demian
06-08-03, 09:41
Cento di questi Harley
Dalla baracca di legno dei ventenni William S. Harley e Arthur Davidson all'innovativa e provocatoria V-Rod, la storia di un marchio mitico.
Chissà se Henry Meyer, quando nel 1903 comprò una moto direttamente nell'officina in cui era stata prodotta, pensò di aver fatto un grande affare, una follia o un cieco gesto di fiducia? Era un ex compagno di scuola di due ragazzi tanto appassionati di motori, che sulla porta della baracca di legno di tre metri per due, dove lavoravano, avevano subito voluto scrivere "Harley-Davidson Motor Company". Il primo si chiamava William S. Harley e aveva 21 anni, l'altro, Arthur Davidson, era più piccolo di un anno. Le loro moto nascevano per correre: 405 cc, due cavalli e 45 miglia l'ora di velocità massima. Per frenare bisognava girare i pedali al contrario, ma gli immediati successi nelle vendite e nelle competizioni suggerivano di accelerare e ingrandirsi.
Dopo sei anni d'attività, sul "Silent Gray Fellow" (il silenzioso compagno grigio) fu montato il primo bicilindrico a V di 45°, 850 di cilindrata e sette cavalli. Nel 1910 il classico simbolo Bar&Shield fece la sua comparsa sulle fiancate delle Harley, la cui fama crebbe incredibilmente grazie al dominio nelle competizioni. I corridori della casa erano noti come "la squadra distruttrice" e il nome si adattò perfettamente all'uso che delle moto fu fatto tra 1917 e 1918, durante la Prima Guerra Mondiale (si dice che il primo americano a entrare in Germania l'avesse fatto in sella a un'Harley).
Gli anni Venti videro un rapido progresso tecnologico, estetico e commerciale: nacque il primo V-Twin 1.200 da 18 CV, i serbatoi presero la forma a lacrima e divennero disponibili i freni anteriori, utili su moto che toccavano i 160 km/h. Le vendite, agevolate da oltre 2000 punti vendita, approfittarono anche della divertente fama della squadra corse, che, portando a spasso a ogni vittoria un maialino, fece sorgere l'associazione "Hog" (maiale, appunto).
Prima di tuffarsi nuovamente nelle forniture militari (90.000 esemplari per il secondo conflitto mondiale), Harley introdusse due nuovi propulsori, un 1.310 a valvola laterale e un 999 con valvola superiore per la EL "Knucklehead" (testa a nocca). Questa venne sostituita nel '48 dalla "Panhead" in versione 1.000 e 1.200 con teste in alluminio e sollevatori idraulici delle valvole. L'anno dopo, le forcelle idrauliche anteriori apparvero per la prima volta sul nuovo modello Hydra Glide, mentre per quelle posteriori, accoppiate ai freni, bisognava aspettare la Duo Glide del 1958.
Intanto, nel 1957, era comparsa la Sportster, erede della serie K, su cui aveva posato un cantante emergente di nome Elvis Presley. Da allora fu lei la dominatrice di un'infinità di gare e riuscì, montata su un lunghissimo veicolo aerodinamico, a spingerlo oltre i 424 km orari.
Negli anni 70 la FX 1200 Super Glide inaugurò l'era delle cruiser, la FXS Low Rider abbassò la posizione del motociclista, aggrappato a un manubrio dragster, e Willie G. Davidson ideò la Sportster Café Racer.
La grande passione che ormai circondava la sessantenne casa di Milwaukee trovò sfogo nel 1983 nel H.O.G. (Harley Owners Group), i cui iscritti, presenti in massa a ogni compleanno della casa e diventati mezzo milione a fine millennio, si entusiasmavano per le tante novità che si susseguivano negli anni 1980-2000. Nel 1984 il nuovo motore 1.340 V Evolution, nel 1986 la Heritage Softail, nell'88 la Springer Softail e la Sportster 1200, nel '90 la Fat Boy, seguita l'anno dopo dalla linea Dyna e nel 1992 dall'ingresso in Buell, fino alle Road King, Ultra Classic Electra Glide (la prima a iniezione elettronica sequenziale) del '95 e Softail Deuce T del 2000.
Ancora non era arrivata però la nuova sovrana del listino H-D, la regina delle cromature e dell'innovazione tecnologica (anche a scapito di alcuni capisaldi della tradizione). Con il suo bicilindrico a V di 60 ° raffreddato ad acqua ed elettronica a profusione, la V-Rod ha comportato una brusca sterzata rispetto al passato, mostrando però la vitalità e l'inesaurita voglia di rinnovarsi di una grande "motor company".
Non male per una "vecchietta" di cent'anni!
Dalla baracca di legno dei ventenni William S. Harley e Arthur Davidson all'innovativa e provocatoria V-Rod, la storia di un marchio mitico.
Chissà se Henry Meyer, quando nel 1903 comprò una moto direttamente nell'officina in cui era stata prodotta, pensò di aver fatto un grande affare, una follia o un cieco gesto di fiducia? Era un ex compagno di scuola di due ragazzi tanto appassionati di motori, che sulla porta della baracca di legno di tre metri per due, dove lavoravano, avevano subito voluto scrivere "Harley-Davidson Motor Company". Il primo si chiamava William S. Harley e aveva 21 anni, l'altro, Arthur Davidson, era più piccolo di un anno. Le loro moto nascevano per correre: 405 cc, due cavalli e 45 miglia l'ora di velocità massima. Per frenare bisognava girare i pedali al contrario, ma gli immediati successi nelle vendite e nelle competizioni suggerivano di accelerare e ingrandirsi.
Dopo sei anni d'attività, sul "Silent Gray Fellow" (il silenzioso compagno grigio) fu montato il primo bicilindrico a V di 45°, 850 di cilindrata e sette cavalli. Nel 1910 il classico simbolo Bar&Shield fece la sua comparsa sulle fiancate delle Harley, la cui fama crebbe incredibilmente grazie al dominio nelle competizioni. I corridori della casa erano noti come "la squadra distruttrice" e il nome si adattò perfettamente all'uso che delle moto fu fatto tra 1917 e 1918, durante la Prima Guerra Mondiale (si dice che il primo americano a entrare in Germania l'avesse fatto in sella a un'Harley).
Gli anni Venti videro un rapido progresso tecnologico, estetico e commerciale: nacque il primo V-Twin 1.200 da 18 CV, i serbatoi presero la forma a lacrima e divennero disponibili i freni anteriori, utili su moto che toccavano i 160 km/h. Le vendite, agevolate da oltre 2000 punti vendita, approfittarono anche della divertente fama della squadra corse, che, portando a spasso a ogni vittoria un maialino, fece sorgere l'associazione "Hog" (maiale, appunto).
Prima di tuffarsi nuovamente nelle forniture militari (90.000 esemplari per il secondo conflitto mondiale), Harley introdusse due nuovi propulsori, un 1.310 a valvola laterale e un 999 con valvola superiore per la EL "Knucklehead" (testa a nocca). Questa venne sostituita nel '48 dalla "Panhead" in versione 1.000 e 1.200 con teste in alluminio e sollevatori idraulici delle valvole. L'anno dopo, le forcelle idrauliche anteriori apparvero per la prima volta sul nuovo modello Hydra Glide, mentre per quelle posteriori, accoppiate ai freni, bisognava aspettare la Duo Glide del 1958.
Intanto, nel 1957, era comparsa la Sportster, erede della serie K, su cui aveva posato un cantante emergente di nome Elvis Presley. Da allora fu lei la dominatrice di un'infinità di gare e riuscì, montata su un lunghissimo veicolo aerodinamico, a spingerlo oltre i 424 km orari.
Negli anni 70 la FX 1200 Super Glide inaugurò l'era delle cruiser, la FXS Low Rider abbassò la posizione del motociclista, aggrappato a un manubrio dragster, e Willie G. Davidson ideò la Sportster Café Racer.
La grande passione che ormai circondava la sessantenne casa di Milwaukee trovò sfogo nel 1983 nel H.O.G. (Harley Owners Group), i cui iscritti, presenti in massa a ogni compleanno della casa e diventati mezzo milione a fine millennio, si entusiasmavano per le tante novità che si susseguivano negli anni 1980-2000. Nel 1984 il nuovo motore 1.340 V Evolution, nel 1986 la Heritage Softail, nell'88 la Springer Softail e la Sportster 1200, nel '90 la Fat Boy, seguita l'anno dopo dalla linea Dyna e nel 1992 dall'ingresso in Buell, fino alle Road King, Ultra Classic Electra Glide (la prima a iniezione elettronica sequenziale) del '95 e Softail Deuce T del 2000.
Ancora non era arrivata però la nuova sovrana del listino H-D, la regina delle cromature e dell'innovazione tecnologica (anche a scapito di alcuni capisaldi della tradizione). Con il suo bicilindrico a V di 60 ° raffreddato ad acqua ed elettronica a profusione, la V-Rod ha comportato una brusca sterzata rispetto al passato, mostrando però la vitalità e l'inesaurita voglia di rinnovarsi di una grande "motor company".
Non male per una "vecchietta" di cent'anni!