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Davide (POL)
19-08-03, 10:14
Dal super salmone agli xenotrapianti, le risposte della scienza sull'impiego delle tecnologie che permettono di modificare il DNA degli animali

di Margherita Fronte

Dal Bestiario della scienza e della tecnica: maiali-serbatoi di organi per l'uomo; pecore che producono farmaci nel latte; salmoni voraci e grandi come squali. E ancora, scrofe con un ché dello spinacio nel genoma, galline che fanno uova senza colesterolo, e vacche che danno latte senza lattosio. Un mondo perfetto - forse - secondo Huxley. Imperfetto e con parecchie zone d'ombra secondo un rapporto fresco di stampa, elaborato da un comitato di 12 esperti del Consiglio nazionale delle ricerche statunitense.

Il rapporto era stato commissionato all'NRC lo scorso anno dalla Food and Drug Administration, l'organo che certifica la sicurezza di farmaci e alimenti, e dà il via libera per la loro messa in commercio. Incerta su come giudicare i prodotti, a volte stravaganti, che alcune aziende si apprestano a sottoporle, la FDA ha chiesto aiuto agli scienziati. La domanda posta all'NRC era: quali sono secondo la scienza i possibili rischi per l'uomo e l'ambiente dell'impiego delle tecnologie che permettono di modificare il DNA degli animali? E la scienza ha risposto, accogliendo di fatto il principio di precauzione. Secondo tale principio, se la carenza di dati non consente di valutare le conseguenze sanitarie ed ecologiche dell'introduzione di una tecnologia - e se ci sono motivi per pensare che conseguenze ce ne possano essere - occorre adottare le misure tese a evitare i possibili danni, tenendo conto dei costi che queste misure comportano. L'atteggiamento dell'NRC è fatto nuovo e inedito in un paese che in questo campo si è mosso da sempre all'insegna dell'avanti tutta. Molti dei rischi che il rapporto mette in luce sono remoti. In più parti, inoltre, l'NRC sottolinea che prima di prendere ogni decisione occorre mettere sul piatto della bilancia rischi e benefici, e che le applicazioni vanno valutate caso per caso.
Xenotrapianti
Vista la carenza di organi per i trapianti, la possibilità di utilizzare tessuti provenienti da animali "può portare vantaggi enormi" riconosce il rapporto dell'NRC. Ignazio Marino, direttore dell'Istituto mediterraneo per i trapianti di Palermo, ricorda che "fra Europa e Stati Uniti, ogni giorno muoiono una cinquantina di persone in attesa di un trapianto. Quella degli xenotrapianti è una strada che la scienza deve percorrere per risolvere la questione". Accantonata l'idea di usare primati come donatori ("soprattutto per motivi etici", osserva Marino), l'animale candidato a fornire pezzi di ricambio all'uomo è il maiale. "Le dimensioni dei suoi organi infatti sono compatibili con le nostre" spiega l'esperto. Ma il cammino è irto di ostacoli. "Già attorno agli anni sessanta sono stati fatti alcuni tentativi. Ma è subito emerso il problema del rigetto iperacuto: una volta trapiantato l'organo veniva rigettato in pochi minuti" racconta Marino, che ha partecipato ad alcuni di quei tentativi. Alla fine di agosto, al convegno internazionale di trapiantologia che si è tenuto a Miami, i ricercatori della PPL Therapeutics, l'azienda scozzese creata dagli scienziati che hanno clonato la pecora Dolly, hanno annunciato un lieto evento. Il 25 luglio sono nati quattro maialini, modificati geneticamente per essere privi della molecola responsabile del rigetto iperacuto. "Bisognerà verificare se questa modifica genetica permetterà davvero di risolvere il problema. Sicuramente è un passo avanti importante" osserva Marino.
Nel corso dello stesso convegno, Rafael Valdés, medico messicano, ha dichiarato di essere riuscito a curare una ragazza diabetica trapiantandole cellule del pancreas di maiali. La notizia è stata accolta con scetticismo, e in molti hanno sottolineato il pericolo che esperimenti condotti senza garanzie adeguate possano esporre i pazienti - e chi entra in contatto con loro - a infezioni prodotte da virus che si annidano nel genoma dei maiali. La stessa preoccupazione è espressa nel rapporto dell'NRC. Infatti, nel DNA di ogni maiale albergano una cinquantina di sequenze virali, innocue per l'animale, ma che potrebbero passare all'uomo con conseguenze poco prevedibili. "Tessuti di maiale si usano già per produrre valvole cardiache, o collagene per gli ustionati. E il passaggio di questi virus all'uomo non si è mai verificato" obietta Marino. Gli statunitensi temono però che una modifica genetica sull'animale da cui vengono prelevati gli organi possa attivare i virus, altrimenti addormentati. "E' un'ipotesi molto improbabile. Per chi ha bisogno di un trapianto la scelta è fra un rischio estremamente remoto e la morte" commenta Marino. Ma se l'evento estremamente remoto si verificasse? E se poi il virus si trasmettesse anche a persone sane? Non è un caso se la FDA già da ora raccomandi un monitoraggio strettissimo dei pazienti che saranno sottoposti alle prime sperimentazioni cliniche.

Animali per produrre farmaci
La industrie biotech stanno studiando il modo di modificare il genoma di animali in modo tale che nel latte o nelle uova siano presenti farmaci utili all'uomo. La procedura consiste nell'inserire nel DNA di un animale il gene che fa produrre il farmaco alle sue cellule. "La soluzione presenta diversi vantaggi rispetto ai metodi che usano i batteri" spiega Francesco Clementi, farmacologo dell'Università di Milano. "Infatti alcune molecole non vengono prodotte nella forma corretta dai microrganismi, mentre lo sarebbero se ottenute da animali più simili a noi. Inoltre, questo modo di produzione è vantaggioso sul piano economico". Due i rischi della tecnologia. Quello che più preoccupa l'NRC è il possibile passaggio degli animali transgenici o dei loro prodotti nella catena alimentare umana. Nelle specie allo studio si punta per lo più a ottenere farmaci nel latte o nelle uova: questo significa che solo le femmine saranno utili alla produzione farmaceutica. "E' però possibile che anche i maschi esprimano il gene responsabile della produzione del farmaco, in tessuti diversi da quello mammario" osserva Marcello Buiatti, docente di genetica dell'Università di Firenze. L'NRC prevede che per evitare sprechi "le aziende chiederanno che si approvi l'utilizzo a scopo alimentare del surplus di animali". Se il permesso sarà concesso sugli scaffali del supermercato potrebbero quindi comparire bistecche contenenti il farmaco. "Ritengo che le industrie non abbiano nessuna intenzione di mettersi in un simile guaio" commenta Clementi. "Gli animali in surplus andrebbero bruciati, e non credo che saranno le aziende biotech a opporsi". L'NRC sembra però più dubbioso, ed esprime anche qualche perplessità sulla capacità delle autorità di controllare un eventuale mercato clandestino.
La seconda preoccupazione è la contaminazione dei prodotti farmaceutici con pezzi del DNA usato per modificare il patrimonio genetico dell'animale. "Su questo punto possiamo imparare qualcosa dall'esperienza fatta nelle piante" osserva Buiatti. "In varie occasioni, il DNA usato per rendere transgenica la soia è stato trovato in prodotti alimentari contenenti lecitina di soia. Questo significa che si è usato un processo di purificazione inadeguato. Lo stesso potrebbe avvenire nella produzione di medicinali: nel prodotto finale, assieme alla molecola del farmaco, potrebbero esserci pezzi del DNA usato per modificare il patrimonio genetico degli animali". Questi frammenti non potrebbero passare direttamente all'uomo "ma esiste la possibilità, per quanto remota, che possano trasmettersi alla flora batterica del nostro apparato digerente, modificandola" conclude Buiatti.
Ambiente
Le preoccupazioni più importanti espresse dal comitato dell'NRC riguardano gli effetti sull'ambiente dell'ingresso di animali modificati geneticamente. Che sia voluta o accidentale, l'introduzione dei mutanti potrebbe rompere gli equilibri dell'ecosistema, con conseguenze difficilmente prevedibili, e da cui sarà impossibile tornare indietro. Mentre si può bonificare un ambiente contaminato da una sostanza chimica, il polline che vola col vento, o un animale che nuota nei fiumi non si possono fermare: anzi, si riproducono.
Il comitato esprime livelli diversi di preoccupazione, a seconda della specie modificata. Ma un solo esempio fa capire perché il livello di allarme per l'ambiente è particolarmente elevato. I salmoni transgenici all'ormone della crescita raggiungono dimensioni anche 11 volte superiori a quelle dei salmoni presenti in natura, crescono più rapidamente, mangiano molto di più, hanno un consumo di ossigeno del 60 per cento superiore. Una loro fuga dagli allevamenti è giudicata probabile. William Muir e Richard Howard, della Purdue University (Indiana), hanno simulato al computer le possibili conseguenze: se in un corso d'acqua popolato da salmoni selvatici arrivassero questi giganti, la specie naturale si estinguerebbe nel giro di poche generazioni. In seguito però sarebbe a rischio anche la specie mutante, per l'esaurimento delle risorse alimentari. Le conseguenze sul resto dell'ecosistema sarebbero imprevedibili, ma potenzialmente disastrose.