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Davide (POL)
26-07-03, 10:07
L'ultima inquadratura è di quelle che rimangono impresse: Julianne Moore fissa il muro del loculo a tenuta stagna dove si presume passerà il resto della propria vita. Il film, una pietra miliare dell'ambientalismo statunitense, era Safe, "Salva", e raccontava le vicende di una casalinga che diventa improvvisamente allergica a qualsiasi sostanza chimica con cui entri in contatto, dai detersivi alla moquette, dalle fibre artificiali ai deodoranti. Per salvarsi dalle crisi di soffocamento la protagonista finisce in una health farm, una "fattoria della salute" a metà strada fra un centro per agriturismo e un monastero, che diventa l'unico rifugio per chi non sopporta la vita chimica della modernità.

La storia raccontata nel film non è solo opera dell'immaginazione: l'America si va riempiendo di health farm e la "sindrome del palazzo malato", come è stata battezzata, è stata riconosciuta dall'Organizzazione mondiale della sanità come classica malattia professionale degli impiegati che, fra casa e ufficio, passano la maggior parte del loro tempo in ambienti chiusi. Ma le reazioni allergiche sono soltanto una delle conseguenze, e la più immediatamente visibile, del cocktail chimico nel quale siamo immersi e che il film riporta in primo piano. Basta mettere insieme i dati, del resto, per rendersi conto dello scotto sanitario pagato alla civiltà dei consumi: malattie autoimmuni, tumori, danni respiratori e chi più ne ha più ne metta. Un'evidenza che tutti sembriamo accettare con sconcertante fatalismo.


Trentamila sostanze non testate
Eppure, conti alla mano, la chimica costa ai sistemi sanitari europei circa 70 miliardi di euro e molte vite. E' vero che costituisce nel complesso il 28 per cento della bilancia commerciale, ma la percentuale è destinata a diminuire con l'arrivo dei più economici prodotti asiatici o mediorientali. Resta comunque il fatto che buona parte dei composti chimici che respiriamo, inaliamo o che assorbiamo per via epidermica sono stati messi in commercio prima della precedente tornata di autorizzazioni, datata 1981, quando vennero messe fuori gioco alcune diavolerie particolarmente tossiche come il ddt.

Stranamente il fatto di vivere a contatto con trentamila sostanze non testate non desta altrettanto scalpore degli ogm o dell'elettromagnetismo ma, certamente, il piano della Commissione europea lanciato sotto il nome di Reach - Registration, Evaluation e Authorisation of Chemicals (Registrazione, valutazione e autorizzazione dei chimici) - è destinato a fare rumore, se non altro perché la lobby chimica è già partita a testa bassa contro una misura considerata «una seria minaccia all'industria chimica europea» mentre, sull'altro lato della barricata, il Wwf e altri gruppi ambientalisti stanno spingendo per l'approvazione del piano.

Le misure contenute nel Reach sembrano dettate dal mero buon senso. Si tratta di rintracciare i 30 mila composti chimici messi in commercio prima del 1981. Le aziende chimiche dovranno fornire informazioni dettagliate sulle produzioni che superano la tonnellata annuale e dovranno dimostrarsi in possesso di dettagliati piani della gestione del rischio. Le sostanze più pericolose, e quelle di cui non sono ancora noti gli effetti sulla salute, richiederanno una speciale autorizzazione. L'attuazione del piano, secondo la Commissione, dovrebbe comportare costi che si aggirano sui 32 miliardi di euro, che sono molti, ma comunque meno dei costi sanitari causati dall'esposizione indiscriminata dei cittadini europei, valutata, appunto, in quasi 70 miliardi di euro.

I rapporti di Wwf Gran Bretagna, che ha lanciato la campagna, sono allarmanti. Si parla di consistenti aumenti della diffusione di tumori, disordini metabolici come il diabete, difetti congeniti e, per effetto dell'accumulazione, danni al sistema endocrino e ormonale. L'industria chimica, in particolare la Chemical Industry Association inglese, minaccia una crisi del settore con la conseguente crisi occupazionale, scenario che viene respinto dagli ambientalisti. Justin Woolford, direttore della campagna del Wwf contro le sostanze chimiche, sostiene che l'industria esagera e che non si tratta di proteggere soltanto la salute dei cittadini ma anche quella dei lavoratori attraverso un processo di riconversione che può «mettere fuori commercio la fabbricazione delle sostanze più dannose e spingere all'innovazione e alla diffusione di sostanze meno rischiose» come è avvenuto con il ddt e altri pericolosi pesticidi.

Il Wwf trova, nella Banca Mondiale, un inaspettato alleato. Alcuni ricercatori hanno valutato intorno al tre per cento le malattie provocate dalle sostanze chimiche non testate. Il piano comunitario ridurrebbe l'esposizione del 10 per cento. Se poi nella stima delle patologie si comprendono anche malattie non mortali come il diabete, l'infertilità o il parkinson, ecco che la stima dei costi sanitari a carico della collettività raggiunge la ragguardevole cifra di 284 miliardi di euro. Senza considerare naturalmente tutto quello che non ricade nei conteggi degli economisti della Banca Mondiale: sofferenza, lutti e dolore.

Sabina Morandi___