriali e finanziari di decentrare le attività produttive a livello mondiale sfuggendo al controllo degli Stati e di operare sui mercati finanziari di tutto il mondo accumulando enormi capitali in grado di esercitare sulle politiche economiche nazionali un potere superiore a quello dei governi. La mondializzazione dei mercati ha dato all'economia un potere sempre maggiore nei confronti della politica e l'ha portata a sconfinare sistematicamente nel suo dominio. Non essendo soggetto ai limiti che la democrazia impone al potere politico, il potere economico ha costituito autonomamente i suoi organismi operativi a livello mondiale (Banca Mondiale, Fondo Mondiale degli Investimenti, World Trade Organization), li ha fatti riconoscere a tutti gli Stati e attraverso di essi impone la sua volontà alla politica. I suoi funzionari sono nominati dai consigli di amministrazione delle società industriali e finanziarie che controllano l'economia mondiale e non essendo eletti, non devono sottoporre le loro scelte al gradimento e alla verifica elettorale. Per contro, tutti i parlamenti e tutti i governi devono sottoporre le proprie scelte di politica economica al loro gradimento e alla loro verifica, per cui agiscono in una condizione di libertà limitata. Esercitandosi al di fuori di ogni controllo pubblico, questo potere agisce sempre in forme impersonali, o attraverso l'entità metafisica e onnipotente dei mercati, o attraverso l'entità fisica ma invisibile ai comuni mortali degli organismi internazionali che eseguono le loro volontà. La scelta di fondo che i mercati, attraverso gli organismi che ne sono i portavoce, hanno fatto in relazione alle economie nazionali è stata di abolire tutte le attività economiche e produttive che non rientrino in una logica mercantile e di abolire insieme ad esse tutte le differenze culturali non conformi a questa logica. La mondializzazione dei mercati finanziari e delle attività industriali ha imposto la standardizzazione dei comportamenti umani.


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Se l'economia occupa il territorio della politica e i fini dell'attività produttiva vengono indicati dai mercati, il lavoro perde la sua connotazione di attività finalizzata a migliorare le condizioni di vita degli uomini e si riduce a essere il mezzo per massimizzare il profitto anche a costo di peggiorarle. La vittoria conseguita dall'economia sulla politica e la mondializzazione hanno trasformato il mondo in un serbatoio di risorse e in un deposito di rifiuti, uniformando il comportamento, i valori e i modi di pensare degli individui, impoverendo insieme alle diversità culturali le biodiversità, riducendo gli uomini a semplici ingranaggi di un meccanismo economico e produttivo di cui non controllano più il funzionamento, che li riduce a passivi esecutori sia nel momento della produzione, sia nel momento del consumo di ciò che hanno prodotto.


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Ciò di cui c'è bisogno nei paesi industriali avanzati, proprio in conseguenza del fatto che negli scorsi decenni l'attività produttiva è stata finalizzata alla crescita del p.i.l., senza nessuna preoccupazione per le conseguenze ambientali che ne potevano derivare sia in termini di inquinamento, sia in termini di esaurimento delle risorse, sono i beni e i servizi che consentono di ridurre l'impatto ambientale dei processi di produzione e più in generale delle attività umane. Solo incentivando, attraverso gli strumenti della politica economica, lo sviluppo di questi beni e servizi è possibile creare un'occupazione quantitativamente significativa e stabile. Se si continua a perseguire la crescita del prodotto interno lordo, ovverosia una crescita connotata semplicemente in termini quantitativi, si aggraveranno sia la crisi ambientale (in entrambi gli aspetti in cui si manifesta: esaurimento delle risorse e inquinamento), sia la crisi occupazionale, perché per sostenere la concorrenza internazionale occorrerà ridurre progressivamente l'incidenza della manodopera sul valore aggiunto. Per evitare che questi effetti indesiderati si verifichino, le innovazioni tecnologiche non devono più essere indirizzate ad accrescere la produttività del lavoro, ma a ridurre il consumo di risorse, le emissioni inquinanti e i rifiuti dei processi di produzione e dei beni di consumo. In questo àmbito c'è molto da fare, non solo per riparare i guasti già fatti, ma per evitare di farne in futuro. Tutto il sistema economico e produttivo deve essere riconvertito in termini di stringente compatibilità ecologica. Le conoscenze scientifiche attuali consentono di farlo e poiché, in ultima analisi la riduzione dell'impatto ambientale dei processi di produzione e dei prodotti passa attraverso una sempre maggiore efficienza nell'uso delle risorse, la riduzione degli sprechi che ne deriverebbe non si traduce soltanto in una riduzione dell'inquinamento e dei rifiuti, ma in una riduzione direttamente proporzionale dei costi di produzione. Riducendo gli sprechi e utilizzando meglio le materie prime e l'energia, non solo si rallenta il loro esaurimento e si riducono le varie forme di inquinamento, ma si ottengono risparmi economici con cui si possono ammortizzare i costi d'investimento nelle tecnologie che consentono di usare meglio le materie prime e l'energia. Un ampio processo di riconversione ecologica dell'economia richiede grandi quantità di lavoro e libera grandi quantità di risorse economiche con cui se ne possono pagare i costi. Nei paesi industriali avanzati non c'è altra strada per accrescere l'occupazione e non ne deriverebbe un'occupazione purchessia, ma utile e qualificata. Il compito dei governi non dovrebbe pertanto ridursi a utilizzare i tradizionali strumenti della politica economica per rilanciare la crescita quantitativa, ma dovrebbe incentrarsi su un uso discreto e attento delle leve fiscali e tariffarie, di incentivi e disincentivi mirati, al fine di indirizzare gli investimenti del sistema produttivo in direzione delle tecnologie ecologiche, lasciando alla libera concorrenza il compito di selezionare i mezzi più efficienti e più efficaci per raggiungere con l'attività produttiva i fini sociali individuati mediante il confronto e la dialettica politica.

Estratti da "Ricchezza ecologica" di Maurizio Palllante Manifesto-libri