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Visualizza Versione Completa : 18 settembre - S. Giuseppe da Copertino



Colombo da Priverno
18-09-03, 16:27
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=34750)

San Giuseppe da Copertino, Sacerdote

18 settembre - Comune

Copertino (Lecce), 17 giugno 1603 – Osimo (Ancona), 18 settembre 1663

Rifiutato da alcuni Ordini per "la sua poca letteratura" (aveva dovuto abbandonare la scuola per povertà e malattia), venne accettato dai Cappuccini e dimesso per "inettitudine" dopo un anno. Accolto come Terziario e inserviente nel conventino della Grotella, riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Così, per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Giuseppe da Copertino ebbe il dono della scienza infusa, per cui gli chiedevano pareri perfino i teologi e seppe accettare la sofferenza, di cui fu piena la sua vita, con estrema semplicità.

Giuseppe Maria Desa nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese. Il padre fabbricava carri. Rifiutato da alcuni Ordini per «la sua poca letteratura» (aveva dovuto abbandonare la scuola per povertà e malattia), venne accettato dai Cappuccini e dimesso per «inettitudine» dopo un anno. Accolto come Terziario e inserviente nel conventino della Grotella, riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Giuseppe levitava da terra per le continue estasi. Così, per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Giuseppe da Copertino ebbe il dono della scienza infusa, per cui gli chiedevano pareri perfino i teologi e seppe accettare la sofferenza con estrema semplicità. Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni; fu beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII. (Avvenire)

Patronato: Aviatori, Passeggeri di aerei, Astronauti, studenti

Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico

Martirologio Romano: A Osimo nelle Marche, san Giuseppe da Copertino, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che, nonostante le difficoltà affrontate durante la sua vita, rifulse per povertà, umiltà e carità verso i bisognosi di Dio.

Martirologio tradizionale (18 settembre): Ad Osimo, nel Piceno, san Giuseppe da Copertino, Sacerdote dell'Ordine dei Minori Conventuali e Confessore, il quale dal Papa Clemente decimoterzo fu ascritto nel numero dei Santi.

S. Giuseppe da Copertino, durante le frequenti estasi, si muoveva per la chiesa senza mai toccare terra, mentre dal suo corpo, al quale non riservava alcuna cura, emanavano effluvi odorosi che ne indicavano la presenza in un vasto raggio. La vita di questo santo ha degli aspetti sconcertanti. Nato poverissimo a Copertino, nelle Puglie, nel 1603, visse i primi mesi di vita in una stalla perché il padre, indebitato, aveva dovuto vendere tutto. A 17 anni volle farsi frate, ma i Frati Minori non lo accettarono perché troppo ignorante, e i Cappuccini, che lo avevano accolto come converso, poco dopo gli imposero di deporre il saio ("fu come se mi strappassero la pelle di dosso", confidò poi) per la sua grande confusione mentale.
In paese nessuno lo rivolle indietro, neppure sua madre, e allora i Frati Minori Conventuali di Grottella gli aprirono finalmente le porte del loro convento, adibendolo ai più umili servizi, come quello di badare alla mula. Giuseppe si autodefinì "frate asino", e tuttavia domandò di studiare per diventare sacerdote. Agli esami gli capitò di dover rispondere alla sola domanda su cui si era preparato: il commento a un brano evangelico. Ma da questo momento cominciarono ad emergere dalla vita di questo zotico frate quei fenomeni che sono il contrassegno della predilezione divina e della santità interiore. Sovente lo trovavano rapito in estasi davanti al quadro della Madonna, sollevato di qualche palmo da terra.
Quasi completamente digiuno in fatto di studi teologici, aveva il dono della scienza infusa e veniva consultato da teologi su questioni delicate di dottrina e di esegesi, e lui forniva risposte chiare e sapienti. "Il frate più ignorante di tutto l'ordine francescano" venne convocato a Roma; ammesso all'udienza da Urbano VIII, davanti al papa il fraticello cadde in estasi. La fama dei suoi prodigi fece accorrere a lui gente da ogni parte e i suoi superiori gli fecero mutare continuamente convento. Giuseppe da Copertino accettò tutto con trasparente semplicità. Aveva un solo rimpianto, quello di non poter rivedere l'immagine della Madonna del suo convento di Grottella, al cui solo pensiero era rapito in estasi.
Finalmente i suoi confratelli gli assegnarono il convento di Assisi, ma questa volta fu il papa in persona a sconsigliare questa destinazione: "Ad Assisi – commentò - un S. Francesco è più che sufficiente". Così Giuseppe da Copertino morì a Osimo, nelle Marche, a sessant'anni, nel 1663. "Frate asino", che in vita aveva avuto seri problemi per superare gli esami, è invocato dagli studenti nel momento di affrontare l'annuale prova per la promozione.

Autore: Piero Bargellini

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Sempre dallo stesso SITO, altra scheda biografica:

Come il francescano spagnolo s. Salvatore da Horta (1520-1567) che creava molti problemi ai suoi confratelli per i continui prodigi che operava, così anche s. Giuseppe da Copertino, li creava con il suo levitare da terra e per le continue estasi.
Giuseppe Maria Desa, figlio di Felice Desa e di Franceschina, nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese.
Il padre, maestro nella fabbricazione dei carri, era persona di fiducia dei signori locali, che a Copertino possedevano un castello; aveva sposato Franceschina di famiglia benestante, industriosa e pia, che aveva portato una discreta dote in ducati; insomma le condizioni economiche erano soddisfacenti.
Poi il padre Felice, per fare un favore ad un amico, fece da garante per un affare di mille ducati; a seguito del fallimento dell’amico, Felice fu denunziato e perse la causa, dovette vendere la casa e perse il lavoro, finendo in miseria con tutta la famiglia.
Proprio quando stava per nascere il sesto figlio Giuseppe, andarono ad abitare in una stalla dove vide la luce il nascituro.
Dopo poco tempo il padre morì per il dispiacere e la vedova rimase sola con i sei figli senza l’aiuto di nessuno; d’altronde la miseria era grande in tutto il Salentino, i poveri contadini erano gravati dei più assurdi balzelli come per esempio, cinque grana per ogni albero, a causa dell’ombra che faceva sulla terra.
La povera vedova e i figli, vissero anni durissimi, Giuseppe Desa, incapace d’imparare il mestiere del carpentiere o dello scarparo, faceva il garzone in un negozio, dove si trovava meglio che a casa, anzi specifichiamo nella piccola stalla adattata ad abitazione umana.
In paese lo chiamavano “Boccaperta” per la sua abituale distrazione; in aggiunta, il creditore del padre ottenne dal Supremo Tribunale di Napoli, che Giuseppe unico figlio maschio di Felice e Franceschina, una volta raggiunta la maggiore età, fosse obbligato a lavorare senza paga, fino a saldare il debito del defunto genitore.
In pratica gli si prospettava una vita senza speranza, da considerare una vera e propria schiavitù; l’unico modo per sfuggire a questa desolante prospettiva era farsi sacerdote o frate.
Sacerdote non era possibile, in quanto Giuseppe non sapeva niente di lettere e istruzione, forse frate andava bene, perché occorrevano braccia per lavorare e su questo non c’era difetto.
La scuola che aveva cominciato a frequentare, la dovette lasciare quasi subito, a causa di un’ulcera cancrenosa che lo tormentò per cinque anni e di cui guarì grazie ad un eremita di passaggio che la massaggiò con dell’olio.
A quasi 17 anni, lasciò la madre e bussò alla porta dei Frati Francescani Conventuali, convento detto della ‘Grottella’ a due passi da Copertino, dove un suo zio era stato padre Guardiano, ma dopo un periodo di prova fu mandato via, per la sua poca letteratura, per semplicità ed ignoranza”.
Passò allora dai Francescani Riformati, ma anche questi dopo un po’ lo rifiutarono, si diresse allora dai Cappuccini di Martina Franca, era il 15 agosto 1620, allora erano esigenti in fatto di cultura, vi restò otto mesi, ma per la sua inettitudine procurava continui disastri, aggravati da improvvise estasi durante le quali lasciava cadere piatti e scodelle, i cui cocci venivano attaccati alle sue vesti in segno di penitenza.
Nel marzo 1621 fu rimandato a casa, sostenendo che non era adatto alla vita spirituale né ai lavori manuali. Aveva una incapacità naturale e una preoccupazione soprannaturale, ma mentre la prima era evidente, la seconda sfuggiva a tutti.
Uscito dal convento rivestito con pochi stracci, perché aveva perso una parte del suo abito da laico, fu scambiato per un poco di buono, assalito dai cani di una vicina stalla e quasi bastonato dai pastori; fu respinto dallo zio paterno e persino la madre lo maltrattò, rimproverandogli di essersi fatto cacciare dal convento e che per lui non c’era posto.
Grazie all’interessamento dello zio materno, Giovanni Donato Caputo, riuscì dopo molte insistenze a farsi accettare di nuovo dai Conventuali della ‘Grottella’, esponendo il suo caso per sfuggire alla condanna del Tribunale; i frati presero a cuore la situazione e lo ammisero nella comunità, prima come oblato, poi come terziario e finalmente come fratello laico, aveva 22 anni e si era nel 1625.
Addetto ai lavori pesanti e alla cura della mula del convento, Giuseppe ben presto espresse il desiderio di diventare sacerdote, sapeva appena leggere e scrivere, ma intraprese gli studi con volontà e difficoltà; quando dovette superare l’esame per il diaconato davanti al vescovo, accadde che a Giuseppe, il quale non era mai riuscito a spiegare il Vangelo dell’anno liturgico tranne un brano, il vescovo aprendo a caso il libro domandò il commento delle frase: “Benedetto il grembo che ti ha portato”, era proprio l’unico brano che egli era riuscito a spiegare.
Quando trascorsi i tre anni di preparazione al sacerdozio, bisognava superare l’ultimo e più difficile esame, i postulanti conoscevano il programma alla perfezione, tranne Giuseppe; il vescovo ascoltò i primi che risposero brillantemente all’interrogazione e convinto che anche gli altri fossero altrettanto preparati, li ammise tutti in massa, era il 4 marzo 1628.
Per la seconda volta fra Giuseppe, superò l’ostacolo degli esami in modo stupefacente e fu ordinato sacerdote per volere di Dio.
Si definiva fratel Asino, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare gli altri uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente, per il non sapere maneggiare gli oggetti, ciò nonostante nel corso della sua vita ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace.
Un professore dell’Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo”.
Ad un grande teologo francescano che chiedeva come conciliare gli studi con la semplicità del francescanesimo, rispose: “Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei / et io la tromba. / Ma senza il fiato tuo / nulla rimbomba”.
Possedeva il dono della scienza infusa, nonostante che si definisse “il frate più ignorante dell’Ordine Francescano”; amava i poveri, alzava la voce contro gli abusi dei potenti, ai compiti propri del sacerdote, univa i lavori manuali, aiutava il cuoco, faceva le pulizie del convento, coltivava l’orto e usciva umilmente per la questua.
Amabile, sapeva essere sapiente nel dare consigli ed era molto ricercato dentro e fuori del suo Ordine. Dopo due anni di terribile aridità spirituale, che per tutti i mistici è la prova più difficile a superare, a frate Giuseppe si accentuarono i fenomeni delle estasi con levitazioni; dava improvvisamente un grido e si elevava da terra quando si pronunciavano i nomi di Gesù o di Maria, nel contemplare un quadro della Madonna, mentre pregava davanti al Tabernacolo; una volta volando andò a posarsi in ginocchio in cima ad un olivo, rimanendovi per una mezz’ora finché durò l’estasi.
In effetti volava nell’aria come un uccello, fenomeni che ancora oggi gli studiosi cercano di capire se erano di natura parapsicologica o mistica; il fatto storico è che questi fenomeni sono avvenuti e in presenza di tanta gente stupefatta, che s. Giuseppe da Copertino non era un ciarlatano né un mago, ma semplicemente un uomo di Dio, il quale opera prodigi e si rivela ai più umili e semplici.
Comunque frate Giuseppe costituì un problema per i suoi Superiori, che lo mandarono in vari conventi dell’Italia Centrale, per distogliere da lui l’attenzione del popolo, che sempre più numeroso accorreva a vedere il santo francescano.
Di lui si interessò l’Inquisizione di Napoli, che lo convocò per capire di che si trattasse e nel monastero napoletano di S. Gregorio Armeno, davanti ai giudici, Giuseppe ebbe un’estasi; la Congregazione romana del Santo Uffizio alla presenza del papa Urbano VIII, lo assolse dall’accusa di abuso della credulità popolare e lo confinò in un luogo isolato, lontano da Copertino e sotto sorveglianza del tribunale.
Fu sballottolato da un convento all’altro, a Roma, Assisi, Pietrarubbia, Fossombrone e infine ad Osimo (Ancona).
Aveva familiarità con gli animali, con cui conversava e come si era identificato in fratel Asino, così identificava gli altri uomini nelle sembianze dell’animale che meglio simboleggiava le sue caratteristiche di vita.
Nel 1656 papa Alessandro VII mise fine al suo peregrinare da un convento all’altro, destinandolo ad Osimo dove rimase per sette anni fino alla morte, continuando ad avere estasi, a sollevarsi da terra e ad operare prodigi miracolosi.
Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni; fu beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII.
Riposa nella chiesa a lui dedicata ad Osimo; festa liturgica il 18 settembre.

Autore: Antonio Borrelli

http://santiebeati.it/immagini/Original/34750/34750.JPG

http://www.unavoce-ve.it/s-giuseppe-cop.jpg Immagine ispirata al quadro di Giuseppe Cades, Estasi di S. Giuseppe da Copertino, 1777, Basilica dei SS. Apostoli, Roma

Augustinus
18-09-04, 13:19
http://www.firponet.com/sangiuseppedacopertino/immagine_orig_giuscoper.jpg

http://img479.imageshack.us/img479/6306/copertinodr1.jpg http://www.santuariodipreghiera.org/sangiuseppedacopertino/images/S_Giuseppe_da_Copertino_OK.jpg Ludovico Mazzanti, S. Giuseppe da Copertino si eleva in volo alla vista della Basilica di Loreto, XVII sec., Santuario di S. Giuseppe da Copertino, Osimo

Augustinus
18-09-04, 13:32
Biografia di San Giuseppe da Copertino

Giuseppe Maria Desa, figlio del carradore Felice Desa e Franceschina Panaca, nacque il 17 giugno 1603 a Copertino, fra Brindisi e Otranto, in provincia di Lecce, nell'allora "Regno di Napoli". Durante l'infanzia, fu gravemente ammalato per lungo tempo, e fu miracolosamente guarito nel Santuario della Madonna delle Grazie di Galatone, vicino Lecce. All'età di otto anni, Giuseppe ebbe una visione mentre era a scuola e ciò si ripetè altre volte.
Era anche molto lento e distratto, girovagava senza meta. Non riusciva raccontare una storia sino alla fine e spesso s'interrompeva nel mezzo di una frase, perchè non trovava le parole giuste.

La sua permanenza fra i libri era inutile, ed egli tentò di imparare il mestiere del calzolaio, ma fallì. Aveva due zii nell'Ordine Francescano: a 17 anni voleva diventare anche lui francescano, ma fu respinto, a causa della sua ignoranza. Nel 1620, fu accettato come novizio presso i Cappuccini di Martina Franca, vicino Taranto, ma essi lo mandarono via dopo 8 mesi, perchè molto distratto. Sua madre riuscì finalmente a farlo accettare come servitore presso il Monastero dei Francescani Conventuali "La Grottella" di Copertino. Mentre si trovava lì, come "oblato" e come "fratello laico", diede prova di grandi virtù, umiltà, obbedienza ed amore della penitenza. Fu deciso che poteva diventare un membro effettivo dell'Ordine e studiare per diventare sacerdote. Giuseppe sapeva leggere, ma a stento, e cominciò per lui un altro duro periodo alle prese con gli studi.
Il 20 marzo 1627, l'esaminatore gli chiese di spiegargli l'unica cosa che era riuscito ad imparare bene, e così Giuseppe divenne diacono! Un anno dopo, il 28 marzo, riuscì a diventare sacerdote: si presentò all'esame insieme a molti altri candidati. Dopo aver interrogato i primi, il Vescovo, essendo più che soddisfatto dai risultati, decise di promuovere tutti.
Giuseppe si trovava fra i fortunati esaminandi a cui non era stata posta alcuna domanda, e divenne prete insieme agli altri: ecco perchè è considerato il Patrono degli studenti!

Il "Santo Volante"

Spesso andava in estasi e parlava con Dio.
Rimaneva immobile come una statua, insensibile come la pietra, e nulla poteva smuoverlo. Qualunque cosa si riferisse al Signore lo poneva in uno stato di contemplazione. Ciò succedeva anche quando vedeva un dipinto religioso, oppure quando udiva il suono di una campana, musica sacra, il nome di Dio, della Vergine Maria o di un Santo. I suoi confratelli potevano pungerlo con gli spilli o bruciarlo con tizzoni ardenti nel tentativo di risvegliarlo, ma egli non si accorgeva di nulla.
Frequentemente si sollevava dal suolo e rimaneva sospeso nell'aria: in chiesa, gli succedeva di volare verso l'altare o al di sopra di esso. Fu visto levitare dalla gente oltre settanta volte, mentre diceva la Messa o pregava.
Papa Urbano VIII, essendo stato presente ad una sua estasi, affermò che, se Giuseppe fosse morto prima di lui, egli avrebbe testimoniato ciò che aveva visto. Poteva accadere che egli stesse pregando dinanzi ad una statua in giardino, ed i frati lo vedessero sollevarsi in aria, ancora inginocchiato.
Una folla incessante gli chiedeva aiuto e consiglio ed egli convertì molta gente ad una vita veramente cristiana. Giuseppe compì molti miracoli, specialmente fra la povera gente.
Toccava occhi ciechi, ed essi vedevano, prendeva in braccio un bambino malato e lo guariva, trascrisse la benedizione di S. Francesco e tale foglio, fatto circolare in paese, compì meraviglie. Quando i confratelli venivano a parlargli, egli leggeva immediatamente nei loro pensieri, e talvolta apprendeva molto più di quanto essi avrebbero voluto. Una mattina entrò in chiesa per dire la Messa ed annunciò che il Papa era morto durante la notte. Fece lo stesso annuncio altre due volte, per le morti di Urbano VIII ed Innocenzo X.

L'Inquisizione

Sfortunatamente, c'erano alcuni confratelli che non credevano in queste cose. Inoltre, lui non sembrava il tipo di persona a cui potessero accadere simili cose... anzi, era generalmente un problema per la comunità... Quindi, era un impostore!
Fu denunciato al Vicario Generale, che prestò fede alle accuse, per cui fu convocato dagli inquisitori di Napoli, dove si recò nell'ottobre 1638, lasciando il convento "La Grottella" di Copertino e trasferendosi nel monastero francescano conventuale "San Lorenzo Maggiore". Ben presto si sparse la voce che un santo abitava lì ed una enorme folla di napoletani si accalcò intorno al convento. Giuseppe aveva timore di entrare nel Tribunale dell'Inquisizione, ma S.Antonio da Padova gli apparve e lo incoraggiò. Fu interrogato, ed andò anche in estasi, rimanendo sospeso nell'aria. Gli inquisitori non riuscirono ad accusarlo di nulla, quindi lo mandarono a Roma, affinchè il Ministro Generale dell'Ordine lo esaminasse ulteriormente. Il Ministro si rese conto dell'umiltà di Giuseppe, cominciò a dubitare della veridicità delle accuse e lo portò dinanzi al Papa.
Alla fine, nulla fu provato contro Giuseppe, ma il Tribunale dell'Inquisizione decise di tenerlo comunque sotto stretta sorveglianza. Fu mandato da un convento isolato all'altro, e trattato con il massimo rigore. Egli visse dal 1639 al 1653 nel Sacro Convento di Assisi. Nel luglio 1653, fu improvvisamente trasferito nel solitario convento cappuccino di "Pietrarubbia", vicino Pesaro, e poi fu mandato in un altro "nascondiglio", il monastero di "Fossombrone", sempre vicino Pesaro.

Gli ultimi anni e la morte

Giuseppe non sapeva, nè chiese mai, ma sicuramente si chiedeva perchè fosse stato separato dai conventuali e mandato presso i cappuccini. Tuttavia, conservò il suo spirito gioioso e rassegnato, sottomettendosi fiduciosamente alla Divina Provvidenza. Fu tenuto sempre in stretta clausura e gli era perfino proibito scrivere o ricevere lettere. Trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita come se stesse in prigione, tenuto lontano dalle folle che insistevano nel cercarlo. Nonostante tutte queste accortezze, non riuscirono a tenerlo nascosto, ed i pellegrini scoprivano sempre i suoi nascondigli. Il 10 luglio 1657, sei anni prima della sua morte, Giuseppe fu restituito ai confratelli conventuali e mandato nel convento della cittadina di Osimo, in provincia di Ancona, nelle Marche, vicino ad una delle capitali mondiali della fede: Loreto, dove la casa natale di Cristo fu trasportata dagli angeli, secondo la tradizione religiosa. Giuseppe praticò la penitenza ed il digiuno a tal punto che osservò sette Quaresime di 40 giorni ogni anno, e durante la maggior parte di esse, non toccò cibo ad esclusione del mercoledì e della domenica. Celebrò la Messa per l'ultima volta il 15 agosto 1663 e morì alle ore 24,00 del 18 settembre. La gente accorse per vederlo, toccarlo e tagliare un pezzetto della sua santa tonaca. I confratelli dovettero nascondere il suo corpo, per proteggerlo dalla folla. Ora è nella cripta della Basilica a lui dedicata. Dichiarato venerabile nel 1735, fu beatificato da Benedetto XIV il 24 febbraio 1753, e canonizzato il 16 luglio 1767 da Clemente XIII. E' il santo patrono degli studenti, dei piloti e di chi viaggia in aereo. La sua ricorrenza è il 18 settembre.

FONTE (http://www.smbsassari.com/personaggi/Giuseppe%20da%20Copertino.htm)

Augustinus
18-09-04, 13:36
Cfr. G. Parisciani O.F.M. Conv., S. Giuseppe da Copertino alla luce dei nuovi documenti. Osimo 1963, passim

Tre sono le cose proprie di un religioso: amare Dio con tutto il cuore, lodarlo con la bocca, e dare sempre buono esempio con le opere. Nessuna persona spirituale o religiosa può essere perfetta senza l’amore di Dio. Chi ha la carità, è ricco e non lo sa; chi non ha la carità, ha una grande infelicità.
La grazia di Dio è come il sole, che splendendo su gli alberi e le loro foglie, li adorna ma non li contamina, li lascia nel loro essere, senza minimamente alterarli. Così la grazia di Dio, illuminando l’uomo, lo adorna di virtù, lo fa splendente di carità, lo rende bello e vago agli occhi di Dio; non altera la sua natura, ma la perfeziona. Dio vuole, dell’uomo, la volontà, poiché questi non possiede altro di proprio, pur avendola ricevuta quale prezioso dono dal suo Creatore. Difatti quando si esercita in opere di virtù, la grazia di operare e tutti gli altri: doni ch’egli possiede, vengono da Dio: l’uomo, di suo, non ha che la volontà; perciò Dio si compiace sommamente, quando egli, rinunciando alla propria volontà, si mette completamente nelle sue mani divine.
Come un albero, dopo essere stato oggetto delle cure più assidue, in fine, carico di frutti, ne dà a chi ne vuole, così l’uomo che comincia a camminare nella via di Dio, deve sforzarsi con ogni diligenza di crescere e progredire nel servizio del Signore, spandendo rami di virtù e producendo fiori profumati di santità e frutti di opere sante, per modo che tutti gli uomini, dietro il suo esempio, apprendano anch’essi a camminare nella via di Dio.
Il patire per amore di Dio è un favore singolarissino, che il Signore concede a coloro che ama.
E’ maggior grazia il patire in questa vita che non il godere, poiché il Signore vuole essere ripagato con la stessa moneta che egli ha sborsato per noi: Gesù ha tanto sofferto per noi, e vuole che anche noi soffriamo con lui. O sei oro, o sei ferro: se sei oro, la sofferenza ti purifica se sei ferro la sofferenza ti toglie la ruggine.
I servi di Dio devono fare come gli uccelli, i quali scendono a terra per prendere un pò di cibo e poi subito si risollevano in aria. Similmente i servi di Dio possono fermarsi sulla terra quanto comporta la necessità del vivere umano, ma poi subito, con la mente, devono sollevarsi al cielo per lodare e benedire il Signore. Gli uccelli, se scorgono del fango sul terreno, non si calano sopra, oppure lo fanno con molta cautela per non imbrattarsi. Così dobbiamo fare noi: mai abbassarci alle cose che macchiano l’anima, ma sollevarci in alto e con le nostre opere lodare il Signore, sommo Bene.

Augustinus
18-09-05, 08:05
da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste , trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1092-1093

18 SETTEMBRE

SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

La santità non è nei fenomeni mistici.

"Vi è un'opinione troppo diffusa e accettata, forse a causa dei trattati di mistica moderni e del modo di scrivere la vita dei santi. Ci si è abituati a vedere la santità in manifestazioni straordinarie, che talvolta la caratterizzano o nei modi dei quali Dio si vale per prepararla, accrescerla, manifestarla, quando gli piace, modi che non sono la santità, né la sua essenziale manifestazione.

Anche quando la causa di tali manifestazioni è divina, non bisogna darci soverchia importanza, dato che non potrebbero rivelare la profondità e il valore reale dell'azione divina, che, generalmente, tanto più è intensa quanto meno si tradisce all'esterno.

Quando si leggono le vite dei Padri e dei grandi contemplativi dell'antichità, si resta colpiti dal silenzio quasi completo, che essi mantengono circa gli effetti esteriori della contemplazione soprannaturale... Per essi l'unione con Dio, la vera santità consiste nella pratica eroica delle virtù teologali e cardinali...

I Santi sono uomini come gli altri, che hanno però preso sul serio le condizioni della loro creazione e il fine che Dio si è proposto nel crearli" (M.me Cecile Bruyère, La vie spirituelle et l'oraison, Mame, 1950, p. 42, 338).

Scopo dei privilegi.

Tuttavia accade che Dio conceda, a qualcuno dei suoi servi, privilegi che non sono per necessità segno della santità, ma piuttosto ricompensa e che soprattutto sono utili nella Chiesa per la salvezza, la conversione, la santificazione delle anime, che con stupore li notano. Dio li concede quando crede e, quando crede, anche li toglie e il segno della sua azione divina sta piuttosto nell'umiltà, che sempre sa conservare colui che è oggetto della divina liberalità.

Privilegi di san Giuseppe.

Due privilegi sono stati concessi a san Giuseppe da Copertino e lo hanno reso celebre, ma gli hanno procurato ancor più sofferenze e umiliazioni: il dono di essere alzato da terra come per un'esplosione di amore di Dio, e quello di leggere nelle anime, come se fossero libri aperti davanti ai suoi occhi. Il povero e ignorante religioso aveva penato per farsi ammettere nell'Ordine dei Frati Minori, perché sembrava buono a nulla ed era stato ordinato sacerdote solo perché il vescovo, che aveva fiducia in lui, non lo aveva sottoposto ad esame. Ma Dio voleva manifestare in questo ignorante, il quale aveva tanto mortificato la sua carne e subito tante umiliazioni e obbrobri, i privilegi che le nostre anime e i nostri corpi avranno dopo la risurrezione. I corpi risuscitati possono spostarsi da un luogo all'altro con grande rapidità, elevarsi verso Dio, senza peso o ostacoli e le anime potranno leggere nelle altre anime ciò che la grazia del Signore vi avrà deposto, dal giorno del battesimo fino alla glorificazione.

VITA. - Giuseppe nacque il 17 giugno 1603 a Copertino, nel regno di Napoli. Era di famiglia tanto povera che la madre lo mise al mondo in una stalla, ma gli diede una educazione piissima e severa. Già nell'infanzia la sua preghiera era così fervorosa e costante che parve non capire altro e non occuparsi d'altro che di Dio. Entrò a 17 anni nell'Ordine dei Minori Conventuali, ma fu necessario dimetterlo, perché, se erano notati i suoi rapimenti come le sue virtù, non erano meno notate le sue incapacità a qualsiasi lavoro e inoltre era sempre fuori della regola. Però i Conventuali ci ripensarono ed egli entrò nel noviziato e fu anche ordinato sacerdote, nonostante l'ignoranza della scolastica. I superiori lo designarono alla predicazione e tosto il suo linguaggio, semplice e infiammato, convertì molti peccatori. Le sue estasi, la sua vita tra cielo e terra, il dono di leggere nelle anime, gli valsero grande celebrità e molte persecuzioni e fu denunciato alla Inquisizione. L'Inquisizione riconobbe la sua virtù, ma ordinò che, per prudenza, fosse tenuto fisso in un convento dell'Ordine. Felice di tale decisione, passò gli ultimi anni della sua vita nella preghiera e nel silenzio. Morì a Osimo, presso Loreto, nel 1663; fu beatificato nel 1753 da Benedetto XIV e canonizzato da Clemente XIII nel 1767.

Preghiera.

Lodiamo Dio per i doni prodigiosi che ti ha fatto, o Giuseppe, ma le tue virtù sono doni più grandi. Senza di queste, quelli sarebbero stati sospetti per la Chiesa tanto più circospetta perché da tanto tempo il mondo applaudiva e ammirava. Obbedienza, pazienza, carità, crescendo in mezzo alle prove, posero in te il segno dell'autenticità divina incontestabile ai fatti straordinari, che il nemico può scimmiescamente contraffare. Satana può portare Simone in alto, ma non sa fare umile un uomo. Degno figlio del serafico d'Assisi, fa' che noi possiamo, sulle tue orme volare non nell'aria, ma nelle regioni della luce vera, lontani dalla terra e dalle passioni, la nostra vita possa essere, come la tua, nascosta in Dio (Colletta e Antifona propria della festa; Col 3,3).

http://img65.imageshack.us/img65/7914/josephvoncopertinoschreinvl7.jpg Urna del Corpo del Santo a Osimo

Augustinus
17-09-07, 16:44
St. Joseph of Cupertino

Mystic, born 17 June, 1603; died at Osimo 18 September, 1663; feast, 18 September. Joseph received his surname from Cupertino, a small village in the Diocese of Nardò, lying between Brindisi and Otranto in the Kingdom of Naples. His father Felice Desa, a poor carpenter, died before Joseph was born and left some debts, in consequence of which the creditors drove the mother, Francesca Panara, from her home, and she was obliged to give birth to her child in a stable. In his eighth year Joseph had an ecstatic vision while at school and this was renewed several times; so that the children, seeing him gape and stare on such occasions, lost to all things about him, gave him the sobriquet "Bocca Aperta". At the same time he had a hot and irascible temper which his strict mother strove hard to overcome. He was apprenticed to a shoemaker, but at the age of seventeen he tried to be admitted to the Friars Minor Conventuals and was refused on account of his ignorance. He then applied to the Capuchins at Martino near Tarento, where he was accepted as a lay-brother in 1620, but his continual ecstasies unfitted him for work and he was dismissed. His mother and his uncles abused him as a good-for-nothing, but Joseph did not lose hope. By his continued prayers and tears he succeeded in obtaining permission to work in the stable as lay help or oblate at the Franciscan convent of La Grotella near Cupertino. He now gave evidence of great virtues, humility, obedience, and love of penance to such an extent that he was admitted to the clerical state in 1625, and three years later, on 28 March he was raised to the priesthood. Joseph was but little versed in human knowledge, for his biographers relate that he was able to read but poorly, yet infused by knowledge and supernatural light he not only surpassed all ordinary men in the learning of the schools but could solve the most intricate questions.

His life was now one long succession of visions and other heavenly favours. Everything that in any way had reference to God or holy things would bring on an ecstatic state: the sound of a bell or of church music, the mention of the name of God or of the Blessed Virgin or of a saint, any event in the life of Christ, the sacred Passion, a holy picture, the thought of the glory in heaven, all would put Joseph into contemplation. Neither dragging him about, buffeting, piercing with needles, nor even burning his flesh with candles would have any effect on him -- only the voice of his superior would make him obey. These conditions would occur at any time or place, especially at Mass or during Divine Service. Frequently he would be raised from his feet and remain suspended in the air. Besides he would at times hear heavenly music. Since such occurrences in public caused much admiration and also disturbance in a community, Joseph for thirty-five years was not allowed to attend choir, go to the common refectory, walk in procession or say Mass in church, but was ordered to remain in his room, where a private chapel was prepared for him. Evil-minded and envious men even brought him before the Inquisition, and he was sent from one lonely house of the Capuchins or Franciscans to another, but Joseph retained his resigned and joyous spirit, submitting confidently to Divine Providence. He practised mortification and fasting to such a degree, that he kept seven Lents of forty days each year, and during many of them tasted no food except on Thursdays and Sundays. His body is in the church at Osimo. He was beatified by Benedict XIV in 1753, and canonized 16 July 1767 by Clement XIII; Clement XIV extended his office to the entire Church. His life was written by Robert Nuti (Palermo, 1678). Angelo Pastrovicchi wrote another in 1773, and this is used by the Bollandist "Acta SS.", V, Sept., 992.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VIII, New York, 1910 (http://www.newadvent.org/cathen/08520b.htm)

Diaconus
17-09-07, 16:52
GIOVANNI PAOLO II

MESSAGGIO AL MINISTRO GENERALE DELL’ORDINE FRANCESCANO
DEI FRATI MINORI CONVENTUALI

Al Reverendissimo Padre
JOACHIM GIERMEK
Ministro Generale
dell'Ordine Francescano Frati Minori Conventuali

1. Ho appreso con gioia che codesto Ordine intende commemorare il 400° anniversario della nascita di san Giuseppe da Copertino, avvenuta il 17 giugno 1603, con numerose iniziative religiose, pastorali e culturali, orientate tutte alla riscoperta della profondità e dell'attualità del messaggio di questo fedele discepolo del Poverello d'Assisi.

In tale significativa circostanza, sono lieto di rivolgere a Lei il mio più cordiale saluto, estendendolo volentieri alla Comunità francescana di Osimo e ai Frati Minori Conventuali sparsi nel mondo. Saluto inoltre i devoti e i pellegrini, che prenderanno parte alle solenni celebrazioni giubilari.

2. Quest’importante ricorrenza costituisce una singolare occasione di grazia offerta in primo luogo ai Frati Minori Conventuali. Dal suo esempio essi devono sentirsi spinti ad approfondire la loro vocazione religiosa per rispondere con rinnovato impegno, come egli fece ai suoi tempi, alle grandi sfide che la società pone ai seguaci di san Francesco d'Assisi, all’alba del terzo millennio.

Al tempo stesso, questo Anno Centenario costituisce una provvidenziale opportunità per tutta la comunità cristiana, che rende grazie al Signore per gli abbondanti frutti di santità e di saggezza umana elargiti a questo umile e docile servitore di Cristo.

San Giuseppe da Copertino continua a risplendere ai nostri giorni come faro che illumina il cammino quotidiano di quanti ricorrono alla sua celeste intercessione. Conosciuto popolarmente come il "Santo dei voli" a motivo delle sue frequenti estasi e della straordinarietà delle esperienze mistiche, egli invita i fedeli ad assecondare le attese più intime del cuore; li stimola a ricercare il senso profondo dell'esistenza e, in ultima analisi, li spinge ad incontrare personalmente Iddio abbandonandosi pienamente alla sua volontà.

3. Patrono degli studenti, san Giuseppe da Copertino incoraggia il mondo della cultura, in particolare della scuola, a fondare il sapere umano sulla sapienza di Dio. Ed è proprio grazie a questa sua interiore docilità ai suggerimenti della sapienza divina che questo singolare Santo può proporsi come guida spirituale di ogni categoria di fedeli. Ai sacerdoti e ai consacrati, ai giovani e agli adulti, ai bambini e agli anziani, a chiunque voglia essere discepolo di Cristo, egli continua ad indicare le priorità che questa scelta radicale comporta. Il riconoscimento del primato di Dio nella nostra esistenza, il valore della preghiera e della contemplazione, l'appassionata adesione al Vangelo "sine glossa", senza compromessi: ecco alcune condizioni indispensabili per essere testimoni credibili di Gesù ricercando con amore il suo Volto santo. Così fece questo mistico straordinario, esemplare seguace del Poverello d'Assisi. Arse di tenero amore per il Signore e visse al servizio del suo Regno. Dal cielo ora non cessa di proteggere e sostenere quanti, seguendo le sue orme, intendono convertirsi a Dio ed incamminarsi con decisione sulla via della santità.

4. Nella spiritualità che lo contraddistingue emergono i tratti tipici della genuina tradizione del francescanesimo. Innamorato del mistero dell'Incarnazione, Giuseppe da Copertino contemplava estasiato il Figlio di Dio nato a Betlemme, chiamandolo affettuosamente e confidenzialmente "il Bambinello" . Esprimeva quasi esteriormente la dolcezza di questo mistero abbracciando una immagine del Bambino Gesù in cera, cantando e danzando per la tenerezza divina riversata abbondantemente sull’umanità nella grotta del Natale.

Commovente era poi la sua partecipazione al mistero della Passione di Cristo. Il Crocifisso gli era sempre presente nella mente e nel cuore, tra le sofferenze di una vita incompresa e spesso ostacolata. Le lacrime gli scendevano copiose al pensiero della morte di Gesù sulla Croce, soprattutto perché, come amava ripetere, sono stati i peccati a trafiggere il corpo immacolato del Redentore col martello dell'ingratitudine, dell’egoismo e dell’indifferenza.

5. Altro aspetto importante della sua spiritualità fu l’amore all’Eucaristia. La celebrazione della Santa Messa, come pure le lunghe ore trascorse in adorazione dinanzi al tabernacolo, costituivano il cuore della sua vita di orazione e di contemplazione. Considerava il Sacramento dell'Altare "cibo degli angeli", mistero della fede lasciato da Gesù alla sua Chiesa, Sacramento dove il Figlio di Dio fatto uomo non appare ai fedeli faccia a faccia, ma cuore a cuore. Con questo sommo Mistero - affermava - Dio ci ha donato tutti i tesori della divina onnipotenza e ci ha fatto palese l'eccesso della sua divina misericordia. Dal quotidiano contatto con Gesù Eucaristico egli traeva la serenità e la pace, che poi trasmetteva a quanti incontrava, ricordando che in questo mondo siamo tutti pellegrini e forestieri in cammino verso l’eternità.

6. San Giuseppe da Copertino si distinse per la semplicità e l'obbedienza. Distaccato da tutto, visse continuamente in cammino, spostandosi da un convento all'altro come i Superiori stabilivano, abbandonandosi in ogni circostanza nelle mani di Dio.

Autentico francescano, secondo lo spirito del Poverello d'Assisi, nutrì un profondo attaccamento al Successore di Pietro ed ebbe un senso vivo della Chiesa, che amò in modo incondizionato. Della Chiesa, percepita nella sua intima realtà di Corpo mistico, si sentiva membro vivo e attivo. Aderì totalmente alla volontà dei Papi del suo tempo, lasciandosi docilmente accompagnare nei luoghi dove l'obbedienza lo conduceva, accettando anche le umiliazioni e i dubbi che la originalità dei suoi carismi non mancò di suscitare. Non poteva certo negare la straordinarietà dei doni di cui era fatto oggetto ma, ben lungi da qualsiasi atteggiamento di orgoglio o di vanto, andava alimentando sentimenti di umiltà e di verità, attribuendo tutto il merito del bene che fioriva tra le sue mani alla gratuita azione di Dio.

7. E che dire della sua devozione filiale e commovente per la Vergine Santa? Fin dalla giovinezza apprese a sostare a lungo ai piedi della Madonna delle Grazie, nel Santuario di Galatone. In seguito si soffermava a contemplare l’immagine a lui tanto cara della Vergine della Grottella, che lo accompagnò durante tutta la vita. Infine, dal convento di Osimo, dove trascorse gli ultimi anni, volgeva spesso lo sguardo verso la Basilica di Loreto, secolare centro di devozione mariana.

Per lui Maria fu una vera madre con cui intratteneva rapporti filiali di semplice e sincera confidenza. Ancor oggi egli ripete ai devoti che a lui ricorrono: "Questa è la nostra Protettrice, Signora, Patrona, Madre, Sposa, Adiutrice".

8. In san Giuseppe da Copertino, molto caro al popolo, risplende la sapienza dei piccoli e lo spirito delle Beatitudini evangeliche. Attraverso l’intera sua esistenza egli indica la strada che conduce all'autentica gioia, pur in mezzo a fatiche e tribolazioni: una gioia che viene dall'alto e nasce dall’amore per Dio e per i fratelli, frutto di lunga e impegnativa ricerca del vero bene e, proprio per questo, contagiosa verso quanti ne vengono a contatto.

Se, a causa del suo intenso e ardito impegno di ascesi cristiana, questo Santo potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale come una persona rude, severa e rigorosa, in realtà egli è l'uomo della gioia, affabile e cordiale con tutti. Anzi, i biografi riferiscono che egli riusciva a trasmettere la sua santa e francescana letizia mediante il modo di pregare arricchito da attraenti composizioni musicali e da versi popolari che coinvolgevano i suoi uditori, ravvivandone la devozione.

9. Tutte queste caratteristiche rendono san Giuseppe da Copertino spiritualmente vicino agli uomini del nostro tempo. Auspico pertanto che la ricorrenza anniversaria sia un'occasione opportuna e gradita per una riscoperta dell'autentica spiritualità del "Santo dei voli". Alla sua scuola, possano tutti imparare a percorrere la strada che conduce ad una santità "feriale", contrassegnata dal compimento fedele del proprio quotidiano dovere.

Per i Frati Minori della Famiglia religiosa conventuale egli sia un luminoso modello di sequela evangelica, secondo il carisma specifico di Francesco e Chiara d'Assisi. Ai fedeli, che prenderanno parte ai vari momenti commemorativi, ricordi che ogni credente deve "prendere il largo", confidando nell'aiuto del Signore per rispondere appieno alla propria chiamata alla santità.

In una parola, l'eroica testimonianza evangelica di questo affascinante uomo di Dio, riconosciuta dalla Chiesa e riproposta agli uomini e alle donne del nostro tempo, costituisce per ciascuno un forte richiamo a vivere con passione ed entusiasmo la propria fede, nelle molteplici e complesse situazioni dell'epoca contemporanea.

Con tali sentimenti ed auspici, volentieri imparto a Lei, Reverendissimo Ministro Generale, ai suoi Confratelli sparsi nel mondo, a quanti accorrono ogni giorno al santuario di Osimo una speciale Benedizione Apostolica, che con affetto estendo a tutti coloro che si ispirano agli esempi e agli insegnamenti del Santo da Copertino.

Dal Vaticano, 22 Febbraio 2003

IOANNES PAULUS II

Diaconus
17-09-07, 17:01
18 de septiembre

San José de Copertino (1603-1663)

por José María Feraud

Por aquellas calendas agitábanse los pueblos con las convulsiones propias del nacimiento de una nueva época: la Edad Moderna.

El antes glorioso Imperio otomano estaba en decadencia; Rusia se regía por zares, sedientos de grandezas; en Alemania se incubaban guerras intestinas; otro tanto ocurría en Inglaterra en los inicios de su hegemonía marítima; en Francia el «Rey Sol» deslumbraba con las fastuosidades de su Versalles; mientras que íbase declinando el poderío español.

En estos momentos históricos, siendo papa Clemente VIII y reinando en España y Nápoles Felipe III, plugo a Dios que viniera al mundo el niño José Desa, como para confundir con su ignorancia a los petulantes de aquel siglo.

Ni por razón de la patria, ni del hogar, puede decirse que resplandeciera este gran santo desde su infancia.

Vino al mundo en un establo de la pequeña aldea napolitana de Cupertino. Su madre, Francisca Panara, hubo de refugiarse en aquel escondrijo, para huir de los ejecutores de la sentencia de embargo, dictada contra el cabeza de familia, Félix Desa, por no poder pagar a sus acreedores.

Eran gente honrada; pero los escasos ingresos de un pobre carpintero de aldea no permitían vivir con deshago económico y, como los agentes judiciales no suelen tener entrañas de misericordia ...

En compensación de estas penurias económicas, abundaba aquella familia de caudales de fe tradicional y buenas costumbres, por lo que el pequeño fue educado en el santo temor de Dios y la mayor pureza de vida. Para ponerle bajo la protección de la Santísima Virgen, le añadieron en la confirmación el sobrenombre de María, y así José María desde su infancia pudo contar con dos madres: la del cielo y la de la tierra.

Era ésta una ruda aldeana de carácter fuerte, que no le consentía el menor desliz o travesura, castigándole duramente, hasta el extremo de dejarle alguna noche fuera de casa, teniendo que refugiarse, para dormir, en el atrio de la iglesia parroquial, según cuentan algunos autores.

En lo que todos sus hagiógrafos coinciden es en afirmar que era de muy cortos alcances intelectuales, por lo que no pudo lograr casi ningún adelanto en la escuela rural, donde le matricularon sus padres.

En vista de que el estudiar era para él tiempo perdido, le sacaron de la escuela sin saber leer y, para que ayudase a aliviar las angustias domésticas, le pusieron sus padres como aprendiz en la zapatería del pueblo.

No era muy complicado este oficio de artesanía; mas la ineptitud de José para los estudios corrió pareja con la que mostraba en este aprendizaje, durante el que más de una vez tendría que experimentar las caricias del tirapié, para que se espabilase ...

Desechado como inútil por el maestro zapatero, hubo de quedarse en su propia casa, cuyos problemas agrandó más, en vez de ayudar a resolverlos, porque le sobrevino entonces una larga y penosa enfermedad. Su cuerpo se le cubrió de postemas repugnantes y dolorosas, que le ocasionaban muchos sufrimientos, aunque supo soportarlos con ejemplar paciencia, hasta que un buen día la Santísima Virgen le devolvió la salud.

Una vez repuesto corporalmente, como para nada servía, se dedicó a una vida de oración y caridad, prestando a todos, con mejor gana que acierto, sus pobres servicios.

Para lo único que tenía gran habilidad era para orar y mortificarse. Se pasaba largas horas de hinojos en la iglesia, y ni se preocupaba de comer, siendo frugalísimo su alimento, cuando le obligaban a tomarlo.

Así fueron pasando los días de su adolescencia y, al frisar en los diecisiete años, sintióse llamado a la vida religiosa en la Orden de los franciscanos conventuales.

Para solicitar el ingreso en ella, acudió a un convento que le era conocido, por tener allí dos tíos suyos frailes. Gracias a la eficaz recomendación de éstos, fue admitido como lego, ya que, por su ineptitud para las letras, no podía aspirar al sacerdocio. Viéndose en la casa de Dios, se acrecentaron sus fervores, de tal modo que sólo se preocupaba de orar y hacer penitencia, pero descuidando y realizando mal los encargos que se le hacían. Todos reconocieron que era muy santo, pero inútil para la vida de comunidad, pues no servía ni para pelar patatas o fregar platos, por lo que hubieron de despedirle del convento, con gran pena de todos.

Fracasado este primer intento, pensó en pedir el hábito en otra Orden más austera y, en 1620, llamó a las puertas del convento que tenían los capuchinos en Martina.

El ambiente de pobreza y recogimiento de aquella casa encantó a José. Los religiosos también quedaron gratamente impresionados al ver su profunda humildad y oírle hablar de las cosas divinas con tanto fervor, por lo que, ad experimentum, le recibieron entre los hermanos legos. Pronto llegaron hasta allí rumores de que se trataba de un haragán histérico, inservible para todo. Las sencillas pruebas a que le sometieron confirmaron estas apreciaciones: la santidad de aquel postulante no parecía muy sólida, ya que lo que le sobraba de oración, le faltaba de obediencia, pues se olvidaba de los encargos o los hacía al revés. A su capacidad deficiente en lo intelectual, se le añadieron raras enfermedades en los ojos y en las rodillas, por lo que hubieron de despedirle con pena por inservible.

Así plugo al Señor acrisolar a esta alma predilecta suya, llevándole por la penosa senda de las humillaciones y fracasos. Para colmo de desdichas, cuando retornó a su hogar, vio que había muerto su padre, y los acreedores de éste quisieron poner en la cárcel al hijo, para saldar las cuentas familiares; pero ¿de dónde sacaría dinero, si para nada servía?...

Como José supo que uno de sus tíos franciscanos estaba predicando en Vetrara, decidió encaminarse allá, para impetrar orientación y auxilio.

El buen franciscano, en vista del doble fracaso de su sobrino, le recibió con mal talante, reprendiéndole por su inconstancia e inutilidades; pero compadecido y edificado al ver su humildad, se animó a recomendarle a sus hermanos de la pequeña residencia de Santa María de Grotella, donde fue admitido, en 1621, como mero oblato, para ayudar en los servicios más ínfimos.

Aquellos padres conventuales, religiosos de mucho espíritu, supieron apreciar el oro de santidad, encubierto bajo la escoria de las deficiencias del joven oblato, y le admitieron como novicio en 1625, ciñéndole el glorioso cordón franciscano. ¡Todo se lo debía a su Madre del cielo!

El humilde fray José, al verse tonsurado y recibido entre los aspirantes al sacerdocio, henchióse de santo júbilo; pero no cesaron por eso sus amarguras, pues el nuevo género de vida le obligaba a dedicar largas horas al estudio y sus cortas facultades mentales no daban para tanto. Las letras no entraban en su cabeza y a duras penas logró aprender a traducir el sencillo lenguaje evangélico. Cada examen era para él un martirio y un fracaso...

Mas sus progresos en la virtud eran extraordinarios y compensaban este retardo mental; en vista de ello, sus superiores decidieron en 1626 concederle la profesión, al terminar su noviciado, y hasta le dispensaron de los exámenes, para que el señor obispo de Nardó, don Jerónimo de Franchis, le concediera las órdenes menores y el subdiaconado, que recibió el 30 de enero y el 27 de febrero respectivamente.

Al aspirar al diaconado, quiso el señor obispo examinarle personalmente, lo que puso a fray José en un trance peligroso. Temblando fue hacia la sede episcopal, después de haberse encomendado con todo fervor a su querida Virgen de la Grotella. Como de costumbre, presentó el prelado al ordenando los evangelios, para que picase, leyera e hiciese la exégesis del que le correspondiese. Abrió el libro, al azar, por el texto mariano: Beatus venter, qui te portavit... («¡Dichoso el seno que te llevó...!» Lc 11,17), y al punto lo tradujo con tal maestría y lo explanó con tan devota elocuencia, que a todos dejó prendados de su saber, por lo que pudo recibir el diaconado el 30 de marzo del mismo año.

Salvado así este difícil trance, prosiguió fray José sus estudios con igual tesón e idéntico resultado fatal en el aprovechamiento, hasta que, para aspirar al presbiterado, hubo de presentarse ante el tribunal que presidía el obispo de Castro, don Juan Bautista Detti. Presentóse con otros compañeros de claustro que tenían grandes dotes de talento, por lo que el contraste habría de resultarle muy bochornoso; pero la Santísima Virgen se valió de esto mismo para sacar con bien a su devoto; los primeros examinandos probaron su competencia con tal brillantez, que aquel prelado, aunque tenía fama de riguroso, creyendo que todos los condiscípulos estarían a la misma altura, suspendió la sesión, cuando le iba a tocar a fray José, y dio por aprobados a los restantes... Por tan extraordinario favor pudo recibir el 18 de marzo de 1628 los poderes sacerdotales.

Como reconocía que su ordenación era un singular favor de la Santísima Virgen de la Grotella, en este reducido santuario quiso celebrar su primera misa, para dedicar las primicias del sacerdocio a su celestial Madre.

Desde entonces se repitieron casi diariamente los éxtasis y comenzó a prodigar favores milagrosos a cuantos necesitados de auxilio recurrían al convento. Una vida tan extraordinaria y tales hechos taumatúrgicos originaron envidias, habladurías y rumores calumniosos, que llegaron hasta las oficinas curiales, por lo que cierto vicario se creyó obligado a delatar el caso de fray José al Santo Tribunal de la Inquisición, que funcionaba en Nápoles. Tremenda y afrentosa era esta prueba, ya que este Tribunal se cuidaba de extirpar la plaga de herejes y hechiceros. Los inquisidores tomaron cartas en asunto de tanta resonancia en la provincia de Bari y citaron a juicio al acusado.

Harto prolijo y a fondo debió ser el examen, ya que duró dos semanas y le dedicaron tres largas sesiones, indagando su género de vida y arguyéndole sobre las cuestiones teológicas más debatidas entonces, a todo lo cual respondió con una seguridad y acierto asombrosos. Más aún, pues allí mismo verificó un milagro, ya que le mandaron leer en un breviario las lecciones históricas de Santa Catalina de Sena, que contenían un error histórico y, no viendo lo que tenía ante sus ojos, hizo por tres veces una lectura correcta y exacta. Nada encontraron aquellos doctos y ecuánimes jueces que fuera censurable o erróneo en fray José, por lo que proclamaron su inocencia y sabiduría, pues era evidente que tenía ciencia infusa.

Esta gracia gratis data se comprueba mejor en los atestados hechos para el proceso de su canonización. Pero aún hay otro testimonio de más valía, dado por la boca de un pequeñuelo que apenas sabía hablar. Cuando se le presentó su madre al Santo, acaricióle éste, rogándole que repitiera: «Fray José es un pecador, que merece el infierno», y con voz clara el chiquitín dijo: «Fray José es un gran santo, que merece el cielo»...

Como la fama de tales portentos se dilataba cada vez más, de todas partes acudían al convento donde residía el frailecito de Cupertino, por lo que el padre ministro general de los conventuales, fray Juan B. Berardiceldo, decidió llamarle a su residencia de Roma. Recibióle con cautela y dio órdenes para que se le aposentara en la más apartada celda de aquel convento.

Todo fue en vano. Los éxtasis y los milagros se multiplicaron, y las más altas dignidades eclesiásticas se preocupaban de ver al taumaturgo. Hasta el mismo Papa manifestó deseos de conocerle, y, conducido por el padre ministro general, fue recibido en audiencia particular por el papa Urbano VIII; pero hete aquí que, nada más ver al Vicario de Cristo, se quedó extático fray José y, en suave levitación, permaneció suspenso en el aire por largo rato, hasta que su superior le mandó que descendiera. Al terminar la audiencia, el Papa dijo al general: «Si este fraile muriese durante nuestro pontificado, Nos mismo daríamos testimonio de lo sucedido hoy».

Tan extraordinario fenómeno místico llegó a ser cosa corriente en la vida de fray José. Parecía como que su mortificada carne estaba ya exenta de las leyes ordinarias de la gravitación y, en cuanto una idea u objeto le recordaba algo divino, sus sentidos se enajenaban y el cuerpo ascendía por los aires, a veces hasta unirse con la imagen, que le atraía como suave imán, pasando por encima de las velas encendidas, sin que sus llamas quemaran el pobre sayal.

En 1639 fue destinado al observante convento de Asís, donde le sobrevinieron graves crisis de aridez espiritual y lúbricas tentaciones, a lo que se juntaron otras penosas enfermedades y humillaciones; pero, cuando su general le volvió a trasladar a Roma en 1644, se le acabaron todas estas pruebas y comenzó otra serie de compensaciones gloriosas, que continuaron después, al retornar a vivir junto al sepulcro de su padre; allí prodigó los milagros, compuso discordias, purificó las costumbres y evitó una sangrienta revuelta, por todo lo cual llegó a merecer que las autoridades y el pueblo le proclamasen hijo adoptivo de aquella histórica ciudad, perla de la Umbría.

Esta serie de éxitos ruidosos despertó otra de nuevas contradicciones y hasta de diabólicas venganzas.

En cierta ocasión, caminando a caballo de uno a otro convento, al pasar por un estrecho puente, la furia infernal espantó a la noble bestia y el jinete cayó al río; pero lo maravilloso fue que fray José salió del agua tranquilamente con el hábito seco. Contaba después este lance con su ordinaria sencillez, diciendo que fue el diablo quien le dio un empujón, exclamando: «¡Muere aquí, fraile hipócrita, abandonado de Dios!»; pero que él le había respondido: «En todo momento quiero esperar en el Señor, que siempre me ayuda, y no habrá quien me haga desconfiar de Él...»

También debió ser otra diabólica trama la nueva persecución, suscitada en Roma contra el Santo de Cupertino. Cuando subió al solio pontificio Inocencio X, decidió acabar de una vez con todas las disputas que había en torno a los hechos portentosos de fray José y, para esclarecer la verdad y evitar posibles amaños, mandó que se le recluyera en el escondido convento capuchino de Petra Rubra, para librar así a los conventuales de calumniosas maledicencias. Todo fue en vano; pues el ambiente aislador se trocó en nueva exaltación, y aquella recóndita casa convirtióse en centro de peregrinación y manantial de prodigios, creciendo más el frenesí de los fieles. Esto motivó un nuevo traslado a Fesonbrone, pero continuaron allí los éxitos del taumaturgo igual que antes.

Con el cambio de Pontífice, pudieron lograr los conventuales que se permitiera al discutido fraile retornar a vivir entre sus hermanos de la primitiva Orden, y sus superiores le señalaron como residencia claustral a Osimo, en la región de Las Marcas.

Desde que llegó a la que iba a ser su última morada, hasta que enfermó en ella el 10 de agosto de 1663, puede decirse que pasó el ocaso de su vida en un continuado y dulcísimo rapto. Hubieron de separarle de la comunidad y señalarle un oratorio interior, para que celebrase con sus extraordinarios fervores el santo sacrificio, que solía durar casi una hora.

El don de profecía, que había mostrado antes en favor de otros, sirvióle también entonces para conocer la proximidad de su muerte.

Preparóse para el trance final con singular fervor, y pidió él mismo que le administrasen los últimos sacramentos.

Aunque yacía consumido por la fiebre en su pobrísimo lecho, al sentir el toque de la campanilla que anunciaba la proximidad del viático, como impulsado por el resorte de su amor, dio su postrer vuelo para salir, de hinojos sobre el aire, al encuentro de Jesús, exclamando: «¡Oh, véase libre cuanto antes mi alma de la prisión de este cuerpo, para unirse con Vos!»

Después entró en suave agonía, fijos los ojos siempre en lo alto y repitiendo el Cupio dissolvi... [cf. Flp 1,23: “Deseo partir y estar con Cristo...”] ¿Qué contemplaría entonces quien durante su vida disfrutó de tan dulcísimos raptos?... ¡Misterios de la vida interior! Sólo sabemos que sus últimas palabras fueron: Monstra te esse Matrem..., del himno a la Virgen Ave, maris stella. Así entregó su espíritu a Dios este fino amante de María el 18 de septiembre de 1663. Aquel perfume milagroso y celestial, que tantas veces había descubierto su presencia en los recovecos de los conventos, se difundió por todas partes y duró en su celda más de trece años.

Fonte: José María Feraud García, San José de Cupertino, en Año Cristiano, Tomo III, Madrid, Ed. Católica (BAC 185), 1959, pp. 716-723 (http://www.franciscanos.org/bac/josecopertino.html)

Augustinus
17-09-07, 17:41
GIOVANNI PAOLO II

DISCORSO AI PELLEGRINI CONVENUTI A ROMA
IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO
DELLA NASCITA DI SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

Sabato, 25 ottobre 2003

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto a tutti voi, convenuti a Roma in occasione delle solenni celebrazioni per il quarto centenario della nascita di san Giuseppe da Copertino. Saluto innanzitutto i cari Frati Minori Conventuali, accompagnati dal loro Ministro Generale, P. Joachim Giermek, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti i presenti. Uno speciale pensiero va al Cardinale Sergio Sebastiani e ai Pastori delle Comunità ecclesiali che prendono parte all’odierno pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli. Saluto infine voi, carissimi pellegrini giunti dalla Puglia, dall’Umbria e dalle Marche, luoghi particolarmente legati al passaggio terreno e alla memoria del "Santo dei voli".

Come indicavo nel Messaggio pubblicato nel febbraio scorso, Giuseppe da Copertino continua ad essere un Santo di straordinaria attualità, perché "spiritualmente vicino agli uomini del nostro tempo", ai quali insegna "a percorrere la strada che conduce ad una santità ‘feriale’, contrassegnata dal compimento fedele del proprio quotidiano dovere" (n. 9).

2. San Giuseppe, infatti, è innanzitutto maestro di preghiera. Al centro della sua giornata stava la celebrazione della Santa Messa, a cui seguivano lunghe ore di adorazione dinanzi al tabernacolo. Secondo la più genuina tradizione francescana, egli si sentiva affascinato e commosso dai misteri dell’Incarnazione e della Passione del Signore. San Giuseppe da Copertino ha vissuto in intima unione con lo Spirito Santo; era interamente posseduto dallo Spirito, dal quale apprendeva le cose di Dio per tradurle poi in linguaggio semplice e a tutti comprensibile. Coloro che lo incontravano ascoltavano volentieri le sue parole perché, come tramandano i biografi, pur essendo ignorante di lingua e zoppicante di calligrafia, quando parlava di Dio si trasformava.

3. In secondo luogo, il Santo copertinese continua a parlare ai giovani e, in particolare, agli studenti, che lo venerano come loro patrono. Egli li spinge ad innamorarsi del Vangelo, a "prendere il largo" nel vasto oceano del mondo e della storia, rimanendo saldamente ancorati alla contemplazione del Volto di Cristo.

Il mio auspicio è che voi, cari giovani e studenti, come pure voi, che operate nell’ambito culturale e formativo, seguiate l’esempio di san Giuseppe, impegnandovi a coniugare la sapienza della fede con il metodo rigoroso della scienza, affinché il sapere umano, sempre aperto alla trascendenza, proceda sicuro verso una conoscenza della verità sempre più piena.

4. San Giuseppe da Copertino rifulge infine come esemplare modello di santità per i suoi confratelli dell'Ordine Francescano dei Frati Minori Conventuali. La costante tensione per appartenere solo a Cristo fa di lui un’icona del frate "minore", che, alla scuola del Poverello d'Assisi, assume il Cristo come centro dell’intera propria esistenza. Diventa eloquente il suo deciso impegno per riportare costantemente il cuore verso Dio, perché nulla lo separi dal "suo" Gesù, amato sopra ogni cosa e ogni persona.

La testimonianza di questo grande Santo, che risplende di luce singolare in questa ricorrenza centenaria, costituisce un incoraggiante messaggio di vita evangelica. Per quanti hanno abbracciato gli ideali della vita di consacrazione, egli rappresenta un forte richiamo a vivere protesi sempre verso i valori dello spirito, totalmente consacrati al Signore e ad un necessario servizio di carità verso i fratelli.

5. Come tutti i Santi, Giuseppe da Copertino non passa di moda! A quattro secoli di distanza, la sua testimonianza continua a rappresentare per tutti un invito a essere santi. Anche se appartiene ad un’epoca per certi aspetti assai diversa dalla nostra, egli addita un itinerario di spiritualità valido per ogni tempo; ricorda il primato di Dio, la necessità della preghiera e della contemplazione, l'ardente e fiduciosa adesione a Cristo, l’impegno dell’annuncio missionario, l’amore alla Croce.

Mentre rinnovo l’auspicio che le celebrazioni centenarie contribuiscano a far meglio conoscere il "Santo dei voli", invoco su quanti le hanno promosse e vi prendono parte la celeste protezione della Vergine Maria.

Con questi sentimenti e voti, imparto di cuore la Benedizione Apostolica a voi, qui presenti, alle vostre Comunità ed ai tanti devoti del Santo da Copertino dell’Italia e del mondo.

Augustinus
17-09-07, 18:35
http://web.sbu.edu/friedsam/scan/indiv_images_aug_04_post/images/Pastrovicchi,%20Angelo,%20Compendio%20della%20vita ,%20virtu%20e...-opp%20tp.jpg Angelo Pastrovicchi, Frontespizio del Compendio della vita, virtu', e miracoli di S. Giuseppe di Copertino, Roma, 1768 (incisione di Angelo Ferri)

Augustinus
18-09-08, 07:28
http://www.provincia.ps.it/oldcultura/images/jpeg/mostre/Sensivirtu/Dipinti%20'700%20per%20web/bertuzzilev.JPG Nicola Bertuzzi detto l'Anconitano, Levitazione di S. Giuseppe da Copertino, XVIII sec., Pinacoteca, Pesaro

http://www.provincia.ps.it/oldcultura/images/jpeg/mostre/Sensivirtu/Dipinti%20'700%20per%20web/ceccaestasi.JPG Sebastiano Ceccarini, Estasi di S. Giuseppe da Copertino, XVIII sec., Pinacoteca, Pesaro

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/94/San_Giuseppe_di_Copertino_18th_century_engraving.j pg Stampa, XVIII sec.

Augustinus
18-09-08, 17:05
DIE 18 SEPTEMBRIS

SANCTI JOSEPHI A CUPERTINO

CONFESSORIS

Duplex

Introitus

Eccli. 1, 14-15

DILÉCTIO Dei honorábilis sapiéntia : quibus autem apparúerit in visu, díligunt eam in visióne, et in agnitióne magnálium suórum. Ps. 83, 2. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini. V/. Glória Patri. Diléctio.

Oratio

DEUS, qui ad unigénitum Fílium tuum exaltátum a terra ómnia tráhere disposuísti: pérfice propítius; ut, méritis et exémplo seráphici Confessóris tui Joséphi, supra terrénas omnes cupiditátes eleváti, ad eum perveníre mereámur Qui tecum.

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios

I Cor. 13, 1-8

FRATES: Si linguis hóminum loquar, et Angelórum, caritátem autem non hábeam, factus sum velut æs sonans, aut cýmbalum tínniens. Et si habúero prophetíam, et nóverim mystéria ómnia, et omnem sciéntiam: et si habúero omnem fidem, ita ut montes tránsferam, caritátem autem non habúero, nihil sum. Et si distribúero in cibos páuperum omnes facultátes meas, et si tradídero corpus meum, ita, ut árdeam, caritátem autem non habúero, nihil mihi prodest. Cáritas pátiens est, benígna est: Cáritas non æmulátur, non agit pérperam, non inflátur, non est ambitiósa, non quærit quæ sua sunt, non irritátur, non cógitat malum, non gaudet super iniquitáte, congáudet autem veritáti: ómnia suffert, ómnia credit, ómnia sperat, ómnia sústinet. Cáritas numquam éxcidit: sive prophetíae evacuabúntur, sive linguae cessabunt, sive sciéntia destruétur.

Graduale. Ps. 20, 4-5. Dómine, prævenísti eum in benedictiónibus dulcédinis: posuísti in capite ejus corónam de lapide pretióso. Vitam pétiit a te, et tribuísti ei longitúdinem diérum in saéculum, et in saéculum saéculi.

Allelúja, allelúja. V/. Eccli. 11, 13. Oculus Dei respéxit illum in bono, et eréxit eum ab humilitáte ipsíus, et exaltávit caput ejus. Allelúja.

¶ In Missis votivis Tempore Paschali omittitur Graduale, et ejus loco dicitur:

Allelúja, allelúja. V/. Eccli. 11, 13. Oculus Dei respéxit illum in bono, et eréxit eum ab humilitáte ipsíus, et exaltávit caput ejus. Allelúja. V/. Eccli. 54, 9. Amávit eum Dóminus, et ornávit eum : stolam glóriæ índuit eum. Allelúja

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaéum

Matth. 22, 1-14

IN ILLO témpore: Loquebátur Jesus princípibus sacerdótum et pharisaéis in parábolis, dicens: Símile factum est regnum cælórum hómini regi, qui fecit núptias fílio suo. Et misit servos suos vocáre invitátos ad núptias, et nolébant veníre. Iterum misit álios servos, dicens: Dícite invitátis: Ecce prándium meum parávi, tauri mei, et altília occísa sunt, et ómnia paráta: veníte ad núptias. Illi autem neglexérunt : et abiérunt, álius in villam suam, álius vero ad negotiatiónem suam: réliqui vero tenuérunt servos ejus, et contuméliis afféctos occidérunt. Rex autem cum audísset, irátus est: et missis exercítibus suis, pérdidit homicídas illos, et civitátem illórum succéndit. Tunc ait servis suis: Núptiæ quidem parátæ sunt, sed qui invitáti erant, non fuérunt digni. Ite ergo ad éxitus viárum, et quoscúmque invenéritis, vocáte ad núptias. Et egréssi servi ejus in vias, congregavérunt omnes, quos invenérunt, malos et bonos: et sunt núptiæ discumbéntium. Intrávit autem rex, ut vidéret discumbéntes, et vidit ibi hóminem non vestítum veste nuptiáli. Et ait Amíce, quómodo huc intrásti non habens vestem nuptiálem? At ille obmútuit. Tunc dixit rex minístris: Ligátis mánibus et pédibus ejus, míttite eum in ténebras exterióres: ibi erit fletus, et stridor déntium. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.

Offertorium. Ps. 34, 13. Ego autem, cum mihi molésti essent, induébar cilício. Humiliábam in jejúnio ánimam meam: et orátio mea in sinu meo convertétur.

Secreta

LAUDIS tibi, Dómine, hóstias immolámus in tuórum commemoratióne Sanctórum: quibus nos et præséntibus éxui malis confídimus, et futúris. Per Dóminum.

Communio. Ps. 68, 30-31. Ego sum pauper, et dolens: salus tua, Deus, suscépit me. Laudábo nomen Dei cum cántico: et magnificábo eum in laude.

Postcommunio

REFÉCTI cibo potúque cælésti, Deus noster, te súpplices exorámus: in cujus hæc commemoratióne percépimus, ejus muniámur et précibus. Per Dóminum.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-18sept=lat.htm)

Holuxar
18-09-16, 22:12
18 settembre 2016: DOMENICA DICIOTTESIMA DOPO LA PENTECOSTE, S. Giuseppe da Copertino (Copertino, 17 giugno 1603 – Osimo, 18 settembre 1663)...





Domenica 18 settembre 2016: 18° dopo Pentecoste (https://www.youtube.com/watch?v=JVknSsCZOPc) Santa Messa don Floriano (https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz)
https://www.youtube.com/watch?v=JVknSsCZOPc
SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php)
http://www.traditio.com/office/masstext.htm






MISSALE ROMANUM - Die 18 Septembris. S. Josephi a Cupertino Confessoris (http://www.unavoce-ve.it/mr-18sept=lat.htm)
http://www.unavoce-ve.it/mr-18sept=lat.htm

Guéranger, L'anno liturgico - Domenica Diciottesima dopo la Pentecoste (http://www.unavoce-ve.it/pg-dopopent-dom18.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-dopopent-dom18.htm
"DOMENICA DICIOTTESIMA DOPO LA PENTECOSTE
Il Paralitico che porta il suo letto è il soggetto del Vangelo di oggi e dà il nome alla decimaottava domenica dopo Pentecoste. Si è notato che l'ordine del Messale colloca questa domenica dopo le quattro Tempora di autunno. Non discuteremo coi liturgisti del Medio Evo, per sapere se ciò si deve al fatto di aver preso il posto della domenica che seguiva sempre l'ordinazione dei sacri ministri, nel modo che altrove abbiamo spiegato (Sabato delle quattro Tempora d'Avvento). Antichissimi manoscritti,Sacramentari e Lezionari la chiamano con questo nome, usando la formula ben nota:Dominica vacat [1] (http://www.unavoce-ve.it/pg-dopopent-dom18.htm#_ftn1).
Si osserva non senza interesse che la Messa di oggi è la sola in cui l'ordine delle letture tratte da san Paolo e formanti il soggetto dell'Epistola, è invertito, dopo la sedicesima dopo Pentecoste. La lettera agli Efesini che già si leggeva e sarà poi continuata, è interrotta, per far posto al passo della prima lettera della prima Lettera ai Corinti nel quale l'Apostolo rende grazie a Dio, per l'abbondanza dei doni gratuiti concessi in Cristo alla Chiesa. Ora, i poteri conferiti per l'imposizione delle mani ai ministri della Chiesa sono il dono più meraviglioso che terra e cielo conoscano e d'altro lato le altre parti della Messa si riferiscono esse pure, come si vedrà, alle prerogative del novello sacerdozio.
La liturgia di questa domenica offre dunque uno speciale interesse quando si incontra all'indomani delle Quattro Tempora di settembre, ma questo incontro è ben lontano dall'essere regolare, oggi almeno, e non sapremo fermarci di più su queste considerazioni, senza entrare, in modo troppo esclusivo, nel campo dell'archeologia e passare i limiti che ci siamo imposti.


MESSA

L'Introito delle Messe domenicali dopo la Pentecoste è sempre stato tratto dai salmi. Scorrendo il salterio dal salmo 12 al 118 la Chiesa, senza tornare indietro nell'ordine di questi sacri canti, ha potuto scegliere in essi l'espressione adatta ai sentimenti che voleva manifestare nella liturgia. Da oggi in poi le Antifone dell'Introito saranno chieste ad altri libri dell'Antico Testamento, fatta eccezione di una volta sola in cui il libro della lode per eccellenza sarà messo a profitto. Oggi Gesù figlio di Sirac, l'autore ispirato dell'Ecclesiastico, chiede a Dio di realizzare la fedeltà dei profeti del Signore per mezzo del compimento di quello che essi hanno annunziato. Interpreti delle parole divine sono i pastori, che la Chiesa manda in suo nome a predicare la salvezza e la pace. Chiediamo anche noi che la parola della loro bocca non sia mai senza efficacia.


EPISTOLA (1Cor 1,4-9). - Fratelli: Rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, per la grazia di Dio, che vi ha dato in Cristo Gesù, perché siete stati in lui arricchiti in tutte le cose, nella parola e nella scienza, essendo stata così confermata in voi la testimonianza di Cristo, in maniera che nulla in nessuna grazia vi manca, nell'attesa della manifestazione di nostro Signore Gesù Cristo, che vi custodirà fino alla fine senza peccato per il giorno della venuta di nostro Signore Gesù Cristo.



I sentimenti della Santa Chiesa.


L'ultima venuta del Figlio di Dio non è ormai più lontana. L'approssimarsi della fine, che darà alla Chiesa il pieno possesso dello Sposo raddoppia le sue speranze, ma il giudizio finale, che porterà alla condanna di molti suoi figli, assomma in essa paura e desiderio e questi due sentimenti si manifesteranno d'ora in poi più sovente nella Santa Liturgia.
L'attesa fu sempre per la Chiesa il motivo della sua stessa esistenza. Separata dallo Sposo, per quanto riguarda la visione della sua divina bellezza, non avrebbe fatto che sospirare nella valle d'esilio dal suo nascere, se l'amore che la spinge non l'avesse indotta a spendersi continuamente per colui al quale tutto il suo cuore tendeva dimenticando se stessa. Senza calcolo, si è donata nella fatica, nella sofferenza, nella preghiera, nelle lacrime, ma la sua dedizione, per quanto generosa, non la ha fatto dimenticare la speranza. L'amore senza desiderio non è la virtù della Chiesa, anzi lo condanna nei suoi figli come un'ingiuria allo Sposo.
All'inizio le sue aspirazioni erano così legittime e veementi insieme che la Sapienza eterna volle aver cura della Sposa nascondendole la durata dell'esilio. L'ora del suo ritorno è l'unico punto sul quale Gesù, interpellato dagli Apostoli, rifiutò d'informare la sua Chiesa (Mt 24,3-36). Quel segreto fa parte del piano generale del governo divino sul mondo, ma nell'Uomo-Dio è anche compassione e tenerezza: la prova sarebbe stata troppo crudele, era meglio lasciare la Chiesa nella convinzione, d'altra parte rispondente a verità, che la fine era prossima davanti a Dio, per il quale mille anni sono come un giorno (2Pt 3,8).

Attesa di Colui che viene.

Questo ci spiega il compiacimento con cui gli Apostoli, interpreti delle aspirazioni della Santa Chiesa, ritornano continuamente nelle loro parole sull'affermazione della prossima venuta del Signore. Il cristiano, san Paolo ce lo ha detto or ora due volte nella stessa frase, è colui che attende la manifestazione di Nostro Signore Gesù Cristo quando verrà. Egli applica, nella lettera agli Ebrei, alla seconda venuta i sospiri infiammati dei profeti che desideravano la prima e dice: Ancora poco, pochissimo tempo e colui che deve venire verrà senza tardare (Ebr 10,37). Nella nuova come nell'antica alleanza l'Uomo-Dio, in vista della sua attesa manifestazione finale, si presenta come colui che viene, colui che deve venire (Ap 1,8). La storia del mondo si chiuderà con l'annuncio del suo arrivo: Ecco lo Sposo che viene! (Mt 25,6).
"Cingendo dunque spiritualmente i vostri fianchi, dice a sua volta san Pietro, pensate alla gloria del giorno in cui il Signore si manifesterà: Attendetelo, speratelo con una speranza perfetta" (1Pt 1,5,7,13).

Il miracolo.

Se il pericolo sarà grande nell'ultimo giorno in cui le forze dei cieli saranno sconvolte (Mt 24,29), il Signore, lo dice la nostra Epistola, ha cura di confermare in noi la sua testimonianza e di irrobustire la nostra fede con la manifestazione della sua potenza. E come per dimostrare vera quest'altra parola della stessa Epistola, che egli confermeràin tal modo sino alla fine quelli che credono in Lui nei nostri tempi che preannunciano la fine, i prodigi si moltiplicano.
Dappertutto il miracolo si afferma al cospetto del mondo, le mille voci della pubblicità moderna ne portano l'eco in capo al mondo. Nel nome di Gesù, nel nome dei suoi santi, soprattutto nel nome della sua Madre Immacolata, che prepara il finale trionfo della Chiesa, i ciechi vedono, gli storpi camminano, i sordi odono e le malattie del corpo e dell'anima perdono di colpo il loro dominio. La manifestazione della potenza soprannaturale si è fatta così intensa che i servizi pubblici, ostili o meno, devono tenerne conto e perfino le ferrovie si piegano alla necessità di portare i popoli nei luoghi benedetti nei quali Maria si è manifestata. L'empio può dire fin che vuole nel suo cuore: Dio non c'è (Sal 13,1), ma, se egli non capisce la testimonianza divina, vuol dire soltanto che in lui corruzione od orgoglio prevalgono sopra l'intelligenza.

Ringraziamento.

Ringrazieremo di cuore Dio per la generosità misericordiosa della quale dà prova verso di noi. Mai i suoi gratuiti doni furono necessari come nei tristi tempi nostri. Per noi non si tratta certo di promulgare il Vangelo, ma gli sforzi dell'inferno si sono fatti contro di esso tali che, per sostenerlo, occorre dal cielo uno spiegamento di potenza pari a quello, in certe cose, di cui la storia delle origini della Chiesa ci traccia il quadro.
Chiediamo al Signore degli uomini potenti in parole e in opere, otteniamo che l'imposizione delle mani produca più che mai negli eletti al sacerdozio il suo pieno risultato e li renda ricchi in tutte le cose e specialmente nella parola e nella scienza. I nostri tempi, nei quali pare che tutto sia compromesso, vedano almeno la luce della salvezza brillare viva e pura per l'impegno dei condottieri dell'esercito di Cristo. I compromessi e le vigliaccherie della generazione in cui tutto intristisce e scema non portino questi novelli cristi a sminuirsi essi pure, né a lasciar mutilare nelle loro manila misura dell'uomo perfetto (Ef 4,13), loro confidata, perché la applichino fino alla fine ai cristiani desiderosi di osservare il Vangelo. La loro voce, a dispetto delle minacce e dominando il tumulto delle passioni scatenate, possa risonare dappertutto ferma e vibrante come conviene all'eco del Verbo!


VANGELO (Mt 9,1-8). - In quel tempo, montato Gesù in una barca, traversò il lago e andò nella sua città. Ed ecco gli presentarono un paralitico steso su un letto. E vedendo la loro fede, Gesù disse al paralitico: "Abbi fiducia, figliolo, ti son rimessi i tuoi peccati". Allora alcuni Scribi dissero tra sé: "Costui bestemmia". E Gesù, conosciuti i loro pensieri, disse: "Perché pensate male nei vostri cuori? Che cosa è più facile dire: 'Alzati e cammina', o dire: 'Ti sono rimessi i tuoi peccati'? Ora, affinché sappiate che il Figlio dell'uomo ha potestà sulla terra di rimettere i peccati: Alzati, disse al paralitico, prendi il tuo letto e va' a casa tua". Ed egli si alzò e andò a casa sua. Ciò vedendo la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio, che dà agli uomini un così grande potere.




Doveri dei Pastori.

Nel secolo XII in molte chiese dell'occidente si leggeva oggi al Vangelo il passo del libro sacro in cui Gesù parla degli Scribi e dei Farisei, che si sono seduti sulla cattedra di Mosè (Mt 23,1-12). L'abate Ruperto che ci rivela questo particolare nel libro Dei divini Uffici, confronta felicemente questo vecchio Vangelo e l'Antifona dell'Offertorio ancora in uso nella quale si parla pure di Mosè. "L'Ufficio di questa domenica, dice Ruperto, a chi nella casa del Signore presiede e ha ricevuto cura di anime, insegna in modo eloquente il modo di comportarsi nella sua posizione di superiore, in cui la vocazione divina lo ha collocato. Egli non sia come questi uomini, che occupano indegnamente la cattedra di Mosè, ma sia piuttosto come Mosè stesso, che, nell'Offertorio e nei suoi versetti, presenta un ottimo modello a chi è capo nella Chiesa. I pastori di anime devono infatti sapere per quale motivo essi occupano un posto più alto e saperlo non tanto per governare quanto per servire" (Dei divini Uffici, xii, 18).
L'Uomo-Dio diceva dei maestri giudei: Fate quello che vi dicono, ma non fate quello che fanno, perché essi dicono bensì quello che si deve fare, ma non fanno quello che dicono. Differentemente da questi indegni depositari della Legge, quelli che occupano la cattedra della verità "devono insegnare e agire in modo conforme al loro insegnamento, dice il Ruperto, ossia prima devono operare, per insegnare poi con efficacia. Non ambiscano onori e titoli, ma vogliano, come di Mosè è detto nell'Offertorio, perseguire l'unico scopo di addossarsi i peccati del popolo e riuscire ad allontanare da coloro che sono loro affidati la collera di Dio" (ibidem).

Poteri dei Pastori.

In seguito il Vangelo degli Scribi e dei Farisei seduti sulla cattedra di Mosè fu riservato al Martedì della seconda settimana di Quaresima, ma quanto è oggi ancora in uso non allontana affatto i nostri pensieri dalla considerazione dei poteri sopraeminenti del sacerdozio, che sono bene comune dell'umanità rigenerata. L'attenzione dei fedeli in questo giorno era una volta diretta al diritto di insegnare dato ai pastori, ora invece si ferma sulla prerogativa che questi stessi uomini hanno di perdonare i peccati e guarire le anime. Una condotta in contrasto con il loro insegnamento non toglie nulla all'autorità della cattedra sacra dalla quale dispensano ai figli della Chiesa e in suo nome il pane della dottrina e, allo stesso modo, l'indegnità della loro anima sacerdotale non indebolisce nelle loro mani la potenza delle chiavi auguste che aprono il cielo e chiudono l'inferno, perché è il Figlio dell'uomo, è Gesù che solleva dai loro falli gli uomini suoi fratelli e le sue creature, avendone prese su di sé le miserie e riscattati con il suo sangue i delitti (Ebr 2,10-18).

Il perdono dei peccati.

È sempre stato particolarmente caro alla Chiesa l'episodio del paralitico, che fu per Gesù occasione di affermare che il figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati. Fino dalle origini del Cristianesimo vedemmo l'eresia negare alla Chiesa il potere di perdonare in nome di Dio, potere da essa avuto dal suo divino Capo. Ciò è condannare a morte, senza remissione, un numero incalcolabile di suoi figli, sfortunatamente ricaduti dopo il Battesimo e che il sacramento della Penitenza guarisce. Quale tesoro potrebbe una madre difendere con più energia che il rimedio dal quale dipende la vita dei suoi figli? Perciò la Chiesa colpì con i suoi anatemi e cacciò dal suo seno i Farisei della legge nuova, i quali, come i loro padri del giudaismo, misconoscevano la misericordia infinita e la portata del grande mistero della Redenzione.
Anche la Chiesa, come Gesù alla presenza dei suoi contraddittori, gli Scribi, aveva compiuto un prodigio davanti ai settari, senza potere tuttavia meglio dell'Uomo-Dio convincerli della realtà del miracolo di grazia operato invisibilmente dalle sue parole si remissione e di perdono. La guarigione esterna del paralitico fu insieme figura e prova della guarigione della sua anima ridotta prima all'impotenza; ma il paralitico rappresentava un altro malato: il genere umano che giaceva da secoli immobile nella sua colpa. L'Uomo-Dio era ormai tornato al cielo quando la fede degli Apostoli compì il primo prodigio di portare ai piedi della Chiesa il mondo invecchiato nei suoi mali e la Chiesa, vedendo il genere umano docile all'impulso dei messaggeri del cielo e già partecipe della loro fede, trovò per lui nel suo cuore di madre le parole dello sposo:Confida, figlio mio, ti sono perdonati i tuoi peccati. Sotto gli occhi attoniti della filosofia scettica e confondendo la rabbia dell'inferno, tosto il mondo si alzò dal suo ignominioso giaciglio, mostrando che gli erano state rese le sue forze, lo si vide caricarsi sulle spalle, nel travaglio della penitenza e della repressione delle passioni, il letto della sua malattia e della sua impotenza in cui l'avevano inchiodato per lungo tempo l'orgoglio, la carne e la cupidigia. Da quel momento, fedele alla parola del Signore e ripetutagli dalla Chiesa, il mondo è in marcia, per tornare a casa sua, il paradiso, dove l'attendono le gioie feconde dell'eternità! La moltitudine delle corti angeliche, vedendo sulla terra uno spettacolo simile di rinnovazione e di santità (Lc 5,26) è presa da stupore e glorifica Dio, che ha dato agli uomini una potestà così grande.

Mosé modello dei sacerdoti.

L'Offertorio ricorda l'altare figurativo, innalzato da Mosè per ricevere le offerte della legge in attesa, che annunziava il grande sacrificio preparato in quel momento sotto i nostri occhi. Riferiamo dopo l'Antifona i versetti una volta in uso. Mosè appare in essi come il tipo dei profeti fedeli, che salutiamo nell'Introito, come il modello di questi veri capi del popolo di Dio, che si votano ad ottenere misericordia e pace per coloro che essi guidano. Dio lotta con essi e si lascia vincere e, in compenso per la loro fedeltà, li immette alle più intime manifestazioni della sua luce e del suo amore. Il primo versetto ci mostra il sacerdote nella sua vita pubblica di intercessione e di impegno per gli altri, il secondo ci presenta la sua vita privata nutrita di contemplazione. Nessuno si stupirà per la lunghezza di questi versetti che, cantati dal coro, occuperebbero un tempo ben più lungo di quello oggi richiesto dall'offerta dell'ostia e del calice, perché occorre ricordare che una volta tutta l'assemblea prendeva parte all'offerta del pane e del vino necessari per il sacrificio. Così le poche parole cui si riduce oggi il Communio erano l'Antifona di un salmo designato per ciascun giorno nei vecchi antifonari. L'Antifona è presa da quel salmo, a meno che, essendo presa da qualche altro libro della Scrittura, si torni al salmo dell'Introito. Si cantava il salmo, ripetendo l'Antifona dopo ciascun versetto, per tutto il tempo che durava la partecipazione dei fedeli al sacro banchetto.


OFFERTORIO. - Mosè consacrò al Signore un altare, offrendo su di esso olocausti e immolando vittime, e compì il sacrificio della sera, profumo soavissimo per il Signore Iddio, in presenza dei figli di Israele.
V/. Il Signore parlò a Mosè dicendo: Sali verso di me sulla montagna del Sinai e fermati in piedi sulla sua sommità. Mosè, alzatosi, salì sulla montagna dove Dio gli aveva dato appuntamento e il Signore discese fino a lui in una nube e gli stette davanti alla sua faccia. Mosè, alla vista di Lui, si prostrò e adorò dicendo: Ti prego, o Signore, perdona i peccati del tuo popolo. E il Signore gli disse: Farò come tu hai detto. Allora Mosè compì il sacrificio della sera.
V/. Mosè pregò il Signore e disse: Se ho trovato gradimento presso di Te, mostrati a me svelato, perché io possa contemplarti. E il Signore gli parlò così. Nessun uomo, se mi vede, potrà vivere, ma trattieniti sull'alto della roccia e la mia destra ti coprirà mentre io passerò. Quando sarò passato, toglierò la mia mano e allora tu vedrai la mia gloria, senza che io ti riveli la mia faccia, perché io sono Dio, che manifesta sulla terra cose degne di meraviglia. Allora Mosè compì il sacrificio della sera.



PREGHIAMO
Fa', o Signore, che la tua grazia diriga i nostri cuori, perché senza il tuo aiuto non possiamo fare nulla degno di te.

[1] (http://www.unavoce-ve.it/pg-dopopent-dom18.htm#_ftnref1) Thomasii, Edit. Vezzosi, t. v, pp. 148, 149, 309.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 504-511."







Radio Spada (https://www.facebook.com/radiospadasocial/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
“18 settembre 2016: DOMENICA DICIOTTESIMA DOPO LA PENTECOSTE."


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http://www.radiospada.org/
“18 settembre 2016: San Giuseppe da Copertino, confessore
Nato a Copertino nelle Puglie nel 1603. Desideroso di diventare sacerdote, fu rifiutato da alcuni Ordini per "la sua poca letteratura", aveva infatti dovuto abbandonare la scuola a causa della sua povertà e di una malattia. Venne infine accolto dai Cappuccini, ma fu dimesso per "inettitudine" dopo solo un anno. Fu quindi accolto come Terziario e inserviente nel piccolo convento della Grotella, dove riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Seppe accettare la sofferenza, di cui fu piena la sua vita, con estrema semplicità e con semplicità morì nel 1663.”


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San Giuseppe da Copertino - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-giuseppe-copertino/)
http://www.sodalitium.biz/san-giuseppe-copertino/
“18 settembre, San Giuseppe da Copertino, Confessore (Copertino, 17 giugno 1603 – Osimo, 18 settembre 1663), dei Frati Minori Conventuali.
Preghiera dello studente – O Santo patrono, verso i tuoi devoti ti mostri così liberale tanto che concedi a loro tutto ciò che ti chiedono, volgi il tuo sguardo su di me che nelle strettezze in cui mi trovo ti invoco in mio soccorso.
Per qual mirabile amore che ti trasportava a Dio ed al soavissimo Cuore di Gesù, per quell’ardente impegno con cui veneravi la Vergine Maria, ti prego e ti supplico di aiutarmi nel prossimo esame scolastico.
Vedi come da lungo tempo mi sono applicato con ogni diligenza allo studio, nè ho rifiutata alcuna fatica, nè risparmiato impegno o diligenza; ma poichè non confido in me, ma in Te solo, ricorro al tuo soccorso, che oso sperare con animo sicuro.
Ricordati che un tempo anche Tu, stretto da un simile pericolo, per singolare aiuto di Maria Vergine ne uscisti con felice successo.
Tu dunque siimi propizio nel fare sì che venga interrogato su quei punti in cui sono più preparato; e dammi acume e prontezza di intelligenza, impedendo che il timore mi invada l’animo e mi offuschi la mente. Così sia.”


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“Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare san Giuseppe da Copertino, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima, per i meriti di questo santo, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, san Giuseppe da Copertino possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.”


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https://forum.termometropolitico.it/267022-18-settembre-s-giuseppe-da-copertino.html
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18 settembre - S. Giuseppe da Copertino (https://forum.termometropolitico.it/267022-18-settembre-s-giuseppe-da-copertino.html)






Luca, Sursum Corda!

Holuxar
18-09-17, 23:56
18 settembre 2017: anniversario della battaglia di Castelfidardo (18 Settembre 1860) ed anniversario della beatificazione di suor Margherita Maria Alacoque V.S.M., Apostola del Sacro Cuore di Gesù (dichiarata Beata il 18 settembre 1864 da Papa Pio IX); San Giuseppe da Copertino, Confessore, dei Frati Minori Conventuali…



San Giuseppe da Copertino - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/5095-2/)
http://www.sodalitium.biz/5095-2/
“18 settembre, San Giuseppe da Copertino, Confessore (Copertino, 17 giugno 1603 – Osimo, 18 settembre 1663), dei Frati Minori Conventuali.
“A Osimo, nel Piceno, san Giuseppe da Copertino, Sacerdote dell’Ordine dei Minori Conventuali e Confessore, il quale dal Papa Clemente decimoterzo fu ascritto nel numero dei Santi”.
Preghiera dello studente – O Santo patrono, verso i tuoi devoti ti mostri così liberale tanto che concedi a loro tutto ciò che ti chiedono, volgi il tuo sguardo su di me che nelle strettezze in cui mi trovo ti invoco in mio soccorso. Per qual mirabile amore che ti trasportava a Dio ed al soavissimo Cuore di Gesù, per quell’ardente impegno con cui veneravi la Vergine Maria, ti prego e ti supplico di aiutarmi nel prossimo esame scolastico. Vedi come da lungo tempo mi sono applicato con ogni diligenza allo studio, nè ho rifiutata alcuna fatica, nè risparmiato impegno o diligenza; ma poichè non confido in me, ma in Te solo, ricorro al tuo soccorso, che oso sperare con animo sicuro. Ricordati che un tempo anche Tu, stretto da un simile pericolo, per singolare aiuto di Maria Vergine ne uscisti con felice successo. Tu dunque siimi propizio nel fare sì che venga interrogato su quei punti in cui sono più preparato; e dammi acume e prontezza di intelligenza, impedendo che il timore mi invada l’animo e mi offuschi la mente. Così sia.”


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Il volontario di Pio IX - e-commerce di Sodalitium (http://www.sodalitiumshop.it/Il-volontario-di-Pio-IX)
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“Questo libro autobiografico racconta l’avventura umana di Antonmaria Bonetti e quella dei suoi commilitoni che raggiunsero Roma per difendere i diritti del Papa-Re Pio IX, ingiustamente spossessato delle sue terre affinché si compisse il disegno massonico-risorgimentale dell’Italia unitaria.”
Antonmaria Bonetti, Il Volontario di Pio IX, Centro librario Sodalitium, Verrua Savoia (Torino) 2007.

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Fervorini al pellegrinaggio di Loreto 2017 - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/fervorini-al-pellegrinaggio-loreto-2017/)
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“I fervorini e omelia tenuti al pellegrinaggio Osimo – Loreto il 20 e 21 maggio 2017.”
“Fervorino di don Ugolino Giugni al santuario di San Giuseppe da Copertino, pellegrinaggio Osimo-Loreto 2017.”
“Fervorino di don Ricossa al sacrario di Castelfidardo 2017.”

https://wn.com/fervorino_di_don_ricossa_al_sacrario_di_castelfida rdo_2016


L?unità nella verità « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=16764)
http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=16764
“L’unità nella verità. Segnalazione del Centro Studi Federici.
Fervorino di don Francesco Ricossa al sacrario di Castelfidardo, pellegrinaggio Osimo-Loreto dell’Istituto Mater Boni Consilii, 17/5/2015 (è stato conservato lo stile parlato).
Ringrazio Don Ugo per le sue parole e per l’organizzazione (che cura ormai da tanti anni) del pellegrinaggio che ci condurrà alla Santa Casa di Loreto, dove si realizzò il mistero dell’Incarnazione.
Questi i misteri della nostra fede: Trinità, Incarnazione, Redenzione, fanno di noi, credendoli, dei cristiani; ma non bisogna pensare però che questa tappa nel sacrario della battaglia del 18 Settembre 1860, sia trascurabile nel quadro di questo nostro pellegrinaggio. Infatti, per un cattolico conservare, com’è necessario, i dogmi della fede e la vita cristiana, è l’essenziale; tuttavia se si dimentica chi è il nemico, se non ci ricordiamo più del nostro passato, poco a poco anche la nostra fede incomincia a diminuire, a perdersi, a scomparire.
Ragione per cui ripensare a quella battaglia e a tutto ciò che significa non è inutile come alcuni possono dire o pensare, ma è al contrario per noi indispensabile.
(…) Di tutti coloro che si recano in questo luogo, che rievocano questa battaglia, in tutti questi anni, penso che siamo gli unici ormai a tenere ancora alta la bandiera di quanti lottarono per la Chiesa e per il Papa.
In teoria ci sono tanti altri preti nella zona, eppure Don Ugo è stato l’unico che ha pensato a porre la lapide che si trova davanti a noi, in onore del Generale de Pimodan e dei soldati pontifici che diedero la loro vita per la causa della Chiesa e della regalità sociale di Gesù Cristo, e che sono stati ormai dimenticati anzi rinnegati.
Ma non basta, vedete, aver capito che coloro che nel XIX secolo si batterono per la Verità e per la causa di Cristo Re cioè, come abbiamo detto, della regalità sociale di Gesù Cristo, non basta capire che quei pontifici erano dalla parte giusta. Vi sono alcuni che parlano di zuavi, agitano bandiere, ostentano coccarde…a condizione che si parli di uno o due secoli fa. Ma se si tratta di oggi, da che parte stanno? Di chi si dichiarano i sudditi? Di coloro che rinnegano le battaglie di ieri, e che si alleano con i nemici di sempre: di ieri, di oggi e di domani.
Allora in realtà si tratta solamente di falsità, di una parata storica; non dobbiamo farci ingannare da chi commemora o loda le cose buone del passato, quando poi sono incoerenti nel presente. L’incoerenza è detestabile.
Dobbiamo allora, di fronte alla situazione che vive il nostro Paese, oggi dove la fede è attaccata furiosamente ogni giorno, anche se in apparenza con rispetto, dobbiamo allora forse, come dicono alcuni, unirci tutti in un sacro patto? tutti chi? Anche questo è un inganno: non dobbiamo cadere in questo inganno.
Ciò che fa l’unità, come ho detto questa mattina durante la Santa Messa, è la verità, sono i princìpi. Non solo alcuni principi, ma tutti.
(…) Quindi noi unioni sacre in nome di nemici comuni, non le facciamo. Noi facciamo unioni solamente in nome della verità, e allora non è nemmeno esatto parlare di unione, è più esatto parlare di unità: l’unità nella verità. E solo la verità è il fondamento dell’unità. Si combatte assieme se si pensano le stesse cose, non si combatte assieme se non si pensano le stesse cose. Ecco, questo è quello che io vi volevo dire. Naturalmente, non sono parole al vento ma hanno un significato ben chiaro. Il nostro essere qui significa questo: naturalmente rispetto e riconoscenza per chi nel passato ha combattuto la buona battaglia, ma questa buona battaglia non deve essere solo un ricordo del passato, deve essere la battaglia di oggi, del presente, contro i nemici di oggi, e non solo contro uno di essi che ci può trovare tutti d’accordo, ma contro tutti i nemici della verità, la quale non può essere divisa in parti ma che deve essere accettata integralmente, o per nulla. Raccomando quindi la coerenza, la quale ovviamente, (e qui concludo), deve essere coerenza nella vita; perché a poco serve o a nulla serve parlare bene e credere ciò che è giusto e ciò che è retto, se poi nelle azioni della nostra vita noi non siamo amici ma nemici di nostro Signore.
Dobbiamo quindi, se vogliamo militare sotto il suo stendardo, militarvi in grazia di Dio. Dobbiamo amarLo e farLo regnare: nella società, senza dubbio, ma anche e prima di tutto nel nostro cuore e nella nostra anima. E’ quello che abbiamo cercato di fare, pur peccatori quali siamo, durante questi due bellissimi giorni, giorni di grazia e di benedizione di Dio, durante i quali ci siamo accostati al sacramento di Penitenza per ricevere il perdono di nostro Signore e promettergLi di mutare vita.
Che la Santa Vergine di Loreto ci benedica, come benedisse i soldati che si batterono anche per Lei quel 18 settembre 1860. Agli occhi del mondo furono sconfitti; adesso sono invece nella Gloria e nel Regno di Dio, mentre i vincitori di allora, dove si trovino Dio solo lo sa.
Innalziamo quindi al Cielo il nostro canto che ricorda la nostra fedeltà alla Roma immortale di sempre. Fedeltà, pertanto, alla Chiesa, che non deve evidentemente essere confusa con i suoi più terribili, interni nemici, che pur dicendo di rappresentarla, la diffamano davanti al mondo intero.”



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“La Roma papalina e la Roma brecciaiola
Segnaliamo alcuni brani del libro "LE DUE ROME. Dieci anni dopo la Breccia", del padre Gaetano Zocchi (Tip. Giachetti, Figlio e C., Prato 1881).
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza Comunicato n. 72/17 del 19 settembre 2017, San Gennaro.
Vi ha la Roma vecchia e la Roma nuova. Vi ha la Roma dei Papi e la Roma dei framassoni. Vi ha la Roma che prega e quella che bestemmia; la Roma dei martiri e quella dei tiranni; la Roma benedetta e quella maledetta. Vi ha la Roma di granito e la Roma di cartapesta; la Roma eterna e quella che, nata ieri, non è certa di vedere il domani. Vi ha la Roma di Cristo e la Roma dell’Anticristo.
Essa era la città di tutti i popoli della terra e la patria di tutte le genti per cagione del suo Pontefice, che è il padre universale dei cattolici; perciò, secondo la sublime sentenza del Fénelon, ogni cattolico è romano. Ora il Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica si trova chiuso dentro al Vaticano, che è la sua reggia e la sua prigione, il suo trono e la sua croce, il suo tempio e il Calvario. Della restante Roma altri divennero signori; e perciò fuori della cerchia del Vaticano, a propriamente parlare, non vi è più Roma, ma un cumulo di edifizii e di ruine, di antico e moderno, di grande e venerando e di piccolo e spregevole, che altra volta fu Roma, ora non è più nulla.
(La fedeltà dei romani al Papa) mi pare abbastanza provata dal modo con cui accolsero la rivoluzione entrata in Roma per la breccia di Porta Pia. Il popolo romano rimase nella massima parte estraneo a quel movimento, cominciato e continuato da forestieri; le larghe promesse, lo splendido fantasma di avvenire fecondo di ricchezze e di potenza, che sembrava inseparabile dal titolo fastoso di capitale di un grand regno, non illusero il popolo romano. Sicchè, mentre tutte le altre città italiane venivano ciecamente travolte nei flutti della passioni anarchiche, Roma invece diede esempio memorando di fedeltà al suo antico e legittimo Sovrano. Professori, impiegati, soldati, grandi signori e principi, elessero il sacrificio, gli stenti, il disprezzo, l’oblio, piuttosto che mutar casacca.
Soprattutto la strage delle case religiose, dei conventi, dei monasteri, di chiese e di istituzioni pie; la licenza illimitata concessa ad eterici di qualsiasi setta, che ora hanno chiesa e scuola in tutti gli angoli di Roma, e adescano i miserabili e la feccia del popolo con promesse di guadagni materiali, e all’occasione affiggono nei luoghi pubblici avvisi crudelmente oltraggiosi alla fede cattolica, resero i nuovi padroni oltremodo antipatici ai romani.
Veniamo a Montecitorio. Qui sono gli eletti del popolo, qui è il palladio delle pubbliche libertà, qui è l’arena delle gloriose tenzoni nazionali. Ai tempi del Papa-Re, nel palazzo di Montecitorio, opera di un Papa Innocenzo, onde chiamasi anche palazzo Innocenziano, era la sede della polizia pontificia. Ora i poliziotti se ne sono andati… partiti gli onorevoli poliziotti, entrarono gli onorevoli deputati… Il luogo delle loro solenni comparse è l’aula provvisoria architettata nel 1871 dall’ingegnere Comotto, in forma di una baracca di legno, di ferro e di cristalli, stretta, disagiata, color di cioccolatte, e di disgraziata figura. Goffo baraccone è il nome, onde essa venne battezzata allora e che porta tuttavia; ma l’avrebbero potuta benissimo chiamare gabbia, poiché uno degli onorevoli (scordai quale) non dubitò una volta di asserire solennemente, credo in nome proprio e de’ suoi colleghi: noi siamo una gabbia di matti. Codesta gabbia o baraccone, che dir si voglia, in un col palazzo, costò ai contribuenti italiani cinque milioni e mezzo… Di che tanto più ammirevole è lo zelo, con cui gli inquilini di Montecitorio trattano gli affari dl popolo italiano che li ha mandati!… Già non sono mai troppi nel baraccone sopra descritto.
Quando poi in un modo o in un altro si sia finalmente razzolato il numero legale, le discussioni incominciano. Parlano pochi, ma parlano egregiamente: sono bocche d’oro! Specie se si tratta di rompere lance contro preti, frati, persone e cose di Chiesa, correte, oratori, correte ad ascoltare in Montecitorio: non troverete i migliori maestri a cercarli fra milioni… E quelli che tacciono, cioè la maggior parte? Quelli ascoltano? No, quelli vanno e vengono dall’aula al buffet, dal buffet all’aula; o, se sono avvocati, il che, per disgrazia nostra, si verifica almeno ottanta volte su cento, preparano le loro arringhe per la Corte delle assise. Alcuni ridono, altri interrompono l’egregio oratore, poi, giunto il momento opportuno, votano tutti. M come votate in buona coscienza per il bene del popolo che vi ha mandato, se a non avete seguita la discussione, o solo a sbalzi e sbadatamente? La discussione non è fatta per quelli che debbono votare, ma per quelli che debbono leggerla nei giornali e negli atti ufficiali. La discussione non muta mai il risultato del voto, che si conosce già prima della discussione.
Su per la comoda via aperta dalla munificenza di Pio IX, fui sulla piazza di Montecavallo, vicino al monumento equestre, opera superba di greco scalpello, dinanzi al palazzo del Quirinale… Quel palazzo colle sue sontuose sale, colle sue opere d’arte, coi suoi giardini, era stato la reggia di molti Papi. Anche Pio IX vi aveva, prima dell’esilio, posto la sua Corte. Ora quel palazzo è sede di un re e di una regina, portati a Roma dal turbine rivoluzionario, e si dicono incoronati dalla volontà popolare. In quelle sale, al cospetto delle sacre scene dipinte dal pennello devotissimo dell’Owerbek, si danza e si banchetta: in quei giardini viene Garibaldi a restituire cavallerescamente al re d’Italia la visita; ricevutone nella propria casa. Sopra la porta principale del palazzo sporge una loggia. Di lassù ogni Papa, appena eletto dal Conclave, dava al popolo affollato la sua prima benedizione di Pontefice e di re: ora il re e la regina d’Italia ricevono lassù le ovazioni del popolo sovrano. Sotto l’arco maestoso di quella porta passavano cardinali e Prelati in severo abito talare, colle mozzette ed i rocchetti del cerimoniale liturgico; ora invece di là entrano ed escono le eleganti toilettes delle dame di corte e delle mogli di generali e ministri. È una processione assai poco edificante di soldati che bestemmiano e di ministri che vanno a sottoporre alla firma reale leggi e decreti, di cui non pochi recano lo sfratto di monache o di religiosi, lo smantellamento d’una chiesa, l’abolizione del catechismo, la leva dei chierici, il matrimonio civile e andate voi discorrendo. E sopra quella porta restano tuttavia S. Paolo colla spada sguainata, S. Pietro colle sue chiavi, la Vergine Santa col Bambino tra le braccia!
Lessi il nome di tutte le vie delle già finite e di quelle che si stanno terminando. D'Azeglio, Cavour, Manin, Gioberti, Mazzini, Napoleone III, ti guidano a Vittorio Emanuele. E nella parte opposta della stazione, dal Venti Settembre a Castel Fidardo, da Castel Fidardo a Solforino, a Palestro, a Goito, alla Cernaia, quei nomi ti conducono come per mano sulla strada percorsa dalla rivoluzione italica, te ne narrano tutte le geste, te ne cantano tutti i trionfi; quindi, giunto sulla piazza della Indipendenza, tu ammiri finalmente l’ultima meta… La Indipendenza! La Indipendenza! Ed io là ritto in mezzo a quella piazza, non paranco bene rassettata, andava con me stesso meditando questa parola, e confrontava il suo significato filologico, col significato che essa piglia nella mente di quelli che l’hanno colà fatta esporre, in grandi lettere, alla vista del pubblico. Nel pensiero di costoro, indipendenza vuol dire: togliti di lì, che mi ci metta io; vuol dire: morte alla teocrazia! Morte ai tiranni, che comandavano nel nome del vecchio Dio! Viva lo Stato! Il dio nuovo, che fa quando gli talenta, senza l’impaccio di dover render conto ai dogmi ed alla morale.
Ma lo Stato fu dio altra volta, quando sul colle Esquilino, dove adesso sorge una parte della nuova Roma, abitava il carnefice incaricato di fustigare e di crocifiggere nel sesterzio gli schiavi, condannati al supplizio: Anche allora il dio Stato non rendeva conto de’ fatti suoi né ai dogmi, né a principi morali, perché la sua divisa era questa. Sic volo sic iubeo, stat pro ratione voluntas! Allora nel suolo della nuova Roma si seppellivano alla rinfusa gli schiavi, avuti in conto di bestie. E dei 900 mila abitanti, che Roma conteneva, i due terzi erano schiavi, poiché il dio Stato vedeva nel servaggio dei più la condizione necessaria della propria indipendenza. Credo che, in materia di indipendenza, non si pensi molto diversamente oggidì… La concorrevano le maghe nel silenzio della notte, a stracciare coi denti vittime eziandio umane, e del fegato bollente di quelle componevano filtri amorosi, e per la virtù del sangue versato in una fossa, evocavano i Mani, a scoprire le cose nascoste, lontane e future. Così, fra gli altri, lasciò scritto l’epicureo Orazio. Ma nemmeno oggidì son rari, tra coloro cui dobbiamo la nuova Roma, i fattucchieri e le streghe, che sotto nomi meno ignobili, rinnovano quelle ignobilissime superstizioni, e posseggono l’anima di molti epicurei moderni, atei e materialisti, che predicano l’indipendenza del pensiero e del cuore.
Roma papale aveva cancellati i delitti di Roma pagana, col sangue dei suoi martiri e colle santificazioni dei suoi sacramenti; nel fuoco della carità aveva disciolti i ceppi della schiavitù; aveva sfrantumata la statolatria e fondata la verace indipendenza dei popoli, sul principio della paternità divina… Indipendenza! Indipendenza, e intanto siamo tutti schiavi. La Chiesa schiava dello Stato, lo Stato schiavo dei ministri pro tempore, i ministri schiavi delle fazioni, le fazioni schiave delle logge massoniche, le logge schiave di Satana, tutti schiavi del mal costume, dell’empietà, della rapina, della violenza, della miseria, della fame!”




Contravveleni e Antidoti: IL DRAMMA DELL'UNITÀ D'ITALIA (di Piero Nicola) (http://pierovassallo.blogspot.it/2015/05/il-dramma-dellunita-ditalia-di-piero.html)
http://pierovassallo.blogspot.it/2015/05/il-dramma-dellunita-ditalia-di-piero.html


Edizioni Solfanelli: novembre 2007 (http://edizionisolfanelli.blogspot.it/2007/11/)
http://edizionisolfanelli.blogspot.it/2007/11/
“La casa editrice Solfanelli lancia una nuova, agile collana dedicata all’approfondimento storiografico: il primo volume affronta la creazione dell’icona di Mazzini; il secondo, In nome del Papa-Re, a cura del Centro Studi Giuseppe Federici, ricostruisce sinteticamente le vicende dell’esercito di Pio IX dall’unità d’Italia (1860) alla caduta di Roma (1870); il terzo, di Ruggero Morghen, analizza brevemente i documenti pontifici che da La perdutissima setta Clemente XII (quindi dalla nascita della massoneria) a Leone XIII si occupano della libera muratoria.”




https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Castelfidardo
“(…) la battaglia di Castelfidardo, avvenuta il 18 settembre 1860, quando i piemontesi guidati dal generale Cialdini sconfissero le truppe del generale Lamoricière che difendevano lo Stato Pontificio.
https://it.wikipedia.org/wiki/Christophe_Louis_L%C3%A9on_Juchault_de_Lamorici%C3 %A8re
“Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière o de la Moricière (Nantes, 5 settembre 1806 – Prouzel, 11 settembre 1865) è stato un generale e politico francese che servì anche nell'esercito pontificio, combattendo contro gli italiani nella battaglia di Castelfidardo e fondando gli Zuavi pontifici.”
https://it.wikipedia.org/wiki/Zuavi_pontifici






San Giuseppe da Copertino (http://www.santiebeati.it/dettaglio/34750)
http://www.santiebeati.it/dettaglio/34750
18 Settembre - San Giuseppe da Copertino (http://www.preghiereperlafamiglia.it/san-giuseppe-da-copertino.htm)
“18 SETTEMBRE SAN GIUSEPPE DA COPERTINO.
Copertino (Lecce), 17 giugno 1603 – Osimo (Ancona), 18 settembre 1663.
Giuseppe Maria Desa nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese. Il padre fabbricava carri. Rifiutato da alcuni Ordini per «la sua poca letteratura» (aveva dovuto abbandonare la scuola per povertà e malattia), venne accettato dai Cappuccini e dimesso per «inettitudine» dopo un anno. Accolto come Terziario e inserviente nel conventino della Grotella, riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Giuseppe levitava da terra per le continue estasi. Così, per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Giuseppe da Copertino ebbe il dono della scienza infusa, per cui gli chiedevano pareri perfino i teologi e seppe accettare la sofferenza con estrema semplicità. Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni; fu beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII. (Avvenire).”






Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org/)
http://www.radiospada.org/
https://www.facebook.com/radiospadasocial/?fref=nf
“Buona settimana con la Sacra Famiglia: Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia.”
“18 settembre 2017: San Giuseppe da Copertino, confessore.
Nato a Copertino nelle Puglie nel 1603. Desideroso di diventare sacerdote, fu rifiutato da alcuni Ordini per "la sua poca letteratura", aveva infatti dovuto abbandonare la scuola a causa della sua povertà e di una malattia. Venne infine accolto dai Cappuccini, ma fu dimesso per "inettitudine" dopo solo un anno. Fu quindi accolto come Terziario e inserviente nel piccolo convento della Grotella, dove riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche straordinarie che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Seppe accettare la sofferenza, di cui fu piena la sua vita, con estrema semplicità e con semplicità morì nel 1663.”

https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/21463266_1852913838071610_6370435982282737128_n.jp g?oh=5d79e8ce0a23aa25a5b4dddae2f5f01e&oe=5A126D27



“Il 18 settembre 1864 Pio IX dichiara Beata suor Margherita Maria Alacoque V.S.M., Apostola del Sacro Cuore di Gesù.”

https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/21558647_1852735081422819_4956412963043130650_n.pn g?oh=5d6e52c8612c56b0b1671e3441bd906b&oe=5A4E29C0



“Il 18 settembre 1860 le truppe pontificie venivano sconfitte a Castelfidardo dall'esercito piemontese invasore. Onore eterno al Generale de Pimodan e ai Martiri dell'ultima Crociata, caduti con la spada nel pugno per la difesa del Papa Re e della Chiesa!”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/21615965_1853089694720691_611240917178978865_n.png ?oh=b178dfae83fc18c035f7c1354399220f&oe=5A501245



[QUI RADIO SPADA] Hermann Kanzler: l?ultimo condottiero | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2014/11/qui-radio-spada-hermann-kanzler-lultimo-condottiero/)
https://www.radiospada.org/2017/09/le-stelle-in-una-pozzanghera-luca-fumagalli-biografo-di-frederik-rolfe/
“(…) Molto significativo in ultimo che questo libro si sia generato all’interno della seconda generazione di sedevacantisti di lingua italiana (in questo caso “Cassiciacum”): era infatti abbastanza prevedibile, per forma mentis e per percorso biografico di questi giovani nomadi (e pirati) della Sede, che qualcuno degli esponenti di questa generazione potesse produrre opere apologetiche non banali e bidimensionali, ritratti non presepistici, pastellosi e oleografici di personaggi ed eventi storici nella storia del Cattolicesimo romano (prima e dopo il grande vulnus del 1962). Questo è avvenuto con quest’opera efficace di Luca Fumagalli e con i suoi preventivati futuri studi sulla letteratura cattolica di lingua inglese. Giova rimarcarlo in questa recensione: quest’opera sorpassa sia il descrittivismo un po’ acerbo della biografia di Monsignor Robert Hugh Benson (edizioni Fede e Cultura) che l’accademismo rigoroso della biografia di William Golding (edizioni il Cerchio) ed è la prima (e godibilissima) della piena maturità artistica del Fumagalli cui auguriamo ovviamente di spingersi sempre più al largo, come un nuovo Ulisse sulla rotta verso Itaca.
Nella festa di San Giuseppe da Copertino, patrono degli studenti.”




Luca, Sursum Corda!

Holuxar
18-09-18, 23:57
18 SETTEMBRE 2018: anniversario della battaglia di Castelfidardo (18 Settembre 1860), anniversario della beatificazione di suor Margherita Maria Alacoque V.S.M., Apostola del Sacro Cuore di Gesù (dichiarata Beata il 18 settembre 1864 da Papa Pio IX) ed anniversario della Consacrazione episcopale (avvenuta il 18 settembre 1947) di Monsignor Marcel Lefebvre; San Giuseppe da Copertino (Copertino, 17 giugno 1603 – Osimo, 18 settembre 1663), Confessore, dei Frati Minori Conventuali…



«MISSALE ROMANUM - Die 18 Septembris. S. Josephi a Cupertino Confessoris.»
MISSALE ROMANUM - Die 18 Septembris. S. Josephi a Cupertino Confessoris (http://www.unavoce-ve.it/mr-18sept=lat.htm)
http://www.unavoce-ve.it/mr-18sept=lat.htm

Guéranger, L'anno liturgico - San Giuseppe da Copertino (http://www.unavoce-ve.it/pg-18set.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-18set.htm
«18 SETTEMBRE: SAN GIUSEPPE DA COPERTINO.»





San Giuseppe da Copertino - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-giuseppe-copertino/)
http://www.sodalitium.biz/san-giuseppe-copertino/
«18 settembre, San Giuseppe da Copertino, Confessore (Copertino, 17 giugno 1603 – Osimo, 18 settembre 1663), dei Frati Minori Conventuali.
“A Osimo, nel Piceno, san Giuseppe da Copertino, Sacerdote dell’Ordine dei Minori Conventuali e Confessore, il quale dal Papa Clemente decimoterzo fu ascritto nel numero dei Santi”.
Preghiera dello studente – O Santo patrono, verso i tuoi devoti ti mostri così liberale tanto che concedi a loro tutto ciò che ti chiedono, volgi il tuo sguardo su di me che nelle strettezze in cui mi trovo ti invoco in mio soccorso.Per qual mirabile amore che ti trasportava a Dio ed al soavissimo Cuore di Gesù, per quell’ardente impegno con cui veneravi la Vergine Maria, ti prego e ti supplico di aiutarmi nel prossimo esame scolastico. Vedi come da lungo tempo mi sono applicato con ogni diligenza allo studio, nè ho rifiutata alcuna fatica, nè risparmiato impegno o diligenza; ma poichè non confido in me, ma in Te solo, ricorro al tuo soccorso, che oso sperare con animo sicuro. Ricordati che un tempo anche Tu, stretto da un simile pericolo, per singolare aiuto di Maria Vergine ne uscisti con felice successo. Tu dunque siimi propizio nel fare sì che venga interrogato su quei punti in cui sono più preparato; e dammi acume e prontezza di intelligenza, impedendo che il timore mi invada l’animo e mi offuschi la mente. Così sia.»
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“Pubblichiamo i primi fervorini e l’omelia tenuti al pellegrinaggio Osimo – Loreto del 12 e 13 maggio 2018. Seguiranno a breve i video degli altri fervorini.”
Video del pellegrinaggio a Loreto - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/video-pellegrinaggio-loreto-1/)
http://www.sodalitium.biz/video-pellegrinaggio-loreto-1/

Pellegrinaggio Osimo - Loreto 2018 - Fotogallery - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/pellegrinaggio-loreto-2018-fotogallery/)
http://www.sodalitium.biz/pellegrinaggio-loreto-2018-fotogallery/


"Fervorino di don Ricossa al sacrario di Castelfidardo 2018"
https://www.youtube.com/watch?v=KDSS21V51oI


http://www.sodalitiumshop.it/Il-volontario-di-Pio-IX


Omaggio al gen. Hermann Kanzler / I parte - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/6858-2/)
“Omaggio al gen. Hermann Kanzler / I parte 18 settembre 2018
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza.
Comunicato n. 69/18 del 18 settembre 2018, San Giuseppe da Copertino
Omaggio al gen. Hermann Kanzler / I parte Segnaliamo la prima parte dell’articolo tratto dalla rivista Sodalitium (n. 69, luglio 2018) dedicato al gen. Kanzler (https://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/Soda-it69.pdf)”
http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2018/09/General_Hermann_Kanzler-2-copia-520x273.png

I Martiri di Castelfidardo / II parte - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/martiri-castelfidardo-ii-parte/)
“17 settembre 2018 - I Martiri di Castelfidardo / II parte.
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza - Comunicato n. 68/18 del 17 settembre 2018, Stimmate di San Francesco.”
http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2018/09/57-copia-300x224.png


https://www.agerecontra.it/2018/09/i-martiri-di-castelfidardo-i-parte/
https://www.agerecontra.it/2018/09/i-martiri-di-castelfidardo-ii-parte/


https://www.agerecontra.it/2015/06/lunita-nella-verita/
“L’unità nella verità. Segnalazione del Centro Studi Federici.
Fervorino di don Francesco Ricossa al sacrario di Castelfidardo, pellegrinaggio Osimo-Loreto dell’Istituto Mater Boni Consilii, 17/5/2015.”





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«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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SAN GIUSEPPE DA COPERTINO
Confessore.
Doppio.
Paramenti bianchi.
Guéranger, L'anno liturgico - San Giuseppe da Copertino (http://www.unavoce-ve.it/pg-18set.htm)
“San Giuseppe da Copertino (Lecce), Sacerdote dell'Ordine dei Minori Conventuali e Confessore, nacque appunto a Copertino, nel Regno di Napoli, il 17 giugno 1603. Umile figlio di San Francesco, San Giuseppe glorifica anch'egli la croce di Gesù, che la liturgia esaltò qualche giorno prima (14 settembre). Come il serafico patriarca, cercò di seguire la Croce con una povertà completa, una obbedienza eroica e una purezza verginale. Grazie al suo spirito di sacrificio e di preghiera, accettò con santa pazienza e grande serenità d'animo gli oltraggi e i rimproveri e ogni sorta d'ingiurie (Offertorio). Così Dio, che esalta gli umili, lo innalzò da semplice frate laico, all'onore del Sacerdozio. Fu ripieno di scienza celeste e di perfetta devozione e fu talmente dotato del dono dei miracoli, che pregò Dio a sottrargli i carismi di cui era colmato - fu ripieno di scienza celeste e di perfetta devozione - è noto soprattutto per le prodigiose levitazioni. Passò al Signore a Osimo (Ancona) nello Stato Pontificio, il 18 settembre 1663. Fu inscritto nell'albo dei Beati il 24 febbraio 1753 da Papa Benedetto XIV e ascritto nel numero dei Santi il 16 luglio 1767 da Papa Clemente XIII. È invocato come Patrono degli studenti e degli esaminandi.
• Giuseppe da Copertino, città nel territorio del Salento nella diocesi di Nardò, nacque nell'anno della salute 1603 da pii genitori, e prevenuto dall'amore di Dio, passò la sua infanzia e adolescenza nella più perfetta semplicità e purità di costumi. Liberato coll'aiuto della Vergine Madre di Dio da una lunga e molesta malattia sopportata pazientissimamente, si diede tutto alle pratiche di pietà e a coltivare le virtù; e affine di unirsi più strettamente a Dio che lo chiamava a più grandi cose, risolvette d'abbracciare l'ordine serafico. Dopo varie peripezie, appagato finalmente nei suoi desideri, fu ricevuto tra i Minori Conventuali del convento della Grottella, dapprima come laico a causa della sua ignoranza nelle lettere, e poi, per divina disposizione, come chierico. Dopo i voti solenni ordinato sacerdote, si propose di menare una vita ancor più perfetta. Quindi rinunziato all'istante a tutti gli affetti mondani e financo alle stesse cose necessarie alla vita, martoriò il corpo con cilizi, discipline, catenelle, insomma con ogni sorta d'austerità e sofferenze; mentre nutriva continuamente lo spirito col soave alimento dell'orazione e della contemplazione più sublime. Onde avvenne, che l'amor di Dio, già diffuso nel suo cuore fin dalla prima età, apparve sempre più in modo meraviglioso e affatto singolare.
La sua ardentissima carità rifulse soprattutto nelle deliziosissime estasi in Dio e negli straordinari rapimenti che provava sovente. E stupisce come, avendo l'animo fuori dei sensi, la sola obbedienza bastava a richiamarlo subito dall'estasi. Infatti s'era attaccato a questa virtù col più gran zelo, solito dire, che si lasciava condurre ciecamente da essa, e preferiva morire piuttosto che non obbedire. Imitò siffattamente la povertà del Patriarca serafico, che, sul punto di morire, poté affermare con tutta verità al suo superiore di non aver a consegnare niente, che ciò che praticano i religiosi. Pertanto, morto a sé e al mondo, manifestava la vita di Gesù nella sua carne, la quale, allorché egli scorgeva in qualcuno macchia di peccato, esalava un profumo meraviglioso, indice della sua meravigliosa purezza, che conservò illibata, - nonostante le violentissime tentazioni onde lo spirito immondo tentò per lungo tempo, ma invano, di offuscarla, - sia colla rigorosa custodia dei sensi, sia colle continue macerazioni del corpo, sia infine per una speciale protezione della purissima Vergine Maria, che soleva chiamare sua madre, e che venerava difatti come madre dolcissima coll'affetto più intimo del cuore, desiderando che anche gli altri la venerassero, affinché col suo patrocinio, com'egli diceva, potessero ottenere tutti i beni.
Questa sollecitudine del beato Giuseppe proveniva dalla sua carità verso il prossimo; infatti era tale lo zelo onde bruciava per le anime, da lavorare colla massima attività e in tutti i modi per la salvezza di tutti. Stendendo egualmente la sua carità a qualsiasi, o povero, o infermo, o afflitto da qualsiasi altra tribolazione, lo soccorreva per quanto poteva. E non escludeva dalla sua carità neppure quelli che lo assalivano con rimproveri, oltraggi, e ogni altra specie d'ingiurie; poiché egli accettava tutto questo colla stessa pazienza, dolcezza e serenità di volto, che mostrò nel sopportare le tante e sì penose vicissitudini che attraversò, allorché, per obbedire ai superiori dell'ordine o alle decisioni della sacra Inquisizione fu costretto di cambiare più volte residenza. Ammirato poi non solo dal popolo, ma ancora dai principi per la sua eminente santità e i doni celesti, egli si mantenne talmente umile, che, stimandosi gran peccatore, pregava Dio con insistenza perché togliesse da lui i suoi doni straordinari, e chiedeva agli uomini che dopo morte gettassero il suo corpo in tal luogo, ove la sua memoria fosse del tutto obliata. Ma Dio, che esalta gli umili e che aveva arricchito, in vita, assai doviziosamente il suo servo di celeste sapienza, del dono di profezia, della penetrazione dei cuori, delle guarigioni e d'altri privilegi, rese preziosa anche la sua morte e glorioso il sepolcro davanti a quelli a cui ne aveva predetto il luogo e il tempo, cioè a Osimo nel Piceno, a 61 anni di età. Infine, illustrato da miracoli anche dopo morte, Benedetto XIV lo inscrisse nell'albo dei Beati, e Clemente XIII in quello dei Santi. Clemente XIV poi, dello stesso ordine, ne estese l'Ufficio e la Messa a tutta la Chiesa.”
“SANTA MESSA
• Omelia di san Gregorio Papa.
Libro 2 delle Omelie. Omelia 38, verso la metà.
Poiché, per grazia del Signore, siete già entrati nella casa delle nozze, cioè nella santa Chiesa, abbiate gran cura, fratelli, d'evitare che al suo entrare il re trovi qualche cosa da riprendere nello stato dell'anima vostra. Infatti è necessario riflettere con gran timore nel cuore a ciò che subito soggiunge: «Or il re entrò per vedere quelli che erano a tavola, e ci trovò un uomo che non era in abito da nozze» (Matth. 22,11). Cosa pensiamo che rappresenti, fratelli carissimi, l'abito da nozze? Se intendiamo per l'abito da nozze il battesimo e la fede, chi entrò a queste nozze senza il battesimo e senza la fede? Poiché uno è fuori per ciò stesso che non crede. Che dobbiamo dunque intendere per l'abito da nozze, se non la carità? Entra, sì, alle nozze, ma non ci entra con abito da nozze chi, avendo un posto nella santa Chiesa, possiede bensì la fede, ma non la carità. E giustamente la carità è detta abito da nozze, poiché il nostro Creatore l'aveva in sé allorché venne alle nozze colle quali doveva unirsi alla Chiesa.
Infatti fu solo la carità che mosse Dio a mandare il suo Unigenito a unirsi agli uomini suoi eletti. Perciò Giovanni dice: «Dio ha così amato il mondo, da aver dato per noi il suo Figlio unigenito» (Joann. 3,16). Colui dunque che dalla carità fu attratto verso gli uomini, ci ha fatto vedere in questa carità l'abito da nozze. Quindi chiunque di voi ha un posto nella Chiesa e crede a Dio, è già entrato alle nozze; ma non c'è venuto con abito da nozze, se non conserva in sé la grazia della carità. E certo, fratelli, se uno fosse invitato a delle nozze terrene, muterebbe abito, mostrerebbe coll'indossare un abito conveniente di rallegrarsi collo sposo e colla sposa, e arrossirebbe di comparire in abito negletto fra coloro che sono in allegrezza e festa. E noi siamo venuti alle nozze divine, e non ci curiamo di cambiar l'abito dell'anima nostra. Gli Angeli sono in allegrezza, allorché gli eletti vengono introdotti nel cielo. Con quali sentimenti dunque apprezziamo queste feste spirituali, noi che non abbiamo l'abito da nozze, cioè la carità che sola ci fa belli?
Ma dobbiamo sapere che, come il tessuto d'un abito si fa con due legni, uno cioè di sopra e l'altro di sotto; così la carità è compresa in due precetti, cioè nell'amore di Dio e del prossimo. Poiché sta scritto: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze, e il prossimo tuo come te stesso» (Matth. 22,37). Nella qual cosa è da osservare, che, riguardo al prossimo, l'amore ammette una misura, perché dice: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Ma l'amore di Dio non è ristretto a nessuna misura, perché dice: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutte le tue forze». Questo precetto non dice a ciascuno in quale misura deve amare, ma con quale generosità, come l'esprime la parola: «Tutto»; dacché colui ama Dio veramente, il quale non si riserva nulla di sé. Quindi chiunque brama di portare alle nozze l'abito da nozze, deve di necessità osservare il doppio precetto della carità.”
https://sardiniatridentina.blogspot.com/2017/09/san-giuseppe-da-copertino-prete-di.html?m=1
“• Dalle «Massime» di san Giuseppe da Copertino.
(Cfr. G. Parisciani O.F.M. Conv., S. Giuseppe da Copertino alla luce dei nuovi documenti. Osimo 1963, passim)
L’amore di Dio è tutto.
Tre sono le cose proprie di un religioso: amare Dio con tutto il cuore, lodarlo con la bocca, e dare sempre buono esempio con le opere. Nessuna persona spirituale o religiosa può essere perfetta senza l’amore di Dio. Chi ha la carità, è ricco e non lo sa; chi non ha la carità, ha una grande infelicità.
La grazia di Dio è come il sole, che splendendo sugli alberi e le loro foglie, li adorna ma non li contamina, li lascia nel loro essere, senza minimamente alterarli. Così la grazia di Dio, illuminando l’uomo, lo adorna di virtù, lo fa splendente di carità, lo rende bello e vago agli occhi di Dio; non altera la sua natura, ma la perfeziona. Dio vuole, dell’uomo, la volontà, poiché questi non possiede altro di proprio, pur avendola ricevuta quale prezioso dono dal suo Creatore. Difatti quando si esercita in opere di virtù, la grazia di operare e tutti gli altri: doni ch’egli possiede, vengono da Dio: l’uomo, di suo, non ha che la volontà; perciò Dio si compiace sommamente, quando egli, rinunciando alla propria volontà, si mette completamente nelle sue mani divine.
Come un albero, dopo essere stato oggetto delle cure più assidue, infine, carico di frutti, ne dà a chi ne vuole, così l’uomo che comincia a camminare nella via di Dio, deve sforzarsi con ogni diligenza di crescere e progredire nel servizio del Signore, spandendo rami di virtù e producendo fiori profumati di santità e frutti di opere sante, per modo che tutti gli uomini, dietro il suo esempio, apprendano anch’essi a camminare nella via di Dio.
Il patire per amore di Dio è un favore singolarissimo, che il Signore concede a coloro che ama.
È maggior grazia il patire in questa vita che non il godere, poiché il Signore vuole essere ripagato con la stessa moneta che egli ha sborsato per noi: Gesù ha tanto sofferto per noi, e vuole che anche noi soffriamo con lui. O sei oro, o sei ferro: se sei oro, la sofferenza ti purifica; se sei ferro, la sofferenza ti toglie la ruggine.
I servi di Dio devono fare come gli uccelli, i quali scendono a terra per prendere un po' di cibo e poi subito si risollevano in aria. Similmente i servi di Dio possono fermarsi sulla terra quanto comporta la necessità del vivere umano, ma poi subito, con la mente, devono sollevarsi al cielo per lodare e benedire il Signore. Gli uccelli, se scorgono del fango sul terreno, non si calano sopra, oppure lo fanno con molta cautela per non imbrattarsi. Così dobbiamo fare noi: mai abbassarci alle cose che macchiano l’anima, ma sollevarci in alto e con le nostre opere lodare il Signore, Sommo Bene.”
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“SAN GIUSEPPE DA COPERTINO
Confessore.
• CANTICO DEL BENE
scritto da san Giuseppe da Copertino, Confessore.
Chi fa ben sol per paura
non fa niente e poco dura.
Chi fa ben sol per usanza
se non perde poco avanza.
Chi fa ben come per forza
lascia il frutto e tien la scorza.
Chi fa ben qual sciocco a caso
va per l’acqua senza vaso.
Chi fa ben per parer buono
non acquista altro che suono.
Chi fa ben per vanagloria
non avrà giammai vittoria.
Chi fa ben per avarizia
cresce sempre più in malizia.
Chi fa ben con negligenza
perde il frutto e la semenza.
Chi fa ben all’indiscreta
senza frutto mai s’acquieta.
Chi fa ben solo per gusto
mai sarà santo né giusto.
Chi fa ben sol per salvarsi
troppo s’ama e non sa amarsi.
Chi fa ben per puro amore,
dona a Dio l’anima e il core
e qual figlio e servitore
sarà unito al suo Signore.
Gesù dolce Salvatore sia lodato a tutte l’ore,
il supremo e gran motore d’ogni grazia donatore.
Amen.”

“• PREGHIERA DELLO STUDENTE A SAN GIUSEPPE DA COPERTINO.
O Santo patrono, verso i vostri devoti vi mostrate così liberale tanto che concedete a loro tutto ciò che vi chiedono, volgete il vostro sguardo su di me che nelle strettezze in cui mi trovo vi invoco in mio soccorso.
Per qual mirabile amore che vi trasportava a Dio ed al soavissimo Cuore di Gesù, per quell'ardente impegno con cui veneravate la Vergine Maria, vi prego e vi supplico di aiutarmi nel prossimo esame scolastico (o accademico).
Vedete come da lungo tempo mi sono applicato con ogni diligenza allo studio, né ho rifiutata alcuna fatica, né risparmiato impegno o diligenza; ma poiché non confido in me, ma in Voi solo, ricorro al vostro soccorso, che oso sperare con animo sicuro.
Ricordatevi che un tempo anche Voi, stretto da un simile pericolo, per singolare aiuto di Maria Vergine ne usciste con felice successo. Voi dunque siatemi propizio nel fare sì che venga interrogato su quei punti in cui sono più preparato; e datemi acume e prontezza di intelligenza, impedendo che il timore mi invada l'animo e mi offuschi la mente. Amen.”
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San Giuseppe da Copertino (http://www.santiebeati.it/dettaglio/34750)


18 Settembre - San Giuseppe da Copertino (http://www.preghiereperlafamiglia.it/san-giuseppe-da-copertino.htm)
“18 SETTEMBRE SAN GIUSEPPE DA COPERTINO.
Copertino (Lecce), 17 giugno 1603 – Osimo (Ancona), 18 settembre 1663.
Giuseppe Maria Desa nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese. Il padre fabbricava carri. Rifiutato da alcuni Ordini per «la sua poca letteratura» (aveva dovuto abbandonare la scuola per povertà e malattia), venne accettato dai Cappuccini e dimesso per «inettitudine» dopo un anno. Accolto come Terziario e inserviente nel conventino della Grotella, riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Giuseppe levitava da terra per le continue estasi. Così, per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Giuseppe da Copertino ebbe il dono della scienza infusa, per cui gli chiedevano pareri perfino i teologi e seppe accettare la sofferenza con estrema semplicità. Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni; fu beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII. (Avvenire).”





Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org/)
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“Buona settimana con la Sacra Famiglia: Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia.”
«18 settembre 2018: San Giuseppe da Copertino, confessore.
Nato a Copertino nelle Puglie nel 1603. Desideroso di diventare sacerdote, fu rifiutato da alcuni Ordini per "la sua poca letteratura", aveva infatti dovuto abbandonare la scuola a causa della sua povertà e di una malattia. Venne infine accolto dai Cappuccini, ma fu dimesso per "inettitudine" dopo solo un anno. Fu quindi accolto come Terziario e inserviente nel piccolo convento della Grotella, dove riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche straordinarie che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Seppe accettare la sofferenza, di cui fu piena la sua vita, con estrema semplicità e con semplicità morì nel 1663.”
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«Il 18 settembre 1864 Pio IX dichiara Beata suor Margherita Maria Alacoque V.S.M., Apostola del Sacro Cuore di Gesù.”

«Il 18 settembre 1860 le truppe pontificie venivano sconfitte a Castelfidardo dall'esercito piemontese invasore. Onore eterno al Generale de Pimodan, caduto gridando "Viva il Papa! Dio è con noi!", e ai Martiri dell'ultima Crociata, caduti con la spada nel pugno per la difesa del Papa Re e della Chiesa!»
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[QUI RADIO SPADA] Hermann Kanzler: l?ultimo condottiero | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2014/11/qui-radio-spada-hermann-kanzler-lultimo-condottiero/)

«Generale Georges de la Vallée de Rarecourt marchese de Pimodan, Comandate dell'Esercito Pontificio, caduto nella battaglia di Castelfidardo il 18 settembre 1860. Sulla sua tomba, a San Luigi dei Francesi, Pio IX fece scrivere:
"AVE ANIMA FORTIS, ET DIVINI ET HVMANI IVRIS VINDEX TE QVIBUS ALIQVIS RESIDET IVSTI ET HONESTI PVDOR SCELESTO OCCISVM DEFLENT LATROCINIO TE QVIDQVID EST HOMINVM GENEROSIORVUM TE QVI CATHOLICORVM NON MENTIVNTVR NOMEN MARTYREM PRAEDICANT" (Ave, anima forte, vindice del diritto divino e umano, coloro a cui resta qualche sentimento di giustizia e di onestà ti piangono, vittima di un infame brigantaggio gli uomini più generosi ti acclamano eroe coloro che non mentono al loro nome di cattolico ti proclamano martire).»
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“18 settembre 1947 : Consacrazione episcopale di Monsignor Marcel Lefebvre, della Congregazione dello Spirito Santo, Vescovo eletto di Antedone e Vicario Apostolico di Dakar.
«Io sono solo un Vescovo della Chiesa Cattolica che continua a trasmettere, a trasmettere la dottrina. “Tradidi quod et accepi”. È questo che io penso e che auspico si metta sulla mia tomba, e certo non ci vorrà molto tempo perché sulla mia tomba si metta “Tradidi quod et accepi” [...]. Io sono il fattorino che porta una lettera. Non sono io che ho fatto questa lettera, questo messaggio, questa parola di Dio, è Dio stesso, è nostro Signore Gesù Cristo stesso [...]. Noi siamo solo dei portatori di questa novella, di questo Vangelo che nostro Signore Gesù Cristo ci ha donato e dei mezzi per santificarci: la Santa Messa, la vera Santa Messa, i veri Sacramenti, che danno veramente la vita spirituale» (Omelia per le consacrazioni episcopali, Ecône, 30 giugno 1988).”
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/41984645_2304837559545900_6635421355003084800_n.pn g?_nc_cat=0&oh=ed8d5cdafb2d5e57218b589779ad59bd&oe=5C20FBD9


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domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/)
http://www.domusmarcellefebvre.it/

OMELIA AI "TRADIZIONALISTI PERPLESSI" - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/omelia-ai--tradizionalisti-perplessi-.html)
http://www.domusmarcellefebvre.it/omelia-ai--tradizionalisti-perplessi-.html



: Quidlibet : ? Pro-Sedevacantism Quotes from Abp. Lefebvre (http://www.fathercekada.com/2012/09/04/pro-sedevacantism-quotes-from-abp-lefebvre/)



https://novusordowatch.org/tag/marcel-lefebvre/
https://novusordowatch.org/2018/06/30-years-sspx-episcopal-consecrations-lefebvre/



https://boutiqueacrf.com/199-tm_thickbox_default/mgr-lefebvre-et-le-sede-vacantisme.jpg
https://boutiqueacrf.com/201-tm_thickbox_default/mgr-lefebvre-et-le-sede-vacantisme.jpg



https://www.radiospada.org/2016/02/vid-documentario-sul-sedevacantismo-di-mons-lefebvre/
https://i0.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2016/02/Immagine-10.png?resize=300%2C164&ssl=1


https://www.agerecontra.it/2016/03/video-documentario-sul-sedevacantismo-di-mons-lefebvre/
«Questo video racconta la testimonianza di un sacerdote (Anthony Cekada) che ha collaborato con Mons. Lefebvre: è una storia “alternativa” e quindi interessante. Le sue conclusioni sono estremamente ragionevoli per “Christus Rex”, che già la settimana scorsa pubblicò questo video. Il tema dell’approccio di Mons. Lefebvre alla crisi nella Chiesa è un tema sempre attuale. Le sue “attenzioni” per il sedevacantismo sono state costantemente parte del dibattito che ha ruotato attorno alla sua figura. Il video è in lingua inglese ma molto chiaro e comprensibile. Buona visione!»


https://www.agerecontra.it/2017/03/il-cappio-fatale-del-conclavismo-dellora-presente/
“(…) Monsignor Marcel Lefebvre è stato un VALIDO ministro di Dio, e
-1: la sua consacrazione episcopale fu valida in quanto, anche se celebrata dal card. Lienart (sospettato di appartenenza alla massoneria), ad essa presero parte ben DUE Vescovi cattolici, mons. Fauret e mons. Ancel, validi e fidati ministri di Dio;
-2 mons. Marcel Lefebvre è stato uno dei più grandi missionari dell’intero XX secolo! Si studi un po’ di storia della Chiesa! Mons. Lefebvre ha evangelizzato un quinto dell’intero continente africano!
-3 mons. Marcel Lefebvre fu uno strenuo difensore della Verità Cattolica durante l’invalido ed eretico conciliabolo Vaticano del 1962-65; successivamente l’ostilità dell’antipapa montini, e soprattutto i consigli di sottomissione, suggeriti dai card. Ottaviani e card. Siri, fecero divenire mons. Lefebvre più perplesso, confuso e titubante nella sua resistenza ai modernisti/massoni infiltrati in Vaticano. Fu proprio l’esempio di compromesso, dato dai card.Ottaviani, Siri, e tradizionalisti vari, che condizionarono mons. Lefebvre, in modo tale che ebbe gravi scrupoli di coscienza, e infine non se la sentì di tagliare definitivamente i legami con la Roma apostata, e dichiarare ufficialmente la Sede vacante.
Quindi, mons. Lefebvre fu un ministro del Signore che merita il rispetto di ogni cattolico (...)
Io sono un sedevacantista totale, e pur essendo critico nei confronti della FSSPX, per la sua sottomissione alla Roma apostata, non dimentico però i meriti che ebbe mons. Lefebvre.”


https://www.riscossacristiana.it/tirare-monsignore-per-la-talare-di-andrea-giacobazzi/
«(…) pensare di ridurre Mons. Lefebvre ad un “accordista” è operazione piuttosto complicata. Nella celebre giornata delle consacrazioni episcopali del 1988 l’amico e collaboratore storico, Mons. de Castro Mayer (che insieme a lui fu “scomunicato” per i fatti di quel giorno) alla fine della cerimonia, di fronte ad autorevoli testimoni, disse: “Non abbiamo un Papa!”. È altresì noto che nella Fraternità fosse ampiamente tollerato, sebbene non in maniera troppo “pubblica”, che sacerdoti celebrassero Messe “non una cum”, ovvero senza menzionare nel Canone il nome di Paolo VI, Giovanni Paolo II, ecc.
Non fu dunque un caso se Monsignore il 29 luglio 1976, riflettendo sulla “sospensione a divinis” appena stabilita da Paolo VI, sostenne: “Questa Chiesa conciliare è una Chiesa scismatica, perché rompe con la Chiesa cattolica di sempre”. Ancora su Le Figaro del 4 agosto 1976, ribadiva:
“Se è certo che la fede insegnata dalla Chiesa per venti secoli non può contenere errori, abbiamo molto meno la certezza assoluta che il Papa sia veramente Papa. L’eresia, lo scisma, la scomunica ipso facto, l’invalidità dell’elezione, sono altrettante cause che, eventualmente, possono fare che un Papa non lo sia mai stato o non lo sia più. In questo caso, evidentemente molto eccezionale, la Chiesa si troverebbe in una situazione simile a quella che conosce dopo il decesso di un Sommo Pontefice. Poiché infine un problema grave si pone alla coscienza e alla fede di tutti i cattolici dall’inizio del pontificato di Paolo VI. Come può un Papa, vero successore di Pietro, garantito dall’assistenza dello Spirito Santo, presiedere alla distruzione della Chiesa, la più profonda ed estesa della storia, nello spazio di così poco tempo, come nessun eresiarca è mai riuscito a fare? A questa domanda bisognerà pur rispondere un giorno”.
Si nota giustamente sul numero 56 di Sodalitium (Anno XIX, settembre 2003): “In quel periodo (febbraio 1977) la posizione sul Papa fu quella poi pubblicata nel libro Il colpo da maestro di Satana: la Sede vacante era una ipotesi possibile, alla quale era preferita la posizione di Paolo VI Papa legittimo ma liberale”.
Ci si potrebbe dilungare parlando della collaborazione di Mons. Lefebvre con figure storiche del sedevacantismo: da Padre Barbara, a Padre Guérard des Lauriers (che fu per un certo tempo docente stimato nel seminario di Ecône), a diversi altri. Si potrà facilmente replicare che da questi esponenti poi si allontanò, ma si potrà altrettanto agevolmente controreplicare che la “tradizione sedevacantista” era così radicata nella Fraternità da dare frutti anche al suo esterno: oggi in Italia la sola casa religiosa intestata all’Arcivescovo (la “Domus Marcel Lefebvre”) è di questo orientamento. (…)»



«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
XVII domenica d. Pentecoste (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=3mksL5RX-FQ
XVII domenica d Pentecoste (Omelia)
https://www.youtube.com/watch?v=DxA2PnjagQQ
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»





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Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
18 septembre : Saint Joseph de Cupertino, Frère mineur, Conventuel (1603-1663) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/18-septembre-saint-joseph-de-cupertino)
“18 septembre : Saint Joseph de Cupertino, Frère mineur, Conventuel (1603-1663).”
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Luca, Sursum Corda - Habemus Ad Dominum!!!