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krentak the Arising!
04-10-03, 23:12
Ai Governatori dei Popoli (1220)

A tutti coloro che sono investiti di autorità civile e militare, a coloro che amministrano la giustizia, a tutte le persone importanti a cui giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servitore in Dio, uomo misero, il minore, augura salute e pace.

Non dimenticate che il giorno della morte è sempre più vicino. Vi prego, allora, con tutto il rispetto, che, presi come siete dagli impegni e dalle preoccupazioni di questo mondo, non abbiate a dimenticare il Signore.

Regolate le vostre azioni sui comandamenti del Signore, perché chiunque lo dimentichi e si allontani dalla sua legge è severamente giudicato da Dio e non può contare sul suo aiuto. E quando verrà il giorno della sua morte, tutto quello che si illudeva di avere gli sarà portato via; anzi, quanto più uno è importante ed istruito in questo mondo, tanto più severamente sarà punito per i suoi errori.

Perciò vi consiglio, miei signori, di non farvi sopraffare dalle vostre attività e dalle vostre preoccupazioni. Non trascurate di ricevere devotamente la comunione del corpo e del sangue del Signore Gesù Cristo per essere uniti a lui.

E perché la vita civile del popolo a voi affidato sia sorretta dalla presenza di Dio, vi consiglio di fare in modo che ogni sera, o per mezzo di un banditore o con qualche altro segno, il popolo tutto sia invitato a rendere lode e grazie al Signore Dio onnipotente.

Se non farete questo, sappiate che dovete renderne conto davanti al Signore vostro Gesù Cristo, quando sarete giudicati.

Coloro che terranno presso di sè questo scritto e lo osserveranno siano benedetti dal Signore Iddio.

Augustinus
03-10-04, 17:48
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=21750):

San Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia

4 ottobre - Festa

Assisi, 1182 - Assisi, la sera del 3 ottobre 1226

Da una vita giovanile spensierata e mondana, dopo aver usato misericordia ai lebbrosi (Testamento), si convertì al Vangelo e lo visse con estrema coerenza, in povertà e letizia, seguendo il Cristo umile, povero e casto, secondo lo spirito delle beatitudini. Insieme ai primi fratelli che lo seguirono, attratti dalla forza del suo esempio, predicò per tutte le contrade l'amore del Signore, contribuendo al rinnovamento della Chiesa. Innamorato del Cristo, incentrò nella contemplazione del Presepe e del Calvario la sua esperienza spirituale. Portò nel suo corpo i segni della Passione. Il lui come nei più grandi mistici si reintegrò l'armonia con il cosmo, di cui si fece interprete nel cantico delle creature. Fu ispiratore e padre delle famiglie religiose maschili e femminili che da lui prendono il nome. Pio XII lo proclamò patrono d'Italia il 18 giugno 1939. (Mess. Rom.)

Patronato: Italia, Ecologisti, Animali, Uccelli, Commercianti, Lupetti/Coccin. AGESCI

Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

Emblema: Lupo, Uccelli

Martirologio Romano: Memoria di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra.

Martirologio tradizionale (4 ottobre): Ad Assisi, in Umbria, il natale di san Francesco, Levita e Confessore, Fondatore di tre Ordini, cioè dei Frati Minori, delle Povere Donne, e dei Fratelli e delle Sorelle della Penitenza. La sua vita, piena di santità e di miracoli, fu scritta da san Bonaventura.

(25 maggio): Così pure ad Assisi, nell'Umbria, la Traslazione di san Francesco Confessore, al tempo del Papa Gregorio nono.

Non c'è dubbio: Francesco di Assisi è il personaggio più celebre di tutta l'agiografia cristiana: noto, ammirato e amato in tutto il mondo, anche in ambienti assai lontani dalla Chiesa cattolica, dalla stessa cultura cristiana e occidentale: per esempio nel lontano Oriente.
A lui si sono ispirati letterati di tutte le tendenze, artisti di tutte le scuole, storici di qualsiasi impostazione; uomini politici e addirittura rivoluzionari, che hanno visto in lui un apostolo della contestazione non violenta un precursore dell'opposizione contro il materialismo e il consumismo.
Perfino molte ribellioni, da quella medievale dei " Fraticelli " a quella recentissima degli hippies, si sono rifatte, più o meno esplicitamente a lui, Francesco di Pietro Bernardone, Poverello di Assisi, amante riamato di Madonna Povertà, santo della rinunzia e cantore della " perfetta letizia ", cioè della felicità nell'infelicità.
Ma è importante fissare i caratteri che garantiscono la fedeltà di San Francesco a un ideale interamente cristiano, presentato e vissuto in modo originalissimo, ma non mai gratuito o ribelle.
Prima di tutto, la sua aderenza costante all'insegnamento evangelico, alle parole e alla figura stessa di Gesù. Un Gesù che Francesco di Assisi, con geniale intuizione, presenta agli uomini del suo tempo ~ e di tutti i tempi - come Salvatore per amore e con l'amore: non più o non solo Signore onnipotente, Giudice supremo, Maestro indefettibile: ma fratello tra i fratelli, sofferente tra i sofferenti, creatura amabilissima tra le creature che lo amano e lo lodano: tutte le creature, anzi tutte le cose create -dall'acqua alle piante, dalle stelle al fuoco, dagli animali alla terra, e alla stessa morte. Ma soprattutto gli uomini, perché è per loro che il Figlio di Dio si è fatto uomo; per loro è stato creato l'universo; e creato con il piano dell'universale redenzione per mezzo dell'amore già presente nella mente di Dio fin dal principio dei secoli.
Poi, la costante fedeltà di Francesco di Assisi alla Chiesa, mistica sposa del Cristo. Una fedeltà testimoniata da infiniti episodi. Per ben tre volte, a tre diversi Papi, il Poverello chiese l'approvazione della sua Regola, la conferma e riconferma.
Perfino prima di " montare " il primo Presepe nella storia cristiana, un presepe vivente - a Greccio, nel Natale del 1223 - chiese e ottenne l'approvazione del Papa, per quella " novità ". Del resto, all'inizio stesso della vocazione del Santo, il Crocifisso dipinto di San Damiano, che ancora si conserva ad Assisi, aveva chiesto a Francesco di restaurare la sua Chiesa. Di restaurarla, non di criticarla, o combatterla, o neanche riformarla.
Costante fu poi in lui il senso della cristiana letizia, ben diverso dalla tetraggine dell'errore. Introdotto per la prima volta, con i compagni, alla presenza di Innocenzo III, cominciò a ballare dalla gioia. A San Leo, durante una festa, predicò dicendo: " Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto ". A Frate Leone dettò dove fosse " perfetta letizia ": nella tribolazione e nella persecuzione accettata per amore. E finalmente, nell'orto di San Damiano, ad Assisi, ammalato, quasi cieco, piagato dalle Stigmate, dopo una tormentosa notte insonne, intonò il Cantico delle Creature, il più alto inno di ringraziamento e di lode.
In quella serena letizia morì, pochi mesi dopo, ad Assisi, il 4 ottobre del 1226. Aveva vissuto quarantaquattro anni.

Fonte: Archivio Parrocchia

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Dallo STESSO SITO altro profilo biografico:

Nel suo 'Testamento' scritto poco prima di morire, Francesco annotò: “Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo”.
Per questo è considerato il più grande santo della fine del Medioevo; egli fu una figura sbocciata completamente dalla grazia e dalla sua interiorità, non spiegabile per niente con l'ambiente spirituale da cui proveniva.
Ma proprio a lui toccò in un modo provvidenziale, di dare la risposta agli interrogativi più profondi del suo tempo.
Avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo, con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo cristiano ma anche al di fuori di esso.

Origini e gioventù

Francesco, l'apostolo della povertà, in effetti era figlio di ricchi, nacque ad Assisi nei primi del 1182 da Pietro di Bernardone, agiato mercante di panni e dalla nobile Giovanna detta “la Pica”, di origine provenzale.
In omaggio alla nascita di Gesù, la religiosissima madonna Pica, volle partorire il bambino in una stalla improvvisata al pianterreno della casa paterna, in seguito detta “la stalletta” o “Oratorio di s. Francesco piccolino”, ubicata presso la piazza principale della città umbra.
La madre in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista; ma ritornato il padre, questi volle aggiungergli il nome di Francesco che prevarrà poi sul primo.
Questo nome era l'equivalente medioevale di 'francese' e fu posto in omaggio alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi e occasioni di mercato; disse s. Bonaventura suo biografo: “per destinarlo a continuare il suo commercio di panni franceschi”; ma forse anche in omaggio alla moglie francese, ciò spiega la familiarità con questa lingua da parte di Francesco, che l'aveva imparata dalla madre.
Crebbe tra gli agi della sua famiglia, che come tutti i ricchi assisiani godeva dei tanti privilegi imperiali, concessi loro dal governatore della città, il duca di Spoleto Corrado di Lützen.
Come istruzione aveva appreso le nozioni essenziali presso la scuola parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate; ad ogni modo conosceva il provenzale ed era abile nel mercanteggiare le stoffe dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un valido collaboratore e l'erede dell'attività di famiglia.
Non alto di statura, magrolino, i capelli e la barbetta scura, Francesco era estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate, spendendo con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo poneva alla direzione delle feste.

Combattente e sua conversione

Con la morte dell'imperatore di Germania Enrico IV (1165-1197) e l'elezione a papa del card. Lotario di Segni, che prese il nome di Innocenzo III (1198-1216), gli scenari politici cambiarono; il nuovo papa sostenitore del potere universale della Chiesa, prese sotto la sua sovranità il ducato di Spoleto compresa Assisi, togliendolo al duca Corrado di Lützen.
Ciò portò ad una rivolta del popolo contro i nobili della città, asserviti all'imperatore e sfruttatori dei loro concittadini, essi furono cacciati dalla rocca di Assisi e si rifugiarono a Perugia; poi con l'aiuto dei perugini mossero guerra ad Assisi (1202-1203).
Francesco, con lo spirito dell'avventura che l'aveva sempre infiammato, si buttò nella lotta fra le due città così vicine e così nemiche.
Dopo la disfatta subita dagli assisiani a Ponte San Giovanni, egli fu fatto prigioniero dai perugini a fine 1203 e restò in carcere per un lungo terribile anno; dopo che i suoi familiari ebbero pagato un consistente riscatto, Francesco ritornò in famiglia con la salute ormai compromessa.
La madre lo curò amorevolmente durante la lunga malattia; ma una volta guarito egli non era più quello di prima, la sofferenza aveva scavato nel suo animo un'indelebile solco, non sentiva più nessuna attrattiva per la vita spensierata e i suoi antichi amici non potevano più stimolarlo.
Come ogni animo nobile del suo tempo, pensò di arruolarsi nella cavalleria del conte Gualtiero di Brenne, che in Puglia combatteva per il papa; ma giunto a Spoleto cadde in preda ad uno strano malessere e la notte ebbe un sogno rivelatore con una voce misteriosa che lo invitava a “servire il padrone invece che il servo” e quindi di ritornare ad Assisi.
Colpito dalla rivelazione, tornò alla sua città, accolto con preoccupazione dal padre e con una certa disapprovazione di buona parte dei concittadini.
Lasciò definitivamente le allegre brigate per dedicarsi ad una vita d'intensa meditazione e pietà, avvertendo nel suo cuore il desiderio di servire il gran Re, ma non sapendo come; andò anche in pellegrinaggio a San Pietro in Roma con la speranza di trovare chiarezza.
Ritornato deluso ad Assisi, continuò nelle opere di carità verso i poveri ed i lebbrosi, ma fu solo nell'autunno 1205 che Dio gli parlò; era assorto in preghiera nella chiesetta campestre di San Damiano e mentre fissava un crocifisso bizantino, udì per tre volte questo invito: “Francesco va' e ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina”.
Pieno di stupore, Francesco interpretò il comando come riferendosi alla cadente chiesetta di San Damiano, pertanto si mise a ripararla con il lavoro delle sue mani, utilizzando anche il denaro paterno.
A questo punto il padre, considerandolo ormai irrecuperabile, anzi pericoloso per sé e per gli altri, lo denunziò al tribunale del vescovo come dilapidatore dei beni di famiglia; notissima è la scena in cui Francesco denudatosi dai vestiti, li restituì al padre mentre il vescovo di Assisi Guido II, lo copriva con il mantello, a significare la sua protezione.
Il giovane fu affidato ai benedettini con la speranza che potesse trovare nel monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali; i rapporti con i monaci furono buoni, ma non era quella la sua strada e ben presto riprese la sua vita di “araldo di Gesù re”, indossò i panni del penitente e prese a girare per le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri, consolando i lebbrosi e ricostruendo oltre San Damiano, le chiesette diroccate di San Pietro alla Spira e della Porziuncola.

La vocazione alla povertà e l'inizio della sua missione

Nell'aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa alla Porziuncola, ascoltando dal celebrante la lettura del Vangelo sulla missione degli Apostoli, Francesco comprese che le parole di Gesù riportate da Matteo (10, 9-10) si riferivano a lui: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. E in qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se ci sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza”.
Era la risposta alle sue preghiere e domande che da tempo attendeva; comprese allora che le parole del Crocifisso a San Damiano non si riferivano alla ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri; depose allora i panni del penitente e prese la veste “minoritica”, cingendosi i fianchi con una rude corda e coprendosi il capo con il cappuccio in uso presso i contadini del tempo e camminando a piedi scalzi.
Iniziò così la vita e missione apostolica, sposando “madonna Povertà” tanto da essere poi definito “il Poverello di Assisi”, predicando con l'esempio e la parola il Vangelo come i primi apostoli.
Francesco apparve in un momento particolarmente difficile per la vita della Chiesa, travagliata da continue crisi provocate dal sorgere di movimenti di riforma ereticali e lotte di natura politica, in cui il papato era allora uno dei massimi protagonisti.
In un ambiente corrotto da ecclesiastici indegni e dalle violenze della società feudale, egli non prese alcuna posizione critica, né aspirò al ruolo di riformatore dei costumi morali della Chiesa, ma ad essa si rivolse sempre con animo di figlio devoto e obbediente.
Rendendosi interprete di sentimenti diffusi nel suo tempo, prese a predicare la pace, l'uguaglianza fra gli uomini, il distacco dalle ricchezze e la dignità della povertà, l'amore per tutte le creature di Dio e al disopra di ogni cosa, la venuta del regno di Dio.

Inizio dell'Ordine dei Frati Minori

Ben presto attirati dalla sua predicazione, si affiancarono a Francesco, quelli che sarebbero diventati suoi inseparabili compagni nella nuova vita: Bernardo di Quintavalle un ricco mercante, Pietro Cattani dottore in legge, Egidio contadino e poco dopo anche Leone, Rufino, Elia, Ginepro ed altri fino al numero di dodici, proprio come gli Apostoli, formanti una specie di 'fraternità' di chierici e laici, che vivevano alla luce di un semplice proposito di ispirazione evangelica.
Il loro era un vivere alla lettera il Vangelo, senza preoccupazioni teologiche e senza ambizioni riformatrici o contestazioni morali, indicando così una nuova vita a chi voleva vivere in carità e povertà all'interno della Chiesa; per la loro obbedienza alla gerarchia ecclesiastica, il vescovo di Assisi Guido prese a proteggerli, seguendoli con interesse e permettendo loro di predicare.
Ai primi del 1209 il gruppo si riuniva in una capanna nella località di Rivotorto, nella pianura sottostante la città di Assisi, presso la Porziuncola, iniziando così la “prima scuola” di formazione, dove durante un intero anno Francesco trasmise ai compagni il suo carisma, alternando alla preghiera, l'assistenza ai lebbrosi, la questua per sostenersi e per riparare le chiese danneggiate.
Giacché ormai essi sconfinavano fuori dalla competenza della diocesi, e ciò poteva procurare problemi, il vescovo Guido consigliò Francesco e il suo gruppo di recarsi a Roma dal papa Innocenzo III per farsi approvare la prima breve Proto-Regola del nuovo Ordine dei Frati Minori.
Regola che fu approvata oralmente dal papa, dopo un suggestivo incontro con il gruppetto, vestito dalla rozza tunica e scalzo, colpito fra l'altro da “quel giovane piccolo dagli occhi ardenti”; nacque così ufficialmente l'Ordine dei Frati Minori, che riceveva la tonsura entrando a far parte del clero; sembra che in quest'occasione Francesco abbia ricevuto il diaconato.

Chiara e le clarisse

Tutta Assisi parlava delle 'bizzarie' del giovane Francesco, che viveva in povertà con i compagni laggiù nella pianura e che spesso saliva in città a predicare il Vangelo con il permesso del vescovo, augurando a tutti “pace e bene”; nella primavera del 1209 aveva predicato perfino nella cattedrale di S. Rufino, dove nell'attigua piazza abitava la nobile famiglia degli Affreduccio e sicuramente in quell'occasione, fra i fedeli che ascoltavano, c'era la giovanissima figlia Chiara.
Colpita dalle sue parole, prese ad innamorarsi dei suoi ideali di povertà evangelica e cominciò a contattarlo, accompagnata dall'amica Bona di Guelfuccio e inviandogli spesso un poco di denaro.
Nella notte seguente la Domenica delle Palme del 1211, abbandonò di nascosto il suo palazzo e correndo al buio attraverso i campi, giunse fino alla Porziuncola dove chiese a Francesco di dargli Dio, quel Dio che lui aveva trovato e col quale conviveva.
Francesco, davanti all'altare della Vergine, le tagliò la bionda e lunga capigliatura (ancora oggi conservata) consacrandola al Signore.
Poi l'accompagnò al monastero delle benedettine a Bastia, per sottrarla all'ira dei parenti, i quali dopo un colloquio con Chiara che mostrò loro il capo senza capelli, si convinsero a lasciarla andare.
Successivamente Chiara e le compagne che l'avevano raggiunta, si spostò dopo alterne vicende, nel piccolo convento annesso alla chiesetta di San Damiano, dove nel 1215 a 22 anni Chiara fu nominata badessa; Francesco dettò alle “Povere donne recluse di S. Damiano” (il nome 'Clarisse' fu preso dopo la morte di s. Chiara) una prima Regola di vita, sostituita più tardi da quella della stessa santa.
Chiara con le compagne, sarà l'incarnazione al femminile dell'ideale francescano, a cui si assoceranno tante successive Congregazioni di religiose.

L'ideale missionario

Francesco non desiderò solo per sé e i suoi frati, l'evangelizzazione del mondo cristiano deviato dagli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie i saraceni, come venivano chiamati allora i musulmani.
Se in quell'epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello musulmano erano tipicamente di lotta, Francesco volle capovolgere questa mentalità, vedendo per primo in loro dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi ma offrendolo con amore e se necessario subire anche il martirio.
Mandò per questo i suoi frati prima dai Mori in Spagna, dove vennero condannati a morte e poi graziati dal Sultano e dopo in Marocco, dove il gruppo di frati composti da Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto, Ottone, mentre predicavano, furono arrestati, imprigionati, flagellati e infine decapitati il 16 gennaio 1220.
Il ritorno in Portogallo dei corpi dei protomartiri, suscitò la vocazione francescana nell'allora canonico regolare di S. Agostino, il dotto portoghese e futuro santo, Antonio da Padova.
Francesco non si scoraggiò, nel 1219-1220 volle tentare personalmente l'impresa missionaria diretto in Marocco, ma una tempesta spinse la nave sulla costa dalmata, il secondo tentativo lo fece arrivare in Spagna, occupata dai musulmani, ma si ammalò e dovette tornare indietro, infine un terzo tentativo lo fece approdare in Palestina, dove si presentò al sultano egiziano Al-Malik al Kamil nei pressi del fiume Nilo, che lo ricevette con onore, ascoltandolo con interesse; il sultano non si convertì, ma Francesco poté dimostrare che il dialogo dell'amore poteva essere possibile fra le due grandi religioni monoteiste, dalle comuni origini in Abramo.

La seconda Regola

Verso la metà del 1220, Francesco dovette ritornare in Italia per rimettere ordine fra i suoi frati, cresciuti ormai in numero considerevole, per cui l'originaria breve Regola era diventata insufficiente con la sua rigidità.
Il Poverello non aveva inteso fondare conventi ma solo delle 'fraternità', piccoli gruppi di fratelli che vivessero in mezzo al mondo, mostrando che la felicità non era nel possedere le cose ma nel vivere in perfetta armonia secondo i comandamenti di Dio.
Ma la folla di frati ormai sparsi per tutta l'Italia, poneva dei problemi di organizzazione, di formazione, di studio, di adattamento alle necessità dell'apostolato in un mondo sempre in evoluzione; quindi il vivere in povertà non poteva condizionare gli altri aspetti del vivere nel mondo.
Nell'affollato “capitolo delle stuoia”, tenutosi ad Assisi nel 1221, Francesco autorizzò il dotto Antonio venuto da Lisbona, d'insegnare ai frati la sacra teologia a Bologna, specie a quelli addetti alla predicazione e alle confessioni.
La nuova Regola fu dettata da Francesco a frate Leone, accolta con soddisfazione dal cardinale protettore dell'Ordine, Ugolino de' Conti, futuro papa Gregorio IX e da tutti i frati; venne approvata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III.
In essa si ribadiva la povertà, il lavoro manuale, la predicazione, la missione tra gl'infedeli e l'equilibrio tra azione e contemplazione; si permetteva ai frati di avere delle Case di formazione per i novizi, si stemperò un poco il concetto di divieto della proprietà.

Il presepe vivente di Greccio

La notte del 24 dicembre 1223, Francesco si sentì invadere il cuore di tenerezza e di slancio volle rivivere nella selva di Greccio, vicino Rieti, l'umile nascita di Gesù Bambino con figure viventi.
Nacque così la bella e suggestiva tradizione del Presepio nel mondo cristiano, che sarà ripresa dall'arte e dalla devozione popolare lungo i secoli successivi, con l'apporto dell'opera di grandi artisti, tale da costituire un filone dell'arte a sé stante, comprendenti orafi, scenografi, pittori, scultori, costumisti, architetti; il cui apice per magnificenza, realismo, suggestività, si ammira nel Presepe settecentesco napoletano.

Il suo Calvario personale

Ormai minato nel fisico per le malattie, per le fatiche, i continui spostamenti e digiuni, Francesco fu costretto a distaccarsi dal mondo e dal governo dell'Ordine, che aveva creato pur non avendone l'intenzione.
Nell'estate del 1224 si ritirò sul Monte della Verna (Alverna) nel Casentino, insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, per celebrare con il digiuno e intensa partecipazione alla Passione di Cristo, la “Quaresima di San Michele Arcangelo”.
La mattina del 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, mentre pregava su un fianco del monte, vide scendere dal cielo un serafino con sei ali di fiamma e di luce, che gli si avvicinò in volo rimanendo sospeso nell'aria.
Fra le ali del serafino, Francesco vide lampeggiare la figura di un uomo con mani e piedi distesi e inchiodati ad una croce; quando la visione scomparve lasciò nel cuore di Francesco un ammirabile ardore e nella carne i segni della crocifissione; per la prima volta nella storia della santità cattolica, si era verificato il miracolo delle stimmate.
Disceso dalla Verna, visibilmente dolorante e trasformato, volle ritornare ad Assisi; era anche prostrato da varie malattie, allo stomaco, alla milza e al fegato, con frequenti emottisi, inoltre la vista lo stava lasciando, a causa di un tracoma contratto durante il suo viaggio in Oriente.

Il lungo declino fisico, il “Cantico delle creature”, la morte

Dopo le ultime prediche all'inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima e dove viveva Chiara e le sue suore.
E in questo suggestivo e spirituale luogo di preghiera, egli compose il famoso “Cantico di frate Sole” o “Cantico delle Creature”, sublime poesia, ove si comprende quanto Francesco fosse penetrato nella più intima realtà della natura, contemplando sotto ogni creatura l'adorabile presenza di Dio.
Se la fede gli aveva fatto riscoprire la fratellanza universale degli uomini, tutti figli dello stesso Padre, nel 'Cantico' egli coglieva il legame d'amore che lega tutte le creature, animate ed inanimate, tra loro e con l'uomo, in un abbraccio planetario di fratelli e sorelle che hanno un solo scopo, dare gloria a Dio.
In questo periodo, ospite per un certo tempo nel palazzo vescovile, dettò anche il suo famoso 'Testamento', l'ultimo messaggio d'amore del Poverello ai suoi figli, affinché rimanessero fedeli a madonna Povertà.
Poi per l'interessamento del cardinale Ugolino e di frate Elia, Francesco accettò di sottoporsi alle cure dei medici della corte papale a Rieti; poi ancora a Fabriano, Siena e Cortona, ma nell'estate del 1226 non solo non era migliorato, ma si fece sempre più evidente il sorgere di un'altra grave malattia, l'idropisia.
Dopo un'altra sosta a Bagnara sulle montagne vicino a Nocera Umbra, perché potesse avere un po' di refrigerio, i frati visto l'aggravarsi delle sue condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all'amata Porziuncola, dove a tarda sera del 3 ottobre 1226, Francesco morì recitando il salmo 141, adagiato sulla nuda terra, aveva circa 45 anni.
Le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già sera, vennero a roteare sul tetto dell'infermeria, a salutare con gioia il santo, che un giorno (fra Camara e Bevagna), aveva invitato gli uccelli a cantare lodando il Signore; e in altra occasione in un campo verso Montefalco aveva tenuto loro una predica, che gli uccelli immobili ascoltarono, esplodendo poi in cinguetii e voli di gioia.
La mattina del 4 ottobre, il suo corpo fu traslato con una solenne processione dalla Porziuncola alla chiesa parrocchiale di S. Giorgio ad Assisi, dove era stato battezzato e dove aveva cominciato nel 1208 la predicazione.
Lungo il percorso il corteo si fermò a San Damiano, dove la cassa fu aperta, affinché santa Chiara e le sue “povere donne” potessero baciargli le stimmate.
Nella chiesa di San Giorgio rimase tumulato fino al 1230, quando venne portato nella Basilica inferiore, costruita da frate Elia, diventato Ministro Generale dell'Ordine.
Intanto il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX a meno di due anni dalla morte, proclamò santo il Poverello d'Assisi, alla presenza della madre madonna Pica, del fratello Angelo e altri parenti, del vescovo Guido di Assisi, di numerosi cardinali e vescovi e di una folla di popolo mai vista, fissandone la festa al 4 ottobre.

Il culto, Patronati

Gli episodi della sua vita e dei suoi primi seguaci, furono raccolti e narrati nei “Fioretti di San Francesco”, opera di anonimo trecentesco, che contribuì nel tempo alla larga diffusione del suo culto, unitamente alla prima e seconda 'Vita', scritte dal suo discepolo Tommaso da Celano (1190-1260), su richiesta di papa Gregorio IX.
Alcuni episodi sono entrati nell'iconografia del santo e riprodotti dall'arte, come la predica agli uccelli, il roseto in cui si rotolò per sfuggire alla tentazione, il lupo che ammansì a Gubbio, il ricevimento delle Stimmate, ecc.
È patrono dell'Umbria e di molte città, fra le quali San Francisco negli USA che da lui prese il nome; innumerevoli sono le chiese, le parrocchie, i conventi, i luoghi pubblici che portano il suo nome; come pure tanti altri santi e beati, venuti dopo di lui, che ebbero al battesimo o adottarono nella vita religiosa il suo nome.
Il grande santo di Assisi, che lo storico e scrittore, don Enrico Pepe definisce “Patrimonio dell'umanità”, fu riconosciuto da papa Pio XII, come il “più italiano dei santi e più santo degli italiani” e il 18 giugno 1939, lo proclamò Patrono principale d'Italia.
Il cammino dei suoi 'Frati Minori'
La Regola composta da s. Francesco su istanza del cardinale Ugolino de' Conti, futuro papa Gregorio IX e approvata solennemente da Onorio III nel 1223, era formata da 12 capitoli, essa prescriveva una rigida e assoluta povertà, il lavoro per procurasi il cibo e l'elemosina come mezzo sussidiario di sostentamento.
Capo dell'Ordine, che si propagò rapidamente al punto che, vivente ancora il fondatore, annoverava già 13 Province, fu un Ministro Generale. Le costituzioni furono redatte da San Bonaventura da Bagnoregio.
Mentre ancora l'organizzazione del nuovo Movimento religioso si stava consolidando, scoppiarono i primi contrasti. I membri dell'Ordine si divisero in due fazioni: la prima intendeva adottare forme meno severe di vita comunitaria e prescindere dall'obbligo assoluto della povertà, al fine di rendere meno difficile lo sviluppo dell'Ordine stesso; la seconda al contrario, si proponeva di uniformarsi alla lettera e allo spirito delle norme lasciate dal fondatore.
I numerosi tentativi per placare i dissensi non ebbero effetto, anzi questi si acuirono di più quando Gregorio IX con la bolla “Quo elongati” (1230), concesse ai frati, che presero in seguito il nome di 'Conventuali', la possibilità di ricevere beni e di amministrarli per le loro esigenze.
Nel campo opposto, correnti definite ereticali, come quelle degli spirituali e dei fraticelli, rappresentarono l'ala estrema del francescanesimo e agitarono un programma di rinnovamento religioso misto ad un'auspicabile rinascita politico-sociale, che sarebbe dovuto sfociare nell'avvento del regno dello Spirito, ma si attirarono scomuniche e persecuzioni dalle autorità ecclesiastiche e feudali.
La divisione in due Movimenti, Osservanti e Conventuali, fu sanzionata nel 1517 da papa Leone X; nel 1525 papa Clemente VII approvò il nuovo ramo dei frati Cappuccini, guidato dal frate Minore Osservante Matteo da Bascio della Marca d'Ancona, dediti ad una più austera disciplina, povertà assoluta e vita eremitica; altre famiglie francescane riformate sorsero nei secoli (Alcantarini, Riformati, Amadeiti) in seno o a fianco degli Osservanti, ma tutti obbedivano al Ministro Generale dell'Osservanza.
L'Ordine francescano comprende anche il ramo femminile, le Clarisse e il Terz'Ordine dei laici o Terziari francescani, fondati dallo stesso s. Francesco nel 1221, per raccogliere i numerosi seguaci già sposati e di ogni ordine sociale.
L'Ordine, ai cui membri dei diversi rami, Leone XIII nel 1897, ingiunse di prendere il nome comune di Frati Minori, è tra i più importanti della Chiesa. Oltre alle pratiche religiose e ascetiche, essi furono e sono dediti alla predicazione, ad un apostolato di tipo sociale in luoghi di cura, e soprattutto all'opera missionaria.

Cantico delle Creature

Altissimo, onnipotente, bon Signore
Tue so' le laude, la gloria et l'honore
et onne benedictione.
A te solo, Altissimo, se konfanno
Et nullo homo ene digno te mentovare.
Laudato si', mi' Signore, cum tucte le tue creature,
specialmente messer lo frate sole
lo quale è iorno et allumini noi per lui,
et ellu è bellu e radiante, cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale alle tue creature dai sostentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sora acqua,
la quale è molto utile et humile
et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu
per lo quale enallumini la nocte
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra madre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano
per lo tuo amore,
et sostengo' infirmitate et tribolatione.
Beati quelli ke le sosterranno in pace
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore,
per sora nostra morte corporale
da la quale nullo homo vivente po' skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà
ne le sue sanctissime volutati,
ka la morte secunda nol farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore,
et rengratiate et serviteli
cum grande humilitate.
(S. Francesco d'Assisi)

Autore: Antonio Borrelli

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Augustinus
03-10-04, 17:53
Vita prima di san Francesco d'Assisi, II, capp. XV‑XVII, 36‑42.45‑46. Fonti francescane, Padova, 1988, 441‑444.448‑449.

Come valorosissimo soldato di Cristo, Francesco passava per città e castelli annunciando il regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito. Poiché ne aveva ricevuto l'autorizzazione dalla Sede apostolica, egli operava fiducioso e sicuro, rifuggendo da adulazioni e lusinghe. Non era solito blandire i vizi, ma sferzarli con fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto sé stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d'esser trovato incoerente, Francesco predicava la verità con franchezza, tanto che anche uomini dottissimi e celebri accoglievano ammirati le sue ispirate parole, e alla sua presenza erano invasi da un salutare timore. Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva tutti come un uomo di un altro mondo.

Non pochi, lasciate le cure mondane, seguendo l'esempio e l'insegnamento di san Francesco, impararono a conoscere, amare e rispettare il loro Creatore. Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida. E a tutti egli, come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel giardino del cuore. Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti. A tutti Francesco dava una regola di vita, e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione. E' ora il momento di concentrare l'attenzione soprattutto sull'Ordine che Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione. Proprio lui infatti fondò l'Ordine dei frati minori, ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: "Siano minori appena l'ebbe udite esclamò: "Voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori".

E realmente erano "minori"; sottomessi a tutti ricercavano l'ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare cosi le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l'edificio spirituale di tutte le virtù. Davvero su questa solida base edificarono, splendida, la costruzione della carità. E come pietre vive, raccolte, per cosi dire, da ogni parte del mondo, crebbero in tempio dello Spirito Santo. Com'era ardente l'amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in essi l'amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui; erano sorrisi modesti, aspetto lieto, occhio semplice, animo umile, parlare cortese, risposte gentili; vi era piena unanimità nel loro ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio.

Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore egoistico, i discepoli di Francesco, dal momento che riversavano tutto l'affetto del cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l'impegno di donare persino sé stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; ma era per tutti pesante il vivere separati, amaro il distacco, doloroso il momento dell'addio. Questi dolcissimi soldati non anteponevano comunque nulla ai comandi della santa obbedienza; vi si preparavano anzi in anticipo, e si precipitavano ad eseguire, senza discutere e rimosso ogni ostacolo, qualunque cosa veniva loro ordinata. Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non s'attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere. Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze, da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo.

I discepoli di san Francesco erano sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il futuro;non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità,si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca. Di giorno, quelli che ne erano capaci, si impegnavano in lavori manuali, o nei ricoveri dei lebbrosi o in altri luoghi, servendo a tutti con umiltà e devozione. Non volevano esercitare nessun lavoro che potesse dar adito a scandalo, ma sempre si occupavano di cose sante e giuste, oneste e utili, dando esempio di umiltà e di pazienza a tutti coloro con i quali si trovavano. Amavano talmente la pazienza, che preferivano stare dove c'era da soffrire persecuzioni che non dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori dei mondo. Ecco i principi con i quali Francesco educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente a parole, ma soprattutto con le opere e l'esempio della sua vita.

Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto; ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere, perché, al dire di un santo, c'è maggior speranza di salire più presto in cielo dalle baracche che dai palazzi (cfr. Petrus cantor, Verbum abbreviatum, 86. PL 205, 257). Padri e figli se ne stavano cosi insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a mendicare per la pianura di Assisi. L'abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra; tuttavia non si udiva mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta la sua pazienza. San Francesco ogni giorno, anzi di continuo, esaminava diligentemente sé stesso e i suoi, perché non restasse in loro nulla di mondano e fosse evitata qualsiasi negligenza. Con sé stesso, poi, era particolarmente rigoroso e vigile.

In quel tempo i frati chiesero con insistenza a Francesco che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico. Ed egli rispose: Quando pregate, dite:" Padre nostro" e "Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo". E questo gli stessi discepoli del pio maestro si impegnavano ad osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente non solo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a intuirli. Infatti il beato padre insegnava loro che la vera obbedienza riguarda i pensieri non meno che le parole espresse, i desideri non meno che i comandi.

Fedeli all'esortazione di Francesco, i frati, ogni volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano l'Onnipotente, dicendo: "Ti adoriamo, o Cristo, qui e in tutte le chiese". E, cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi. Erano cosi pieni di santa semplicità, di innocenza, di purezza di cuore da ignorare ogni doppiezza. Come unica era la loro fede, cosi regnava in essi l'unità degli animi, la concordia degli intenti e dei costumi, la stessa carità, la pratica delle virtù, la pietà degli atti, l'armonia dei pensieri.

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Augustinus
03-10-04, 17:56
Leggenda maggiore, II, capp. VII, l‑3; IX,3‑4. Fonti francescane, Padova, 1988, 889‑891.913.

Tra gli altri doni e carismi che il generoso Datore concesse a Francesco, vi fu un privilegio singolare: quello di crescere nelle ricchezze della semplicità attraverso l'amore per l'altissima povertà. Il Santo notando come la povertà, che era stata intima amica del Figlio di Dio, ormai veniva ripudiata da quasi tutto il mondo, volle farla sua sposa, amandola di eterno amore, e per lei non soltanto lasciò il padre e la madre, ma generosamente distribui tutto quanto poteva avere. Nessuno fu cosi avido d'oro, quanto Francesco della povertà; nessuno fu più bramoso di tesori, quanto Francesco di questa perla evangelica. Niente offendeva il suo occhio più di questo: vedere nei frati qualche cosa che non fosse del tutto in armonia con la povertà. Quanto a lui, dall'inizio della sua vita religiosa fino alla morte, ebbe queste ricchezze: una tonaca, una cordicella e le brache; e di questo fu contento.

Spesso Francesco richiamava alla mente, piangendo, la povertà di Gesù Cristo e della Madre sua, e affermava che questa è la regina delle virtù, perché la si vede brillare cosi fulgidamente, più di tutte le altre, nel Re dei re e nella regina sua Madre. Anche quando i frati, in Capitolo, gli domandarono qual è la virtù che, più delle altre, rende amici di Cristo, rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore: "Sappiate, fratelli, che la povertà è una via straordinaria di salvezza, giacché è alimento dell'umiltà, radice della perfezione. Molteplici sono i suoi frutti, benché nascosti. Difatti essa è il tesoro nascosto nel campo del vangelo: per comprarlo, si deve vendere tutto e, in confronto ad esso, si deve disprezzare tutto quello che non si può vendere". "Chi brama raggiungere il vertice della povertà disse deve rinunciare non solo alla prudenza mondana, ma anche, in certo qual modo, al privilegio dell'istruzione, affinché, espropriato di questo possesso, possa entrare nella potenza del Signore e offrirsi, nudo, nelle braccia del Crocifisso. In nessun modo, infatti, rinuncia perfettamente al mondo colui che conserva nell'intimo del cuore lo scrigno dell'amor proprio".

Spesso, discorrendo della povertà, Francesco applicava ai frati quell'espressione del vangelo: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (Mt 8, 20). Per questo motivo ammaestrava i frati a costruirsi casupole poverelle, alla maniera dei poveri, ad abitare in esse non come in casa propria, ma come in case altrui, da pellegrini e forestieri. Diceva che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, passar via in pace. Dava Ordine, talvolta, ai frati di demolire le case che avevano costruite o di lasciarle, quando notava in esse qualcosa che, o quanto alla proprietà o quanto al lusso, urtava contro la povertà evangelica. Il Santo diceva che la povertà è il fondamento del suo Ordine, la base principale su cui poggia tutto l'edificio della sua Religione, in modo tale che, se essa è solida, tutto l'Ordine è solido; se essa si sfalda, tutto l'Ordine crolla. Insegnava, avendolo appreso per rivelazione, che il primo passo nella santa religione, consiste nel realizzare quella parola del Vangelo: Se vuoi essere perfetto, va vendi quello che possiedi, dallo ai poveri (Mt 19, 21). Perciò ammetteva nell'Ordine solo chi aveva rinunciato alla proprietà e non aveva tenuto assolutamente nulla per sé.

Nient'altro possedeva, il povero di Cristo, se non due spiccioli, da poter elargire con liberale carità: il corpo e l'anima. Ma corpo e anima, per amore di Cristo, li offriva continuamente a Dio, poiché quasi in ogni istante immolava il corpo col rigore del digiuno e l'anima con la fiamma del desiderio: olocausto, il suo corpo, immolato all'esterno, nell'atrio del tempio; incenso, l'anima sua, effusa all'interno del tempio. Ma, mentre quest'eccesso di devozione e di carità lo innalzava alle realtà divine, la sua bontà affettuosa si espandeva verso coloro che natura e grazia rendevano suoi consorti. Non c'è da meravigliarsi: come la pietà del cuore lo aveva reso fratello di tutte le altre creature, cosi la carità di Cristo lo rendeva ancor più intensamente fratello di coloro che portano in sé l'immagine del Creatore e sono stati redenti dal sangue del Redentore. Non si riteneva amico di Cristo, se non curava con amore le anime da Lui redente. Niente, diceva, si deve anteporre alla salvezza delle anime, e confermava l'affermazione soprattutto con quest'argomento: l'Unigenito di Dio, per le anime, si era degnato salire sulla croce.

Augustinus
03-10-04, 18:00
Opuscoli, ed. Quaracchi 1949, 87-94

Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.
All'approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).
Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato per noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull'altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì per i nostri peccati, lasciandoci l'esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.
O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! E' detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l'adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).
Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. E' il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre.

Augustinus
03-10-04, 18:01
Prodigi nuovi di santità,
degni di lode, apparvero,
stupendi e per noi propizi,
affidati a Francesco.

Agli iscritti al nuovo gregge
è data una nuova legge,
si rinnovano i decreti del Re,
ritrasmessi da Francesco.

Un nuovo ordine, una nuova vita,
sconosciuti al mondo, sorgono;
la regola emanata ripropone
il ritorno al Vangelo.

Conforme ai consigli del Cristo,
è dettata la regola;
la norma data ricalca
la vita degli Apostoli.

Corda rude, veste dura
cinge e copre senza cura;
il cibo si dà in parsimonia,
son gettati i calzari.

Povertà soltanto cerca,
niente vuole di terrestre;
quaggiù Francesco tutto calpesta:
rifiuta il denaro.

Cerca luoghi solitari,
ove sfogarsi in pianto;
geme per il tempo prezioso
sciupato nel secolo.

In un antro della Verna
piange, prega, prostrato a terra,
finché l’anima è irradiata
di celeste arcana luce.

Là, protetto dalle rupi,
è immerso nell’estasi;
il Serafico alla terra
preferisce il cielo.

E' trattato con rigore,
il corpo si trasfigura;
nutrìto della parola di Dio,
rifiuta ciò che è terreno.

Dall’alto, un Serafino alato
gli appare: è il grande Re;
sbigottisce il Padre,
atterrito dalla visione.

Nelle membra di Francesco,
tutto assorto in orazione,
imprime il Serafino
i segni del Crocifisso.

E’ suggello al sacro corpo:
piagato mani e piedi,
il lato destro è trafitto,
si irrora di sangue.

Si parlano ; gli son rivelati
i segreti celesti;
il Santo li comprende
in sublime estasi.

Ecco chiodi misteriosi,
fuori neri e dentro splendidi;
punge il dolore, acute
straziano le punte.

Non c’è opera di uomo
sulle piagate membra;
non i chiodi, non le piaghe
impresse la natura

Per le piaghe che hai portato,
con le quali hai trionfato
sulla carne e sul nemico
con inclita vittoria,

O Francesco, tu difendici
fra le cose che ci avversano,
per poter godere il premio
nell’eterna gloria.

Padre santo e pietoso,
il tuo popolo devoto
con la schiera dei tuoi figli,
ottenga il premio eterno.

Tutti quelli che ti seguono,
siano un giorno uniti in cielo ai beati comprensori
nella luce della gloria.
Amen.

Augustinus
03-10-04, 18:03
1. Dominus ita dedit mihi fratri Francisco incipere faciendi poenitentiam: quia, cum essem in peccatis, nimis mihi videbatur amarum videre leprosos.
2. Et ipse Dominus conduxit me inter illos et feci misericordiam cum illis.
3. Et recedente me ab ipsis, id quod videbatur mihi amarum, conversum fuit mihi in dulcedinem animi et corporis; postea parum steti et exivi de saeculo.

4. Et Dominus dedit mihi talem fidem in ecclesiis, ut ita simpliciter orarem et dicerem:
5. Adoramus te, Domine Jesu Christe et ad omnes ecclesias tuas, quae sunt in toto mundo, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuanz redimisti mundum.

6. Postea Dominus dedit mihi et dat tantam fidem in sacerdotibus, qui vivunt secundum formam sanctae ecclesiae Romanae propter ordinem ipsorum, quod si facerent mihi persecutionem, volo recurrere ad ipsos.
7.Et si haberem tantam sapientiam, quantam Salomon habuit, et invenirem pauperculos sacerdotes huius saeculi, in parochiis, quibus morantur, nolo praedicare ultra voluntatem ipsorum.
8. Et ipsos et omnes alios volo timere, amare et honorare sicut meos dominos.
9. Et nolo in ipsis considerare peccatum, quia Filium Dei discerno in ipsis, et domini mei sunt.

10. Et propter hoc facio, quia nihil video corporaliter in hoc saeculo de ipso altissimo Filio Dei, nisi sanctissimum corpus et sanctissimum sanguinem suum, quod ipsi recipiunt et ipsi soli aliis ministrant.
11. Et haec sanctissima mysteria super omnia volo honorari, venerari et in locis pretiosis collocari.
12. Sanctissima nomina et verba eius scripta, ubicumque invenero in locis illicitis, volo colligere et rogo, quod colligantur et in loco honesto collocentur.
13. Et omnes theologos et qui ministrant sanctissima verba divina, debemus honorare et venerari, sicut qui ministrant nobis spiritum et vitam.

14. Et postquam Dominus dedit mihi de fratribus, nemo ostendebat mihi, quid deberem facere, sed ipse Altissimus revelavit mihi, quod deberem vivere secundum formam sancti Evangelii.
15. Et ego paucis verbis et simpliciter feci scribi et dominus papa confirmavit mihi.
16. Et illi qui veniebant ad recipiendam vitam, omnia quae habere poterant, dabant pauperibus; et erant contenti tunica una, intus et foris repeciata, cum cingulo et braccis.
17. Et nolebamus plus habere.

18. Officium dicebamus clerici secundum alios clericos, laici dicebant: Pater noster; et satis libenter manebamus in ecclesiis.

19. Et eramus idiotae et subditi omnibus.
20. Et ego manibus meis laborabam, et volo laborare; et omnes alii fratres firmiter volo, quod laborent de laboritio, quod pertinet ad honestatem.
21. Qui nesciunt, discant, non propter cupiditatem recipiendi pretium laboris, sed propter exemplum et ad repellendam otiositatem.
22. Et quando non daretur nobis pretium laboris, recurramus ad mensam Domini, petendo eleemosynam ostiatim.
23. Salutationem mihi Dominus revelavit, ut diceremus: Dominus det tibi pacem.

24. Caveant sibi fratres, ut ecclesias, habitacula paupercula et omnia, quae pro ipsis construuntur, penitus non recipiant, nisi essent, sicut decet sanctam paupertatem, quam in regula promisimus, semper ibi hospitantes sicut advenae et peregrini.

25.Praecipio firmiter per obedientiam fratribus universis, quod ubicumque sunt, non audeant petere aliquam litteram in curia Romana per se neque per interpositam personam, neque pro ecclesia neque pro alio loco neque sub specie praedicationis neque pro persecutione suorum corporum;
26. sed ubicumque non fuerint recepti, fugiant in aliam terram ad faciendam poenitentiam cum benedictione Dei.

27. Et firmiter volo obedire ministro generali huius fraternitatis et alio guardiano, quem sibi placuerit mihi dare.
28. Et ita volo esse captus in manibus suis, ut non possim ire vel facere ultra obedientiam et voluntatem suam, quia dominus meus est.
29. Et quamvis sim simplex et infirmus, tamen semper volo habere clericum, qui mihi faciat officium, sicut in regula continetur.

30. Et omnes alii fratres teneantur ita obedire guardianis suis et facere officium secundum regulam.
31. Et qui inventi essent, quod non facerent officium secundum regulam, et vellent alio modo variare, aut non essent catholici, omnes fratres, ubicumque sunt, per obedientiam teneantur, quod ubicumque invenerint aliquem ipsorum, proximiori custodi illius loci, ubi ipsum invenerint, debeant repraesentare.
32. Et custos firmiter teneatur per obedientiam ipsum fortiter custodire, sicuti hominem in vinculis die noctuque, ita quod non possit eripi de manibus suis, donec propria sua persona ipsum repraesentet in manibus sui ministri.

33. Et minister firmiter teneatur per obedientiam mittendi ipsum per tales fratres, quod die noctuque custodiant ipsum sicuti hominem in vinculis, donec repraesentent ipsum coram domino Ostiensi, qui est dominus, protector et correctors totius fraternitatis.
34. Et non dicant fratres: Haec est alia regula; quia haec est recordatio, admonitio, exhortatio et meum testamentum, quod ego frater Franciscus parvulus facio vobis fratribus meis benedictis propter hoc, ut regulam, quam Domino promisimus, melius catholice observemus.
35. Et generalis minister et omnes alii ministri et custodes per obedientiam teneantur, in istis verbis non addere vel minuere.
36. Et semper hoc scriptum habeant secum iuxta regulam.
37. Et in omnibus capitulis, quae faciunt, quando legunt regulam, legant et ista verba.

38. Et omnibus fratribus meis clericis et laicis praecipio firmiter per obedielltiam, ut non mittant glossas in regula neque in istis verbis dicendo: Ita volunt intelligi.
39. Sed sicut dedit mihi Dominus simpliciter et pure dicere et scribere regulam et ista verba, ita simpliciter et sine glossa intelligatis et cum sancta operatione observetis usque in finem.

40. Et quicumque haec observaverit, in caelo repleatur benedictione altissimi Patris et in terra repleatur benedictione dilecti Filii sui cum sanctissimo Spiritu Paraclito et omnibus virtutibus caelorum et omnibus sanctis.
41. Et ego frater Franciscus parvulus, vester servus, quantumcumque possum, confirmo vobis intus et foris istam sanctissimam benedictionem.

******

1. Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi;
2. e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.
3. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

4. E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo:
5. Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

6. Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro.
7. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
8. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori.
9. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori.

10. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ad essi soli amministrano agli altri.
11. E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
12. E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso.
13. E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, così come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.

14. E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo.
15. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.
16. E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache.
17. E non volevano avere di più.

18.Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese.

19. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.
20. Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà.
21. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.
22. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.
23. Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto:"Il Signore ti dia la pace! ".

24. Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.

25. Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna (di privilegio) nella curia romana, nè personalmente nè per interposta persona, nè per una chiesa nè per altro luogo, nè per motivo della predicazione, nè per la persecuzione dei loro corpi;
26. ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.

27. E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi.
28. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la sua volontà, perché egli è mio signore.
29. E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l'ufficio, così come è prescritto nella Regola.

30. E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire allo stesso modo ai loro superiori e a recitare l'Ufficio secondo la Regola.
31. E quelli che siano trovati che non volessero recitare l'Ufficio secondo la Regola, o volessero in qualunque modo variarlo, o non fossero cattolica, tutti i frati, dovunque siano, per essere tenuto per obbedienza debbono presentare qualsiasi di quelli, lo dovunque lo trovino, ai custodi più prossimi di dove lo trovano.
32. E quel custode è tenuto per obbedienza a custodirlo fermamente come un uomo in catene giorno e notte così che non possa essere strappato dalle sue mani, finché proprio lui in persona lo presenterà nelle mani del suo ministro.

33. E quel ministro è tenuto per l'obbedienza a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano fortemente come un uomo in catene di giorno e di notte, finché lo presentano al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità.
34. E non dicano i frati: Questa è un'altra Regola, perché questa è un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.
35. E il ministro generale e tutti gli altri ministri custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.
36. E sempre tengano con se questo scritto assieme alla Regola.
37. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.

38. E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole dicendo: "Così si devono intendere"
39. ma, come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino alla fine.

40. E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmato della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i Santi.
41. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. (Amen).

Augustinus
04-10-04, 11:50
http://www.wga.hu/art/a/andrea/sarto/1/harpies.jpg Andrea del Sarto, Madonna delle arpie, 1517, Galleria degli Uffizi, Firenze. I Santi sono Francesco d'Assisi e Giovanni Evangelista

http://www.wga.hu/art/a/antoniaz/madonna.jpg Antoniazzo Romano, Madonna in trono con Bambino e Santi, 1487, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma. I Santi sono Francesco d'Assisi e Paolo

http://www.wga.hu/art/b/baciccio/ap_franc.jpg Baciccio, Apoteosi dell'ordine francescano, 1707, Basilica Santi XII Apostoli, Roma

http://www.wga.hu/art/b/berlingh/stfranci.jpg Bonaventura Berlinghieri, S. Francesco, 1235, Chiesa di San Francesco, Pescia

http://www.wga.hu/art/c/caravagg/08/49franci.jpg Caravaggio, S. Francesco, 1606 circa, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

http://www.wga.hu/art/c/caravagg/08/50franci.jpg Caravaggio, S. Francesco, 1606 circa, Pinacoteca, Cremona

http://www.wga.hu/art/c/caravagg/01/05franc.jpg http://www.wga.hu/art/c/caravagg/01/05franc1.jpg Caravaggio, S. Francesco in estasi, 1595, Wadsworth Atheneum, Hartford, Connecticut

Augustinus
04-10-04, 11:50
http://www.wga.hu/art/c/carducho/vicente/vision.jpg Vicente Carducho (Carducci), Visione di S. Francesco, 1631, Museum of Fine Arts, Budapest

http://www.wga.hu/art/c/carracci/annibale/1/crucifix.jpg Annibale Carracci, Crocifissione, 1583, Chiesa di Santa Maria della Carità, Bologna. I Santi sono Bernardino, Francesco, Giovanni e Petronio, oltre l'Addolorata

http://www.wga.hu/art/c/carracci/annibale/1/mad_matt.jpg Annibale Carracci, Madonna in trono con S. Matteo, 1588, Gemäldegalerie, Dresda. I Santi sono Matteo, Francesco e Giovanni Battista

http://www.wga.hu/art/c/cimabue/madonna/madonnb.jpg Cimabue, Madonna in trono con Bambino tra i SS. Domenico e Francesco e due angeli, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/c/cimabue/assisi/madonna.jpg Cimabue, Madonna in trono con Bambino tra S. Francesco e quattro angeli, 1278-80, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

http://www.wga.hu/art/c/correggi/madonna/francesc.jpg Correggio, Madonna in trono con Bambino e S. Francesco, 1514, Gemäldegalerie, Dresda. I Santi sono Francesco, Antonio di Padova, Giovanni Battista e Caterina d'Alessandria

http://www.wga.hu/art/c/correggi/restflig.jpg Correggio, Riposo durante la fuga in Egitto con S. Francesco, 1517, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/c/crivelli/carlo/madfranc.jpg Carlo Crivelli, Madonna in trono con S. Francesco, 1471-72, Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles

Augustinus
04-10-04, 11:51
http://www.wga.hu/art/d/domenico/venezian/8saints.jpg Domenico Veneziano, SS. Giovanni Battista e Francesco, 1454, Museo dell'Opera di Santa Croce, Firenze

http://www.wga.hu/art/d/domenico/venezian/4magnol.jpg http://www.wga.hu/art/d/domenico/venezian/4magnol1.jpg Domenico Veneziano, Madonna con Bambino e Santi (SS. Francesco, Giovanni Battista, Zenobio e Lucia), 1445, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/g/gentiles/orazio/franci.jpg http://www.museodelprado.es/typo3temp/pics/b3d3df659f.jpg Orazio Gentileschi, S. Francesco sorretto dall'angelo, 1607 circa, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/g/gentiles/orazio/francis.jpg Orazio Gentileschi, S. Francesco sorretto dall'angelo, 1612-13, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

http://www.wga.hu/art/g/giorgion/religion/madon_fr.jpg Giorgione, Madonna in trono con Bambino tra i SS. Francesco e Liberale, 1505 circa, Duomo, Castelfranco Veneto

http://www.wga.hu/art/g/giovanni/milano/francis.jpg Giovanni da Milano, S. Francesco, 1360 circa, Musée du Louvre, Parigi

Augustinus
04-10-04, 11:52
http://www.wga.hu/art/g/greco_el/10/1007grec.jpg http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p02819a01nf2004.jpg El Greco, SS. Andrea e Francesco, 1595, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/07/0708grec.jpg El Greco, S. Francesco in preghiera, 1580-90, Joslyn Art Museum, Omaha

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/15/1507grec.jpg El Greco, S. Francesco e Frate Rufo, 1600-06, Museo del Greco, Toledo

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/15/1504grec.jpg El Greco, S. Francesco e Frate Leone meditano sulla morte, 1600-02, National Gallery of Canada, Ottawa

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/17/1707grec.jpg El Greco, SS. Francesco e Giovanni evangelista, 1608 circa, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/10/1009grec.jpg El Greco, S. Francesco venera la Croce, 1595 circa, Fine Arts Museums of San Francisco, San Francisco

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/08/0805grec.jpg El Greco, S. Francesco in preghiera dinanzi alla Croce, 1585-90, Museo de Bellas Artes, Bilbao

Augustinus
04-10-04, 11:53
http://www.wga.hu/art/g/greco_el/06/0610grec.jpg El Greco, Estasi di S. Francesco, 1580 circa, Palazzo arcivecovile, Siedlce

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/15/1505grec.jpg El Greco, Visione di S. Francesco della torcia fiammeggiante, 1600-05, Hospital de Nuestra Señora del Carmen, Cádiz

http://www.wga.hu/art/m/mena/francis.jpg Pedro de Mena, S. Francesco, 1650 circa, Sacrestia della Cattedrale, Toledo

http://www.wga.hu/art/m/morazzon/sfrancis.jpg Morazzone, S. Francesco, 1610 circa, Pinacoteca di Brera, Milano

http://www.wga.hu/art/m/murillo/1/103muril.jpg Murillo, S. Francesco in preghiera, 1645-50, O.-L. Vrouwekathedraal, Antwerp

http://www.wga.hu/art/p/piazzett/ecstasy.jpg Giovanni Battista Piazzetta, Estasi di S. Francesco, 1729, Pinacoteca Civica, Vicenza

http://www.wga.hu/art/p/pontormo/1/05visdom.jpg Jacopo Pontormo, Madonna con Bambino e Santi (SS. Giovannino, Giuseppe, Giovanni evangelista, Giacomo e Francesco), 1518, San Michele Visdomini, Firenze

http://www.wga.hu/art/p/pontormo/3/02madonn.jpg Jacopo Pontormo, Madonna con Bambino e Santi (SS. Francesco e Girolamo), 1522, Galleria degli Uffizi, Firenze

Augustinus
04-10-04, 11:53
http://www.wga.hu/art/r/raphael/5roma/1/07folig.jpg Raffaello Sanzio, Madonna di Foligno, 1511-12, Pinacoteca, Vaticano. Compaiono S. Giovanni Battista, S. Francesco, Sigismondo de' Conti e S. Girolamo

http://www.wga.hu/art/r/ribalta/francisc/sfrancis.jpg http://www.museodelprado.es/typo3temp/pics/cb8e7d8e66.jpg Francisco Ribalta, S. Francesco confortato dall'Angelo, 1620 circa, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/s/sacchi/francis.jpg Andrea Sacchi, S. Francesco sposa la Povertà, 1633, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

http://www.wga.hu/art/s/sassetta/various/4borgo1.jpg Sassetta, Estasi di S. Francesco, 1437-44, Villa i Tatti, Settignano

http://www.wga.hu/art/s/simone/3assisi/1saints/saints10.jpg Simone Martini, SS. Antonio e Francesco, 1317, Cappella di San Martino, Basilica inferiore di San Francesco, Assisi

http://www.wga.hu/art/s/simone/3assisi/transept/5saints1.jpg Simone Martini, SS. Francesco e Ludovico di Tolosa, 1318, Basilica inferiore di San Francesco, Assisi

FRANCESCANO
16-11-04, 13:02
COME FRANCESCANO DELL'O.F.S. NON POSSO NON DARE RILIEVO A QUESTA DISCUSSIONE :) :) :)

PACE E BENE

FRANCESCANO

Augustinus
03-10-05, 14:25
http://www.wga.hu/art/g/guercino/1/franci_a.jpg Guercino, S. Francesco e l'angelo musicante il violino, Gemäldegalerie, Dresda

http://www.insecula.com/Photos/00/00/05/75/ME0000057568_3.JPG Guercino, S. Francesco in estasi con S. Benedetto ed un angelo musicante, 1620, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/z/zurbaran/1/meditati.jpg Francisco de Zurbarán, Meditazione di S. Francesco, 1632, Shaw Collection, Buenos Aires

http://www.wga.hu/art/z/zurbaran/2/sfrancis.jpg Francisco de Zurbarán, S. Francesco, 1660, Alte Pinakothek, Monaco

Augustinus
03-10-05, 14:26
http://www.cattolicesimo.com/immsacre/pas.jpg http://www.espanolsinfronteras.com/imágenes/Índice%20de%20Biografías%20-%20Esteban%20Murillo%20-%20San%20Francisco%20abrazando%20a%20Cristo%20en%2 0la%20cruz.jpg Bartolomé Esteban Murillo, S. Francesco abbraccia Cristo crocifisso, 1668, Museo de Bellas Artes, Siviglia

http://www.wga.hu/art/r/rubens/12religi/40religi.jpg Pieter Pawel Rubens, Ultima Comunione di S. Francesco, 1619, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Antwerp

Augustinus
04-10-05, 07:59
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1138-1144

4 OTTOBRE

SAN FRANCESCO D'ASSISI CONFESSORE

La conformazione a Cristo.

Nella lettera ai Romani l'Apostolo san Paolo ci dà la regola di ogni santità con le parole: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagines Filii sui..." (Rom 8,29). Conformarci al divino modello, che si chiama Gesù.. È la conformità al Figlio di Dio, acquistata con la virtù, che fa i santi.

Celebriamo oggi un Santo, che fu copia ammirabile di Cristo Gesù, che il Sommo Pontefice Leone XIII chiama il più bello dei santi, che Papa Pio XI ci presenta come il santo che pare aver meglio compreso il Vangelo e conformata la vita al divino modello.

San Francesco infatti è un altro Cristo. Ha cercato Cristo, lo ha seguito, lo ha amato, lo ha dato agli altri, Cristo Gesù è tutta la sua vita. Non ci fermiamo sulle tradizioni graziose che vogliono che Francesco sia nato in una stalla, come Gesù, e su un poco di paglia; noi lo vediamo, giovane, arrestarsi improvvisamente in mezzo ai suoi sogni di piaceri e di feste, mentre pensa ad imprese cavalleresche, perché il Cristo di S. Damiano gli parla: "Francesco, che cosa vale di più? Servire il padrone o il servitore?". Francesco è affascinato da queste parole, comincia una vita nuova, apre il Vangelo e vi cerca Cristo cui consacrarsi interamente.

Amore del Vangelo.

Egli fa del Vangelo il suo nutrimento e, trovandovi una celeste soavità, esclama: "Ecco quello che da molto tempo cercavo!". Il Vangelo è suo sostegno, sua consolazione, rimedio a tutte le sofferenze, nelle prove non vuole altro conforto e un giorno dirà ai suoi frati: "Sono saturo di Vangelo, sono pieno di Vangelo". Il Vangelo diventa sua vita e quando vuole dare ai suoi frati una regola, scrive nelle prime pagine: "La regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".

Povertà.

Ma il Vangelo è la storia dell'abbassamento del Figlio di Dio fino a noi e del suo amore per le nostre anime, è il Cristo povero, umile, piccolo, compassionevole e misericordioso, il Cristo Apostolo, il Cristo che ci ama e muore per noi. San Francesco, che lo ha scelto come regola di vita, lo vive alla lettera. Sull’esempio di Gesù, egli abbraccia la povertà e, davanti al Vescovo di Assisi si spoglia delle sue vesti, le restituisce al padre dicendo: "Adesso potrò veramente dire: Padre nostro, che sei nei cieli". E comincia la sua vita di povertà, povertà gioiosa e tutta piena di sole, non la povertà gelosa e afflitta, che troppo spesso vediamo nel mondo, povertà volontaria e amata. Va a tendere la sua mano delicata per le vie di Assisi ed è respinto come se fosse un pazzo, ma resta l'amante della povertà e, al momento della morte, è sua consolazione suprema essere stato fedele a "Madonna Povertà".

Umiltà.

Il Vangelo è Gesù Cristo umile e piccolo: parvus Dominus, il Grande piccolo Gesù, come lo chiama san Francesco. Egli medita questo insegnamento e si fa "l’umile Francesco", come lo chiamo l'autore dell'Imitazione. Si considera l'ultimo degli uomini, il più vile peccatore, e soffrire, essere disprezzato è per lui gioia perfetta e dà ai suoi figli il nome di Minori, cioè piccoli.

Misericordia.

Il Vangelo è Gesù Cristo compassionevole e misericordioso e, sul suo esempio, il cuore di Francesco è tutto pieno di misericordia. San Bonaventura, scrivendo la sua vita, ci dice: "La benignità, la bontà del nostro Salvatore Gesù Cristo è apparsa nel suo servo Francesco". Egli stesso, all'inizio del suo testamento, scrive: "Il Signore mi fece la grazia di cominciare a fare penitenza, perché quando ero nel peccato mi sembrava troppo amaro vedere dei lebbrosi, ma fui verso di loro misericordioso e quello che mi pareva amaro diventò per me dolcezza dell'anima e del corpo".

Francesco era misericordioso verso tutti i miseri e alla Tribuna del Parlamento italiano gli fu resa questa testimonianza: "Se san Francesco di Assisi non ha fondato istituzioni di carità, ha versato nel mondo tale una corrente di carità, che dopo sette secoli, nessuna opera di carità è stata fondata senza che egli ne sia stato ispiratore".

Apostolato.

Il Vangelo è Gesù Cristo apostolo. Egli è venuto perché gli uomini sentissero la parola di vita e con quale amore lascia cadere dal suo labbro le sue intenzioni divine! E Francesco, sulle orme di Cristo, si fa apostolo, traccia nell'aria il segno della Croce e manda i suoi discepoli ai quattro angoli del mondo. Egli ha capito bene le parole di Gesù: "Andate e insegnate a tutte le nazioni". Primo fra tutti i fondatori di Ordini moderni, manda i suoi figli nelle regioni infedeli e quando, dopo qualche mese, viene a sapere che cinque di essi hanno colto, nel Marocco, la palma del martirio, esclama con gioia: "Finalmente ho dei Vescovi!" I suoi vescovi erano i martiri. Dopo aver fondata l'opera sua, non sogna per sé che di offrire a Gesù la testimonianza del sangue e tre volte passa i mari, va a predicare Cristo fino alla presenza del Sultano infedele, ma Dio gli riserva un altro martirio per il giorno in cui gli manderà un Angelo a incidergli nelle sue carni le piaghe del divino Crocifisso.

Il dono di sé.

Il Vangelo è Gesù, che si dona e si immola e, come Gesù, Francesco si dona a sua volta. "Questo povero, piccolo uomo, dice san Bonaventura, non aveva che due cosa da offrire: il suo corpo e la sua anima". Dona a Dio il suo corpo con la penitenza e sappiamo come egli trattasse il suo corpo. Aveva diviso l'anno in nove quaresime successive, si contentava di pane secco e si rifiutava anche l'acqua necessaria alla sua sete, per non cedere alla sua sensualità. Era suo letto la terra nuda, suo cuscino un tronco di quercia e, tormentato spesso da malattie, ringraziava il Signore perché non lo risparmiava. Chiedeva a Dio di soffrire cento volte di più, se era sua volontà. Dava poi a Dio la sua anima con la preghiera e con lo zelo.

Ma san Francesco non è soltanto discepolo fedele di Cristo, perché copia la vita e le virtù del Maestro, ma è soprattutto il Santo dell'amore serafico. Egli è entrato nel Cuore di Gesù, ha compreso il Cuore di Gesù e gli rende amore per amore.

Amore dell’Eucaristia.

Con l'amore del Vangelo, un altro amore consuma il cuore di Francesco: l'amore dell'Eucaristia! Il mistero eucaristico era fatto apposta per attirare la sua anima serafica! Un Dio disceso dal cielo per salvarci, fattosi carne in forma umana e morto sul Calvario come un delinquente, si abbassa ancora fino a prendere la forma di una piccola ostia, per unirsi a noi e farsi nostro cibo; un Dio, che, dopo la follia della Croce, giunge alla follia dell'Eucaristia e sta imprigionato nel tabernacolo, per attenderci e per riceverci, è un mistero ineffabile, che desta l'ammirazione delle anime amanti. Francesco, il grande amante del Vangelo, in cui trovava la parola vivente ed eterna di Gesù, il grande amante della Croce, in cui vede l'amore sacrificato, ama pure l'ostia dove è l'amore vivente, l'amore che si dona, l'amore che attira e trasforma le anime generose e pure! Per l'ostia egli corre a riparare i tabernacoli, per l'ostia va per le campagne a ripulire e ornare le chiese povere e abbandonate, per l'ostia dimentica la povertà e manda i frati a disporre sugli altari vasi d'oro e d'argento, per l'ostia si prostra lungo la via, quando vede spuntare la guglia di un campanile e passa ore davanti al tabernacolo, tremante per il freddo, in adorazione e in amore. Fa celebrare la Messa tutti i giorni e con fervore si comunica tutti i giorni.

In un'epoca in cui spesso il sacerdozio è avvilito, ricorda ai sacerdoti la loro grandezza. "Il vedo in essi il Figlio di Dio" e si mette in ginocchio davanti al sacerdote, e gli bacia le mani. Egli, il piccolo diacono, che si giudica indegno di salire l'altare, scrive a cardinali, a vescovi, a principi: "Vi prego, miei signori, baciando le vostre mani, fate in modo che il Corpo di Gesù sia trattato degnamente e da tutti debitamente rispettato". E Francesco prepara all'ostia anime adoratrici, circonda di anime vergini il tabernacolo con le Clarisse e ciborio, giglio, corona di spine diventano le armi di S. Damiano.

Vangelo, Croce, Eucaristia sono i grandi amori, che formano l'anima di Francesco, il segreto della sua azione nella Chiesa. Dopo aver cercato Gesù, dopo aver vissuto di Lui, dopo averlo amato, Francesco poteva attendere la morte, senza averne paura,. La grande Teresa d'Avila, mentre stava per morire esclamava: "È tempo di vederci, Gesù mio!". Francesco, nelle stese circostanze, si mette a cantare: "Voce mea ad Dominum clamavi, ad Dominum deprecatus sum. Chiamo il Signore con tutta la mia voce e prego il mio Signore". "Me exspectant iusti... I giusti mi attendono, essi vogliono essere testimoni della ricompensa che Dio mi darà" (Sal 140,1).

Quale incontro sarà quello dell'anima di Francesco con il Signore! Ricordiamo il quadro del Murillo, che ci presenta Cristo mentre stacca un braccio dalla croce e attirà a sé l'umile Francesco, per stringerlo al cuore. È questa la morte di Francesco. Con uno slancio sublime l'anima sua si getta tra le braccia di Dio e va a godere l'amore, che non ha fine.

VITA. - Francesco nacque ad Assisi nel 1182 e fin dalla giovinezza si mostrò caritatevole verso i poveri. Una malattia fu l'inizio di una vita di perfezione e risolvette di dare tutto quanto possedeva. Suo padre pretese la rinuncia all'eredità e Francesco rinunciò volentieri, spogliandosi tosto anche degli abiti che indossava. Fondò con alcuni compagni l'Ordine dei Frati Minori, che ebbe l'approvazione di Papa Innocenzo III. Francesco mandò i suoi religiosi a predicare dappertutto ed egli stesso, desideroso del martirio, partì per la Siria, ma avendo raccolto soltanto onori, tornò in Italia dove fondò presso la Chiesa di S. Damiano un Ordine di vergini, sotto la direzione di santa Chiara, e il Terz'Ordine, per dare anche alle persone viventi nel mondo un mezzo efficace di santificazione nella pratica delle virtù religiose. Nel 1224, mentre pregava sul monte Alvernia, gli apparve un serafino, che impresse nel suo corpo le piaghe di Crocifisso, in segno dell'amore che il santo nutriva per il Signore. Due anni dopo Francesco, molto ammalato, si fece portare alla chiesa di S. Maria degli Angeli e vi morì dopo aver esortato i suoi frati Minore ad amare la povertà, la pazienza e a difendere la fede della Chiesa Romana. Gregorio IX, che lo aveva conosciuto profondamente, lo iscrisse poco appresso nel catalogo del Santi.

Preghiera di san Francesco.

"Grande e magnifico Dio, mio Signore Gesù Cristo! Io ti supplico di darmi luce, di rischiarare le tenebre dell'anima mia. Dammi fede retta, speranza sicura, carità perfetta. Concedimi, o Signore, di conoscerti bene, per poter in tutte le cose agire nella tua luce secondo la tua volontà".

La Chiesa in rovina.

Così tu pregavi spesso e a lungo davanti al Crocifisso della vecchia chiesa di S. Damiano. E un giorno dal Crocifisso scese una voce che solo il tuo cuore poteva percepire e diceva: "Va', Francesco, ricostruisci la mia casa, che sta per crollare". E tu, tremante e felice insieme, rispondesti: "Andrò con gioia, o Signore, a fare quanto mi chiedi!".

La casa che stava per crollare era senza dubbio la vecchia e solitaria cappella di S. Damiano, ma il Signore pensava soprattutto alle rovine, accumulatesi nel corso degli ultimi secoli nella sua Chiesa.

L'Ordine dei Minori.

Il Papa, che lo aveva compreso, approvò l'Ordine dei Minori, che con il suo fervore, il suo amore per la povertà, lo zelo apostolico, non solo avrebbe riparato le rovine della Chiesa di Cristo, ma sarebbe andato a costruire nuove cristianità nelle terre infedeli, col sangue dei migliori suoi figli.

Dalla gloria del cielo, dove il Signore ti concede ora così grande e gloriosa ricompensa, degnati, o san Francesco, di non dimenticare la Chiesa per cui non hai risparmiato fatiche.

Aiuta i tuoi figli, che proseguono l'opera tua nel mondo intero, e possano essi crescere in numero e in santità, prodigandosi sempre nell'insegnamento con la parola e con l'esempio.

Prega per tutto lo stato religioso, che acclama in te uno dei suoi Patriarchi illustri e tu, amico di san Domenico, mantieni tra le due famiglie quella fraternità, che non venne mai a mancare, conserva per l'Ordine Benedettino i sentimenti, che sono in questo giorno la tua gioia, stringendo ancora e legami, che il dono della Porziuncola ha annodato per l'eternità con i tuoi benefici (Porziuncola era una piccola proprietà dei Benedettini del Monte Subasio, ceduta a san Francesco, per essere la culla del suo Ordine).

Augustinus
04-10-05, 14:37
Immacolata Concezione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149653)

Dedicazione di S. Michele arcangelo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=122410)

Venerdì Santo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=155444)

Perdono d'Assisi (Indulgenza della Porziuncola) (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=19230)

Impressione delle stigmate di S. Francesco d'Assisi (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=120222)

S. Chiara d'Assisi (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=114689)

S. Antonio da Padova (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=105021)

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Beato Giovanni Duns Scoto (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=204979)

Beata Rosa da Viterbo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=413111)

Beato Stanislao Tymoteusz Trojanowski (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=150960)

Beato Liberato Weiss e Compagni Martiri (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=150844)

Beato Raimondo Lullo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=267365)

Venerabile Maria Clotilde Adelaide di Borbone (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=152532)

Venerabile Concetta Bertoli (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=153286)

S. Caterina da Siena (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=163923): l'altra Patrona d'Italia

S. Domenico di Guzman (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=106462): l'amico ed il contemporaneo del Santo delle Stimmate

Augustinus
04-10-05, 16:02
S. Chiara e S. Francesco (http://www.maranatha.it/Franchiara/FranChiIndexPage.htm)

S. Francesco (http://www.san-francesco.org/)

SAN FRANCESCO D'ASSISI (http://www.preghiereagesuemaria.it/san%20francesco%20d'assisi.htm)

The Franciscan Archive (http://www.franciscan-archive.org/)

St. Francis of Assisi - Patriarcha Seraphicus (http://www.franciscan-archive.org/patriarcha/)

Saints of Passion - St. Francis of Assisi (http://www.catholictradition.org/Passion/assisi.htm)

Considérations sur les stigmates (http://livres-mystiques.com/partieTEXTES/Fdassise/Les_Stigmates.html)

Livres mystiques (http://livres-mystiques.com/partieTEXTES/Fdassise/table.html) su S. Francesco

Ashmael
04-10-06, 10:36
Sia lodato San Francesco D'Assisi!
Il suo bellissimo Cantico delle Creature:

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infrmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

Augustinus
04-10-06, 14:03
http://img73.imageshack.us/img73/9161/francescogc5.jpg Jusepe De Ribera, S. Francesco di Assisi sul roveto, XVII sec., Palacio Real de El Pardo, Madrid

http://img246.imageshack.us/img246/2337/francesco2qg1.jpg http://www.museodelprado.es/typo3temp/pics/dc72163e7c.jpg http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.XIR.7901610.7055475/157918.JPG Jusepe De Ribera, Visione di S. Francesco di Assisi, 1636-38, Museo del Prado, Madrid

http://img204.imageshack.us/img204/9689/el991kr1.jpg Ludovico Carracci, Visione di S. Francesco che riceve dalla Vergine il bambino Gesù, 1583-86, National Gallery, Londra

http://img175.imageshack.us/img175/6894/francesco3jr9.jpg http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.SCP.191350.7055475/50012.JPG Francesco Raiboli detto Il Francia, S. Francesco, 1490 circa, Padiglione della Meridiana, Palazzo Pitti, Firenze

http://img257.imageshack.us/img257/2058/francesco4ay5.jpg Ludovico Cardi da Cigoli, S. Francesco in preghiera, 1600 circa, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze

Augustinus
04-10-06, 23:34
LEONE PP. XIII

LETTERA ENCICLICA

AUSPICATO CONCESSUM

A tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi del mondo cattolico che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Opportunamente è concesso al popolo cristiano di celebrare nel giro di pochi anni la memoria di due uomini che, chiamati in cielo all’immortale corona della santità, lasciarono in retaggio sulla terra un illustre stuolo di seguaci, quasi perpetui germogli delle loro virtù. Infatti, dopo le secolari feste in onore di Benedetto, padre e legislatore dei monaci in Occidente, ecco prossima, non dissimile, l’occasione di rendere pubbliche onoranze a Francesco d’Assisi, compiendosi il settimo centenario della sua nascita. In tale circostanza abbiamo ragione di ravvisare una benigna disposizione della provvidenza divina. Effettivamente, porgendo alla venerazione delle genti il giorno natalizio di così eccelsi Patriarchi, sembra che Dio voglia ridestare il ricordo dei loro altissimi meriti e fare intendere ad ognuno che gli Ordini religiosi da essi fondati non meritavano di essere tanto maltrattati, specialmente in quei paesi nei quali lo sviluppo della civiltà e della fama crebbe in forza del loro impegno e del loro zelo operoso.

Noi certo nutriamo fiducia che codeste solenni commemorazioni non abbiano a passare infruttuose per il popolo cristiano, che a buon diritto considerò sempre come amici gli appartenenti agli Ordini religiosi, e come già rese tributo di grande devozione e riconoscenza al nome di Benedetto, così ora gareggerà nell’apprestare pompose feste e molteplici omaggi alla memoria di Francesco. E codesta nobile gara di affetto e di riverenza non sarà ristretta alla regione nella quale il santissimo uomo vide la luce, o alle vicine contrade consacrate dalla sua presenza, ma largamente si estenderà ad ogni parte del mondo dove risuona il nome di Francesco o fioriscono le sue istituzioni.

Noi certamente approviamo più che mai questo ardore di animi per uno scopo tanto valido; Noi, che fin dall’adolescenza Ci abituammo ad ammirare e ad onorare di particolare devozione Francesco d’Assisi, Ci gloriamo d’essere iscritti alla famiglia Francescana; più di una volta per devozione salimmo gioiosi e veloci il sacro monte dell’Alvernia, dove ad ogni pie’ sospinto Ci si affacciava alla mente la figura del Santo: quella solitudine così ricca di memorie teneva come assorto il Nostro spirito, che silenzioso lo contemplava.

Ma, per lodevole che sia codesto entusiasmo, da solo non basta. Infatti, bisogna ben persuadersene, gli onori che si preparano a San Francesco torneranno particolarmente accetti a lui, cui sono indirizzati, se riusciranno fruttuosi a chi li rende. Ora il più sostanziale e non passeggero profitto consiste in questo, che gli uomini prendano qualche tratto di somiglianza dalla sovrana virtù di colui che ammirano e procurino di rendersi migliori imitandolo. Se, con l’aiuto di Dio, faranno ciò, certamente sarebbe stato trovato un opportuno ed efficace rimedio ai mali presenti. Perciò vogliamo rivolgerci a Voi con questa Lettera, Venerabili Fratelli, non solo per rendere pubblica testimonianza della Nostra devozione a Francesco, ma per eccitare altresì il Vostro zelo a promuovere insieme con Noi la salute dell’umano consorzio, mercé il rimedio che abbiamo indicato.

Gesù Cristo, redentore del genere umano, è la perenne ed inesausta sorgente di tutti i beni che ci vengono dalla infinita misericordia divina, talché Egli medesimo, che salvò una volta l’umanità, la viene salvando in tutti i secoli: "Infatti non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini, mercé il quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). Pertanto, se per effetto di debolezza o di colpa il genere umano si veda nuovamente caduto così in basso da aver bisogno di un aiuto poderoso che lo sollevi, è necessario che ricorra a Gesù Cristo, tenendo per certo che è il più valido e più fidato rifugio. Infatti è così ampia e così forte la sua divina virtù, che è in grado di far cessare ogni pericolo e di sanare ogni male. Il rimedio verrà senza fallo solo che l’umana famiglia sia ricondotta a professare la fede cristiana e ad osservarne i santi precetti. In tali difficoltà, quando è maturo il momento segnato nei pietosi consigli dell’Eterno, Dio ordinariamente suscita un uomo, non uno dei tanti, ma sommo e straordinario, e a lui affida il compito di rendere la salvezza alla società. Ora questo è quanto succedeva sullo scorcio del secolo duodecimo e alquanto dopo, e l’artefice della grande opera riparatrice fu Francesco.

Sono abbastanza conosciuti quei tempi con le loro qualità e buone e cattive. Profonda e robusta era la fede cattolica; infervorati dal sentimento religioso, molti ritenevano bello salpare per la Palestina, risoluti a vincere o a morire. Ciononostante i costumi erano oltremodo licenziosi e nulla si era più necessario per gli uomini che ripristinare la vita cristiana. Ora, parte principalissima della vita cristiana è lo spirito di sacrificio, simboleggiato nella croce che ogni seguace di Cristo deve portare sulle proprie spalle. Questo sacrificio comporta il distacco dalle cose sensibili, il rigido controllo di se stessi, il sopportare con calma e pazienza le avversità. Infine, signora e regina di tutte le virtù è la carità verso Dio e il prossimo. La forza di essa è tale che allevia le molestie inseparabili dall’adempimento del dovere: per quanto gravi siano gli affanni della vita, essa sa renderli non solo sopportabili, ma addirittura soavi.

Di siffatte virtù nel secolo duodecimo c’era grande scarsità, dato che troppi erano attaccati perdutamente alle cose umane, o folleggiavano per smisurata cupidigia di onori e di ricchezze, o conducevano una vita di lusso e lascivie. La prepotenza di pochi dominava ad oppressione del misero e disprezzato popolo minuto; e da colpe siffatte non andavano esenti neanche coloro che, per dovere d’ufficio, avrebbero dovuto essere d’esempio agli altri. A misura che la carità scemava, prevalevano le quotidiane perniciose passioni: invidia, rivalità, odi, con tanta foga di ostilità, che ad ogni più piccolo pretesto le città limitrofe si sfidavano in disastrose guerre, e i cittadini di una stessa città barbaramente si combattevano gli uni contro gli altri.

Tale il secolo in cui giunse Francesco. Egli però con mirabile semplicità e pari costanza, con la parola e con l’esempio volle offrire agli sguardi del mondo corrotto la schietta immagine della perfezione cristiana.

Infatti, come padre Domenico di Guzman difendeva in quei tempi l’integrità della dottrina cattolica, e con la luce della rivelazione fugava i pravi errori dell’eresia, così Francesco, secondando l’impulso di Dio che lo guidava a grandi imprese, riuscì a ricondurre molti cristiani alla virtù e a richiamare persone da molto tempo deviate alla imitazione di Cristo. Certamente non fu il caso che reco all’orecchio del giovane quelle sentenze del Vangelo: "Non vogliate avere né oro, né argento, né danaro nelle vostre borse, né bisacce per il viaggio, né due vesti, né scarpe, né bastone" (Mt 10,9-10). E: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dà ai poveri... e vieni, e seguimi" (Mt 19,21). Accogliendo queste parole come dette espressamente per lui, egli si spoglia di tutto, perfino degli abiti, e sceglie la povertà come compagna e alleata per la vita futura; sceglie quali fondamenti del suo Ordine quelle massime di perfezione che con tanta decisione e generosità di cuore aveva abbracciato. Nello stesso tempo, in mezzo alle voluttuose usanze e alle affettate delicatezze dei suoi tempi, egli procede negletto e squallido nella persona; va mendicando di porta in porta; e, ciò che molti stimano assolutamente amaro, non solo sopporta gli scherzi della plebaglia, ma se ne alimenta con mirabile gioia. Evidentemente aveva scelto la stoltezza della Croce di Cristo e l’aveva apprezzata come sapienza assoluta; e avendone compreso il profondo ed augusto mistero, vide e conobbe di non potere meglio collocare altrove la propria gloria. Con l’amore della Croce entrò nel cuore di Francesco un’ardente carità che lo spinse a propagare coraggiosamente il nome di Cristo e ad esporsi per tale motivo anche con evidente pericolo della vita. Con questo amore egli abbracciava tutti gli uomini; ma i più miserabili e i più squallidi erano per lui i prediletti, in modo che sembrava porre le sue particolari compiacenze appunto in quei miseri, che il mondo superbo suole maggiormente respingere. In questo modo egli fu grandemente benemerito di quella fraternità con la quale – restituita e perfezionata – Cristo Signore raccolse il genere umano in una sola famiglia, sottoposta al potere di un solo Dio, Padre comune di tutti.

Con il corredo di tante virtù, e particolarmente con tale austerità di vita, quest’uomo illibatissimo prese a formare se stesso, quanto gli fu possibile, sul modello di Gesù Cristo. Ma un altro segno della particolare provvidenza di Dio in ordine a Francesco sembra doversi ravvisare nelle speciali ragioni di estrinseca somiglianza che egli ebbe col divin Redentore. Infatti, come a Gesù, così a Francesco avvenne di nascere in una stalla, e di essere posto pargoletto a giacere in terra su poca paglia proprio come Gesù. In quel momento, come a completare la somiglianza, secondo quanto si narra, armoniosi cori di Angeli e dolci armonie si diffusero per il cielo. E come Cristo radunò intorno a sé gli Apostoli, così Francesco raccolse alcuni discepoli che mandò poi per la terra a predicare la pace cristiana e la salute eterna delle anime. Poverissimo, atrocemente beffeggiato, ripudiato dai suoi, seguendo l’esempio di Gesù Cristo non volle per sé alcuna cosa su cui posare il capo. Infine, come ultima nota di somiglianza, nel monte dell’Alvernia, come in un suo Calvario, ricevute per via di prodigio, sino allora inaudito, le sacre stimmate, fu nella sua carne in certo modo crocifisso.

Ricordiamo un avvenimento celebre non soltanto per la grandezza del miracolo, ma anche quale testimonianza per i secoli. Mentre un giorno stava assorto nella sublime contemplazione dei dolori di Cristo e, sitibondo di quelle ineffabili amarezze, intimamente si univa al Redentore, ecco apparire improvvisamente dal cielo un Angelo: come se da questi si fosse sprigionata repentinamente una misteriosa forza, Francesco sentì trapassarsi le mani e i piedi come da chiodi, ed aprirsi come da acuta lancia il costato. Da quel momento gli rimase in cuore una fiamma di traboccante carità, e nel corpo per tutto il resto della sua vita una viva ed autentica immagine delle piaghe di Gesù Cristo.

Codeste straordinarie manifestazioni, meritevoli di essere celebrate da un cantore angelico anziché umano, rivelano abbastanza quale uomo fosse Francesco, e quanto degno della missione di far rivivere in mezzo ai suoi contemporanei i costumi cristiani. "Va’, e ripara la mia casa che crolla" aveva detto a Francesco nella umile chiesuola di San Damiano una voce sovrumana. Né meno meravigliosa fu la visione offerta al Pontefice Innocenzo III, secondo la quale Francesco fu additato in atto di sostenere coi propri omeri le vacillanti mura della Basilica Lateranense. Il significato di tali portenti è evidente: indicavano chiaramente che Francesco sarebbe stato in quei tempi non lieve presidio e sostegno per la Chiesa di Cristo. Egli infatti diede subito inizio all’impresa.

Quei dodici che furono i primi a seguirlo furono altresì il piccolo seme, che, fecondato da Dio e benedetto dal Pontefice Massimo, fu visto in breve tempo crescere in ricchissima messe. Ad essi, formati secondo gli esempi di Cristo, Francesco assegna varie regioni d’Italia e d’Europa da evangelizzare, e ne manda alcuni con precisi compiti anche in Africa. Senza alcun indugio essi vanno: poveri, senza cultura, rozzi, essi osano tuttavia presentarsi in pubblico; e sulle strade, per le piazze, senza alcuna preparazione di luogo né pompa di eloquio richiamano le genti al disprezzo del mondo e al pensiero dell’eternità. Incredibile il copioso frutto che coronò le fatiche di quegli operai che sembravano così inetti! Infatti, le turbe si affollavano intorno ad essi, avide di ascoltarli, e quindi, compunte e pentite, si convertivano, dimenticavano le ingiurie ricevute e, spenti i dissidi, tornavano a consigli di pace. È incredibile a dirsi con quale trasporto degli animi, quasi spinta, la gente era rapita dietro Francesco. Ovunque passava, si determinavano grandi assembramenti e spesso dai castelli e dalle città più numerose tanti uomini indistintamente gli chiedevano di essere ammessi alla professione della sua Regola.

Pertanto, nel santissimo uomo nacque l’idea di fondare il Terzo Ordine che, senza rompere i vincoli della famiglia e delle cose domestiche potesse accogliere persone d’ogni condizione, di ogni età e dell’uno e dell’altro sesso. Saggiamente egli lo volle regolato, non tanto con particolari statuti, quanto con l’applicazione delle leggi stesse del Vangelo, delle quali nessun cristiano ha motivo di sgomentarsi: cioè osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa; evitare fazioni e risse; nulla frodare; non brandire armi, se non in difesa della religione e della patria; essere temperanti nel vitto, modesti nel vestito; guardarsi dal lusso, fuggire le seduzioni di balli e di spettacoli irreligiosi.

È facile comprendere che da siffatta istituzione, salutare per se stessa e mirabilmente opportuna in quei tempi, dovettero derivare grandissimi vantaggi. Di tale opportunità giunge conferma dal fatto che altre associazioni somiglianti germogliarono dalla famiglia Domenicana e da altri Ordini religiosi.

Molti, di modeste condizioni e di altissimo rango, pieni di ardore e di zelo correvano ad iscriversi al Terz’Ordine di San Francesco. Furono tra i primi il re di Francia Luigi IX, e Sant’Elisabetta d’Ungheria: dietro a questi vennero, con l’andare degli anni, molti Pontefici, Cardinali, Vescovi, Re e Principi; tutti stimarono non sconveniente con la loro dignità l’abito francescano.

I Terziari, nel difendere la religione cattolica, diedero belle prove di pietà e di forza, e se a motivo di queste virtù si attirarono l’ira dei tristi, ebbero sempre di che consolarsi con il più onorevole e più desiderabile dei conforti: l’approvazione dei savi e degli onesti. Addirittura Gregorio IX, Nostro Predecessore, encomiandone pubblicamente la fede e il coraggio, non si peritò di far loro scudo della propria autorità e di chiamarli, a grande onore: "Milizia di Cristo, nuovi Maccabei". Né era immeritata la lode. Infatti in quel gruppo di uomini operava un grande aiuto per il pubblico benessere: essi, tenendo fisso lo sguardo alle virtù ed alle leggi del loro fondatore, si adoperavano il più possibile di far rifiorire in seno alle corrotte città i pregi della vita cristiana. Certo, grazie all’opera ed all’esempio dei Terziari, si videro spesso estinte o mitigate le discordie di parte, tolte di mano ai faziosi le armi, allontanate le cagioni di litigi e di contese: procurati sollievi agl’indigenti e agli abbandonati, frenata la lussuria, divoratrice delle sostanze e strumento di corruzione. Conseguentemente la pace domestica e la tranquillità pubblica, l’integrità dei costumi e la mansuetudine, il retto uso e la tutela della proprietà, che sono i migliori elementi di civiltà e di benessere, rampollano, come da propria radice dal Terz’Ordine: e se codesti beni non andarono perduti, l’Europa deve esserne in gran parte riconoscente a Francesco.

Ma più di ogni altro paese va debitrice a Francesco l’Italia, la quale, come fu particolarmente teatro delle sue virtù, così ne sperimentò più che mai i benèfici effetti.

In verità, in tempi di oppressioni e di prepotenze, egli stendeva costantemente la destra al debole e all’oppresso: e, ricco nella suprema povertà, non omise mai di alleviare l’indigenza altrui, dimentico della propria.

Sul suo labbro la nascente lingua italiana conobbe le prime espressioni; nei suoi cantici popolari espresse quella forza di carità e di poesia che la dotta posterità non ritenne indegni di ammirazione. Pensando a Francesco, il genio italiano più qualificato trasse motivo d’ispirazione, tanto che sommi artisti gareggiarono nel fissare le sue opere con pitture, sculture ed intagli. L’Alighieri trovò in Francesco materia per i suoi versi più forti e leggiadri; Cimabue e Giotto per le loro composizioni immortali, degne delle luci del Parrasio; illustri architetti per grandiose opere quali il sepolcro del Poverello o la Chiesa di Maria degli Angeli, che è stata testimone di tanti miracoli. A questi santuari vengono pellegrini da ogni parte ad onorare l’Assisiate padre dei poveri, al quale, come si spogliò di tutti i beni terreni, affluirono per divina misericordia copiosi doni celesti.

Pertanto è chiaro che bastò quest’uomo a ricolmare d’innumerevoli benefici la società religiosa e la civile. Ma siccome quel suo spirito essenzialmente cristiano si porge a meraviglia ai bisogni di tutti i tempi e di tutti i luoghi, non è da mettere in dubbio che le istituzioni di Francesco siano per tornare profittevoli anche nell’età nostra. Questo, in quanto i nostri tempi si assomigliano in molti punti a quelli di allora. La divina carità, come nel secolo duodecimo, si è raffreddata non poco, e non è di poco conto lo scompiglio dei doveri dei cristiani, o per ignoranza o per negligenza. Prevalendo ora costumi e tendenze poco dissimili, molti consumano la vita andando avidamente in cerca di comodità terrene e di sensuali piaceri. Perdendosi nel lusso, disperdono i propri beni e agognano l’altrui; esaltando la fratellanza universale, se ne fanno campioni più a parole che a fatti, poiché è l’egoismo che vince, e la schietta carità verso i deboli e gli indigenti si fa ogni giorno più rara. In quel secolo la multiforme eresia degli Albigesi, spargendo ribellione contro il potere della Chiesa, aveva scompigliato contemporaneamente l’ordine civile e aveva spianato la via ad una specie di Socialismo. Oggi parimenti vanno crescendo i fautori e i propagatori del Naturalismo, i quali rifiutano pertinacemente ogni soggezione alla Chiesa, e di grado in grado logicamente avanzando, non lasciano intatta neppure la potestà civile; predicano la violenza e la rivolta popolare; vagheggiano l’abolizione della proprietà terriera; lusingano le passioni dei proletari; scuotono le fondamenta di ogni ordinata convivenza, sia domestica, sia civile.

In mezzo a tanti e così gravi mali, ben comprendete, Venerabili Fratelli, come una speranza non piccola di sollievo si possa ragionevolmente riporre nelle istituzioni francescane, solo che vengano richiamate al vigore di prima. Al rifiorire di esse, rifiorirebbero agevolmente la fede, la pietà e ogni virtù cristiana; sarebbe rintuzzata la smisurata brama dei beni di quaggiù, e non si avrebbe più in uggia quello che oggi viene considerato dai più il maggiore e il più insopportabile dei pesi, cioè la mortificazione delle voglie per mezzo della virtù. Stretti da fraterna concordia, gli uomini si amerebbero scambievolmente, e nei poveri e negli afflitti rispetterebbero, come è dovere, l’immagine di Gesù Cristo. Inoltre, coloro che sono intimamente convinti dello spirito cristiano, sentono come obbligo di coscienza di dover obbedire all’autorità legittima e di rispettare i diritti di chicchessia; questa disposizione di animo è il più efficace mezzo per recidere alla radice ogni disordine, ogni violenza, tutte le ingiustizie, il desiderio di novità, l’odio fra i diversi ordini sociali, che sono i principali moventi ed insieme le armi del Socialismo. Infine, anche la difficoltà che travaglia le menti degli uomini di governo sul modo di equamente comporre le ragioni dei ricchi e dei poveri, resta mirabilmente sciolta una volta che sia scolpita negli animi la persuasione che la povertà non è per se stessa spregevole: occorre che il ricco sia caritatevole e munifico; che il povero sia rassegnato e attivo, e poiché nessuno dei due è nato per i mutabili beni della terra, gli uni con la sofferenza, gli altri con la liberalità si procurino di raggiungere il cielo.

Per queste ragioni Noi da lungo tempo e vivamente desideriamo che ognuno, secondo le proprie forze, sproni se stesso ad imitare Francesco d’Assisi. A tale scopo, come nel passato avemmo sempre particolarmente a cuore il Terz’Ordine dei Francescani, così ora, chiamati per somma benignità di Dio a gestire il supremo Pontificato, approfittiamo di questa ricorrenza per esortare i fedeli a non negare il proprio nome a questa santa milizia di Gesù Cristo.

Già in molte parti si contano in gran numero cristiani dell’uno e dell’altro sesso che si sono messi con animo volenteroso sulle orme del Serafico Padre.

Lodiamo in essi ed approviamo di gran cuore siffatto zelo, ma vorremmo che esso aumentasse ancora e si propagasse ulteriormente soprattutto per opera Vostra, Venerabili Fratelli. Raccomandiamo principalmente che coloro che vestiranno i sacri segni della Penitenza tengano presente l’immagine del Santo fondatore, e si sforzino di modellare se stessi su quella: senza di che non sarebbe sperabile alcun bene. Pertanto studiatevi di far conoscere e apprezzare, come merita, il Terz’Ordine; fate in modo che i pastori di anime ne illustrino accuratamente lo spirito, la pratica facilità, i molti favori spirituali di cui è ricco, i vantaggi che se ne attendono per gl’individui e per la società.

E tanto maggiormente ci si deve adoperare a questo scopo, in quanto gli affiliati al primo e al secondo Ordine Francescano sono sbattuti presentemente da un’indegna procella. Voglia il cielo che per la protezione del beato loro Padre escano presto da tanta tempesta rinvigoriti e fiorenti! E voglia il cielo altresì che le genti cristiane si rechino volonterose ed in gran numero ad abbracciare il Terz’Ordine, come già un tempo correvano da ogni parte ai piedi dello stesso Francesco! Questo con il massimo calore e con il più giustificato diritto speriamo dagli Italiani i quali, per la comunanza della terra natale e per la più larga copia dei benefici ricevuti, devono a Francesco maggior gratitudine e devozione. Così dopo sette secoli il popolo Italiano e tutto il mondo cristiano si vedrebbero un’altra volta tratti dallo scompiglio alla tranquillità, dalla rovina alla salvezza per virtù del figlio di Assisi.

Imploriamo concordemente questa grazia dallo stesso Francesco, principalmente in questi giorni; imploriamola anche da Maria Vergine Madre di Dio, che di patrocinio e di doni singolarissimi rimeritò sempre la devota pietà del suo servo fedele.

Frattanto, come pegno dei doni celesti e come testimonianza della Nostra singolare benevolenza, con effusione di cuore nel Signore impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutto il Clero e al popolo a ciascuno affidato, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 settembre 1882, anno quinto del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII
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NOTE:

1. Atti iv., 12.

2. Matt. x., 9-10.

3. Matt. xix., 21.

Augustinus
04-10-06, 23:37
Historia de Sancto Francisco

Iacobus de Voragine (A.D. 1230-1298)

Franciscus servus et amicus altissimi in civitate Assisii ortus et negotiator effectus fere usque ad vicesimum aetatis suae annum tempus suum vane vivendo consumpsit. Quem dominus infirmitatis flagello corripuit et in virum alterum subito transformavit, ita quod iam spiritu prophetico pollere coepit. Nam cum quadam vice ipse cum plurimis a Perusinis captus diro fuisset carceri mancipatus, dolentibus aliis hic solus exsultat et redargutus super hoc a concaptivis respondit: "ideo me exultare noveritis, quia adhuc sanctus per totum saeculum adorabor." Quadam vice Romam causa devotionis proficiscens vestimenta sua deposuit et pauperis cuiusdam vestimenta induens ante ecclesiam sancti Petri inter pauperes sedit et cum iis velut unus ex illis avide mendicavit et saepius simile fecisset, nisi notorum verecundia impedivisset.

Quadam die dum audiret ea, quae dominus discipulis suis ad praedicandum missis locutus est, statim ad universa servanda tota virtute consurgit, solvit calceamenta de pedibus, tunica una, sed vili induitur et pro corrigia mutavit funiculum. Multi nobiles et ignobiles, clerici et laici spreta saeculari pompa eius vestigiis adhaeserunt, quos pater sanctus docuit evangelicam perfectionem implere, paupertatem apprehendere et per viam sanctae simplicitatis incedere. Scripsit praeterea evangelicam regulam sibi et suis fratribus habitis et habendis, quam dominus papa Innocentius confirmavit. Coepit extunc ferventius verbi Dei semina spargere et civitates et castella fervore mirabili circuire.

In visione servus Dei supra se Seraphim crucifixum adspexit, qui crucifixionis suae signa sic ei evidenter impressit, ut crucifixus videretur et ipse. Consignantur manus et pedes et latus crucis charactere, sed diligenti studio ab omnium oculis ipsa stigmata abscondebat. Quidam tamen haec in vita viderunt, sed in morte plurimi conspexerunt. Quod autem haec stigmata per omnia vera exstiterint, multis miraculis ostensum est.

Beatus Franciscus columbina simplicitate plenus omnes creaturas ad creatoris hortatur amorem, praedicat avibus, auditur ab iis, tanguntur ab ipso nec nisi licentiatae recedunt; hirundines, dum eo praedicante garrirent, ipso imperante protinus conticescunt. Apud Portiunculam iuxta eius cellam cicada in ficu residens frequenter canebat; quam vir Dei manum extendens vocavit dicens: "soror mea cicada, veni ad me." Quae statim oboediens super eius manum adscendit. Cui ille: "canta, mea soror cicada, et dominum tuum lauda!" quae protinus canens nonnisi licentiata recessit. Parcit lucernis, lampadibus et candelis, nolens sua manu deturpare fulgorem.

Super petras reverenter ambulat intuitu eius, qui dicitur petra legis divinae; vermiculos, ne transeuntium pedibus conculcentur, levat et apibus, ne inedia pereant glacie hiemali, mel et optima vina iubet apponi, fraterno nomine animalia cuncta vocabat. Miro et ineffabili gaudio replebatur ob creatoris amorem, cum solem, lunam et stellas intuebatur et eas ad creatoris amorem invitabat. Coronam sibi magnam fieri prohibebat dicens: "volo, quod fratres mei pulices partem habeant in capite meo".

Cum apud castrum Alvianum praedicaret, propter garritus hirundinum ibidem nidificantium audiri non poterat. Quibus ille: "sorores meae hirundines, iam tempus est, ut loquar ego, quia vos satis dixistis; tenete silentium, donec verbum domini compleatur." Cui continuo oboedientes protinus conticuerunt.

Transeunte aliquando viro Dei per Apuliam unam bursam magnam repperit in via denariis tumentem, quam socius videns accipere voluit, ut pauperibus erogaret, sed ille nullatenus permisit dicens: "non licet, fili, alienum auferre." Sed cum ille vehementer instaret, Franciscus paululum orans iubet, ut bursam tollat, quae iam colubrum pro pecunia continebat. Quod videns frater timere coepit, sed oboedientiae volens implere mandatum, bursam manibus capit et inde magnus serpens protinus exilivit. Et ait Franciscus: "pecunia servis Dei nihil aliud est quam diabolus et coluber venenosus."

Cum vero ad dies iam appropinquaret extremos, longa infirmitate confectus super nudam humum nudum poni se fecit fecitque omnes fratres ibidem assistentes ad se vocari et manus singulis imponens omnibus ibi praesentibus benedixit et instar cenae dominicae singulis bucellam panis divisit. Invitabat, ut moris sui erat, omnes creaturas ad laudem Dei; nam et mortem ipsam cunctis terribilem et exosam hortabatur ad laudem eique laetus occurrit et ad suum invitabat hospitium dicens: "bene veniat soror mea mors." Ad extremam igitur horam veniens dormivit in domino. Cuius animam quidam frater vidit in modum stellae similis lunae in quantitate, soli in splendore.

Augustinus
03-10-07, 11:33
St. Francis of Assisi

Founder of the Franciscan Order, born at Assisi in Umbria, in 1181 or 1182 -- the exact year is uncertain; died there, 3 October, 1226.

His father, Pietro Bernardone, was a wealthy Assisian cloth merchant. Of his mother, Pica, little is known, but she is said to have belonged to a noble family of Provence. Francis was one of several children. The legend that he was born in a stable dates from the fifteenth century only, and appears to have originated in the desire of certain writers to make his life resemble that of Christ. At baptism the saint received the name of Giovanni, which his father afterwards altered to Francesco, through fondness it would seem for France, whither business had led him at the time of his son's birth. In any case, since the child was renamed in infancy, the change can hardly have had anything to do with his aptitude for learning French, as some have thought.

Francis received some elementary instruction from the priests of St. George's at Assisi, though he learned more perhaps in the school of the Troubadours, who were just then making for refinement in Italy. However this may be, he was not very studious, and his literary education remained incomplete. Although associated with his father in trade, he showed little liking for a merchant's career, and his parents seemed to have indulged his every whim. Thomas of Celano, his first biographer, speaks in very severe terms of Francis's youth. Certain it is that the saint's early life gave no presage of the golden years that were to come. No one loved pleasure more than Francis; he had a ready wit, sang merrily, delighted in fine clothes and showy display. Handsome, gay, gallant, and courteous, he soon became the prime favourite among the young nobles of Assisi, the foremost in every feat of arms, the leader of the civil revels, the very king of frolic. But even at this time Francis showed an instinctive sympathy with the poor, and though he spent money lavishly, it still flowed in such channels as to attest a princely magnanimity of spirit.

When about twenty, Francis went out with the townsmen to fight the Perugians in one of the petty skirmishes so frequent at that time between the rival cities. The Assisians were defeated on this occasion, and Francis, being among those taken prisoners, was held captive for more than a year in Perugia. A low fever which he there contracted appears to have turned his thoughts to the things of eternity; at least the emptiness of the life he had been leading came to him during that long illness. With returning health, however, Francis's eagerness after glory reawakened and his fancy wandered in search of victories; at length he resolved to embrace a military career, and circumstances seemed to favour his aspirations. A knight of Assisi was about to join "the gentle count", Walter of Brienne, who was then in arms in the Neapolitan States against the emperor, and Francis arranged to accompany him. His biographers tell us that the night before Francis set forth he had a strange dream, in which he saw a vast hall hung with armour all marked with the Cross. "These", said a voice, "are for you and your soldiers." "I know I shall be a great prince", exclaimed Francis exultingly, as he started for Apulia. But a second illness arrested his course at Spoleto. There, we are told, Francis had another dream in which the same voice bade him turn back to Assisi. He did so at once. This was in 1205.

Although Francis still joined at times in the noisy revels of his former comrades, his changed demeanour plainly showed that his heart was no longer with them; a yearning for the life of the spirit had already possessed it. His companions twitted Francis on his absent-mindedness and asked if he were minded to be married. "Yes", he replied, "I am about to take a wife of surpassing fairness." She was no other than Lady Poverty whom Dante and Giotto have wedded to his name, and whom even now he had begun to love. After a short period of uncertainty he began to seek in prayer and solitude the answer to his call; he had already given up his gay attire and wasteful ways. One day, while crossing the Umbrian plain on horseback, Francis unexpectedly drew near a poor leper. The sudden appearance of this repulsive object filled him with disgust and he instinctively retreated, but presently controlling his natural aversion he dismounted, embraced the unfortunate man, and gave him all the money he had. About the same time Francis made a pilgrimage to Rome. Pained at the miserly offerings he saw at the tomb of St. Peter, he emptied his purse thereon. Then, as if to put his fastidious nature to the test, he exchanged clothes with a tattered mendicant and stood for the rest of the day fasting among the horde of beggars at the door of the basilica.

Not long after his return to Assisi, whilst Francis was praying before an ancient crucifix in the forsaken wayside chapel of St. Damian's below the town, he heard a voice saying: "Go, Francis, and repair my house, which as you see is falling into ruin." Taking this behest literally, as referring to the ruinous church wherein he knelt, Francis went to his father's shop, impulsively bundled together a load of coloured drapery, and mounting his horse hastened to Foligno, then a mart of some importance, and there sold both horse and stuff to procure the money needful for the restoration of St. Damian's. When, however, the poor priest who officiated there refused to receive the gold thus gotten, Francis flung it from him disdainfully. The elder Bernardone, a most niggardly man, was incensed beyond measure at his son's conduct, and Francis, to avert his father's wrath, hid himself in a cave near St. Damian's for a whole month. When he emerged from this place of concealment and returned to the town, emaciated with hunger and squalid with dirt, Francis was followed by a hooting rabble, pelted with mud and stones, and otherwise mocked as a madman. Finally, he was dragged home by his father, beaten, bound, and locked in a dark closet.

Freed by his mother during Bernardone's absence, Francis returned at once to St. Damian's, where he found a shelter with the officiating priest, but he was soon cited before the city consuls by his father. The latter, not content with having recovered the scattered gold from St. Damian's, sought also to force his son to forego his inheritance. This Francis was only too eager to do; he declared, however, that since he had entered the service of God he was no longer under civil jurisdiction. Having therefore been taken before the bishop, Francis stripped himself of the very clothes he wore, and gave them to his father, saying: "Hitherto I have called you my father on earth; henceforth I desire to say only 'Our Father who art in Heaven.'" Then and there, as Dante sings, were solemnized Francis's nuptials with his beloved spouse, the Lady Poverty, under which name, in the mystical language afterwards so familiar to him, he comprehended the total surrender of all worldly goods, honours, and privileges. And now Francis wandered forth into the hills behind Assisi, improvising hymns of praise as he went. "I am the herald of the great King", he declared in answer to some robbers, who thereupon despoiled him of all he had and threw him scornfully in a snow drift. Naked and half frozen, Francis crawled to a neighbouring monastery and there worked for a time as a scullion. At Gubbio, whither he went next, Francis obtained from a friend the cloak, girdle, and staff of a pilgrim as an alms. Returning to Assisi, he traversed the city begging stones for the restoration of St. Damian's. These he carried to the old chapel, set in place himself, and so at length rebuilt it. In the same way Francis afterwards restored two other deserted chapels, St. Peter's, some distance from the city, and St. Mary of the Angels, in the plain below it, at a spot called the Porziuncola. Meantime he redoubled his zeal in works of charity, more especially in nursing the lepers.

On a certain morning in 1208, probably 24 February, Francis was hearing Mass in the chapel of St. Mary of the Angels, near which he had then built himself a hut; the Gospel of the day told how the disciples of Christ were to possess neither gold nor silver, nor scrip for their journey, nor two coats, nor shoes, nor a staff, and that they were to exhort sinners to repentance and announce the Kingdom of God. Francis took these words as if spoken directly to himself, and so soon as Mass was over threw away the poor fragment left him of the world's goods, his shoes, cloak, pilgrim staff, and empty wallet. At last he had found his vocation. Having obtained a coarse woolen tunic of "beast colour", the dress then worn by the poorest Umbrian peasants, and tied it round him with a knotted rope, Francis went forth at once exhorting the people of the country-side to penance, brotherly love, and peace. The Assisians had already ceased to scoff at Francis; they now paused in wonderment; his example even drew others to him. Bernard of Quintavalle, a magnate of the town, was the first to join Francis, and he was soon followed by Peter of Cattaneo, a well-known canon of the cathedral. In true spirit of religious enthusiasm, Francis repaired to the church of St. Nicholas and sought to learn God's will in their regard by thrice opening at random the book of the Gospels on the altar. Each time it opened at passages where Christ told His disciples to leave all things and follow Him. "This shall be our rule of life", exclaimed Francis, and led his companions to the public square, where they forthwith gave away all their belongings to the poor. After this they procured rough habits like that of Francis, and built themselves small huts near his at the Porziuncola. A few days later Giles, afterwards the great ecstatic and sayer of "good words", became the third follower of Francis. The little band divided and went about, two and two, making such an impression by their words and behaviour that before long several other disciples grouped themselves round Francis eager to share his poverty, among them being Sabatinus, vir bonus et justus, Moricus, who had belonged to the Crucigeri, John of Capella, who afterwards fell away, Philip "the Long", and four others of whom we know only the names. When the number of his companions had increased to eleven, Francis found it expedient to draw up a written rule for them. This first rule, as it is called, of the Friars Minor has not come down to us in its original form, but it appears to have been very short and simple, a mere adaptation of the Gospel precepts already selected by Francis for the guidance of his first companions, and which he desired to practice in all their perfection. When this rule was ready the Penitents of Assisi, as Francis and his followers styled themselves, set out for Rome to seek the approval of the Holy See, although as yet no such approbation was obligatory. There are differing accounts of Francis's reception by Innocent III. It seems, however, that Guido, Bishop of Assisi, who was then in Rome, commended Francis to Cardinal John of St. Paul, and that at the instance of the latter, the pope recalled the saint whose first overtures he had, as it appears, somewhat rudely rejected. Moreover, in site of the sinister predictions of others in the Sacred College, who regarded the mode of life proposed by Francis as unsafe and impracticable, Innocent, moved it is said by a dream in which he beheld the Poor Man of Assisi upholding the tottering Lateran, gave a verbal sanction to the rule submitted by Francis and granted the saint and his companions leave to preach repentance everywhere. Before leaving Rome they all received the ecclesiastical tonsure, Francis himself being ordained deacon later on.

After their return to Assisi, the Friars Minor -- for thus Francis had named his brethren, either after the minores, or lower classes, as some think, or as others believe, with reference to the Gospel (Matthew 25:40-45), and as a perpetual reminder of their humility -- found shelter in a deserted hut at Rivo Torto in the plain below the city, but were forced to abandon this poor abode by a rough peasant who drove in his ass upon them. About 1211 they obtained a permanent foothold near Assisi, through the generosity of the Benedictines of Monte Subasio, who gave them the little chapel of St. Mary of the Angels or the Porziuncola. Adjoining this humble sanctuary, already dear to Francis, the first Franciscan convent was formed by the erection of a few small huts or cells of wattle, straw, and mud, and enclosed by a hedge. From this settlement, which became the cradle of the Franciscan Order (Caput et Mater Ordinis) and the central spot in the life of St. Francis, the Friars Minor went forth two by two exhorting the people of the surrounding country. Like children "careless of the day", they wandered from place to place singing in their joy, and calling themselves the Lord's minstrels. The wide world was their cloister; sleeping in haylofts, grottos, or church porches, they toiled with the labourers in the fields, and when none gave them work they would beg. In a short while Francis and his companions gained an immense influence, and men of different grades of life and ways of thought flocked to the order. Among the new recruits made about this time by Francis were the famous Three Companions, who afterwards wrote his life, namely: Angelus Tancredi, a noble cavalier; Leo, the saint's secretary and confessor; and Rufinus, a cousin of St. Clare; besides Juniper, "the renowned jester of the Lord".

During the Lent of 1212, a new joy, great as it was unexpected, came to Francis. Clare, a young heiress of Assisi, moved by the saint's preaching at the church of St. George, sought him out, and begged to be allowed to embrace the new manner of life he had founded. By his advice, Clare, who was then but eighteen, secretly left her father's house on the night following Palm Sunday, and with two companions went to the Porziuncola, where the friars met her in procession, carrying lighted torches. Then Francis, having cut off her hair, clothed her in the Minorite habit and thus received her to a life of poverty, penance, and seclusion. Clare stayed provisionally with some Benedictine nuns near Assisi, until Francis could provide a suitable retreat for her, and for St. Agnes, her sister, and the other pious maidens who had joined her. He eventually established them at St. Damian's, in a dwelling adjoining the chapel he had rebuilt with his own hands, which was now given to the saint by the Benedictines as domicile for his spiritual daughters, and which thus became the first monastery of the Second Franciscan Order of Poor Ladies, now known as Poor Clares.

In the autumn of the same year (1212) Francis's burning desire for the conversion of the Saracens led him to embark for Syria, but having been shipwrecked on the coast of Slavonia, he had to return to Ancona. The following spring he devoted himself to evangelizing Central Italy. About this time (1213) Francis received from Count Orlando of Chiusi the mountain of La Verna, an isolated peak among the Tuscan Apennines, rising some 4000 feet above the valley of the Casentino, as a retreat, "especially favourable for contemplation", to which he might retire from time to time for prayer and rest. For Francis never altogether separated the contemplative from the active life, as the several hermitages associated with his memory, and the quaint regulations he wrote for those living in them bear witness. At one time, indeed, a strong desire to give himself wholly to a life of contemplation seems to have possessed the saint. During the next year (1214) Francis set out for Morocco, in another attempt to reach the infidels and, if needs be, to shed his blood for the Gospel, but while yet in Spain was overtaken by so severe an illness that he was compelled to turn back to Italy once more.

Authentic details are unfortunately lacking of Francis's journey to Spain and sojourn there. It probably took place in the winter of 1214-1215. After his return to Umbria he received several noble and learned men into his order, including his future biographer Thomas of Celano. The next eighteen months comprise, perhaps, the most obscure period of the saint's life. That he took part in the Lateran Council of 1215 may well be, but it is not certain; we know from Eccleston, however, that Francis was present at the death of Innocent III, which took place at Perugia, in July 1216. Shortly afterwards, i.e. very early in the pontificate of Honorius III, is placed the concession of the famous Porziuncola Indulgence. It is related that once, while Francis was praying at the Porziuncola, Christ appeared to him and offered him whatever favour he might desire. The salvation of souls was ever the burden of Francis's prayers, and wishing moreover, to make his beloved Porziuncola a sanctuary where many might be saved, he begged a plenary Indulgence for all who, having confessed their sins, should visit the little chapel. Our Lord acceded to this request on condition that the pope should ratify the Indulgence. Francis thereupon set out for Perugia, with Brother Masseo, to find Honorius III. The latter, notwithstanding some opposition from the Curia at such an unheard-of favour, granted the Indulgence, restricting it, however, to one day yearly. He subsequently fixed 2 August in perpetuity, as the day for gaining this Porziuncola Indulgence, commonly known in Italy as il perdono d'Assisi.

Such is the traditional account. The fact that there is no record of this Indulgence in either the papal or diocesan archives and no allusion to it in the earliest biographies of Francis or other contemporary documents has led some writers to reject the whole story. This argumentum ex silentio has, however, been met by M. Paul Sabatier, who in his critical edition of the "Tractatus de Indulgentia" of Fra Bartholi has adduced all the really credible evidence in its favour. But even those who regard the granting of this Indulgence as traditionally believed to be an established fact of history, admit that its early history is uncertain. (See PORTIUNCULA.)

The first general chapter of the Friars Minor was held in May, 1217, at Porziuncola, the order being divided into provinces, and an apportionment made of the Christian world into so many Franciscan missions. Tuscany, Lombardy, Provence, Spain, and Germany were assigned to five of Francis's principal followers; for himself the saint reserved France, and he actually set out for that kingdom, but on arriving at Florence, was dissuaded from going further by Cardinal Ugolino, who had been made protector of the order in 1216. He therefore sent in his stead Brother Pacificus, who in the world had been renowned as a poet, together with Brother Agnellus, who later on established the Friars Minor in England. Although success came indeed to Francis and his friars, with it came also opposition, and it was with a view to allaying any prejudices the Curia might have imbibed against their methods that Francis, at the instance of Cardinal Ugolino, went to Rome and preached before the pope and cardinals in the Lateran. This visit to the Eternal City, which took place 1217-18, was apparently the occasion of Francis's memorable meeting with St. Dominic. The year 1218 Francis devoted to missionary tours in Italy, which were a continual triumph for him. He usually preached out of doors, in the market-places, from church steps, from the walls of castle court-yards. Allured by the magic spell of his presence, admiring crowds, unused for the rest to anything like popular preaching in the vernacular, followed Francis from place to place hanging on his lips; church bells rang at his approach; processions of clergy and people advanced to meet him with music and singing; they brought the sick to him to bless and heal, and kissed the very ground on which he trod, and even sought to cut away pieces of his tunic. The extraordinary enthusiasm with which the saint was everywhere welcomed was equalled only by the immediate and visible result of his preaching. His exhortations of the people, for sermons they can hardly be called, short, homely, affectionate, and pathetic, touched even the hardest and most frivolous, and Francis became in sooth a very conqueror of souls. Thus it happened, on one occasion, while the saint was preaching at Camara, a small village near Assisi, that the whole congregation were so moved by his "words of spirit and life" that they presented themselves to him in a body and begged to be admitted into his order. It was to accede, so far as might be, to like requests that Francis devised his Third Order, as it is now called, of the Brothers and Sisters of Penance, which he intended as a sort of middle state between the world and the cloister for those who could not leave their home or desert their wonted avocations in order to enter either the First Order of Friars Minor or the Second Order of Poor Ladies. That Francis prescribed particular duties for these tertiaries is beyond question. They were not to carry arms, or take oaths, or engage in lawsuits, etc. It is also said that he drew up a formal rule for them, but it is clear that the rule, confirmed by Nicholas IV in 1289, does not, at least in the form in which it has come down to us, represent the original rule of the Brothers and Sisters of Penance. In any event, it is customary to assign 1221 as the year of the foundation of this third order, but the date is not certain.

At the second general chapter (May, 1219) Francis, bent on realizing his project of evangelizing the infidels, assigned a separate mission to each of his foremost disciples, himself selecting the seat of war between the crusaders and the Saracens. With eleven companions, including Brother Illuminato and Peter of Cattaneo, Francis set sail from Ancona on 21 June, for Saint-Jean d'Acre, and he was present at the siege and taking of Damietta. After preaching there to the assembled Christian forces, Francis fearlessly passed over to the infidel camp, where he was taken prisoner and led before the sultan. According to the testimony of Jacques de Vitry, who was with the crusaders at Damietta, the sultan received Francis with courtesy, but beyond obtaining a promise from this ruler of more indulgent treatment for the Christian captives, the saint's preaching seems to have effected little.

Before returning to Europe, the saint is believed to have visited Palestine and there obtained for the friars the foothold they still retain as guardians of the holy places. What is certain is that Francis was compelled to hasten back to Italy because of various troubles that had arisen there during his absence. News had reached him in the East that Matthew of Narni and Gregory of Naples, the two vicars-general whom he had left in charge of the order, had summoned a chapter which, among other innovations, sought to impose new fasts upon the friars, more severe than the rule required. Moreover, Cardinal Ugolino had conferred on the Poor Ladies a written rule which was practically that of the Benedictine nuns, and Brother Philip, whom Francis had charged with their interests, had accepted it. To make matters worse, John of Capella, one of the saint's first companions, had assembled a large number of lepers, both men and women, with a view to forming them into a new religious order, and had set out for Rome to seek approval for the rule he had drawn up for these unfortunates. Finally a rumour had been spread abroad that Francis was dead, so that when the saint returned to Italy with Brother Elias -- he appeared to have arrived at Venice in July, 1220 -- a general feeling of unrest prevailed among the friars.

Apart from these difficulties, the order was then passing through a period of transition. It had become evident that the simple, familiar, and unceremonious ways which had marked the Franciscan movement at its beginning were gradually disappearing, and that the heroic poverty practiced by Francis and his companions at the outset became less easy as the friars with amazing rapidity increased in number. And this Francis could not help seeing on his return. Cardinal Ugolino had already undertaken the task "of reconciling inspirations so unstudied and so free with an order of things they had outgrown." This remarkable man, who afterwards ascended the papal throne as Gregory IX, was deeply attached to Francis, whom he venerated as a saint and also, some writers tell us, managed as an enthusiast.

That Cardinal Ugolino had no small share in bringing Francis's lofty ideals "within range and compass" seems beyond dispute, and it is not difficult to recognize his hand in the important changes made in the organization of the order in the so-called Chapter of Mats. At this famous assembly, held at Porziuncola at Whitsuntide, 1220 or 1221 (there is seemingly much room for doubt as to the exact date and number of the early chapters), about 5000 friars are said to have been present, besides some 500 applicants for admission to the order. Huts of wattle and mud afforded shelter for this multitude. Francis had purposely made no provision for them, but the charity of the neighbouring towns supplied them with food, while knights and nobles waited upon them gladly. It was on this occasion that Francis, harassed no doubt and disheartened at the tendency betrayed by a large number of the friars to relax the rigours of the rule, according to the promptings of human prudence, and feeling, perhaps unfitted for a place which now called largely for organizing abilities, relinquished his position as general of the order in favour of Peter of Cattaneo. But the latter died in less than a year, being succeeded as vicar-general by the unhappy Brother Elias, who continued in that office until the death of Francis.

The saint, meanwhile, during the few years that remained in him, sought to impress on the friars by the silent teaching of personal example of what sort he would fain have them to be. Already, while passing through Bologna on his return from the East, Francis had refused to enter the convent there because he had heard it called the "House of the Friars" and because a studium had been instituted there. He moreover bade all the friars, even those who were ill, quit it at once, and it was only some time after, when Cardinal Ugolino had publicly declared the house to be his own property, that Francis suffered his brethren to re-enter it. Yet strong and definite as the saint's convictions were, and determinedly as his line was taken, he was never a slave to a theory in regard to the observances of poverty or anything else; about him indeed, there was nothing narrow or fanatical. As for his attitude towards study, Francis desiderated for his friars only such theological knowledge as was conformable to the mission of the order, which was before all else a mission of example. Hence he regarded the accumulation of books as being at variance with the poverty his friars professed, and he resisted the eager desire for mere book-learning, so prevalent in his time, in so far as it struck at the roots of that simplicity which entered so largely into the essence of his life and ideal and threatened to stifle the spirit of prayer, which he accounted preferable to all the rest.

In 1221, so some writers tell us, Francis drew up a new rule for the Friars Minor. Others regard this so-called Rule of 1221 not as a new rule, but as the first one which Innocent had orally approved; not, indeed, its original form, which we do not possess, but with such additions and modifications as it has suffered during the course of twelve years. However this may be, the composition called by some the Rule of 1221 is very unlike any conventional rule ever made. It was too lengthy and unprecise to become a formal rule, and two years later Francis retired to Fonte Colombo, a hermitage near Rieti, and rewrote the rule in more compendious form. This revised draft he entrusted to Brother Elias, who not long after declared he had lost it through negligence. Francis thereupon returned to the solitude of Fonte Colombo, and recast the rule on the same lines as before, its twenty-three chapters being reduced to twelve and some of its precepts being modified in certain details at the instance of Cardinal Ugolino. In this form the rule was solemnly approved by Honorius III, 29 November, 1223 (Litt. "Solet annuere"). This Second Rule, as it is usually called or Regula Bullata of the Friars Minor, is the one ever since professed throughout the First Order of St. Francis (see RULE OF SAINT FRANCIS). It is based on the three vows of obedience, poverty, and chastity, special stress however being laid on poverty, which Francis sought to make the special characteristic of his order, and which became the sign to be contradicted. This vow of absolute poverty in the first and second orders and the reconciliation of the religious with the secular state in the Third Order of Penance are the chief novelties introduced by Francis in monastic regulation.

It was during Christmastide of this year (1223) that the saint conceived the idea of celebrating the Nativity "in a new manner", by reproducing in a church at Greccio the praesepio of Bethlehem, and he has thus come to be regarded as having inaugurated the popular devotion of the Crib. Christmas appears indeed to have been the favourite feast of Francis, and he wished to persuade the emperor to make a special law that men should then provide well for the birds and the beasts, as well as for the poor, so that all might have occasion to rejoice in the Lord.

Early in August, 1224, Francis retired with three companions to "that rugged rock 'twixt Tiber and Arno", as Dante called La Verna, there to keep a forty days fast in preparation for Michaelmas. During this retreat the sufferings of Christ became more than ever the burden of his meditations; into few souls, perhaps, had the full meaning of the Passion so deeply entered. It was on or about the feast of the Exaltation of the Cross (14 September) while praying on the mountainside, that he beheld the marvellous vision of the seraph, as a sequel of which there appeared on his body the visible marks of the five wounds of the Crucified which, says an early writer, had long since been impressed upon his heart. Brother Leo, who was with St. Francis when he received the stigmata, has left us in his note to the saint's autograph blessing, preserved at Assisi, a clear and simple account of the miracle, which for the rest is better attested than many another historical fact. The saint's right side is described as bearing on open wound which looked as if made by a lance, while through his hands and feet were black nails of flesh, the points of which were bent backward. After the reception of the stigmata, Francis suffered increasing pains throughout his frail body, already broken by continual mortification. For, condescending as the saint always was to the weaknesses of others, he was ever so unsparing towards himself that at the last he felt constrained to ask pardon of "Brother Ass", as he called his body, for having treated it so harshly. Worn out, moreover, as Francis now was by eighteen years of unremitting toil, his strength gave way completely, and at times his eyesight so far failed him that he was almost wholly blind.

During an access of anguish, Francis paid a last visit to St. Clare at St. Damian's, and it was in a little hut of reeds, made for him in the garden there, that the saint composed that "Canticle of the Sun", in which his poetic genius expands itself so gloriously. This was in September, 1225. Not long afterwards Francis, at the urgent instance of Brother Elias, underwent an unsuccessful operation for the eyes, at Rieti. He seems to have passed the winter 1225-26 at Siena, whither he had been taken for further medical treatment. In April, 1226, during an interval of improvement, Francis was moved to Cortona, and it is believed to have been while resting at the hermitage of the Celle there, that the saint dictated his testament, which he describes as a "reminder, a warning, and an exhortation". In this touching document Francis, writing from the fullness of his heart, urges anew with the simple eloquence, the few, but clearly defined, principles that were to guide his followers, implicit obedience to superiors as holding the place of God, literal observance of the rule "without gloss", especially as regards poverty, and the duty of manual labor, being solemnly enjoined on all the friars.

Meanwhile alarming dropsical symptoms had developed, and it was in a dying condition that Francis set out for Assisi. A roundabout route was taken by the little caravan that escorted him, for it was feared to follow the direct road lest the saucy Perugians should attempt to carry Francis off by force so that he might die in their city, which would thus enter into possession of his coveted relics. It was therefore under a strong guard that Francis, in July, 1226, was finally borne in safety to the bishop's palace in his native city amid the enthusiastic rejoicings of the entire populace. In the early autumn Francis, feeling the hand of death upon him, was carried to his beloved Porziuncola, that he might breathe his last sigh where his vocation had been revealed to him and whence his order had struggled into sight. On the way thither he asked to be set down, and with painful effort he invoked a beautiful blessing on Assisi, which, however, his eyes could no longer discern. The saint's last days were passed at the Porziuncola in a tiny hut, near the chapel, that served as an infirmary. The arrival there about this time of the Lady Jacoba of Settesoli, who had come with her two sons and a great retinue to bid Francis farewell, caused some consternation, since women were forbidden to enter the friary. But Francis in his tender gratitude to this Roman noblewoman, made an exception in her favour, and "Brother Jacoba", as Francis had named her on account of her fortitude, remained to the last.

On the eve of his death, the saint, in imitation of his Divine Master, had bread brought to him and broken. This he distributed among those present, blessing Bernard of Quintaville, his first companion, Elias, his vicar, and all the others in order. "I have done my part," he said next, "may Christ teach you to do yours." Then wishing to give a last token of detachment and to show he no longer had anything in common with the world, Francis removed his poor habit and lay down on the bare ground, covered with a borrowed cloth, rejoicing that he was able to keep faith with his Lady Poverty to the end. After a while he asked to have read to him the Passion according to St. John, and then in faltering tones he himself intoned Psalm 141. At the concluding verse, "Bring my soul out of prison", Francis was led away from earth by "Sister Death", in whose praise he had shortly before added a new strophe to his "Canticle of the Sun". It was Saturday evening, 3 October, 1226, Francis being then in the forty-fifth year of his age, and the twentieth from his perfect conversion to Christ.

The saint had, in his humility, it is said, expressed a wish to be buried on the Colle d'Inferno, a despised hill without Assisi, where criminals were executed. However this may be, his body was, on 4 October, borne in triumphant procession to the city, a halt being made at St. Damian's, that St. Clare and her companions might venerate the sacred stigmata now visible to all, and it was placed provisionally in the church of St. George (now within the enclosure of the monastery of St. Clare), where the saint had learned to read and had first preached. Many miracles are recorded to have taken place at his tomb. Francis was canonized at St. George's by Gregory IX, 16 July, 1228. On that day following the pope laid the first stone of the great double church of St. Francis, erected in honour of the new saint, and thither on 25 May, 1230, Francis's remains were secretly transferred by Brother Elias and buried far down under the high altar in the lower church. Here, after lying hidden for six centuries, like that of St. Clare's, Francis's coffin was found, 12 December, 1818, as a result of a toilsome search lasting fifty-two nights. This discovery of the saint's body is commemorated in the order by a special office on 12 December, and that of his translation by another on 25 May. His feast is kept throughout the Church on 4 October, and the impression of the stigmata on his body is celebrated on 17 September.

It has been said with pardonable warmth that Francis entered into glory in his lifetime, and that he is the one saint whom all succeeding generations have agreed in canonizing. Certain it is that those also who care little about the order he founded, and who have but scant sympathy with the Church to which he ever gave his devout allegiance, even those who know that Christianity to be Divine, find themselves, instinctively as it were, looking across the ages for guidance to the wonderful Umbrian Poverello, and invoking his name in grateful remembrance. This unique position Francis doubtless owes in no small measure to his singularly lovable and winsome personality. Few saints ever exhaled "the good odour of Christ" to such a degree as he. There was about Francis, moreover, a chivalry and a poetry which gave to his other-worldliness a quite romantic charm and beauty. Other saints have seemed entirely dead to the world around them, but Francis was ever thoroughly in touch with the spirit of the age. He delighted in the songs of Provence, rejoiced in the new-born freedom of his native city, and cherished what Dante calls the pleasant sound of his dear land. And this exquisite human element in Francis's character was the key to that far-reaching, all-embracing sympathy, which may be almost called his characteristic gift. In his heart, as an old chronicler puts it, the whole world found refuge, the poor, the sick and the fallen being the objects of his solicitude in a more special manner.

Heedless as Francis ever was of the world's judgments in his own regard, it was always his constant care to respect the opinions of all and to wound the feelings of none. Wherefore he admonishes the friars to use only low and mean tables, so that "if a beggar were to come to sit down near them he might believe that he was but with his equals and need not blush on account of his poverty." One night, we are told, the friary was aroused by the cry "I am dying." "Who are you", exclaimed Francis arising, "and why are dying?" "I am dying of hunger", answered the voice of one who had been too prone to fasting. Whereupon Francis had a table laid out and sat down beside the famished friar, and lest the latter might be ashamed to eat alone, ordered all the other brethren to join in the repast. Francis's devotedness in consoling the afflicted made him so condescending that he shrank not from abiding with the lepers in their loathly lazar-houses and from eating with them out of the same platter.

But above all it is his dealings with the erring that reveal the truly Christian spirit of his charity. "Saintlier than any of the saint", writes Celano, "among sinners he was as one of themselves". Writing to a certain minister in the order, Francis says: "Should there be a brother anywhere in the world who has sinned, no matter how great soever his fault may be, let him not go away after he has once seen thy face without showing pity towards him; and if he seek not mercy, ask him if he does not desire it. And by this I will know if you love God and me." Again, to medieval notions of justice the evil-doer was beyond the law and there was no need to keep faith with him. But according to Francis, not only was justice due even to evil-doers, but justice must be preceded by courtesy as by a herald. Courtesy, indeed, in the saint's quaint concept, was the younger sister of charity and one of the qualities of God Himself, Who "of His courtesy", he declares, "gives His sun and His rain to the just and the unjust". This habit of courtesy Francis ever sought to enjoin on his disciples. "Whoever may come to us", he writes, "whether a friend or a foe, a thief or a robber, let him be kindly received", and the feast which he spread for the starving brigands in the forest at Monte Casale sufficed to show that "as he taught so he wrought".

The very animals found in Francis a tender friend and protector; thus we find him pleading with the people of Gubbio to feed the fierce wolf that had ravished their flocks, because through hunger "Brother Wolf" had done this wrong. And the early legends have left us many an idyllic picture of how beasts and birds alike susceptible to the charm of Francis's gentle ways, entered into loving companionship with him; how the hunted leveret sought to attract his notice; how the half-frozen bees crawled towards him in the winter to be fed; how the wild falcon fluttered around him; how the nightingale sang with him in sweetest content in the ilex grove at the Carceri, and how his "little brethren the birds" listened so devoutly to his sermon by the roadside near Bevagna that Francis chided himself for not having thought of preaching to them before. Francis's love of nature also stands out in bold relief in the world he moved in. He delighted to commune with the wild flowers, the crystal spring, and the friendly fire, and to greet the sun as it rose upon the fair Umbrian vale. In this respect, indeed, St. Francis's "gift of sympathy" seems to have been wider even than St. Paul's, for we find no evidence in the great Apostle of a love for nature or for animals.

Hardly less engaging than his boundless sense of fellow-feeling was Francis's downright sincerity and artless simplicity. "Dearly beloved," he once began a sermon following upon a severe illness, "I have to confess to God and you that during this Lent I have eaten cakes made with lard." And when the guardian insisted for the sake of warmth upon Francis having a fox skin sewn under his worn-out tunic, the saint consented only upon condition that another skin of the same size be sewn outside. For it was his singular study never to hide from men that which known to God. "What a man is in the sight of God," he was wont to repeat, "so much he is and no more" -- a saying which passed into the "Imitation", and has been often quoted.

Another winning trait of Francis which inspires the deepest affection was his unswerving directness of purpose and unfaltering following after an ideal. "His dearest desire so long as he lived", Celano tells us, "was ever to seek among wise and simple, perfect and imperfect, the means to walk in the way of truth." To Francis love was the truest of all truths; hence his deep sense of personal responsibility towards his fellows. The love of Christ and Him Crucified permeated the whole life and character of Francis, and he placed the chief hope of redemption and redress for a suffering humanity in the literal imitation of his Divine Master. The saint imitated the example of Christ as literally as it was in him to do so; barefoot, and in absolute poverty, he proclaimed the reign of love. This heroic imitation of Christ's poverty was perhaps the distinctive mark of Francis's vocation, and he was undoubtedly, as Bossuet expresses it, the most ardent, enthusiastic, and desperate lover of poverty the world has yet seen. After money Francis most detested discord and divisions. Peace, therefore, became his watchword, and the pathetic reconciliation he effected in his last days between the Bishop and Potesta of Assisi is bit one instance out of many of his power to quell the storms of passion and restore tranquility to hearts torn asunder by civil strife. The duty of a servant of God, Francis declared, was to lift up the hearts of men and move them to spiritual gladness. Hence it was not "from monastic stalls or with the careful irresponsibility of the enclosed student" that the saint and his followers addressed the people; "they dwelt among them and grappled with the evils of the system under which the people groaned". They worked in return for their fare, doing for the lowest the most menial labour, and speaking to the poorest words of hope such as the world had not heard for many a day. In this wise Francis bridged the chasm between an aristocratic clergy and the common people, and though he taught no new doctrine, he so far repopularized the old one given on the Mount that the Gospel took on a new life and called forth a new love.

Such in briefest outline are some of the salient features which render the figure of Francis one of such supreme attraction that all manner of men feel themselves drawn towards him, with a sense of personal attachment. Few, however, of those who feel the charm of Francis's personality may follow the saint to his lonely height of rapt communion with God. For, however engaging a "minstrel of the Lord", Francis was none the less a profound mystic in the truest sense of the word. The whole world was to him one luminous ladder, mounting upon the rungs of which he approached and beheld God. It is very misleading, however, to portray Francis as living "at a height where dogma ceases to exist", and still further from the truth to represent the trend of his teaching as one in which orthodoxy is made subservient to "humanitarianism". A very cursory inquiry into Francis's religious belief suffices to show that it embraced the entire Catholic dogma, nothing more or less. If then the saint's sermons were on the whole moral rather than doctrinal, it was less because he preached to meet the wants of his day, and those whom he addressed had not strayed from dogmatic truth; they were still "hearers", if not "doers", of the Word. For this reason Francis set aside all questions more theoretical than practical, and returned to the Gospel.

Again, to see in Francis only the loving friend of all God's creatures, the joyous singer of nature, is to overlook altogether that aspect of his work which is the explanation of all the rest -- its supernatural side. Few lives have been more wholly imbued with the supernatural, as even Renan admits. Nowhere, perhaps, can there be found a keener insight into the innermost world of spirit, yet so closely were the supernatural and the natural blended in Francis, that his very asceticism was often clothed in the guide of romance, as witness his wooing the Lady Poverty, in a sense that almost ceased to be figurative. For Francis's singularly vivid imagination was impregnate with the imagery of the chanson de geste, and owing to his markedly dramatic tendency, he delighted in suiting his action to his thought. So, too, the saint's native turn for the picturesque led him to unite religion and nature. He found in all created things, however trivial, some reflection of the Divine perfection, and he loved to admire in them the beauty, power, wisdom, and goodness of their Creator. And so it came to pass that he saw sermons even in stones, and good in everything.

Moreover, Francis's simple, childlike nature fastened on the thought, that if all are from one Father then all are real kin. Hence his custom of claiming brotherhood with all manner of animate and inanimate objects. The personification, therefore, of the elements in the "Canticle of the Sun" is something more than a mere literary figure. Francis's love of creatures was not simply the offspring of a soft or sentimental disposition; it arose rather from that deep and abiding sense of the presence of God, which underlay all he said and did. Even so, Francis's habitual cheerfulness was not that of a careless nature, or of one untouched by sorrow. None witnessed Francis's hidden struggles, his long agonies of tears, or his secret wrestlings in prayer. And if we meet him making dumb-show of music, by playing a couple of sticks like a violin to give vent to his glee, we also find him heart-sore with foreboding at the dire dissensions in the order which threatened to make shipwreck of his ideal. Nor were temptations or other weakening maladies of the soul wanting to the saint at any time.

Francis's lightsomeness had its source in that entire surrender of everything present and passing, in which he had found the interior liberty of the children of God; it drew its strength from his intimate union with Jesus in the Holy Communion. The mystery of the Holy Eucharist, being an extension of the Passion, held a preponderant place in the life of Francis, and he had nothing more at heart than all that concerned the cultus of the Blessed Sacrament. Hence we not only hear of Francis conjuring the clergy to show befitting respect for everything connected with the Sacrifice of the Mass, but we also see him sweeping out poor churches, questing sacred vessels for them, and providing them with altar-breads made by himself. So great, indeed, was Francis's reverence for the priesthood, because of its relation to the Adorable Sacrament, that in his humility he never dared to aspire to that dignity.

Humility was, no doubt, the saint's ruling virtue. The idol of an enthusiastic popular devotion, he ever truly believed himself less than the least. Equally admirable was Francis's prompt and docile obedience to the voice of grace within him, even in the early days of his ill-defined ambition, when the spirit of interpretation failed him. Later on, the saint, with as clear as a sense of his message as any prophet ever had, yielded ungrudging submission to what constituted ecclesiastical authority. No reformer, moreover, was ever, less aggressive than Francis. His apostolate embodied the very noblest spirit of reform; he strove to correct abuses by holding up an ideal. He stretched out his arms in yearning towards those who longed for the "better gifts". The others he left alone.

And thus, without strife or schism, God's Poor Little Man of Assisi became the means of renewing the youth of the Church and of imitating the most potent and popular religious movement since the beginnings of Christianity. No doubt this movement had its social as well as its religious side. That the Third Order of St. Francis went far towards re-Christianizing medieval society is a matter of history. However, Francis's foremost aim was a religious one. To rekindle the love of God in the world and reanimate the life of the spirit in the hearts of men -- such was his mission. But because St. Francis sought first the Kingdom of God and His justice, many other things were added unto him. And his own exquisite Franciscan spirit, as it is called, passing out into the wide world, became an abiding source of inspiration. Perhaps it savours of exaggeration to say, as has been said, that "all the threads of civilization in the subsequent centuries seem to hark back to Francis", and that since his day "the character of the whole Roman Catholic Church is visibly Umbrian".

It would be difficult, none the less, to overestimate the effect produced by Francis upon the mind of his time, or the quickening power he wielded on the generations which have succeeded him. To mention two aspects only of his all-pervading influence, Francis must surely be reckoned among those to whom the world of art and letters is deeply indebted. Prose, as Arnold observes, could not satisfy the saint's ardent soul, so he made poetry. He was, indeed, too little versed in the laws of composition to advance far in that direction. But his was the first cry of a nascent poetry which found its highest expression in the "Divine Comedy"; wherefore Francis has been styled the precursor of Dante. What the saint did was to teach a people "accustomed to the artificial versification of courtly Latin and Provencal poets, the use of their native tongue in simple spontaneous hymns, which became even more popular with the Laudi and Cantici of his poet-follower Jacopone of Todi". In so far, moreover, as Francis's repraesentatio, as Salimbene calls it, of the stable at Bethlehem is the first mystery-play we hear of in Italy, he is said to have borne a part in the revival of the drama. However this may be, if Francis's love of song called forth the beginnings of Italian verse, his life no less brought about the birth of Italian art. His story, says Ruskin, became a passionate tradition painted everywhere with delight. Full of colour, dramatic possibilities, and human interest, the early Franciscan legend afforded the most popular material for painters since the life of Christ. No sooner, indeed did Francis's figure make an appearance in art than it became at once a favourite subject, especially with the mystical Umbrian School. So true is this that it has been said we might by following his familiar figure "construct a history of Christian art, from the predecessors of Cimabue down to Guido Reni, Rubens, and Van Dyck".

Probably the oldest likeness of Francis that has come down to us is that preserved in the Sacro Speco at Subiaco. It is said that it was painted by a Benedictine monk during the saint's visit there, which may have been in 1218. The absence of the stigmata, halo, and title of saint in this fresco form its chief claim to be considered a contemporary picture; it is not, however, a real portrait in the modern sense of the word, and we are dependent for the traditional presentment of Francis rather on artists' ideals, like the Della Robbia statue at the Porziuncola, which is surely the saint's vera effigies, as no Byzantine so-called portrait can ever be, and the graphic description of Francis given by Celano (Vita Prima, c. lxxxiii). Of less than middle height, we are told, and frail in form, Francis had a long yet cheerful face and soft but strong voice, small brilliant black eyes, dark brown hair, and a sparse beard. His person was in no way imposing, yet there was about the saint a delicacy, grace, and distinction which made him most attractive.

The literary materials for the history of St. Francis are more than usually copious and authentic. There are indeed few if any medieval lives more thoroughly documented. We have in the first place the saint's own writings. These are not voluminous and were never written with a view to setting forth his ideas systematically, yet they bear the stamp of his personality and are marked by the same unvarying features of his preaching. A few leading thoughts taken "from the words of the Lord" seemed to him all sufficing, and these he repeats again and again, adapting them to the needs of the different persons whom he addresses. Short, simple, and informal, Francis's writings breathe the unstudied love of the Gospel and enforce the same practical morality, while they abound in allegories and personification and reveal an intimate interweaving of Biblical phraseology.

Not all the saint's writings have come down to us, and not a few of these formerly attributed to him are now with greater likelihood ascribed to others. The extant and authentic opuscula of Francis comprise, besides the rule of the Friars Minor and some fragments of the other Seraphic legislation, several letters, including one addressed "to all the Christians who dwell in the whole world," a series of spiritual counsels addressed to his disciples, the "Laudes Creaturarum" or "Canticle of the Sun", and some lesser praises, an Office of the Passion compiled for his own use, and few other orisons which show us Francis even as Celano saw him, "not so much a man's praying as prayer itself".

In addition to the saint's writings the sources of the history of Francis include a number of early papal bulls and some other diplomatic documents, as they are called, bearing upon his life and work. Then come the biographies properly so called. These include the lives written 1229-1247 by Thomas of Celano, one of Francis's followers; a joint narrative of his life compiled by Leo, Rufinus, and Angelus, intimate companions of the saint, in 1246; and the celebrated legend of St. Bonaventure, which appeared about 1263; besides a somewhat more polemic legend called the "Speculum Perfectionis", attributed to Brother Leo, the state of which is a matter of controversy. There are also several important thirteenth-century chronicles of the order, like those of Jordan, Eccleston, and Bernard of Besse, and not a few later works, such as the "Chronica XXIV. Generalium" and the "Liber de Conformitate", which are in some sort a continuation of them. It is upon these works that all the later biographies of Francis's life are based.

Recent years have witnessed a truly remarkable upgrowth of interest in the life and work of St. Francis, more especially among non-Catholics, and Assisi has become in consequence the goal of a new race of pilgrims. This interest, for the most part literary and academic, is centered mainly in the study of the primitive documents relating to the saint's history and the beginnings of the Franciscan Order. Although inaugurated some years earlier, this movement received its greatest impulse from the publication in 1894 of Paul Sabatier's "Vie de S. François", a work which was almost simultaneously crowned by the French Academy and place upon the Index. In spite of the author's entire lack of sympathy with the saint's religious standpoint, his biography of Francis bespeaks vast erudition, deep research, and rare critical insight, and it has opened up a new era in the study of Franciscan resources. To further this study an International Society of Franciscan Studies was founded at Assisi in 1902, the aim of which is to collect a complete library of works on Franciscan history and to compile a catalogue of scattered Franciscan manuscripts; several periodicals, devoted to Franciscan documents and discussions exclusively, have moreover been established in different countries. Although a large literature has grown up around the figure of the Poverello within a short time, nothing new of essential value has been added to what was already known of the saint. The energetic research work of recent years has resulted in the recovery of several important early texts, and has called forth many really fine critical studies dealing with the sources, but the most welcome feature of the modern interest in Franciscan origins has been the careful re-editing and translating of Francis's own writings and of nearly all the contemporary manuscript authorities bearing on his life. Not a few of the controverted questions connected therewith are of considerable import, even to those not especially students of the Franciscan legend, but they could not be made intelligible within the limits of the present article. It must suffice, moreover, to indicate only some of the chief works on the life of St. Francis.

The writings of St. Francis have been published in "Opuscula S. P. Francisci Assisiensis" (Quaracchi, 1904); Böhmer, "Analekten zur Geschichte des Franciscus von Assisi" (Tübingen, 1904); U. d'Alençon, "Les Opuscules de S. François d' Assise" (Paris, 1905); Robinson, "The Writings of St. Francis of Assisi" (Philadelphia, 1906).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VI, New York, 1909 (http://www.newadvent.org/cathen/06221a.htm)

Augustinus
03-10-07, 11:39
Franciscan Order

A term commonly used to designate the members of the various foundations of religious, whether men or women, professing to observe the Rule of St. Francis of Assisi in some one of its several forms. The aim of the present article is to indicate briefly the origin and relationship of these different foundations.

ORIGIN OF THE THREE ORDERS

It is customary to say that St. Francis founded three orders, as we read in the Office for 4 October:

Tres ordines hic ordinat: primumque Fratrum nominat Minorum: pauperumque fit Dominarum medius: sed Poenitentium tertius sexum capit utrumque. (Brev. Rom. Serap., in Solem. S.P. Fran., ant. 3, ad Laudes)
These three orders -- the Friars Minor, the Poor Ladies or Clares, and the Brothers and Sisters of Penance -- are generally referred to as the First, Second, and Third Orders of St. Francis.

First Order

The existence of the Friars Minor or first order properly dates from 1209, in which year St. Francis obtained from Innocent III an unwritten approbation of the simple rule he had composed for the guidance of his first companions. This rule has not come down to us in its original form; it was subsequently rewritten by the saint and solemnly confirmed by Honorius III, 29 Nov., 1223 (Litt. "Solet Annuere"). This second rule, as it is usually called, of the Friars Minor is the one at present professed throughout the whole First Order of St. Francis (see RULE OF SAINT FRANCIS).

Second Order

The foundation of the Poor Ladies or second order may be said to have been laid in 1212. In that year St. Clare who had besought St. Francis to be allowed to embrace the new manner of life he had instituted, was established by him at St. Damian's near Assisi, together with several other pious maidens who had joined her. It is erroneous to suppose that St. Francis ever drew up a formal rule for these Poor ladies and no mention of such a document is found in any of the early authorities. The rule imposed upon the Poor Ladies at St. Damian's about 1219 by Cardinal Ugolino, afterwards Gregory IX, was recast by St. Clare towards the end of her life, with the assistance of Cardinal Rinaldo, afterwards Alexander IV, and in this revised form was approved by Innocent IV, 9 Aug., 1253 (Litt. "Solet Annuere"). (See POOR CLARES).

Third Order

Tradition assigns the year 1221 as the date of the foundation of the Brothers and Sisters of Penance, now known as tertiaries. This third order was devised by St. Francis as a sort of middle state between the cloister and the world for those who, wishing to follow in the saint's footsteps, were debarred by marriage or other ties from entering either the first or second order. There has been some difference of opinion as to how far the saint composed a rule for these tertiaries. It is generally admitted, however, that the rule approved by Nicholas IV, 18 Aug., 1289 (Litt. "Supra Montem") does not represent the original rule of the third order.

Some recent writers have tried to show that the third order, as we now call it, was really the starting point of the whole Franciscan Order. They assert that the Second and Third Orders of St. Francis were not added to the First, but that the three branches, the Friars Minor, Poor ladies, and Brother and Sisters of Penance, grew out of the lay confraternity of penance which was St. Francis's first and original intention, and were separated from it into different groups by Cardinal Ugolino, the protector of the order, during St. Francis's absence in the East (1219-21). This interesting, if somewhat arbitrary, theory is not without importance for the early history of all three orders, but it is not yet sufficiently proven to preclude the more usual account given above, according to which the Franciscan Order developed into three distinct branches, namely, the first, second, and third orders, by process of addition and not by process of division, and this is still the view generally received.

PRESENT ORGANIZATION OF THE THREE ORDERS

First Order

Coming next to the present organization of the Franciscan Order, the Friars Minor, or first order, now comprises three separate bodies, namely: the Friars Minor properly so called, or parent stem, founded, as has been said in 1209; the Friars Minor Conventuals, and the Friars Minor Capuchins, both of which grew out of the parent stem, and were constituted independent orders in 1517 and 1619 respectively.

All three orders profess the rule of the Friars Minor approved by Honorius III in 1223, but each one has its particular constitutions and its own minister general. The various lesser foundations of Franciscan friars following the rule of the first order, which once enjoyed a separate or quasi-separate existence, are now either extinct, like the Clareni, Coletani, and Celestines, or have become amalgamated with the Friars Minor, as in the case of the Observants, Reformati, Recollects, Alcantarines, etc. (On all these lesser foundations, now extinct, see FRIARS MINOR)

Second Order

As regards the Second Order, of Poor ladies, now commonly called Poor Clares, this order includes all the different monasteries of cloistered nuns professing the Rule of St. Clare approved by Innocent IV in 1253, whether they observe the same in all its original strictness or according to the dispensations granted by Urban IV, 18 Oct., 1263 (Litt. "Beata Clara") or the constitutions drawn up by St. Colette (d. 1447) and approved by Pius II, 18 March, 1458 (Litt. "Etsi"). The Sisters of the Annunciation and the Conceptionists are in some sense offshoots of the second order, but they now follow different rules from that of the Poor Ladies.

Third Order

In connection with the Brothers and Sisters of Penance or Third order of St. Francis, it is necessary to distinguish between the third order secular and the third order regular.

Secular. The third order secular was founded, as we have seen, by St. Francis about 1221 and embraces devout persons of both sexes living in the world and following a rule of life approved by Nicholas IV in 1289, and modified by Leo XIII, 30 May, 1883 (Constit. "Misericors"). It includes not only members who form part of logical fraternities, but also isolated tertiaries, hermits, pilgrims, etc.

Regular. The early history of the third order regular is uncertain and is susceptible of controversy. Some attribute its foundation to St. Elizabeth of Hungary in 1228, others to Blessed Angelina of Marsciano in 1395. The latter is said to have established at Foligno the first Franciscan monastery of enclosed tertiary nuns in Italy. It is certain that early in the fifteenth century tertiary communities of men and women existed in different parts of Europe and that the Italian friars of the third order regular were recognized as a mendicant order by the Holy See. Since about 1458 the latter body has been governed by own minister general and its members take solemn vows.

New Foundations. In addition to this third order regular, properly so called, and quite independently of it, a very large number of Franciscan tertiary congregations -- both of men and women -- have been founded, more especially since the beginning of the ninteenth century. These new foundations have taken as a basis of their institutes a special rule for members of the third order living in community approved by Leo X. 20 Jan., 1521 (Bull "Inter"). Although this rule is a greatly modified by their particular constitution which, for the rest, differ widely according to the end of each foundation. These various congregations of regular tertiaries are either autonomous or under episcopal jurisdiction, and for the most part they are Franciscan in name only, not a few of them having abandoned the habit and even the traditional cord of the order.

Bibliography

For the vexed question of the origin and evolution of the third orders, see MÜLLER, Die Anfange des Minoritenordens und der Bussbruderschaften (Freiburg, 1885), 33 sqq; EHRLE in Zeitschr, j.k. Theol., XI, 743 sqq; MANDONNET, Les regles et le gouvernement de l Ordo de Paeniltentia au XIII siccle in Opuscules de critique historique, vol. l. fasc. IV (Paris, 1902); LEMMENS in Rom. Quartalschrift, XVI, 93 sqq; VAN ORTROY in Analecta Bollandiana, XVIII, 294 sqq. XXIV, 415 sqq; D'ALENCON in Etudes Franciscaines, II, 646 sq; GOETZ in Zeitschrift for Kirchengeschichte, XXIII, 97-107. The rules of the three orders are printed in Seraphicae Legislationis Textus originates (Quaracchi, 1897). A general conspectus of the Franciscan Order and its various branches is given in HOLZ-APPEL, Manuale, Historia, O.F.M. (Freiburg, 1909); HEIM-BUCHER, Die Orden und Kongregationen (Paderborn, 1907); II, 307-533; also PATREM, Tableau synoptique de tout l Ordre Seraphique (Paris, 1879): and CUSACK, St. Francis and the Franciscans (New York, 1867).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VI, New York, 1909 (http://www.newadvent.org/cathen/06217a.htm)

Augustinus
03-10-07, 11:44
Rule of Saint Francis

As known, St. Francis founded three orders and gave each of them a special rule. Here only the rule of the first order is to be considered, i.e., that of the Friars Minor, under the following headings: I. ORIGIN AND CONTENTS OF THE RULE; II. INTERPRETATION AND OBSERVANCE OF THE RULE.

I. ORIGIN AND CONTENTS OF THE RULE

(1) Origin

There is, as in so many other points in the life of St. Francis, not a small amount of doubt and controversy about the Rule of St. Francis. Whether St. Francis wrote several rules or one rule only, with several versions, whether he received it directly from heaven through revelation, or whether it was the fruit of long experience, whether he gave it the last touch or whether its definite form is due to the influence of others, all these are questions which find different answers. However in some cases, it is more a question of words than of facts. We may speak of three successive rules or of three successive versions of the same rule; that makes little difference, since the spirit in the three cases is the same. For clearness, we shall speak simply of the three rules, the first of which is of the year 1209, the second of 1221, the third of 1223; expounding more especially the one of 1223, as this is properly the Rule of St. Francis, the object of this article.

(a) The Rule of 1209

This is the rule St. Francis presented to Innocent III for approval in the year 1209; its real text is not known. If, however, we regard the statements of Thomas of Celano (I Cel., i, 9 and 13, ed. d'Alencon, Rome, 1906) and St. Bonaventure (Legenda major, c. iii), we are forced to conclude that this primitive rule was little more than some passages of the Gospel heard in 1208 in the chapel of Portiuncula. From which Gospel precisely these words were taken, we do not know. The following passages, Matt., xix, 21; Matt., xvi, 24; Luke, ix, 3, occurring in the second rule (i and xiv), are considered as a part of the original one of 1209. They enjoin apostolical life with all its renouncements and privations. The three vows of obedience, chastity, and poverty, essential to any religious order, and some practical rules of conduct were added. Thomas of Celano says in this regard (I Cel., i, 13): "Blessed Francis, seeing that the Lord God was daily increasing the number [of the brethren] for that very purpose, wrote down simply and in few words for himself and for his brethren, both present and future, a pattern and rule of life, using chiefly the language of the holy Gospel after whose perfection alone he yearned" [version of Ferrers Howell (London, 1908), p. 31]. St. Bonaventure (loc. cit.) and the so-called "Legend of the Three Companions" (viii) repeat almost the same words. The fact can otherwise be gathered from the description of the early state of the order, made by St. Francis himself in the "Testament": "And when the Lord gave me some brothers, no one showed me what I ought to do, but the Most High Himself revealed to me that I should live according to the form of the holy Gospel. And I caused it to be written in few words and simply, and the Lord Pope confirmed it for me" (version of Paschal Robinson). These last words of St. Francis refer to the oral approval of the original rule, given by Innocent III, 1209. Angelo Clareno, in his (not printed) "Exposition of the Rule," alleges that this rule was approved in the Fourth Lateran Council, 1215. But this is not certain; it is not even proved that St. Francis was in Rome at that time. Still, indirectly, Angelo Clareno is right, inasmuch as the prohibition of founding new orders, decreed at this council, was not applied to St. Francis's institute. Some letters of Honorius III, given 1219 (Bullarium Franciscanum, I, 2), may also be considered as a general approbation of the life and rule of the friars. The text of the primitive rule seems to have perished very early, since Hugo of Digne (Expositio in Regulam, Prologus and c. xii) in the middle of the thirteenth century, Ubertino of Casale (Arbor Vitae, Bk. V, c. v, Venice, 1485, f.E.II, v., a) and Angelo Clareno (Expositio in Regulam, passim) in the beginning of the fourteenth century, quote constantly as the first rule, confirmed by Innocent III, the one written in 1221. However, endeavours of reconstruction have been made by Karl Mueller (Die Anfaenge des Minoritenordens und der Bussbruderschaften, Freiburg im Br., 1885, 185-188), and by H. Böhmer (Analekten zur Geschichte des Franciscus von Assisi, Tuebingen and Leipzig, 1904, 88-89). This first rule marks the stage of the order governed by St. Francis's personal authority, and it is quite natural that this first attempt could not be developed as later rules were. But to conclude hence that Francis did not intend to found an order properly so called, in other words, to write any religious rule at all, is quite different. All that can be said is this, that St. Francis did not take as his model any monastic order, but simply the life of Christ and His Apostles, the Gospel itself.

(b) The Rule of 1221

If we give credit to Jacques de Vitry, in a letter written at Genoa, 1216 (Böhmer, loc. cit., 98), and to the traditional "Legend of the Three Companions" (c. xiv), the rule of 1209 was successively improved at the annual general chapter at Portiuncula by new statutes, the fruit of ever-growing experience. Jacques de Vitry (loc. cit.) writes: "The men of this Religion with great fruit assemble every year at a determined place, that they may rejoice in the Lord and take their meals, and by the counsel of good men they make and promulgate holy statutes, which are confirmed by the Pope." Indeed Thomas of Celano records one such statute (II Cel., ii, 91): "He [Francis], for a general commonition in a certain Chapter, caused these words to be written: 'Let the Friars take care not to appear gloomy and sad like hypocrites, but let them be jovial and merry, showing that they rejoice in the Lord, and becomingly courteous.'" This passage is literally found in the rule of 1221, c. vii. The traditional "Legend of the Three Companions" says (c. xiv): "At Whitsuntide [every year] all the brethren assembled unto St. Mary and consulted how best they might observe the Rule. Moreover St. Francis gave unto them admonition, rebukes, and precepts, according as seemed good unto him by the counsel of the Lord." And c. ix: "For he [St. Francis] made divers Rules, and essayed them, before he made that which at the last he left unto the brethren" (translation of Salter, London, 1902, p. 88, 60). During the years 1219-1220 in the absence of the holy founder in the East, some events happened which determined Francis to recast his rule, in order to prevent similar troubles in the future. The only author who informs us well on this point is Jordanus of Giano in his Chronicle (Analecta Franciscana, I, iv sq.; ed. Böhmer, Paris, 1908, 9 sq.). The vicars left in charge of the brothers by St. Francis having made some innovations against the spirit of the rule, and St. Francis having heard of this, he immediately returned to Italy and with the help of Cardinal Ugolino repressed the disorders. Jordanus (ed. Böhmer, p. 15) then goes on: "And thus the disturbers with the help of the Lord being kept down, he [St. Francis] reformed the Order according to its statutes [alias institutions, Instituta]. And the blessed Francis seeing that brother Caesarius [of Spires] was learned in holy letters, he charged him to embellish with texts of the Gospel the Rule which he himself had written with simple words." The narrative of Jordanus, precious though it be, is incomplete. "Speculum perfectionis" (ed. Sabatier, Paris, 1898, c. lxviii), Angelo Clareno (Felice Tocco, "Le due prime Tribolazioni dell'Ordine Francescano," Rome, 1908, p. 36; Döllinger, "Sektengeschichte," II, 440 sq.; and "Expositio in Regulam"), Bartholomew of Pisa [Liber Conformitatum fruct., XII, pars II, ed. Milan, 1510, f. cxxxv, v., a, Anal. Franc., IV (1906), 585] tell us that at some general chapter the ministers and custodes, alias the learned brethren, asked Cardinal Ugolino to use his friendship with St. Francis that he might introduce some organization into the order according to the Rules of St. Augustine, St. Benedict, and St. Bernard, and that they might receive some influence. St. Francis being questioned, answered that he was called to walk by the way of simplicity, and that he would always follow the folly of the Cross. The chapter at which this occurred was most, likely the one of 1220.

The authority of the aforesaid sources may be contested, still, an allusion to those events may be seen in Il Cel., ii, 141. At any rate in a Bull of Honorius III, Viterbo, 22 Sept., 1220 (Bull. Franc., I, 6), addressed "to the Priors or Custodes of the Friars Minor," one year of novitiate is introduced, in conformity with other orders, after which no one may leave the order (c. ii of the rule of 1221). Furthermore we see in c. xviii of the second rule, that much authority is given to the ministers through the general chapter, which hitherto had been frequented by all the brothers, but now is reserved to the ministers. The second rule was probably published at the General Chapter of Portiuncula, 1221, where for the last time all the friars convened. It was certainly in use in the autumn of the same year, since the Friars in Germany held at Augsburg, Oct., 1221, a provincial chapter in accordance with c. xviii of this rule (See Jordanus, c. xxiii, Analecta Franciscana, i, 9; ed. Böhmer, p. 27). The second rule is called "Regula prima" by all older Franciscan writers, it being the first known in its text, or also "Regula non bullata," for it was never solemnly confirmed by a papal Bull. It has been preserved in many manuscripts and has been often printed, but there are some noteworthy discrepancies of text in chaps. x and xii. The following remarks may be added to characterize it. The rule of 1221 consists of twenty-three chapters, some of which are composed almost entirely of scriptural texts; in others many admonitions are found and towards the end even prayers. The introductory words "Brother Francis . . . promises obedience and reverence to our Lord Pope Innocent" (d. 1216) show clearly that the second rule is only an enlarged version of the primitive one. In chaps. iv and xviii appears an organization, which at the time the first rule was written (1209) could not have existed, since St. Francis had then only twelve companions. Chap. vii, on Working and Serving, is almost certainly of the primitive rule, for its prohibition "not to be chamberlains nor cellarers, nor overseers in the houses of those whom they serve," found scarcely, or only exceptionally, any application in 1221. The Life of Brother Giles (Analecta Francisc., iii, 74 sq., and the introduction of Robinson's "The Golden Sayings of the Blessed Brother Giles," Philadelphia, 1907) may be read as an illustration of this chapter. It may appear strange that neither Thomas of Celano nor St. Bonaventure mentions this second rule, which certainly marked an important stage in the Franciscan Order. The reason thereof may be because it was composed in connexion with troubles arisen within the order, on which they preferred to keep silent.

(c) The Rule of 1223

St. Bonaventure (Leg. maj., c. iv) relates that when the order had greatly increased, St. Francis had a vision which determined him to reduce the rule to a more compendious form. (See also II Cel., ii, 159.) From St. Bonaventure (loc. cit.), "Speculum perfectionis" (c. i), and other sources we know that St. Francis, with Brother Leo and Brother Bonizo of Bologna (see, however, on the latter, Carmichael, "The Two Companions" in Franciscan Monthly, ix (1904), n. 86, p. 34-37), went in 1223 to Fonte Colombo, a beautiful wood-covered hill near Rieti, where, fasting on bread and water, he caused the rule, the fruit of his prayers, to be written by the hand of Brother Leo, as the Holy Spirit dictated. Elias, to whom this rule was entrusted, after a few days declared that he had lost it, hence St. Francis had the rule rewritten. Spiritual sources give other rather dramatic circumstances, under which the new rule was communicated to the provincials, headed by Brother Elias. As the primary authorities on the life of St. Francis say nothing on the point, it may be supposed that those records serve only to justify the Spirituals in their opposition to the rest of the order. The rule composed in 1223 was solemnly confirmed by the Bull "Solet annuere" of Honorius III, 29 Nov., 1223 (Bull. Franc., I, 15), and, as St. Bonaventure (Leg. maj., c. iv) and many other early Franciscan writers observe, by the Bull of the Highest Priest Jesus Christ, through the impression of the Stigmata, 14 Sept., 1224.

The rule of 1223 is the Franciscan Rule properly so called, the rule which the Friars Minor still observe. It is named by Franciscan authors "Regula bullata" or "Regula secunda." The question has been put whether St. Francis was quite free in drawing up the definitive text of his rule. From what has been already said, it may be gathered that St. Francis successively developed his rule, adapting it to the circumstances; hence if all the particulars of the former rules are not found in the last one that is no reason to say St. Francis omitted them against his own will. Those who believe in an influence exercised on St. Francis in recasting the third rule appeal to the following points: Firstly, in a letter (Opuscula S. Francisci, Quaracchi, 1904, ep. iii, p. 108 sq.) which St. Francis wrote to a certain minister, perhaps to Elias, he proposes that at the next chapter of Whitsuntide a chapter of the rule should be written to the effect that if any brother has sinned venially and humbly owns it, they (the ministers or the priests) shall "have absolutely no power of enjoining other penance save only this: go and sin no more." Now in c. vii of the third rule only merciful treatment of sinning brothers in general is recommended. Secondly, Angelo Clareno (Trib. i, ed. Tocco, op. cit., p. 58, and "Expositio in Reg.") tells us that the dispositions of c. x in the third rule were much in favour of the friars, who recurred to their ministers for the pure observance of the rule, but Honorius III, seeing the inconvenience of such a large concession, modified those passages, before approving the rule. Thirdly, Gregory IX, in the Bull "Quo elongati" (1230), says that he knew the intention of St. Francis with regard to the rule, as he had assisted him when he wrote it and obtained its confirmation. Fourthly, in c. xiv of the second rule, is the passage of the evangelical prohibitions (Luke 9:3), which is not to be found in the last rule, and the reason thereof is indicated by Spiritual authorities, such as "Speculum perfectionis," c. iii, Angelo Clareno (Trib. 1): "the Ministers caused it to be removed from the Rule." It is hard to say how far these assertions are true, since we have all this information, with the exception of that given by Gregory IX, from sources that are not quite free of suspicion. Carmichael (Dublin Review, 1904, CXXXIV, n. 269, p. 372 sq.) has with skill attacked all these arguments. Still some divergence of views may have existed on a few points. Another question connected with the former one is whether the rule was revealed to St. Francis. To put the question clearly we should ask, which of the three rules was revealed? Against the theory of the Spirituals it is more reasonable to say that St. Francis followed an inner light of grace when taking the texts of the Gospel as his rule of life in the years 1208-1209. Only of that first rule does St. Francis himself speak as revealed to him. (See the words of his Testament cited above.) Of course a special guidance of Providence must be admitted in a work of such importance as the definitive Rule of St. Francis.

(2) Contents of the Rule

The rule is contained in the Bull "Solet annuere," and begins with these characteristic words: "The rule and life of the Minor Brothers is this, namely, to observe the holy Gospel of our Lord Jesus Christ by living in obedience, without property and in chastity." St. Francis promises obedience to Pope Honorius and his successors, the other brothers are to obey Brother Francis and his successors (c. i). Having thus laid the solid foundation of unity upon the Church, St. Francis gives particulars concerning reception, profession, and vestments of the brothers. They are forbidden to wear shoes, if not compelled through necessity (c. ii). Chapter the third prescribes for the clerics "the Divine Office according to the order of the holy Roman Church, with the exception of the Psalter; wherefore (or, as soon as) they may have breviaries." The laybrothers have to say Paternosters, disposed according to the canonical hours. The brothers are to "fast from the feast of All Saints until the Nativity of the Lord," during Lent, and every Friday. The forty days' fast (obligatory in the rule of 1221), which begins Epiphany, is left free to the good will of the brothers. Beautiful exhortations follow on the behaviour of the brothers when they go through the world. They are forbidden to ride on horseback, unless compelled by manifest necessity or infirmity (c. iii). The next chapter "strictly enjoins on all the brothers that in no wise they receive coins or money, either themselves or through an interposed person." However, the ministers and custodes have to take the greatest care of their subjects through spiritual friends, according to places and times and other circumstances, saving always that, as has been said, they shall not "receive coins or money" (c. iv). To banish idleness and to provide for their support, St. Francis insists on the duty of working for "those brothers to whom the Lord has given the grace of working." But they must work in such a way that "they do not extinguish the spirit of prayer and devotion, to which all temporal things must be subservient." As a reward of their labour they may receive things needed, with the exception of coins or money (c. v). Of the highest importance is chapter vi. It contains the prescriptions of the most ideal poverty: "The brothers shall appropriate nothing to themselves, neither a house nor place nor anything. And as pilgrims and strangers in this world...let them go confidently in quest of alms." "This, my dearest brothers, is the height of the most sublime poverty, which has made you heirs and kings of the kingdom of heaven: poor in goods, but exalted in virtue...." Then follows an appeal for fraternal love and mutual confidence, "for if a mother nourishes and loves her carnal son, how much more earnestly ought one to love and nourish his spiritual brother!" (c. vi). The following chapter treats of penance to be inflicted on brothers who have sinned. In some cases they must recur to their ministers, who "should beware lest they be angry or troubled on account of the sins of others, because anger and trouble impede charity in themselves and in others" (c. vii).

Chapter viii charges all the brothers "always to have one of the brothers of this religion (order) as Minister General and servant of the whole brotherhood." At his death the provincial ministers and custodes must elect a successor in the Whitsun chapter. The general chapter, at which the provincial ministers are always bound to convene, is to be held every three years, or at a longer or shorter interval, where the general so wishes. After the Whitsun chapter, provincial chapters may be convoked by the ministers (c. viii). A special chapter on preachers follows next. The brothers are forbidden to preach in any diocese against the will of the bishop, and unless they are approved by the minister general. The brothers must preach "for the utility and edification of the people, announcing to them vices and virtues, punishment and glory..." (c. ix). "Of the admonition and correction of the Brothers" is the title of chapter x. The ministers "shall visit and admonish their brothers, and shall humbly and charitably correct them, not commanding them anything against their souls and our Rule. The brothers however who are subject must remember that, for God, they have renounced their own will." If any brother cannot observe the rule spiritually, he must recur to his minister, who is bound to receive him kindly (c. x). In chapter xi the brothers are forbidden to have suspicious intimacy with women, nor are they allowed to "enter monasteries of nuns, except those to whom special permission has been granted by the Apostolic See." Nor may they "be godfathers of men or women." The twelfth and last chapter treats of those who wish to go among the Saracens and other infidels, for which purpose they must obtain leave from their provincial ministers. The ministers are bound to ask of the pope a cardinal-protector, "so that" -- with these touching words St. Francis concludes his rule -- "being always subject and submissive at the feet of the same holy Church, grounded in the Catholic faith, we may observe poverty and humility and the holy Gospel of our Lord Jesus Christ, which we have firmly promised" (c. xii).

As may be seen from this short survey the Franciscan rule contains many commandments, tempered by the sweet exhortations of St. Francis. It is the tender voice of a loving father that speaks to his children through the rule. This rule has been praised in the highest terms by different authorities. First of all St. Francis himself had a high idea of it: "This Rule he declared to be for his brethren the book of life, the hope of salvation, the marrow of the Gospel, the way of perfection, the key of Paradise and the covenant of an eternal alliance (II Cel., ii, 158). Nicholas III (Exiit) speaks in the same way: "This Rule is founded on the words of the Gospel, it has its force from the example of Christ's life, it is confirmed by the words and deeds of the founders of the Church, the Apostles." Angelo Clareno (Expositio) calls it "the Rule of charity and piety," "the Rule of peace, truth and piety." "The Evangelical Rule" is a much-used expression for it in old Franciscan literature. The influence which the Rule of St. Francis has exercised for now seven hundred years is immeasurable. Millions have followed it, finding in it peace of heart, and the means of their own and other men's sanctification. Nor has the rule had less important effects in a more general way. Unlike all former rules, it established poverty not only for the individual members, but for the order as a whole. On this point St. Francis influenced even the Order of St. Dominic and many subsequent institutions. As early as the thirteenth century, Salimbene (ed. Holder-Egger, Mon. Germ. Hist.: Script., XXXII, 256) wrote: "Whoever wants to found a new congregation, always take something from the Order of blessed Francis." For the general influence of Franciscan poverty see Dubois, "St. Francis of Assisi, social reformer" (New York, 1906). The constitution of the order is likewise different from that of the monastic orders. It is strictly hierarchical, the convents being grouped into provinces which are governed by the provincials, who in turn are under the jurisdiction of the minister general, the head and ruler of the whole order. -- The words of St. Francis (c. iii Reg.): "Let the clerics perform the Divine office according to the order of the holy Roman Church with the exception of the Psalter," have had a singular result. Through adopting the shorter breviary of the papal Curia the Franciscans made this breviary popular, reformed it in many points and led to its being practically received by the whole secular clergy. (See Baeumer, "Geschichte des Breviers," Freiburg im Br., 1895, p. 318 sqq.; Batiffol, "Histoire du Breviaire Romain," Paris, 1893, p. 142 sqq.) The principles concerning preaching as laid down by St. Francis in c. ix of his Rule contain the secret of the great Franciscan preachers who have always been among the most successful and popular. Finally, chap. xii on missions amongst the infidels is a happy innovation in religious rules, as Angelo Clareno in his exposition wisely observed. There can be no doubt that the great impulse given to foreign missions in the thirteenth century is due to St. Francis, who was himself a missionary in the East and saw some of his brethren martyred for the Faith.

II. INTERPRETATION

The ideal that St. Francis laid down in his rule is very high; the apostolical life was to be put in practice by his brethren, and indeed we see that St. Francis and his companions lived perfectly according to that standard. But the number of the friars rapidly increasing, and on the other hand, some being received into the order who had not the pure intentions and the great zeal of Francis, the rule gave rise to many controversies, and, as a consequence, to many declarations and expositions. The first exposition of the rule was given by St. Francis himself in his Testament (1226). He puts there his own and his first disciples' life as an example to the brothers. Moreover he forbids them "to ask for any letter from the Roman Curia, either for a church or for any other place, whether under pretext of preaching, or on account of their bodily persecution." He enjoins also on all brothers "not to put glosses on the Rule," but as he had written it purely and simply, so ought they "understand it simply and purely -- and with holy operation observe it until the end." Nevertheless we have a great number of expositions of the rule, and it cannot be said that they are, in their greatest part, against the will of St. Francis. He himself had in his lifetime been humble enough to submit in everything to the decisions of the Church, and so he desired his sons to do. Even the Spirituals, who cleaved to the letter of the rule, as Olivi and Clareno, were not against reasonable expounding of the rule, and have written expositions thereof themselves. Besides, the decisions of the popes are not dispensations, but authentic interpretations of a rule, that binds only inasmuch as it is approved by the Church. To proceed with order, we shall firstly speak of the authentic interpretations, secondly of the private expositions.

(1) Authentic Interpretations

These are the papal Constitutions on the rule. Doubts about the meaning and the observance of the rule having risen at the general chapter of Assisi (1230), a deputation of prominent men was sent to Gregory IX, to obtain a papal decision. On 28 September, 1230, the pope edited the Bull "Quo elongati" (Bull. Franc., I, 68), a document of capital importance for the future of the order. In this Bull the pope, claiming to know the intentions of the holy founder, since he had assisted him in the composition and approval of the rule, declares that for the tranquillity of conscience of the friars, the Testament of St. Francis has no binding power over them, as Francis, when making it, had no legislative power. Nor are the brothers bound to all the counsels of the Gospel, but only to those that are expressly mentioned in the rule, by way of precept or of prohibition. Dispositions are made with regard to money and property. The brothers may appoint a messenger (nuntius), who may receive money from benefactors and in the latter's name either spend it for the present needs of the friars, or confide it to a spiritual friend for imminent wants. The principle of absolute poverty is maintained for the individual friar and for the whole community; still the use of the necessary movable objects is granted them. These are some of the most striking dispositions of Gregory IX, whose principles of wise interpretation have remained fundamental for the order. Innocent IV, in the Bull "Ordinem vestrum," 14 Nov., 1245 (Bull. Franc. I, 400), confirmed the dispositions of his predecessor, but at the same time made more ample concessions, since he allowed the brothers to recur to the messenger or spiritual friend not only for things necessary, but also for things useful and convenient (commoda). The order, however, in two general chapters, at Metz, 1249, and at Narbonne, 1260, declined to receive this privilege, inasmuch as it goes farther than the concession of Gregory IX. In the same Bull Innocent IV declares that all things in the use of the friars belong to the Apostolic See, unless the donor has reserved the ownership to himself. A necessary consequence of this disposition was the institution of a procurator by the same pope through the Bull "Quanto studiosius," 19 Aug., 1247 (Bull. Franc., I, 487). This procurator was to act in the name of the Apostolic See as a civil party in the administration of the goods in use of the friars. The faculties of this procurator, or Apostolic syndic, were much enlarged by Martin IV through the Bull "Exultantes in Domino," 18 January, 1283 (Bull. Franc., III, 501), especially in regard to lawsuits. The order received the disposition of Martin IV at the chapter of Milan, 1285, but warned at the same time against the multiplication of legal actions (see Ehrle, Archiv für Litteratur- und Kirchengeschichte, VI, 55).

The two most famous Constitutions on the Franciscan rule, which have been inserted in the text of canon law, and which are still in uncontested authority with the Friars Minor, are the Bulls "Exiit qui seminat" of Nicholas III, and "Exivi de Paradiso" of Clement V. The Constitution "Exiit" (c. iii, in VI, lib. V, tit. xii), prepared with the advice of eminent men in and outside the order, given at Soriano near Viterbo, 14 Aug., 1279, treats the whole rule both theoretically and practically. Nicholas III, against the enemies of the order, states that complete expropriation, in common as well as in particular, is licit, holy, and meritorious, it being taught by Christ Himself, although He, for the sake of the weak, sometimes took money. The brothers have the moderate use of things according to their rule. The proprietorship goes to the Holy See, unless the donor retains it. The question of the money is treated with special care. The employment of the messenger and spiritual friend is confirmed and explained. The friars have no right over the money, nor can they call to account an unfaithful messenger. Lest the great number of papal decisions should produce confusion, the pope declares that all former Bulls on the subject are abolished, if they are against the present one. However, this Constitution did not put an end to the questions moved by the more zealous brothers, called Spirituals. It was through their agitation at the papal court at Avignon (1309-1312) that Clement V gave the Constitution "Exivi," 6 May, 1312 (c. i, Clem., lib. V, tit. xi). Whilst Angelo Clareno, the head of the Spirituals, rejects all papal declarations on the rule, he speaks well of the Bull "Exivi," "which is among the others like a flying eagle, approaching nearest to the intention of the Founder" (Archiv für Litteratur-und Kirchengeschichte, II, 139). Clement V declares that the Friars Minor are bound to poverty (usus pauper) in those points on which the rule insists. Characteristic of this Bull is the casuistic manner in which the prescriptions of the rule are treated. It declares that St. Francis wished to oblige his brothers under mortal sin in all those cases in which he uses commanding words or equivalent expressions, some of which cases are specified. The Constitutions "Exiit" and "Exivi" have remained fundamental laws for the Franciscans, although they were in the most important point practically suppressed by John XXII, who in his Bull "Ad conditorem canonum," 8 Dec., 1322 (Bull. Franc., V, 233), renounced on behalf of the Apostolic See the proprietorship of the goods of which the order had the use, declaring (according to the Roman law) that in many things the use could not be distinguished from the property. Consequently he forbade the appointment of an Apostolic syndic. Martin V in "Amabiles fructus," 1 Nov., 1428 (Bull. Franc., VII, 712), restored the former state of things for the Observants.

(2) Private Expositions

Only the earliest ones, which had influence on the development of the order, can be mentioned here. The most important is that of the Four Masters, edited at least six times in old collections of Franciscan texts, under the names of Monumenta, Speculum, Firmamenturn (Brescia, 1502; Salamanca, 1506, 1511; Rouen, 1509; Paris, 1512; Venice, 1513). The chapter of the custodes at Montpellier, 1541, had ordered that the solution of some doubts about the rule should be asked for from each province. We know of two expositions of the rule drawn up on this occasion. Eccleston (c. xii, alias xiii, Analecta Francisc., I, 244) speaks of the short but severe exposition which the friars in England sent to the general, beseeching him by the blood of Jesus Christ to let the rule stand as it was given by St. Francis. Unfortunately, the text of this declaration has not been handed down. We have, however, that of the province of Paris, issued on the same occasion by four masters of theology, Alexander of Hales, Jean de la Rochelle, Robert of Bastia, and Richard of Cornwall. The custos Godfried figures only as an official person. This interesting exposition of the rule, and the most ancient, for it was written in the spring of 1242, is short and treats only some dubious points, in conformity with the Bull "Quo elongati" and two later decisions of Gregory IX (1240, 1241). Their method is casuistic. They propose doubts, resolve them, and sometimes leave the questions to the superiors, or invoke a decision of the pope, although they speak twice (c. ii, ix) of the possible danger for the pure observance of the rule, if too many papal privileges are obtained. The work of the Four Masters has had the same effect on subsequent private expositions as the Bull "Quo elongati" had on all following pontifical declarations. The most prolific writer on the Rule of St. Francis was St. Bonaventure, who was compelled to answer fierce adversaries, such as Guillaume de Saint-Amour and others. His treatises are found in the Quaracchi edition of his works, VIII, 1898 (see BONAVENTURE, SAINT). The standpoint of St. Bonaventure is observance of the rule as explained by the papal declarations and with wise accommodation to circumstances. He himself exercised great influence on the decretal "Exiit" of Nicholas III.

About the same time as St. Bonaventure, Hugo of Digne (d. about 1280) wrote several treatises on the rule. His exposition is found in the above-mentioned collections, for instance in the "Firmamentum" (Paris, 1512), IV, f. xxxiv, v. (Venice, 1513), III, f. xxxii, v. John of Wales (Guallensis) wrote before 1279 an exposition, edited in "Firmamenturn" (Venice, 1513), III, f. xxviii, v. In his treatise "De Perfectione evangelica," John of Peckham has a special chapter (c. x) on the Franciscan rule, often quoted as an exposition, "Firmamentum," ed. 1512, IV, f. xciv, v; 1513, III, f. lxxii, r. David of Augsburg's sober explanation, written before the Bull "Exiit," is edited in great part by Lempp in "Zeitschrift für Kirchengeschichte," vol. XIX (Gotha, 1898-99), 15-46, 340-360. Another expositor of the Franciscan rule towards the end of the thirteenth century was Pierre Johannis Olivi, who, besides a methodical exposition (Firmamentum, 1513, III, f. cvi, r.), wrote a great number of tracts relating to Franciscan poverty. These treatises, comprised under the name "De perfectione evangelica" are not yet printed in their entirety [see Ehrle, "Archiv für Litteratur-und Kirchengeschichte," III, 497, and Oliger, "Archivum Franciscanum Historicum" (1908), I, 617]. The theories of poverty taught by Olivi exercised great fascination over the Spirituals, especially over Angelo Clareno (d. 1337), whose exposition of the rule will shortly published by the present writer. Of others who directly or indirectly exposed the rule, or particular points of it, we can only name the best known, according to the centuries in which they lived. Fourteenth century: Ubertino of Casale, Gundisalvus of Vallebona, Petrus Aureoli, Bartholomew of Pisa, Bartholo di Sassoferrato (a lawyer). Fifteenth century: St. Bernardine of Siena, St. John Capistran, Cristoforo di Varese (not published), Alessandro Ariosto (Serena Conscientia), Jean Perrin, Jean Philippi. Sixteenth century: Brendolinus, Gilbert Nicolai, Antonio de Cordova, Jerome of Politio (O.Cap.), Francis Gonzaga. Seventeenth century: Peter Marchant, Pedro of Navarre, Mattheucci, De Gubernatis. Eighteenth century: Kerkhove, Kazenberger (several times reedited in nineteenth century), Castellucio, Viatora Coccaleo (O.Cap.), Gabrielle Angelo a Vincentia. Nineteenth century: Benoffi, O.M.Con. (Spirito della Regola de' Frati Minori, Rome, 1807; Fano, 1841) Alberto a Bulsano (Knoll, O.Cap.), Winkes, Maas, Hilarius Parisiensis (O.Cap.), whose learned but extravagant work has been put on the Index of forbidden books. Finally, Bonaventure Dernoye (Medulla S. Evangelii per Christum dictata S. Francisco in sua seraphica Regula, Antwerp, 1657) and Ladislas de Poris (O.Cap.), Meditations sur la Règle des Freres Mineurs (Paris, 1898) have written voluminous works on the rule for purposes of preaching and pious meditation.

The Rule of St. Francis is observed today by the Friars Minor and the Capuchins without dispensations. Besides the rule, both have their own general constitutions. The Conventuals profess the rule "juxta Constitutiones Urbanas" (1628), in which all former papal declarations are declared not to be binding on the Conventuals, and in which their departure from the rule, especially with regard to poverty, is again sanctioned.

Bibliography

TEXTS: -- The original of the Bull "Solet annuere" is preserved as a relic in the sacristy of S. Francesco at Assisi. The text is also found in the registers of Honorius III, in the Vatican Archives. Facsimiles of both and also of "Exiit " and "Exivi" are published in "Seraphicae Legislationis Textus Originales" (Rome, 1901). The texts alone "Seraphicae Legislationis Textus Originales" (Quaracchi, 1897). Critical editions of the rules, with introductions on their origin: Opuscula S.P. Francisci (Quaracchi, 1904); BOEHMER, Analekten zur Geschichte des Franciscus von Assisi (Tuebingen, Leipzig, 1904). The papal decretals on the rule: SBARALEA, Bullarium Franciscanum, I-III (Rome, 1759-1765), V-VII (Rome, 1898-1904). English translations of the second and third rule: Works of...St. Francis of Assisi (London, 1882), 25-63; critical edition: PASCHAL ROBINSON, The Writings of St. Francis of Assisi (Philadelphia, 1906), 25-74; DE LA WARR, The Writings of St. Francis of Assisi (London, 1907), 1-36.
LITERATURE: -- CARMICHAEL, The Origin of the Rule of St. Francis in Dublin Review, CXXXIV, n. 269 (April, 1904), 357-395; MUELLER, Die Anfaenge des Minoritenordens und der Bussbruderschaften (Freiburg im Br., 1895). A good corrective of Mueller is EHRLE, Controversen ueber die Anfaenge des Minoritenordens in Zeitschrift für kath. Theologie (1887), XI, 725-746; IDEM, Die Spaltung des Franciscanerordens in die Communitaet und die Spiritualen in Archiv für Litteratur- und Kirchengeschichte (Berlin, 1887), III, 554 sq.; SCHNUERER, Franz von Assisi (Munich, 1905), 81-109; FISCHER, Der heilige Franziskus von Assisi waehrend der Jahre 1219-1221 (Fribourg, 1907). Very little has been written on the old expositors of the rule. See however: HILARIUS PARISIENSIS, Regula Fratrum Minorum juxta Rom. Pontificum decreta et documenta Ordinis explanata (Lyons, Paris, 1870), X-XXX. A list of all the expositors till the middle of the seventeenth century is given by SBARLEA, Supplementum ad Scriptores Ord. Min. (Rome, 1806), LXIX.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VI, New York, 1909 (http://www.newadvent.org/cathen/06208a.htm)

Augustinus
03-10-07, 11:58
http://www.bloogs.com/ducadegandia/uploaded_images/death_s.francis-714031.jpg Jose Alda, Morte di S. Francesco, 1916

http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.PFA.1425710.7055475/172062.JPG Albert Chevallier Tayler, S. Francesco, 1898, collezione privata

http://img432.imageshack.us/img432/9029/grp04212830122005ga7.jpg Juan Van Der Hamen, Apparizione dell'Immacolata Concezione a S. Francesco d'Assisi, XVI - XVII sec.

Augustinus
03-10-07, 23:56
San Francesco, il rivoluzionario di Dio

Intervista al Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani

ROMA, mercoledì, 3 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Era il tramonto del 3 ottobre del 1226 quando Francesco di Assisi spirò. Il 16 luglio 1228 Papa Gregorio IX proclamò Santo il Poverello d'Assisi, alla presenza della madre, madonna Pica, del fratello Angelo e altri parenti, del Vescovo Guido di Assisi, di numerosi Cardinali e Vescovi e di una folla di popolo mai vista, fissandone la festa al 4 ottobre.

Le cronache raccontano di un uomo che visse in maniera radicale il Vangelo, innamorato di Cristo, e che incentrò nella contemplazione del Presepe e del Calvario la sua esperienza spirituale. Compì azioni straordinarie a servizio della Chiesa, morì portando nel corpo le stimmate, segni della passione di Gesù.

La sua fama e la sua testimonianza cristiana si è mantenuta così viva nella storia che Pio XII lo proclamò Patrono d'Italia, il 18 giugno 1939, indicandolo come il “più italiano dei santi e più santo degli italiani”.

Negli ultimi decenni, però, la figura di San Francesco è stata utilizzata da una cultura a metà fra quella hippy e quella new age, al fine di giustificare un ideologia pacifista ed ecologista i cui contenuti si sono mostrati molto ambigui, in alcuni casi in contrasto con la figura del Creatore e contrari alla difesa della vita.

Per cercare di conoscere più a fondo la spiritualità e la storia di questo Santo, ZENIT ha intervistato padre Pietro Messa, Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma, che quest'anno ha dato inizio ad un master di secondo livello in "Medioevo francescano" (cfr. www.antonianum.eu).

Una certa cultura ecologista contraria alle nascite e con caratteristiche neomalthusiane sostiene che San Francesco era un ambientalista che condivideva l'amore per tutto ciò che era naturale e si opponeva alle attività umane. Qual è la realtà sulla sensibilità di San Francesco nei confronti del mondo naturale?

Messa: Innanzitutto ogni volta che ci si accosta ad una persona, anche del passato sono importanti, contrariamente a quello che solitamente si afferma, le cosiddette "barriere dell'io" per evitare una fusione con - ossia una con-fusione - con l'altro. Questo vale anche nell'approcciare a Francesco d'Assisi, a proposito del quale spesso, in nome di una ricerca di attualità, gli si attribuiscono problemi attuali, come l'ecologia, il dialogo interreligioso, la globalizzazione, estranei al suo contesto storico e religioso.

Preso atto di questo e che per conoscere la sua esperienza bisogna attenersi alle fonti, soprattutto gli scritti, dobbiamo riconoscere che la sua opera a cui ci si appella ogni volta che si parli del suo rapporto con la natura è il "Cantico di frate sole" conosciuto anche come "Cantico delle creature". Si tratta di una preghiera al Signore in cui in contemporanea si loda l'Onnipotente per le sue creature e si invita quest'ultime a lodare il loro Creatore.

Quale ruolo svolge l'umanità nel contesto del “Cantico delle creature”? Ci sembra di capire che insieme alle lodi al Signore, i benefici del sole che scalda, dell'acqua che disseta, sono tutti riferiti al bene dell'uomo...

Messa: Il centro di tutto è l'Altissimo a cui va riferita ogni lode, gloria e onore; tuttavia non è un Dio solitario che con la sua onnipotenza "brucia" ed elimina tutto ciò che lo circonda, ma anzi dà vita e vuole che ci sia altro oltre a sé. Le creature sono menzionate per se stesse, ma pure per le loro caratteristiche delle quali anche l'uomo beneficia, come della luce del fuoco che illumina la notte, l'acqua che è utile e preziosa, la terra che nutre e sostenta tutti noi. In questo testo l'uomo è colui che, in quanto destinatario dei doni del Signore, proclama tale lode contemplando, ossia guardando con stupore, il Creatore e la sua creazione.

L'amore di San Francesco nei confronti del Creatore sembra superare anche le diffidenze umane nei confronti dei danni provocati dagli eventi naturali. Qual è il suo giudizio in proposito?

Messa: Il Cantico delle creature fu composto da frate Francesco d'Assisi in un momento di grande disagio presso la chiesa di San Damiano in Assisi, quindi si tratta di un Cantico pasquale in cui nella notte della sofferenza è riconosciuta la presenza luminosa del Signore che fa nuove tutte le cose e illumina anche le tenebre del peccato dell'uomo.

Se vogliamo attingere da tale evento della vita del Santo per il momento attuale possiamo dire che anche i danni causati dalle strutture di peccato che distruggono l'ambiente vengono redenti e che l'uomo salvato dall'incontro con il Risorto diventa capace di relazioni nuove anche con il creato.

Qual è il messaggio cristiano che San Francesco comunica sui temi dell'ambiente, e in che modo è possibile diffonderlo?

Messa: Quella di Francesco d'Assisi è un'esperienza cristiana e quindi lui legge ogni avvenimento alla luce soprattutto del Vangelo. Pertanto non usa mai termini come natura, ambiente, o altri a noi comuni, ma il termine "creature". Gia questo ci parla di un approccio in cui si riconosce l'esistenza di un Creatore che è buono, onnipotente a cui tutti gli uomini e le creature devono guardare. Ciò significa che le creature sono un dono del Signore e che come tali vanno accolte nella gratitudine, ossia nel rendimento di grazie per poi restituirle a lui mediante l'amore per i fratelli. In questo modo si passa dalla gratitudine alla gratuità vivendo un amore ordinato che ha le caratteristiche dell'Eucaristia: "Prese il pane, rese grazie e lo spezzò". Il peccato è appropriarsi di tali doni comportandosi da padri-padroni nei confronti delle creature con le conseguenze di morte che spesso constatiamo.

I Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno parlato in più occasioni di San Francesco e delle sue intuizioni sui temi amabientali. A tal proposito, può indicarci qualche riflessione sul rapporto dell'umanità con il creato?

Messa: Giovanni Paolo II ha dichiarato San Francesco patrono dell'ecologia ed ha indicato Assisi come città della pace, mentre Benedetto XVI ha richiamato che ciò non significa che fosse semplicemente un ambientalista o un pacifista. In questo non ha voluto smentire l'operato del Predecessore, come mostrano i discorsi fatti ad Assisi durante la sua visita del giugno scorso, ma ne ha indicato l'origine che è la conversione al Vangelo [cfr. P. Messa, “Benedetto XVI ad Assisi. Per una ermeneutica di riforma nella continuità, anche con Giovanni Paolo II”, in Forma Sororum, 44 (2007), p. 229-235]. La ricezione di tali insegnamenti nell'ambito cattolico certamente non è terminato: infatti si avverte come una duplice posizione che vede alcuni che trattano di tali temi prescindendo da un approccio cristiano, mentre altri li evitano vedendoli strumentalizzati da ambienti a volte ostili alla fede.

Fonte: Zenit, 3.10.2007 (http://www.zenit.org/article-12090?l=italian)

Augustinus
04-10-07, 12:51
Desidero tanto che tu entri a far parte della famiglia francescana nel Terz'Ordine. Qui potrai attingere e vivere lo spirito evangelico del Serafico Padre. E' mio ardente desiderio che tutti i miei figli spirituali appartengano ad una delle famiglie francescane, per sentirmi vero Padre e Fratello (Padre Pio)

Augustinus
04-10-07, 14:41
http://www.latribunedelart.com/Expositions/Expositions_2007/Gentileschi_Francois.jpg Orazio Gentileschi, S. Francesco sostenuto da un angelo, XVII sec., Richard L. Feigen & Co., New York

http://www.latribunedelart.com/Publications_2005/Rousselet_-_La_Hyre_-_St_Francois.jpg Gilles Rousselet, S. Francesco, XVII sec.

http://www.insecula.com/Photosnew/00/00/10/02/ME0000100297_3.jpg Giulio Cesare Procaccini, Madonna con Bambino tra i SS. Domenico e Francesco e angeli, 1613 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/Ravenna/Classens/Classen1/152.JPG Pittore ignoto romagnolo, S. Francesco confortato dall'angelo, XIX sec., Biblioteca Classense, Ravenna

http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/Forli/FC040/FC040_03/175.JPG Anonimo bolognese, Testa di S. Francesco, XVI sec., Pinacoteca Civica "Melozzo degli Ambrogi", Forlì

http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/Forli/FC040/FC040_01/045.JPG Andrea Felice Bondi, S. Francesco in preghiera con un angelo che gli presenta un'ampolla d'acqua, simbolo della purezza, 1690-99, Pinacoteca Civica "Melozzo degli Ambrogi", Forlì

http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/Forli/FC040/FC040_02/163.JPG Anonimo pittore bolognese, S. Francesco in preghiera (San Francesco con un teschio in mano davanti ad un Crocifisso), 1630-40, Pinacoteca Civica "Melozzo degli Ambrogi", Forlì

http://img262.imageshack.us/img262/4360/img0097ic1.jpg Anonimo pittore cesenate, Madonna col Bambino e i santi Francesco d'Assisi e Antonio da Padova e frate orante, XVIII sec., Pinacoteca Comunale, Cesena

Gino Cerutti
04-10-07, 22:04
Il Cantico delle Creature - Angelo Branduardi
aYdepwbwbeY

Augustinus
04-10-07, 22:48
http://collectionsonline.lacma.org/MWEBimages/eps_mm/full/M81_247.jpg Tanzio da Varallo, Adorazione dei pastori con i SS. Carlo Borromeo e Francesco d'Assisi, 1628 circa, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

http://collectionsonline.lacma.org/MWEBimages/eps_mm/full/M73_6.jpg Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, Estasi di S. Francesco, 1615 circa, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

http://www.fopd.koliber.pl/galeria/franciszek/sf-coello1.jpg http://img261.imageshack.us/img261/4659/francisbh3.jpg Claudio Coello, S. Francesco, 1669, Museo del Prado, Madrid

http://www.fopd.koliber.pl/galeria/franciszek/sf-casselon1.jpg Angelo Cesselon, S. Francesco, XX sec.

http://www.insecula.com/Photos/00/00/08/74/ME0000087453_3.jpg Antoon van Dyck, S. Francesco, XVII sec., Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles

http://www.insecula.com/Photos/00/00/08/74/ME0000087463_3.jpg Petrus Paulus Rubens, L'intercessione della Vergine e di S. Francesco fermano i fulmini divini, XVII sec., Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles

http://livres-mystiques.com/partieTEXTES/Fdassise/StFrancois.jpg

Augustinus
04-10-08, 08:16
http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisofAssisi/St%20Francis%20of%20Assisi-FounderSaint.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisofAssisi/St%20Francis%20of%20Assisi-FounderSaint-dtl.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisofAssisi/St%20Francis%20of%20Assisi-FounderSaint-insc.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/FrancisofAssisi/St%20Francis%20of%20Assisi-FounderSaint-book.jpg Carlo Monaldi, S. Francesco d'Assisi, 1727, Basilica di S. Pietro, Città del Vaticano, Roma

Augustinus
04-10-08, 08:35
http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01478a01nf2002.jpg Anton van Dyck, S. Francesco d'Assisi, 1627-32, Museo del Prado, Madrid

Augustinus
04-10-08, 08:47
http://www.catholictradition.org/Passion/assisi14.jpg Pietro da Cortona, La Vergine offre il Bambino Gesù a S. Francesco, XVII sec.

http://www.catholictradition.org/Passion/assisi11.jpg Denys Calvaert, S. Francesco adorante il Bambino Gesù offertogli dalla Vergine, 1607

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/ZJZXAM/07-521968.jpg http://www.louvre.fr/media/repository/ressources/sources/illustration/autres/image_121004_v2_m56577569831188913.jpg Domenichino, Apparizione della Vergine del Bambino Gesù a S. Francesco, XVII sec., musée du Louvre, Parigi

http://www.repro-tableaux.com/kunst/jean_jouvenet/death_francis_xou231723_hi.jpg Jean Jouvenet, La morte di S. Francesco, 1713 circa, Musée des Beaux-Arts, Rouen

Augustinus
04-10-08, 09:31
http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/M1982/M1982_1_2_589.jpg Jacques Callot, S. Francesco, 1630-36, Auckland Art Gallery, Auckland, Nuova Zelanda

Augustinus
04-10-08, 14:07
DIE 4 OCTOBRIS

SANCTI FRANCISCI

CONFESSORIS PATRON. PRINC. TOT. ITALIAE

Duplex majus

Introitus

Gal. 6, 14

VMIHI autem absit gloriári, nisi in cruce Dómini nostri Jesu Christi, per quem mihi mundus crucifíxus est, et ego mundo. Ps. 141, 2. Voce mea ad Dóminum clamávi: voce mea ad Dóminum deprecátus sum. V/. Glória Patri. Mihi autem.

Oratio

DEUS, qui Ecclésiam tuam, beáti Francísci méritis fetu novae prolis amplíficas: tríbue nobis; ex ejus imitatióne, terréna despícere, et caeléstium donórum semper participatióne gaudére. Per Dóminum.

Léctio Epístolae beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas

Gal. 6, 14-18

FRATRES: Mihi autem absit gloriári, nisi in cruce Dómini nostri Jesu Christi: per quem mihi mundus crucifíxus est, et ego mundo. In Christo enim Jesu neque circumcísio áliquid valet, neque praepútium, sed nova creatúra. Et quicúmque hanc régulam secúti fúerint, pax super illos, et misericórdia, et super Israël Dei. De cétero nemo mihi moléstus sit: ego enim stígmata Dómini Jesu in córpore meo porto. Grátia Dómini nostri Jesu Christi cum spíritu vestro, fratres. Amen.

Graduale. Ps. 36, 30-31. Os justi meditábitur sapiéntiam, et lingua ejus loquétur judícium. V/. Lex Dei ejus in corde ipsíus: et non supplantabúntur gressus ejus.

Allelúja, allelúja. V/. Francíscus pauper et húmilis caelum dives ingréditur, hymnis caeléstibus honorátur. Allelúja.

¶ In Missis votivis Tempore Paschali omittitur Graduale, et ejus loco dicitur:

Allelúja, allelúja. V/. Francíscus pauper et húmilis, cælum dives ingréditur, hymnis cæléstibus honorátur. Allelúja. V/. Ps. 111, 1. Beátus vir, qui timet Dóminum: in mandátis ejus cupit nimis. Allelúja.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaéum

Matth. 11, 25-30

IN ILLO témpore: Respóndens Jesus, dixit: Confíteor tibi, Pater, Dómine caeli et terrae, quia abscondísti haec a sapiéntibus et prudéntibus, et revelásti ea párvulis. Ita, Pater: quóniam sic fuit plácitum ante te. Omnia mihi trádita sunt a Patre meo. Et nemo novit Fílium, nisi Pater: neque Patrem quis novit, nisi Fílius, et cui volúerit Fílius reveláre. Veníte ad me omnes, qui laborátis, et oneráti estis, et ego refíciam vos. Tóllite jugum meum super vos, et díscite a me, quia mitis sum, et húmilis córde: et inveniétis réquiem animábus vestris. Jugum enim meum suáve est, et onus meum leve.

Offertorium. Ps. 88, 25. Véritas mea, et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu ejus.

Secreta

MÚNERA tibi, Dómine, dicáta sanctífica: et, intercedénte beáto Francísco, ab omni nos culpárum labe purífica. Per Dóminum.

Communio. Luc. 12, 42. Fidélis servus et prudens, quem constítuit dóminus super famíliam suam: ut det illis in témpore trítici mensúram.

Postcommunio

ECCLÉSIAM tuam, quaésumus, Dómine, grátia caeléstis amplíficet: quam beáti Francísci Confessóris tui illumináre voluísti gloriósis méritis et exémplis. Per Dóminum.

FONTE (http://www.clerus.org/bibliaclerusonline/pt/oa.htm#b3k)

Holuxar
04-10-15, 20:06
4 ottobre: San Francesco d'Assisi (https://forum.termometropolitico.it/607403-4-ottobre-san-francesco-d-assisi.html)
https://forum.termometropolitico.it/607403-4-ottobre-san-francesco-d-assisi.html#post14799490

Oggi, 4 ottobre 2015, riporto su questa vecchia discussione per ricordare nuovamente San Francesco d'Assisi, illustre Patrono d'Italia...
Vi riporto vari articoli sul Santo umbro-occitano di interesse notevole, per meglio comprendere in senso davvero ed integralmente cattolico il suo pensiero e la sua vita...
In Ricordo di San Francesco d'Assisi, nato Giovanni di Pietro Bernardone (Assisi 1181 o 1182 – Assisi 3 ottobre 1226)...



Radio Spada (https://www.facebook.com/rrradiospada?fref=nf)
“4 OTTOBRE 2015: SAN FRANCESCO D'ASSISI, CONFESSORE E PATRONO D'ITALIA E DELLE ISOLE ADIACENTI (CON MEMORIA E ULTIMO VANGELO DELLA XIX DOMENICA DOPO PENTECOSTE).
La conformazione a Cristo.
Nella lettera ai Romani l'Apostolo san Paolo ci dà la regola di ogni santità con le parole: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagines Filii sui..." (Rom 8,29). Conformarci al divino modello, che si chiama Gesù.. È la conformità al Figlio di Dio, acquistata con la virtù, che fa i santi.
Celebriamo oggi un Santo, che fu copia ammirabile di Cristo Gesù, che il Sommo Pontefice Leone XIII chiama il più bello dei santi, che Papa Pio XI ci presenta come il santo che pare aver meglio compreso il Vangelo e conformata la vita al divino modello.
San Francesco infatti è un altro Cristo. Ha cercato Cristo, lo ha seguito, lo ha amato, lo ha dato agli altri, Cristo Gesù è tutta la sua vita. Non ci fermiamo sulle tradizioni graziose che vogliono che Francesco sia nato in una stalla, come Gesù, e su un poco di paglia; noi lo vediamo, giovane, arrestarsi improvvisamente in mezzo ai suoi sogni di piaceri e di feste, mentre pensa ad imprese cavalleresche, perché il Cristo di S. Damiano gli parla: "Francesco, che cosa vale di più? Servire il padrone o il servitore?". Francesco è affascinato da queste parole, comincia una vita nuova, apre il Vangelo e vi cerca Cristo cui consacrarsi interamente.
Amore del Vangelo.
Egli fa del Vangelo il suo nutrimento e, trovandovi una celeste soavità, esclama: "Ecco quello che da molto tempo cercavo!". Il Vangelo è suo sostegno, sua consolazione, rimedio a tutte le sofferenze, nelle prove non vuole altro conforto e un giorno dirà ai suoi frati: "Sono saturo di Vangelo, sono pieno di Vangelo". Il Vangelo diventa sua vita e quando vuole dare ai suoi frati una regola, scrive nelle prime pagine: "La regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".
Povertà.
Ma il Vangelo è la storia dell'abbassamento del Figlio di Dio fino a noi e del suo amore per le nostre anime, è il Cristo povero, umile, piccolo, compassionevole e misericordioso, il Cristo Apostolo, il Cristo che ci ama e muore per noi. San Francesco, che lo ha scelto come regola di vita, lo vive alla lettera. Sull’esempio di Gesù, egli abbraccia la povertà e, davanti al Vescovo di Assisi si spoglia delle sue vesti, le restituisce al padre dicendo: "Adesso potrò veramente dire: Padre nostro, che sei nei cieli". E comincia la sua vita di povertà, povertà gioiosa e tutta piena di sole, non la povertà gelosa e afflitta, che troppo spesso vediamo nel mondo, povertà volontaria e amata. Va a tendere la sua mano delicata per le vie di Assisi ed è respinto come se fosse un pazzo, ma resta l'amante della povertà e, al momento della morte, è sua consolazione suprema essere stato fedele a "Madonna Povertà".
Umiltà.
Il Vangelo è Gesù Cristo umile e piccolo: parvus Dominus, il Grande piccolo Gesù, come lo chiama san Francesco. Egli medita questo insegnamento e si fa "l’umile Francesco", come lo chiamo l'autore dell'Imitazione. Si considera l'ultimo degli uomini, il più vile peccatore, e soffrire, essere disprezzato è per lui gioia perfetta e dà ai suoi figli il nome di Minori, cioè piccoli.
Misericordia.
Il Vangelo è Gesù Cristo compassionevole e misericordioso e, sul suo esempio, il cuore di Francesco è tutto pieno di misericordia. San Bonaventura, scrivendo la sua vita, ci dice: "La benignità, la bontà del nostro Salvatore Gesù Cristo è apparsa nel suo servo Francesco". Egli stesso, all'inizio del suo testamento, scrive: "Il Signore mi fece la grazia di cominciare a fare penitenza, perché quando ero nel peccato mi sembrava troppo amaro vedere dei lebbrosi, ma fui verso di loro misericordioso e quello che mi pareva amaro diventò per me dolcezza dell'anima e del corpo".
Francesco era misericordioso verso tutti i miseri e alla Tribuna del Parlamento italiano gli fu resa questa testimonianza: "Se san Francesco di Assisi non ha fondato istituzioni di carità, ha versato nel mondo tale una corrente di carità, che dopo sette secoli, nessuna opera di carità è stata fondata senza che egli ne sia stato ispiratore".
Apostolato.
Il Vangelo è Gesù Cristo apostolo. Egli è venuto perché gli uomini sentissero la parola di vita e con quale amore lascia cadere dal suo labbro le sue intenzioni divine! E Francesco, sulle orme di Cristo, si fa apostolo, traccia nell'aria il segno della Croce e manda i suoi discepoli ai quattro angoli del mondo. Egli ha capito bene le parole di Gesù: "Andate e insegnate a tutte le nazioni". Primo fra tutti i fondatori di Ordini moderni, manda i suoi figli nelle regioni infedeli e quando, dopo qualche mese, viene a sapere che cinque di essi hanno colto, nel Marocco, la palma del martirio, esclama con gioia: "Finalmente ho dei Vescovi!" I suoi vescovi erano i martiri. Dopo aver fondata l'opera sua, non sogna per sé che di offrire a Gesù la testimonianza del sangue e tre volte passa i mari, va a predicare Cristo fino alla presenza del Sultano infedele, ma Dio gli riserva un altro martirio per il giorno in cui gli manderà un Angelo a incidergli nelle sue carni le piaghe del divino Crocifisso.
Il dono di sé.
Il Vangelo è Gesù, che si dona e si immola e, come Gesù, Francesco si dona a sua volta. "Questo povero, piccolo uomo, dice san Bonaventura, non aveva che due cosa da offrire: il suo corpo e la sua anima". Dona a Dio il suo corpo con la penitenza e sappiamo come egli trattasse il suo corpo. Aveva diviso l'anno in nove quaresime successive, si contentava di pane secco e si rifiutava anche l'acqua necessaria alla sua sete, per non cedere alla sua sensualità. Era suo letto la terra nuda, suo cuscino un tronco di quercia e, tormentato spesso da malattie, ringraziava il Signore perché non lo risparmiava. Chiedeva a Dio di soffrire cento volte di più, se era sua volontà. Dava poi a Dio la sua anima con la preghiera e con lo zelo.
Ma san Francesco non è soltanto discepolo fedele di Cristo, perché copia la vita e le virtù del Maestro, ma è soprattutto il Santo dell'amore serafico. Egli è entrato nel Cuore di Gesù, ha compreso il Cuore di Gesù e gli rende amore per amore.
Amore dell’Eucaristia.
Con l'amore del Vangelo, un altro amore consuma il cuore di Francesco: l'amore dell'Eucaristia! Il mistero eucaristico era fatto apposta per attirare la sua anima serafica! Un Dio disceso dal cielo per salvarci, fattosi carne in forma umana e morto sul Calvario come un delinquente, si abbassa ancora fino a prendere la forma di una piccola ostia, per unirsi a noi e farsi nostro cibo; un Dio, che, dopo la follia della Croce, giunge alla follia dell'Eucaristia e sta imprigionato nel tabernacolo, per attenderci e per riceverci, è un mistero ineffabile, che desta l'ammirazione delle anime amanti. Francesco, il grande amante del Vangelo, in cui trovava la parola vivente ed eterna di Gesù, il grande amante della Croce, in cui vede l'amore sacrificato, ama pure l'ostia dove è l'amore vivente, l'amore che si dona, l'amore che attira e trasforma le anime generose e pure! Per l'ostia egli corre a riparare i tabernacoli, per l'ostia va per le campagne a ripulire e ornare le chiese povere e abbandonate, per l'ostia dimentica la povertà e manda i frati a disporre sugli altari vasi d'oro e d'argento, per l'ostia si prostra lungo la via, quando vede spuntare la guglia di un campanile e passa ore davanti al tabernacolo, tremante per il freddo, in adorazione e in amore. Fa celebrare la Messa tutti i giorni e con fervore si comunica tutti i giorni.
In un'epoca in cui spesso il sacerdozio è avvilito, ricorda ai sacerdoti la loro grandezza. "Il vedo in essi il Figlio di Dio" e si mette in ginocchio davanti al sacerdote, e gli bacia le mani. Egli, il piccolo diacono, che si giudica indegno di salire l'altare, scrive a cardinali, a vescovi, a principi: "Vi prego, miei signori, baciando le vostre mani, fate in modo che il Corpo di Gesù sia trattato degnamente e da tutti debitamente rispettato". E Francesco prepara all'ostia anime adoratrici, circonda di anime vergini il tabernacolo con le Clarisse e ciborio, giglio, corona di spine diventano le armi di S. Damiano.
Vangelo, Croce, Eucaristia sono i grandi amori, che formano l'anima di Francesco, il segreto della sua azione nella Chiesa. Dopo aver cercato Gesù, dopo aver vissuto di Lui, dopo averlo amato, Francesco poteva attendere la morte, senza averne paura,. La grande Teresa d'Avila, mentre stava per morire esclamava: "È tempo di vederci, Gesù mio!". Francesco, nelle stese circostanze, si mette a cantare: "Voce mea ad Dominum clamavi, ad Dominum deprecatus sum. Chiamo il Signore con tutta la mia voce e prego il mio Signore". "Me exspectant iusti... I giusti mi attendono, essi vogliono essere testimoni della ricompensa che Dio mi darà" (Sal 140,1).
Quale incontro sarà quello dell'anima di Francesco con il Signore! Ricordiamo il quadro del Murillo, che ci presenta Cristo mentre stacca un braccio dalla croce e attirà a sé l'umile Francesco, per stringerlo al cuore. È questa la morte di Francesco. Con uno slancio sublime l'anima sua si getta tra le braccia di Dio e va a godere l'amore, che non ha fine.
VITA. - Francesco nacque ad Assisi nel 1182 e fin dalla giovinezza si mostrò caritatevole verso i poveri. Una malattia fu l'inizio di una vita di perfezione e risolvette di dare tutto quanto possedeva. Suo padre pretese la rinuncia all'eredità e Francesco rinunciò volentieri, spogliandosi tosto anche degli abiti che indossava. Fondò con alcuni compagni l'Ordine dei Frati Minori, che ebbe l'approvazione di Papa Innocenzo III. Francesco mandò i suoi religiosi a predicare dappertutto ed egli stesso, desideroso del martirio, partì per la Siria, ma avendo raccolto soltanto onori, tornò in Italia dove fondò presso la Chiesa di S. Damiano un Ordine di vergini, sotto la direzione di santa Chiara, e il Terz'Ordine, per dare anche alle persone viventi nel mondo un mezzo efficace di santificazione nella pratica delle virtù religiose. Nel 1224, mentre pregava sul monte Alvernia, gli apparve un serafino, che impresse nel suo corpo le piaghe di Crocifisso, in segno dell'amore che il santo nutriva per il Signore. Due anni dopo Francesco, molto ammalato, si fece portare alla chiesa di S. Maria degli Angeli e vi morì dopo aver esortato i suoi frati Minore ad amare la povertà, la pazienza e a difendere la fede della Chiesa Romana. Gregorio IX, che lo aveva conosciuto profondamente, lo iscrisse poco appresso nel catalogo del Santi.
Preghiera di san Francesco.
"Grande e magnifico Dio, mio Signore Gesù Cristo! Io ti supplico di darmi luce, di rischiarare le tenebre dell'anima mia. Dammi fede retta, speranza sicura, carità perfetta. Concedimi, o Signore, di conoscerti bene, per poter in tutte le cose agire nella tua luce secondo la tua volontà".
La Chiesa in rovina.
Così tu pregavi spesso e a lungo davanti al Crocifisso della vecchia chiesa di S. Damiano. E un giorno dal Crocifisso scese una voce che solo il tuo cuore poteva percepire e diceva: "Va', Francesco, ricostruisci la mia casa, che sta per crollare". E tu, tremante e felice insieme, rispondesti: "Andrò con gioia, o Signore, a fare quanto mi chiedi!".
La casa che stava per crollare era senza dubbio la vecchia e solitaria cappella di S. Damiano, ma il Signore pensava soprattutto alle rovine, accumulatesi nel corso degli ultimi secoli nella sua Chiesa.
L'Ordine dei Minori.
Il Papa, che lo aveva compreso, approvò l'Ordine dei Minori, che con il suo fervore, il suo amore per la povertà, lo zelo apostolico, non solo avrebbe riparato le rovine della Chiesa di Cristo, ma sarebbe andato a costruire nuove cristianità nelle terre infedeli, col sangue dei migliori suoi figli.
Dalla gloria del cielo, dove il Signore ti concede ora così grande e gloriosa ricompensa, degnati, o san Francesco, di non dimenticare la Chiesa per cui non hai risparmiato fatiche.
Aiuta i tuoi figli, che proseguono l'opera tua nel mondo intero, e possano essi crescere in numero e in santità, prodigandosi sempre nell'insegnamento con la parola e con l'esempio.
Prega per tutto lo stato religioso, che acclama in te uno dei suoi Patriarchi illustri e tu, amico di san Domenico, mantieni tra le due famiglie quella fraternità, che non venne mai a mancare, conserva per l'Ordine Benedettino i sentimenti, che sono in questo giorno la tua gioia, stringendo ancora e legami, che il dono della Porziuncola ha annodato per l'eternità con i tuoi benefici (Porziuncola era una piccola proprietà dei Benedettini del Monte Subasio, ceduta a san Francesco, per essere la culla del suo Ordine).
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1138-1144.”


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http://www.riscossacristiana.it/san-francesco-antimoderno/
LA RISCOSSA CRISTIANA - LIBRI: Guido Vignelli - SAN FRANCESCO ANTIMODERNO - Fede e Cultura, 2009 (http://lariscossacristiana-libri.blogspot.it/2009/11/guido-vignelli-san-francesco.html)
Guido Vignelli - SAN FRANCESCO ANTIMODERNO - Fede e Cultura, 2009 (http://lariscossacristiana-libri.blogspot.it/2009/11/guido-vignelli-san-francesco.html)

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La verità su San Francesco per confutare lo “spirito di Assisi” di Piero Vassallo
Nell’ambiente costituito dagli studiosi cattolici, che s’ispirano alla dottrina controrivoluzionaria di Plinio Correa de Oliveira, Guido Vignelli
primeggia per il singolare acume, la mai vana erudizione e il garbato senso dell’umorismo.
La conferma delle invidiabili qualità di Vignelli si trova nel pregevole saggio “San Francesco antimoderno”, un testo agile benché sostenuto da un apparato bibliografico ingente che è pubblicato nella collana “Lepanto” dalla casa editrice Fede k Cultura di Verona, in occasione dell’ottavo centenario dell’Ordine francescano.
Secondo Fabio Bernabei, l’autore dell’introduzione, la finalità del saggio è rammentare ai cattolici “adulti”, variamente disinformati, cioè fuorviati dalla scuola bolognese o tarantolati dalle scolastiche tardo-sessantottine, che “il più santo degl’Italiani e il più italiano dei santi” ha assegnato ai suoi compatrioti la missione di vivere nell’intransigente zelo per la gloria di Dio e nella generosa dedizione alla Chiesa cattolica.
Negli anni tormentati del postconcilio, uno sciame di giornalisti teologizzanti e di teologi appiattiti sul giornalismo, ha, infatti, deformato la biografia del Serafico, fino ad abbassarla a quella figura “melensa, smidollata, imbelle, remissiva e permissiva”, che è presa a modello pseudo profetico dai cristiani che l’effervescente spirito di Assisi ha istigato al pellegrinaggio nelle paludi dell’errore moderno.
Il compito di cui Vignelli si è fatto carico non era certamente dei più facili, data l’ sterminata mole della biblioteca francescana e, sopra tutto, dato l’incontrastato potere esercitato dai paroliberieri progressisti, che leggono obliquamente e sentenziano in acrobazia. Dai pulpiti prestigiosi che sono allestiti su mandato di poteri forti nell’avversione alla verità cattolica.
Per abbattere la selvaggia e gongolante foresta di favole piantate intorno alle presunte anticipazioni francescane del modernismo, del socialismo, del pacifismo, del contraffatto ecumenismo, del pauperismo, dell’ecologismo, del nudismo e dell’anticlericalismo era necessaria oltre la sgradevole lettura della torrentizia letteratura conformista, una conoscenza puntuale degli scritti di San Francesco, delle numerose testimonianze sulla sua vita e sulla sua dottrina, degli insegnamenti del magistero romano in materia e dei saggi degli autori probati.
Una fatica enorme, che Vignelli ha sostenuto per dare una solida base scientifica alle tesi esposte nel saggio i questione.
La pubblicazione di un saggio tanto documentato quanto accessibile al lettore medio è un colpo indirizzato alla vulgata cattoprogressista e andato a segno grazie all’uso elegante e umile dell’erudizione.
Vignelli ha ottenuto questo brillante risultato perché la sua vita e la sua cultura sono indenni dalla spocchia e dalla pedanteria accademica. E’ dunque auspicabile che il suo saggio abbia la vasta diffusione che merita un così importante contributo alla restaurazione ultimamente in atto del pensiero cattolico.

il libro può essere richiesto direttamente alla Casa Editrice Fede e Cultura (http://www.fedecultura.com/)

per tornare in copertina, clicca qui (http://www.lariscossacristiana.com/)"




Libri e pubblicazioni (http://www.lepanto.org/wsite/libri/)

http://www.lepanto.org/wsite/wp-content/uploads/2011/02/SanFrancesco-213x300.jpg (http://www.lepanto.org/wsite/wp-content/uploads/2011/02/SanFrancesco.jpg)

"SAN FRANCESCO ANTIMODERNO (Guido Vignelli)
Chi fu san Francesco d’Assisi? Fu davvero quel bislacco personaggio pacifista, filoislamico, “animalista”, rivoluzionario e anarcoide, propagandato da molti suoi biografi e diffuso fra le masse da libri, giornali, romanzi, fumetti, musical, commedie, film e telefilm?
O piuttosto questa è una grossolana e interessata falsificazione che ha prevalso solo perché non è stata adeguatamente contrastata?
Restituendo la parola al santo stesso, ai suoi primi biografi e alle fonti originarie, e appoggiandosi su alcuni probati auctores,l’autore qui confuta questa falsa immagine restituendoci la vera identità del Serafico: il quale fu un riformatore austero, intransigente, combattivo, nobile e generoso, insomma un santo tipicamente medioevale e provocatoriamente “antimoderno”.
Proprio per questo, egli risulta di sconcertante e affascinante attualità e in particolare costituisce un modello, un monito e un incoraggiamento per gl’Italiani in crisi del nostro tempo, affinché ricuperino la loro missione religiosa e civile guarendo da vizi antichi e riscattandosi da colpe recenti.
Guido Vignelli
SAN FRANCESCO ANTIMODERNO
Difesa del Serafico dalle falsificazioni
Fede&Cultura, Verona 2009, € 7,00
ISBN: 978-88-6409-028-3"




La differenza tra il pauperismo e la povertà cristiana | UCCR (http://www.uccronline.it/2013/06/11/la-differenza-tra-il-pauperismo-e-la-poverta-cristiana/)
"La differenza tra il pauperismo e la povertà cristiana (http://www.uccronline.it/2013/06/11/la-differenza-tra-il-pauperismo-e-la-poverta-cristiana/)11 giugno 2013 di Francesco Agnoli (http://www.uccronline.it/2010/04/06/amministratori-del-sito/#agnoli)* *scrittore e saggista da Il Foglio 18/04/13

http://www.uccronline.it/wp-content/uploads/2013/06/Francesco-dAssisi.jpg

Quando si parla di san Francesco, il pensiero corre al Cantico delle Creature, che tutti abbiamo studiato come primo documento della letteratura volgare. Riassunto in soldoni, il Cantico insegna ad andare a Dio tramite le sue creature. Dice cioè di un amore per la realtà, per il mondo, per il suo essere portatore di tracce divine. Come osservando un quadro di Giotto o la Pietà di Michelangelo riusciamo a comprendere qualcosa dell’intelligenza, della genialità dei due artisti, così il Sole, la Luna, l’acqua, il fuoco sono doni di Dio, che a lui ci devono condurre.
Dalle creature al Creatore; dalle “perfezioni” visibili, a quelle invisibili. Poi il pensiero corre a Madonna Povertà, di cui ci parla Dante nell’XI canto del Paradiso, e tutti immaginiamo un uomo che rinuncia alle ricchezze del padre, alle glorie del mondo, per una vita all’insegna dell’amore di Dio, della semplicità, della povertà. Ma la povertà esteriore, il rude saio francescano, mi sembra, è solo l’aspetto più evidente, esteriore, della povertà francescana.
Per questo talora si può ridurre Francesco a un pauperista. In realtà avrebbe faticato di più, senza dubbio, a comunicarlo, ma Francesco sarebbe stato povero, in senso evangelico, anche se fosse stato costretto a vivere in una reggia, a fare il re, il principe o Papa. Del resto, quanti pontefici, quanti sovrani, nella storia, sono stati capaci di un distacco ascetico non solo dalle ricchezze (tentazione, per il vero, degli spiriti più rozzi), quanto dal potere? Ecco dunque che la povertà cristiana di Francesco è anzitutto povertà, diciamo così, dall’orgoglio. I catari, contemporanei di Francesco, vivevano anch’essi una povertà radicale; ma si consideravano “puri”, perfetti, facevano mostra della loro ascesi (in verità disprezzo per la realtà creata), presentandosi come santi. Erano, però, uomini orgogliosi, incapaci di accettare il limite imposto dalla realtà, i limiti della carnalità e della finitudine umana. Dèi, pretendevano di essere, incarcerati nel corpo e nel mondo, tesi a protestare la loro grandezza, la loro divinità, la loro santità, contro la caducità del Sole, della Luna, delle stelle, del corpo… e contro l’ingiustizia e la malvagità degli altri uomini e, a detta loro, di Dio.In cosa consiste allora la povertà di Francesco? Oserei dire nella sua letizia. Così espressa in un celebre fioretto: «Avvenne un tempo che san Francesco d’Assisi e frate Leone andando da Perugia a Santa Maria degli Angeli, il santo frate spiegasse al suo compagno di viaggio cosa fosse la perfetta letizia. Era una giornata d’inverno e faceva molto freddo e c’era pure un forte vento e… mentre frate Leone stava avanti, frate Francesco chiamandolo diceva: “frate Leone, se avvenisse, a Dio piacendo, che i frati minori dovunque si rechino dessero grande esempio di santità e di laboriosità, annota e scrivi che questa non è perfetta letizia“. Andando più avanti san Francesco chiamandolo per la seconda volta gli diceva: “O frate Leone, anche se un frate minore dia la vista ai ciechi, faccia raddrizzare gli storpi, scacci i demoni, dia l’udito ai sordi… scrivi che non è in queste cose che sta la perfetta letizia…”. E così andando per diversi chilometri quando, con grande ammirazione frate Leone domandò: “padre ti prego per l’amor di Dio, dimmi dov’è la perfetta letizia”. E san Francesco rispose: “quando saremo arrivati a Santa Maria degli Angeli e saremo bagnati per la pioggia, infreddoliti per la neve, sporchi per il fango e affamati per il lungo viaggio busseremo alla porta del convento. E il frate portinaio chiederà: chi siete voi? E noi risponderemo: siamo due dei vostri frati. E lui non riconoscendoci, dirà che siamo due impostori, gente che ruba l’elemosina ai poveri, non ci aprirà lasciandoci fuori al freddo della neve, alla pioggia e alla fame mentre si fa notte. Allora se noi a tanta ingiustizia e crudeltà sopporteremo con pazienza ed umiltà senza parlar male del nostro confratello, anzi penseremo che egli ci conosca… allora frate Leone scrivi che questa è perfetta letizia…”.
Cosa dice Francesco? Che chi è povero di sé, chi è povero di orgoglio, cioè chi non lega la propria “autostima”, come si dice oggi, ai fatti, alle circostanze, al successo, alla fama, al riconoscimento degli altri, è veramente lieto. Nessuno infatti può portargli via nulla, perché ciò che gli sta a cuore non sono gli sguardi degli uomini, ma il sentirsi guardato, giudicato, amato da Dio. Cosa importa, alla letizia francescana, se i frati, che lui ha fondato, non aprono la porta? Se proprio chi dovrebbe essere riconoscente, non lo è? Se non solo i nemici, ma persino gli amici, criticano e denigrano ingiustamente? Cosa importa se gli altri esaltano, o se al contrario, diffamano?
Nulla di tutto questo è veramente importante. I francescani potrebbero dire “omnia mea mecum porto”, ma non alla maniera degli stoici: con una umiltà nuova, quella per cui la ricchezza che nessuno potrà mai toglierci è l’essere figli di Dio. E’ la fiducia totale nella sua vicinanza. Quanto più ci saremo spogliati di noi stessi, delle nostre presunzioni e pretese, persino, talora, di quelle giuste, tanto più saremo lieti."


https://escogitur.wordpress.com/2013/03/19/poverta-cristiana-e-pauperismo-ereticale-il-cattolico-ha-il-dovere-di-aiutare-i-poveri-combattendo-la-poverta/
"Povertà cristiana e pauperismo ereticale. Ogni Cattolico ha il dovere di aiutare tutti i bisognosi combattendo la miseria (...)"


https://i2.wp.com/www.papalepapale.com/develop/wp-content/uploads/2011/09/aggiunteultime-2-181x300.jpg




I due Francesco « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=12849)
"Il santo coraggio della verità: quando il poverello d’Assisi sfidò il Sultano alla prova del fuoco dalla Legenda Maior di san Bonaventura:

http://www.agerecontra.it/public/press40/wp-content/uploads/2014/12/SAN-FRANCESCO.jpg (http://www.agerecontra.it/public/press40/wp-content/uploads/2014/12/SAN-FRANCESCO.jpg)

A tredici anni dalla sua conversione, [Francesco] partì verso le regioni della Siria, affrontando coraggiosamente molti pericoli, alfine di potersi presentare al cospetto del Soldano di Babilonia.Fra i cristiani e i saraceni era in corso una guerra implacabile: i due eserciti si trovavano accampati vicinissimi, l’uno di fronte all’altro, separati da una striscia di terra, che non si poteva attraversare senza pericolo di morte. Il Soldano aveva emanato un editto crudele: chiunque portasse la testa di un cristiano, avrebbe ricevuto il compenso di un bisante d’oro. Ma Francesco, l’intrepido soldato di Cristo, animato dalla speranza di poter realizzare presto il suo sogno, decise di tentare l’impresa, non atterrito dalla paura della morte, ma, anzi, desideroso di affrontarla.
Confortandosi nel Signore (1Sam 30,6), pregava fiducioso e ripeteva cantando quella parola del profeta: infatti anche se dovessi camminare in mezzo all’ombra di morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me (Sal 22,4).
Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, che si chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e virtuoso.
Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle, il Santo si rallegrò e disse al compagno: «Abbi fiducia nel Signore (Sir 11,22), fratello, perché si sta realizzando in noi quella parola del Vangelo: “Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”».
Avanzarono ancora e si imbatterono nelle sentinelle saracene, che, slanciandosi come lupi contro le pecore, catturarono i servi di Dio e, minacciandoli di morte, crudelmente e sprezzantemente li maltrattarono, li coprirono d’ingiurie e di percosse e li incatenarono. Finalmente, dopo averli malmenati in mille modi e calpestati, per disposizione della divina provvidenza, li portarono dal Sultano, come l’uomo di Dio voleva. Quel principe incominciò a indagare da chi, e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano giunti fin là.
Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio Altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità.
E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: «Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire» (Lc 21,15).
Anche il Soldano, infatti, vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio, lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui. Ma il servo di Cristo, illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa». Ma il Soldano, a lui: «Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede» (egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida).
E il Santo a lui: «Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco, entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti» (1Cor 1,24; Gv 17,3 e 4,42).
Ma il Soldano gli rispose che non osava accettare questa sfida, per timore di una sedizione popolare. Tuttavia gli offrì molti doni preziosi; ma l’uomo di Dio, avido non di cose mondane ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango.
Vedendo quanto perfettamente il Santo disprezzasse le cose del mondo, il Soldano ne fu ammirato e concepì verso di lui devozione ancora maggiore. E, benché non volesse passare alla fede cristiana, o forse non osasse, pure pregò devotamente il servo di Cristo di accettare quei doni per distribuirli ai cristiani poveri e alle chiese, a salvezza dell’anima sua. Ma il Santo, poiché voleva restare libero dal peso del denaro e poiché non vedeva nell’animo del Soldano la radice della vera pietà, non volle assolutamente accondiscendere.
Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani."


NELL?ATTUALE BABILONIA DIVIENE SEMPRE PIÙ CHIARO L?ENIGMA DELLO «STERMINATORE» « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=11918)
"NELL’ATTUALE BABILONIA DIVIENE SEMPRE PIÙ CHIARO L’ENIGMA DELLO «STERMINATORE»
L’EDITORIALE DEL VENERDI di Arai Daniele
(...) Quindi, riprendo per aggiornare lo scritto intitolato «GRANDE SCISMA E TRIBOLAZIONE MAGNA NELLA CHIESA del 7 agosto, sulla: Profezia di San Francesco d’Assisi, che termina: il Signore Gesù Cristo invierà loro non un degno pastore, ma uno sterminatore.
La grande tribolazione della Chiesa è in atto: il tempo delle nazioni cristiane è scaduto con la generale apostasia e ora il mondo già comincia a saggiare cosa sia il flagello del potere che, in nome della libertà è senza Dio e contro Cristo; il potere dell’Anticristo che, dichiarando il «diritto a ogni libertà» (di cui la «religiosa» è la più alta e inclusiva di tutte), già devasta molte nazioni e di certo presto devasterà l’Europa e tutta la terra.
Poco prima di morire (1226), San Francesco d’Assisi, avendo convocato i fratelli, li avvertì di grandi tribolazioni future. Fu la «profezia» in cui c’è la parola «sterminatore», poi ripetuta anche dal Venerabile Bartolomeo Holzhauser per definire Lutero che si è gloriato di questo nome.
Spesso le profezie suscitano dubbi, ma se i fatti previsti si realizzano, come non rievocarle? Se viviamo un fatto clamoroso relativo alla Fede, perché non legarlo a quanto detto nelle Scritture, nelle profezie dei santi e nel Magistero per avvertire le genti? Si tratta di avere altri dati per identificare neglio la datazione di fatti predetti, quando cominciano a chiarirsi agli occhi di chi vuol capire l’avviso per la difesa del bene più prezioso: la Fede.
Lo stesso si sa dell’infallibile realizzazione di tutto quanto predetto evangelicamente! Per esempio quando il Signore parlò della venuta di falsi cristi e falsi profeti. Questi in passato furono diversi. Ma nel presente, il rappresentante di Cristo in terra è solo uno: il Papa. Quindi, «falso Cristo» è applicabile solo a uno: un falso papa; un anticristo; a chi si farà notare dai frutti di demolizione: uno sterminatore della Tradizione nella Chiesa! Non è forse la situazione che viviamo, pur senza dare autenticità a tante profezie? A questo punto, evochiamo anche la così detta «profezia» di San Francesco, per capire quanto essa possa essere applicabile all’inaudita realtà presente, come fa Blondet.
Magnum in Ecclesia schisma et tribulationem futuram
Dopo aver convocato i suoi fratelli poco prima della sua morte (1226), Francesco ha avvertito su tribolazioni future, dicendo:
“Fratelli agite con forza e fermezza in attesa del Signore. Un periodo di grandi tribolazioni e afflizioni in cui grandi pericoli e imbarazzi temporali e spirituali accadranno; la carità di molti si raffredderà e l’iniquità dei malvagi abbonderà. Il potere dei demoni sarà più grande del solito, la purezza immacolata della nostra comunità religiosa e altri saranno appassiti al punto che ben pochi fra i cristiani vorranno obbedire al vero sommo Pontefice e alla Chiesa Romana con un cuore sincero e perfetta carità. Nel momento decisivo di questa crisi, un personaggio non canonicamente eletto, elevato al soglio pontificio, si adopererà a propinare sagacemente a molti il veleno mortale del suo errore. Mentre gli scandali si moltiplicheranno, la nostra congregazione religiosa sarà divisa tra altre che saranno completamente distrutte, perché i loro membri non si opporranno, ma consentiranno all’errore. Ci saranno così tante e tali opinioni e divisioni tra la gente, e tra i religiosi e i chierici che, se quei giorni malefici non fossero abbreviati, come annunciato dal Vangelo, anche gli eletti cadrebbero nell’errore (se fosse possibile), se in tale uragano non fossero protetti dall’immensa misericordia di Dio. Così la nostra Regola e il nostro modo di vita saranno violentemente attaccati da alcuni. Delle tentazioni terribili sorgeranno. Coloro che supereranno la grande prova riceveranno la corona della vita. Guai a quelli tiepidi che metteranno ogni loro speranza nella vita religiosa, senza resistere saldamente alle tentazioni consentite per provare gli eletti. Coloro che nel fervore spirituale abbracceranno la pietà con la carità e zelo per la verità, subiranno persecuzioni e insulti come se fossero scismatici e disobbedienti. Perché i loro persecutori, spronati da spiriti maligni, diranno che in questo modo prestano grande onore a Dio nell’uccidere e rimuovere dalla terra degli uomini tanto cattivi. Allora il Signore sarà il rifugio degli afflitti e lui li salverà, perché hanno sperato in Lui. E poi per rispettare il loro Capo, agiranno secondo la Fede e sceglieranno di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, acquistando con la morte dalla vita eterna, non volendo conformarsi all’errore e alla perfidia, per assolutamente non temere la morte. Così alcuni predicatori terranno la verità in silenzio e negandola la calpesteranno. La santità di vita sarà derisa da coloro che la professano solo esteriormente e per questa ragione Nostro Signore Gesù Cristo invierà loro non un degno pastore, ma uno sterminatore”.
Opera Omnia S. FRANCISCI ASSISIATIS, col. 430 Paris Imp. Bibliothèque écclésiastique 1880 (dalle annotations de Louis-Hubert Remy)
(...)"


La fonte della profezia di San Francesco:

https://archive.org/stream/MN5094ucmf_2#page/n435/mode/2up



San Francesco, biografia ufficiale (http://www.santiebeati.it/dettaglio/21750)




Luca, Sursum Corda!

Holuxar
05-10-15, 19:40
Ulteriori immagini ed articoli su San Francesco d'Assisi...

Riporto nuovamente anche qui quanto ho già inserito sul forum "Cattolici"...


https://forum.termometropolitico.it/607403-4-ottobre-san-francesco-d-assisi.html#post14802774


http://www.santiebeati.it/immagini/Original/21750/21750BO.JPG


https://forum.termometropolitico.it/124381-san-francesco-d-assisi.html

San Francesco d'Assisi (http://www.santiebeati.it/dettaglio/21750)
"Assisi, 1182 - Assisi, la sera del 3 ottobre 1226.

Francesco nacque ad Assisi nel 1181, nel pieno del fermento dell'età comunale. Figlio di mercante, da giovane aspirava a entrare nella cerchia della piccola nobiltà cittadina. Di qui la partecipazione alla guerra contro Perugia e il tentativo di avviarsi verso la Puglia per partecipare alla crociata. Il suo viaggio, tuttavia, fu interrotto da una voce divina che lo invitò a ricostruire la Chiesa. E Francesco obbedì: abbandonati la famiglia e gli amici, condusse per alcuni anni una vita di penitenza e solitudine in totale povertà. Nel 1209, in seguito a nuova ispirazione, iniziò a predicare il Vangelo nelle città mentre si univano a lui i primi discepoli insieme ai quali si recò a Roma per avere dal Papa l'approvazione della sua scelta di vita. Dal 1210 al 1224 peregrinò per le strade e le piazze d'Italia e dovunque accorrevano a lui folle numerose e schiere di discepoli che egli chiamava frati, fratelli. Accolse poi la giovane Chiara che diede inizio al secondo ordine francescano, e fondò un terzo ordine per quanti desideravano vivere da penitenti, con regole adatte per i laici. Morì nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1228. Francesco è una delle grandi figure dell'umanità che parla a ogni generazione. Il suo fascino deriva dal grande amore per Gesù di cui, per primo, ricevette le stimmate, segno dell'amore di Cristo per gli uomini e per l'intera creazione di Dio.

Patronato: Italia, Ecologisti, Animali, Uccelli, Commercianti, Lupetti/Coccin. AGESCI

Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

Emblema: Lupo, Uccelli
Martirologio Romano: Memoria di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra."


http://www.ilcofanettomagico.it/wp-content/uploads/2009/07/San-Francesco.jpg









http://www.agerecontra.it/public/press40/wp-content/uploads/2015/10/giotto_francesco_particR439.jpg

San Francesco d’Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte) (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=19067)
San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte) « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=19067)
“Il 4 Ottobre è la Festività di S. Francesco, Patrono d’Italia per volontà dell’ultimo Papa, Pio XII. Quest’anno cadeva di Domenica, nella Memoria della XIX dopo Pentecoste. Al termine della Santa Messa si è recitata la Supplica alla Madonna di Pompei, in quanto prima Domenica di Ottobre, particolarmente attuale in questi tempi tribolati per la Chiesa, per l’Italia e per l’Europa. Preghiamo il Santo Rosario ogni giorno, per ottenere le Grazie celesti necessarie.”

http://federiciblog.altervista.org/
San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte)*|*Federici Blog (http://federiciblog.altervista.org/2015/10/03/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-i-parte/)
“Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 76/15 del 3 ottobre 2015, Santa Teresa del Bambin Gesù
Dalla “Storia Sociale della Chiesa”, Vol. V, “La crisi medievale”, Vallardi 1933, pagg. 616-625.
I Francescani, di Mons. Umberto Benigni (prima parte).
«Un uomo ed un ambiente»: questo tema è stato largamente trattato per molti personaggi; ma per nessuno esso s’impone come per S. Francesco. La sua strapotente figura nell’umiltà del «Minore», è veramente la fulgida condensazione di tutto un ambiente, di un doppio ambiente: il locale propriamente detto cioè il paesaggio, e quello del tempo, l’ora volgente, il momento storico.
Francesco è cosi intenso nella sua umanità prostrata e nella sua umanità assorgente, nel Poverello e nel Serafico, che egli é l’umanità del suo tempo in un concentramento supremo cui si presta l’ Umbria mite nei suoi oliveti, austera nelle sue selve d’elce e di cerro. Va subito notato come ambiente locale, che la cosiddetta Umbria consta di un agglomerato fra l’Umbria vera al sud*est del Tevere (dialetto del lu) e quella inserita all’altra sponda nord-ovest che è in realtà l’Etruria meridionale (dialetto d’il). Ebbene quest’ultima non ha dato mai fondatori di notevoli istituti religiosi che pur nacquero nell’Etruria autonoma, la Toscana, con i già menzionati ordini religiosi fondati da senesi e da fiorentini.
Invece l’Umbria propriamente detta che ha la frontiera settentrionale con Assisi, Foligno, Spoleto, Norcia si gloria di avere generato Benedetto e Francesco, due giganti del tipo il più differente. E così fu per le care e gloriose sante, da Scolastica di Norcia a Chiara d’Assisi, cofondatrici dei due immensi istituti, le benedettine e le francescane, oltre Rita da Cascia, Angela di Foligno, Chiara di Montefalco … Due stelle affiorano, non entrano nell’Umbria etrusca: Margherita di Cortona che è toscana, Rosa di Viterbo che è laziale.
L’Umbria etrusca ebbe (lo abbiamo testé veduto) una grande iniziativa che poteva svolgersi magnificamente nel campo ortodosso: le compagnie popolari di penitenza; ma subito esse mostrarono di non essere nate collo spirito che brillava a pochi chilometri da Perugia, ad Assisi: i flagellanti furono un flagello più per le spalle della Chiesa che per le loro.
Come si potrebbe negare che Francesco se inquadri a perfezione nel suo paesaggio umbro, nel profumo agreste delle sue valli e delle sue colline, tutte popolate di monasteri e di romitaggi, di cappelle e di «maestà» come là chiamano le edicole di immagini sacre lungo le vie?
Al disopra del Tevere, Perugia, stretta tra Firenze e Roma, guardava torva al di là del fiume sacro, verso Assisi testa di ponte del ghibellinismo umbro che s’appoggiava su Foligno, e poi guardava in su verso il lago Trasimeno, su cui Cortona era l’Assisi ed Arezzo era la Foligno del nord. Là non si covava che la guerra. Un giorno, Perugia, precorrendo i tempi nostri, assale, senza dichiarazione di guerra, Foligno, e la smantella. Per fortuna della città fulginate la Ginevra d’allora era il Papa che, capo guelfo, obbligò i suoi guelfi rubesti di Perugia a rifare a loro spese le mura demolite; ed i folignati, a scorno di essa, posero il grifo perugino con la testa in giù sulla facciata del loro duomo, ove sta ancora a fare il pollo in vendita. Un altro giorno, una banda di aretini scende verso il lago perugino, acchiappa alcuni giovani sudditi perugini e li impicca con al collo, per dileggio, una collana di lasche (specie di sardine del lago) perché i perugini ne vanno ghiotti e son chiamati mangialasche. I Priori dell’Augusta Turrena si adunano, e giudicano che si poteva aver pazienza per l’impiccagione (ne impiccavano tanti, essi!), ma che l’insulto delle lasche doveva essere lavato nel sangue; e posero l’assedio attorno ad Arezzo. Gli aretini videro che a cadere sotto un assalto perugino, sarebbe stato il massacro e la distruzione; e la mattina avanti l’assalto, il sole dorò i gonfaloni fiorentini alzati sulle mura d’Arezzo, davanti all’oste sitibonda di sangue da que’ disperati ghibellini i quali, guelfi per guelfi, preferivano la tracotanza del Giaggiolo alla ferocia del Grifo: così cadde la libertà comunalista ed impiccaiuola della città di Guido e di Petrarca; e così Perugia, come non aveva «avuto» Foligno, non «ebbe» Arezzo.
È qui precisato un fatto tipico che rientra nella nostra prospettiva. Il fiero sogno della «Dominante» dell’alta Umbri fiammeggiò sulla celata del grande capitano di Perugia, Braccio Fortebraccio da Montone: «Braccio Valente, vince ogni gente»! cantavano i suoi. Ed egli, che doveva aver avuto gloria e potere nella stessa Roma papale, si apprestava a tagliarsi un regno verso il Mezzogiorno, quando un’anonima mazzata in testa, alla battaglia d’Aquila, stese a terra il capitano e col suo sogno quello della sua città.
Eppure Perugia s’irrigidì e volle tener testa coi Baglioni.
Ma quando Leone X tratto alla perugina il pericoloso capo di quella famiglia, facendolo venire a Roma a render conto, e ordinando che gli fosse tagliata la testa, allora il vecchio grifo, avvilito, strinse le unghie e chinò la testa. E Perugia divenne la città pia, la città dei flagellanti che avevano messo giudizio.
E fu un gran centro di francescanesimo non solo nei conventi e nelle chiese dei Minori, ma nello spirito delle sue innumerevoli confraternite ed opere pie. Finalmente Francesco sarebbe potuto tornare a Perugia in pace, la pace dell’irrevocabile sera d’ogni giorno umano.
Ma al tempo in cui il Crocifisso di San Damiano chiamava il figlio di Bernardone alla grande ascesa spirituale, in quella terra umbro-etrusca, al di là del Tevere non v’era un ambiente vitale per far spuntare l’Ordine della Pace e della mansuetudine; v’era posto solo per il primo miracolo di san Francesco, che nessuna agiografia ha notato, e che noi teniamo a segnalare per i primi. Una banda di giovani assisani fa una delle cento scorrerie nel territorio perugino; il Grifo li adunghia; quelli che non morirono o non fuggirono, furono fatti prigioni, e recati in città. Fra questi v’era Francesco di Bernardone. Un prigioniero politico in quelle condizioni, a Perugia, era un uomo spacciato. Ebbene, Francesco venne lasciato libero. Fu il suo primo miracolo. Dopo la sua morte, nel luogo dove aveva corso il più gran pericolo della sua vita, Perugia eresse una splendida chiesa con il grandioso convento di San Francesco al Prato. Al lato gli sorse la magnifica cappella di S. Bernardino (altro santo popolarissimo a Perugia) davanti alla quale cappella si tagliava la testa ai condannati. Si vede che tra il carcere . . . politico e il luogo del ceppo correvano pochi passi: restò il ceppo dopo la gran chiesa e la gentile cappella dalla facciata maiolicata dal Ducci.
Più tardi Francesco tornò a Perugia, già venerato; e vi tenne un commovente discorso per indurre i perugini alla pace ed alla concordia fra loro e coi vicini. Qui mancò il secondo miracolo – sarebbe stato troppo -; e Perugia restò entusiasta dei frati minori e delle guerre civili.
Questo fosco paesaggio spirituale al disopra del Tevere serve di sfondo a meglio far risaltare il lucido quadro di pace dell’Umbria serafica. Non già che anche là, come dappertutto, non vi fossero prepotenti e lotte, ma non dominavano, incumbo indeprecabile, l’ambiente come, tra Arezzo e Perugia, là donde doveva venire al francescanesimo il turbolento cortonese frate Elia e dove, al contrario di Chiara e delle altre sante umbre entrate nel convento e nella santità tra la pace comune, la compatriota di frate Elia vi entrava per una terribile tragedia, dopoché la bellissima giovane mondana, Margherita, andata a passeggio, fu attratta dai guaiti del cane verso un fossato dove ella vide il cadavere del signore suo amante, pugnalato dai nemici. Anche Rita da Cascia ebbe il marito assassinato, e scongiurò i figli di perdonare; quando questi mostrarono non declinare dalla legge del sangue, ella pregò Dio che li raccogliesse avanti di macchiarsi, e, lasciato il mondo, entrò tranquillamente nel chiostro dell’ umile cittadina, resa poi illustre dalla Santa delle api e delle rose.
Questo fu l’ambiente locale, il cielo d’argento e d’azzurro, in cui s’inquadrano la tonaca grigia e le rosse stimmate di Francesco il quale andò nel paese del sangue due volte ma per trovarsi la solitudine piena, non facile nel suo mite paese: una volta, si ritrasse in una deserta isola del lago Trasimeno per trascorrervi un’austerissima quaresima, l’altra volta ascese la selvaggia cima della Verna dove Cristo fiammante e sanguinante lo attendeva per stigmatizzarlo, onde il demonio si « estremisse » allibito -come canta Jacopone -, credendo di Vedere in Francesco il Crocifisso.
Se tale fu il nido ove nacque il francescanesimo, immensamente più vasta fu l’aura che in quel momento spirava nel cielo cattolico. Parliamo del momento storico.
Abbiamo visto quel cielo oscurato da nere nubi, solcato da folgori apocalittiche: la tempesta del catarismo e delle sètte affini. Ma abbiamo constatato altresì che, pur durando il turbine, il vento cambiava di direzione: il valdesismo, eversivo per il suo montanismo, si orientava verso una direzione che poteva essere la buona: i Poveri di Lione, col loro torbido demagogismo, indicavano, peraltro, l’orientamento a cui sfociava lo spiritualismo ascetico e rinunziatario che segnala ogni fine di epoca. La foga irresistibile della rinunzia e della concentrazione spirituale, da noi constatata dal tramonto teodisiano dell’Impero al suo funerale teodoriciano, la «fuga» e il «recesso» dei Gerolami, dei Pignani, dei Cassiodori, delle Paole e delle Melanie, non si spiegano con la paura dei Barbari, ma piuttosto col sentimento della irrimediabile decrepitezza sociale in mezzo alla quale si viveva. Tutto l’epistolario di Gerolamo ne trasuda; le sue sfuriate celano a malagio l’accorata tristezza, la quale una volta erompe alla notizia della presa di Roma da parte di Alarico: fenomeno effimero, che non sembrava avesse un domani, ma segnale tangibile che tutto finiva.
Così è nel fosco tramonto dell’idea medievale, attraverso lo sfacelo della sua ormai vecchia attuazione. Tutto il trasognare del Vangelo Eterno, come tutta la spinta nel cielo sempre sereno di sopra le nuvole, da parte della scuola renano-fiamminga degli Amici di Dio, tutto sente la fuga dal tristo presente, il recesso da un mondo in putrescenza. Ed ecco il fenomeno travolgente della rinunzia: vendere quello che si ha e dare ai poveri. Nelle leggi misteriose eppure sì armoniche che reggono la spiritualità umana, v’é quella della quaresima mistica, un tempo che s’impone per reazione dopo i rimpinzamenti invernali che sul piano spirituale sono gli eccessi sociali del potere e della ricchezza, cioè dell’ambizione, della boria, della concupiscenza. In quel momento di reazione, il meglio della cristianità fa penitenza per tutti – é la eterna missione dei buoni -; ed allora si sprigiona un movimento caratteristico, quello che abbiamo ora constatato, al cadere della epoca classica, ed a quello della medievale.
Ma tale aura, mossa irresistibilmente, può essere spinta su buona come su cattiva direzione, essere feconda di bene e di male, od anche semplicemente sterile. Allora la mano di Dio si manifesta.
Torna l’esempio antico. Le «fughe» dei soprannominati asceti, dei Gerolami e delle Melanie, erano ottimi fenomeni, ma poco meno che individualistici, senza influenza fuorché nella stretta cerchia degli amici; intanto la deviazione si manifestava in quegli avventurieri erranti sotto la tonaca dell’eremita vagante, che il fiero Stridonense fustigò da pari suo: i sarabaiti, che furono i Poveri di Lione del tempo gerolimiano; tanto é vero che più si cambia e più é la stessa cosa.
Ma nel mondo della civiltà cristiana, al grigio tramonto di un’epoca Dio accorda di colorarsi della luce aurorale del tempo nuovo. Sorge allora l’uomo che concentra in sé l’anima innumerevole della cristianità anelante all’auspicato sbocco. Benedetto da Norcia fu quel condensatore del momento storico in ciò che questo ebbe di più puramente, più altamente spirituale; ed egli piantò la quercia immensa alla cui ombra benefica rifioriva la vita morale e sociale del mondo cristiano: il benedettinismo del periodo barbarico-bizantino e dell’alto medioevo.
Similmente Francesco ci appare veramente il Serafico, cioè l’anima angelicata, che nella sua inenarrabile intensità mistica, può condensare e rappresentare l’innumerevole anima cattolica del suo tempo, anelante alla rinunzia ma per arricchire con migliori tesori, al recesso, ma per uscirne, temprata, alla riconquista cristiana del mondo aberrante. Ecco la multiforme figura dell’Assisate: lui nudo davanti al padre avaro, lui cinto di rozza tonaca della stoffa incolore tessuta pei poveri, con una trama bianca e una nera; lui trafitto sul Golgota aretino dalle stimmate di Cristo, lui predicante la pace ai cittadini inferociti, lui che impone il disarmo personale ai suoi terziari, per cominciare da loro il disarmo morale della guerra endemica, lui che, acceso apostolo, va in Oriente in pieno Islam, e dice al Soldano le verità cristiane, gettando le basi di quella missione plurisecolare d’Oriente che ha per centro e monumento glorioso la Custodia di Terrasanta. Se i suoi figli Giovanni da Pian di Carpine e Giovanni da Montecorvino, non saran coronati di successo nel loro ardimentoso tentativo presso i tartari, la loro stessa presenza nel campo dei Khan, dimostra quale gigantesca spina apostolica racchiudesse il gesto di Francesco missionario: saranno infatti le ossa dei suoi frati martiri, riportate dai pii e prodi portoghesi dal Marocco, che toccheranno il cuore del canonico lisbonese e ne faranno il grande Antonio di Padova, predicatore indefesso di fronte ai paterini, e vindice santamente temerario della calpestata giustizia e umanità di fronte a quel tiranno che fu Ezzelino da Romano, il peggior «tartaro» d’allora.
Tutto questo arcobaleno che si designa sul cielo sconvolto della crisi medievale, come simbolo di pace e di speranza, è Francesco: egli condensa i colori del tempo nuovo sullo sfondo del vecchio. Tutto il momento storico, in quanto ha di fiducioso slancio verso il domani, anela in petto al Poverello, al Serafico.
Ecco l’uomo e il suo ambiente; la nostra penna che non si è mai illusa di essere all’altezza di certe figure grandiose della storia cristiana, si sente ben meschina di fronte a lui. Ma è lui che l’ha animata per rievocarlo. (continua).”

https://www.facebook.com/carlomariad...630824839994:0 (https://www.facebook.com/carlomariadipietro.pagina/posts/918630824839994:0)
“San Francesco d’Assisi nella penna di Mons. Benigni (II parte)
Dalla “Storia Sociale della Chiesa”, Vol. V, “La crisi medievale”, Vallardi 1933, pagg. 616-625.
I Francescani, di Mons. Umberto Benigni (seconda parte)
Sulla figura di Francesco e sull’inizio e sviluppo dell’opera sua i giudizi più diversi sono stati svolti, di secolo in secolo, attraverso documenti primitivi, non sempre chiari e non compresi nel loro spirito che ben tardi (come i celebri «Fioretti di San Francesco» tutt’altro che fonte pura da tendenziosità), seguiti da una farraginosa letteratura ove spesso lo scrittore fa opera settaria, nel senso generico della parola, sia il congregazionista che vuol fare di Francesco l’uomo accaparrato dalla sua congregazione di fronte alle consorelle, sia il tristo protestante razionalista Paolo Sabatier che del «Franciscus vir catholicus» volle fare un vago spiritualista, panteista, buddista occidentale. È vero che se allo Stimmatizzato han fatto questo, al suo crocifisso han fato ben peggio; ed anche in questo l’estatico della Verna segue la passione postuma del divino Maestro.
In realtà Francesco è il fondatore di un movimento di Penitenza, largo ed universale, per il monaco penitente, per il monaco missionario, per il prete secolare, per il laico; ce n’è per tutti, da Antonio di Padova a Luigi IX, da Chiara d’Assisi a Elisabetta d’Ungheria, da questi grandi ad una infinita schiera di frati, di monache, di terziari, oltre le sempre più numerose congregazioni che aspirano al suo nome.
Ecco perché il francescanesimo fu sin da principio la barriere che sorgeva, come per incanto, di fronte alla eresia ed alla demagogia che se ne mascherava, in ogni angolo d’Occidente. Ecco l’innumerevole sciamare di falangi apostoliche, attraverso città, villaggi e campagne, a seminare «fraternamente» la parola e l’esempio per ricondurre i sedotti dalle stravaganze pseudomistiche e dai pregiudizi e odi anticristiani ed antisociali, verso un ideale umile ed efficiente di vita pura e modesta, tranquilla e sopportante per amor di Dio.
Fortissima, benemeritissima fu, come presto vedremo, l’opera di Domenico e de’ suoi frati predicatori, specializzati presto nella lotta dottrinale ed inquisitoriale, dove furono sommi: ma dal punto di vista globale che ci occupa – la difesa contro l’assalto eversivo della società – il francescanesimo occupa il fronte della battaglia, e vi resta tutt’oggi, più d’altri, perché lo spirito francescano scese al più profondo dell’anima, dei bisogni e delle miserie di questa; onde arrivò ed arriva in quel sottosuolo spirituale che è sempre lo stesso, attraverso i secoli, le epoche, le loro crisi. La letteratura, sismografo delle cose invisibili, c’ha mostrato nel vescovo hugotiano Miriel la più artificiosa delle figurazioni letterarie, la più irreale; il cattolico Manzoni c’ha dato in padre Cristoforo ed in fra’ Galdinoi tipi eterni del buon francescano, sempre fra il popolo, e con la destra alzata verso i piccoli successori di Ezzelino, o con sulle labbra le pie storie del miracolo delle noci, delizia della piccola gente che non ha migliore letteratura spirituale del folklore cristiano.
La grande genialità si vede nella istituzione nuova del Terz’Ordine, tipo insuperato, con buona pace di tanti cavalieri e fanti delle organizzazioni all’americana. L’eresia demagogica e la tirannia dei signorotti feudali o dei priori comunali, fedeli a quel criterio che forgiò il celebre «semo prima venesiani e poi cristiani», non si aspettavano l’assalto in casa loro, col «frate» terziario e la «sorella» terziaria che potevano essere il suocero o il genero, il fratello o il figlio, la madre, la suocera, la moglie, la sorella, la nuora o la figlia del demagogo o del tirannello, che se li trovava a casa, in bottega, a tavola, a letto.
Certamente l’influenza del Terz’Ordine fu grandissima, e dovette avere il suo peso in ogni buono sforzo per la pace o difesa patria, per il meno inquieto vivere sociale. Senza le fantastiche esagerazioni de «il segreto di Giovanna d’Arco» del Pèladan, si può ben opinare che i terziari francesi erano per la pia e patriottica Pulzella, e così per la patria minacciata; mentre dietro la politica e l’armata inglese, si arrovellava l’odio bieco contro la casa di Francia e, come a meno contro la Francia, dei fuoriusciti del templarismo settario.
Grave iattura fu lo scisma e i mille dissensi che ne seguirono, all’indomani e dopo, in seno alla grande famiglia francescana.
Oltre il doloroso ma fugace episodio del traviato Frate Elia da Cortona, la lotta del fanatismo «spirituale», pauperistico, fu deleteria. Senza dubbio sarebbe stato fatale che tutto l’Ordine francescano si fosse incanalato nel regime dei frati conventuali, rispettabilissimo ed opportunissimo ramo della famiglia, adatto per tutta una categoria di persone; ma quando mai vi fu, serio e concreto un tale pericolo? gravissimo e concretissimo vi fu invece il pericolo del fanatismo presuntuoso e pervicace, anche quando non arrivò allo scisma ed all’eresia proibente ai Papi di toccare alla lettera della Regola francescana, che valeva perché e in quanto era stata approvata dai Papi e non perché fosse un Vangelo dettato da Dio. Guai se il francescanesimo si fosse lasciato trasportare da quella deformazione intellettuale e morale che poi fu chiamata a proposito di altri, il «solipsismo», quello dei «soli ipsi», dei «soli essi».
Questa piaga non è estinta come spirito, e lo si vede in deplorevoli eccessi che s’infiltrano in polemiche bizantine sulla orgine ed evoluzione minoritica; ma, grazie a Dio ed alla pontificia sapienza, il malanno è reso inefficace per il pubblico danno.
Ma quanto male ha fatto cogli esaltati del medioevo agonizzante! Il farisaismo (e non si nega la buona fede di alcuni: questione estranea) il farisaismo pauperistico impedì tanto bene, fattibile allora dal puro francescanesimo, che è a domandarsi se non fosse in ciò una ragione dell’indebolito successo posteriore della contro-preriforma minoritica. ll tentativo dell’eremitismo – cioè, in fondo, dell’individualismo ascetico predominante – dei clareniti (Eremiti di Celestino) fu tollerato, dopo violente peripezie, dalla longanimità dei Papi, che può lasciar vivere indefinitamente enti sorpassati: il tempo è longanime perché sicuro che verrà matura la morte degli enti non vitali. Così, sopravvenuta colla controriforma la necessità di una revisione di valori per vari istituti ecclesiastici, mentre prosperava la nuova forma, perfettamente inquadrata, della comunità cappuccina, il riformatore Pio V soppresse i clareniti ai quali già, alla vigilia della tempesta, Giulio II aveva imposto di aggregarsi o alla famiglia osservantina (francescani comuni) od alla conventuale: misura che poi apparve insufficiente.
Tutte queste esperienze più o meno patologiche sulla grande vita francescana ne hanno determinato la legge biologica della sanità e della forza: fratellanza totalitaria, comunitativa e disciplinata; spirito di piena rinuncia al mondo, nella sorridente umiltà e cordialità; varia ramificazione che dà all’albero francescano il valore di una selva, senza gli sterpi.
Tale fu e restò l’alberò che Francesco piantò umile piantatore di un umile virgulto che fremeva, nel saturo ambiente e momento storico, di essere albero. Già lo era al Capitolo delle Stuoie, presente Francesco; e l’albero ingigantì a vista d’occhio e divenne l’albero evangelico che «fa gran rami, e li uccelli dell’aria all’ombra di esso possono dimorare» (Marc. IV, 32).
Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 77/15 del 5 ottobre 2015, San Placido.”



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Luca, Sursum Corda!

Holuxar
04-10-16, 20:53
4 ottobre 2016: San Francesco d’Assisi…Sancte Francisce ora pro nobis!








San Francesco di Assisi - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-francesco-assisi/)
“4 ottobre, San Francesco di Assisi, Confessore (Assisi, 26 settembre 1181 – Assisi, 3 ottobre 1226).
O glorioso San Francesco, che per tutto il tempo di vostra vita, altro non faceste che piangere la passione del Redentore e meritaste di portare nel vostro corpo le Stimmate miracolose, ottenetemi di portare anch’io nelle mie membra la mortificazione di Cristo, affinché facendo mia delizia l’esercizio della penitenza, meriti di avere un giorno le consolazioni del Cielo. Pater, Ave, Gloria.”


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-1-5-175x300.jpg






(https://www.facebook.com/radiospadasocial/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)Radio Spada (https://www.facebook.com/radiospadasocial/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
“4 OTTOBRE 2016: SAN FRANCESCO D'ASSISI, CONFESSORE E PATRONO D'ITALIA E DELLE ISOLE ADIACENTI”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/14519878_1453349074694757_6783695730926630793_n.jp g?oh=1af5c16c9979668279117b49ecd214f6&oe=586584FA





san Francesco (http://www.radiospada.org/tag/san-francesco/)
http://www.radiospada.org/tag/san-francesco/
Discorso di San Francesco d?Assisi al Sultano | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2015/01/discorso-di-san-francesco-dassisi-al-sultano/)
“«Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa» (…) «Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco, entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e Signore, Salvatore di tutti» Ma il Sultano gli rispose che non osava accettare questa sfida, per timore di una sedizione popolare. Tuttavia gli offrì molti doni preziosi; ma l’uomo di Dio, avido non di cose mondane, ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango.”
Da san Francesco all?ecologia | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/06/da-san-francesco-allecologia/)
"di un Padre Cappuccino di Morgon (Francia)
(...) San Francesco e la natura
I rapporti tra il santo e la natura si riassumono cosi: dal Creatore alla creatura, dalla creatura al creatore.
In primo luogo dal Creatore alla creatura. Attraverso le creature, San Francesco discerneva tutta la bontà di Dio. Vedeva in loro dei fratelli e delle sorelle, perché tutti avevano lo stesso padre (1Cel 81). Cosi, nel suo trasporto d’amore verso Dio, invitò un giorno degli uccelli a cantare le lodi del Creatore a ringraziarlo per tutto quello che ricevevano da lui (1Cel 58). In sintesi, è a causa del suo amore ardente per Dio che amava allo stesso tempo ogni Sua creatura.
Della creatura al Creatore. Per la sua anima così pura, il mondo era uno specchio della Divina Bontà e una scala per risalire sino a Dio (2Cel 165). Il santo aveva un affetto assai più tenero per le creature che avevano una somiglianza simbolica con Gesù (1 Cel 77). Tra loro, prediligeva gli agnelli, perché gli ricordavano Colui che si era abbandonato ai suoi nemici, come agnello innocente. Tutte queste cose le ha dette in maniera mirabile nel Cantico delle creature. Ne riportiamo la prima e l’ultima strofa, che ci mostrano il soffio soprannaturale che anima tutto il cantico:
Altissimu onnipotente bonsignore. tue so’le laude la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo altissimo se konfano. et nullu homo ene dignu te mentovare (…) Laudato si’ mi signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po skappare. Guai acquelli ke morrano ne le peccata mortali, beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ke la morte secunda nol farrà male. (...)"






Guéranger, L'anno liturgico - Domenica nona dopo la Pentecoste (http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm
“4 OTTOBRE SAN FRANCESCO D'ASSISI CONFESSORE”






Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
“Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare San Francesco, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima, per i meriti di questo Santo, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, San Francesco possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/14449996_1138948422808232_8245408056680081291_n.jp g?oh=3aae2847fca2099d72622ded5eead31e&oe=58A8E988













PAPA BENEDETTO XV nella LETTERA ENCICLICA SACRA PROPEDIEM denunciava già certe falsificazioni moderniste - tipiche del "papa" che oggi ne usurpa il nome il quale lo presenta come un "ecologista" o peggio come un "ecumenista" fautore del "dialogo interreligioso" e della "pace" mondanamente e mondialisticamente intesa - del pensiero di SAN FRANCESCO:



(…) Innanzi tutto conviene che ognuno abbia un’idea esatta della figura di San Francesco, in quanto taluni, secondo l’invenzione dei modernisti, presentano l’uomo di Assisi poco obbediente a questa Cattedra apostolica, come il campione di una vaga e vana religiosità, tanto che egli non può essere correttamente chiamato né Francesco d’Assisi né santo" ... (…)”

https://w2.vatican.va/content/benedi...propediem.html (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html)
“LETTERA ENCICLICA SACRA PROPEDIEM DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XV AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA,
IN OCCASIONE DEL SETTIMO CENTENARIO DELLA FONDAZIONE DEL TERZ'ORDINE FRANCESCANO
Venerabili Fratelli,
salute e Apostolica Benedizione.
Noi riteniamo assai opportuna la prossima celebrazione del settimo centenario del Terzo Ordine della Penitenza. A raccomandarla a tutto il mondo cattolico con la Nostra autorità apostolica, Ci induce innanzi tutto la certezza che essa riuscirà di grande vantaggio al popolo cristiano, ma c’è anche qualcosa che Ci riguarda personalmente. Infatti nell’anno 1882, quando fra il plauso commosso dei buoni fu celebrato solennemente il centenario della nascita del Santo di Assisi, Ci ricordammo con soddisfazione che anche Noi volemmo essere iscritti fra i discepoli del grande Patriarca, e nella insigne basilica di Santa Maria di Ara Coeli, officiata dai Frati Minori, vestimmo regolarmente l’abito dei Terziari Francescani. Pertanto, ora che per volontà divina siamo stati assunti alla cattedra del Principe degli Apostoli, ben volentieri, anche per la Nostra devozione verso San Francesco, cogliamo l’occasione che Ci viene offerta per esortare i fedeli della Chiesa di tutto il mondo ad iscriversi espressamente — o, se già iscritti, ad operare con impegno — a questa istituzione del santissimo uomo, la quale ancor oggi risponde meravigliosamente ai bisogni della società.
Innanzi tutto conviene che ognuno abbia un’idea esatta della figura di San Francesco, in quanto taluni, secondo l’invenzione deimodernisti, presentano l’uomo di Assisi poco obbediente a questa Cattedra apostolica, come il campione di una vaga e vana religiosità, tanto che egli non può essere correttamente chiamato né Francesco d’Assisi né santo.
In verità, le rilevantissime e imperiture benemerenze di Francesco verso il cristianesimo — per le quali egli a ragione fu definito quale sostegno fornito da Dio alla Chiesa in un’età delle più burrascose — trovarono il loro coronamento nel Terz’Ordine, il quale, meglio di qualunque sua altra impresa, mette in luce la grandezza e l’intensità del suo ardore nel propagare ovunque la gloria di Gesù Cristo. Egli infatti, considerando i mali da cui era allora travagliata la Chiesa, fu preso da un desiderio immenso di innovare tutto secondo i princìpi cristiani; e a tale scopo fondò una duplice Famiglia religiosa, una di frati e l’altra di suore, che, professando i voti solenni, dovevano seguire l’umiltà della Croce; ma non potendo accogliere nei chiostri tutti coloro che a lui da ogni parte affluivano per mettersi sotto la sua disciplina, pensò di fornire anche a coloro che vivevano nel turbinio del mondo un modo di raggiungere la perfezione cristiana. Pertanto istituì un vero Ordine, quello dei Terziari, non vincolato da voti religiosi come i due precedenti, ma similmente conformati a semplicità di costumi ed a spirito di penitenza. Così egli per primo concepì e felicemente attuò, col divino aiuto, ciò che nessun fondatore di famiglie regolari aveva in precedenza escogitato: cioè di rendere comune a tutti il tenore della vita religiosa.
Di lui va ricordato quanto egregiamente dice Tommaso da Celano: « Artefice veramente esimio, sotto la cui formazione religiosa, con lode degna di essere esaltata, si rinnova nell’uno e nell’altro sesso la Chiesa di Cristo, e trionfa una triplice schiera di gente che vuole salvarsi » [1 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html#_ftn1)]. Dalla testimonianza di un uomo così autorevole e contemporaneo del Santo, si comprende con facilità quanto profondamente Francesco, con questa Istituzione, abbia scosso le moltitudini, e quale salutare rinnovamento abbia tra esse operato. Pertanto, come non si può dubitare che Francesco sia stato il vero fondatore del Terz’Ordine, allo stesso modo che lo era stato del primo e del secondo, così senza dubbio egli ne fu il sapientissimo legislatore. In ciò grandemente lo aiutò, come è noto, il Cardinale Ugolino, quello stesso che poi, col nome di Gregorio IX, illustrò questa Apostolica Sede, e che dopo la morte del Patriarca d’Assisi, del quale, finché visse, fu grande amico, innalzò sul sepolcro di lui un tempio di tanta bellezza e magnificenza. Nessuno ignora che successivamente la Regola dei Terziari è stata solennemente sancita ed approvata dal Nostro Antecessore Nicolò IV.
Ma non è il caso di dilungarsi su tali cose, Venerabili Fratelli, poiché il Nostro principale proposito è di dimostrare il carattere e l’intimo spirito di questo Istituto, dal quale, come ai tempi di Francesco, così in questa età, tanto contraria alla virtù ed alla fede, la Chiesa si ripromette grandi vantaggi per il popolo cristiano. Quel profondo conoscitore dei nostri tempi, che fu il Nostro Predecessore di felice memoria, Leone XIII, per rendere la disciplina dei Terziari più accessibile ad ogni grado di persone, molto saggiamente con la Costituzione « Misericors Dei Filius » dell’anno 1883, mitigò la loro regola, « secondo le presenti circostanze della società », variando alcune cose di minore importanza, che non parevano consentanee con i nostri costumi. « Con questo però, egli dice, non bisogna credere che sia stato tolto all’Ordine alcunché di essenziale, volendo Noi che la sua natura si conservi integra ed immutata». Perciò ogni cambiamento fu soltanto estrinseco, e non toccò per nulla la sostanza di essa, la quale continua ad essere tale quale la volle lo stesso Santo fondatore. È Nostra convinzione che lo spirito del Terz’Ordine, tutto pervaso di sapienza evangelica, molto contribuirà al miglioramento dei costumi privati e pubblici, purché rifiorisca nuovamente, come quando Francesco, con la parola e con l’esempio, predicava per ogni dove il regno di Dio.
Infatti egli volle innanzi tutto che nei suoi Terziari rifulga in modo speciale la carità fraterna, autrice di concordia e di pace. Ben comprendendo che questo è il principale precetto di Gesù Cristo, quale sintesi di tutta la legge cristiana, rivolse ogni sua cura ad informarne gli animi dei suoi seguaci: e con ciò stesso egli ottenne che il Terz’Ordine riuscisse utile di per sé all’umana società.
Francesco era talmente infiammato di ardore serafico per Dio e per gli uomini, da non riuscire a contenerlo nel suo cuore, ma avvertiva la necessità di portarlo all’esterno, a favore di quanti più potesse. Pertanto, avendo cominciato a riformare la vita privata e domestica dei suoi fratelli, indirizzandoli all’acquisto della virtù, quasi non mirasse ad altro, pensò di non doversi fermare qui, ma di servirsi di questa riforma individuale come di uno strumento per recare in seno alla società un soffio di vita cristiana, e così guadagnare tutti a Gesù Cristo. Conseguentemente, il pensiero che animò Francesco a fare dei Terziari altrettanti araldi e apostoli di pace in mezzo alle aspre contese e ai civili rivolgimenti del suo tempo, fu pure il pensiero Nostro quando pressoché tutto il mondo ardeva dell’orribile guerra, e tale è tuttora, mentre non è spento del tutto il vasto incendio, che fumiga ancora qua e là e in qualche punto manda guizzi di fiamme. A ciò si aggiunga quell’interno travaglio che agita le nazioni — dovuto al lungo oblìo e al disprezzo dei princìpi cristiani — per cui le varie classi sociali si contendono il possesso dei beni terreni con tanto accanimento da far temere una universale catastrofe.
Perciò in questo campo così immenso in cui Noi, come rappresentanti del Re Pacifico, abbiamo prodigato le Nostre più affettuose premure, aspettiamo da tutti i figli della pace cristiana il concorso della loro solerzia, ma specialmente dai Terziari, i quali mirabilmente gioveranno a questa riconciliazione degli animi, se oltre a crescere ovunque di numero intensificheranno il loro zelo operoso. È da augurarsi pertanto che non vi sia città, paese, villaggio in cui non si riscontri buon numero di confratelli, che non siano però inerti o che si appaghino soltanto del nome di Terziari, ma attivi e solleciti della salvezza propria e dell’altrui. E perché poi le varie Associazioni cattoliche di giovani, di operai, di donne, che fioriscono quasi per ogni dove non potrebbero ascriversi al Terz’Ordine della Penitenza, per continuare a lavorare alla gloria di Gesù Cristo e a vantaggio della Chiesa con quello spirito di carità e di pace da cui era animato Francesco?
Infatti, la pace che è tanto invocata dai popoli non è quella faticosamente elaborata con le arti della politica, ma quella che ci fu recata da Cristo, il quale disse: «Vi dò la mia pace: non come la dà il mondo, io la dò a voi » [2 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html#_ftn2)]. Quell’accordo fra gli Stati e le varie classi civili che può essere escogitato dagli uomini, non può infatti durare né avere forza di vera pace se non ha la sua base nella tranquillità degli animi; la quale esiste a sua volta solo a patto che siano tenute a freno le passioni, fomentatrici di ogni genere di discordie. « E donde le guerre e le liti tra voi, si domanda l’Apostolo Giacomo, se non di qui? dalle vostre concupiscenze le quali militano nelle vostre membra? » [3 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html#_ftn3)].
Orbene, ordinare l’uomo internamente, in modo che egli non sia schiavo ma padrone delle proprie passioni, obbediente a sua volta e soggetto alla volontà divina, nel quale ordinamento si fonda la pace comune, questo è effetto della sola virtù di Cristo, che si dimostra mirabilmente efficace nella famiglia dei Terziari Francescani. Dal momento infatti che quest’Ordine si propone, come dicemmo, di guidare alla perfezione cristiana i suoi membri, quantunque impegnati nelle cure del secolo — perché nessuno stato di vita è incompatibile con la santità — quando siano molti a vivere in conformità di questa regola, ne consegue che essi siano d’incitamento a tutti gli altri fra i quali vivono, non solo a compiere interamente il loro dovere, ma anche a tendere ad una perfezione maggiore di quella prescritta dalla legge ordinaria. Perciò quella lode che fu data dal Signore ai suoi discepoli che gli erano più devoti, quando disse: « Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo » [4 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html#_ftn4)], giustamente la stessa lode va attribuita a quei figli di Francesco che, osservando con vero spirito i consigli evangelici, per quanto loro è dato nel secolo, possono dire di sé con l’Apostolo: «Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio » [5 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html#_ftn5)]. Perciò, tenendosi lontani il più possibile dallo spirito del mondo, cercheranno di far penetrare nella vita comune, ad ogni occasione, lo spirito di Gesù Cristo. Per la verità, due sono oggi le passioni predominanti in questa incredibile perversità di costumi, l’amore sconfinato delle ricchezze e un’insaziabile sete di piaceri. Da qui la vergogna e il disonore del nostro secolo, il quale, mentre fa continui progressi in ciò che appartiene ai comodi ed ai conforti della vita, per quanto riguarda il dovere di vivere onestamente — il che ben più importa — pare che voglia ritornare a gran passi verso la corruzione del paganesimo. In realtà, quanto più gli uomini perdono di vista i beni eterni che sono loro preparati nei cieli, tanto più sono attratti verso i caduchi; e una volta che si siano vilmente incurvati verso la terra, facilmente si intorpidisce in essi ogni virtù: così che nauseati di tutto ciò che sa di spirituale, non agognano che l’ebbrezza dei volgari piaceri. Perciò, Noi vediamo in generale che mentre da un lato non si ha alcun ritegno ad accumulare ricchezze, manca dall’altro la rassegnazione d’un tempo nel sopportare quei disagi che sogliono accompagnare la povertà e la miseria; e mentre fra i proletari ed i ricchi già esiste quella lotta accanita che abbiamo detto, ad acuire l’avversione dei non abbienti s’aggiunge il lusso smodato di molti, congiunto a impudente dissolutezza. Al qual proposito non possiamo deplorare abbastanza la cecità di tante donne di ogni età e condizione, le quali, infatuate dall’ambizione di piacere non vedono quanto sia stolta certa foggia di vestire, con cui non solo suscitano la disapprovazione degli onesti, ma, ciò che è più grave, recano offesa a Dio. E in tale abbigliamento — che esse stesse in passato avrebbero respinto con orrore come troppo disdicevole alla modestia cristiana — non si limitano a presentarsi soltanto in pubblico, ma neppure si vergognano di entrare così indecentemente nelle chiese, di assistere alle sacre funzioni e di recare persino alla stessa mensa Eucaristica (nella quale si va a ricevere il divino Autore della purezza) i lenocini delle turpi passioni. Tralasciamo poi di parlare di quei balli esotici e barbari, uno peggiore dell’altro, venuti ora di moda nel gran mondo elegante; non si potrebbe trovare un mezzo più adatto per togliere ogni resto di pudore.
Se i Terziari porranno bene attenzione a quanto abbiamo detto, facilmente comprenderanno ciò che da essi, in quanto seguaci di Francesco, richiede l’ora che volge. È necessario cioè che essi si specchino nella vita del loro Padre; considerino quale perfetto imitatore egli fu di Gesù Cristo, specialmente con la rinuncia agli agi della vita e con la pazienza nei dolori, fino a meritarsi il titolo di poverello e a ricevere nel suo corpo le stimmate del Crocifisso; e per non mostrarsi figlioli degeneri, abbraccino almeno in spirito la povertà e portino con abnegazione, ciascuno, la propria croce. Per ciò poi che riguarda in modo speciale le Terziarie, sia nel vestire come in tutto il loro contegno esteriore, siano esempio di santa pudicizia alle giovani e alle madri; e non credano di poter meglio meritare della Chiesa e della società che cooperando all’emendamento dei corrotti costumi.
E i membri di quest’Ordine, che per soccorrere gli indigenti hanno dato vita a molteplici opere di beneficenza, non vorranno certamente mancare di amorevole aiuto ai loro fratelli in bisogni ben più gravi dei materiali. E qui Ci viene in mente quel detto dell’Apostolo Pietro che, volendo esortare i primi cristiani ad offrire ai Gentili l’esempio di una vita veramente santa, diceva: «Vedendo le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio » [6 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html#_ftn6)]. Similmente i Terziari Francescani devono diffondere il buon odore di Cristo con l’integrità della fede, con l’innocenza della vita e con l’operosità dello zelo, che siano esortazione ed invito per i traviati fratelli a ritornare sul retto sentiero; questo da loro esige, questo si attende la Chiesa.
Noi pertanto nutriamo fiducia che i prossimi festeggiamenti centenari segneranno un felice rieveglio del Terz’Ordine; e non dubitiamo che voi, Venerabili Fratelli, insieme con gli altri pastori di anime, avrete ogni cura perché i sodalizi dei Terziari rinvigoriscano ove sono languenti, si moltiplichino ovunque per quanto è possibile, e tutti abbiano a fiorire nell’osservanza della disciplina non meno che nel numero di iscritti. Infatti si tratta di questo: di preparare con schiere numerose di credenti, attraverso l’imitazione di Francesco, la via e il ritorno a Cristo, nel qual ritorno è riposta ogni speranza di comune salvezza. Quello infatti che di sé dice Paolo: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo » [7 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_06011921_sacra-propediem.html#_ftn7)], può con tutta ragione ripetere di sé Francesco, il quale, imitando Gesù Cristo, diventò di lui fedelissima copia e immagine.
Per rendere più fruttuose le celebrazioni centenarie, su richiesta dei Ministri Generali delle tre Famiglie francescane, Noi concediamo, dal tesoro della Santa Chiesa, quanto segue:
1. Che in tutte le chiese, dove esiste il Sodalizio del Terz’Ordine, canonicamente eretto, celebrandovi entro un anno, a cominciare dal 16 aprile prossimo, un sacro triduo per solennizzare questo Centenario, i Terziari possano acquistare l’indulgenza plenaria, alle solite condizioni, in ciascuno dei tre giorni, e gli altri una volta soltanto; coloro poi che, pentiti dei propri peccati, visiteranno nelle suddette chiese il Santissimo Sacramento, lucreranno l’indulgenza di 7 anni ogni volta;2. Che nei detti giorni tutti gli altari di tali chiese siano « privilegiati »; e che in quel triduo ogni sacerdote possa celebrare la Messa di San Francesco, come « votiva pro re gravi et publica simul causa », osservando le rubriche generali del Messale Romano, come vengono proposte nell’ultima edizione vaticana;3. Che tutti i sacerdoti addetti a dette chiese possano, in quei giorni, benedire Rosari, medaglie e simili oggetti sacri, applicando ad essi le indulgenze apostoliche, come pure benedire i Rosari dei Crocigeri e di Santa Brigida.

Quale auspicio dei celesti favori e a testimonianza della Nostra benevolenza, impartiamo affettuosamente a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i membri del Terz’Ordine l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno dell’Epifania del Signore 1921, nell’anno settimo del Nostro Pontificato.

BENEDICTUS PP. XV "





Notare la netta differenza tra ciò che insegnava PAPA BENEDETTO XV nella LETTERA ENCICLICA SACRA PROPEDIEM - e che insegnavano tutti i PAPI prima del cv2 - con ciò che insegnano i vaticanosecondisti ai loro incontri di Assisi per oltraggiare San Francesco e soprattutto ancor peggio NSGC...
Noi NON Vogliamo una generica “pace nel mondo”, un generico “dio” ed una generica “religione” come quelle in cui evidentemente credono coloro che hanno organizzato e purtroppo hanno partecipato ad Assisi (nella patria di San Francesco, oltraggiandone il ricordo e falsificandone spudoratamente e subdolamente il vero messaggio!) dal 18 al 20 settembre 2016 il blasfemo e sacrilego incontro internazionale "SETE DI PACE: religioni e culture in dialogo".
Sul loro sito si legge tale immonda propaganda di micidiale e velenoso mondialismo in netto contrasto col Cattolicesimo di sempre:



“30 anni dopo la storica Giornata di Preghiera per la Pace del 27 ottobre 1986 voluta da San Giovanni Paolo II, uomini e donne di fede, culture diverse, uniti dalla speranza che lo “spirito di Assisi” possa portare pace in un mondo segnato da violenza, guerre, divisioni, si incontrano per 3 giorni, per parlare, confrontarsi, pregare l'uno accanto all'altro.
L’evento è promosso dalla Diocesi di Assisi, dalle Famiglie Francescane e dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con altri movimenti e aggregazioni ecclesiali, con la Conferenza Episcopale Umbra, la Regione Umbria e il Comune di Assisi.
Nell'Anno Santo della Misericordia, celebrando il 30° anniversario dell’evento del 1986, vogliamo consegnare lo “Spirito di Assisi” alle nuove generazioni, affinché possa guidare il cammino dell’umanità verso il futuro.
I temi dei panel
Religioni e violenza
• La misericordia trasforma il mondo
• Il credente: uomo dell’amicizia
• I martiri nei tempi presenti
• Asia: religioni e dignità della vita umana
• Lo spazio di Dio nella città
• Unità dei cristiani e pace
• Chi guarda dio vede l’uomo
• La preghiera salva il mondo
• Musulmani e cristiani: insieme per la pace
• Sviluppo sostenibile e lotta alla povertà
• La cultura del vivere insieme
• Economia e finanza a servizio della pace
Nuovi europei: più ponti e meno muri
• Solidarietà: parola chiave del nostro tempo
• Emigrazioni e accoglienza
• Come fermare le guerre
• Giovani e anziani: solidarietà tra generazioni
• Ripartire dalle periferie per una società più umana
• Credenti e umanisti nel mondo della globalizzazione
• La “casa comune”: nostra madre terra
• Conflitti e informazione
• Le donne e la pace
• Il mondo soffoca senza il dialogo
• Assisi 1986 / Assisi 2016
• Europa: le ragioni del vivere insieme”



30 anni fa, il 27 ottobre 1986, ci fu infatti l'inaugurazione della profanazione di Assisi da parte di "San Giovanni Paolo II" (sic!!), ormai siamo vicini al trentennio esatto che si "festeggerà" il 27 ottobre 1986...Poi il 31 ottobre, notte di Halloween, i settari vaticano-secondisti festeggeranno Lutero e soci in Svezia e nel resto del mondo...
A 30 anni dall’incontro sincretista e dalla prima giornata di preghiera inter-religiosa indetta da Wojtyla/Giovanni Paolo II (il medesimo tizio del bacio al Corano e dei continui “mea culpa” per le Crociate e l’Inquisizione coi quali praticamente ha messo indirettamente sotto processo i Papi del passato, tutti sul banco degli imputati!!) ad Assisi del 1986, nulla è cambiato se non che ormai quasi nessuno ci fa più caso, agli occhi di milioni di cosiddetti cattolici tale pubblica (almeno implicita) apostasia ed idolatria è diventato una cosa normale nel suo abominio!!
Mons. Lefebvre aveva ben detto: “il loro culto in favore della pace come è concepita all’O.N.U.” ed aggiungiamoci pure le logge massoniche…Si tratta di una medesima concezione della “pace” e l’assurdo è che colui che la professa appare al mondo nelle vesti di “papa”, sic!!
Giovanni XXIII (http://www.crisinellachiesa.it/articoli/autorita/roncalli_montini/giovanni_xxiii_paolo_vi.htm) (1881-1963) è stato l’iniziatore dell'ecumenismo giudaizzante (http://www.crisinellachiesa.it/articoli/giudaismo/ecumenismo_giudaizzazione/ecumenismo_e_giudaizzazione.htm) (v. link che rimanda all'articolo) poi ufficialmente sancito dal CV2, inaugurato da Roncalli stesso, da Montini e soci con “Nostra Ætate”; documento eretico che non invita i cattolici ad operare per la conversione (e dunque per la salvezza) delle anime smarrite nell'errore al Cattolicesimo, bensì fa apologia delle false religioni!!
Gli enormi danni dottrinali sono partiti dal CV2 con Roncalli e Montini e si sono aggravati coi loro successori; quella di “Nostra Ætate”è la base ideologica dell’immondo “spirito di Assisi” (quello delle “riunioni ecumeniche” che è opposto a quello del vero San Francesco!)...
Capovolgimento infero dello Spirito missionario davvero cattolico...
Spirito missionario davvero cattolico che in realtà era proprio quello di San Francesco d’Assisi!
Solo che i sommi falsari della fede cattolica che occupano il vaticano attribuiscono vergognosamente al Santo – da almeno 30 anni - il loro “spirito di Assisi” (che di sicuro non viene da Dio…) proiettando su di lui le loro eresie dottrinarie e la loro apostasia!!
Sicuramente un vero e legittimo Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo (unico mediatore tra Dio e gli uomini) NON avrebbe MAI potuto promuovere questo sciagurato “spirito di Assisi” (che scimmiotta subdolamente il messaggio del vero Santo di Assisi, San Francesco, del quale l’attuale “papa” ha usurpato pure il nome in maniera scandalosa) nettamente contrario all’insegnamento di 260 Papi della Chiesa (sino a Pio XII compreso), del Magistero infallibile e del Cattolicesimo di sempre ahonoi…
Purtroppo i vertici abissali della mega-setta vaticano-secondista che si spacciano per Chiesa provocano confusione e scandalo con la loro empietà legata all’invito ai seguaci delle altre false religioni per venire a pregare i loro falsi dei ad Assisi per ottenere una solo apparente, bugiarda, mondana, massonica ed anticristica pace.
Su Rai1 il 20 e 21 settembre ad es. mi sono sorbito per sbaglio qualche minuto di “Storie Vere” poco prima delle ore 11 di mattina; tutti elogiavano lo “spirito di Assisi”, quello bergogliano e vaticano-secondista, non quello del vero San Francesco e del Cattolicesimo di sempre!!
Un tipo presente in trasmissione che non so esattamente chi fosse (di certo un modernista pseudo-cattolico) ha addirittura osato affermare che San Francesco trattava cogli islamici su un piano di parità e non pretendeva di presentare come unica vera la sua religione (a differenza di altri missionari che sono finiti sgozzati, ha precisato), quindi l’ha presentato come un oggettivo precursore di Bergoglio e soci, cioè l’esatto opposto di come era e basta leggersi il suo discorso al Sultano!!
Questi spregevoli falsificatori falsano e falsificano tutto e tutti senza scrupoli, riscrivono il messaggio e la storia dei veri Santi per farli apparire dei loro precursori!! E le persone ignoranti prendono per buono ciò che raccontano, ritenendo qualcosa di conforme al Cattolicesimo il falso ecumenismo e l’unione di tutte le religioni e dei fedeli di qualsiasi credo senza distinzioni…
Poi addirittura hanno ospitato una coppia di lesbiche di Bologna che ha festeggiato la sua “unione civile”, dall’elogio di Bergoglio e del globalismo/sincretismo religioso a quello del “matrimonio omossesuale”!! Beh, in effetti non fa una piega, considerando i discorsi di Bergoglio e che esiste pure l’associazione di “cattolici lgbt”!!
Noi NON Vogliamo una generica “pace nel mondo”, poiché NSGC ha insegnato: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace: non ve la do come la dà il mondo “(Gv 14, 27).
Noi vogliamo la “pax christi”!

Luca, Sursum Corda!






(https://forum.termometropolitico.it/374563-le-sante-stimmate-di-san-francesco-d-assisi.html)


P.S. Dal mio precedente intervento in quest'altra discussione: (https://forum.termometropolitico.it/374563-le-sante-stimmate-di-san-francesco-d-assisi.html)



(https://forum.termometropolitico.it/374563-le-sante-stimmate-di-san-francesco-d-assisi.html)
Le sante Stimmate di san Francesco d'Assisi (https://forum.termometropolitico.it/374563-le-sante-stimmate-di-san-francesco-d-assisi.html)17 settembre 2016: anniversario dell'Impressione (avvenuta nel 1224) delle stigmate di S. Francesco d'Assisi...






Stigmate di San Francesco - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/stigmate-san-francesco/)“17 settembre, Impressione delle Sacre Stigmate di San Francesco.
Signore Gesù Cristo, che raffreddandosi la carità nel mondo, per infiammare i nostri cuori del tuo amore, hai rinnovato le sacre Stimmate della tua Passione nella carne del Beatissimo Padre nostro Francesco, concedici propizio, per i suoi meriti e le sue preghiere, di portare sempre la Croce e di fare frutti degni di penitenza. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.”


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/5400742201_000b987f5d_b-300x209.jpg





Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org/)
“17 settembre 2016: Impressione delle Sacre Stimmate sul corpo di San Francesco d'Assisi, confessore”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/14354947_1436841539678844_9029436192490284515_n.jp g?oh=f3dcc9db0ee8e4af97e37fcbae094eb5&oe=5841445E







“Il 17 settembre 1621 moriva S.E.R. il cardinale Roberto Bellarmino SJ, vescovo, confessore e dottore della Chiesa (festa liturgica 13 maggio)”


“Il 17 settembre 1485 viene assassinato in odium Fidei da alcuni ebrei "conversos" nella cattedrale di Saragozza, San Pietro Arbues, inquisitore maggiore d'Aragona. Beatificato da Papa Alessandro VII Chigi e canonizzato da Papa Pio IX, è patrono dell'Inquisizione spagnola”





Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
“Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare santa Colomba Vergine e Martire, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi le avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima, per i meriti di questa santa, ed a lei affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, santa Colomba Vergine e Martire possa essere mia avvocata e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.”





https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/14322381_1125172897519118_5083273941624449465_n.jp g?oh=ec3eb07affcf63b1d22064c315c2bd7c&oe=5880CB1D










17 Settembre -Impressione delle Stimmate di San Francesco (http://www.preghiereperlafamiglia.it/impressione-delle-stimmate-di-san-francesco.htm)
"17 SETTEMBRE IMPRESSIONE DELLE STIMMATE DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

Il serafico Padre san Francesco nutrì, fin dalla sua conversione, una tenerissima devozione a Cristo
crocifisso; devozione che diffuse sempre con le parole e la vita. Nel 1224, mentre sul monte della Verna
era immerso nella meditazione, il Signore Gesù, con un prodigio singolare, gli impresse nel corpo le
stimmate della sua passione. Benedetto XI concesse all’Ordine francescano di celebrare annualmente il
ricordo di questo privilegio, che rese il Poverello «mirabile segno» di Cristo.


http://www.preghiereperlafamiglia.it/images/greca.gif

PREGHIERA
O Dio che, per infiammare il nostro spirito
con il fuoco del tuo amore,
hai impresso nel corpo del serafico Padre san Francesco
i segni della passione del tuo Figlio,
concedi a noi, per sua intercessione,
di conformarci alla morte del Cristo
per essere partecipi della sua risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

http://www.preghiereperlafamiglia.it/images/greca.gif

INNO CRUCIS CHRISTI

si canta per la festa dell'Impressione delle Stimmate di San Francesco

Crucis Christi mons Alvérnae *
Recénset mystéria,
Ubi salútis aetérnae
Dantur privilégia:
Dum Francíscus dat lucérnae
Crucis sua stúdia.

Hoc in monte vir devótus,
Specu solitária,
Pauper, a mundo semótus,
Condénsat ieiúnia:
Vigil, nudus, ardens totus,
Crebra dat suspíria.

Solus ergo clasus orans,
Mente sursum ágitur;
Super gestis Crucis plorans
Maeróre confícitur:
Crucísque fructum implórans
Animo resólvitur.

Ad quem venit Rex e caelo
Amíctu Seráphico,
Sex alárum tectus velo
Aspéctu pacífico:
Affixúsque Crucis telo,
Porténto mirífico.

Cernit servus Redemptórem,
Passum impassíbilem:
Lumen Patris et splendórem,
Tam pium, tam húmilem:
Verbórum audit tenórem
Viro non effábilem.

Vertex montis inflammátur,
Vicínis cernéntibus:
Cor Francísci transformátur
Amóris ardóribus:
Corpus vero mox ornátur
Mirándis Stigmátibus.

Collaudétur Crucifíxus,
Tollens mundi scélera,
Quem laudat concrucifíxus,
Crucis ferens vúlnera:
Francíscus prorsus inníxus
Super mundi foédera. AmenTraduzione conoscitiva:
Il Monte della Verna rivive i misteri della Croce di Cristo; là dove vengono elargiti gli stessi privilegi che donano la salvezza eterna, mentre Francesco volge tutta la sua attenzione alla lucerna che è la Croce.
Su questo monte l’uomo di Dio, in una caverna solitaria, povero, separato dal mondo, moltiplica i digiuni. Nelle veglie notturne, pur nudo, è tutto ardente, e si scioglie in lacrime con frequenza.
Recluso con sé solo, dunque, prega, con la mente si innalza, piange meditando le sofferenze della Croce. È trapassato dalla compassione: implorando i frutti stessi della croce nella sua anima si va consumando.
A lui viene il Re dal cielo in forma di Serafino, nascosto dal velo delle sei ali con volto pieno di pace: è confitto al legno di una Croce. Miracolo degno di stupore.
Il servo vede il Redentore, l’impassibile che soffre, la luce e splendore del Padre, così pio, così umile: e ascolta parole di un tale tenore che un uomo non può proferire.
La cima del monte è tutta in fiamme e i vicini lo vedono: Il cuore di Francesco è trasformato dagli ardori dell’amore. E anche il corpo in realtà viene ornato da stimmate stupefacenti.
Sia lodato il Crocifisso che toglie i peccati del mondo. Lo loda Francesco, il concrocifisso, che porta le ferite della Croce e completamente riposa al di sopra delle cure di questo mondo. Amen."









https://vivificat.files.wordpress.com/2010/10/stigmate-300px-gentile_da_fabriano_077.jpg





https://vivificat.files.wordpress.com/2012/09/giotto_san_francesco_riceve_le_stimmate_basilica-superiore-di-assisi-giotto_legend_of_st_francis_-_19-_stigmatization_of_st_francis_.jpg
(https://vivificat.wordpress.com/2011/09/15/17-settembre-impressione-delle-stimmate-di-san-francesco-dassisi-le-stigmate-di-san-francesco/)


https://vivificat.wordpress.com/2012...matefrancesco/ (https://vivificat.wordpress.com/2012/09/15/stimmatefrancesco/)

17 Settembre - Impressione delle Stimmate di San Francesco d'Assisi - Le Stigmate di San Francesco (https://vivificat.wordpress.com/2011/09/15/17-settembre-impressione-delle-stimmate-di-san-francesco-dassisi-le-stigmate-di-san-francesco/)







17 settembre - Impressione delle stigmate di S. Francesco d'Assisi (https://forum.termometropolitico.it/312540-17-settembre-impressione-delle-stigmate-di-s-francesco-d-assisi.html)




4 ottobre: San Francesco d'Assisi (https://forum.termometropolitico.it/607403-4-ottobre-san-francesco-d-assisi.html)
4 ottobre - S. Francesco d'Assisi (https://forum.termometropolitico.it/268465-4-ottobre-s-francesco-d-assisi.html)
(https://forum.termometropolitico.it/607403-4-ottobre-san-francesco-d-assisi.html)





Luca, Sursum Corda!

Holuxar
04-10-17, 22:40
4 OTTOBRE 2017: SAN FRANCESCO D'ASSISI, CONFESSORE E PATRONO D'ITALIA E DELLE ISOLE ADIACENTI…





“4 OTTOBRE SAN FRANCESCO D'ASSISI CONFESSORE.”
http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm





https://www.sursumcorda.cloud/
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/
"Carlo Di Pietro - Sursum Corda
San Francesco da Papa Innocenzo. Opera di Giovanni Gasparro."


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https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/22221758_1489477481088656_3693002664377382400_n.jp g?oh=1bd9ea95fb3c4376d1ea2752d7eb83da&oe=5A8089F1








San Francesco - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-francesco/)
http://www.sodalitium.biz/san-francesco/
“4 ottobre, San Francesco di Assisi, Confessore (Assisi, 26 settembre 1181 – Assisi, 3 ottobre 1226).
“Ad Assisi, in Umbria, il natale di San Francésco, Levita e Confessore. Fondatore di tre Ordini, cioè dei Frati Minori, delle Povere Donne, e dei Fratelli e delle Sorelle della Penitenza. La sua vita, piena di santità e di miracoli, fu scritta da san Bonaventura”.
O glorioso San Francesco, che per tutto il tempo di vostra vita, altro non faceste che piangere la passione del Redentore e meritaste di portare nel vostro corpo le Stimmate miracolose, ottenetemi di portare anch’io nelle mie membra la mortificazione di Cristo, affinché facendo mia delizia l’esercizio della penitenza, meriti di avere un giorno le consolazioni del Cielo. Pater, Ave, Gloria.”


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/21750AI-250x300.jpg







Mons. Umberto Benigni e l’elogio di san Francesco d’Assisi:



San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte) - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-i-parte/)
http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-i-parte/
"San Francesco d’Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte)
3 ottobre 2015
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 76/15 del 3 ottobre 2015, Santa Teresa del Bambin Gesù
Dalla “Storia Sociale della Chiesa”, Vol. V, “La crisi medievale”, Vallardi 1933, pagg. 616-625.
I Francescani, di Mons. Umberto Benigni (prima parte)
«Un uomo ed un ambiente»: questo tema è stato largamente trattato per molti personaggi; ma per nessuno esso s’impone come per S. Francesco. La sua strapotente figura nell’umiltà del «Minore», è veramente la fulgida condensazione di tutto un ambiente, di un doppio ambiente: il locale propriamente detto cioè il paesaggio, e quello del tempo, l’ora volgente, il momento storico.
Francesco è cosi intenso nella sua umanità prostrata e nella sua umanità assorgente, nel Poverello e nel Serafico, che egli é l’umanità del suo tempo in un concentramento supremo cui si presta l’ Umbria mite nei suoi oliveti, austera nelle sue selve d’elce e di cerro. Va subito notato come ambiente locale, che la cosiddetta Umbria consta di un agglomerato fra l’Umbria vera al sud­est del Tevere (dialetto del lu) e quella inserita all’altra sponda nord-ovest che è in realtà l’Etruria meridionale (dialetto d’il). Ebbene quest’ultima non ha dato mai fondatori di notevoli istituti religiosi che pur nacquero nell’Etruria autonoma, la Toscana, con i già menzionati ordini religiosi fondati da senesi e da fiorentini.
Invece l’Umbria propriamente detta che ha la frontiera settentrionale con Assisi, Foligno, Spoleto, Norcia si gloria di avere generato Benedetto e Francesco, due giganti del tipo il più differente. E così fu per le care e gloriose sante, da Scolastica di Norcia a Chiara d’Assisi, cofondatrici dei due immensi istituti, le benedettine e le francescane, oltre Rita da Cascia, Angela di Foligno, Chiara di Montefalco … Due stelle affiorano, non entrano nell’Umbria etrusca: Margherita di Cortona che è toscana, Rosa di Viterbo che è laziale.
L’Umbria etrusca ebbe (lo abbiamo testé veduto) una grande iniziativa che poteva svolgersi magnificamente nel campo ortodosso: le compagnie popolari di penitenza; ma subito esse mostrarono di non essere nate collo spirito che brillava a pochi chilometri da Perugia, ad Assisi: i flagellanti furono un flagello più per le spalle della Chiesa che per le loro.
Come si potrebbe negare che Francesco se inquadri a perfezione nel suo paesaggio umbro, nel profumo agreste delle sue valli e delle sue colline, tutte popolate di monasteri e di romitaggi, di cappelle e di «maestà» come là chiamano le edicole di immagini sacre lungo le vie?
Al disopra del Tevere, Perugia, stretta tra Firenze e Roma, guardava torva al di là del fiume sacro, verso Assisi testa di ponte del ghibellinismo umbro che s’appoggiava su Foligno, e poi guardava in su verso il lago Trasimeno, su cui Cortona era l’Assisi ed Arezzo era la Foligno del nord. Là non si covava che la guerra. Un giorno, Perugia, precorrendo i tempi nostri, assale, senza dichiarazione di guerra, Foligno, e la smantella. Per fortuna della città fulginate la Ginevra d’allora era il Papa che, capo guelfo, obbligò i suoi guelfi rubesti di Perugia a rifare a loro spese le mura demolite; ed i folignati, a scorno di essa, posero il grifo perugino con la testa in giù sulla facciata del loro duomo, ove sta ancora a fare il pollo in vendita. Un altro giorno, una banda di aretini scende verso il lago perugino, acchiappa alcuni giovani sudditi perugini e li impicca con al collo, per dileggio, una collana di lasche (specie di sardine del lago) perché i perugini ne vanno ghiotti e son chiamati mangialasche. I Priori dell’Augusta Turrena si adunano, e giudicano che si poteva aver pazienza per l’impiccagione (ne impiccavano tanti, essi!), ma che l’insulto delle lasche doveva essere lavato nel sangue; e posero l’assedio attorno ad Arezzo. Gli aretini videro che a cadere sotto un assalto perugino, sarebbe stato il massacro e la distruzione; e la mattina avanti l’assalto, il sole dorò i gonfaloni fiorentini alzati sulle mura d’Arezzo, davanti all’oste sitibonda di sangue da que’ disperati ghibellini i quali, guelfi per guelfi, preferivano la tracotanza del Giaggiolo alla ferocia del Grifo: così cadde la libertà comunalista ed impiccaiuola della città di Guido e di Petrarca; e così Perugia, come non aveva «avuto» Foligno, non «ebbe» Arezzo.
È qui precisato un fatto tipico che rientra nella nostra prospettiva. Il fiero sogno della «Dominante» dell’alta Umbri fiammeggiò sulla celata del grande capitano di Perugia, Braccio Fortebraccio da Montone: «Braccio Valente, vince ogni gente»! cantavano i suoi. Ed egli, che doveva aver avuto gloria e potere nella stessa Roma papale, si apprestava a tagliarsi un regno verso il Mezzogiorno, quando un’anonima mazzata in testa, alla battaglia d’Aquila, stese a terra il capitano e col suo sogno quello della sua città.
Eppure Perugia s’irrigidì e volle tener testa coi Baglioni.
Ma quando Leone X tratto alla perugina il pericoloso capo di quella famiglia, facendolo venire a Roma a render conto, e ordinando che gli fosse tagliata la testa, allora il vecchio grifo, avvilito, strinse le unghie e chinò la testa. E Perugia divenne la città pia, la città dei flagellanti che avevano messo giudizio.
E fu un gran centro di francescanesimo non solo nei conventi e nelle chiese dei Minori, ma nello spirito delle sue innumerevoli confraternite ed opere pie. Finalmente Francesco sarebbe potuto tornare a Perugia in pace, la pace dell’irrevocabile sera d’ogni giorno umano.
Ma al tempo in cui il Crocifisso di San Damiano chiamava il figlio di Bernardone alla grande ascesa spirituale, in quella terra umbro-etrusca, al di là del Tevere non v’era un ambiente vitale per far spuntare l’Ordine della Pace e della mansuetudine; v’era posto solo per il primo miracolo di san Francesco, che nessuna agiografia ha notato, e che noi teniamo a segnalare per i primi. Una banda di giovani assisani fa una delle cento scorrerie nel territorio perugino; il Grifo li adunghia; quelli che non morirono o non fuggirono, furono fatti prigioni, e recati in città. Fra questi v’era Francesco di Bernardone. Un prigioniero politico in quelle condizioni, a Perugia, era un uomo spacciato. Ebbene, Francesco venne lasciato libero. Fu il suo primo miracolo. Dopo la sua morte, nel luogo dove aveva corso il più gran pericolo della sua vita, Perugia eresse una splendida chiesa con il grandioso convento di San Francesco al Prato. Al lato gli sorse la magnifica cappella di S. Bernardino (altro santo popolarissimo a Perugia) davanti alla quale cappella si tagliava la testa ai condannati. Si vede che tra il carcere . . . politico e il luogo del ceppo correvano pochi passi: restò il ceppo dopo la gran chiesa e la gentile cappella dalla facciata maiolicata dal Ducci.
Più tardi Francesco tornò a Perugia, già venerato; e vi tenne un commovente discorso per indurre i perugini alla pace ed alla concordia fra loro e coi vicini. Qui mancò il secondo miracolo – sarebbe stato troppo -; e Perugia restò entusiasta dei frati minori e delle guerre civili.
Questo fosco paesaggio spirituale al disopra del Tevere serve di sfondo a meglio far risaltare il lucido quadro di pace dell’Umbria serafica. Non già che anche là, come dappertutto, non vi fossero prepotenti e lotte, ma non dominavano, incumbo indeprecabile, l’ambiente come, tra Arezzo e Perugia, là donde doveva venire al francescanesimo il turbolento cortonese frate Elia e dove, al contrario di Chiara e delle altre sante umbre entrate nel convento e nella santità tra la pace comune, la compatriota di frate Elia vi entrava per una terribile tragedia, dopoché la bellissima giovane mondana, Margherita, andata a passeggio, fu attratta dai guaiti del cane verso un fossato dove ella vide il cadavere del signore suo amante, pugnalato dai nemici. Anche Rita da Cascia ebbe il marito assassinato, e scongiurò i figli di perdonare; quando questi mostrarono non declinare dalla legge del sangue, ella pregò Dio che li raccogliesse avanti di macchiarsi, e, lasciato il mondo, entrò tranquillamente nel chiostro dell’ umile cittadina, resa poi illustre dalla Santa delle api e delle rose.
Questo fu l’ambiente locale, il cielo d’argento e d’azzurro, in cui s’inquadrano la tonaca grigia e le rosse stimmate di Francesco il quale andò nel paese del sangue due volte ma per trovarsi la solitudine piena, non facile nel suo mite paese: una volta, si ritrasse in una deserta isola del lago Trasimeno per trascorrervi un’austerissima quaresima, l’altra volta ascese la selvaggia cima della Verna dove Cristo fiammante e sanguinante lo attendeva per stigmatizzarlo, onde il demonio si « estremisse » allibito -come canta Jacopone -, credendo di Vedere in Francesco il Crocifisso.
Se tale fu il nido ove nacque il francescanesimo, immensamente più vasta fu l’aura che in quel momento spirava nel cielo cattolico. Parliamo del momento storico.
Abbiamo visto quel cielo oscurato da nere nubi, solcato da folgori apocalittiche: la tempesta del catarismo e delle sètte affini. Ma abbiamo constatato altresì che, pur durando il turbine, il vento cambiava di direzione: il valdesismo, eversivo per il suo montanismo, si orientava verso una direzione che poteva essere la buona: i Poveri di Lione, col loro torbido demagogismo, indicavano, peraltro, l’orientamento a cui sfociava lo spiritualismo ascetico e rinunziatario che segnala ogni fine di epoca. La foga irresistibile della rinunzia e della concentrazione spirituale, da noi constatata dal tramonto teodisiano dell’Impero al suo funerale teodoriciano, la «fuga» e il «recesso» dei Gerolami, dei Pignani, dei Cassiodori, delle Paole e delle Melanie, non si spiegano con la paura dei Barbari, ma piuttosto col sentimento della irrimediabile decrepitezza sociale in mezzo alla quale si viveva. Tutto l’epistolario di Gerolamo ne trasuda; le sue sfuriate celano a malagio l’accorata tristezza, la quale una volta erompe alla notizia della presa di Roma da parte di Alarico: fenomeno effimero, che non sembrava avesse un domani, ma segnale tangibile che tutto finiva.
Così è nel fosco tramonto dell’idea medievale, attraverso lo sfacelo della sua ormai vecchia attuazione. Tutto il trasognare del Vangelo Eterno, come tutta la spinta nel cielo sempre sereno di sopra le nuvole, da parte della scuola renano-fiamminga degli Amici di Dio, tutto sente la fuga dal tristo presente, il recesso da un mondo in putrescenza. Ed ecco il fenomeno travolgente della rinunzia: vendere quello che si ha e dare ai poveri. Nelle leggi misteriose eppure sì armoniche che reggono la spiritualità umana, v’é quella della quaresima mistica, un tempo che s’impone per reazione dopo i rimpinzamenti invernali che sul piano spirituale sono gli eccessi sociali del potere e della ricchezza, cioè dell’ambizione, della boria, della concupiscenza. In quel momento di reazione, il meglio della cristianità fa penitenza per tutti – é la eterna missione dei buoni -; ed allora si sprigiona un movimento caratteristico, quello che abbiamo ora constatato, al cadere della epoca classica, ed a quello della medievale.
Ma tale aura, mossa irresistibilmente, può essere spinta su buona come su cattiva direzione, essere feconda di bene e di male, od anche semplicemente sterile. Allora la mano di Dio si manifesta.
Torna l’esempio antico. Le «fughe» dei soprannominati asceti, dei Gerolami e delle Melanie, erano ottimi fenomeni, ma poco meno che individualistici, senza influenza fuorché nella stretta cerchia degli amici; intanto la deviazione si manifestava in quegli avventurieri erranti sotto la tonaca dell’eremita vagante, che il fiero Stridonense fustigò da pari suo: i sarabaiti, che furono i Poveri di Lione del tempo gerolimiano; tanto é vero che più si cambia e più é la stessa cosa.
Ma nel mondo della civiltà cristiana, al grigio tramonto di un’epoca Dio accorda di colorarsi della luce aurorale del tempo nuovo. Sorge allora l’uomo che concentra in sé l’anima innumerevole della cristianità anelante all’auspicato sbocco. Benedetto da Norcia fu quel condensatore del momento storico in ciò che questo ebbe di più puramente, più altamente spirituale; ed egli piantò la quercia immensa alla cui ombra benefica rifioriva la vita morale e sociale del mondo cristiano: il benedettinismo del periodo barbarico-bizantino e dell’alto medioevo.
Similmente Francesco ci appare veramente il Serafico, cioè l’anima angelicata, che nella sua inenarrabile intensità mistica, può condensare e rappresentare l’innumerevole anima cattolica del suo tempo, anelante alla rinunzia ma per arricchire con migliori tesori, al recesso, ma per uscirne, temprata, alla riconquista cristiana del mondo aberrante. Ecco la multiforme figura dell’Assisate: lui nudo davanti al padre avaro, lui cinto di rozza tonaca della stoffa incolore tessuta pei poveri, con una trama bianca e una nera; lui trafitto sul Golgota aretino dalle stimmate di Cristo, lui predicante la pace ai cittadini inferociti, lui che impone il disarmo personale ai suoi terziari, per cominciare da loro il disarmo morale della guerra endemica, lui che, acceso apostolo, va in Oriente in pieno Islam, e dice al Soldano le verità cristiane, gettando le basi di quella missione plurisecolare d’Oriente che ha per centro e monumento glorioso la Custodia di Terrasanta. Se i suoi figli Giovanni da Pian di Carpine e Giovanni da Montecorvino, non saran coronati di successo nel loro ardimentoso tentativo presso i tartari, la loro stessa presenza nel campo dei Khan, dimostra quale gigantesca spina apostolica racchiudesse il gesto di Francesco missionario: saranno infatti le ossa dei suoi frati martiri, riportate dai pii e prodi portoghesi dal Marocco, che toccheranno il cuore del canonico lisbonese e ne faranno il grande Antonio di Padova, predicatore indefesso di fronte ai paterini, e vindice santamente temerario della calpestata giustizia e umanità di fronte a quel tiranno che fu Ezzelino da Romano, il peggior «tartaro» d’allora.
Tutto questo arcobaleno che si designa sul cielo sconvolto della crisi medievale, come simbolo di pace e di speranza, è Francesco: egli condensa i colori del tempo nuovo sullo sfondo del vecchio. Tutto il momento storico, in quanto ha di fiducioso slancio verso il domani, anela in petto al Poverello, al Serafico.
Ecco l’uomo e il suo ambiente; la nostra penna che non si è mai illusa di essere all’altezza di certe figure grandiose della storia cristiana, si sente ben meschina di fronte a lui. Ma è lui che l’ha animata per rievocarlo."
San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (II parte) - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-ii-parte/)
http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-ii-parte/
"Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 77/15 del 5 ottobre 2015, San Placido
Dalla “Storia Sociale della Chiesa”, Vol. V, “La crisi medievale”, Vallardi 1933, pagg. 616-625.
I Francescani, di Mons. Umberto Benigni (seconda parte)
Sulla figura di Francesco e sull’inizio e sviluppo dell’opera sua i giudizi più diversi sono stati svolti, di secolo in secolo, attraverso documenti primitivi, non sempre chiari e non compresi nel loro spirito che ben tardi (come i celebri «Fioretti di San Francesco» tutt’altro che fonte pura da tendenziosità), seguiti da una farraginosa letteratura ove spesso lo scrittore fa opera settaria, nel senso generico della parola, sia il congregazionista che vuol fare di Francesco l’uomo accaparrato dalla sua congregazione di fronte alle consorelle, sia il tristo protestante razionalista Paolo Sabatier che del «Franciscus vir catholicus» volle fare un vago spiritualista, panteista, buddista occidentale. È vero che se allo Stimmatizzato han fatto questo, al suo crocifisso han fato ben peggio; ed anche in questo l’estatico della Verna segue la passione postuma del divino Maestro.
In realtà Francesco è il fondatore di un movimento di Penitenza, largo ed universale, per il monaco penitente, per il monaco missionario, per il prete secolare, per il laico; ce n’è per tutti, da Antonio di Padova a Luigi IX, da Chiara d’Assisi a Elisabetta d’Ungheria, da questi grandi ad una infinita schiera di frati, di monache, di terziari, oltre le sempre più numerose congregazioni che aspirano al suo nome.
Ecco perché il francescanesimo fu sin da principio la barriere che sorgeva, come per incanto, di fronte alla eresia ed alla demagogia che se ne mascherava, in ogni angolo d’Occidente. Ecco l’innumerevole sciamare di falangi apostoliche, attraverso città, villaggi e campagne, a seminare «fraternamente» la parola e l’esempio per ricondurre i sedotti dalle stravaganze pseudomistiche e dai pregiudizi e odi anticristiani ed antisociali, verso un ideale umile ed efficiente di vita pura e modesta, tranquilla e sopportante per amor di Dio.
Fortissima, benemeritissima fu, come presto vedremo, l’opera di Domenico e de’ suoi frati predicatori, specializzati presto nella lotta dottrinale ed inquisitoriale, dove furono sommi: ma dal punto di vista globale che ci occupa – la difesa contro l’assalto eversivo della società – il francescanesimo occupa il fronte della battaglia, e vi resta tutt’oggi, più d’altri, perché lo spirito francescano scese al più profondo dell’anima, dei bisogni e delle miserie di questa; onde arrivò ed arriva in quel sottosuolo spirituale che è sempre lo stesso, attraverso i secoli, le epoche, le loro crisi. La letteratura, sismografo delle cose invisibili, c’ha mostrato nel vescovo hugotiano Miriel la più artificiosa delle figurazioni letterarie, la più irreale; il cattolico Manzoni c’ha dato in padre Cristoforo ed in fra’ Galdinoi tipi eterni del buon francescano, sempre fra il popolo, e con la destra alzata verso i piccoli successori di Ezzelino, o con sulle labbra le pie storie del miracolo delle noci, delizia della piccola gente che non ha migliore letteratura spirituale del folklore cristiano.
La grande genialità si vede nella istituzione nuova del Terz’Ordine, tipo insuperato, con buona pace di tanti cavalieri e fanti delle organizzazioni all’americana. L’eresia demagogica e la tirannia dei signorotti feudali o dei priori comunali, fedeli a quel criterio che forgiò il celebre «semo prima venesiani e poi cristiani», non si aspettavano l’assalto in casa loro, col «frate» terziario e la «sorella» terziaria che potevano essere il suocero o il genero, il fratello o il figlio, la madre, la suocera, la moglie, la sorella, la nuora o la figlia del demagogo o del tirannello, che se li trovava a casa, in bottega, a tavola, a letto.
Certamente l’influenza del Terz’Ordine fu grandissima, e dovette avere il suo peso in ogni buono sforzo per la pace o difesa patria, per il meno inquieto vivere sociale. Senza le fantastiche esagerazioni de «il segreto di Giovanna d’Arco» del Pèladan, si può ben opinare che i terziari francesi erano per la pia e patriottica Pulzella, e così per la patria minacciata; mentre dietro la politica e l’armata inglese, si arrovellava l’odio bieco contro la casa di Francia e, come a meno contro la Francia, dei fuoriusciti del templarismo settario.
Grave iattura fu lo scisma e i mille dissensi che ne seguirono, all’indomani e dopo, in seno alla grande famiglia francescana.
Oltre il doloroso ma fugace episodio del traviato Frate Elia da Cortona, la lotta del fanatismo «spirituale», pauperistico, fu deleteria. Senza dubbio sarebbe stato fatale che tutto l’Ordine francescano si fosse incanalato nel regime dei frati conventuali, rispettabilissimo ed opportunissimo ramo della famiglia, adatto per tutta una categoria di persone; ma quando mai vi fu, serio e concreto un tale pericolo? gravissimo e concretissimo vi fu invece il pericolo del fanatismo presuntuoso e pervicace, anche quando non arrivò allo scisma ed all’eresia proibente ai Papi di toccare alla lettera della Regola francescana, che valeva perché e in quanto era stata approvata dai Papi e non perché fosse un Vangelo dettato da Dio. Guai se il francescanesimo si fosse lasciato trasportare da quella deformazione intellettuale e morale che poi fu chiamata a proposito di altri, il «solipsismo», quello dei «soli ipsi», dei «soli essi».
Questa piaga non è estinta come spirito, e lo si vede in deplorevoli eccessi che s’infiltrano in polemiche bizantine sulla orgine ed evoluzione minoritica; ma, grazie a Dio ed alla pontificia sapienza, il malanno è reso inefficace per il pubblico danno.
Ma quanto male ha fatto cogli esaltati del medioevo agonizzante! Il farisaismo (e non si nega la buona fede di alcuni: questione estranea) il farisaismo pauperistico impedì tanto bene, fattibile allora dal puro francescanesimo, che è a domandarsi se non fosse in ciò una ragione dell’indebolito successo posteriore della contro-preriforma minoritica. ll tentativo dell’eremitismo – cioè, in fondo, dell’individualismo ascetico predominante – dei clareniti (Eremiti di Celestino) fu tollerato, dopo violente peripezie, dalla longanimità dei Papi, che può lasciar vivere indefinitamente enti sorpassati: il tempo è longanime perché sicuro che verrà matura la morte degli enti non vitali. Così, sopravvenuta colla controriforma la necessità di una revisione di valori per vari istituti ecclesiastici, mentre prosperava la nuova forma, perfettamente inquadrata, della comunità cappuccina, il riformatore Pio V soppresse i clareniti ai quali già, alla vigilia della tempesta, Giulio II aveva imposto di aggregarsi o alla famiglia osservantina (francescani comuni) od alla conventuale: misura che poi apparve insufficiente.
Tutte queste esperienze più o meno patologiche sulla grande vita francescana ne hanno determinato la legge biologica della sanità e della forza: fratellanza totalitaria, comunitativa e disciplinata; spirito di piena rinuncia al mondo, nella sorridente umiltà e cordialità; varia ramificazione che dà all’albero francescano il valore di una selva, senza gli sterpi.
Tale fu e restò l’alberò che Francesco piantò umile piantatore di un umile virgulto che fremeva, nel saturo ambiente e momento storico, di essere albero. Già lo era al Capitolo delle Stuoie, presente Francesco; e l’albero ingigantì a vista d’occhio e divenne l’albero evangelico che «fa gran rami, e li uccelli dell’aria all’ombra di esso possono dimorare» (Marc.IV,32)."



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"San Francesco difese le Crociate dinanzi al Sultano d’Egitto"
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I due Francesco « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=12849)
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"San Francesco d’Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte)"
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"San Francesco d'Assisi nella penna di Mons. Benigni (II parte)"
http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=19145








https://www.radiospada.org
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“4 OTTOBRE 2017: SAN FRANCESCO D'ASSISI, CONFESSORE E PATRONO D'ITALIA E DELLE ISOLE ADIACENTI.”


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“Il 4 ottobre 1542 nasceva a Capua san Roberto Bellarmino, della Compagnia di Gesù, Cardinale di Santa Romana Chiesa, già Vescovo di Capua (1602 - 1605), astro fulgidissimo della Controriforma cattolica. Passato alla vita eterna il 17 settembre 1621, Pio XI lo iscriverà nell'albo dei Beati (13 maggio 1923), dei Santi (29 giugno 1930) e dei Dottori della Chiesa Universale (17 settembre 1931).”


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Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
http://liguesaintamedee.ch/
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
“4 Octobre : Saint François d'Assise, Fondateur (1182-1226).”


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Guéranger, L'anno liturgico - Domenica nona dopo la Pentecoste (http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm
“4 OTTOBRE SAN FRANCESCO D'ASSISI CONFESSORE.”
La conformazione a Cristo.
Nella lettera ai Romani l'Apostolo san Paolo ci dà la regola di ogni santità con le parole: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagines Filii sui..." (Rom 8,29). Conformarci al divino modello, che si chiama Gesù.. È la conformità al Figlio di Dio, acquistata con la virtù, che fa i santi.
Celebriamo oggi un Santo, che fu copia ammirabile di Cristo Gesù, che il Sommo Pontefice Leone XIII chiama il più bello dei santi, che Papa Pio XI ci presenta come il santo che pare aver meglio compreso il Vangelo e conformata la vita al divino modello.
San Francesco infatti è un altro Cristo. Ha cercato Cristo, lo ha seguito, lo ha amato, lo ha dato agli altri, Cristo Gesù è tutta la sua vita. Non ci fermiamo sulle tradizioni graziose che vogliono che Francesco sia nato in una stalla, come Gesù, e su un poco di paglia; noi lo vediamo, giovane, arrestarsi improvvisamente in mezzo ai suoi sogni di piaceri e di feste, mentre pensa ad imprese cavalleresche, perché il Cristo di S. Damiano gli parla: "Francesco, che cosa vale di più? Servire il padrone o il servitore?". Francesco è affascinato da queste parole, comincia una vita nuova, apre il Vangelo e vi cerca Cristo cui consacrarsi interamente.

Amore del Vangelo.
Egli fa del Vangelo il suo nutrimento e, trovandovi una celeste soavità, esclama: "Ecco quello che da molto tempo cercavo!". Il Vangelo è suo sostegno, sua consolazione, rimedio a tutte le sofferenze, nelle prove non vuole altro conforto e un giorno dirà ai suoi frati: "Sono saturo di Vangelo, sono pieno di Vangelo". Il Vangelo diventa sua vita e quando vuole dare ai suoi frati una regola, scrive nelle prime pagine: "La regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".

Povertà.
Ma il Vangelo è la storia dell'abbassamento del Figlio di Dio fino a noi e del suo amore per le nostre anime, è il Cristo povero, umile, piccolo, compassionevole e misericordioso, il Cristo Apostolo, il Cristo che ci ama e muore per noi. San Francesco, che lo ha scelto come regola di vita, lo vive alla lettera. Sull’esempio di Gesù, egli abbraccia la povertà e, davanti al Vescovo di Assisi si spoglia delle sue vesti, le restituisce al padre dicendo: "Adesso potrò veramente dire: Padre nostro, che sei nei cieli". E comincia la sua vita di povertà, povertà gioiosa e tutta piena di sole, non la povertà gelosa e afflitta, che troppo spesso vediamo nel mondo, povertà volontaria e amata. Va a tendere la sua mano delicata per le vie di Assisi ed è respinto come se fosse un pazzo, ma resta l'amante della povertà e, al momento della morte, è sua consolazione suprema essere stato fedele a "Madonna Povertà".

Umiltà.
Il Vangelo è Gesù Cristo umile e piccolo: parvus Dominus, il Grande piccolo Gesù, come lo chiama san Francesco. Egli medita questo insegnamento e si fa "l’umile Francesco", come lo chiamo l'autore dell'Imitazione. Si considera l'ultimo degli uomini, il più vile peccatore, e soffrire, essere disprezzato è per lui gioia perfetta e dà ai suoi figli il nome di Minori, cioè piccoli.

Misericordia.
Il Vangelo è Gesù Cristo compassionevole e misericordioso e, sul suo esempio, il cuore di Francesco è tutto pieno di misericordia. San Bonaventura, scrivendo la sua vita, ci dice: "La benignità, la bontà del nostro Salvatore Gesù Cristo è apparsa nel suo servo Francesco". Egli stesso, all'inizio del suo testamento, scrive: "Il Signore mi fece la grazia di cominciare a fare penitenza, perché quando ero nel peccato mi sembrava troppo amaro vedere dei lebbrosi, ma fui verso di loro misericordioso e quello che mi pareva amaro diventò per me dolcezza dell'anima e del corpo".
Francesco era misericordioso verso tutti i miseri e alla Tribuna del Parlamento italiano gli fu resa questa testimonianza: "Se san Francesco di Assisi non ha fondato istituzioni di carità, ha versato nel mondo tale una corrente di carità, che dopo sette secoli, nessuna opera di carità è stata fondata senza che egli ne sia stato ispiratore".

Apostolato.
Il Vangelo è Gesù Cristo apostolo. Egli è venuto perché gli uomini sentissero la parola di vita e con quale amore lascia cadere dal suo labbro le sue intenzioni divine! E Francesco, sulle orme di Cristo, si fa apostolo, traccia nell'aria il segno della Croce e manda i suoi discepoli ai quattro angoli del mondo. Egli ha capito bene le parole di Gesù: "Andate e insegnate a tutte le nazioni". Primo fra tutti i fondatori di Ordini moderni, manda i suoi figli nelle regioni infedeli e quando, dopo qualche mese, viene a sapere che cinque di essi hanno colto, nel Marocco, la palma del martirio, esclama con gioia: "Finalmente ho dei Vescovi!" I suoi vescovi erano i martiri. Dopo aver fondata l'opera sua, non sogna per sé che di offrire a Gesù la testimonianza del sangue e tre volte passa i mari, va a predicare Cristo fino alla presenza del Sultano infedele, ma Dio gli riserva un altro martirio per il giorno in cui gli manderà un Angelo a incidergli nelle sue carni le piaghe del divino Crocifisso.

Il dono di sé.
Il Vangelo è Gesù, che si dona e si immola e, come Gesù, Francesco si dona a sua volta. "Questo povero, piccolo uomo, dice san Bonaventura, non aveva che due cosa da offrire: il suo corpo e la sua anima". Dona a Dio il suo corpo con la penitenza e sappiamo come egli trattasse il suo corpo. Aveva diviso l'anno in nove quaresime successive, si contentava di pane secco e si rifiutava anche l'acqua necessaria alla sua sete, per non cedere alla sua sensualità. Era suo letto la terra nuda, suo cuscino un tronco di quercia e, tormentato spesso da malattie, ringraziava il Signore perché non lo risparmiava. Chiedeva a Dio di soffrire cento volte di più, se era sua volontà. Dava poi a Dio la sua anima con la preghiera e con lo zelo.
Ma san Francesco non è soltanto discepolo fedele di Cristo, perché copia la vita e le virtù del Maestro, ma è soprattutto il Santo dell'amore serafico. Egli è entrato nel Cuore di Gesù, ha compreso il Cuore di Gesù e gli rende amore per amore.

Amore dell’Eucaristia.
Con l'amore del Vangelo, un altro amore consuma il cuore di Francesco: l'amore dell'Eucaristia! Il mistero eucaristico era fatto apposta per attirare la sua anima serafica! Un Dio disceso dal cielo per salvarci, fattosi carne in forma umana e morto sul Calvario come un delinquente, si abbassa ancora fino a prendere la forma di una piccola ostia, per unirsi a noi e farsi nostro cibo; un Dio, che, dopo la follia della Croce, giunge alla follia dell'Eucaristia e sta imprigionato nel tabernacolo, per attenderci e per riceverci, è un mistero ineffabile, che desta l'ammirazione delle anime amanti. Francesco, il grande amante del Vangelo, in cui trovava la parola vivente ed eterna di Gesù, il grande amante della Croce, in cui vede l'amore sacrificato, ama pure l'ostia dove è l'amore vivente, l'amore che si dona, l'amore che attira e trasforma le anime generose e pure! Per l'ostia egli corre a riparare i tabernacoli, per l'ostia va per le campagne a ripulire e ornare le chiese povere e abbandonate, per l'ostia dimentica la povertà e manda i frati a disporre sugli altari vasi d'oro e d'argento, per l'ostia si prostra lungo la via, quando vede spuntare la guglia di un campanile e passa ore davanti al tabernacolo, tremante per il freddo, in adorazione e in amore. Fa celebrare la Messa tutti i giorni e con fervore si comunica tutti i giorni.
In un'epoca in cui spesso il sacerdozio è avvilito, ricorda ai sacerdoti la loro grandezza. "Il vedo in essi il Figlio di Dio" e si mette in ginocchio davanti al sacerdote, e gli bacia le mani. Egli, il piccolo diacono, che si giudica indegno di salire l'altare, scrive a cardinali, a vescovi, a principi: "Vi prego, miei signori, baciando le vostre mani, fate in modo che il Corpo di Gesù sia trattato degnamente e da tutti debitamente rispettato". E Francesco prepara all'ostia anime adoratrici, circonda di anime vergini il tabernacolo con le Clarisse e ciborio, giglio, corona di spine diventano le armi di S. Damiano.
Vangelo, Croce, Eucaristia sono i grandi amori, che formano l'anima di Francesco, il segreto della sua azione nella Chiesa. Dopo aver cercato Gesù, dopo aver vissuto di Lui, dopo averlo amato, Francesco poteva attendere la morte, senza averne paura,. La grande Teresa d'Avila, mentre stava per morire esclamava: "È tempo di vederci, Gesù mio!". Francesco, nelle stese circostanze, si mette a cantare: "Voce mea ad Dominum clamavi, ad Dominum deprecatus sum. Chiamo il Signore con tutta la mia voce e prego il mio Signore". "Me exspectant iusti... I giusti mi attendono, essi vogliono essere testimoni della ricompensa che Dio mi darà" (Sal 140,1).
Quale incontro sarà quello dell'anima di Francesco con il Signore! Ricordiamo il quadro del Murillo, che ci presenta Cristo mentre stacca un braccio dalla croce e attirà a sé l'umile Francesco, per stringerlo al cuore. È questa la morte di Francesco. Con uno slancio sublime l'anima sua si getta tra le braccia di Dio e va a godere l'amore, che non ha fine.

VITA. - Francesco nacque ad Assisi nel 1182 e fin dalla giovinezza si mostrò caritatevole verso i poveri. Una malattia fu l'inizio di una vita di perfezione e risolvette di dare tutto quanto possedeva. Suo padre pretese la rinuncia all'eredità e Francesco rinunciò volentieri, spogliandosi tosto anche degli abiti che indossava. Fondò con alcuni compagni l'Ordine dei Frati Minori, che ebbe l'approvazione di Papa Innocenzo III. Francesco mandò i suoi religiosi a predicare dappertutto ed egli stesso, desideroso del martirio, partì per la Siria, ma avendo raccolto soltanto onori, tornò in Italia dove fondò presso la Chiesa di S. Damiano un Ordine di vergini, sotto la direzione di santa Chiara, e il Terz'Ordine, per dare anche alle persone viventi nel mondo un mezzo efficace di santificazione nella pratica delle virtù religiose. Nel 1224, mentre pregava sul monte Alvernia, gli apparve un serafino, che impresse nel suo corpo le piaghe di Crocifisso, in segno dell'amore che il santo nutriva per il Signore. Due anni dopo Francesco, molto ammalato, si fece portare alla chiesa di S. Maria degli Angeli e vi morì dopo aver esortato i suoi frati Minore ad amare la povertà, la pazienza e a difendere la fede della Chiesa Romana. Gregorio IX, che lo aveva conosciuto profondamente, lo iscrisse poco appresso nel catalogo del Santi.

Preghiera di san Francesco.
"Grande e magnifico Dio, mio Signore Gesù Cristo! Io ti supplico di darmi luce, di rischiarare le tenebre dell'anima mia. Dammi fede retta, speranza sicura, carità perfetta. Concedimi, o Signore, di conoscerti bene, per poter in tutte le cose agire nella tua luce secondo la tua volontà".

La Chiesa in rovina.
Così tu pregavi spesso e a lungo davanti al Crocifisso della vecchia chiesa di S. Damiano. E un giorno dal Crocifisso scese una voce che solo il tuo cuore poteva percepire e diceva: "Va', Francesco, ricostruisci la mia casa, che sta per crollare". E tu, tremante e felice insieme, rispondesti: "Andrò con gioia, o Signore, a fare quanto mi chiedi!".
La casa che stava per crollare era senza dubbio la vecchia e solitaria cappella di S. Damiano, ma il Signore pensava soprattutto alle rovine, accumulatesi nel corso degli ultimi secoli nella sua Chiesa.

L'Ordine dei Minori.
Il Papa, che lo aveva compreso, approvò l'Ordine dei Minori, che con il suo fervore, il suo amore per la povertà, lo zelo apostolico, non solo avrebbe riparato le rovine della Chiesa di Cristo, ma sarebbe andato a costruire nuove cristianità nelle terre infedeli, col sangue dei migliori suoi figli.
Dalla gloria del cielo, dove il Signore ti concede ora così grande e gloriosa ricompensa, degnati, o san Francesco, di non dimenticare la Chiesa per cui non hai risparmiato fatiche.
Aiuta i tuoi figli, che proseguono l'opera tua nel mondo intero, e possano essi crescere in numero e in santità, prodigandosi sempre nell'insegnamento con la parola e con l'esempio.
Prega per tutto lo stato religioso, che acclama in te uno dei suoi Patriarchi illustri e tu, amico di san Domenico, mantieni tra le due famiglie quella fraternità, che non venne mai a mancare, conserva per l'Ordine Benedettino i sentimenti, che sono in questo giorno la tua gioia, stringendo ancora e legami, che il dono della Porziuncola ha annodato per l'eternità con i tuoi benefici (Porziuncola era una piccola proprietà dei Benedettini del Monte Subasio, ceduta a san Francesco, per essere la culla del suo Ordine).
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1138-1144."






Luca, Sursum Corda!

Holuxar
17-09-18, 23:14
17 SETTEMBRE 2018: anniversario dell’impressione delle stigmate di San Francesco d’Assisi (avvenuta il 17 settembre 1224); anniversario dell’assassinio di San Pietro Arbues, inquisitore maggiore d'Aragona (ucciso da marrani in odium Fidei il 17 settembre 1485 nella cattedrale di Saragozza, poi beatificato da Papa Alessandro VII Chigi e canonizzato da Papa Pio IX) e patrono dell'Inquisizione spagnola; anniversario della morte del cardinale San Roberto Bellarmino (Montepulciano, 4 ottobre 1542 – Roma, 17 settembre 1621) appartenente all'Ordine dei Gesuiti, vescovo, confessore, teologo e dottore della Chiesa…



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https://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/09/san-pietro-de-arbues-inquisitore-e.html
"lunedì 17 settembre 2018: San Pietro de Arbues, Inquisitore e Martire.
Pedro de Arbues, nato ad Epila presso Saragozza tra il 1441 e il 1442, conclusi gli studi, fu elevato al Sacerdozio e costituito Canonico Regolare della Cattedrale di Saragozza. Nel 1474 fu chiamato ad esercitare in Aragona il Santo Uffizio dell’Inquisizione. Nell’adempimento di esso fu martirizzato da alcuni Giudei. Passò al Signore il 17 settembre 1475. Alessandro VIII nel 1668 lo iscrisse fra i Beati. Pio IX lo annoverava fra i Santi Martiri il 29 giugno 1867.
Per un biografia più ampia del santo Martire rimandiamo all'articolo "Pedro d Arbues: il Santo Martire dell'Inquisizione Spagnola" pubblicato su Radio Spada."
https://www.radiospada.org/2017/09/pedro-de-arbues-il-santo-martire-dellinquisizione-spagnola/

https://tradidiaccepi.blogspot.com/2017/09/canoni-tridentini-sulla-messa.html
"MAGISTERO DELLA CHIESA
Il 17 settembre 1562 il Sacrosanto Concilio Ecumenico Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo sotto la presidenza dei Legati della Sede Apostolica, emana il Decreto e i Canoni dogmatici sul santissimo Sacrificio della Messa."
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https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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“IMPRESSIONE DELLE SANTISSIME STIGMATE SUL CORPO DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
Confessore.
Doppio.
Paramenti bianchi.
Due anni prima della morte, San Francesco si ritirò sul monte Alvernia (La Verna) in Toscana, dove iniziò un digiuno di quaranta giorni in onore di San Michele Arcangelo. Ora avvenne che, durante la sua meditazione, vide come un Serafino che aveva sei ali fiammanti e i piedi e le mani inchiodati ad una croce. Francesco comprese che un puro spirito non può soffrire e che perciò la visione era destinata ad avvertirlo che sarebbe diventato sempre più simile a Gesù, mediante una partecipazione della sua croce, non già per mezzo di un martirio esterno, ma per mezzo del martirio di un'ardente carità. E perché questo amore crocifisso potesse servire di esempio a tutti, cinque piaghe simili a quelle di Gesù sulla croce gli si formarono sui piedi, sulle mani e sul costato. Da questa ultima il sangue usciva abbondantemente. Questo fatto fu così ben riconosciuto con l'andar del tempo, che Benedetto XI volle che se ne celebrasse ogni anno la commemorazione, e Paolo V, per accendere nel cuore dei fedeli l'amore di Gesù in croce, estese questa festa a tutta la Chiesa.
• Dai Commentari di san Bonaventura Vescovo.
Leggenda di San Francesco, c. 13.
Francesco, questo servo e ministro veramente fedele di Cristo, due anni prima di rendere lo spirito al cielo, ritiratosi in un luogo elevato chiamato monte Alvernia per cominciarvi un digiuno di quaranta giorni in onore dell'Arcangelo Michele, fu inondato più abbondantemente dalle dolcezze spirituali della contemplazione soprannaturale ond'era abitualmente favorito e acceso più ardentemente dalla fiamma dei celesti desideri, onde cominciò a sentire un'affluenza straordinaria di tutti i doni soprannaturali. Mentre dunque i serafici ardori delle sue brame lo trasportavano in Dio, e un vivo sentimento di tenera compassione lo trasformava in colui, che volle per un eccesso d'amore essere crocifisso: pregando una mattina nella festa dell'Esaltazione della santa Croce, sul fianco della montagna, vide come l'aspetto d'un Serafino avente sei ali risplendenti quanto il fuoco, discendere dalla sublimità dei cieli. Il quale, giunto con volo rapidissimo a un certo punto nell'aria in prossimità dell'uomo di Dio, apparve non solo alato ma ancora crocifisso; colle mani e i piedi distesi e inchiodati a una croce, le ali invece disposte di qua e di là, in tal maniera, da averne due alzate sulla testa, due spiegate per volare, e le altre due ne coprivano, avvolgendolo, tutto il corpo. A tal visione egli stupì grandemente, e sentì nell'animo suo gioia mista a dolore, ché, mentre la vista gradevole di colui, che gli si mostrava in maniera sì prodigiosa e famigliare, gli causava piacere estremo, il crudele spettacolo della crocifissione gli trapassava l'anima con una spada di compassione dolorosa.
Egli sapeva bene, che la debolezza e la sofferenza sono incompatibili coll'immortalità d'uno spirito serafico, ma interiormente illuminato da colui che si mostrava di fuori, comprese che una tale visione era presentata ai suoi sguardi per insegnargli che l'incendio del cuore e non il martirio del corpo era quello che doveva trasformare interamente l'amico di Cristo in una perfetta rassomiglianza con Gesù crocifisso. Sparita pertanto la visione, dopo un arcano e famigliare colloquio, gli rimase l'anima infiammata d'un ardore serafico; e il corpo impresso di ferite simili a quelle del Crocifisso, come se, liquefatto dapprima sotto l'azione del fuoco, avesse poi ricevuta l'impronta d'un sigillo. Infatti cominciarono subito ad apparire nelle sue mani e ai suoi piedi i segni dei chiodi, aventi la loro testa sulla palma delle mani e sul collo dei piedi, e la loro punta all'opposto. Inoltre il lato destro presentava una cicatrice rossa, come se fosse stato trapassato da lancia, e più volte fece sacro sangue sì da bagnare e la tonaca e le altre sottovesti.
Divenuto dunque Francesco un uomo nuovo, grazie a un nuovo e stupendo miracolo - dacché per un singolare privilegio, di cui nessuno per l'addietro era stato favorito, egli si trovò contrassegnato, o per dir meglio, ornato delle sacre Stigmate - discese dal monte portando con sé l'immagine del Crocifisso, non tracciata già da mano d'artefice su tavole di pietra o di legno, ma stampata sulla propria carne dal dito di Dio vivente. E siccome sapeva benissimo «che è bene tener celati i secreti d'un re» (Tob. 12,7), perciò l'uomo serafico, cosciente del segreto del gran re, nascondeva più ch'era possibile quei sacri segni. Ma perché è proprio di Dio il rivelare per sua gloria le grandi cose che fa, il Signore stesso, che aveva impresso segretamente quelle stigmate, le mostrò apertamente con alcuni miracoli; affinché con questi strepitosi prodigi apparisse manifesta la virtù meravigliosa nascosta nelle Stigmate.
Ora questo miracoloso avvenimento sì ben constatato ed esaltato con lodi e favori speciali nelle bolle pontificie, il Papa Benedetto XI volle che si celebrasse ogni anno con una festa; che poi il Pontefice Paolo V, ad accendere i cuori dei fedeli all'amore di Cristo crocifisso, estese a tutta la Chiesa.
SANTA MESSA
• Omelia di san Gregorio papa.
Omelia 32 sui Vangeli.
Poiché il Signore e Redentore nostro venne al mondo come un nuovo uomo, diede nuovi comandamenti al mondo. Infatti oppose alla nostra vita nutrita nei vizi la contrarietà della novità della sua. Cosa infatti l'uomo vecchio, cosa l'uomo carnale conosceva, se non tenere le sue cose, rubare le altrui se poteva, desiderare se non poteva? Ma il medico celeste a ciascun singolo vizio adibisce medicamenti contrari. Infatti come coll'arte della medicina le cose calde si curano con le fredde e le fredde con le calde, così nostro Signore oppose medicine contrarie ai peccati, tanto da ordinare la continenza ai lussuriosi, la generosità ai tirchi, la mansuetudine agli iracondi, l'umiltà agli orgogliosi.
Difatti quando proponeva nuovi comandamenti a quelli che lo seguivano, disse: "Chiunque non rinunzia a tutto quel che possiede, non può essere mio discepolo". Come se volesse dire apertamente: voi che per la vita vecchia desiderate la roba d'altri, elargite per il desiderio di un nuovo modo di vivere anche la vostra. Ascoltiamo cosa dice in questa lezione: "Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso". Ivi si dice che rinneghiamo la nostra roba: qui si dice che rinneghiamo noi stessi. E forse non è faticoso all'uomo abbandonare la sua roba, ma è molto faticoso abbandonare se stesso. È da una parte meno negare ciò che ha; molto dall'altra negare quel che è.
Ma il Signore ha comandato a noi che veniamo a Lui di rinunziare a noi, perché quanti veniamo alla gara della fede, ci impegniamo ad una lotta contro gli spiriti maligni. Infatti gli spiriti maligni non possiedono nulla di proprio in questo mondo: quindi dobbiamo lottare nudi con i nudi. Infatti se chiunque lottasse vestito con uno nudo, verrebbe più in fretta sbattuto a terra, perché ha onde venga afferrato. Che cosa infatti sono tutti beni terreni, se non certi indumenti del corpo? Chi dunque si avvicina alla contesa contro il diavolo, getti via gli indumenti, per non soccombere.”
https://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/09/impressione-delle-stimmate-di-san.html?m=0
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Stigmate di san Francesco - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/stigmate-san-francesco/)
http://www.sodalitium.biz/stigmate-san-francesco/
«17 settembre, Impressione delle Sacre Stigmate di San Francesco.
“Sul monte dell’Alvernia, in Toscana, la commemorazione dell’impressione delle sacre Stimmate, che, per meravigliosa grazia di Dio, furono impresse nelle mani, nei piedi e nel costato di san Francesco, Fondatore dell’Ordine dei Minori”.
Signore Gesù Cristo, che raffreddandosi la carità nel mondo, per infiammare i nostri cuori del tuo amore, hai rinnovato le sacre Stimmate della tua Passione nella carne del Beatissimo Padre nostro Francesco, concedici propizio, per i suoi meriti e le sue preghiere, di portare sempre la Croce e di fare frutti degni di penitenza. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.»
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http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/stigmate-207x300.jpg



http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio – Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11)”




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
XVII domenica d. Pentecoste (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=3mksL5RX-FQ
XVII domenica d Pentecoste (Omelia)
https://www.youtube.com/watch?v=DxA2PnjagQQ
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
http://www.domusmarcellefebvre.it/
Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»




I Martiri di Castelfidardo / II parte - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/martiri-castelfidardo-ii-parte/)
http://www.centrostudifederici.org/martiri-castelfidardo-ii-parte/
“17 settembre 2018 - I Martiri di Castelfidardo / II parte.
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza - Comunicato n. 68/18 del 17 settembre 2018, Stimmate di San Francesco.”
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https://www.agerecontra.it/2018/09/i-martiri-di-castelfidardo-i-parte/
https://www.agerecontra.it/2018/09/i-martiri-di-castelfidardo-ii-parte/




Guéranger, L'anno liturgico - Domenica nona dopo la Pentecoste (http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm
“4 OTTOBRE SAN FRANCESCO D'ASSISI CONFESSORE.”





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17 Settembre -Impressione delle Stimmate di San Francesco (http://www.preghiereperlafamiglia.it/impressione-delle-stimmate-di-san-francesco.htm)
http://www.preghiereperlafamiglia.it/impressione-delle-stimmate-di-san-francesco.htm
“17 SETTEMBRE IMPRESSIONE DELLE STIMMATE DI SAN FRANCESCO D'ASSISI.
Il serafico Padre san Francesco nutrì, fin dalla sua conversione, una tenerissima devozione a Cristo crocifisso; devozione che diffuse sempre con le parole e la vita. Nel 1224, mentre sul monte della Verna era immerso nella meditazione, il Signore Gesù, con un prodigio singolare, gli impresse nel corpo le stimmate della sua passione. Benedetto XI concesse all’Ordine francescano di celebrare annualmente il ricordo di questo privilegio, che rese il Poverello «mirabile segno» di Cristo.”

«PREGHIERA
O Dio che, per infiammare il nostro spirito
con il fuoco del tuo amore,
hai impresso nel corpo del serafico Padre san Francesco
i segni della passione del tuo Figlio,
concedi a noi, per sua intercessione,
di conformarci alla morte del Cristo
per essere partecipi della sua risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.»

«INNO CRUCIS CHRISTI
si canta per la festa dell'Impressione delle Stimmate di San Francesco
Crucis Christi mons Alvérnae *
Recénset mystéria,
Ubi salútis aetérnae
Dantur privilégia:
Dum Francíscus dat lucérnae
Crucis sua stúdia.
Hoc in monte vir devótus,
Specu solitária,
Pauper, a mundo semótus,
Condénsat ieiúnia:
Vigil, nudus, ardens totus,
Crebra dat suspíria.
Solus ergo clasus orans,
Mente sursum ágitur;
Super gestis Crucis plorans
Maeróre confícitur:
Crucísque fructum implórans
Animo resólvitur.
Ad quem venit Rex e caelo
Amíctu Seráphico,
Sex alárum tectus velo
Aspéctu pacífico:
Affixúsque Crucis telo,
Porténto mirífico.
Cernit servus Redemptórem,
Passum impassíbilem:
Lumen Patris et splendórem,
Tam pium, tam húmilem:
Verbórum audit tenórem
Viro non effábilem.
Vertex montis inflammátur,
Vicínis cernéntibus:
Cor Francísci transformátur
Amóris ardóribus:
Corpus vero mox ornátur
Mirándis Stigmátibus.
Collaudétur Crucifíxus,
Tollens mundi scélera,
Quem laudat concrucifíxus,
Crucis ferens vúlnera:
Francíscus prorsus inníxus
Super mundi foédera. Amen
Traduzione conoscitiva:
Il Monte della Verna rivive i misteri della Croce di Cristo; là dove vengono elargiti gli stessi privilegi che donano la salvezza eterna, mentre Francesco volge tutta la sua attenzione alla lucerna che è la Croce.
Su questo monte l’uomo di Dio, in una caverna solitaria, povero, separato dal mondo, moltiplica i digiuni. Nelle veglie notturne, pur nudo, è tutto ardente, e si scioglie in lacrime con frequenza.
Recluso con sé solo, dunque, prega, con la mente si innalza, piange meditando le sofferenze della Croce. È trapassato dalla compassione: implorando i frutti stessi della croce nella sua anima si va consumando.
A lui viene il Re dal cielo in forma di Serafino, nascosto dal velo delle sei ali con volto pieno di pace: è confitto al legno di una Croce. Miracolo degno di stupore.
Il servo vede il Redentore, l’impassibile che soffre, la luce e splendore del Padre, così pio, così umile: e ascolta parole di un tale tenore che un uomo non può proferire.
La cima del monte è tutta in fiamme e i vicini lo vedono: Il cuore di Francesco è trasformato dagli ardori dell’amore. E anche il corpo in realtà viene ornato da stimmate stupefacenti.
Sia lodato il Crocifisso che toglie i peccati del mondo. Lo loda Francesco, il concrocifisso, che porta le ferite della Croce e completamente riposa al di sopra delle cure di questo mondo. Amen.»







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“17 settembre 2018: Impressione delle Sacre Stimmate sul corpo di San Francesco d'Assisi, confessore.”
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“Il 17 settembre 1562 il Sacrosanto Concilio Ecumenico Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo sotto la presidenza dei Legati della Sede Apostolica, emette il decreto e i canoni sulla Messa. Essa è l’unico, vero e perfetto sacrificio che, già prefigurato nelle oblazioni di Abele (Cfr. Gen. IV, 4-5), di Melchisedech (Cfr. Gen. XVI, 18) e di Isacco (Cfr. Gen. XX) e nell’immolazione della Pasqua ebraica (Cfr. Exod. XII, 1-14), fu annunziato dal Profeta Malachia (Cfr. Mal. I, 11), istituito da Cristo nell’Ultima Cena e consumato sulla Croce. La sua offerta, giovevole ai vivi e ai defunti e fatta anche in memoria ed onore dei Santi, ripresenta in modo incruento la Passione e la Morte del Signor nostro Gesù Cristo e ha quattro finalità: l’adorazione, il ringraziamento, la propiziazione e l’espiazione. Son da rigettare le bestemmie e le farneticazioni di coloro che intendono la Messa come semplice commemorazione del Sacrificio del Calvario oppure come sacrificio solo di lode e ringraziamento.”

“Il 17 settembre 1485 viene assassinato in odium Fidei da alcuni ebrei "conversos" nella cattedrale di Saragozza, San Pietro Arbues, inquisitore maggiore d'Aragona. Beatificato da Papa Alessandro VII Chigi e canonizzato da Papa Pio IX, è patrono dell'Inquisizione spagnola.”
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«Pedro de Arbues: il Santo Martire dell’Inquisizione Spagnola di Giuliano Zoroddu
Pedro de Arbues, nacque ad Epila tra il 1441 e il 1442 da Antonio e Sancia Ruiz. Forma prima a Huesca e a Saragozza, studiò Diritto e Teologia a Bologna dove conseguì la laurea nel 1473. Nel 1474 tornò in patria e al contempo l’Arcivescovo di Saragozza, scorgendo in lui una meraviglia di virtù, lo volle tra i Canonici della Cattedrale, che professavano la Regola di sant’Agostino, e poco dopo lo elevò al Sacerdozio. Se già da laico era dedito alle pratiche di pietà e carità, sublimato allo stato di ministro di Dio, si sforzò di perfezionarsi sempre più e di attirare tutti a Cristo con le parole, nelle prediche e nel confessionale, e con l’esempio di una vita secondo la legge divina. Erano quegli gli anni in cui i due sovrani Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona si apprestavano a dare l’ultimo assalto ai Mori che ancora tenevano soggiogata Granada per restituire le Spagne tutte a Gesù Cristo. Oltre ai maomettani però vi era anche il problema, ben più esiziale e per la Chiesa e per lo Stato, dei marranos o cristianos nuevos, quei cristiani cioè che, pur essendosi convertiti dal Giudaismo, segretamente continuavano a seguire la Legge Mosaica e gli altri riti (molti dei quali superstiziosi) della Sinagoga.
Costoro costituivano quasi uno Stato dentro lo Stato e una chiesa dentro la Chiesa, il che andava a nocumento dell’una e dell’altra istituzione. Per estirpare questa piaga i due sovrani chiesero a Papa Sisto IV di confermare con la sua autorità apostolica un tribunale inquisitoriale (ecclesiastico) che però fosse gestito dalla Corona. La cosa avvenne il 1° novembre 1478 con la bolla “Exigit sinceræ devotionis affectus”: nasceva la gloriosa e benemerita Inquisizione Spagnola che sarebbe stata abolita solo nel 1834. Giudice supremo fu eletto il mite e zelante padre Tomas de Torquemada dell’Ordine dei Predicatori, il quale però si occupava direttamente solo dei domini castigliani. A questo punto entra in scena il nostro Pedro de Arbues, il quale nel 1484 fu designato dal Torquemada, con l’autorità di Innocenzo VIII, ad essere Inquisitore Maggiore per il Regno di Aragona. Nell’espletamento del santo ufficio si dimostrò prudente e misericordioso, ma sempre zelante nel reprimere le eresie e nello scoprire ed estirpare l’occulta piaga del cripto-giudaismo.
Rispetto agli inquisiti mostrava sentimenti di padre amoroso: nessuno di essi fu giustiziato, molti anzi si riconciliarono, sinceramente pentiti, con Dio e la Chiesa. Non mancarono inoltre le conversioni di Giudei e Maomettani. Contro di lui tramava tuttavia la Sinagoga che tentò varie volte di toglierlo da mondo, come a suo tempo fece con gli Apostoli. Le trame dei Giudei e dei marranos, la loro quinta colonna nella Chiesa e nella società civile, riuscirono la notte tra il 14 e il 15 settembre 1485.
Pedro coi confratelli Canonici si accingeva a cantare il Mattutino dell’Ottava della Natività di Maria, ma prima volle raccogliersi in preghiera davanti all’altare della stessa Vergine verso la quale fin da fanciullo nutriva una tenerissima devozione. Ma nella Cattedrale non vi erano solo i Canonici: nel buio si muovevano furtivi i sicari. Raggiunto l’Inquisitore, che ancora stava assorto in orazione, lo trafiggono ripetutamente, lasciandolo quasi esangue. Secondo la tradizione, gli assassini incrudelivano su Pedro nel momento esatto in cui i canonici cantavano il verso del salmo invitatorio “Quadragínta annis próximus fui generatióni huic, et dixi; Semper hi errant corde, ipsi vero non cognovérunt vias meas”[1], in cui il Signore si lamenta della dura cervice del popolo ebraico. Il Martire, con la gola colpita e un coltello rimasto conficcato nel fianco, ebbe ancora la forza di dire: “Sia benedetto Gesù perché muoio per la sua santa fede”. Ma la morte lo raggiungerà solo due giorni, il 17 settembre. Sul letto dell’agonia il suo unico desiderio rimaneva la conversione dei peccatori e degli infedeli. Sentendosi ormai prossimo alla scioglimento dal corpo, ricevuto il Santo Viatico, con tutte le forze che gli rimanevano esclamò con Davide: “Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi: In domum Domini ibimus”[2]. Dopodiché spirò nel bacio del Signore. Ai funerali assistette tutto il clero e il popolo di Saragozza.
Dio subito diede gloria al suo Confessore per mezzo dei miracoli: il suo sangue che aveva macchiato il pavimento della Cattedrale era stato asterso, ma le macchie iniziarono a rosseggiare e a ribollire come se il esso fosse stato sparso di fresco[3]. Gli altri miracoli che seguirono contribuirono a diffondere il culto verso il Martire, che ebbe la prima suprema sanzione quando il 17 aprile 1668 Alessandro VII, Sommo Pontefice, procedette alla Beatificazione del Servo di Dio e permise che se ne celebrasse l’Ufficio e la Messa con il grado duplex majus in tutti i luoghi posti sotto la giurisdizione dell’Inquisizione Spagnola, che poteva altresì annoverarlo fra i suoi Patroni, assieme a san Pietro Martire. Finalmente il 29 giugno 1867, diciottesimo centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo, Pio IX lo annoverava fra i Santi Martiri nel giubilo di tutta la Chiesa.
Questo Eroe della Spagna e dell’Europa Cristiana che sacrificò tutto sé stesso per la Verità ci insegna che solo questa ha diritti e che solo servendo ad essa, non concetto etereo ma Dio che si incarna, si fa il bene del prossimo sia come singolo sia come Stato. Contro tutte le spregevoli menzogne, inoltre, con le quali gli eretici, gli illuministi, i massoni, i liberali, i modernisti e tutti i nemici della Chiesa e della Spagna, hanno infangato quell’opera santa che fu l’Inquisizione Spagnola, il cattolico deve gloriarsi di questa benemerita Istituzione e ricordare che essa contribuì a risparmiare alle popolazioni spagnole le tragedie delle guerre di religione che tra il XVI e il XVII secolo dilaniarono la Francia e la Germania. Ci ammonisce il santo Abate Gueranger: “Lungi dunque dai nostri cuori di cattolici la vigliaccheria che non osa accettare gli sforzi fatti dai nostri padri per conservarci la più preziosa delle eredità! Lungi da noi quella facilità puerile nel credere alle calunnie degli eretici e dei pretesi filosofi, contro una istituzione ch’essi non possono, naturalmente, che detestare! Lungi da noi quella deplorevole confusione di idee che mette sullo stesso piede la verità e l’errore, e che, visto che questo non può avere diritti, ha osato concludere che la verità non deve reclamarne!”[4]. Preservando il tesoro più prezioso che un popolo può avere, la Fede, gli inquisitori come san Pedro e il venerato Torquemada forgiarono quella Spagna “una, grande y libre” che Pio XII definirà “Nazione eletta da Dio come principale strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della Fede Cattolica”[5] . Senza la Fede Romana manca quel mirabile collante che tiene assieme popolazioni che Dio ha voluto diverse per lingua e per tradizioni e fa si che esse si riuniscano in Nazione: e la cosa possiamo osservarla chiaramente e tristemente in Spagna come in tutta Europa.
A noi, cattolici e militanti, il Santo Inquisitore insegni a militare con una fede “effervescente” come il sangue per la Fede e per una Società Cristiana non solo contro quanti attentano all’integrità del depositum fidei e della morale evangelica, ma contro coloro che, in un delirio luciferino e gnostico, si scagliano, nel loro delirio luciferino e gnostico, contro l’Ordine eterno, materiale e spirituale, che Dio Creatore e Padre ha stabilito per il bene dell’uomo, facendosi portatori di un’ideologia irrazionale, nel nome di una emancipante “libertà” ben diversa da quella “qua Christus nos liberavit”[6] spandono la morte – fisica e morale, individuale e collettiva – con il divorzio, l’aborto, la sodomia istituzionalizzata, l’eutanasia e Dio solo sa cos’altro ancora.
Siccome però noi siamo cristiani, non possiamo essere pessimisti! Il mondo è sempre più secolarizzato e anticristico, sempre più cupa è la notte di questo Sabato Santo post-conciliare, ma più brillante è la luce della Verità Cattolica che ci conforta e ci assicura la finale vittoria e il dissolvimento dei consigli degli empi. Così accadde in quel settembre del 1485, quando la Sinagoga uccidendo Pedro diede un Martire e un Intercessore alla odiata Chiesa, così accadrà per il nostro futuro: “Io lo so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!”[7]

Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!

[1] Ps. XCIV, 10-11.
[2] Ps CXXII, 1.
[3] La veridicità del fenomeno della “effervescenza e moltiplicazione del sangue”, avvenuta il 19 e il 27 settembre 1485 fu sanzionata dalla Sacra Congregazione dei Riti nella 17 gennaio 1663.
[4] Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 582-584.
[5] Pio XII, Radiomessaggio “Con inmenso gozo”, 16 aprile 1939.
[6] Gal IV, 31.
[7] Job XIX, 25»
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“Il 17 settembre 1621 moriva S.E.R. il cardinale Roberto Bellarmino SJ, vescovo, confessore e dottore della Chiesa (festa liturgica 13 maggio).”
“San Roberto Bellarmino (Montepulciano, 4 ottobre 1542 - Roma, 17 settembre 1621). Festa liturgica il 13 maggio.
«Non il Papismo è nuovo ma il Luteranesimo. E a noi non fa nulla che gli eretici ci chiamano ora omusiani, ora papisti. Anzi questi stessi vocaboli designano l’antichità e la nobiltà della nostra Chiesa. Infatti che significa che Gesù Cristo è ‘omousios’ al Padre, se non che ha comune col Padre la natura e la divinità? Dunque quando siamo chiamati omusiani, siamo chiamati tali dalla sostanza e dalla divinità di Cristo. Per eguale ragione, se noi siam detti papisti dal Papa, come i Luterani da Lutero, chi non vede di quanto i papisti sono più antichi dei Luterani e dei Calvinisti? Invero Clemente e Pietro e perfino Cristo, furono Papi, cioè Padri e Sommi Pontefici dei Padri. Ci chiamino gli eretici papisti, ci chiamino omusiani, mai non ci potranno chiamare con ragione da qualche uomo determinato, come noi chiamiamo essi da Lutero e da Calvino. Cosi è, o uditori. Noi stiamo al sicuro nella rocca della Chiesa e ce la ridiamo di tutti gli eretici, uomini nuovi, e diciamo loro con Tertulliano: “Chi siete voi? Donde e quando siete venuti? Onde siete sbucati or ora? Dove siete stati rimpiattati tanto tempo? Non abbiamo udito parlar di voi fin d’ora” (De præsc. hær.) [...] con san Girolamo: “Chiunque tu sia, sostenitore di nuove dottrine, ti prego di usar riguardo alle orecchie romane: usa riguardo alla fede che fu riconosciuta con lode dalla bocca apostolica. Perché tenti di insegnarci ciò che prima non abbiamo saputo? Perché mettiti fuori ciò che Pietro e Paolo non hanno voluto dar fuori? Fino a questo giorno il mondo è stato cristiano senza codesta vostra dottrina. Quanto a me io terrò da vecchio quella fede nella quale nacqui da fanciullo” (Ep. ad Pamm. et Ocean.).
(S. Roberto Bellarmino, Grande Catechismo della Dottrina Cristiana, cap. 2)»
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http://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/58.pdf
«L’argomento detto di “resistenza” di san Roberto Bellarmino: un altro mito tradizionalista
don Anthony Cekada.»



http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1013_Fra-Leone_Sedeplenismo.html
"LA NOUVELLE THEOLOGIE DEL SEDEPLENISMO (1) di Frà Leone da Bagnoregio
(...) San Roberto Bellarmino (†1625) nelle sue celebri Controversie, pubblicate dal 1586 al 1593 completa e rafforza la tesi di Stapleton, che fa senz’altro sua. Egli mostra particolarmente come la nozione di visibilità della Chiesa quale anzi esposta sia un dato di fatto universale e costante. Approfondisce, inoltre, l’aspetto di Chiesa visibile quale oggetto della fede. Il citato “Dictionnaire” (13) prosegue, infatti: «Egli mostra che la Chiesa, benché visibile, è allo stesso tempo oggetto della fede, perché ciò che si vede di essa non è punto ciò che si crede. Si vede la società degli uomini che professano la stessa fede sotto l’autorità dei pastori legittimi, principalmente dei pontefici romani, e si crede che quella medesima società, istituita da Gesù Cristo, è la sola vera Chiesa; verità in se stessa rivelata e evidente, alla quale possiamo [e dobbiamo] dunque aderire mediante l’atto di fede» (14).
(...) San Roberto Bellarmino, Card. - Controversiæ, De Ecclesia militante, tomo I, lib.III, c. XV, col. 957, Lyon, 1601.(...) "


http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1222_Fra-Leone_Risposta_a_Williamson.html
"RISPOSTA A SUA ECC. REV. MONS. RICHARD WILLIAMSON SULLA TESI DEL PAPA ERETICO di Fra Leone da Bagnoregio."




http://www.cmri.org/ital-index.html

"Centro Studi Giuseppe Federici - sito ufficiale"
http://www.centrostudifederici.org/

"Sito ufficiale del Centro Culturale San Giorgio, tratta di messaggi subliminali, rock satanico, occultismo, massoneria"
http://www.centrosangiorgio.com/

"sito dedicato alla crisi dottrinale nella chiesa cattolica"
http://www.crisinellachiesa.it/

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“Non Una Cum - Roman catholics sedevacantists.”
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": Quidlibet : ? A Traditionalist Miscellany — By the Rev. Anthony Cekada"
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"Sede Vacante -"
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Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
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“Ligue Saint Amédée‏ @SaintAmedee.”

17 septembre : Saint Lambert, Évêque de Maastricht et Martyr (? 696) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/17-septembre-saint-lambert)
«17 septembre : Saint Lambert, Évêque de Maastricht et Martyr († 696)»
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17 septembre : Les Stigmates de saint François d'Assise (1224) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/17-septembre-les-stigmates-de-saint-francois-dassise)
«17 Septembre : Les Stigmates de saint François d'Assise (1224). »
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Luca, Sursum Corda - Habemus Ad Dominum!!!

Holuxar
04-10-18, 23:28
4 OTTOBRE 2018: SAN FRANCESCO D'ASSISI (Assisi, 26 settembre 1181 – Assisi, 3 ottobre 1226), CONFESSORE E PATRONO D'ITALIA E DELLE ISOLE ADIACENTI…



«4 OTTOBRE SAN FRANCESCO D'ASSISI CONFESSORE.»
http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm




San Francesco di Assisi - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-francesco-assisi/)
http://www.sodalitium.biz/san-francesco-assisi/
«4 ottobre, San Francesco di Assisi, Confessore (Assisi, 26 settembre 1181 – Assisi, 3 ottobre 1226).
“Ad Assisi, in Umbria, il natale di San Francésco, Levita e Confessore. Fondatore di tre Ordini, cioè dei Frati Minori, delle Povere Donne, e dei Fratelli e delle Sorelle della Penitenza. La sua vita, piena di santità e di miracoli, fu scritta da san Bonaventura”.
O glorioso San Francesco, che per tutto il tempo di vostra vita, altro non faceste che piangere la passione del Redentore e meritaste di portare nel vostro corpo le Stimmate miracolose, ottenetemi di portare anch’io nelle mie membra la mortificazione di Cristo, affinché facendo mia delizia l’esercizio della penitenza, meriti di avere un giorno le consolazioni del Cielo. Pater, Ave, Gloria.»
http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/francesco-1-250x300.jpg


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/francesco-1-250x300.jpg


http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio – Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11)”




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
http://www.domusmarcellefebvre.it/
Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»





https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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“SAN FRANCESCO D'ASSISI
Serafico Padre Nostro, Fondatore inclito dei Tre Ordini, Confessore.
Doppio di I classe con ottava (Tre Ordini).
Doppio di I classe (Penisola Italica e Isole).
Doppio maggiore (altrove).
Paramenti bianchi.
http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm
Nato ad Assisi (Perugia) nel 1181- '82, in Umbria, san Francesco fu suscitato da Dio, per cooperare, con san Domenico, alla rigenerazione morale del mondo, in un'epoca fra le più travagliate. Chiamato Giovanni al battesimo, ricevette poi il nome di Francesco, pel fatto che i rapporti commerciali di suo padre colla Francia indussero anche il figlio ad imparare il francese. Animato da ardente carità verso i poveri, Francesco largiva loro quanto aveva; diseredato perciò dal padre, s'affidò vieppiù al Padre ch'è nei cieli. All'udire le raccomandazioni del Vangelo circa la povertà, s'innamorò di questa virtù e si dedicò alla pratica della medesima, presto seguito in questa via da alcuni animosi compagni, che condivisero la sua stessa povertà e parteciparono del suo ardore per la conversione dei popoli. «Fratelli, diceva loro, predichiamo la penitenza con l'esempio più che con le parole». Diede loro una Regola, che Innocenzo III approvò nel 1210. L'anno seguente ottenne dai Benedettini la chiesetta di Santa Maria degli Angioli, detta la Porziuncola, che fu la culla del suo Ordine. Questa nuova famiglia religiosa, di cui Francesco arricchì la Chiesa (Orazione), si moltiplicò con tale rapidità, che circa dieci anni dopo il suo sorgere, cinquemila frati parteciparono al capitolo generale di Assisi. Volendo ch'essi si considerassero come i più piccoli fra tutti i religiosi, san Francesco diede loro il nome di Frati Minori, ed egli stesso rimase semplice diacono per tutta la vita. A fianco di questo primo Ordine, egli ne fondò un secondo, l'Ordine delle povere dame o Clarisse, dal nome dell'illustre Vergine d'Assisi, Santa Chiara (festa: 12 agosto). Infine nel 1221 egli ne istituì un terzo, detto il Terzo Ordine della Penitenza al quale i Papi e particolarmente Leone XIII, che si onorava d'appartenervi, furono larghi di possenti incoraggiamenti e di grandi favori. San Francesco mandò discepoli in Francia, Germania, Spagna, Africa; egli stesso volle andare in Palestina e al Marocco, ma la Divina Provvidenza lo fermò durante il viaggio. L'amore divino, che ardeva nel suo cuore, gli valse il soprannome di Serafico. La Chiesa dedicò una festa il 17 settembre a ricordare le Sacre Stigmate impresse sul corpo di san Francesco (Epistola). La notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226 questo Santo rese la sua anima a Dio, mentre terminava di recitare l'ultimo versetto del Salmo 141: «Libera dal carcere l'anima mia, affinché io sia lode al tuo nome».
La sua vita, piena di santità e di miracoli, fu scritta da san Bonaventura. Il Sommo Pontefice Gregorio IX lo iscrisse nell'Albo dei Santi il 19 luglio 1228, attraverso la bolla Mira circa nos, soltanto due anni dopo la morte. Per questo motivo, il processo di canonizzazione è stato uno dei più rapidi della storia della Chiesa cattolica. La canonizzazione di san Francesco è riportata in modo molto dettagliato nella Vita Prima di Tommaso da Celano.
Il Sommo Pontefice Pio XII con breve apostolico del 18 giugno 1939 lo elesse e costituì, assieme a santa Caterina da Siena, Patrono principale di tutta l'Italia.
• Francesco, nato in Assisi nell'Umbria, seguendo l'esempio del padre, giovanetto si diede al commercio. Un giorno che un povero gli domandava l'elemosina per amor di Cristo, egli, contro l'usato, lo respinse, ma subito turbato da questo rifiuto, gli fece poi un'abbondante elemosina; e da quel giorno promise a Dio di non negare mai più l'elemosina a chi gliene domandasse. Qualche tempo dopo cadde gravemente infermo, e, appena guarito, si dedicò con più ardore agli uffici della carità; nel quale esercizio fece sì grandi progressi, che, desideroso della perfezione evangelica, distribuiva ai poveri quanto aveva. Il padre mal soffrendo questa cosa, lo condusse dal vescovo d'Assisi, affinché davanti a lui rinunziasse ai beni patrimoniali; ed egli, spogliatosi anche delle vesti, rinunziò tutto al padre, dicendo che quindinnanzi avrebbe avuto un motivo di più per ripetere: Padre nostro, che sei nei cieli.
Avendo udito quelle parole del Vangelo: «Non tenete né oro, né argento o moneta nelle vostre borse, né sacca da viaggio, né due vesti, né scarpe» (Matth. 10,9), prese questo passo come regola della sua vita. Pertanto, toltesi le scarpe e contentandosi d'una sola tonaca, unitosi con dodici compagni, istituì l'ordine dei Minori. Quindi l'anno della salute 1209 si portò a Roma, perché la santa Sede confermasse la regola del suo ordine. Il sommo Pontefice Innocenzo III dapprima respinse la sua domanda; ma poi avendo visto in sogno colui che aveva respinto sostenere colle sue spalle la basilica Lateranense vacillante, lo fece cercare, l'accolse con bontà, e ne confermò la regola. Così Francesco inviò i suoi frati a predicare il Vangelo di Cristo in tutte le parti del mondo, e lui stesso che ambiva un'occasione d'essere martirizzato, navigò in Siria; dove fu ricevuto dal sultano con ogni riguardo, ma non ottenendo lo scopo, ritornò in Italia.
Dopo aver costruito molte case del suo istituto, si ritirò nella solitudine sul monte dell'Alvernia; dove intrapreso un digiuno di quaranta giorni in onore di san Michele Arcangelo, il giorno della festa dell'Esaltazione della santa Croce, gli apparve un Serafino recante fra le ali l'immagine del Crocifisso; il quale gli impresse nelle mani, ai piedi e al costato le stimmate dei chiodi. E san Bonaventura afferma nelle sue lettere d'aver inteso Papa Alessandro IV dichiarare in un discorso di averle viste. Siffatte testimonianze dell'immenso amore di Cristo per lui, eccitarono sommamente l'ammirazione di tutti. Due anni dopo, sentendosi gravemente infermo, volle farsi portare nella chiesa di santa Maria degli Angeli, affine di rendere l'ultimo soffio di vita là dove aveva ricevuto da Dio la vita della grazia. In questo luogo esortati i frati a osservare la povertà, la pazienza e la fede di santa Chiesa Romana, mentre recitava il Salmo: «Colla mia voce ho gridato al Signore» (Ps. 141,2), a quel verso: «I giusti m'aspettano, finché tu mi retribuisca» (Ps. 141,8), spirò l'anima il 4 di Ottobre. Illustrato da numerosi miracoli, il sommo Pontefice Gregorio IX l'iscrisse nel catalogo dei Santi.
SANTA MESSA
- Al Vangelo.
1. Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Sermone 10 sulle Parole del Signore.
«Venite a me, voi tutti che siete affaticati» (Matth. 11, 18). E perché difatti siamo tutti affaticati se non perché siamo uomini mortali, fragili, infermi, che portiamo vasi di terra, causa mutua per noi di mille ansietà? Ma, se i vasi di carne ci tengono allo stretto, dilatiamo in noi gli spazi della carità. Perché dunque dice: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati», se non perché non ci affatichiamo più? Infine ecco subito la sua promessa; avendo chiamato gli affaticati, essi domanderanno forse per qual mercede li ha chiamati. «Ed io, dice, vi ristorerò» (Ivi). «Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me», non a fabbricare il mondo, non a creare tutto il visibile e l'invisibile, non a fare dei miracoli in questo mondo, né a risuscitare i morti, ma: «poiché io sono mite e umile di cuore» (Matth. 11, 29).
Vuoi essere grande? Comincia ad essere piccolo. Pensi di fabbricare un edificio assai elevato? Pensa prima al fondamento dell'umiltà. Più uno vuole innalzare un edificio, più questa edificio sarà importante, e più profonde ne scava le fondamenta. E la fabbrica che si costruisce, poi si solleva in alto; ma chi ne scava le fondamenta si abbassa. L'edificio dunque prima di essere innalzato è basso nel suolo, e non se ne innalza la vetta se non dopo questo abbassamento.
Qual è l'altezza dell'edificio che intraprendiamo a costruire? Fin dove giungerà la cima di questo edificio? Lo dico subito, fino al cospetto di Dio. Vedete quant'è alto, quanto sublime vedere Dio. Chi lo desidera, comprende quel che dico e quel che ascolta. Ci si promette la visione di Dio, del vero Dio, del sommo Dio. Infatti questo è il vero bene, vedere colui che ci vede. Poiché quelli che adorano i falsi dèi, li vedono facilmente; ma vedono degli dèi che hanno occhi e non vedono. A noi invece si promette la visione del Dio che vive e vede.
2. Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Sermone 67 sulle Parole del Signore.
Se considereremo frattanto le parole del Signore lette fino a questo punto, se - dico - le considereremo col dovuto rispetto, con attenzione e quel che più conta, con sentimento di fede, troveremo anzitutto che non sempre, quando nelle Scritture leggiamo il termine confessione, dobbiamo intenderlo come la voce d'un peccatore. Se disse: Confiteor il Cristo, ch'è lontano da ogni peccato, quel verbo non esprime solo sentimenti d'un peccatore ma talora anche quelli di uno che loda. Noi dunque confessiamo, sia quando lodiamo Dio, sia quando accusiamo noi stessi. L'una e l'altra confessione è santa, sia quando ti accusi tu che non sei senza peccato, sia quando lodi Colui che non può avere il peccato.
Ti confesso e ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra. Ti confesso, cioè ti lodo. Lodo te, non accuso me. Per che cosa ti lodo? Perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli. Che vuol dire ciò, fratelli? Dovete intenderlo nel senso contrario: Hai nascosto queste cose - dice - ai sapienti e agli intelligenti; ma non dice: "Le hai fatte conoscere agli stolti e agli stupidi", ma dice: Le hai nascoste, bensì, ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli.
Ai superbi e agli intelligenti degni d'essere derisi, agli arroganti falsamente grandi, ma in verità gonfi di sé, oppose non gli stolti né gli stupidi, ma i piccoli. Chi sono i piccoli? Gli umili. Ebbene: Hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti. Egli stesso spiegò che sotto il nome di sapienti e intelligenti s'intendono i superbi, quando dice: E le hai fatte conoscere ai piccoli. Dunque: Le hai nascoste a coloro che non sono piccoli. Che significa ai non piccoli? Significa: ai non umili. E che significa ai non umili se non ai superbi? O via del Signore! O non c'era o era nascosta perché fosse fatta conoscere a noi!
PROPRIUM MISSÆ EX MISSALI SERAPHICO
(Proprio della Messa dal Messale Serafico)”
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“SAN FRANCESCO D'ASSISI
Serafico Padre Nostro, Fondatore inclito dei Tre Ordini, Confessore.
• Dalla «Lettera a tutti i fedeli» di san Francesco d'Assisi.
(Opuscoli, ed. Quaracchi 1949, 87-94)
Dobbiamo essere semplici, umili e puri.
Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.
All'approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).
Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato per noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull'altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì per i nostri peccati, lasciandoci l'esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.
O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! È detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l'adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).
Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3,8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. È il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre.
P. S. Se desiderate approfondire la figura di san Francesco d'Assisi, gigante della santità nell'imitazione evangelica del Cristo, vi invitiamo a leggere e meditare le testimonianze dirette e indirette sul Santo, raccolte nelle Fonti Francescane: http://www.ofs-monza.it/fonti.html
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/43180763_1554376067997043_6630124908707840000_n.jp g?_nc_cat=111&oh=e95fc52581f4e02282ea90d36961d53e&oe=5C5D0FA8 "


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/43180763_1554376067997043_6630124908707840000_n.jp g?_nc_cat=111&oh=e95fc52581f4e02282ea90d36961d53e&oe=5C5D0FA8


“Sancte Francisce, ora pro nobis.”
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/43009854_1553617694739547_5562764109029572608_n.jp g?_nc_cat=104&oh=c780b69799a9f9bcab5fd980513fa1da&oe=5C50C37D


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“1. Ex Breviario Romano ad usum Fratrum Minorum Sancti Francisci Conventualium, Monalium Sanctæ Claræ ac Tertii Ordinis (1910).”
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/43120216_1553617778072872_8041460125770186752_n.jp g?_nc_cat=104&oh=84ab951b8bdf28d023cfc3fa3567e5b4&oe=5C561A9E


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“2.1. Ex Breviario Romano-Seraphico (1950).”
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“NOVENA AL CUORE IMMACOLATO DI NOSTRA SIGNORA BEATA VERGINE MARIA SANTISSIMA DI FATIMA, REGINA DEL SACRATISSIMO ROSARIO in occasione del 101° anniversario dell'ultima apparizione del Cuore Immacolato di Nostra Signora Beata Vergine Maria Santissima in cui avvenne il miracolo del sole.
℣. Deus, ☩ in adiutorium meum intende.
℞. Domine, ad adiuvandum me festina.
Gloria Patri.
[℣. Provvedi, ☩ o Dio, al mio soccorso.
℞. Signore, affrettati ad aiutarmi.
Gloria al Padre.]
Primo giorno.
O Vergine Madre, che Vi degnaste di apparire sulle solitarie montagne di Fatima a tre pastorelli, insegnandoci che nel ritiro dobbiamo intrattenerci con Dio nella preghiera per il bene delle anime nostre, otteneteci l'amore alla preghiera e al raccoglimento, affinché possiamo ascoltare la voce del Signore ed eseguire fedelmente la sua santissima Volontà. Amen.
Mio Dio, io credo, adoro, spero e Vi amo. E Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano.
Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo: Vi adoro profondamente e Vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze da cui Egli medesimo è offeso. E per i meriti infiniti del suo Sacratissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi chiedo la conversione dei poveri peccatori.
Ave Maria.
℣. Ora pro nobis, Sancta Dei Genitrix.
℞. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui in Corde beátæ Maríæ Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum præparásti: concéde propítius; ut eiúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum cor tuum vívere valeámus.
Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.
℞. Amen.
[℣. Prega per noi, Santa Madre di Dio.
℞. Affinché siamo resi degni delle promesse di Cristo.
Preghiamo.
O Dio onnipotente ed eterno, che nel cuore della beata Vergine Maria hai preparato una degna dimora allo Spirito Santo: concedi a noi di celebrare con spirito devoto la festa del suo Cuore immacolato e di vivere come piace al tuo cuore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
℞. Amen.]
Nostra Signora di Fatima, prega per noi.”
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https://www.sursumcorda.cloud/
https://www.sursumcorda.cloud/sostienici/libri.html
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/
«Carlo Di Pietro - Sursum Corda.
4 ottobre, San Francesco di Assisi, Confessore (Assisi, 26 settembre 1181 – Assisi, 3 ottobre 1226). O glorioso San Francesco, che per tutto il tempo di vostra vita, altro non faceste che piangere la passione del Redentore e meritaste di portare nel vostro corpo le Stimmate miracolose, ottenetemi di portare anch’io nelle mie membra la mortificazione di Cristo, affinché facendo mia delizia l’esercizio della penitenza, meriti di avere un giorno le consolazioni del Cielo. Pater, Ave, Gloria.
Dalla bacheca di don Ugo Carandino.

Video del crollo della Basilica di San Francesco ad Assisi, profanata da Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio con i ripetuti "raduni ecumenici".
https://www.youtube.com/watch?v=9BS7EveTihM
+ San Francesco libera la Santa Chiesa dai modernisti, i quali la occupano dall'interno. +
+ Glorioso san Francesco ricorriamo alla Vostra potente intercessione chiedendoVi, Dio volendolo, un vero Papa, un vero Governo, una vera Patria. +»
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/43185057_1898693373500396_6008018614077095936_n.jp g?_nc_cat=111&oh=538c8bfdb5255b63f1d1792982003a10&oe=5C545A00





https://moimunanblog.com/2018/10/03/san-francisco-de-asis-2/
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Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
http://liguesaintamedee.ch/
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
4 octobre : Saint François d'Assise, Fondateur (1182-1226) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/4-octobre-saint-francois-dassise)
http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/4-octobre-saint-francois-dassise
“4 Octobre : Saint François d'Assise, Fondateur (1182-1226).”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/9115/3816/4942/sanfrancesco.jpg


http://liguesaintamedee.ch/application/files/9115/3816/4942/sanfrancesco.jpg


“Ligue Saint Amédée
En ce jour de mémoire à Saint François, rappelons l'abomination de la désolation d'Assise en 1986 due à "saint" Jean-Paul II.
https://www.youtube.com/watch?v=niDpQx43K3w ”
https://le-petit-sacristain.blogspot.com/2017/04/litanies-de-saint-francois-d-assise.html
“Litanies de Saint François d'Assise.”







https://www.radiospada.org
https://www.facebook.com/radiospadasocial/
“4 OTTOBRE 2018: SAN FRANCESCO D'ASSISI, CONFESSORE E PATRONO D'ITALIA E DELLE ISOLE ADIACENTI.”
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"Sabato sera del 3 ottobre 1226 : Piissimo Transito del Serafico Padre san Francesco.
«… Avvicinandosi il momento del suo transito, fece chiamare intorno a sé tutti i frati del luogo e, consolandoli della sua morte con espressioni carezzevoli li esortò con paterno affetto all’amore di Dio. Si diffuse a parlare sulla necessità di conservare la pazienza, la povertà, la fedeltà alla santa Chiesa Romana, ma ponendo sopra tutte le altre norme il santo Vangelo. Mentre tutti i frati stavano intorno a lui, stese sopra di loro le mani, intrecciando le braccia in forma di croce (giacché aveva sempre amato questo segno) e benedisse tutti i frati, presenti e assenti, nella potenza e nel nome del Crocifisso. Inoltre aggiunse ancora: “State saldi, o figli tutti, nel timore del Signore e perseverate sempre in esso! E, poiché sta per venire la tentazione e la tribolazione, beati coloro che persevereranno nel cammino iniziato! Quanto a me, mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla Sua grazia!”. Terminata questa dolce ammonizione, l’uomo a Dio carissimo comandò che gli portassero il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il passo di Giovanni, che incomincia: “Prima della festa di Pasqua...” (Gv 13, 1). Egli, poi, come poté, proruppe nell’esclamazione del salmo: “Con la mia voce al Signore io grido, con la mia voce il Signore io supplico” e lo recitò fin al versetto finale: “Mi attendono i giusti, per il momento in cui mi darai la ricompensa” (cfr. Sal 141, 1-8). Quando, infine, si furono compiuti in lui tutti i misteri, quell’anima santissima, sciolta dal corpo, fu sommersa nell’abisso della chiarità divina e l’uomo beato s’addormentò nel Signore (cfr. At 7, 60)» (S. Bonaventura, FF 1241 - 1242 - 1243)."
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“Il 4 ottobre 1542 nasceva a Capua san Roberto Bellarmino, della Compagnia di Gesù, Cardinale di Santa Romana Chiesa, già Vescovo di Capua (1602 - 1605), astro fulgidissimo della Controriforma cattolica. Passato alla vita eterna il 17 settembre 1621, Pio XI lo iscriverà nell'albo dei Beati (13 maggio 1923), dei Santi (29 giugno 1930) e dei Dottori della Chiesa Universale (17 settembre 1931).”


"Oggi inizia la Novena della Virgen del Pilar. Siatene devoti."
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https://www.agerecontra.it/?s=San+Francesco
"San Francesco difese le Crociate dinanzi al Sultano d’Egitto"
San Francesco difese le Crociate dinanzi al Sultano d'Egitto | www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=19854)
https://www.agerecontra.it/2015/11/san-francesco-difese-le-crociate-dinanzi-al-sultano-degitto/
I due Francesco « www.agerecontra.it | Sito del Circolo Cattolico "Christus Rex" (http://www.agerecontra.it)
I due Francesco | www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=12849)
https://www.agerecontra.it/2014/12/i-due-francesco/

Mons. Umberto Benigni e l’elogio di san Francesco d’Assisi:

San Francesco d?Assisi e mons. Umberto Benigni - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-mons-benigni/)
http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-mons-benigni/
«San Francesco d’Assisi e mons. Umberto Benigni 4 ottobre 2018
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
San Francesco d’Assisi e mons. Umberto Benigni.»
San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte) - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-i-parte/)
San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (II parte) - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-ii-parte/)
Ristampa della “Storia Sociale della Chiesa” di mons. Umberto Benigni a cura del Centro Librario Sodalitium:
Vol. 1: http://www.sodalitiumshop.it/epages/106854.sf/it_IT/?ObjectPath=/Shops/106854/Products/059
Vol. 2 (in 2 tomi): http://www.sodalitiumshop.it/epages/106854.sf/it_IT/?ObjectPath=/Shops/106854/Products/061
Vol. 3: https://www.sodalitiumshop.it/epages/106854.sf/it_IT/?ObjectPath=/Shops/106854/Products/063
http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2018/10/Scagliolista_carpigiano_paliotto_con_stimmate_di_s an_francesco_1690_ca.jpg


http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2018/10/Scagliolista_carpigiano_paliotto_con_stimmate_di_s an_francesco_1690_ca.jpg


"San Francesco d’Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte)"
San Francesco d'Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte) | www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=19067)
https://www.agerecontra.it/2015/10/san-francesco-d%C2%B9assisi-nella-penna-di-mons-benigni-i-parte/
“Il 4 Ottobre è la Festività di S. Francesco, Patrono d’Italia per volontà dell’ultimo Papa, Pio XII.”
http://www.agerecontra.it/wp-content/uploads/2015/10/giotto_francesco_particR439.jpg
"San Francesco d'Assisi nella penna di Mons. Benigni (II parte)"
San Francesco d¹Assisi nella penna di Mons. Benigni (II parte) | www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=19145)
https://www.agerecontra.it/2015/10/san-francesco-d%C2%B9assisi-nella-penna-di-mons-benigni-ii-parte/
http://www.agerecontra.it/wp-content/uploads/2015/10/st-francis-in-ecstasy.jpg
https://www.agerecontra.it/2017/10/mons-umberto-benigni-e-lelogio-di-san-francesco-dassisi/
http://www.agerecontra.it/wp-content/uploads/2017/10/IMG-20171004-WA0004.jpg


http://www.agerecontra.it/wp-content/uploads/2017/10/IMG-20171004-WA0004.jpg


San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte) - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-i-parte/)
«San Francesco d’Assisi nella penna di Mons. Benigni (I parte)
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 76/15 del 3 ottobre 2015, Santa Teresa del Bambin Gesù
Dalla “Storia Sociale della Chiesa”, Vol. V, “La crisi medievale”, Vallardi 1933, pagg. 616-625.
I Francescani, di Mons. Umberto Benigni (prima parte)
San Francesco d?Assisi nella penna di Mons. Benigni (II parte) - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/san-francesco-dassisi-nella-penna-di-mons-benigni-ii-parte/)
"Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 77/15 del 5 ottobre 2015, San Placido
Dalla “Storia Sociale della Chiesa”, Vol. V, “La crisi medievale”, Vallardi 1933, pagg. 616-625.
I Francescani, di Mons. Umberto Benigni (seconda parte).»




http://www.unavoce-ve.it/pg-4ott.htm
«4 OTTOBRE SAN FRANCESCO D'ASSISI CONFESSORE.»




Sancte Francisce, ora pro nobis!!!
Auguri a tutti coloro che sono stati battezzati col nome del Santo di Assisi!!!
Luca, Sursum Corda - Habemus Ad Dominum!!!