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Visualizza Versione Completa : Arrembaggio in alto mare



Davide (POL)
29-08-03, 11:40
L'inseguimento è durato tre settimane attraverso mari tempestosi, dalle acque australiane a quelle del Sudafrica. Infine ieri il peschereccio «pirata» ha dovuto arrendersi. Ora il suo equipaggio, una quarantina di persone, rischia condanne alla galera e multe fino a 350mila dollari statunitensi. Il Viarsa, bandiera uruguayana, era stato avvistato il 7 agosto in una zona di mare antartico 4.000 chilometri a sud dell'Australia, cioè nelle acque di pesca australiane. Non è stato difficile capire cosa ci facesse: pescava illegalmente uno dei pesci più pregiati ma anche più minacciati di quei mari meridionali, il Patagonian tootfish, sorta di grande dentice dell'oceano.
Quando però la nave vedetta australiana ha intimati per radio di fermarsi, il Viarsa ha invece cominciato una figa a tutto vapore. La vedetta australiana, il Southern Support, si è buttata all'inseguimento. Parecchie volte il Viarsa ha ignorato l'ordine di fermarsi - sperava di raggiungere l'Uruguay. Un inseguimento difficile per le condizioni proibitive, tra tempeste di neve e icebergs, ma la vedetta australiana non ha mollato. Una settimana fa si è unito alla caccia un rompighiaccio sudafricano, il SA Agulhas, con uomini armati e un elicottero: hanno fatto una manovra per tagliare la strada alla nave pirata. Si è poi unita una nave britannica per la protezione della pesca, la Dorada, di solito basata alle isole Falklands-Malvine. Il Viarsa non ha avuto alternativa che fermarsi e lasciar salire a bordo gli ufficiali aiustraliani e sudafricani. L'arrembaggio è avvenuto in alto mare, circa 3.000 chilometri a sud-ovest di Città del Capo, Sudafrica: pare che le condizioni del mare fossero pessime. Ora gli ufficiali australiani stanno scortando la nave pirata indietro in Australia.
Il capitano e l'equipaggio del peschereccio pirata rischiano grosso. E però con tutta evidenza quella pesca illegale vale il rischio. Due anni fa, in questa stessa stagione, un altro inseguimento nei mari antartici aveva fatto sensazione: anche allora vedette australiane erano riuscite a bloccare il peschereccio pirata, South Tommy, con l'aiuto del Sudafrica. Allora il bottino erano 100 tonnellate di Patagonian tooothfish - non a caso è chiamato «oro bianco». Questa volta si aggira sulle 85 tonnellate, dice il ministero della pesca australiano basandosi sull'intercettazione delle comunicazioni del capitano del Viarsa (la quantità è da confermare, la presenza del pesce è accertata): 85 tonnellate possono valere circa 2 milioni di dollari sul mercato nero.
Cifre del genere spiegano perché la pesca illegale sia una verae propria industria parallela - e il caso del Patagonian tooothfish è esemplare. E' una specie protetta, e la sua pesca è regolamentata in modo severo, in teoria. Si ciba di pesciolini e piccoli crostacei, ed è a sua volta cibo per i capodogli; può raggiungere i due metri di lunghezza e 120 chili di peso. Vive fino a 45 anni e non comincia a riprodursi fino a 8 o dieci anni. I suoi filetti sono venduti come prelibatezza in Giappone, in nord America, in parte anche in Europa settentrionale. In Giappone è chiamato Mero, in nord America «sea-bass cileno» - i mauriziani lo chiamano «pesce burro», i cileni «baccalà di profondità».
Dal 1997 la Commissione per la conservazione delle risorse marine antartiche, organismo intergovernativo, ha creato un sistema automatico via satellite di sorveglianza delle navi da pesca, una «lista nera» di quelle colte a pescare illegalmente, e un sistema di registro della pesca del Patagonian tooothfish per documentarne il commercio. Un paio d'anni fa un rapporto di Traffic, l'organismo di monitoraggio della flora e fauna protetta del Wwf Internazionale e della Iucn-World Conservation Union, ha diffuso un rapporto allarmante: la pesca al Patagonian è stata molto più intensa di quanto si pensasse - nel `97 un record, 100mila tonnellate. Ma resta alta: Traffic stima che ne siano state messe in commercio 59mila tonnellate nel `99-2000, di cui oltre la metà pescate illegalmente: quando un filetto è in pescheria i consumatori non possono sapere la differenza.

Marina Forti