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Visualizza Versione Completa : Una critica a René Guénon



Paul Atreides
16-07-03, 23:44
Posto qui questo scritto tratto da "Margini" che riflette in pieno alcuni motivi della mia lontananza da Guénon


René Guénon e l’Occidente


Due premesse: per ovvi limiti di spazio, questo scritto si baserà solo su "Introduzione generale allo studio delle dottrine indù", Adelphi, Milano 1989, in quanto “manifesto dottrinario” di Guénon; l’Occidente preso in esame è quello dell’antichità classica.
Guénon nel secondo capitolo di Introduzione, significativamente consacrato alla “divergenza” tra Oriente e Occidente, polemizza con quello che lui definisce “il pregiudizio classico”, ovvero la tendenza a considerare le civiltà orientali debitrici di quella greca e soggiacenti al suo influsso (p. 24). Impostato in questi termini (peraltro del tutto fuorvianti, come specificheremo più sotto) il pregiudizio classico è da rigettare in pieno. Il punto, però, è un altro. Guénon sembra cadere, a sua volta, in un vero e proprio “pregiudizio anticlassico”, incentrato sulla riproposizione del celebre ex Oriente lux. Detto altrimenti, Guénon pare affermare che tutto ciò che di tradizionale vi fosse in Occidente sarebbe, in realtà, dovuto ad influenze orientali. Non a caso il tradizionalista francese ritiene che già nel pensiero greco fossero presenti “l’origine e il germe di quasi tutte le tendenze che si sono sviluppate molto tempo dopo negli occidentali moderni” (p. 25). Il che, unito all’accusa mossa ai Greci di scarsa originalità (p. 24) e di possedere una mentalità “così dissimile da quella degli orientali, ed anzi già opposta sotto più di un riguardo” (p. 24), spiega perché Guénon arrivi ad affermare che le battute d’arresto di tale divergenza tra Oriente e Occidente vanno rintracciate in epoche in cui “l’Occidente ha nuovamente ricevuto l’influenza diretta dell’Oriente” (p. 26). L’allusione è al periodo alessandrino e all’apporto della cultura araba (p. 26).
Nel terzo capitolo, intitolato esplicitamente “Il pregiudizio classico”, Guénon ritorna sull’argomento, scrivendo che ciò che lui intende per “pregiudizio classico” è “propriamente il partito preso di attribuire ai Greci e ai Romani l’origine di ogni civiltà” (p. 28). Ma chi può aver mai preso un tale partito, chiaramente smentito già dalla semplice constatazione che molte civiltà, da quella egizia a quella caldea, ecc., erano sorte prima di quella greca? Pertanto, molto più correttamente, Guénon avrebbe dovuto identificare nel “pregiudizio classico” la pretesa di considerare la civiltà greca come la più elevata rispetto alle precedenti e alle coeve. Qui, insomma, s’intravede una indicativa forzatura polemica. Di poi, è appena il caso di accennare alla successiva sequela di critiche mosse ai Greci: questi ultimi avrebbero, dal punto di vista intellettuale (cioè prettamente metafisico), “adottato quasi tutto degli orientali” (p. 28); sarebbero portati a quella “sottigliezza dialettica” tipica dei dialoghi platonici e sfociante nell’insignificanza (p. 29); avrebbero attribuito alla conoscenza non un fine puro e disinteressato ma “pratico” (p. 30), con ciò anticipando uno degli atteggiamenti tipici della modernità (pp. 30-31); avrebbero un “culto per la natura” (p. 31) lontanissimo dalla mentalità orientale (che, da parte sua, considera la natura come un “mondo delle apparenze” avente sì una realtà ma di tipo transitorio e contingente: p. 31). Altra critica cruciale è quella rivolta al politeismo, considerato da Guénon “una profonda deformazione” (p. 162). E non potrebbe essere diversamente, visto che “ogni dottrina davvero tradizionale è dunque effettivamente monoteista, o, più esattamente, è una ‘dottrina dell’unità’ o anche della ‘non-dualità’, che diventa monoteista quando sia tradotta in modo religioso” (p. 225). Inoltre, la metafisica occidentale si riduce ad Aristotele e alla Scolastica (p. 98), ed è una metafisica non certo “pura” al pari di quella orientale, tant’è che Aristotele ha equiparato la metafisica all’ontologia (p. 110) senza rendersi conto che quest’ultima non esaurisce affatto il dominio metafisico. Ecco spiegato perché “ciò che vi fu di metafisico in Occidente è sempre rimasto incompleto e insufficiente” (p. 110). Ancora: nonostante un altro accenno positivo (p. 83) ad Aristotele e ai suoi continuatori scolastici, relativo all’intuizione intellettuale1, resta comunque il fatto che sia la logica che la metafisica aristotelica devono quel che di tradizionale contengono alla influenza indù (pp. 35-36). Non a caso Guénon scrive: “dopo Aristotele le tracce di una influenza indù nella filosofia greca diventano sempre più rare, se non addirittura nulle” (p. 36). Per cui, “solo nei neoplatonici si vedranno ricomparire influenze orientali” (p. 36) visto che è “proprio con loro che si incontreranno per la prima volta nei Greci certe idee metafisiche come quella di Infinito”(p. 36), avendo, sino ad allora, i Greci conosciuto soltanto l’idea di indefinito (p. 36). È risaputo, infatti, che per Guénon il supremo principio metafisico sia appunto l’Infinito, in quanto indeterminato, ossia al di là di ogni determinazione. Ciò spiega, altresì, perché Guénon ritiene l’ontologia una semplice parte della metafisica, essendo l’Essere già una determinazione.
Ora: a parte il fatto che la definizione determina, e quindi ciò che è indefinito è, al pari, indeterminato, già Anassimandro aveva posto il principio metafisico dell’indeterminato. Non solo: il neoplatonismo, per Guénon, sembra non dipendere in nulla di essenziale da Platone. Evidentemente Guénon dimentica Enneadi, V 1, 8, in cui Plotino esplicitamente si rifà a Platone (e allo stesso Parmenide). Parimenti dimentica, di Platone, il celeberrimo passo della VII Epistola, 341b o l’altrettanto celebre passo di Repubblica, 509a-b o, ancora, tutta la discussione sviluppata nel Parmenide, 137c-142a intorno alla prima ipotesi sull’Uno (nella quale, tra l’altro, l’Uno viene inteso proprio come infinito). Ed ancora, Guénon sembra ignorare tutta la tradizione platonica e neopitagorica, destinata a confluire nella filosofia plotiniana, che aveva già elaborato lo schema dell’unificazione tra il Bene della Repubblica e l’Uno del Parmenide. Così come sembra ignorare la presenza anche in Platone della intuizione intellettuale (alludiamo, ovviamente, alla conoscenza noetica). Senza contare, poi, che la concezione dell’eternità platonica non è affatto intesa come “perpetuità”, ossia alla stregua di una estensione illimitata di tempo, ma come “non tempo” (in linea con la metafisica orientale). E quando Guénon accusa Platone di aver posto “due mondi separati e radicalmente eterogenei” (p. 175) cade in una cruciale incomprensione del pensiero platonico ed anche in palese contraddizione con la sua stessa osservazione del mondo greco dominato dal “culto per la natura”. In verità, le cose stanno ben diversamente: Platone è mosso dalla esigenza di conferire una qualche realtà al “mondo sensibile” (il “salvare i fenomeni”), pur riconoscendo che tale mondo, rispetto a quello “intellegibile”, è mera apparenza, è pura contingenza (e in ciò non si capisce affatto quale distanza ci possa mai essere con la metafisica orientale). E i due mondi mai potranno essere intesi come abissalmente separati (il che, ad esempio, significherebbe ignorare i rapporti, di mimesi, metessi e parusia, intercorrenti tra i due mondi), anche se è vero che il “continuismo” metafisico è molto più sviluppato in Plotino (ed è quindi più vicino alla dottrina degli “stati molteplici dell’essere”).
Per finire: al di là di molte altre osservazioni che potrebbero esser fatte (ad esempio, richiamare il passo aristotelico di Metafisica, 982b 20-22 in cui è detto che gli uomini filosofano col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico), e per le quali si rimanda all’ottimo P. Di Vona, René Guénon contro l’Occidente, il Cerchio, Rimini 1998, il punto davvero essenziale è che Guénon, in virtù del suo pregiudizio anticlassico, finisce per non riconoscere alcuna “valenza” tradizionale propria dell’Occidente. In breve: se tutto ciò che vi è di tradizionale in Occidente lo si deve ad influssi orientali (compreso, quindi, il cristianesimo), allora viene meno l’unità e l’universalità dei princìpi tradizionali. Perché o tali principi sono davvero universali e allora necessariamente devono esser presenti, in forma autonoma e specifica, anche in Occidente (il che significherebbe riconoscere l’importanza essenziale del mondo classico), oppure ci si deve rassegnare ad una sola conclusione: tali princìpi non sono affatto universali ma esclusivamente orientali, con l’ovvio corollario della non universalità e della non unità della Tradizione.

1 Cfr. anche R. Guénon, "L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta", Adelphi, Milano 1997, p. 55 dove si trova un accenno ad un altro fondamentale motivo aristotelico: la stretta concatenazione tra logica e ontologia.

Giovanni Damiano in Margini n. 36 dell'ottobre 2001

Mjollnir
17-07-03, 00:45
Un ottimo scritto, grazie Paul :)

Io ricorderei anche altri 2 punti che mi sembra non vengano toccati:

[list=1]
la questione delle "vie": ossia se è vero che alla tradizione unica ogni civiltà arriva per una unica via, che è quella che essa detiene in proprio e a cui corrisponde per intero, come si può giustificare il fenomeno della conversione, ossia il mutamento della forma specifica e la validità della risultante;
l'ebraismo: non si capisce come debba essere valutato secondo i canoni guenoniani, se via perfettamente tradizionale o forza della sovversione e quindi a carattere antitradizionale;
[/list=1]

Senatore
17-07-03, 01:49
Condivido le critiche rivolte al libro di Guenon, ma non capisco come mai si dice che esso sia il suo "manifesto". Secondo me Guenon ha scritto cose molto più belle e degne.
Per quanto riguarda il "pregiudizio anticlassico" di Guenon, è molto sorprendente il tono assolutamente spregiativo che usa per la tradizione romana, tanto più che fa valere argomenti a dir poco miseri. Ovviamente se fosse vero quanto Guenon dice sul carattere "utilitaristico" della religio romana, la sua critica sarebbe giusta, ma il problema sta proprio nella scarsa conoscenza di tale tradizione che dimostra in quel libro (tralaltro uno dei primi se non ricordo male), ciò che lo porta a fraintedere e banalizzare.
Invece non è vero, per quanto prima facie possa così sembrare, che per lui tutto ciò che è tradizionale viene da oriente. Basti vedere quel che dice altrove sui druidi.

Infine vorrei dare un mio piccolo contributo allo scioglimento del "nodo" rilevato da Mjollnir su Guenon e la tradizione ebraica.
A vedere il complesso della sua opera non mi pare che ci possa essere dubbio: Guenon considera l'ebraismo una forma tradizionale valida.
Senonchè il suo giudizio muta quando si tratta di valutare il ruolo del'ebraismo nel mondo moderno: è una questione un pò complessa, perchè si riferisce alle condizioni "cicliche" del mondo e al carattere che la vie tradizionali debbono assumere nelle diverse fasi. In breve, il mondo avanza verso la dissoluzione, e ciò richiede come contraltare una stabilizzazione delle forme tradizionali. Al nomadismo, funzionale alla prima fase dell'evoluzione del mondo, deve subentrare la "fissità", che sul piano sociale si esprime nella stanzialità. Ora, le civiltà per loro natura portate al movimento (gli ebrei, presso cui era proibita anticamente la costruzione di templi di pietra, come gli zingari) diventano de facto solidali alla dissoluzione e quindi si schierano sul fronte antitradizionale. Geometricamente è il passaggio dal cerchio al quadrato.
Curiosamente questo discorso si sposa benissimo con la tesi di Carl Schmitt sul rapporto Terra-Mare, localizzazione e ordinamento stabile contro le scorribande da filibustieri.
Ho fatto questa divagazione perchè so che Paul Atreides apprezza Schmitt e la sua teoria del Nomos della Terra.
Saluti

Otto Rahn
17-07-03, 03:25
Originally posted by Mjollnir

l'ebraismo: non si capisce come debba essere valutato secondo i canoni guenoniani, se via perfettamente tradizionale o forza della sovversione e quindi a carattere antitradizionale;
[/list=1]

Per come la vedo io, su questo punto Guénon e molti altri tradizionalisti sottovalutano il ruolo sovversivo del Giudaismo
nel contesto generale del Kali-Yuga.

L' argomento è molto complesso e sicuramente fino a oggi mai affrontato da nessuno in maniera diretta ed esauriente.
Forse qualche studio perduto della Ahnenerbe ci avrebbe potuto
fornire materiale più vasto sul quale basarci.

Comunque a occhio e croce e riprendendo ciò che dice Senatore per Guénon il problema non è l' autentica tradizione ebraica e quindi l' ortodossia rabbinica ma solo le frange sovversive e moderne degli ebrei che sono caduti "strumenti" delle correnti sovversive della Controiniziazione.

Questa è una visione a mio giudizio pericolosamente miope che ignora l' antichità della cospirazione giudaica, la sua origine storica
e anche certe possibilità esoteriche, "direi stregoniche" che ha la gerarchia controniziatica di attuare in questo mondo.
Già un Evola qui si mostra più acuto nel delineare certe cose e nel puntare il dito su alcuni colpevoli.

La grande parte della storia degli ebrei è un plagio, un palinsesto falso sovrapposto a quello di altri popoli e di altre stirpi.

Un esempio tra molti?
La parola Israele.
Israele, il "mito" fondante dei giudei, è un furto bello e buono.
IS-RA-EL è un vocabolo iniziatico di origine egizia, già nella parola emergono chiaramente le radici che danno il nome a due divinità del Nilo...

Il grande bagaglio conoscitivo e operativo portentoso che va comunemente sotto il nome di "Cabala Ebraica" ha un ' origine totalmente primordiale.
Ricostruito sulla base di scienze antichissime e certamente iperboree è divenuto, nelle mani dei giudei, uno strumento nefasto di perversione di conoscenze metafisiche tradizionali.

Per farla breve Guénon in questo campo
mostra delle gravi lacune.
Pur se continuo ad ammirare grandemente e ad approfondire il più possibile la sua opera, riconoscendo l' importante ruolo da lui svolto nell' ultimo nefasto secolo come testimone della Tradizione, tengo conto dei suoi limiti umani e delle sue possibili sviste.

Forse che in fondo anche Guénon sconto',
inconsapevolmente, la sua affiliazione alla Massoneria?

sacher.tonino
17-07-03, 08:10
Siamo alle solite.
Ma quando lo capirete che Guenon si convertì all'Islam, visse da Islamico e morì Islamico.
Nella sua vità ricevette diverse iniziazioni, ma la storia dei fatti conta.

I fatti sono che: Guenon si convertì all'Islam.

E' incredibile come i tardizionalisti, i neopagani ed i cattolici non vogliono psicologicamente accettare che il grande pensatore Francese si convertì all'Islam.
Guenon è stato oggetto di studio nella mia giovinezza, e rimane un bel ricordo dei miei primi amori intellettuali.
Da Guenon sono finito a leggere Popper, Marx e gli economisti sia socialisti che liberali.
I testi di Evola mi hanno insegnato il discernimento ed il coraggio intellettuale, che si è affinato con altri approfondimenti di occultisno.
Risultato: mi ritrovo ad essere un pragmaticorazionalista con vene di misticismomagicoprogressista.
Mi interesso al trend della borsa con lo stesso impegno con cui studio l'affinazione del mercurio.
Ma sono rimasto un impenitente empiricodeduttivo, lucidamente RAZIONALE e SCIENTISTA.
I fatti sono fatti.
Guenon si convertì all'Islam, visse e morì da Islamico
Questi sono i fatti.
Cordiali Saluti
sacher.tonino

Vahagn
17-07-03, 10:23
Originally posted by Paul Atreides
Posto qui questo scritto tratto da "Margini" che riflette in pieno alcuni motivi della mia lontananza da Guénon


René Guénon e l’Occidente


[...]

Giovanni Damiano in Margini n. 36 dell'ottobre 2001


Mah, ritengo che il pur pregevole Giovanni Damiano, quando si voglia mettere contro Guénon, intenda farsi male da solo, poiché qui non è questione di preparazione filosofica – indiscussa per Damiano – ma di prospettiva tradizionale, che è come dire metafisica, la quale non è certo un’elucubrazione del Guénon o di chi altri.
Non so se il gruppo che si considera erede del lascito guénoniano (la rivista “Studi Tradizionali”) abbia già risposto all’articolo. Due cosette però posso provare a dirle anch’io. Innanzitutto la premessa di metodo: esso si basa solo su "Introduzione generale allo studio delle dottrine indù". Ora, bisognerebbe perlomeno tenere presente che questo è il primo libro di Guénon, giovanile, e, a giustificazione di quanto dice, considerare vari altri scritti – a partire da “Oriente e Occidente”, “Melanges”, etc.
Poi, per quanto mi sembra di ricordare, Guénon non riconduce tutto a Ex Oriente Lux, ma alla Tradizione Iperborea. Nomina infatti in una favorevole recensione lo studio di Tilak in cui si svelano i calcoli astronomici che fanno risalire la composizione dei Veda ad un ambiente nordico, peri-artico (non Est, quindi, ma Nord). Che poi “l’Oriente” abbia saputo conservare meglio il lascito primordiale, mentre l’Occidente è stato il primo a manifestare i sintomi del distacco ed è ormai prossimo al “traguardo” negativo, questa è una constatazione, che nessun risentimento etnico o invidia potrà mitigare.
Se posso dire la mia, certa forse eccessiva durezza di Guénon contro la Grecia, deriva probabilmente anche dal fatto che Guénon scriveva in un’epoca in cui non si era ancora studiato abbastanza il problema della “dottrina non scritta di Platone”; e quanto al resto probabilmente non si peritò di andare ad approfondire più di tanto quanto vi fosse rimasto in realtà di metafisico nel mondo classico, avendo ormai maturato la convinzione che, per la rettifica dell’Occidente (e dopo avere constatato l’inanità delle ricerche in ambito massonico), non fosse possibile una riesumazione archeologica di questo o quel dettaglio, ma una infusione di “linfa” esoterica ancora viva che solo le vie orientali ancora possiedono.
In mancanza quindi di una confutazione di S.T. a Damiano, e visto che quest’ultimo porta a sostegno della propria critica “l’ottimo P. Di Vona, René Guénon contro l’Occidente, il Cerchio, Rimini 1998”, posterò la replica di S.T. proprio a Di Vona. Per la verità sono due le risposte a Di Vona; posterò la più recente.


(PS. Non ho ancora letto gli interventi degli altri forumisti.)

Vahagn
17-07-03, 10:37
Interessantissimo il problema della c.d. "conversione", che chiama in causa Mjollnir e che poi riprende Tonino.
Credo che tutti noi abbiamo del concetto di "conversione" una definizione che ci deriva direttamente dal mono-exoterismo (definizione mia: quello anti-esoterista, per intenderci).
In realtà, per conversione di deve intendere il passaggio da una forma sostanziale di miscredenza nei confronti della Trascendenza, all'impegno fattivo in una via (legittima) verso la relativizzazione della vita terrena e il "risveglio" alla vera vita. Questa era la teshuvà, il kerigma, etc., che tutti i popoli tradizionali hanno concepito (nelle loro èlites più consapevoli).
E non il passaggio da un exoterismo particolare ad un altro, come è venuta poi ad indicare la parola in seguito, con l'oblio dell'esoterismo.

Vahagn
17-07-03, 10:41
Credo che Guénon abbia scritto qualcosa di specifico proprio sulla "conversione", oltre al prolifico Schuon, e a Coomaraswamy (quest'ultimo tenne un carteggio con una suora cattolica, missionaria, in proposito).

sacher.tonino
17-07-03, 14:28
Mi dispiace, ma da buon pragmatico io rilancio:

Guenon divenne Islamico, visse da Islamico e morì Islamico.

Questa è storia, questi sono fatti.
Forma e sostanza sono concetti complementari.
La storia è storia, essa è una scienza, non è filosofia.
saluti
tonino

Paul Atreides
17-07-03, 14:36
Il problema, Vahagn, è che qui, molto semplicemente, sono state messe in luce le gravissime lacune che aveva il Guénon nella fattispecie sul mondo greco. Non si tratta di ''metafisica'' o ''filosofia'', solito refrain ripetuto mille volte, ma di conoscenza un minimo fondata.

Le corbellerie su Plotino o su Platone che mette in campo Guénon, mi fanno pensare che la sua conoscenza di questi autori non fosse nemmeno quella di un buon livello manualistico.

E allora, come dare credito alle sue osservazioni?

Otto Rahn
17-07-03, 15:24
Originally posted by sacher.tonino
Mi dispiace, ma da buon pragmatico io rilancio:

Guenon divenne Islamico, visse da Islamico e morì Islamico.

Questa è storia, questi sono fatti.
Forma e sostanza sono concetti complementari.
La storia è storia, essa è una scienza, non è filosofia.
saluti
tonino

Se vogliamo essere più precisi e scientifici allora diciamo che Guénon entrò in contatto e venne ammesso in una tarîqah, una cofraternita islamica, il che prevede un contatto diretto con l' esoterismo di quella religione, cosa a cui certo non accede un qualunque convertito.

E se, come dici, hai approfondito gli studi tradizionali sai che, se
il lato esteriore delle religioni differisce, a volte grandemente nella forma, il loro nucleo sapienziale non può che essere identico, provenendo esse tutte da un' unica radice primordiale.

Quindi dov' è il problema di un Guénon convertito all' Islam?

sacher.tonino
17-07-03, 15:37
No amico mio, non ci siamo proprio.
Se Io mi converto all'Islam, non sono Cattolico ma Islamico.
Guarda, a me quest'idea dell'origine unica delle religioni non mi convince più di tanto.
Perchè allora che senso avrebbe aderire a questa o quell'altra religione.
Premetto che sono un radicalateomagicoprogressista.Hai presente Giordano Bruno?
Anzi diciamocela tutta.
A me, questo grande polpettone dell'origine unica mi sà tanto di NewAge.
Vogliamo parlare di Grande Architetto? Allora parliamo di Massoneria e la Massoneria non è confessionale ma si trova AL DI SOPRA delle Religioni Confessionali.Essendo la Massoniria una VIA INIZIATICA.
Il ragionamento è molto complesso.
Guenon si convertì all'Islam.Questo è un fatto storico.
Saluti
Tonino

Mjollnir
17-07-03, 16:27
In Origine Postato da Vahagn
Credo che tutti noi abbiamo del concetto di "conversione" una definizione che ci deriva direttamente dal mono-exoterismo (definizione mia: quello anti-esoterista, per intenderci).
In realtà, per conversione di deve intendere il passaggio da una forma sostanziale di miscredenza nei confronti della Trascendenza, all'impegno fattivo in una via (legittima) verso la relativizzazione della vita terrena e il "risveglio" alla vera vita. Questa era la teshuvà, il kerigma, etc., che tutti i popoli tradizionali hanno concepito (nelle loro èlites più consapevoli).
E non il passaggio da un exoterismo particolare ad un altro, come è venuta poi ad indicare la parola in seguito, con l'oblio dell'esoterismo.

Beh ma allora si tratta di tutt'altra cosa, anche perchè la forma religiosa di partenza , presupponendone la validità, non è certo inabile a preparare una eventuale elevazione, quindi dalla miscredenza dovremmo già essere fuori.
Sto cercando di capire, secondo le categorie guenoniane, come si possa giustificare la "conversione" proprio nel secondo senso, visto che la teoria della conformità etnostorica delle forme exoteriche dovrebbe vietare non solo il proselitismo, ma anche la conversione "spontanea".

Otto Rahn
17-07-03, 16:28
Originally posted by sacher.tonino
No amico mio, non ci siamo proprio.
Se Io mi converto all'Islam, non sono Cattolico ma Islamico.
Guarda, a me quest'idea dell'origine unica delle religioni non mi convince più di tanto.
Perchè allora che senso avrebbe aderire a questa o quell'altra religione.
Premetto che sono un radicalateomagicoprogressista.Hai presente Giordano Bruno?
Anzi diciamocela tutta.
A me, questo grande polpettone dell'origine unica mi sà tanto di NewAge.
Vogliamo parlare di Grande Architetto? Allora parliamo di Massoneria e la Massoneria non è confessionale ma si trova AL DI SOPRA delle Religioni Confessionali.Essendo la Massoniria una VIA INIZIATICA.
Il ragionamento è molto complesso.
Guenon si convertì all'Islam.Questo è un fatto storico.
Saluti
Tonino

Che a te non convinca "quest' idea dell' origine unica delle religioni" è un fatto, che Guènon si unì all' Islam per le ragioni che ti ho esposto è un altro. E Guénon sosteneva proprio quella posizione, insieme a Schuon e ai più grandi tradizionalisti.

La Massoneria? Certo che è iniziatica o meglio lo fu,
e proprio per questo la sua filiazione è necessariamente precedente alla sua costituzione storica e fisica.

Vahagn
17-07-03, 17:55
Eccolo qua, rintracciato. NB. nel mio post ho citato erroneamente il concetto di kerigma, mentre volevo dire metanoia.
Da notare che l¡¯ambito di idee cui si rif¨¤ Gu¨¦non non ¨¨ la ¡°storia delle religioni¡± o qualche altra disciplina o prospettiva profana, ma la scienza iniziatica. E¡¯ solamente da questa prospettiva da cui parla il ¡°tradizionalismo¡±, ed ¨¨ solamente ignorandola che gli si possono muovere le accuse che di solito gli vengono mosse.
IL titolo dell¡¯opera, di cui lo scritto che segue costituisce il capitolo XII, ¨¨ infatti: ¡°Iniziazione e realizzazione spirituale¡± (ultima edizione italiana: Luni Editrice, 1997).

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CFR. SOTTO

Mjollnir
17-07-03, 17:55
In Origine Postato da sacher.tonino
E' incredibile come i tardizionalisti, i neopagani ed i cattolici non vogliono psicologicamente accettare che il grande pensatore Francese si convertì all'Islam.

Io non ho nessun problema, solo che poi Guenon stesso ci viene a dire che la scelta religiosa è indifferente...



In Origine Postato da sacher.tonino
Da Guenon sono finito a leggere Popper, Marx e gli economisti sia socialisti che liberali.

Strano percorso, caro sacher...

Senatore
17-07-03, 18:04
Originally posted by sacher.tonino
No amico mio, non ci siamo proprio.
Se Io mi converto all'Islam, non sono Cattolico ma Islamico.
Guarda, a me quest'idea dell'origine unica delle religioni non mi convince più di tanto.
Perchè allora che senso avrebbe aderire a questa o quell'altra religione.
Premetto che sono un radicalateomagicoprogressista.Hai presente Giordano Bruno?
Anzi diciamocela tutta.
A me, questo grande polpettone dell'origine unica mi sà tanto di NewAge.
Vogliamo parlare di Grande Architetto? Allora parliamo di Massoneria e la Massoneria non è confessionale ma si trova AL DI SOPRA delle Religioni Confessionali.Essendo la Massoniria una VIA INIZIATICA.
Il ragionamento è molto complesso.
Guenon si convertì all'Islam.Questo è un fatto storico.
Saluti
Tonino

Posso capire il tuo attaccamento ai fatti, del resto ben noti.
Tuttavia, se posso permettermi, vorrei capire come tu intendi che il ricollegamento di Guenon all'Islam sia decisivo in questa discussione, che riguarda le considerazioni fatte dall'autore di Blois sulla civiltà greca.
In che senso, cioè, "siamo alle solite"?
Nessuno mette in dubbio la conversione all'Islam di Guenon, e mi pare che questa sia una delle ragioni per cui in questo forum egli è spesso criticato. Anzi il punto1 di Mjollnir credo si riferisse proprio a ciò. D'altro canto è certo che Guenon intese la sua conversione come il collegamento ad un ramo vivo della Tradizione e non come un voltafaccia, ed anche questo è un fatto di cui tener conto per non dare una prospettiva parziale della realtà. Che poi per te, così mi sembra di aver capito, non sia possibile conciliare l'appartenenza ad una particolare religione con la teoria dell'unità della Tradizione, non è un fatto ma un giudizio, che diverge totalmente da quello del Guenon stesso.
Un saluto

Vahagn
17-07-03, 18:14
SULLE “CONVERSIONI”

La parola “conversione” può venire intesa in due sensi totalmente diversi: il suo significato originario è quello che la fa corrispondere al termine greco metanoia, termine che esprime propriamente un cambiamento di nous, o, com’è stato detto da A.K.Coomaraswamy, una “metamorfosi intellettuale”. Tale trasformazione interiore, come del resto è indicato dall’etimologia stessa della parola latina (da cum-vertere), implica sia un “raduno”, o una concentrazione delle potenzialità dell’essere, sia una sorta di “ribaltamento” in virtù del quale quest’essere passa “dal pensiero umano alla comprensione divina”. La metanoia, o “conversione”, è perciò il passaggio cosciente dalla mente intesa nel suo significato originario e individuale, e concepita come rivolta verso le cose sensibili, a ciò che di quest’ultima è la trasposizione in senso superiore, nel quale la mente si fa uguale all’hegemon di Platone o all’antaryami della tradizione indù. E’ evidente come questa sia una fase necessaria nel processo globale dello sviluppo spirituale; si tratta perciò, è il caso di insistere su questo punto, di un fatto di natura puramente interiore, il quale non ha assolutamente nulla in comune con qualsivoglia cambiamento esteriore e contingente, che appartenga cioè semplicemente alla sfera “morale”, come troppo spesso si tende a credere oggi (in questo senso si arriva addirittura a tradurre metanoia con “pentimento”), o anche alla sfera religiosa e più genericamente exoterica (1).
Invece, il significato comune della parola “conversione”, quello che essa ha finito col ricevere invariabilmente nel linguaggio corrente, significato che sarà anche quello in cui la assumeremo ora dopo questa spiegazione indispensabile a evitare ogni confusione, tale secondo significato, dicevamo, indica solamente il passaggio esteriore da una forma tradizionale a un’altra, quali che siano le ragioni dalle quali abbia potuto essere determinato, ragioni nella maggior parte dei casi del tutto contingenti, a volte addirittura prive di ogni reale importanza e in ogni caso senza rapporti con la pura spiritualità. Quantunque si possa indubbiamente verificare talvolta il caso di conversioni più o meno spontanee, almeno in apparenza, queste ultime sono, nelle circostanze più abituali, una conseguenza del “proselitismo” religioso, ed è ovvio che tutte le obiezioni formulabili contro il valore di quest’ultimo si applicano anche ai suoi risultati; tutto ben sommato il “convertitore” e il “convertito” danno prova di una uguale incomprensione del senso profondo delle proprie tradizioni, e i loro rispettivi atteggiamenti lasciano vedere persin troppo chiaramente che il loro orizzonte intellettuale si circoscrive in ugual modo nella prospettiva dell’exoterismo più esclusivo (2). Ma senza neppure tener conto di simile ragione di principio, dobbiamo dire che anche per altri motivi, in generale, noi non apprezziamo eccessivamente i “convertiti”, e non perché sia da porre in dubbio a priori la loro sincerità (non vogliamo prendere in considerazione, qui, il caso – di fatto invece troppo frequente – di coloro che sono mossi solo da qualche basso interesse materiale o sentimentale, e che dovrebbero piuttosto esser chiamati “pseudo-convertiti”), ma innanzi tutto perché fanno mostra – almeno – di un’instabilità mentale piuttosto deprecabile, e inoltre perché hanno quasi sempre una spiccata propensione a manifestare il “settarismo” più angusto e più esagerato, sia a causa del loro proprio temperamento, che spinge taluni di essi a passare da un estremo all’altro con facilità sconcertante, sia, molto semplicemente, perché vogliono allontanare da sé i sospetti di cui credono di essere oggetto nel loro nuovo ambiente. In definitiva si può dire che i “convertiti” sono poco interessanti, per lo meno agli occhi di coloro che guardino alle cose al di fuori di qualsiasi preconcetta posizione di esclusivismo exoterico, e che, per altri versi, non abbiano gusto per lo studio di certe “curiosità” psicologiche; e, per quel che ci concerne, certamente noi preferiamo non vederli troppo da vicino.
Detto questo con molta chiarezza, ci tocca segnalare (ed è a questo che volevamo arrivare) che si parla talvolta di “conversioni” molto fuori luogo, e per casi ai quali tale parola, intesa nel senso da noi precisato, come di fatto accade sempre, non può adattarsi in alcun modo. Intendiamo parlare di esseri che, per ragioni di ordine esoterico o iniziatici, sono indotti ad adottare una forma tradizionale diversa da quella a cui potevano essere ricollegati in virtù della loro origine, vuoi perché questa non offriva loro nessuna possibilità di questo tipo, vuoi anche soltanto perché l’altra gli fornisce, anche sul piano exoterico, una base più adatta alla loro natura, e di conseguenza più favorevole al loro lavoro spirituale. E’ questo, per chiunque si ponga in una prospettiva esoterica, un diritto assoluto contro il quale tutte le argomentazioni degli exoteristi nulla possono, giacchè si tratta di un caso che proprio per definizione è totalmente fuori della loro competenza. A differenza di quel che accade in occasione di una “conversione”, una condizione di questo genere non implica che sia attribuita qualche superiorità di natura a una forma tradizionale rispetto a un’altra, ma unicamente che sia individuata quella che potrebbe chiamarsi una ragione di convenienza spirituale, che è cosa ben diversa da una semplice “preferenza” individuale e nei confronti della quale ogni considerazione esteriore è perfettamente senza significato. E’ sottinteso però che colui che può legittimamente agire in questo modo deve, quando sia realmente capace di porsi dal punto di vista esoterico – come da noi presupposto -, avere coscienza, per lo meno grazie a una conoscenza teorica, se non ancora effettivamente realizzata, dell’unità essenziale di tutte le tradizioni; e già questa sola condizione è evidentemente sufficiente acciocché, per quanto lo riguarda, una “conversione” sia cosa totalmente priva di senso e veramente inconcepibile. Se si chiedesse, ora, perché simili casi esistano, risponderemmo che ciò è dovuto soprattutto alle condizioni dell’epoca attuale, epoca in cui, da un lato certe tradizioni sono di fatto diventate incomplete “dall’alto”, vale a dire per quel che riguarda il loro aspetto esoterico, che i loro rappresentanti “ufficiali” giungono addirittura a negare talvolta più o meno formalmente, e dall’altro troppo spesso accade che un essere nasca in un ambiente che non è in armonia con la sua propria natura, e di conseguenza non è quello che realmente si adatta a lui e può permettere alle sue possibilità di svilupparsi in modo normale, soprattutto nella sfera intellettuale e spirituale; sicuramente è rincrescevole sotto più di un aspetto che le cose stiano in questo modo, ma si tratta di inconvenienti inevitabili nella presente fase del Kali-yuga.
Oltre al caso di cui abbiamo or ora trattato, di esseri, cioè, che si “impiantino” in una forma tradizionale perché è quella che mette a loro disposizione i mezzi più appropriati per il lavoro interiore che ancora devono effettuare, ne rimane un altro del quale dobbiamo dire qualche parola: esso è quello che riguarda uomini che, giunti a un alto grado di sviluppo spirituale, possono adottare esteriormente questa o quella forma tradizionale secondo le circostanze, per ragioni di cui sono i soli giudici; e ciò perché tali ragioni sono generalmente fra quelle che sfuggono per necessità alla comprensione degli uomini comuni. Costoro sono, in grazia dello stato spirituale da loro raggiunto, di là da tutte le forme, di modo che per essi non si tratta più che di apparenze esteriori che non possono assolutamente influenzare o modificare la loro realtà interiore; non soltanto essi hanno capito, come quelli di cui dicevamo poco fa, ma realizzato pienamente, nel suo stesso principio, l’unità fondamentale di tutte le tradizioni. Ancor più assurdo sarebbe, parlando di loro, dire che si tratta di “conversioni”, e tuttavia ciò non impedisce a qualcuno – come ci è accaduto di vedere – di scrivere seriamente che Shri Ramakrishna, ad esempio, si era “convertito” all’Islàm in un certo periodo della sua vita, e al Cristianesimo in un altro. Di fatto si trattò soltanto, per Shri Ramakrishna, di “verificare” in certo qual modo, per esperienza diretta, la validità delle differenti “vie” rappresentate da queste tradizioni, alle quali si era temporaneamente integrato; com’è possibile, in un fatto di tal genere, individuare qualcosa che anche solo lontanamente possa far pensare a una “conversione” di qualche tipo?
In linea del tutto generale possiamo dire che chiunque abbia consapevolezza dell’unità delle tradizioni – e questo sia attraverso una comprensione semplicemente teorica, o, a maggior ragione, in virtù di una realizzazione effettiva – è con ciò stesso necessariamente “inconvertibile” a checchessia; e del resto egli è anche il solo a esserlo veramente, perché gli altri possono sempre, sotto questo riguardo, essere più o meno in balìa delle circostanze contingenti. Mai troppa sarà l’energia con la quale si potrà denunciare l’equivoco che spinge certa gente a parlare di “conversioni” nei casi in cui di esse non vi è traccia, e questo perché è importante che non si lasci spazio alle troppe sciocchezze di questo tipo che vengono diffuse nel mondo profano, stupidità dietro le quali non è difficile indovinare, molto spesso, intenzioni chiaramente ostili nei confronti di tutto ciò che ha attinenza con l’esoterismo.

(1) Su questo argomento, cfr. A.K. Coomaraswamy: On Being in One’s Right Mind (Review of Religion, numero di novembre, 1942).
(2) In fondo l’unica conversione realmente legittima, in linea di principio, è quella che coinvolge l’adesione a una tradizione, qualunque essa sia, da parte di qualcuno che in precedenza fosse privo di ogni legame tradizionale.

sacher.tonino
17-07-03, 18:47
Caro Senatore
Il Tuo ragionamento fila perfetto e preciso.
Per me 2+2 fà 4.
Ora rischio di essere ripetitivo:
Guenon si convertì all'Islam, quindi Guenon era un Islamico, ma siccome credeva nell'unicità delle tradizioni egli intese tale conversione in un ottica perfettamente tradizionale.
Perfetto.Credo di aver capito.
Allora diciamo che risento della mia base culturale empirico scientifica che non mi permette di intuire alcune sfumature dal punta di vista tradizionale.
Ma potrei dire che se per me l'Universo è Dio, e l'inconoscibile non è conoscibile, allora riesco ad essere comprensivo.
E' il limite ed il pregio di noi matematici del pensiero.
Solleviamo lo sguardo al cielo e pensiamo a Newton.
Per Mjollnir: E' vero, sono un pragmatico con lo sguardo rivolto al cielo ed i piedi ancorati al terreno grazie alla gravitazione universale
Saluti
tonino



Newton, aiutami a comprendere la grandezza dell'Universo e le complessità di Esso.

http://www.pbs.org/faithandreason/media/newton.lg.jpg

Otto Rahn
17-07-03, 20:10
Originally posted by sacher.tonino
E' vero, sono un pragmatico con lo sguardo rivolto al cielo ed i piedi ancorati al terreno grazie alla gravitazione universale

Ma quello che forse ancora Newton non conosceva
era il modo di annullare la gravità, le curvature a spazio zero e la scienza dell' implosione...
:cool:

Andate avanti comunque, non divaghiamo!

Vahagn
17-07-03, 22:55
E per andare avanti, ecco qua, come promesso, il secondo dei due articoli della Rivista di Studi Tradizionali sulle critiche di Di Vona al Guénon, critiche espresse in un libro citato e prevedibilmente usato da Damiano per il suo articolo postato da Paul Atreides.
Anche qui, buona lettura.

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Pietro Nutrizio

Osservazioni sul libro di Piero Di Vona: “René Guénon contro l’Occidente”

Gli uomini che per la propria natura partecipano dello spirito della civiltà occidentale moderna si sentono toccati nel vivo quando l’opera di René Guénon pone in evidenza il disordine e il rovesciamento dei valori che caratterizzano questa, che si può a buon diritto dire un simulacro di civiltà. Avendo Guénon meso in luce che il caos crescente (ormai esasperato) a cui sono ridotti i modi di pensare e di vivere che hanno corso nel mondo attuale ha la sua causa nella mancanza di un ricollegamento con i principi metafisici, alcuni di essi, che pensano di essere più preparati di altri nella materia, cercano di tanto in tanto di opporsi a una simile diagnosi col tentare di provare che di fatto essa è sbagliata, perché in realtà la metafisica, secondo loro, in Occidente non è mai venuta meno.
Situati come sono, fisicamente e mentalmente, in un’area da cui la tradizione è stata pressoché totalmente bandita, essi non possono far altro, però, che attenersi, nella loro replica, ai modi di pensiero esteriori, o “profani”, che vigono in essa, ai quali sono esclusivamente abituati, e ne fanno perciò una questione di erudizione e di “dialettica”, quasi che René Guénon non avesse costantemente opposto che la metafisica a cui egli intende riferirsi, quella che ha le sue fonti nella tradizione, la sola che possa legittimamente sopportare tale nome, sovrasta per il suo fine e per il suo strumento, se così si può chiamare, il pensiero meramente individuale a cui erudizione e dialettica si riducono, anche se è in effetti attraverso le facoltà mentali che l’uomo può prendere inizialmente coscienza di quel che manca al mondo moderno per essere un mondo “normale” (operazione di cui essi sono evidentemente incapaci).
La differenza profonda che separa il punto di vista di Guénon sullo stato dell’intellettualità in Occidente – stato anomalo e mostruoso rispetto ai fondamenti delle civiltà tradizionali reggentisi sui principi metafisici – da quello di coloro che, oggi ancora, a dispetto di ogni constatazione razionale e sensibile, si accaniscono ad affermare il “primato” del primo sulle seconde, può essere delineato da un confronto tra ciò che René Guénon espone nella sua Crisi del Mondo Moderno e ciò che il filosofo Piero Di Vona (già autore di un Evola, Guénon, De Giorgio da noi recensito a suo tempo) si affanna a sostenere con piglio didascalico in un suo recente libro dal titolo più scoperto di René Guénon contro l’Occidente.
Dallo studio di Guénon (cap. VII) riprendiamo qualche brano che già è servito, in questa “Rivista”, a chiarire recentemente la posizione di questo autore sul Cristianesimo e sulle sue condizioni attuali:
“Si dice che l’Occidente moderno è cristiano, ma è un errore: lo spirito moderno è anticristiano, in quanto è essenzialmente antireligioso; ed esso è antireligioso perché, più genericamente ancora, è antitradizionale; è questo che costituisce il suo carattere proprio, quel che lo fa essere ciò che è. […] Dove sono, nello stesso Cattolicesimo, gli uomini che conoscano il significato profondo della dottrina che professano esteriormente, che non si accontentino di “credere” in modo più o meno superficiale, e più per sentimento che per intelligenza, ma “sappiano” realmente, la verità della tradizione religiosa che ritengono essere la loro? Vorremmo avere la prova che qualcuno almeno ne esista, poiché per l’Occidente questa sarebbe la più grande e forse la sola speranza di salvezza; ma dobbiamo confessare che, finora, non ne abbiamo ancora incontrato nessuno; forse che ci sia da pensare che, come certi saggi d’Oriente, essi si tengono nascosti in qualche rifugio quasi inaccessibile, o bisogna rinunciare definitivamente a quest’ultima speranza? L’Occidente è stato cristiano nel medioevo, ma ora non lo è più; se si dicesse che può ancora ridiventarlo, nessuno più di noi si augurerebbe che così fosse, e nessuno più di noi si augurerebbe che ciò accada in un giorno più vicino di quanto non faccia pensare tutto quel che vediamo intorno a noi; ma non ci si illuda: quel giorno il mondo moderno avrà finito di esistere”.
Il Di Vona a questo drammatico appello (che risale a diverse decine di anni fa) oppone che i principi metafisici ai quali in fondo si riferisce qui Guénon, la cui potenza è tale che quando siano assimilati, quand’anche fosse da un’infima minoranza quantitativa di uomini, possono costituire il fondamento dell’ordine normale di qualsiasi ambiente nella manifestazione – giacché sono quelli su cui si regge la produzione, l’ordinamento e il mantenimento del mondo – lungi dall’essere scomparsi per l’Occidente, sono invece riposti in antichi volumi conservati in polverose biblioteche del … Sud America, luoghi che (fatta salva la dislocazione geografica), René Guénon per sua stessa ammissione non aveva nessuna propensione a frequentare.
Questo significa soltanto, a nostro modo di vedere, che quando il Di Vona e Guénon parlano di cose che, guardate dall’esterno e con poco acume, sembrano essere le stesse, essendo essi obbligati per esprimerle a servirsi più o meno delle stesse parole, in realtà questo è tutto meno che vero. Il Di Vona dirà espressamente che egli ciò non lo accetta perché non lo intende (ed è evidentemente schiavo di quello che possiamo chiamare un “nominalismo” incosciente) e a questo non si può trovare nessun rimedio: sono due sfere diverse, e se egliu non riesce a situarsi in quella in cui Guénon (che si poneva ben al di là di ogni attaccamento geografico) ha trattato nei suoi libri, per ciò che era possibile, non è affatto vero che quest’ultimo non capisse quanto altri che non erano il Di Vona già dicevano ai suoi tempi nella stessa chiave.
Del resto, un sintomo rivelatore dello spirito che caratterizza il libro del Di Vona è che in esso non si trovi nessun riferimento alla tradizione: questo è un chiaro segno che coloro che sostengono questi tentativi di riabilitazione degli pseudo-fondamenti della civiltà occidentale moderna (la cui presenza si avverte fra le righe), quand’anche facessero parte della gerarchia exoterica della forma tradizionale che ancora vige in Occidente, non hanno alcuna idea corretta di cosa sia la religione nel suo vero senso; e come potrebbero, visto che l’ambiente al quale appartengono è privo, per sua conclamata volontà, della concezione stessa di essoterismo, dal quale solo potrebbe derivar loro, a qualche livello, la coscienza della verità nei suoi aspetti più profondi ed esplicativi e di conseguenza più efficaci per porre un argine a ogni sorta di disordine, interno ed esterno?
In particolare, questa assenza dell’idea di tradizione, nel Di Vona, può rendere ragione della sua errata affermazione che René Guénon era infeudato alle esposizioni di Matgioi [alias De Pouvourville. NdV.]; egli non era affatto infeudato a nessun essere umano in quanto tale, o alle sue esposizioni individuali: egli era ricollegato iniziaticamente al taoismo, e questa, per quanto sfugga all’apprezzamento intellettuale del Di Vona (che di ciò si fa un vanto) è tutta un’altra cosa, così com’era tutta un’altra cosa di quella che lui pensa, che fosse ricollegato all’Induismo e al Tasawwuf[l’iniziazione islamica. NdV.]. Ma il Di Vona, ripetiamo, queste cose non le capisce, né vuole capirle, e afferma, senza darsi ura di approfondirle personalmente la metafisica integrale contenuta nelle dottrine orientali, che l’Ontologia occidentale (è lo scopo del libro) è superiore al Non-Essere (che sembra considerare una semplice “astrazione”), ovvero a ciò che, essendo di là dall’Essere puro, prima determinazione, lo trascende e comprende, confondendosi con l’Infinito.
Per arrivare a chiudere a suo favore il dibattito (un dibattito non particolarmente equilibrato, mancando il secondo termine di paragone) il Di Vona ricorre, come già ha fatto il filosofo di cui si è occupata questa “Rivista” nel numero scorso [si veda il cap. 16 di Nutrizio et alii, 1999. Trattasi di Dario Sacchi di “Studi Cattolici”. Ndv.], recensendo il tentativo di individuare in René Guénon i “fondamenti metafisici del neo-gnosticismo”, a un altro tipo di “annessione”, apparentemente meno diffamatoria, ma del pari declassante, e proclama magnanimamente che negli ultimi tempi René Guénon è stato finalmente assunto “d’ufficio” in quello che egli ritiene essere l’Olimpo dei filosofi; ma questo artificio potrà avere efficacia solo per tranquillizzare la sua coscienza, o quella di altri filosofi come lui (o di chi a costoro si affida), persone che potranno di conseguenza “criticare” a man salva quella che chiamano la metafisica di Guénon: per il lettore non contaminato dal morbo del verbalismo, al quale stia a cuore più lo stato della mentalità dell’Occidente che non un vano gioco di prestigio sui termini, tra l’opera di René Guénon e questi commentari su di essa, dall’impeciata rigidità, esisterà sempre un profondo abisso, che nessuna contorta abilità “dialettica” riuscirà mai a colmare.
In conclusione: a partire dal titolo (nel quale, per chi sappia vedere, è contenuta del resto la massima quantità di errore possibile e la traccia più patente della parzialità di approccio all’argomento), dal punto di vista della verità o dell’intellettualità pura, un totale spreco di inchiostro, se non per coloro che già in partenza siano convinti della stessa posizione dell’autore, e saranno contenti di trovarla confermata da “uno più competente di loro”. Illazione, quest’ultima, del resto completamente gratuita, come attesta l’interpretazione del Di Vona, totalmente alla rovescia, degli assunti di Autorità spirituale e potere temporale[ultima edizione italiana: Luni Editrice. NdV.], da questa “Rivista” fatta rilevare nel numero scorso con riferimento all’articolo “Un Grande iniziato: René Guénon” della rivista “Sodalitium” [si veda il capitolo 15 di Nutrizio et alii, 1999. NdV.]
Non per annettere una soverchia importanza a un semplice particolare grafico contenuto nella copertina del libro, ma la riproduzione della miniatura orientale che fa su di essa bella mostra di sé è posizionata sossopra, cosicché la scritta araba che vi figura è rovesciata: questo dettaglio non può anch’esso essere interpretato come un segno del tipo di “competenza” di cui è intriso tutto il libro?

Articolo comparso sulla “Rivista di Studi Tradizionali”, e poi ristampato in: P. Nutrizio e altri, “René Guénon e l’Occidente”, Luni Editrice, Milano – Trento, 1999, pp. 439-443.

Mjollnir
17-07-03, 23:05
Sempre a proposito del "filosofo" di Blois, lo scorso fine settimana, avendo del tempo a disposizione, ne ho letto
Precisazioni necessarie, Autorità spirituale e potere temporale e La metafisica orientale...

Beh, voglio esternare una sensazione ( che certo non pretende di avere carattere di scientificità) globale su questo autore, e cioè che spesso è costretto ad annacquare od omettere del tutto degli elementi "centrifughi" che non si accordano con la sua visione, provocando l'impressione di una certa "genericità" o peggio di ignoranza nel merito. E, connessa a questo, l'impressione che un pò tutto il suo discorso si fondi su circoli viziosi , ossia che presupponga ciò che invede dovrebbe dimostrare. Quante volte, ad es, si trovano sbandierate concordanze ed analogie fra tradizioni e figure differenti e si passa subito a decretarne l'equivalenza e continuità, senza l'esame dei contesti, ecc... Insomma, mutatis mutandis, una sorta di hegelismo del pensiero. :rolleyes:

Vahagn
17-07-03, 23:28
Beh, Mjollnir, anche al di fuori degli ambienti perennialisti ci si è accorti di queste analogie tra i simboli che ad alcuni appaiono un po' forzate, formulando il concetto di Symbolenwandlung (concetto che cmq non spiega quelle assimilazioni tra i simboli di ambiti culturali diversi come invece fa la constatazione dell'Unita primordiale della tradizione). Tu citavi altrove il Giano rammaricandoti che Guénon lo assimilasse alle doppie chiavi. Ma ce n'è un'infinità d'altri. Che c'entrano tra loro apparentemente simboli come il vajra di Indra, il Mjoellnir (:) ) di Thor, il fulmen di Giove, la spada degli eroi, etc.? Eppure sono tutti la stessa cosa (lo "strumento" per inchiodare i demoni e le forze elementali della natura). Fino ad azzardare assimilazioni come Yggdrasil, Irminsul, e la Croce di Cristo, ..., tutti ligni vitae che collegano l'"uomo vero" (l'uomo che ha raggiunto il centro) con il Supremo tramite l'asse verticale che trapassa i "mondi" (gli stati dell'essere).

Senatore
17-07-03, 23:57
Originally posted by sacher.tonino
Caro Senatore
Il Tuo ragionamento fila perfetto e preciso.
Per me 2+2 fà 4.
Ora rischio di essere ripetitivo:
Guenon si convertì all'Islam, quindi Guenon era un Islamico, ma siccome credeva nell'unicità delle tradizioni egli intese tale conversione in un ottica perfettamente tradizionale.
Perfetto.Credo di aver capito.
Allora diciamo che risento della mia base culturale empirico scientifica che non mi permette di intuire alcune sfumature dal punta di vista tradizionale.
Ma potrei dire che se per me l'Universo è Dio, e l'inconoscibile non è conoscibile, allora riesco ad essere comprensivo.
E' il limite ed il pregio di noi matematici del pensiero.
Solleviamo lo sguardo al cielo e pensiamo a Newton.
Per Mjollnir: E' vero, sono un pragmatico con lo sguardo rivolto al cielo ed i piedi ancorati al terreno grazie alla gravitazione universale
Saluti
tonino



Newton, aiutami a comprendere la grandezza dell'Universo e le complessità di Esso.

http://www.pbs.org/faithandreason/media/newton.lg.jpg

Caro sacher.tonino,
comprendere la grandezza dell'Universo e la sua complessità sarebbe un'ottima propedeutica, e Newton è in ciò una magnifica guida...
Sono un pò lontano dall'argomento (anche se dopo il liceo avrei voluto studiare fisica), ma se non sbaglio è un dato che poche discipline suscitano nei loro cultori l'amore per il divino come la fisica e la matematica. Di certo non la storia delle religioni.
Un saluto

Paul Atreides
18-07-03, 02:51
Lascio stare la non-recensione postata da Vahagn, che spero non sia indicativa del livello dei guénoniani italiani, altrimenti dovrei farmi un'idea ancor più triste di tale ambiente.

Il punto, mi ripeto, è la crassa ignoranza dei più elementari princìpi della filosofia greca, cosa che mina alla base qualsiasi cosa che Guénon abbia potuto dire al riguardo.

Inutile, poi, riportare i giudizi guénoniani sui Romani, assolutamente indecenti, per presunzione unita a scarsissima conoscenza.

Infine, visto che la metafisica pura ''non è né orientale né occidentale: è universale'' [come si legge ne ''La metafisica orientale'', Luni, 1998, p. 7], vorrei sapere quale sarebbe per Guénon la forma con la quale tale metafisica pura si è mostrata in Occidente.

Vahagn
18-07-03, 20:48
Scusa Paul, ma una domanda simile implica il non aver letto granché di Guénon, il che non è una colpa; oppure l’averlo letto – come parrebbe nel caso presente – solo nei punti utili a fare le plulci per denigrarne l’opera complessiva.
Non solo Guénon, ma anche tutti gli altri tradizionalisti mi sembra concordino sul fatto che l’insegnamento della metafisica pura (non quindi l’aspetto morale-teologico, ma l’esoterismo) in Occidente è stato portato avanti dalla Massoneria, dai Templari, dai Rosacroce, e da gruppi affini e intermedi (tra la cavalleria e l’intellettualità) come i Fedeli d’Amore (cui furono affiliati praticamente tutti i padri della letteratura italiana). Almeno fino alle tristi vicende che tra fine Medioevo e Illuminismo hanno posto fine a tutto.
Il tramite occidentale antico sono stati proprio i “Misteri antichi”, come afferma Guénon stesso p.es. nell’articolo scritto per “Ignis”: “Joseph De Maistre e la Massoneria”. E di Misteri classici in pieno possesso della pienezza iniziatica Guénon parla in almeno altre quattro opere; tra cui “Melanges” (“Conosci te stesso”), dove non parla certo male, in termini di esoterismo, dei pitagorici, di Platone, del culto di Apollo.

Paul Atreides
18-07-03, 21:41
A me interessa l'antichità classica e indoeuropea, prima dell'avvento del cristianesimo.

Ora, se Guénon [di cui ho letto parecchio ma non ''Melanges''] ritiene che sia in Platone che in Pitagora siano rinvenibili dottrine metafisiche, perché mai, quando parla dell'Occidente [riferito sempre e solo al mondo pre-cristiano] ad es. nella ''Introduzione generale'' o in ''Oriente e Occidente'' non afferma mai che il platonismo o il pitagorismo sono una dottrina metafisica pura [al contrario, nell'Introduzione scrive boiate già messe in luce dallo scritto di Damiano]? Perché ne ''L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta'' o negli ''Stati molteplici dell'essere'' non si trova alcun accenno al ''valore'' metafisico di tali dottrine?

Insomma, a me pare che cercare qualche nota positiva in qualche passo o in un articolo sia un modo per tentare di ''mettere una pezza''.

Inoltre a me non interessa ''denigrare'' l'opera complessiva di Guénon.

Ritengo, anzi, che opere come ''La crisi del mondo moderno'' o ''Il regno della quantità e i segni dei tempi'' siano notevoli. Altrettanto interessanti sono opere come ''Gli stati molteplici dell'essere'' e ''L'uomo e il suo divenire...''.

Quello che trovo un pò ridicolo è la presunzione di parlare di ''metafisica'', servendosi del vocabolario [terminologico, concettuale e metodologico] della filosofia. Inoltre, l'idea della tradizione unica primordiale mi ha sempre lasciato perplesso. E, soprattutto, trovo assolutamente inaccettabile il giudizio complessivo di Guénon sul mondo greco-romano.

Per finire, i percorsi dei guénoniani [finiti per la maggior parte tra massoni, islamici e cristiani] è la conferma empirica di come Guénon abbia giudicato l'Occidente classico.

Otto Rahn
18-07-03, 23:20
Originally posted by Paul Atreides
Inoltre, l'idea della tradizione unica primordiale mi ha sempre lasciato perplesso.

A essere onesti questa non è unicamente una posizione guénoniana.
Non capisco le tue perplessità.

Vahagn
19-07-03, 00:52
Originally posted by Paul Atreides
A me interessa l'antichità classica e indoeuropea, prima dell'avvento del cristianesimo.

Ora, se Guénon [di cui ho letto parecchio ma non ''Melanges''] ritiene che sia in Platone che in Pitagora siano rinvenibili dottrine metafisiche, perché mai, quando parla dell'Occidente [riferito sempre e solo al mondo pre-cristiano] ad es. nella ''Introduzione generale'' o in ''Oriente e Occidente'' non afferma mai che il platonismo o il pitagorismo sono una dottrina metafisica pura [al contrario, nell'Introduzione scrive boiate già messe in luce dallo scritto di Damiano]? Perché ne ''L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta'' o negli ''Stati molteplici dell'essere'' non si trova alcun accenno al ''valore'' metafisico di tali dottrine?

Insomma, a me pare che cercare qualche nota positiva in qualche passo o in un articolo sia un modo per tentare di ''mettere una pezza''.

Inoltre a me non interessa ''denigrare'' l'opera complessiva di Guénon.

Ritengo, anzi, che opere come ''La crisi del mondo moderno'' o ''Il regno della quantità e i segni dei tempi'' siano notevoli. Altrettanto interessanti sono opere come ''Gli stati molteplici dell'essere'' e ''L'uomo e il suo divenire...''.

Quello che trovo un pò ridicolo è la presunzione di parlare di ''metafisica'', servendosi del vocabolario [terminologico, concettuale e metodologico] della filosofia. Inoltre, l'idea della tradizione unica primordiale mi ha sempre lasciato perplesso. E, soprattutto, trovo assolutamente inaccettabile il giudizio complessivo di Guénon sul mondo greco-romano.

Per finire, i percorsi dei guénoniani [finiti per la maggior parte tra massoni, islamici e cristiani] è la conferma empirica di come Guénon abbia giudicato l'Occidente classico.


Bene, allora parliamo proprio di "La crisi del mondo moderno", uno degli altri quattro testi in cui (a mia conoscenza) Guénon parla dell'iniziazione classica:
a pagina 29 (ss.) vi è la spiegazione delle origini della "degenerazione" (intellettuale) Occidentale:
"[...] Quale ne sia pur stata la causa, nel VI secolo prima dell'èra cristiana, si produssero dei mutamenti considerevoli i quasi tutti i popoli. Questi mutamenti presentano caratteri diversi a seconda dei paesi. [...]" eccetera eccetera lo puoi leggere anche tu,
dove poi passa a descrivere i mutamenti a seconda degli ambiti tradizionali, Cina, Persia, India, Ebrei, ed infine, Grecia, da dove riprendo:
"Anche per essa [= la Grecia] il VI secolo fu il punto di partenza della cosiddetta civiltà 'classica' [...]", dove descrive brevemente la scissione con la comprensione metafisica più pura,
"TUTTAVIA bisogna rilevare che la scissione allora non fu così radicale come nel secondo caso, giacchè, almeno in parte, si ebbe una riadattazione effettuata nell'ordine tradizionale, soprattutto nel dominio dei 'Misteri'; al che va ricondotto il Pitagorismo, il quale fu essenzialmente una restaurazione in forma nuova del precedente orfismo e che, per i suoi legami evidenti col culto delfico dell'Apollo iperboreo, può perfino venir considerato come una filiazione continua e regolare di una delle più antiche tradizioni dell'umanità.[...]" eccetera,
continua col descrivere la natura della degenerazione, di carattere individualistico e filosofico-umano. Salvo alla pagina successiva riprendere:
"E' così che prese nascita quel che noi possiamo chiamare la filosofia 'profana', cioè una pretesa sapienza puramente umana, quindi d'ordine semplicemente razionale, prendente il posto della vera sapienza tradizionale, superrazionale e 'non-umana'. TUTTAVIA qualcosa di quest'ultima sussistette ancora durante tutta l'antichità. A provarlo sta innanzitutto il persistere dei 'Misteri', il carattere essenzialmente 'iniziatico' dei quali non può essere contestato, ed altresì il fatto, che l'insegnamento degli stessi filosofi il più delle volte presentò simultaneamente un lato 'exoterico', cioè esteriore, e un lato 'esoterico', cioè interno; quest'ultimo permetteva di riconnettersi ad un punto di vista superiore, che peraltro ebbe a manifestarsi qualche secolo dopo in modo assai netto, benché, forse, sotto certi aspetti, incompleto, con gli Alessandrini [...]" eccetera eccetera.
Può bastare?

Paul Atreides
19-07-03, 00:58
Originally posted by Otto Rahn
A essere onesti questa non è unicamente una posizione guénoniana.
Non capisco le tue perplessità.

Le mie perplessità vanno a tale dottrina, chiunque se ne sia fatto ''banditore'', Evola compreso.

A me interessa l'Origine indoeuropea e in essa mi riconosco. Ad altre dottrine [taoismo], ''religioni'' [shintoismo, lamaismo], ecc., riconosco grande dignità e rispetto. E qui si chiude la partita.

In special modo, qualsivoglia forma di religione monoteistica la trovo radicalmente esterna/estranea all'Origine indoeuropea.

Paul Atreides
19-07-03, 01:28
"Crisi del mondo moderno'', p. 29: ''La cosiddetta antichità 'classica' non è dunque, a dir vero, che una antichità affatto recente e PERSINO ASSAI PIù VICINA ai tempi moderni che non all'antichità vera''. Il che suona come l'ennesimo giudizio generale di segno negativo

Sulla filosofia: prima ne parla come avente un lato 'esoterico', poi tale lato scompare e, sorpresa, ''ed è il punto, al quale, nei tempi moderni, doveva condurre il movimento iniziato dai Greci'', p. 33, il che è una contraddizione clamorosa perché Guénon se fosse stato più corretto rispetto ai suoi stessi presupposti sull'esoterismo presente nella filosofia greca avrebbe dovuto scrivere che la filosofia moderna si costituisce COME NEGAZIONE della filosofia greca.

Gli Alessandrini? Ossia: le scuole epicuree, scettiche, stoiche? O Aristotele? E rispetto a platonismo e neoplatonismo, ci si richiama agli ''alessandrini''?

Totale silenzio su platonismo e neoplatonismo [eppure, tanto per dirne una, la presenza dei Misteri e dell'orfismo e pitagorismo è fortissima in platone; e Porfirio e Giamblico scrivono due celebri ''Vite di Pitagora'', con la ripresa di Abari e della sua provenienza iperborea - Giamblico, ''Vita'', XIX o della nascita di Pitagora sotto il segno di Apollo, ''Vita'', II; ma qui credo giochi la semplice ignoranza di Guénon]

ADDENDA

L'ennesima assurdità guénoniana: continuando il passo a p. 33: ''le tendenze già affermate da questi [i Greci] poterono allora esser portate fino alle loro estreme conseguenze e l'importanza eccessiva accordata dai Greci al pensiero razionale doveva accentuarsi fino a giungere al 'razionalismo', attitudine specificatamente moderna''. Guénon dimentica un ''piccolissimo'' particolare, e cioè che tra i Greci e l'età moderna c'è, in Europa, un migliaio di anni di FILOSOFIA/TEOLOGIA CRISTIANA. Per cui, delle due l'una: o le 'tendenze negative' hanno saltato di botto un migliaio di anni [cosa poco...ciclica], oppure lo sviluppo di tali 'tendenzialità' negative sono imputabili molto più al cristianesimo che non ai Greci [con buona pace di tanti bei sogni guénonian-medievali, che vanno indubbiamente...rettificati]

Otto Rahn
19-07-03, 03:01
Originally posted by Paul Atreides
Le mie perplessità vanno a tale dottrina, chiunque se ne sia fatto ''banditore'', Evola compreso.

A me interessa l'Origine indoeuropea e in essa mi riconosco. Ad altre dottrine [taoismo], ''religioni'' [shintoismo, lamaismo], ecc., riconosco grande dignità e rispetto. E qui si chiude la partita.

In special modo, qualsivoglia forma di religione monoteistica la trovo radicalmente esterna/estranea all'Origine indoeuropea.

La tua è una posizione più che legittima.
Del resto non credo si possa abbracciare indifferentemente qualsiasi tradizione in nome di un' indifferenziazione originaria.
Si correrebbe il rischio di gettarsi in un sincretismo deleterio.

Personalmente però continuo a credere e a "sentire" che tutte le religioni e tutti i sistemi con i quali nel corso delle ere l' uomo ha cercato un contatto col divino rientrino necessariamente in un' anelito comune. Se la verità è tale non può che essere universale, unica per tutti i cicli di manifestazione, prendendo ora una forma particolare ora l' altra.
Non credo di avere la qualificazione necessaria per dire se lo shintoismo o il lamaismo siano riconducibili a origini comuni con le nostre tradizioni.
Posso solo dirti che credo nel ritorno della molteplicità all' Unità, nella fusione degli opposti e nel superamento della dualità.
Forse sono discorsi che cadono totalmente al di fuori di una dimensione meramente storica...
Le analisi umane hanno i loro limiti...
:)

Per quanto poi concerne il monoteismo il discorso si complica e potrei rimandarti al discorso già avviato qui:
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=58163
mi piacerebbe sapere la tua opinione adldilà del fatto che si richiama in causa il solito Guénon.

Senatore
19-07-03, 03:20
Originally posted by Paul Atreides
poterono allora esser portate fino alle loro estreme conseguenze e l'importanza eccessiva accordata dai Greci al pensiero razionale doveva accentuarsi fino a giungere al 'razionalismo', attitudine specificatamente moderna''. Guénon dimentica un ''piccolissimo'' particolare, e cioè che tra i Greci e l'età moderna c'è, in Europa, un migliaio di anni di FILOSOFIA/TEOLOGIA CRISTIANA. Per cui, delle due l'una: o le 'tendenze negative' hanno saltato di botto un migliaio di anni [cosa poco...ciclica], oppure lo sviluppo di tali 'tendenzialità' negative sono imputabili molto più al cristianesimo che non ai Greci [con buona pace di tanti bei sogni guénonian-medievali, che vanno indubbiamente...rettificati]

Ma veramente che alcuni germi presenti nella filosofia greca abbiano attecchito nella filosofia moderna senza passare dal medioevo è ben possibile e anzi è una cosa abbastanza nota che Marx, ad esempio, riprese l'atomismo di Epicuro per poi muovere al materialismo dialettico. Queste cose sono spiegabili proprio con la concezione tradizionalista del medioevo come freno alle "virtualità" moderne presenti nell'epoca classica.
Anzi, fu proprio il classicismo del Rinascimento a dare la stura ai mali della modernità, così come intesi da Guenon e anche da Evola, quali il pensiero astratto e l'individualismo.
In definitiva il razionalismo che Guenon critica non è certo quello tomista, ma quello successivo che in effetti ha molto battuto il tasto del recupero dei classici. Come Marx andò a scovare il materialismo in Democrito e Epicuro, così i giusrazionalisti spulciando qualche antica tragedia di Sofocle (l'Antigone) vi trovarono i primi bagliori del diritto naturale che si regge sulla sola base della ragione umana.
Infine vorrei ricordare che la costituzione europea individua nella Gracia classica l'elemento fondante l'unità culturale europea (attuale , come è chiaro). Non il Medioevo che pure avrebbe meglio servito la causa.
Tutto ciò corrobora i dubbi di Geuenon sul riferimento classico come fonte tradizionale.
Avrà pure ignorato qualche autore o opera, ma nel complesso ci aveva visto bene, tanto per cambiare...

Paul Atreides
19-07-03, 03:42
1) Però, siccome Guénon, ''Introduzione'', p. 35, afferma che l'atomismo, essendo stato sostenuto in India dalla scuola di Kanada ben prima della sua comparsa in Grecia ed essendo il ''solito'' prestito orientale [portato dai Fenici o adottato da Democrito nei suoi viaggi in Egitto, Persia, India], finiamo con lo scoprire che Marx [la cui tesi di laurea era su Democrito, per l'appunto]s'è agganciato all'...Oriente. Della serie: scherzi...guénoniani

2) Peccato che il tomismo abbia una ''trascurabile'' impalcatura...greca. Il che complica assai i fatti. Anzi, dire che l'umanesimo ha ''recuperato'' i classici, quando TUTTA la filosofia medievale si basa sui ''classici'', è davvero grossa. E infatti, la disputa sugli universali vede i realisti su posizioni platoniche e aristoteliche. Il tomismo è aristotelico. I prestiti arabi sono platonici [Al-Farabi] e aristotelici [Averroè, Avicenna]. Scoto Eriugena è un neoplatonico. I primi seri tentativi filosofici altomedievali coevi alla filosofia di Eriugena [Alcuino, Fredegiso di Tours ecc] si costruiscono intorno alle ''Categorie'' di Aristotele e all'''Isagoghé'' di Porfirio nella redazione di Boezio. Caso a parte è la linea Ruggero Bacone-Ockham che però non credo proprio rientri nelle grazie di Guénon.
Per cui, sempre nell'ottica guénoniana, o la filosofia medievale ''rettifica'' in modo singolare [cioè costruendosi su di una base ''malata'' assai], oppure se ''rettifica'' per davvero lo fa GRAZIE alla filosofia greca, e allora diventa un pochino difficile spiegare come tale filosofia greca possa essere stata il presupposto dei disastri moderni in campo filosofico.

3) ergo, mi sa che Guénon, col suo semplicismo misto ad ignoranza, s'incarta non poco...Altro che...vederci bene

Vahagn
19-07-03, 10:43
Persiste, in queste pretese demolizioni di Guénon, un equivoco di fondo: finché non si capisce che il punto di vista qui inteso non è quello filosofico, o storico, o etnico-antropologico, o politico, o cmq laico, né quello “religioso”, bensì quello esoterico-iniziatico (della linfa o spina dorsale, cioè, che normalmente vivifica e sorregge una civiltà, pena la sua morte), e del clima favorevole ad un suo ritorno, ci si continuerà ad impantanare in accuse indebite. I cattolici exoteristi continueranno a sostenere che Guénon è un eretico, e gli altri exoteristi laici continueranno a ritenerlo un imbroglione, un ignorante (attaccandosi a sofismi nozionistici) e quant’altro la delusione delle loro aspettative del tutto profane e particolari suggerisca loro.
Evola non fa tutti questi pasticci e comprende benissimo la natura dei rapporti che devono intercorrere tra “Oriente” e “Occidente”, se si vuole mai risollevare quest’ultimo, e la differenza tra piani profani e piano spirituale/intellettuale/metafisico (che dir si voglia):
“[…]La civiltà ‘tradizionale’, tutte le civiltà tradizionali, hanno dei punti metafisici di riferimento. Sono caratterizzate dal riconoscimento di un ordine superiore a tutto ciò che è umano e temporale […] dall’élite che [eccetera]. In Occidente, il Medio Evo ci offriva ancora un esempio di civiltà tradizionale così intesa. L’esatto opposto della civiltà tradizionale è la civilizzazione moderna, sia occidentale che orientale [segue descrizione di quest’ultima] […] Secondo l’opinione di Guénon la situazione in Oriente è differente. L’Oriente conserva ancora aspetti viventi delle ‘civiltà tradizionali’ che altrove sono già scomparse. Guénon ritiene che il mondo moderno possa superare la crisi di cui sta soffrendo solo con un ritorno ad una civiltà tradizionale. Ma ciò non può nascere dal nulla. Dato che l’Occidente ha da lungo tempo perso il contatto con le sue passate forme tradizionali delle quali, a parte il mondo religioso inteso in senso assai ristretto, quasi niente rimane, Guénon considera che il contatto fra le élite dell’Occidente e i rappresentanti dello spirito tradizionale dell’Oriente è un punto di essenziale importanza per assicurare una ripresa, per ‘galvanizzare’, per così dire, le forze latenti. Non è una questione di essere infedeli a noi stessi cercare di orientalizzarci, ma di ricevere dall’Oriente ciò che può essere utilizzato per riscoprire la nostra propria tradizione, come andare al di là della civilizzazione puramente umana, individualistica e razionalistica dei tempi recenti, per formare a poco a poco un’atmosfera favorevole al rifiorire dell’Occidente tradizionale. A questo punto un’intesa fra Oriente e Occidente dovrebbe sorgere naturalmente e riposerebbe su fondamenta del tutto differenti da quelle concepite da tutti coloro che hanno affrontato tali problemi da un punto di vista esclusivamente politico o astrattamente culturale o economico o vagamente ‘spiritualista’. Queste idee di Guénon, sotto i loro aspetti generali, ci sembrano del tutto accettabili e va ascritto a suo merito di formularle su linee rigorose, con una obbedienza senza compromessi alla verità e solo alla verità.[…]”
Ignorante e affabulatore anche lo Evola di “East and West” 1954 (l’articolo da cui ho tratto la citazione si trova ora in “Oriente e Occidente”, Ed. Mediterranee, 2001, pp. 47 ss.)?

Vahagn
19-07-03, 13:04
E, a beneficio anche degli avversari, qualche stralcio anche da “Mélanges”, ormai di difficile reperibilità (finché qualcuno non si decide a ripubblicarlo). Le enfasi, come al solito, sono mie.




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Si cita abitualmente la frase “Conosci te stesso”, ma spesso se ne perde di vista l’esatto significato. La confusione che regna riguardo a questa espressione è eliminabile risolvendo due questioni: quella riguardante la sua origine e quella relativa al suo senso reale ed alla sua ragion d’essere. Alcuni lettori potrebbero pensare che le due questioni siano affatto distinte e che non abbiano tra loro nessuna relazione. Riflettendovi, e dopo attento esame, apparirà chiaramente che esse sono invece in stretto rapporto.
Se si domandasse a coloro che hanno studiato la filosofia greca chi fu l’uomo a pronunciare per primo queste sagge parole, i più non esiterebbero a rispondere che fu Socrate, mentre altri vorrebbero attribuirle a Platone ed altri ancora a Pitagora. Di fronte a questi pareri discordi e divergenze di opinione, abiamo il diritto di concludere che questa frase non ha per autore nessuno di questi filosofi e che quindi bisogna cercarne l’origine altrove. Ci sembra giusto arrivare a tale conclusione tenendo anche conto del fatto che due di questi filosofi, Pitagora e Socrate, non hanno lasciato alcun scritto.
Quanto a Platone, nessun studioso di filosofia, per quanto estesa sia la sua competenza, sarebbe in grado di distinguere ciò che è stato detto da lui oppure dal suo maestro Socrate. Quasi tutta la dottrina di quest’ultimo ci è pervenuta attraverso Platone, ed inoltre si sa che è proprio dall’insegnamento di Pitagora che Platone ha tratto alcune delle conoscenze di cui fa mostra nei suoi dialoghi. Con ciò vediamo quanto sia difficile stabilire qual parte spetti a ciascuno dei tre filosofi. Quel che si attribuisce a Platone è spesso attributo anche a Socrate; inoltre, delle teorie considerate, alcune sono anteriori a entrambi e provengono dalla scuola di Pitagora o da Pitagora stesso.
A dire il vero, l’origine dell’espressione che stiamo considerando è ben anteriore a questi tre filosofi; anzi, essa è ancora più antica della storia della filosofia, non solo, ma si trova addirittura al di là dei confini della ricerca filosofica.
Si dice che queste parole fossero scritte sul frontone del tempio di Apollo a Delfo. Esse furono in seguito adottate da Socrate ed anche da altri filosofi come uno dei principii del loro insegnamento, nonostante la differenza che potè esistere tra questi diversi insegnamenti ed i fini perseguiti dalle varie scuole. E’ d’altronde probabile che, prima di Socrate, anche Pitagora avesse impiegato questa espressione. Con ciò questi filosofi si proponevano di mostrare che il loro insegnamento non era un insegnamento strettamente personale, risalendo esso ad un’epoca più antica e ad una visione più elevata, in stretta relazione con la sorgente stessa dell’ispirazione originaria, spontanea e divina. Essi erano cioè molto diversi dai filosofi moderni, i quali impiegano tutti i loro sforzi per esprimere qualche cosa di nuovo al fine di presentarlo come una creazione del proprio pensiero e di apparire come i soli autori delle loro opinioni, quasi la verità potesse essere la proprietà di un uomo.
Vediamo ora perché i filosofi dell’antichità hanno voluto far risalire il loro insegnamento a questa espressione, o ad altre analoghe, e perché si può affermare che questa massima appartiene ad un ordine di realtà superiore alla filosofia. Per rispondere alla seconda parte della questione, diremo che la risposta si trova nel senso originario ed etimologico del termine ‘filosofia’, che si dice fosse stato impiegato per la prima volta da Pitagora. La parola filosofia esprime propriamente il fatto di amore sophia, la saggezza, l’ispirazione ad essa, o la disposizione richiesta per ottenerla.
Questa parola è sempre stata impiegata per qualificare una preparazione a questa acquisizione della saggezza, ed in particolar modo gli studi che potevano aiutare il philosophos, o chi aveva per essa una certa attitudine a diventare sophos, cioè saggio.
Così come il mezzo non può essere preso per un fine, analogamente l’amore per la saggezza non può costituire la saggezza stessa. E poiché la saggezza è di per sé identica alla vera conoscenza interiore, si può dire che la conoscenza filosofica non è che una conoscenza superficiale ed esteriore. Essa non ha dunque in sé e per sé un valore proprio. Essa costituisce solamente un primo grado nella via della conoscenza superiore ed effettiva che è la saggezza.
E’ ben noto a chi abbia studiato i filosofi antichi che questi disponevano di due specie di insegnamento, l’uno exoterico e l’altro esoterico. Tutto quanto si poneva per iscritto apparteneva solamente al primo. Quanto al secondo è impossibile conoscerne esattamente la natura, sia perché era riservato solo a certuni, sia perché aveva un carattere segreto; caratteristiche queste che non avrebbero avuto una ragione d’essere se non si fosse trattato di qualche cosa superiore alla semplice filosofia.
Si può perlomeno ritenere che questo insegmanento esoterico fosse in stretta e diretta relazione con la saggezza e non si rivolgesse solamente alla ragione o alla logica, com’è nel caso della filosofia, la quale appunto per ciò è sinonimo di conoscenza razionale. I filosofi dell’antichità ammettevano che la conoscenza razionale, cioè la filosofia, non rappresentasse il più elevato grado di conoscenza, cioè la saggezza.
Forse che la saggezza può essere insegnata, come la conoscenza esteriore, mediante le parole o i libri? Ciò è realmente impossibile, e ne vedremo il motivo. Ma possiamo già affermare che la preparazione filosofica non era sufficiente, neanche come semplice preparazione, poiché essa non riguarda che una facoltà limitata quale la ragione, mentre la saggezza è inerente alla realtà dell’essere come totalità.
Esiste dunque una preparazione alla saggezza superiore alla filosofia, che non si rivolge alla ragione, ma all’anima ed allo spirito, e che potremmo chiamare preparazione interiore; e sembra che essa abbia caratterizzato i più altri gradi della scuola di Pitagora. Essa ha esteso la sua influenza, attraverso la scuola di Platone, sino al neo-platonismo della scuola alessandrina, nel quale essa riappare chiaramente, così come presso i neopitagorici della stessa epoca.
Anche se per questa preparazione interiore si impiegavano ancora parole, queste non potevano più essere intese se non come simboli destinati a fissare la contemplazione interiore. L’uomo aveva così accesso a certi stati che gli permettevano di andare al di là della conoscenza discorsiva alla quale era anteriormente pervenuto, e, essendo ciò al di sopra della ragione, anch’egli si trovava al di sopra della filosofia, poiché il termine ‘filosofia’ fu sempre impiegato per designare qualche cosa appartenente al solo dominio della ragione.
Tuttavia è sorprendente che i moderni considerino la filosofia, così definita, come se fosse di per sé stessa sufficiente, dimenticando in tal modo ciò che vi è di più elevato.
L’insegnamento esoterico esisteva già nei paesi dell’Oriente prima di diffondersi in Grecia ove fu designato dal termine ‘misteri’. [va rilevato che per “orientale” si deve primariamente intendere, nei contesti ellenici, ‘traco-frigio’, quindi qualcosa di etnicamente indoeuropeo, e di spiritualmente iperboreo. NdV.] I primi filosofi, in particolare Pitagora, vi ricollegavano il loro insegnamento, non essendo esso che un’espressione nuova di idee antiche. Esistevano più sorta di misteri aventi diverse origini. Quelli che ispirarono Pitagora e Platone erano in rapporto con il culto di Apollo. I ‘misteri’ ebbero sempre un caratere riservato e segreto (la stessa parola m i s t e r o etimologicamente significa silenzio totale), le cose alle quali essi si riferivano non potendo essere espresse con parole, ma solamente insegnate con un metodo basato sul silenzio. Ma i moderni, ignorando qualsiasi altro metodo che non sia quello implicante l’uso di parole, e che potremmo chiamare il metodo dell’insegnamento esoterico, hanno erroneamente ritenuto che nei misteri non vi fosse insegnamento alcuno.
Possiamo affermare che questo insegnamento silenzioso si serviva di immagini, simboli ed altri mezzi, aventi lo scopo di condurre l’uomo a stati interiori che gli permettevano di pervenire gradualmente alla conoscenza effettiva; cioè alla saggezza.
Quanto ai ‘misteri’ ricollegati al culto di Apollo e ad Apollo stesso, occorre tener presente che egli era il dio del sole e della luce, essendo questa, in senso spirituale, la sorgente di ogni conoscenza così come delle scienze e delle arti.
Si dice che il culto di Apollo fosse venuto dal nord, come è tramandato da una tradizione molto antica che si ritrova in libri sacri quali il Veda indù e l’Avesta persiano. Questa origine nordica era anche riferita più particolarmente a Delfo, che si diceva fosse un centro spirituale universale; c’era infatti nel suo tempio una pietra chiamata omphalos, simboleggiante il centro del mondo.
Si ritiene che la funzione di Pitagora ed il suo nome stesso abbiano un legame certo con il culto di Apollo. Quest’ultimo era chiamato Pythios, ed è detto che Pyhto era il nome originale di Delfo. La donna che riceveva l’ispirazione degli Dei nel tempio si chiamava Pizia. Il nome di Pitagora significa dunque guida della Pizia, il che si applica anche ad Apollo. Si racconta pure che fu la Pizia a dichiarare che Socrate era il più saggio degli uomini. Sembra con ciò che Socrate avesse un legame con il centro spirituale di delfo, così come Pitagora.
Agiungiamo che se tutte le scienze erano attribuite ad Apollo, ciò avveniva ancor più particolarmente per la geometria e la medicina. Nella scuola pitagorica, la geometria e tutte le diverse scienze matematiche occupavano il primo posto nella preparazione della conoscenza superiore. Proprio in vista di questa conoscenza, tali scienze non erano affatto trascurate, venendo impiegate come simboli della verità spirituale. Anche Platone considerava la geometria un’indispensabile preparazione per ogni altro insegnamento, e, sulla porta della sua scuola, aveva fatto scrivere le parole: “Nessuno può entrare qui se non è geometra”. Il senso di tali parole diventa evidente raffrontandolo con un’altra affermazione dello stesso Platone: “Dio fa sempre della geometria” e tenendo presente che Platone, parlando di Dio come geometra, faceva ancora allusione ad Apollo.
Non ci si deve dunque stupire che i filosofi dell’antichità abbiano utilizzato la frase scolpita sul frontone del tempio di Delfo, poiché ora sappiamo dei legami che li ricollegano ai riti ed al simbolismo di Apollo.
Dopo quanto abbiamo detto possiamo facilmente comprendere il vero significato della frase qui studiata ed il perché dell’erronea interpretazione dei moderni. Quest’ultima è dovuta al fatto che essi considerano la massima in questione come la semplice osservazione di un filosofo al quale, naturalmente, attribuiscono un modo di pensare analogo al loro. Ma in realtà il pensiero antico differiva profondamente dal pensiero moderno. Molti intendono questa frase in un senso psicologico; ma quel che essi chiamano psicologia consiste unicamente nello studio dei fenomeni mentali, i quali non sono che modificazioni esteriori – e non essenziali – dell’essere.
Altri, soprattutto tra coloro che attribuiscono la massima a Socrate, vi vedono una preoccupazione d’ordine morale. Tutte queste interpretazioni “esteriori”, pur non essendo completamente false, non giustificano il carattere sacro che la frase aveva all’origine, il quale implica invece un significato molto più profondo di quello che si vorrebbe così attribuirle. Essa significa anzitutto che nesun insegnamento exoterico può dare quella conoscenza reale che l’uomo deve ricercare solamente in sé stesso, poiché ogni conoscenza non pyuò essere acquisita che mediante una comprensione personale.
Senza questa comprensione nessun insegnamento può condurre ad un risultato efficace, e l’insegnamento che non suscita in colui che lo riceve una risonanza personale non può procurare alcuna specie di conoscenza. Per questo motivo Platone dice che “tutto ciò che l’uomo impara è già in lui”. Tutte le esperienze e tutto quel che lo circonda non sono che occasioni per aiutarlo a prender coscienza di ciò che ha dentro di sé. Questo risveglio viene chiamato da Platone anamnésis, che significa appunto “reminescenza”.
Se questo è vero epr ogni conoscenza, lo è ancor di più per una conoscenza più elevata e più profonda, e, per l’uomo che avanza verso questa conoscenza, tutti i mezzi esteriori e variabili diventano sempre più insufficienti, perdendo infine ogni utilità. Pur essendo di aiuto per avvicinarsi di qualche grado alla saggezza, tali mezzi non possono tuttavia procurare l’ottenimento della conoscenza reale, ed è per questo che nell’India si dice correntemente che il vero guru, o maestro, si trova nell’uomo stesso e non nel mondo esteriore, anche se un aiuto esteriore può essere utile, all’inizio, per preparare l’uomo a trovare in sé e da sé stesso ciò che non pouò trovare altrove, e, in particolare, ciò che è al di là della conoscenza razionale. A tal fine, occorre realizzare certi stati interiori del proprio essere nella direzione di quel centro, simbolizzato dal cuore, dove la coscienza dell’uomo deve appunto essere trasferita onde renderlo capace di pervenire alla conoscenza reale. Questi stati erano realizzati nei misteri dell’antichità e rappresentavano i vari gradi della trasposizione dal “mentale” al cuore.
Come abbiamo detto, nel tempio di Delfo esisteva una pietra chiamata omphalos, che, per la corrispondenza esistente tra il macrocosmo e il microcosmo, rappresentava sia il centro dell’essere umano che il centro del mondo, vale a dire l’uomo, per cui era ben noto che tutto ciò che è nell’uno è in rapporto diretto con ciò che è nell’altro. Avicenna ha detto: “Tu ti credi un nulla, ma è in te che risiede il mondo”.
E’ curioso notare che nell’antichità era molto diffusa la credenza che l’omphalos fose caduto dal cielo, e per avere un’idea del sentimento dei Greci nei confronti di questa pietra, diremmo che esso era somigliante a quello che noi proviamo [NB. Guénon scrive originariamente quest’articolo per El- Maarifa, poi verrà tradotto in francese. NdV.] per la sacra pietra nera della Kaabah.
La similitudine esistente tra il macrocosmo ed il microcosmo fa sì che l’uno sia l’immagine dell’altro, e la corrispondenza degli elementi che li compongono mostra che l’uomo deve per prima cosa conoscere sé stesso per potere in seguito conoscere tutte le cose. Per questo motivo, certe scienze, soprattutto quelle che facevano parte della conoscenza degli antichi e che sono quasi completamente ignorate dai nostri contemporanei, possiedono un doppio significato. Apparentemente queste scienze si riferiscono al macrocosmo e possono venir giustamente considerate da questo punto di vista. Ma esse possiedono nello stesso tempo anche un senso più profondo, quello che concerne l’uomo stesso, nonché la via interiore mediante la quale egli può realizzare la conoscenza in sé stesso, pervenendo così ad una realizzazione che coincide con quella del suo proprio essere. Aristotele ha detto: “L’essere è tutto quel che egli conosce”, di modo che, là ove vi è conoscenza effettiva – e non la sua apparenza o la sua ombra – la conoscenza e l’essere sono una sola e medesima cosa.
L’ombra, secondo Platone, è la conoscenza offerta dai sensi ed anche la conoscenza razionale, la quale, sebbene elevata, ha origine dai sensi. Quanto alla conoscenza reale, essa supera il livello della ragione, e la sua realizzazione, o la realizzazione dell’essere stesso, è simile alla formazione del mondo, in conformità alla corrispondenza di cui abbiamo dianzi parlato. Si comprende così perché certe scienze possono descrivere la reale conoscenza sotto le apparenze di tale formazione; questo doppio significato era presente negli antichi misteri, e lo si incontra anche nelle varie specie di insegnamento miranti allo stesso scopo esistenti tra i popoli dell’Oriente. Sembra che pure in Occidente questo insegnamento sia esistito per tutto il medioevo, anche se oggigiorno è completamente sparito al punto che la più parte degli Occidentali non sa più nulla della sua natura e persino della sua esistenza.
Da tutto quanto abbiamo detto appare eviente che la via che conduce alla reale conoscenza non è la ragione, ma lo spirito e l’intero essere, poiché essa non è altro che la realizzazione di questo essere in tutti i suoi stati, la quale coincide con il raggiungimento della conoscenza e l’ottenimento della saggezza suprema. In realtà, le cose che appartengono all’anima, ed anche allo spiritl, rappresentano solamente gradi della via verso l’essenza intima, il vero sé, che può essere trovato unicamente quando l’essere ha raggiunto il suo proprio centro; qui, essendo tutte le sue potenze unite e concentrate in un solo punto, a tale essere appaiono tutte le cose, poiché in questo punto sono contenute come nel loro primo ed unico principio, ed allora egli può conoscere tutte le cose in sé stesso, cioè la totalità del’esistenza nell’unità della propria essenza.
E’ facile vedere quanto ciò sia lontano dalla moderna psicologia e come anzi, vada ben oltre una conoscenza più vera e più profonda dell’anima, rappresentando questa solo un primo passo. Occorre inoltre notare che la parola nefs, anche se si trova nella traduzione in arabo di “conosci te stesso”, non può qui essere intesa nel significato corrente di “anima”, poiché il suo equivalente greco psyché non compare nell’originale. Non si deve dunque attribuire a questa parola [nefs] il suo senso corrente, dacché è certo che essa possiede un altro significato molto più elevato che la rende assimilabile alla parola essenza e che si riferisce al Sé o allessere reale: in un hadith, che è come un complemento della massima greca, è infatti detto: “Chi conosce sé stesso, conosce il suo Signore”.
Quando l’uomo conosce sé stesso nella sua essenza profonda, cioè nel centro del suo essere, allora egli conosce il suo Signore, e conosce nello stesso tempo tutte le cose che da Lui vengono e a Lui ritornano. Egli conosce tutte le cose nell’unità suprema del Principio divino, al di fuori del quale, secondo le parole di Muhyiddin Ibn Arabi, “non vi è assolutamente nulla che esista”, poiché nulla può esistere al di fuori dell’Infinito.

Vahagn
19-07-03, 13:07
più o meno a metà:

"[...] Ma i moderni, ignorando qualsiasi altro metodo che non sia quello implicante l’uso di parole, e che potremmo chiamare il metodo dell’insegnamento esoterico, hanno erroneamente ritenuto che nei misteri non vi fosse insegnamento alcuno. [..]"


correggi


"[...] Ma i moderni, ignorando qualsiasi altro metodo che non sia quello implicante l’uso di parole, e che potremmo chiamare il metodo dell’insegnamento exoterico, hanno erroneamente ritenuto che nei misteri non vi fosse insegnamento alcuno. [..]"

Vahagn
19-07-03, 13:10
[va rilevato che per “orientale” si deve primariamente intendere, nei contesti ellenici, ‘traco-frigio’, quindi qualcosa di etnicamente indoeuropeo, e di spiritualmente iperboreo. NdV.]

correggi:

[va rilevato che per “orientale” si deve primariamente intendere, nei contesti dei misteri, ‘traco-frigio’, quindi qualcosa di etnicamente indoeuropeo, e di spiritualmente iperboreo. NdV.]

Senatore
19-07-03, 14:25
Originally posted by Paul Atreides
1) Però, siccome Guénon, ''Introduzione'', p. 35, afferma che l'atomismo, essendo stato sostenuto in India dalla scuola di Kanada ben prima della sua comparsa in Grecia ed essendo il ''solito'' prestito orientale [portato dai Fenici o adottato da Democrito nei suoi viaggi in Egitto, Persia, India], finiamo con lo scoprire che Marx [la cui tesi di laurea era su Democrito, per l'appunto]s'è agganciato all'...Oriente. Della serie: scherzi...guénoniani

2) Peccato che il tomismo abbia una ''trascurabile'' impalcatura...greca. Il che complica assai i fatti. Anzi, dire che l'umanesimo ha ''recuperato'' i classici, quando TUTTA la filosofia medievale si basa sui ''classici'', è davvero grossa. E infatti, la disputa sugli universali vede i realisti su posizioni platoniche e aristoteliche. Il tomismo è aristotelico. I prestiti arabi sono platonici [Al-Farabi] e aristotelici [Averroè, Avicenna]. Scoto Eriugena è un neoplatonico. I primi seri tentativi filosofici altomedievali coevi alla filosofia di Eriugena [Alcuino, Fredegiso di Tours ecc] si costruiscono intorno alle ''Categorie'' di Aristotele e all'''Isagoghé'' di Porfirio nella redazione di Boezio. Caso a parte è la linea Ruggero Bacone-Ockham che però non credo proprio rientri nelle grazie di Guénon.
Per cui, sempre nell'ottica guénoniana, o la filosofia medievale ''rettifica'' in modo singolare [cioè costruendosi su di una base ''malata'' assai], oppure se ''rettifica'' per davvero lo fa GRAZIE alla filosofia greca, e allora diventa un pochino difficile spiegare come tale filosofia greca possa essere stata il presupposto dei disastri moderni in campo filosofico.



Caro Paul Atreides,
non mi pare che Guenon abbia negato che il tomismo sia di impronta aristotelica, e anzi parla in modo lusinghiero di questa linea della filosofia europea, che tralaltro utilizza copiosamente nelle sue opere pur tacendo spesso la fonte. Per esempio nei primi capitoli di "il regno della quantità" ci sono innumeri riferimenti ad Aristotele e a san Tommaso; lo stesso quando nelle sue opere di metafisica l'autore francese parla dell'intuizione intellettuale.
Allora si potrebbe addirittura sostenere che lo stesso Guenon quando adotta la terminologia della filosofia occidentale è figlio del pensiero greco.

Però quando si parla di "pregiudizio classico" si è su un campo differente. Sarà per ignoranza, ma io ho sempre creduto che ci sia una netta differenza tra il modo con cui i classici sono letti nel medioevo, laddove l'intento è di integrarli in una forma tradizionale già definita (il cristianesimo) al cui servizio vengono posti, e il criterio invece con cui sono riguardati nell'età moderna.
Qualunque studente di liceo è oggi convinto che il "pensiero" sia nato in Grecia, che Talete , Anassimene, ecc siano stati degli esseri stravaganti, che per quanto avessero la profondità d'analisi di un bambino, misero le prime pietre dell'edificio dell'intelligenza umana, prima illustre sconosciuto. Questo è un pregiudizio bell'e buono, che tralaltro giustifica l'idea che dagli inizi ci sia stata una evoluzione e che quindi le novità man mano affacciatesi nel pensiero greco, come il distacco dal mito, il razionalismo, le tendenze estetizzanti siano da vedere come successivi superamenti e miglioramenti culminanti nell'apogeo del periodo classico.
Contro questo modo di procedere si scagliarono Guenon e, con maggiore forza, Evola. Anche grazie alla loro polemica ho capito che alcune grandi personalità come Eraclito, Platone, Virgilio non sono i creatori ex nihilo di complesse visioni filsofiche o artistiche, ma i testimoni inarrivabili di un sapere divino (appreso non per "folgorazione", ma per trasmissione diretta), cioè della verità.
Questo, lungi dal diminuirne l'importana, la accresce immensamente ai miei occhi.
Aggiungo che nel rinascimento in molti casi, c'era consapevolezza di questo fatto, ma lo stesso rinascimento è stato oggetto di una rielaborazione che ha cancellato i suoi aspetti trascendenti e legittimi, per farne la mera "culla" delle tendenze che si sono imposte poi.
Saluti

Paul Atreides
19-07-03, 22:27
Originally posted by Senatore
Caro Paul Atreides,
non mi pare che Guenon abbia negato che il tomismo sia di impronta aristotelica, e anzi parla in modo lusinghiero di questa linea della filosofia europea, che tralaltro utilizza copiosamente nelle sue opere pur tacendo spesso la fonte. Per esempio nei primi capitoli di "il regno della quantità" ci sono innumeri riferimenti ad Aristotele e a san Tommaso; lo stesso quando nelle sue opere di metafisica l'autore francese parla dell'intuizione intellettuale.
Allora si potrebbe addirittura sostenere che lo stesso Guenon quando adotta la terminologia della filosofia occidentale è figlio del pensiero greco.

Però quando si parla di "pregiudizio classico" si è su un campo differente. Sarà per ignoranza, ma io ho sempre creduto che ci sia una netta differenza tra il modo con cui i classici sono letti nel medioevo, laddove l'intento è di integrarli in una forma tradizionale già definita (il cristianesimo) al cui servizio vengono posti, e il criterio invece con cui sono riguardati nell'età moderna.
Qualunque studente di liceo è oggi convinto che il "pensiero" sia nato in Grecia, che Talete , Anassimene, ecc siano stati degli esseri stravaganti, che per quanto avessero la profondità d'analisi di un bambino, misero le prime pietre dell'edificio dell'intelligenza umana, prima illustre sconosciuto. Questo è un pregiudizio bell'e buono, che tralaltro giustifica l'idea che dagli inizi ci sia stata una evoluzione e che quindi le novità man mano affacciatesi nel pensiero greco, come il distacco dal mito, il razionalismo, le tendenze estetizzanti siano da vedere come successivi superamenti e miglioramenti culminanti nell'apogeo del periodo classico.
Contro questo modo di procedere si scagliarono Guenon e, con maggiore forza, Evola. Anche grazie alla loro polemica ho capito che alcune grandi personalità come Eraclito, Platone, Virgilio non sono i creatori ex nihilo di complesse visioni filsofiche o artistiche, ma i testimoni inarrivabili di un sapere divino (appreso non per "folgorazione", ma per trasmissione diretta), cioè della verità.
Questo, lungi dal diminuirne l'importana, la accresce immensamente ai miei occhi.
Aggiungo che nel rinascimento in molti casi, c'era consapevolezza di questo fatto, ma lo stesso rinascimento è stato oggetto di una rielaborazione che ha cancellato i suoi aspetti trascendenti e legittimi, per farne la mera "culla" delle tendenze che si sono imposte poi.
Saluti

Però se questa ''linea'' [tomistica] è valida, allora non si spiegano gli attacchi alla filosofia greca che ne è il presupposto, mi pare evidente.

Per il resto, proprio perché la filosofia greca s'innesta nell'Origine e di essa è riflesso storico ancor meno si comprendono le critiche guénoniane.

ps. sul ''pregiudizio classico'': Guénon avrebbe dovuto riconoscere al mondo classico, in specie greco-romano, i ''crismi'' della tradizionalità così come, giustamente, ha riconosciuto che la ''civiltà'' e soprattutto quella che lui chiama ''Tradizione'' non nasce col mondo classico.

Saluti

Paul Atreides
19-07-03, 22:34
Originally posted by Vahagn
Persiste, in queste pretese demolizioni di Guénon, un equivoco di fondo: finché non si capisce che il punto di vista qui inteso non è quello filosofico, o storico, o etnico-antropologico, o politico, o cmq laico, né quello “religioso”, bensì quello esoterico-iniziatico (della linfa o spina dorsale, cioè, che normalmente vivifica e sorregge una civiltà, pena la sua morte), e del clima favorevole ad un suo ritorno, ci si continuerà ad impantanare in accuse indebite. I cattolici exoteristi continueranno a sostenere che Guénon è un eretico, e gli altri exoteristi laici continueranno a ritenerlo un imbroglione, un ignorante (attaccandosi a sofismi nozionistici) e quant’altro la delusione delle loro aspettative del tutto profane e particolari suggerisca loro.
Evola non fa tutti questi pasticci e comprende benissimo la natura dei rapporti che devono intercorrere tra “Oriente” e “Occidente”, se si vuole mai risollevare quest’ultimo, e la differenza tra piani profani e piano spirituale/intellettuale/metafisico (che dir si voglia):
“[…]La civiltà ‘tradizionale’, tutte le civiltà tradizionali, hanno dei punti metafisici di riferimento. Sono caratterizzate dal riconoscimento di un ordine superiore a tutto ciò che è umano e temporale […] dall’élite che [eccetera]. In Occidente, il Medio Evo ci offriva ancora un esempio di civiltà tradizionale così intesa. L’esatto opposto della civiltà tradizionale è la civilizzazione moderna, sia occidentale che orientale [segue descrizione di quest’ultima] […] Secondo l’opinione di Guénon la situazione in Oriente è differente. L’Oriente conserva ancora aspetti viventi delle ‘civiltà tradizionali’ che altrove sono già scomparse. Guénon ritiene che il mondo moderno possa superare la crisi di cui sta soffrendo solo con un ritorno ad una civiltà tradizionale. Ma ciò non può nascere dal nulla. Dato che l’Occidente ha da lungo tempo perso il contatto con le sue passate forme tradizionali delle quali, a parte il mondo religioso inteso in senso assai ristretto, quasi niente rimane, Guénon considera che il contatto fra le élite dell’Occidente e i rappresentanti dello spirito tradizionale dell’Oriente è un punto di essenziale importanza per assicurare una ripresa, per ‘galvanizzare’, per così dire, le forze latenti. Non è una questione di essere infedeli a noi stessi cercare di orientalizzarci, ma di ricevere dall’Oriente ciò che può essere utilizzato per riscoprire la nostra propria tradizione, come andare al di là della civilizzazione puramente umana, individualistica e razionalistica dei tempi recenti, per formare a poco a poco un’atmosfera favorevole al rifiorire dell’Occidente tradizionale. A questo punto un’intesa fra Oriente e Occidente dovrebbe sorgere naturalmente e riposerebbe su fondamenta del tutto differenti da quelle concepite da tutti coloro che hanno affrontato tali problemi da un punto di vista esclusivamente politico o astrattamente culturale o economico o vagamente ‘spiritualista’. Queste idee di Guénon, sotto i loro aspetti generali, ci sembrano del tutto accettabili e va ascritto a suo merito di formularle su linee rigorose, con una obbedienza senza compromessi alla verità e solo alla verità.[…]”
Ignorante e affabulatore anche lo Evola di “East and West” 1954 (l’articolo da cui ho tratto la citazione si trova ora in “Oriente e Occidente”, Ed. Mediterranee, 2001, pp. 47 ss.)?

Lasciamo stare il solito refrain, che fa tanto ''Rivista di studi tradizionali'', sui ''piani'' del discorso.

Lasciamo stare anche il fatto che io sto parlando esclusivamente delle critiche mosse da Guénon al mondo classico [critiche che trovo totalmente infondate] e su questo punto, tranne un articolo postatomi, i tuoi argomenti non mi sembrano granché solidi

Al riguardo consiglio la lettura di S. Consolato, "René Guénon e la tradizione romana'' in ''Arthos'', n° 31-32 (1987-1988), pp. 25-64. Uno scritto davvero eccellente.

Paul Atreides
19-07-03, 22:40
L’insegnamento esoterico esisteva già nei paesi dell’Oriente prima di diffondersi in Grecia ove fu designato dal termine ‘misteri’. [va rilevato che per “orientale” si deve primariamente intendere, nei contesti ellenici, ‘traco-frigio’, quindi qualcosa di etnicamente indoeuropeo, e di spiritualmente iperboreo. NdV.]


Caro Vahagn, la tua nota ''esplicativa'' mi pare proprio che voglia far dire al testo una cosa che il testo, ahimé, non dice. A me pare, infatti, che anche in questo caso il buon Guénon dica chiaramente che si tratta di un insegnamento orientale, da lì diffusosi in Occidente. Ovvero, l'ennesimo ''ex Oriente lux''.

Vahagn
20-07-03, 18:39
Ma è proprio sostenere che Guénon "neghi al mondo greco-romano, i ''crismi'' della tradizionalità" che è il tuo (vostro) punto di partenza infondato. Questo il senso delle citazioni.
Guénon non lo nega (come si può dire ciò?!), ma afferma che vi nacque la modernità (mentre voi la fate partire dal punto-zero della "conversione" cristiana dell'Europa), o meglio certe sue tendenze, e che la 'spina dorsale' esoterica si restrinse sempre più fino al solo mondo elitario dei misteri, segno che l'Occidente, nomen omen, doveva manifestare per primo (e in maniera egemone, essendo la razza venuta a coincidere con l'Occidente quella più espansiva e attiva) quei tratti negativi necessari a ché si compisse il ciclo storico attuale.

Vahagn
20-07-03, 18:43
Originally posted by Paul Atreides


Al riguardo consiglio la lettura di S. Consolato, "René Guénon e la tradizione romana'' in ''Arthos'', n° 31-32 (1987-1988), pp. 25-64. Uno scritto davvero eccellente.

... di cui esiste una replica altrettanto eccellente nel già citato Nutrizio et alii.

Mjollnir
21-07-03, 00:45
In Origine Postato da Vahagn
Beh, Mjollnir, anche al di fuori degli ambienti perennialisti ci si è accorti di queste analogie tra i simboli che ad alcuni appaiono un po' forzate, formulando il concetto di Symbolenwandlung (concetto che cmq non spiega quelle assimilazioni tra i simboli di ambiti culturali diversi come invece fa la constatazione dell'Unita primordiale della tradizione). Tu citavi altrove il Giano rammaricandoti che Guénon lo assimilasse alle doppie chiavi. Ma ce n'è un'infinità d'altri. Che c'entrano tra loro apparentemente simboli come il vajra di Indra, il Mjoellnir (:) ) di Thor, il fulmen di Giove, la spada degli eroi, etc.? Eppure sono tutti la stessa cosa (lo "strumento" per inchiodare i demoni e le forze elementali della natura). Fino ad azzardare assimilazioni come Yggdrasil, Irminsul, e la Croce di Cristo, ..., tutti ligni vitae che collegano l'"uomo vero" (l'uomo che ha raggiunto il centro) con il Supremo tramite l'asse verticale che trapassa i "mondi" (gli stati dell'essere).

Uhmm.. il problema è sempre lo stesso, cioè che nella visione guenoniana tale unità archetipica è sempre presupposta e mai dimostrata. Dico archetipica poichè è chiaro che nel caso di scambi e prestiti culturali l'analogia c'è, così come nel caso di trasformazioni, ma tutto ciò si gioca sul piano storico. E questo è ad es l'equivoco che ha permesso di leggere la continuità tra le "2 Rome": essa c'è stata, certamente, ma perchè la seconda realtà ha assimilato in parte le forme della prima per poter prevalere. Tuttavia è chiaro che tale "continuità" esteriore non c'entra nulla col significato spirituale, visto che la "seconda Roma" non solo non si origina dalla prima ma ne è antitetica (la grande meretrice ... la bestia che sale dal mare...ecc).
Sul simbolismo poi Guenon è completamente deludente (almeno fin dove arriva la mia conoscenza), ad es in Simboli della scienza sacra l'esame dei motivi e dei simboli delle varie tradizioni è del tutto superficiale e si basa su simillitudini alquanto effimere o generiche (e qui si tocca un altro punto, e cioè che è facile trovare analogie peri i simboli o gli elementi + universali, come il cielo-terra, gli elementi, il sole ecc...), manca del tutto la considerazione della polisemicità dei simboli e dei loro contesti, proprio perchè l'esposizione è finalizzata a rintracciare un solo aspetto di un simbolo e a farlo rientrare nelle "corrispondenze".

Mjollnir
21-07-03, 00:49
In Origine Postato da Paul Atreides

Quello che trovo un pò ridicolo è la presunzione di parlare di ''metafisica'', servendosi del vocabolario [terminologico, concettuale e metodologico] della filosofia. Inoltre, l'idea della tradizione unica primordiale mi ha sempre lasciato perplesso. E, soprattutto, trovo assolutamente inaccettabile il giudizio complessivo di Guénon sul mondo greco-romano.


Esatto: fa un pò ridere una discussione in cui si cerca di trovare il carattere di metafisicità nella filosofia greca - come apporto esterno per di + !!! - quando la filosofia in sè è un portato greco e quindi ancor di + la metafisica che ne è magna pars.

+ correttamente Guenon avrebbe dovuto parlare di mistica iniziatica.

Mjollnir
21-07-03, 01:24
In Origine Postato da Vahagn
Guénon non lo nega (come si può dire ciò?!), ma afferma che vi nacque la modernità (mentre voi la fate partire dal punto-zero della "conversione" cristiana dell'Europa), o meglio certe sue tendenze

Ed è una tesi molto azzardata, visto che qualche secolo dopo troviamo una tradizione filosofica come il neoplatonismo, la cui valenza metafisica è indiscutubile ed anzi talmente potente che si propone come avversario designato del cristianesimo. Se vogliamo, ogni ciclo ha la sua modernità e le cause della sua decadenza, il problema è determinare quale sia all'interno del nostro ciclo, e qui è proprio il cristianesimo ad apparire come deviazione e rottura. Anche se io - non accettando ovviamente il discorso della tradizionalità dell'ebraismo - amplierei il concetto parlando di teologia biblica, che di fatto costituisce un unicum.

Senatore
21-07-03, 02:17
Insomma, se la metafisica ha pure una paternità umana - greca nella fattispecie- cosa possiamo chiedere di più?
Forse la dimostrazione more geometrico dell'unità delle tradizioni?
Scusate, ma la metafisica non è oggetto di brevetto e copyright.
Serve ripeterlo? Guenon apprezzava Aristotele (e lasciamo perdere le influenze, che ci frega?) perchè aveva enunciato talune verità metafisiche come il fatto che la conoscenza è in realtà l'Essere che si vede allo specchio.
Questo mi pare un contenuto, e di quelli importanti.
I detrattori cosa hanno detto, circa i contenuti, cioè circa il "pensiero" di Guenon? Si è detto del pregiudizio anticlassico, senz'altro presente in Introduzione... , ma poi lasciato un pò cadere e comunque non tale da osteggiare il recupero, se del caso, di ciò che nella filosofia ellenica è pura metafisica. Guenon non dimentica certo Pitagora! Anzi, se ricordo bene ebbe una discussione al riguardo con Evola il quale invece considerava troppo limitato il pitagorismo. Guenon usa Platone, anche se non spesso, epperò ammette che la modalità del suo insegnamento era principalmente "a porte chiuse" ed orale. Come detto, fa grande uso delle espressioni e dei concetti aristotelici. Per quanto attiene al neoplatonismo è probabile che quanto meno l'abbia preso in esame, vista l'importanza del concetto (uso questo termine, per opportunità) del Non-Essere nei testi dell'autore di Blois. Inoltre conosco alcuni guenoniani che proprio dalla sua lettura sono stati sospinti allo studio di Plotino.


Quindi ricapitolo (ma prometto anche che non tornerò sull'argomento, perchè diventerei davvero pedante e noioso):

non si può liquidare Guenon per delle affermazioni sbagliate o azzardate, nè gli si può fare una colpa per essere tradizionalista (giacchè richiedere una prova flagrante della Tradizione Primordiale, vuol dire chiudere la partita... ).
Bisognerebbe quantomeno discuterne la metafisica e l'ontologia e poi concludere, sempre che la si riesca a capire, circa la sua ignoranza o meno delle linee principali della filosofia greca ed occidentale tout court.
Questo non è stato fatto, per cui allo stato le critiche fatte mi sembrano piuttosto di forma.
Un saluto

Paul Atreides
21-07-03, 04:19
Originally posted by Vahagn
Ma è proprio sostenere che Guénon "neghi al mondo greco-romano, i ''crismi'' della tradizionalità" che è il tuo (vostro) punto di partenza infondato. Questo il senso delle citazioni.
Guénon non lo nega (come si può dire ciò?!), ma afferma che vi nacque la modernità (mentre voi la fate partire dal punto-zero della "conversione" cristiana dell'Europa), o meglio certe sue tendenze, e che la 'spina dorsale' esoterica si restrinse sempre più fino al solo mondo elitario dei misteri, segno che l'Occidente, nomen omen, doveva manifestare per primo (e in maniera egemone, essendo la razza venuta a coincidere con l'Occidente quella più espansiva e attiva) quei tratti negativi necessari a ché si compisse il ciclo storico attuale.

1) Il discorso è chiaro, mi pare: Guénon afferma, in buona sostanza, che quanto vi fosse di ''tradizionale'' nell'Occidente classico sarebbe dovuto all'influenza orientale. Questo è il punto già messo in luce sin dall'inizio dallo scritto di Damiano che ho postato.

2) Indubbiamente, altro punto problematico, non toccato dallo scritto di Damiano, è il giudizio che Guénon da del cristianesimo

3) Ancora un altro punto [assolutamente inaccettabile] è l'idea guénoniana dell'antichità classica come ''luogo di nascita'' della modernità

4) Altro punto ancora è l'ambiguità del discorso ''metafisica'' contro ''filosofia''

Ps. se la risposta allo scritto di Consolato è di quel Nutrizio di cui ho letto quelle 4 banalità sconcertanti su Di Vona...

Vahagn
21-07-03, 21:43
Originally posted by Mjollnir
Uhmm.. il problema è sempre lo stesso, cioè che nella visione guenoniana tale unità archetipica è sempre presupposta e mai dimostrata. Dico archetipica poichè è chiaro che nel caso di scambi e prestiti culturali l'analogia c'è, così come nel caso di trasformazioni, ma tutto ciò si gioca sul piano storico. E questo è ad es l'equivoco che ha permesso di leggere la continuità tra le "2 Rome": essa c'è stata, certamente, ma perchè la seconda realtà ha assimilato in parte le forme della prima per poter prevalere. Tuttavia è chiaro che tale "continuità" esteriore non c'entra nulla col significato spirituale, visto che la "seconda Roma" non solo non si origina dalla prima ma ne è antitetica (la grande meretrice ... la bestia che sale dal mare...ecc).
Sul simbolismo poi Guenon è completamente deludente (almeno fin dove arriva la mia conoscenza), ad es in Simboli della scienza sacra l'esame dei motivi e dei simboli delle varie tradizioni è del tutto superficiale e si basa su simillitudini alquanto effimere o generiche (e qui si tocca un altro punto, e cioè che è facile trovare analogie peri i simboli o gli elementi + universali, come il cielo-terra, gli elementi, il sole ecc...), manca del tutto la considerazione della polisemicità dei simboli e dei loro contesti, proprio perchè l'esposizione è finalizzata a rintracciare un solo aspetto di un simbolo e a farlo rientrare nelle "corrispondenze".

Caro Mjollnir, ricordo che esprimesti questo parere scettico sul simbolismo di Guénon già un anno fa, subito dopo aver comprato “Simboli della Scienza Sacra” come primo libro guénoniano.
Mi pare di capire che ciò che suscita il tuo scetticismo, nei confronti della origine comune (primordiale) dei simboli tradizionali, sia: il modo di scrivere di Guénon che non si avvale quasi mai dell’armamentario degli accademici, in particolare l’apparato delle note è scarso o non esplicitato, e il testo è più un riassunto divulgativo che un saggio ipertecnico (in genere, poiché nei libri sulla matematica il livello tecnico è invece alto), considerato anche che egli scrisse in forma di articolo per riviste di lettori già addentro le tematiche spiritualistiche. Ebbene, questo stile non è invece fatto proprio da altri perennialisti, come per esempio Ananda Kentish Coomaraswamy, il quale fa della nota e della citazione un tratto a volte perfino fastidioso per puntigliosità e scientificità filologica. Sto leggendo ora una sua antologia francese postuma di scritti sul sacrificio, curata da Gérard Leconte, e ti assicuro che tutti i passaggi sono più che esplicitati, con piglio quasi teutonico (Coomaraswamy si formò accademicamente in Inghilterra, il che però non gli impedì di mantenere un distacco sostanziale dalla cultura modernista).
Dall’analisi dei dati a nostra disposizione, il metodo tradizionale stabilisce inequivocabilmente: a) l’origine non-umana della Tradizione; b) il concordare di fondo delle sue forme particolari, l’unicità dello “spirito” nonostante la varietà della “lettera”. Ecco che i tratti di civiltà non posseggono affatto il carattere del caso o le ragioni della storia, ma si inseriscono in un disegno chiaro la cui chiave sta nell’insegnamento iniziatico della metafisica, e di cui il tradizionalismo integrale è la parte divulgativa, diciamo così metodologica. Ecco che l’incredibile complessità e intreccio di dati di diverso ordine, culturale, etnico, psicologico, etc., trovano una granitica e sicura disposizione nella chiave tradizionale, che li sottrae alla pletora di ipotesi individualistiche soggette alla moda culturale del momento (evemerismo, razionalismo, storicismo, nazionalismo…) per restituirli all’unico fine per cui quei simboli furono adoperati: il nostro “risveglio” alle realtà di ordine superiore.
Mi rendo conto che una ricerca di prima mano sugli scritti dei perennialisti non è cosa sempre agevole (tempo e soldi spesi cmq meglio di quelli devoluti a storici e filosofi vari – a mio avviso). Vi sono però agevoli ed eccellenti libretti riassuntivi, come quello pubblicato dalle Ar: “I fondamenti della politica tradizionale secondo A.K. Coomaraswamy” di Philippe Baillet, oppure quello di Walter Heinrich: “Sul metodo tradizionale” pubblicato da Settimo Sigillo, che consiglierei veramente sia come lettura propedeutica che sostitutiva (a seconda delle esigenze).
Di taglio invece storicistico e antitradizionale il libretto della cerchia di Introvigne: “Esoterismo e tradizione”, di Antoine Faivre, che ho cmq trovato molto utile come lavoro bibliografico, e che consiglierei anche a chi voglia prendere contatti.

telemaco (POL)
22-07-03, 17:01
Originally posted by sacher.tonino
Ora rischio di essere ripetitivo:
Guenon si convertì all'Islam, quindi Guenon era un Islamico ...


Prima di tutto saluto ogni lettore e frequentatore di questo interessante forum, nel quale intervengo per la prima volta.

Si dice che Guénon visse e morì da islamico. Sappiamo, però, dai fatti, che Guénon, pur ricevendo l'iniziazione isalmica nel 1912 (dal pittore svedese Ageli, legato ad ambienti sufici, notoriamente poco favoriti, se non addirittura ostacolati e talvolta repressi, dagli stessi islamici), non evitò di celebrare il suo primo matrimonio secondo il rito cattolico.
Fino al 1930, quasi nessuno sapeva della sua cosiddetta "conversione". Proprio per questo potè scrivere su riviste come "La France Antimaçonnique" o "Regnabit" (del resto, Guénon era considerato, tra i cattolici e i nazionalisti francesi, una specie filo-induista). Avrebbe avuto qualche difficoltà, inoltre, se si fosse dichiarato islamico quando andò ad insegnare filosofia nel collegio di Blois... Come esempio di "vita da islamico" mi pare almeno discutibile.

La decisione di partire per il Cairo, e quindi di vivere da islamico, è successiva a forti sconvolgimenti della sua vita abitudinaria (la morte della moglie, ad esempio). Oltretutto, a dispetto di chi lo pensa come una sorta di fondamentalista ante litteram, il suo trasferimento in Egitto appare legato a situazioni del tutto fortuite.

Saluti

Mjollnir
22-07-03, 19:56
In Origine Postato da telemaco
Prima di tutto saluto ogni lettore e frequentatore di questo interessante forum, nel quale intervengo per la prima volta.


Benvenuto :)

Vahagn
23-07-03, 13:34
Originally posted by telemaco
Prima di tutto saluto ogni lettore e frequentatore di questo interessante forum, nel quale intervengo per la prima volta.

Si dice che Guénon visse e morì da islamico. Sappiamo, però, dai fatti, che Guénon, pur ricevendo l'iniziazione isalmica nel 1912 (dal pittore svedese Ageli, legato ad ambienti sufici, notoriamente poco favoriti, se non addirittura ostacolati e talvolta repressi, dagli stessi islamici), non evitò di celebrare il suo primo matrimonio secondo il rito cattolico.
Fino al 1930, quasi nessuno sapeva della sua cosiddetta "conversione". Proprio per questo potè scrivere su riviste come "La France Antimaçonnique" o "Regnabit" (del resto, Guénon era considerato, tra i cattolici e i nazionalisti francesi, una specie filo-induista). Avrebbe avuto qualche difficoltà, inoltre, se si fosse dichiarato islamico quando andò ad insegnare filosofia nel collegio di Blois... Come esempio di "vita da islamico" mi pare almeno discutibile.

La decisione di partire per il Cairo, e quindi di vivere da islamico, è successiva a forti sconvolgimenti della sua vita abitudinaria (la morte della moglie, ad esempio). Oltretutto, a dispetto di chi lo pensa come una sorta di fondamentalista ante litteram, il suo trasferimento in Egitto appare legato a situazioni del tutto fortuite.

Saluti

Ricambio anch'io i saluti, e mi compiaccio per la presenza di un altro forumista competente sulla scivolosa materia guénoniana.
Condivido le tue osservazioni sul Guénon "islamico", la natura della cui "conversione" si comprende sollo alla luce di quanto da lui stesso scritto (specie nel capitolo XII di "Iniziazione e realizzazione spirituale", e da me più sopra postato).
Ps. Curiosa la ricorrente presena di svedesi ... Non solo il suo maestro sufi fu svedese, ma anche il suo discepolo più diretto (il segretario al Cairo) lo fu: Martin Lings, poi prolifico divulgatore perennialista.

Senatore
23-07-03, 14:20
Del nostro amico svedese sta per uscire una raccolta di scritti edita da marco valerio. Mi scuso se c'entra poco con questo forum, ma dal momento che è stato citato...


SCRITTI PER "LA GNOSI",
di 'Abdul-Hadi

Inizialmente collaboratore della rivista "Il Convito", pubblicata al Cairo in arabo e in italiano, lo svedese John Gustav Agelii, alias Ivan Aguee'li (1869 - 1916 o 17) divenne tra il 1910 e il 1912 firma di spicco del periodico parigino "La Gnose" per il quale redasse una lunga serie di articoli integralmente raccolti nel testo che presentiamo.
Conoscitore di quasi tutte le lingue europee e semitiche, dopo rilevanti esperienze spirituali e politiche in Occidente, Agelii soggiorno' a lungo in India.
La sua attrazione per il mondo e la cultura araba (amava in particolare l'intera opera del maestro sufi Ibn 'Arabi) lo indussero a convertirsi all'Islam e ad adottare l'abbigliamento tipico della tradizione musulmana. Muto' anche identita', divenendo per tutti 'Abdul-Hadi.
Il suo incontro con la Chiesa Gnostica di Parigi avvenne nel 1910: fu proprio lui, tra l'altro, ad iniziare Rene' Guenon ai misteri dell'esoterismo islamico, alla "tariqa" dello sceicco 'Ilaysh el-Kebir.
Di idee libertarie, femminista, entusiasticamente ribelle ad ogni forma di conformismo precostituito, 'Abdul-Hadi fu interprete del misticismo islamico al di la' di ogni dogma.
Nel corso della vita non scrisse mai un solo libro. I suoi insegnamenti sono tutti racchiusi negli interventi redazionali per la prima volta presentati con quest'opera in lingua italiana, dai quali traspare prorompente la convinzione dell'autore che l'Oriente sia culla di immensa saggezza e di dottrine segrete accessibili a pochi. "Scritti per La Gnosi" offrono quindi l'opportunita' di sollevare finalmente la cortina del mistero che avvolge la vera essenza dell'Islam e penetrare nell'universo gnostico di una tradizione al di la' di ogni ragionevole aspettativa.

Otto Rahn
23-07-03, 15:52
Un femminista iniziò Guénon?
Sembra quasi uno scherzo!
Beh!

Boh!

Senatore
23-07-03, 16:12
Io mi sono limitato a riportare dal sito dell'editore, per cui non è detto che sia da prendere per oro colato.
Ogni tanto certi atteggiamenti che hanno un senso sul piano iniziatico, non ne hanno alcuno o ne hanno di deteriori nel campo profano. Non credo che ciò stupisca alcuno in questo forum, ove sono noti a tutti i tratti del dionisismo o gli atteggiamenti dei luperci. Comunque sto solo facendo una ipotesi.
D'altra parte c'è anche il principio della silsilah: per intenderci a certe condizioni per il diritto canonico anche l'ultimo dei cretini può amministrare il battesimo.

Otto Rahn
23-07-03, 17:10
Caro Senatore intendiamoci io non mi stupisco più di niente a questo mondo da quando Cicciolina si buttò in politica
;)

Vahagn
23-07-03, 18:01
Originally posted by Senatore
Del nostro amico svedese sta per uscire una raccolta di scritti edita da marco valerio. Mi scuso se c'entra poco con questo forum, ma dal momento che è stato citato...


SCRITTI PER "LA GNOSI",
di 'Abdul-Hadi



Invece, del suo maestro per quanto riguarda la via del Tao, Albert-Eugène Puyou de Pouvouirville, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Matgioi, si può trovare "La via Taoista", LibrItalia, 1997, pp. 250, L. 24000.

Otto Rahn
24-07-03, 08:54
Un articolo che si ricollega ad alcuni punti emersi qui:
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/011111.htm

telemaco (POL)
24-07-03, 17:21
Originally posted by Vahagn
Ma è proprio sostenere che Guénon "neghi al mondo greco-romano, i ''crismi'' della tradizionalità" che è il tuo (vostro) punto di partenza infondato. Questo il senso delle citazioni.
Guénon non lo nega (come si può dire ciò?!), ma afferma che vi nacque la modernità ...

Questo è, infatti, uno dei punti più discussi dell'opera guénoniana. Io posso, però, rilevare questo aspetto: quando Guénon espone il suo giudizio sull'antichità greco-romana in generale, esso è sostanzialmente negativo; ciò nonostante, in moltissimi suoi articoli fa riferimento ai miti, ai riti e ai simboli di quella medesima area culturale a dimostrazione dell'unità principiale delle tradizioni.
Quindi, rispetto alla civiltà greco-romana il suo giudizio è fortemente critico, ma recupera i dati tradizionali che in essa pure vi erano.

Non giudico questo atteggiamento di Guénon, mi limito a segnalarlo.

Mjollnir
24-07-03, 21:11
In Origine Postato da Vahagn
Caro Mjollnir, ricordo che esprimesti questo parere scettico sul simbolismo di Guénon già un anno fa, subito dopo aver comprato “Simboli della Scienza Sacra” come primo libro guénoniano.
Mi pare di capire che ciò che suscita il tuo scetticismo, nei confronti della origine comune (primordiale) dei simboli tradizionali, sia: il modo di scrivere di Guénon che non si avvale quasi mai dell’armamentario degli accademici, in particolare l’apparato delle note è scarso o non esplicitato, e il testo è più un riassunto divulgativo che un saggio ipertecnico (in genere, poiché nei libri sulla matematica il livello tecnico è invece alto), considerato anche che egli scrisse in forma di articolo per riviste di lettori già addentro le tematiche spiritualistiche. Ebbene, questo stile non è invece fatto proprio da altri perennialisti, come per esempio Ananda Kentish Coomaraswamy, il quale fa della nota e della citazione un tratto a volte perfino fastidioso per puntigliosità e scientificità filologica. Sto leggendo ora una sua antologia francese postuma di scritti sul sacrificio, curata da Gérard Leconte, e ti assicuro che tutti i passaggi sono più che esplicitati, con piglio quasi teutonico (Coomaraswamy si formò accademicamente in Inghilterra, il che però non gli impedì di mantenere un distacco sostanziale dalla cultura modernista).
Dall’analisi dei dati a nostra disposizione, il metodo tradizionale stabilisce inequivocabilmente: a) l’origine non-umana della Tradizione; b) il concordare di fondo delle sue forme particolari, l’unicità dello “spirito” nonostante la varietà della “lettera”. Ecco che i tratti di civiltà non posseggono affatto il carattere del caso o le ragioni della storia, ma si inseriscono in un disegno chiaro la cui chiave sta nell’insegnamento iniziatico della metafisica, e di cui il tradizionalismo integrale è la parte divulgativa, diciamo così metodologica. Ecco che l’incredibile complessità e intreccio di dati di diverso ordine, culturale, etnico, psicologico, etc., trovano una granitica e sicura disposizione nella chiave tradizionale, che li sottrae alla pletora di ipotesi individualistiche soggette alla moda culturale del momento (evemerismo, razionalismo, storicismo, nazionalismo…) per restituirli all’unico fine per cui quei simboli furono adoperati: il nostro “risveglio” alle realtà di ordine superiore.
Mi rendo conto che una ricerca di prima mano sugli scritti dei perennialisti non è cosa sempre agevole (tempo e soldi spesi cmq meglio di quelli devoluti a storici e filosofi vari – a mio avviso). Vi sono però agevoli ed eccellenti libretti riassuntivi, come quello pubblicato dalle Ar: “I fondamenti della politica tradizionale secondo A.K. Coomaraswamy” di Philippe Baillet, oppure quello di Walter Heinrich: “Sul metodo tradizionale” pubblicato da Settimo Sigillo, che consiglierei veramente sia come lettura propedeutica che sostitutiva (a seconda delle esigenze).
Di taglio invece storicistico e antitradizionale il libretto della cerchia di Introvigne: “Esoterismo e tradizione”, di Antoine Faivre, che ho cmq trovato molto utile come lavoro bibliografico, e che consiglierei anche a chi voglia prendere contatti.

Non si tratta solo di questo; ad es, mi sembra di trovare delle oscillazioni anche sul problema molto delicato delle "forme esteriori" e delle relative conversioni. Da un lato l'impianto generale del discorso potrebbe al limite essere accettabile, a condizione che:

1- la differenza e molteplicita' delle forme esteriori non solo non sia dovuta al caso, alla materialita' o all'ignoranza, ma al contrario sia considerata "provvidenziale" e consustanziale al dispiegarsi del divino nel mondo;

2- in forza di cio' sia assegnata ad ogni forma una giurisdizione, un dominio spazio-temporale che possa organizzare e dare forma alle isitituzioni ed alle comunità umane esistenti e - al contempo - che eviti il conflitto, il proselitismo, l'espansionismo.

3- che la realizzazione dell'unita' delle vie sia una tendenza all'opera all'interno della dimensione storica e non una realta' completamente in atto, pena il radicale svuotamento e caducita' delle forme stesse.

Inoltre, lo scritto sulle conversioni mi sembra prospettare un atteggiamento piuttosto ambiguo dell'uomo realizzato rispetto alle forme particolari, la cui "frequentazione" ed adesione rischia di diventare al limite puramente arbitraria. Il che:

reintroduce dalla finestra l' habitus individualistico che la metafisica avrebbe dovuto escludere;
sconfessa il principio della corrispondenza tra una unica forma con un determinato ambito culturale.


Insomma, le aporie + che dissolversi si moltiplicano addentrandosi nell'opera di Guenon.

Vahagn
26-07-03, 18:59
Punti 1 e 2. Beh, da tantissimi passaggi si deduce che è così (cioè che la Tradizione primordiale si è riverberata e manifestata in maniere molteplici a seconda della predisposizione delle comunità in cui doveva manifestarsi). E questa, a voler considerare il punto di vista della religione comunitaria (cioè a livello di base in una comunità), sarebbe la situazione ideale. Ma tu sai che i cicli storici, per realizzare tutte le loro possibilità, hanno bisogno anche dell’infrazione, come motore. Vi sono esigenze oltre-umane che non corrispondono alle nostre esigenze, e che fatichiamo a comprendere. Pensa a quante volte popoli arii (che pure non erano esclusivisti in senso assoluto) hanno calpestato e inglobato culture preesistenti, specie le ormai isterilitesi culture matriarcali e ctonie. Analogamente il passaggio, solo in Occidente, dalle religiosità poliformi pagane a quella di tipo teologico, corrisponde a mio avviso a questa logica di adattamento della Tradizione all’ambiente divenuto ormai “ostile” (ovvero “indurito”, “solidificato”, tutte metafore per indicare l’allontanamento dalla facoltà dell’intellettualità pura). Evidentemente la logica divina ha ritenuto giusto sacrificare diversi aspetti formali, per salvarne alcuni più fondamentalmente importanti. Se è indubbio che tutta una serie di aspetti di civiltà è stata cassata dal cristianesimo (e che i legittimi rappresentanti avevano tutto il diritto di difendersi, e difatti l’hanno fatto), è altrettanto indubbio a mio avviso che la logica divina ha cercato di scongiurare una trasformazione incipiente (e spesso galoppante) in senso esterioristico e una decadenza dei principii, che le pur lodevoli èlites filosofico-iniziatiche non sarebbero riuscite ad scongiurare.
Inoltre, ciò che ti sembra “ambiguo” del discorso dell’inconvertibilità dell’uomo realizzando, va compreso all’interno della prospettiva non comunitaristica, ma iniziatica. Guénon descrive il punto di vista dell’iniziazione, e chi viene iniziato ha una consapevolezza in più, rispetto a chi porta avanti i suoi riti comunitari ma non è qualificato più di tanto per entrare nella comprensione del vivo del sacro (per non parlare di chi si identifica totalmente colla laicità e il sacro non sa nemmeno dove stia di casa).
Per capire, almeno in senso generale e introduttivo, che cos’è questa benedetta iniziazione, vi sono i due libri di Guénon : “Considerazioni sulla via iniziatica” e “iniziazione e realizzazione spirituale”. Ma anche senza leggere un “tecnico” perennialista, vi sono magnifici libri di storici profani, come p.es. quello di Victor Magnien pubblicato dalle Ar sui Misteri di Eleusi, per rimanere a quella che fu la più famosa iniziazione greca. E’ chiaro che per uomini del genere (per non parlare di coloro che arrivavano ad accedere ai “Grandi Misteri”) doveva significare ben poca trasgressione il passare ad usufruire una via “straniera”, come fu per Plotino il viaggio in Asia, p.es.

Mjollnir
19-07-04, 00:52
:rd

Satyricon
25-07-04, 18:19
Originally posted by janus77
Caro Satyricon,

precisando che Guènon non nega l'unità indoeuropea (René Guénon, in Etudes traditionelles, n. Marzo del 1940 , ove parla tranquillamente di migrazioni arie, precisando alcuni aspetti dell'iniziazione),

Buon Janus,
Non ho letto l’articolo in questione, però nell’Introduzione generale allo studio delle dottrine indù il Guenon scrive: “ Per conto nostro non crediamo affatto all’esistenza di una razza “indo-europea”, quand’anche si smetta di chiamarla “ariana”, il che non nessun senso; ma è significativo che gli eruditi tedeschi abbiano dato a questa razza immaginaria il nome di “indo-germanica”, e si siano industriati a sostenerne l’ipotesi verosimile sostenendola con molteplici argomenti etnologici e soprattutto filologici.[…] la reale rassomiglianza tra le lingue dell’India e della Persia e quelle d’Europa non è affatto la prova di una comunanza di razza […] è noto infatti quanto sia facile per un’infima minoranza, in circostanze particolari, imporre la propria lingua, insieme con le proprie istituzioni, alla massa di un popolo straniero, quand’anche ne sia assorbita etnicamente in breve tempo” (pag. 219).
Secondo lo studioso francese infatti “la tradizione di cui parliamo fu portata nella contrada che è l’India attuale in un’epoca più o meno remota (e che sarebbe piuttosto difficile precisare) da uomini venuti dal Nord secondo certe indicazioni che abbiamo già riferito; peraltro non è provato che questi migratori, che dovettero successivamente fermarsi in regioni diverse, abbiano costituito, almeno in origine, un popolo vero e proprio, e nemmeno che siano appartenuti primitivamente ad una razza unica […] prima di stabilirsi in India questa stessa tradizione apparteneva ad una civiltà che noi non chiameremo “ariana” avendo già spiegato perché è una parola priva di senso”. (pag 129).
Nello stesso libro si esprime in termini non certo lusinghieri su Max Muller (“bizzarrie degli orientalisti” chiama alcune sue considerazioni) che degli studi indoeuropeistici è il padre e mostra di non di credere affatto all’uso in senso etnico/razziale della parola Arya che per lui ha un valore meramente castale.




Quelle che chiami manchevolezze (su di esse uno grande storico delle religioni come Alfredo Cattabbiani non concordava molto!) le valuterei con calma, essendo frutti di giudizi soggettivi: l'idea di un Centro Occulto, di una contrada magica non credo sia un'invenzione guenoniana...un sufi o un rosacroce non la penserebbe al tuo stesso modo.

Ave atque Vale

Sull ‘Agartha
Secondo J.M.Rivière ( Kalachakra tantra. Iniziazione tantrica del Dalai Lama) il mito di Agarthi di contro al vero mistero di Shambala sarebbe un’invenzione dell’occultista ottocentesco Louis Jacolliot, ripresa dal martinista Saint Yves d’Alveydre e quindi da Ossendowski , autori a cui Guenon, pur con alcune riserve, fa esplicito riferimento.
In realta’ non esiste in Tibet o in Mongolia o in India nessuna leggenda e nessun mito che parla di un reame sotterraneo (ne parlano invece le fantasie teosofiche sulla Gran Loggia Bianca che governerebbe segretamente il mondo), essendo il regno di Shambala qualcosa di profondamente diverso (non solo per la polarità in quanto reame sopramondano e non sotterraneo).
Molti orientalisti dichiarano esplicitamente che “il nome pare di fantasia” (Marco Pallis), altri sono ancora più espliciti: la viaggiatrice ed studiosa del buddismo tibetano Alexandra David-Neel visse a lungo in Tibet ed interrogò anche le massime autorità religiose sulla leggenda dell’Agartha e scrisse in merito: “L’Agartha è una favola sconosciuta in Tibet. Mi è accaduto di parlarne a suo tempo al defunto Dalai Lama (XIII°). ‘Ci prendete per delle talpe?’ ebbe a dirmi. E il Penchen Tachi Lama ha riso ‘Io non voglio offendervi, mi ha detto, voi sapete che al di fuori della produzione di macchine e cose analoghe, gli Occidentali non sono affatto intelligenti, ma non avrei mai supposto che essi fossero tanto stupidi da immaginare tali cose’.”. (“A propos de l’Agartha”, Atlantis n.131, sett.1943 citato da Marco Baistrocchi nel suo “Agarttha: una manipolazione guenoniana?” in Politica Romana 2/1995); analoghe considerazioni sono state espresse anche recentemente dalle autorità lamaiste.
En passant noto come l’autentica tradizione del mistico Reame di Shambala e del suo 25° Re si ponga più in opposizione alle religioni abramitiche che in analogia con queste; è infatti parte essenziale della sua escatologia proprio lo scontro tra le forze della luce e le orde barbariche rappresentate quest’ultime essenzialmente dai mussulmani (“E così che egli vincerà, nel paese di Rum i Mleccha e la volontà di separazione (krt-Mati) che insegna la religione dei Mleccha" R. Bleichsteiner, La voie vers Shambala )

Saluti
P.S. Le tue considerazioni su Giano sono senz'altro valide e ben spiegate, ma Del Ponte parlava, molto più semplicemente, dell'aspetto iconografico romano...

janus77 (POL)
25-07-04, 19:29
Caro Satyricon,

l'idea del Guènon venne meglio espressa, nell'articolo che ti ho citato, anche al suo rapporto sia con Evola, sia col Reghini. Chi ti scrive, profondamente convito del mondo e della visione del mondo indoeuropea, che è romano-elleno-germanica (come la definisce il buon Casalino), considera riferimenti validi in questione, più che Muller, studiosi della portata di Dumezil, Filippani Ronconi.


Conosco bene le argomentazioni di chi critica il mito di Agartha e mi sembrano scontate le risposte delle autorità tibetane, verso dei profani. Sull'inesistenza di riferimenti mitici, ti consiglio gli approfondimenti di Miguel Serrano e di G. Ventura (Le vie della Tradizione)...il Saggio non disturbi, con la propria sapienza, la mente dell'uomo volgare!

Su Giano, Del Ponte avrebbe fatto bene a precisare che la sua ricerca si situava in un ambito storico-religioso, senza parlare di fandonie o di pericolose fantasie...a Roma l'iniziazione, legata senza dubbio a Giano, poteva essere solamente eroico-marziale...Marte come elemento Ferro che si sublima tramite l'Acqua mercuriale...non sono forse i fabbri che sublimano il ferro tramite l'acqua, "fabbricando" l'acciaio???


Ave atque Vale

janus77 (POL)
25-07-04, 19:35
AGARTTHA E SAMBHALA



Nell'ormai famoso libro “Il mattino dei maghi” di Louis Pawels e Jacques Bergier, la seconda parte, “Alcuni anni nell'altrove assoluto”, tratta particolarmente del nazismo e delle sue pretese collusioni con società segrete di carattere esoterico che i due autori definiscono luciferine se non addirittura sataniche.
“Secondo Trebich Lincoln (che si assicura di essere in realtà il lama Giorgi Den), scrivono alle pagine 326-327 del loro libro (edizione italiana, Mondadori, 1963) i due autori, la società dei Verdi, parente della società Thule, aveva la sua origine nel Tibet.
A Berlino, un monaco tibetano, soprannominato “l'uomo dai guanti verdi”, che per tre volte fece annunciare sulla stampa con esattezza il numero dei deputati hitleriani che avrebbero fatto parte del Reichstag, riceveva regolarmente Hitler.
Era, dicevamo gli iniziati, “detentore delle chiavi che aprono il regno di Agarthi”.
Ecco chi ci riconduce a Thule.
Nel momento in cui si pubblica Mein Kampf appare anche il libro del russo Ossendowsky, Uomini, Bestie e Dei, in cui per la prima volta sono fatti pubblicamente i nomi di Schamballah e di Agarthi. Questi nomi riappariranno sulla bocca dei responsabili dell'Ahnenerbe al processo di Norimberga.
“Secondo la leggenda, tale e quale senza dubbio fu riferita ad Haushoffer verso il 1905, e tale e quale la racconta a modo suo Réné Guénon nel “Le Roi du Monde” dopo il cataclisma del Gobi, i maestri dell'alta civiltà, i figli delle intelligenze del Difuori, s'installarono in un immenso sistema di caverne sotto la catena dell'Himalaya. Nel cuore di quelle caverne si scissero in due gruppi, seguendo l'uno la “via della mano destra”, l'altro la “via della mano sinistra”. La prima via avrebbe avuto il suo centro in Agarthi, luogo di contemplazione, città nascosta del bene, tempio della non partecipazione al mondo.
La seconda sarebbe passata per Schamballah, città della violenza e della potenza le cui forze comandano agli elementi, alle masse umane, e affrettano l'arrivo dell'umanità alla “cerniera dei tempi”. Ai maghi condottieri di popoli sarebbe stato possibile fare un patto con Schamballah mediante giuramenti e sacrifici”.
Tale il testo de “Il Mattino dei maghi” alle pagine citate. Precisiamo che nella nostra messa a punto, che seguirà, non abbiamo alcuna intenzione di criticare le affermazioni dei due autori né le impressioni che possono generare nei lettori di massa ai quali il loro libro è diretto.
Noi ci rivolgiamo a chi ha orecchi per intendere e solo a quelli.
Non vorremmo, infatti, che quanto di nuovo (o almeno di poco noto) ci accingiamo a scrivere, possa essere inteso come una presa di posizione in favore (o contro) di teorie o tendenze di carattere politico o sociale.
Noi ci occupiamo di simbolismo tradizionale, amiamo la verità e, per raggiungerla, ci basiamo su argomenti che non possono essere smentiti e che servono a smascherare, ovunque essa possa allignare, la controiniziazione o i tentativi per giungere ad essa.
Ciò detto, dobbiamo sottolineare che Pawels e Bergier, nel loro breve accenno alla questione che ci interessa, senza entrare in quei particolari che sarebbe stato necessario affrontare, e dopo aver elegantemente dato del bugiardo a Réné Guénon, riepilogano in poche righe una “leggenda” sulla quale si potrebbero scrivere volumi, citano Ossendowsky senza specificare che cosa egli abbia scritto nel suo “Betes, Hommes et Dieux”, affermano erroneamente ch'egli fu il primo a parlare dell'Agarthi, ignorano completamente Saint Yves d'Alveydre e il suo “Mission de l'Inde” e non ai curano per niente di quello scrittore di romanzi d'avventure, ben noto in Francia e altrove, Louis Jacolliot, il quale veramente, per primo in Europa, dette cenni probanti dell'esistenza in India (e, almeno, di una leggenda su tale esistenza) di una società iniziatica ch'egli indicò come “Gli Spiriti delle Acque”.
Chi scrive, lesse da ragazzo (come tanti altri della sua età), il libro dello Jacolliot “Il Corridore delle jungle” che si pubblicava, allora, in dispense settimanali a cura della casa editrice Sonzogno di Milano, al prezzo di 50 centesimi l'una.
Eravamo nel 1921.
Qualche anno dopo, nel 1927, trovandosi in India per ragioni della sua professione, ancor fresco del ricordo di quanto letto nel romanzo, lo scrivente tentò di raccogliere notizie sugli “Spiriti delle Acque” e sul suo capo visibile, il Brahmatma.
Ne ebbe varie risposte, quasi tutte vaghe: un dato solo combaciava ed era che si sarebbe trattato di rielaborazione di leggende, se non addirittura di miti legati alle tradizioni letterario-religiose hindù, e probabilmente rispolverate ai tempi della rivolta dei cipayes del 1857 quando molti potentati indiani tentarono di trascinare tutta la popolazione dell'India alla rivolta contro la Compagnia delle Indie per sottrarsi alla dominazione inglese, facendo leva, appunto, su antiche profezie.

Gli Spiriti delle Acque

Louis Jacolliot, il cui romanzo è inquadrato in quell'epoca, presenta questa misteriosa società sotto l'aspetto di un Ordine iniziatico (esistente, a suo dire, fin dall'invasione musulmana dell'India) funzionante in tre gradi: Sercars, Soubèdar, Gémédar.
Tra i Gémédar erano scelte sette persone che componevano il Gran Consiglio dei Sette nel quale, a turno, erano estratte tre persone che, a loro volta, componevano il Tribunale dei Tre i cui membri assumevano i titoli di Adytia, Dwita e Paya (rispettivamente: “Il figlio dell'indivisibile”, “Il due volte nato” “Il più giovane”).
Questo supremo tribunale era, a sua volta, sotto il controllo degli altri quattro membri del Gran Consiglio, riuniti in Consiglio dei Quattro.
Il Gran Consiglio dei Sette governava sotto la presidenza di Adytia, Capo occulto degli Spiriti delle Acque.
Altro capo, visibile questi e a tutti noto, era il Brahmatma (Anima di Brahma), con funzioni esecutive.
Egli governava in nome del Gran Consiglio dei Sette e del Tribunale dei Tre ed aveva ai suoi ordini un numero indefinito di esecutori di giustizia che ponevano in atto le sentenze pronunciate dai Tre che il Brahmatma passava loro.
Da tenere presente, perché molto indicativo, che il Consiglio dei Quattro era a capo delle quattro regioni periferiche dell'India, poste a Nord, Est, Sud, Ovest di una quinta rogione, centrale, diretta e e gogovernata dai tre membri del tribunale, in collegio.
Lo scrittore poneva la sede dell'Ordine nel centro geografico dell'India, nell'antica e diroccata città di Bedjaphur, nel Deccan, in un antico palazzo a sette piani già appartenente alla antichissima dinastia degli Omrahs, che Aureng-Zeb, il conquistatore musulmano dell'India, non era mai stato capace di distruggere.
Il Brahmatma risiedeva nel Jahara-Baugh (palazzo dei Santi Nomi). Gli esecutori di giustizia usavano un pugnale sulla cui lama era incisa la scritta: In nome del Buono, del Potente, del Giusto.
Gli editti dell'Ordine erano affissi sull'Albero del Villaggio, e il motto dell'Ordine era la parola sacra AUM.
Le sentenze erano pronunciate nel nome dell'Eterno Swayambhouvah e degli Spiriti superiori che navigavano sulle Acque.
I Tre si dichiaravano ispirati da Narayana, uscito dall'Uovo d'Oro.
Non vi è chi non veda, in queste indicazioni dello Jacolliot, quanto di simbolico e di tradizionale ci sia, e come gli Spiriti delle Acque corrispondano a quanto scrissero Saint Yves d'Alveydre e Federico Ossendowsky sull'Agarttha e l'Agarthi, e René Guénon sul Re del Mondo.

Osserviamole analogicamente e tradizionalmente:

Gli Spiriti delle Acque sono poi, più chiaramente indicati, come quelli che navigano nulle Acque e in ciò c'è un chiarissimo accenno se non addirittura un'identificazione con Coloro che sono al disopra della Vita (com'è affermato in tutte le Tradizioni). Basti ricordare: "... e lo Spirito di Dio aleggiava sulle Acque” della Bibbia, e per la tradizione hindù (cfr. Atharva-Veda-Skambha X. 7-41l) “… galleggiante sull'onda/ Egli è in verità Prajapati nascosto”, dove il Prajpati vedico-upanishadico si individua con Brihaspati, Signore della Parola. (Cfr. anche, Ibid. X. 8): “Quelli per cui soffia il vento una volta posto in moto / Che tengono unite le cinque nazioni / questi Dei che stanno al di là dell'offerta, / questi ordinatori delle Acque, quanti sono?”. Citazione, questa, che illumina anche quanto si dirà al successivo numero 4.
Il Brahmatma. o Anima di Brahma, capo visibile, in quanto Avatara o incarnazione della stessa Anima di Brahma (Cfr. quanto si dirà su Kalkin).
Il capo invisibile, Adytia; nome del primo dei dodici Dei parto riti da Adita (L'Infinità-Caos, secondo i Veda. (Cfr. Rig-Veda X. 7, 2).
I Sette, derivati dall'Uovo Cosmico spaccato in due, che rappresentano le sette regioni dello Spazio: i quattro punti cardinali (individuabili nelle quattro regioni periferiche dell'India), lo Zenith, il Nadir, e il Centro, formanti la quinta regione governata dai Tre (cfr. Brihad-Aranyaka-Upanisad).
Gli Esecutori di giustizia, facenti capo al Brahmatma, facilmente identificabili negli Ksatryia di Kalkin (del quale parleremo più avanti.
La giustizia eseguita sugli usurpatori in nome del Buono, del Potente, del Giusto (che è poi identificato nell'Eterno Swayambou-vah, ossia nel primo Manu del nostro Kalpa).
L'Albero del Villaggio, dove si affigge l'editto del Brahmatma, cioè l'Albero del Bene e del Male, che sorge nel Centro del mondo.
La residenza del Brahmatma nel Palazzo dei Santi Nomi; corrispondente in modo chiarissimo alla Terra Santa, o dei Santi, e dei Viventi.
L'ispirazione dei Tre proveniente da Narayana e cioè da Vishnu (vedremo poi che Vishnu si identifica con Kalkin, sua decima ed ultima incarnazione, alla fine del nostro Kali-yuga).
Il motto AUM, retta pronuncia della sillaba OM, parola segreta, sacra, di origine sconosciuta, anteriore al sanscrito: il più alto appellativo dell'Eterno, che è anche l'origine di tutte le parole, e che è probabilmente il nome di Brihaspati, il Signore della formula Sacra, Signore della Parola (Cfr. Rig-Veda X. 71) e che contemporaneamente indica la Favella... "la dominatrice, quella che raduna i tesori ecc." (Cfr. Rig-Veda X. 125).
Indubbiamente, lo Jacolliot, o non comprese quanto emergeva dai dati da lui raccolti durante il suo soggiorno in India e se ne servì per raccontare una storia fantastica, oppure, come è più probabile, li occultò sotto la presentazione di un Ordine essoterico, politico-religioso, per non tradirne il reale significato.
Questa nostra impressione è confortata dal fatto che nelle esposizioni di quanto si riferisce agli Spiriti delle Acque, disperse in più parti del suo romanzo, lo Jacolliot fece indicare le frasi simboliche in corsivo.
In sostanza Louis Jacolliot, senza approfondire un argomento tanto impegnativo (e non ve n'era motivo in una narrazione come la sua) lo ha però esposto in maniera tale che un autentico manifesto non potrebbe dire di più a chi sa intendere.
Le analogie con quanto scritto da Saint Yves d'Alveydre e dal l'Ossendowsky, poi illustrato tradizionalmente e magistralmente inquadrato dal Guénon, cono evidenti e chiarissime.
Manca soltanto la qualifica, quel nome di Agarttha (o Agarthi) indicato dai due autori e che, d'altronde, significando " inaccessibile" o "introvabile", è solo un'indicazione puramente simbolica che, con ogni probabilità, non ha neppure tradizione in senso lato oltre quel la di un'aggettivazione.
Jacolliot pone la sede degli Spiriti delle Acque in una città antica, diroccata, che ai trova nel centro geografico dell'India, città ch'egli indica come la capitale di una antichissima dinastia hindù. Si tratta ovviamente di Sambhàla, la città nascosta, diroccata e muta di cui parleremo più avanti e che si identifica anche con quella città "della violenza" di cui parlano, senza saper di che violenza si tratta, Pawels e Bergier, perché da essa partono gli ordini per gli esecutori di giustizia che devono sterminare gli usurpatori. Città nella quale, come traspare dalla narrazione dello Jacolliot, si spera che un giorno risorga la vita di un tempo e che il Palazzo dei Santi Nomi si illumini di mille luci.
Insomma, diventi Agarttha.
In realtà, se vogliamo seguire la tradizione hindù su questo centro rifacendoci al ciclo eroico dal quale discende, e di cui tanto bene l'autore del "Corridore delle jungle" esprime il senso occulto quando insiste sul suo scopo di colpire gli usurpatori, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione ai miti di Rama e Vishnu.
Ne ricaveremo subito la spiegazione tradizionale, piena, evidente, e ci potremo render conto dell'interpretazione errata data dagli autori del "Mattino dei Maghi" a Schamballah, città della violenza.

LA KALKIN-AVATARA

Dicono i "Purana" che Vishnu discenderà sulla Terra una decima volta come Kalkin-Avatara.
Inforcando un bianco destriero fornitogli da Shiva e brandendo una spada fiammeggiante procederà alla liberazione del mondo dai suoi nemici e vi riporterà la verità e la pace distruggendo coloro che le hanno usurpati Il nome di questo Ksatryia è Kalkin.
Va qui specificato che la caratteristica principale di Vishnu, rappresentante la sattva, o giustizia-bontà che sostiene la vita, è quella di incarnarci nei momenti critici dell'umanità per liberarla dal male rappresentato dalle forze negative.
La Kalkin-Avatara si riallaccia al mito di Paracurama il quale, dopo aver sterminato i ribelli (leggasi i degeneri, coloro che hanno perduto la virilità spirituale, gli usurpatori della Verità; in altre parole le forze negative) della sua epoca, compresa fra la fine dell'età dell'argento e l'inizio di quella del bronzo (rispettivamente tetra-yuga e dvapara-yuga) uccide sua madre (la forza tellurica che sconvolge il mondo degli umani, la Kali) e una volta ristabilita la Verità, si ritira a vita ascetica sul Mahendra (altissimo monte forse geograficamente identificabile nell'Himalaya) dove vive attraverso i secoli fino a quando giunti i tempi prestabiliti, e cioè verso la fine del Kali-yuga (l'epoca attuale, corrispondente all'età del ferro, ultima del nostro ciclo) apparirà Kalkin, che vincerà le forze oscure, disperdendo gli usurpatori e dando inizio ad un nuovo ciclo dall'umanità (Cfr. Mahabharata III, XI, XIV, Julius Evola: “Il mistero del Graal”; G. Ventura: “Sarà Gandhi la decima incarnazione di Vishnu?”).
Kalkin nasce, ovvero si manifesta, nella città di Sambhala dove è istruito da Paraçu-Rama che gli insegna quanto deve fare e perché.
Kalkin, con i suoi ksatryia, attraversa a piedi asciutti un mare, e lotta contro Kali (l'età oscura) e contro i di lei seguaci guidati dai demoni Koka e Vikoka, e no esce vittorioso dopo esser ripassato per Sambhàla che, da città nascosta, diroccata e muta è diventata viva e splendente tanto da sembrare il soggiorno di Indra, Dio degli Eroi.
Ecco, dunque, identificato il “diabolico” centro della violenza e del male che gli autori del “Mattino dei Maghi”, incuranti di documentarsi prima di scrivere, chiamano Schamballah accusandolo di aver ispirato Hitler ed i nazisti e di aver provocato stragi e sacrifici umani.
In realtà, come appare chiaro e incontrovertibile da quanto detto, si tratta di una città o di un centro solare, centro della giustizia, evidenziato dall'essere la sede di Paraçu-Rama, di Vishnu e di Indra.
Com'è chiaramente detto nella tradizione hindu, Vishnu è un'ipostasi del sole ciò che piega il suo apparire in forma visibile, identificabile e identificata, agente in virtù di forze superiori, positive, seppure, com'è ovvio, occulte agli uomini.
Ciò identifica Kalkin nel Brahmatma e spiega perché “Sette Spiriti superiori che “navigano sulle Acque” e di cui è a capo Adytia, siano invisibili.
Nel suo romanzo, infatti, lo Jacolliot presenta i Sette sempre ricoperti da veli (sono quindi velati) e con una maschera, e sono ignoti a tutti gli iniziati.
Solo il Brahmatma è visibile, identificabile e identificato.
Qui ci sembra opportuno stabilire l'evidente analogia fra la Kalkin-Avatara della fine del Kali-yuga con altre tradizioni, delle quali ci accontenteremo di indicarne due: quella cristiana del ritorno del Cristo “quando i tempi dei Gentili siano compiuti” (Luca, XIII, 24) ovvero dopo “che il fratello ucciderà il fratello e il padre il figlio, e i figli i genitori” (Marco, XIII, 12), e quella islamica dell'Imam nascosto, che riapparirà al momento della rigenerazione e che, durante la sua assenza, è rappresentato dai dodici Imam visibili (Cfr. la "Shiah" duodecimara).
Ma Pauwels e Bergier, nell'esporre la leggenda di Schamballah, non mi sono neppure resi conto che, tale dizione, riprodotta in caratteri latini, da una parola pronunciata da mongoli o da tibetani (probabilmente modificata nel suo suono originario in conseguenza dell'adattamento di molti termini arcaici di origine mitica o religiosa, ad altri di provenienza islamica, ciò che è possibile in Mongolia ed anche in India dove molte parole derivanti dalla terminologia musulmana sono state immense in quella locale durante le invasioni arabe e turcomanne anche per l'assonanza dei due nomi e per il loro stesso unico simbolismo) ha un significato assolutamente contrario a quello che essi affermano.
Schamballah, infatti, non è altro che l'unione dei due termini arabi Schamba e Allah (Schamba = orto o giardino, Allah = Dio) ragion per cui Schamballah è il Giardino di Dio, e cioè l'Eden o paradiso terrestre, ciò che distrugge completamente (quasi con la spada fiammeggiante di Kalkin) le fanfaluche sulla “città della violenza".
Giunti a questo punto, i casi sono due: o Pawels e Bergier non conoscevano i testi hindù e quanto di altro abbiamo illustrato sinora, di conseguenza non erano in grado di scrivere e dissertare su argomenti di tanta importanza, oppure, speculando sulla pretesa ignoranza altrui e sulla credulità delle masse (alle quali è indubbiamente diretto il loro libro) li hanno completamente ignorati, per ragioni che a noi non interessano a meno che non siano anti-tradizionali.
Siamo giunti alla conclusione di questo breve discorso: troppo breve per argomentazioni di questo genere ma sufficiente per dare una idea esatta sulla questione di Sambhala e di Agarttha.
Forse, abbiamo detto anche troppo, più di quello che avremmo dovuto.
Prima di finire, peraltro, ci pare necessario dir brevemente che cosa si debba intendere per VIE della mano destra e della mano sinistra. Ciò che vogliamo fare anche se si è equivocato sulle due vie, qualificandole diversamente mentre, in sostanza, riferendosi all'Agarttha e a Sambhala, si tratta della medesima via secca e della medesima fonte.

MANO DESTRA E MANO SINISTRA

Pawels e Bergier, con ogni probabilità completamente all'oscuro di ogni interpretazione tradizionale di siffatti termini, hanno preso alla lettera il significato di "sinistro" nelle sue eccezioni di torto, storto, non favorevole, contrario, minaccioso, bieco; dimenticandosi, fra l'altro, che la mano sinistra sta dalla parte del cuore e che nelle matematiche, specie quelle pitagoriche, i numeri dispari sono quelli che guidano e che danno la chiave, a cominciare dall'unità.
Inoltre hanno adattato alle loro tesi quanto riportato, senza alcuna conoscenza di causa ed effetto, sulla leggenda dell'Agarthi e di Schamballah (per usare le loro dizioni).
Va comunque specificato, ad eventuale scusa delle loro elucubrazioni, che, in effetti, la via della mano sinistra, com'è indicato nella Bhagavad-Gitâ, una via eroica di natura guerriera, che trova la sua ovvia conclusione nella distruzione (di quale, però, abbiamo già specificato).
Dicono questi testi che lo stesso Krisna (che è l'ottava incarnazione di Vishnu) suggerì al guerriero Arjuna di combattere e distruggere giustificando le uccisioni ch'egli poteva compiere col dire che "coloro che saranno uccisi di tua mano sono già stati uccisi nel mio pensiero: tu sei soltanto l'esecutore".
In altri termini si verifica, nel caso della mano sinistra, una specie di sanzione dell'eroismo guerriero inteso come esecuzione della giustizia divina (vedasi, per analogia la folgore di Giove; la Spada del Signore dei kabbalisti posta nella mano sinistra della divinità in contrapposizione al simbolo della clemenza posta nella sua mano destra (Cfr. l'albero sephirotico); il "non son venuto su questa terra per portarvi la pace ma la spada" del Vangelo di Matteo; il divino castigo del diluvio universale e il "Dio degli eserciti" della Bibbia).
Ma, nel caso di Sambhala (o Schamballah) tutto proviene da Vishnu, il Dio che conserva, che regna assieme a Brahma nel pravrtti-marga (contrariamente a Siva, il Dio che distrugge, che regna nel nivrtti-marga) e che, trovandosi al centro della concezione delle fasi della Vita (Brahma = creazione o nascita; Vishnu = conservazione o vita; Siva = distruzione o morte), per poter esercitare il sattva deve agire servendosi di ambedue i poteri di castigo e di clemenza.
Ed è per questo che, nelle sue Avatara, Vishnu prende, quasi sempre, la personalità dello ksatryia, mitigata dallo scopo finale dello ristabilimento del sattva.
Se si volessero interpretare analogicamente i fatti storici del divenire dell'umanità, potremmo constatare che molti avvenimenti che sono indicati come "conquiste" dell'umanità stessa, si sono verificati attraverso la distruzione, che ha poi portato ad una stabilizzazione di modi di vivere che sono dichiarati migliori in senso materiale e collettivo.
Citiamo ad esempio le rivoluzioni cruente, le guerre cosiddette sante e giuste (per tacer di quelle che nono giudicate inutili e delittuose), l'uso continuo di nuovi potentissimi mezzi che seminano morte e sventura, e tutte le manifestazioni di violenza, tutte cose condannate da una parte e giustificate dall'altra a seconda degli interessi politici, economici, egemonici e via dicendo, che caratterizzano l'involuzione della umanità e che, sostanzialmente, tendono alla sua distruzione finale. Ciò che dimostra e porta a constatare chiaramente che la via della mano sinistra, sul piano delle valutazioni materiali che a noi, peraltro, non possono interessare, si è applicata e si applica costantemente, a torto od a ragione, per raggiungere e restaurare periodi di stabilità definiti di pace e di progresso.
Nella realtà tradizionale e metafisica (quella che, invece, interessa) le due vie sono soltanto due modi per giungere alla stessa meta.
Nella fattispecie, cioè per quanto si riferisce all'Agarttha (o Agarthi) e a Sambhàla (o Schamballah), esse possono essere considerate alla stregua delle due ben note realizzazioni secche, dirette, dell'ascesi mistica o dell'ascesi eroica, che si estrinsecano rispettivamente attraverso la rinuncia e attraverso l'azione, e con le quali non si tratta di uccidere nessuno, ma di vincere e distruggere le forze negativo che alla realizzazione si oppongono.
Ma è assai più probabile, e ciò risulta dalla Kalkin-Avatara e dalla missioni di Vishnu, che si tratti delle due vie unite insieme.
Oppure, come si può argomentare dalla parte essenziale che Paraçu-Rama ha nella tradizione di Sambhala, che in essa si indichi la complementarietà delle due vie per giungere alla realizzazione del Re-Sacerdote o Re-Sacrale, come risulterebbe dalla via eroica iniziata da Paraçu-Rama prima di rinchiudersi nell'ascesi mistica per riapparire poi come maestro di Kalkin (in certo qual modo ricoprendo la funzione di Krisna) al quale indica la via eroica, a lui già indicata in altro tempo, dallo stesso Krisna che, pure, nella mitologia indiana rappresenta l'amore universale. Ciò che nella conclusione della Kalkin-Avatara, e cioè nella realizzazione del nuovo ciclo dell'umanità, dopo la distruzione degli usurpatori, prevede una nuova scelta dell'ascesi mistica come inizio del nuovo ciclo che dovrà nuovamente concludersi con il passaggio all'azione.
Ovvio che argomentazioni di questo genere, trasposte sul piano politico, religioso e sociale, e nella storia di un popolo soggetto ad invasioni ed usurpazioni di questi poteri, porta all'identificazione di tali questioni sul piano di una rappresentazione del tutto umana, tendente a interpretarle in funzione di un legittimo desiderio di riacquistare (col verificarsi di profezie attinenti al piano metafisico) quanto si è perduto ad opera degli invasori e degli usurpatori.
O a servirsene, con la mentalità occidentale, democraticheggiante e quindi in aperta contraddizione con lo dottrine tradizionali, per dimostrare che queste ultime sono del tutto errate, alternandole con esposizione di carattere occulto sedicenti o addirittura iniziatico, che ingannano gli ignari e li indirizzano alla controiniziazione.
Ciò che, invece, sul piano tradizionale, si riferisce solo e unicamente a questione di natura trascendente perché gli Dei, in quanto manifestazioni dell'Unico, non hanno bisogno di realizzare alcunché in quanto essi stessi sono la realizzazione di ciò che rappresentano.
Ma ciò non si può intendere col metro delle interpretazioni positiviste e con la superficialità caratteristica dei nostri tempi né con la sia pur più attenta, ma non per questo meno epidermica, ricerca storico-scientifica, la quale, volendo tutto commisurare al mondo visibile, ritiene inconcepibile quanto si riferisce al mondo occulto, invisibile, alle realtà metafisiche, base della conoscenza tradizionale.


GASTONE VENTURA

Otto Rahn
27-07-04, 14:12
http://www.trimondi.de/SDLE/Part-1-10.htm

http://www.trimondi.de/SDLE/Part-2-12.htm

Satyricon
29-07-04, 17:56
Originally posted by janus77
Caro Satyricon,

l'idea del Guènon venne meglio espressa, nell'articolo che ti ho citato, anche al suo rapporto sia con Evola, sia col Reghini. Chi ti scrive, profondamente convito del mondo e della visione del mondo indoeuropea, che è romano-elleno-germanica (come la definisce il buon Casalino), considera riferimenti validi in questione, più che Muller, studiosi della portata di Dumezil, Filippani Ronconi.

Onestamente non mi risulta nessun dietrofront da parte del filosofo di Blois (che considerava appunto come la Tradizione tout court di origine polare); mi ricordo poi di aver letto considerazioni sul significato della parola “ariano” analoghe a quelle dell’ Introduzione.. (ovvero negando il senso etnico/razziale del termine) da parte di alcuni seguaci italiani del Guenon (i torinesi della Rivista di Studi Tradizionali) che mi pare strano non abbiano recepito eventuali cambiamenti d’opinione del loro maestro.
Sull'indoeuropeismo, soprattutto in considerazione alla fondazione di Roma con rito etrusco (come ben sai), mi riservo di tornare nell'altro 3d con qualche precisazione.



Originally posted by janus77

Conosco bene le argomentazioni di chi critica il mito di Agartha e mi sembrano scontate le risposte delle autorità tibetane, verso dei profani. Sull'inesistenza di riferimenti mitici, ti consiglio gli approfondimenti di Miguel Serrano e di G. Ventura (Le vie della Tradizione)...il Saggio non disturbi, con la propria sapienza, la mente dell'uomo volgare!

Ave atque Vale


Quest’articolo è’ indicativo di un certo mileau paraoccultista (almeno non c’è Hitler redivivo!) tipico della massoneria di frangia ottocentesca (da cui d’altronde questo mito discende).
Anche tralasciando le etimologie fantasiose (che la parola Agarthi significhi “inaccessibile” è stato già smentito da più di un orientalista) su Shambala come giardino di Allah (sic! in realtà in sanscrito significa “Fonte della Felicità".) è meglio sorvolare; non credo che sia questo il piano giusto per un’analisi comparativa dei simboli; anch’io potrei mescolare Terra pura, Terra dei beati, Monte Meru, Avallon, immaginari e simbologie non sempre così facilmente sovrapponibili giocare con la filologia (chi conosce bene il sanscrito d'altronde?;) ), rimanere volutamente in una zona d’ombra dove la realtà si interseca con la fantasia: tanto anche se non si ritrovano riscontri storici o mitologici chi potrà negare le mie “verità iniziatiche“?

Mi dovresti poi spiegare perché i Lama e i dotti tibetani sarebbero così riservati nel parlare dell’Agartha (che conosce pure il mio salumiere sotto casa evidentemente un grande iniziato!) e non di Shambala, non delle dottrine dello Dzog chen o delle classi di tantra superiori (insegnamenti che sono la vetta delle dottrine esoteriche tibetane e che vengono impartiti da tempo anche ad occidentali).
In realtà quando Ossendoswky andò in Mongolia ed in Tibet vide, molto probabilmente, le cerimonie di intronizzazione del 21° Re di Shambala (effettuate negli anni ’20) e questi riti lo influenzarono nella scrittura del suo romanzo (che il mito dell’Agartha sia una deformazione di quello di Shambala è già stato avanzato dallo stesso Dalai Lama).
Infatti contrariamente a quanto si potrebbe supporre l’iniziazione la kalachakra è una delle poche che possono ricevere tutti senza particolari limitazioni (http://www.kalachakra.com/Initiation/Initiation.htm) proprio per via della sua connessione con Shambala e del suo significato escatologico: è già stato fatto diverse volte in Europa e nel mondo (in Europa l’ultima è del 2002 http://www.hubertvongoisern.com/kalachakra.html).


Di fronte a considerazioni del tutto avulse da qualsiasi rilevanza storico/mitologica non si può che condividere il giudizio di Mircea Elide che considerava il tradizionalismo integrale “un’idea moderna nient’affatto originaria di supposte civiltà tradizionali” (da alcune lettere private citato da P.Di Vona in Evola, Guénon, Di Giorgio vado a memoria ma il senso era quello).

Saluti

janus77 (POL)
30-07-04, 20:19
Nessun dietrofront, ma solo una precisazioni di dominii, e il dominio storico-razziale non è mai stato competenza di Guénon...anche Schuon parlava di "atavismo ariano"! Quell'articolo che ti ho citato chiarisce la giusta relazione...appena ne avrò la possibilità cercherò di postarlo. Sul rito etrusco come fondatore di Roma, ci sarebbe da fare un'interessante discussione (il solco quadrato o il cerchio di Plutarco???).


Sul resto sia Eliade (specie dell'ultimo periodo) sia il Dalai Lama (che rifugge l'idea del Kali-yuga) anche loro non ha dato spesso prova di integralità dottrinaria. E, poi, circa la Massoneria di frangia di G. Ventura, è un'errore parificarla a quella modernizzata e sclerotica dell'800. Serrano nè i cd sul Nazismo Esoterico non mi sembrano al quanto ben propensi verso le logge...se poi si ha un pregiudizio politico contro il Nazionalsocialismo, allora è un altro discorso!


Ave atque Vale

Baltik
28-06-06, 23:50
personalmente credo che sia Janus 77 ,Mjolnir, Paul atreiedes,e Satyrycon
abbiano dato ottimi spunti per una seria riflessione sul dipanarsi delle molte lacune dimostrate dal guènon.

aggiungerei parafrasando viola che

identitatem è accusativo di identicus,identicus a sua volta è composto dalla radice indoeuropea- idem e dal suffisso-ticus-ticos,in senso latino indica "ciò che è attinente,si attiene a "idem" i-dem
indica il "ciò che è" dell'essere,il suo intendere "sono questo quì"

come nel sanscrito i-dam,il proprio,l'immutabilità di una data cosa.
ovvero idem indica il medesimo,il met-ipsimus, ciò che è in se stesso invariabile ,aequalis, ae-quam-lis,è ciò che è in ogni aspetto non diverso
che corrisponde in tutto e per tutto a se stesso (centro di emanazione della propria esistenza) cosa unitaria in se stessa e non variabile sotto ogni prospettiva.

l'identità attiene all'essere,esse della cosa,ciò per cui "è-esso-a"
ipsim-ipsa,ovvero essere cio che è per sè, ed allo stesso tempo ciò che permane,l'unità invariabile delle qualità che definisce l'essenza invariabile di una cosa, ciò per cui quella cosa è proprio quella,e non ad esempio un'altra.
ciò che infine definisce la qualità di una cosa,il suo proprio,la sua specie,la sua specifica proprietà,il principio d'identità di una cosa è il suo fondamento ontologico di immutabilità,indica la totale coincidenza proforme
a se stessa,è il principio nel quale risiede l'unità permanente della forma in sè,oltre tutte le modificazioni apparenti e mutevoli,ove il principio dell'identità è alla base dell'essere.

questo credo, renda incompatibile l'inneffabile unità delle tradizioni di guènomiana memoria
spostando evidentemente "cardo e decumano "secondo le possibilità e prospettive specifiche di un popolo della propria religiosità e del suo interiorizzare gli aspetti più sacrali.

saluti

maximus
04-01-07, 22:14
Guènon non è un convertito si converte solo un periferico non chi è nel centro

il Centro è l'Origine delle Tradizioni particolari

Antiokos
04-01-07, 22:21
Dubito che Guenon fosse nel "Centro" di alcunchè... al massimo nel centro di un ciclone di ***** mentali... comunque... buonaserata.

sideros
05-01-07, 01:55
Per chiarirmi, la mia prendetela come domanda, puntualizzate quello che vi sembra inesatto.
Prima che islamico Guenon era Sufi affiliato a una confraternita del Cairo. Apparteneva a una tarica (diciamo scuola)dove si praticavano tecniche che coinvolgevano voce, respiro e movimenti con il corpo legate a certi particolari "esercizi"-mentali, alle volte individuali altre collettivi (vicine all'esicasmo, o al controllo del respiro, se anche vengono attribuite ai padri del deserto queste tecniche erano antiche di più 2000 anni fa, anche se attribuite ai padri del deserto).
Guenon con l'uso di queste tradizione, con molta probabilità, ha toccato degli stadi particolari, è questo che lo condiziona in un primo tempo.Quello che non gli aveva provato ne nella massoneria, ne nelle varie organizzazioni rosacrociane. La teoria, ma sopratutto la pratica poi lo inducono a fermarsi nella Città del Cairo, a questo punto non può sottrarsi deve abbracciare l'Islam. Ricordiamoci che i sufi in varie occasioni furono perseguitati dall'Islam comunque non sempre ritenuti nell'ortodossia.Catabiani raccontò come mori Guenon (alfrado Catabiani riporta, ma comunque si recò al Cairo per il suo funerale), non so quanta verità ci sia in questo racconto, ma sicuramente suggestivo. Nei minuti antecedenti la sua morte Guenon volle lo stesso alsarzi e praticare il rito giornagliero, esalando l'ultimo rispiro ripetento per le ultime volte la parola sacra che è nota solo per gli adepti della tarica.