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Visualizza Versione Completa : 15 ottobre - S. Teresa di Gesù (d'Avila), vergine e dottore della Chiesa



Augustinus
15-10-03, 12:13
Oggi ricorre la memoria di S. Teresa d'Avila, riformatrice dell'Ordine carmelitano, assieme a S. Giovanni della Croce.
Ecco un breve profilo biografico della Santa.
Sulle origini della Santa v. QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=1902944#post1902944).
Al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice del Carmelo, Madre delle Carmelitane Scalze e dei Carmelitani Scalzi. Ella è la "mater spiritualium" (titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana); patrona degli scrittori cattolici (1965) e Dottore della Chiesa (1970): prima donna, insieme a S. Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo.
Era figlia di una famiglia numerosa, che contava ben dodici figli (nove maschi e tre donne). Suo padre era don Alfonso o Alonso Sánchez de Cepeda e sua madre donna Beatriz Dávila y Ahumada. Nacque ad Avila, in Spagna, 28 marzo 1515. Da bambina giocava a fare l'eremita o la martire, tuttavia l'episodio che più segnò la sua vita in questo periodo, fu la morte della madre. In gioventù, dedicò buona parte del suo tempo alla lettura di romanzi cavallereschi, arrivando persino a scriverne uno.
Nel 1531 entra nel convento de Gracia come educanda, dove rimarrà sotto la direzione dell'agostiniana María de Briceño, personalità che influenzerà chiaramente la sua vocazione religiosa per un anno e mezzo.
Nel 1533 si ammala e suo padre, per farla riprendere, la manda dallo zio a Castellanos de la Cañada. In questo luogo, Teresa dedica gran parte del tempo alla lettura di quei libri di orazioni e meditazione che saranno poi decisivi nella sua proiezione letteraria.
Nel 1535, il 2 novembre, entra, suo malgrado, nel convento dell'Encarnación poiché deve lasciare da solo il padre, dopo la partenza di quasi tutti i figli per l'America, Italia e Fiandre.
Prende l'abito un anno più tardi. Tuttavia la sua vita continua ad essere piena di alti e bassi dato che dopo tre anni si ammala di nuovo e suo padre la porta da una guaritrice che rischia di ucciderla. Passata questa crisi rientra in convento, ma deve partire dopo poco tempo occuparsi del padre malato. Alla morte del padre, hanno inizio i problemi economici della famiglia che è costretta a vendere la casa natìa.
Un pò per le condizioni oggettive del luogo, un pò per le difficoltà di ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua "conversione", a 39 anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione.
Dal 1555 al 1558 rimase accanto a donna Guiomar de Ulloa, nobile avilese con cui strinse grande amicizia e persona che la incoraggiò a iniziare la Riforma. Sarà nella casa di donna Guiomar che riceverà, in più di un'occasione, i suoi consiglieri spirituali: Francisco de Borja, San Pedro de Alcantára, ecc.
Nel convento dell'Encarnación cominciò la sua vita di scrittrice e fu che ebbero luogo alcune delle più importanti esperienze mistiche della sua vita: la Transverberazione e il Matrimonio spirituale.
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, senza rendite e "secondo la regola primitiva": espressione che va ben compresa, perchè allora e subito dopo fu più nostalgica ed "eroica" che reale. Nel 1562 fonda San José, il primo convento di monache carmelitane scalze, ma è a partire dal 1567 che comincia davvero il processo fondazionale. Fu allora che Teresa ottenne dal Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi - in visita in Spagna - l'ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il permesso per due conventi di "Carmelitani contemplativi" (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle monache ed in tal modo potessero aiutarle. Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale Rossi, altri - specialmente in Andalusia - contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di Dio). Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino all'erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581. Teresa potè scrivere: "Ora Scalzi e Calzati siamo tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore". Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi. Le sue opere - specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) - insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell'anima, dai primi passi sino all'intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L' Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull'unione dell'anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l'ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche.
Durante i suoi viaggi e la sua opera instancabile di riforma, conobbe il futuro San Giovanni della Croce, il quale sarà di grande appoggio spirituale. Anzi, fu giusto per influenza sua, se Fra Giovanni della Croce diventerà il primo carmelitano scalzo e l'incaricato di riformare il ramo maschile dell'ordine del Carmelo.
La Santa camminatrice realizzò un totale di 17 fondazioni, prima del 4 ottobre 1582, giorno in cui, a causa delle fatiche di un viaggio disagevole, nel convento di Alba de Tormes e dopo aver esclamato: "finalmente sono figlia della Chiesa", morì circondata dalle sue monache. Un profumo di gigli pervase tutta la cella e l'orologio si fermò nel momento preciso della morte: alle nove di sera.
Grande scrittrice del XVI secolo, le sue opere più importanti furono "il libro della vita", "Cammino di perfezione", "Le Mansioni", "Castello Interiore", "Il Libro delle Fondazioni", ecc.
Santa Teresa, considerata una delle grandi figure della cristianità, fu beatificata da Paolo V il 24 aprile 1614 e canonizzata da Papa Gregorio XV il 12 marzo 1622 (assieme a S. Isidoro lavoratore, Ignazio di Loyola e Francesco Saverio) e nominata Dottore della Chiesa da Paolo VI, il 27 settembre 1970.
Nel 1726 Benedetto XIII istituì, per il solo ordine carmelitano, la Festa della Transverberazione del suo cuore.

Augustinus

http://www.cult.gva.es/mbav/data/0507.jpg José de Ribera (1591-1652), S. Teresa d'Avila, Valencia

http://www.wga.hu/art/g/gerard/7theresa.jpg http://www.catholictradition.org/Two-Hearts/reparation8-avila.jpg François Gérard, S. Teresa, 1827, Infirmerie Marie-Thérèse, Parigi

http://old.comune.cremona.it/doc_comu/info/chiese/s-imerio.jpg Angelo Massarotti, S. Teresa in preghiera, S. Imerio, Cremona

Augustinus
15-10-03, 13:08
La Riformatrice del Carmelo fu diverse volte protagonista dello stradordinario dono della transverberazione.
Una prima volta, ad Avila, nel coro superiore del monastero dell'Incarnazione, negli anni 1559-1562. Non a caso, in questo monastero è stata dedicata a ciò un'apposita cappella della transverberazione. Non solo. Lo straordinario fenomeno è commemorato nel solo Ordine carmelitano ed in tutte le diocesi della Spagna il 27 agosto con Messa ed Ufficio propri, concessi dal Sommo Pontefice Benedetto XIII, il 2 maggio 1726 (analogamente a quanto accade per il 1° aprile per S. Caterina da Siena, la cui stigmatizzazione è commemorata in detta data da parte dei soli ordini domenicani).
Una seconda serie di transverberazioni si verificarono, sempre nel monastero dell'Incarnazione, negli anni 1571-1574, quando Teresa era priora del monastero stesso.
Una terza volta, infine, nella casa di Doña Guiomar di Ulloa, che ne fu fortunata testimone. Di quest'ultima ne fece menzione, durante il processo canonico di beatificazione, la figlia, Doña Antonia di Guzman.
In mancanza di relazioni puntuali che coprano tutti i periodi suddetti nei quali si verificò il fenomeno della transverberazione, ci si è soliti rifare ad un testo scritto dalla stessa Teresa.

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Si tratta di un passo tratto dal “Libro della Vita”, sez. III, 29, 13:

«Il Signore, mentre ero in tale stato, volle alcune volte favorirmi di questa visione: vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea, cosa che non mi accade di vedere se non per caso raro. Benché, infatti, spesso mi si presentino angeli, non li vedo materialmente, ma come nella visione di cui ho parlato in precedenza. In questa visione piacque al Signore che lo vedessi così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non me ridicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio così soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che mento».

Nel passo successivo, il par. 14, Teresa scriveva ancora:

«I giorni in cui durava questo stato ero come trasognata: non avrei voluto vedere né parlare con alcuno, ma tenermi stretta alla mia pena che per me era la beatitudine più grande di quante ve ne siano nel creato. Questo mi è accaduto alcune volte, allorché il Signore volle che io avessi quei rapimenti così grandi che, anche stando tra persone, non potevo opporre loro resistenza, pertanto con mio grande rammarico cominciarono a divulgarsi. Da quel momento sento meno questo tormento, bensì sento quello di cui ho parlato prima in altro luogo – non ricordo in quale capitolo – che è molto diverso per molti aspetti ed è di maggior valore. Infatti, quando ha inizio la pena di cui parlo, sembra che il Signore rapisca l’anima e l’immerga nell’estasi; non c’è tempo, pertanto, di sentir pena né di patire, perché subito sopraggiunge il godimento. Sia benedetto per sempre il Signore che fa tante grazie a chi risponde così male ai suoi immensi benefici!».

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/teresa.jpg http://img209.imageshack.us/img209/7421/sttheresabernini1apy3.jpg http://www.angelo.edu/faculty/rprestia/1301/images/IN415Bernini%20thereseBST.jpg Gianlorenzo Bernini, Estasi di S. Teresa d'Avila, 1647-52, Chiesa di S. Maria della Vittoria, Cappella Cornaro, Roma. Il celebre gruppo marmoreo si ispira passo surriportato della Vita di S. Teresa

Augustinus
15-10-03, 13:21
http://treasuresofgrace.com/catholic/saints/images/teresa.jpg

http://www.campnet.it/aziendaturismo/galleria5/santa%20teresa.jpg

http://www.devocionario.com/imagenes/s_avila1.jpg

http://www.geocities.com/pewaukeecarmel/avila22.jpg http://img245.imageshack.us/img245/5959/teresa22oj.jpg

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Augustinus
15-10-03, 16:08
Nella relazione che fa Teresa della sua transverberazione (termine mistico per indicare il “trapassare il cuore” da parte di un dardo d’amore), fa esplicito riferimento ad una visione di natura certamente corporale, non intellettuale. In precedenza, Teresa riferisce di aver visto Dio in visione intellettuale (Vita, 7, 6). Questa volta, l’Angelo gli appare in forma corporea e le scaglia addosso un dardo, una freccia infuocata, “nel cuore, cacciandolo dentro fino alle viscere”.
Ella chiama questo soggetto con il termine “Cherubino”. Ora, gli “spiriti sublimi”, che si consumano tutti di amore sono designati, in verità, dalla Scrittura e dalla Teologia, con l’appellativo di “serafini”. I Cherubini ed i Serafini appartengono a due gerarchie angeliche differenti, sebbene pur sempre superiori (Serafini, Cherubini, Troni), ma con funzioni diverse. I Cherubini, infatti, manifestano la presenza di Dio ed in special modo la sua Gloria; i Serafini indicano l’ardore dell’Amore Divino. Orbene, Teresa erroneamente chiama l’essere che le appare come “cherubino”, quando in realtà doveva essere un "serafino". Ma quest’errore è giustificabile considerando che Teresa non aveva una formazione teologica. Infatti, S. Giovanni della Croce, fedele discepolo di Teresa, ma dotato di una più vasta e soda cultura teologica non sbaglia ad attribuire alla creatura angelica incaricata di commettere la transverberazione, cioè il mistico dono di fuoco e di amore, l’espressione di “serafino”.
Questa interpretazione è avallata anche dagli strumenti adoperati dall’Angelo, vale a dire il dardo d’oro con la punta di ferro ed il fuoco: oro, ferro e fuoco sono gli elementi tipici che contraddistinguono l’amore, nella sua preziosità, nella sua fortezza e nel suo vigore.
Il libro biblico del Cantico dei Cantici così descrive l’amore:

«Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio» (Ct 8, 6-7).

Anche gli effetti della ferita subita la dicono lunga su questo fenomeno. Lasciano, infatti, Teresa in una “fornace di amore”. Questa ferita, poi, le produceva uno spasimo “vivo” e “dolce” ad un tempo. Per la vivezza, la nostra Santa usciva in gemiti; mentre per la dolcezza, non ne desiderava la fine. Per la Riformatrice del Carmelo, il dolore non era fisico, ma spirituale, anche se il corpo “vi partecipava non poco”, dal momento che le pareva che anche le viscere le fossero strappate nel momento in cui l’Angelo ritraeva il dardo.
In un’altra opera di S. Teresa, le Relazioni Spirituali (5, 17), scrive:

«Un’altra forma di orazione assai frequente è una specie di ferita, in cui sembra quasi all’anima che le si trafigga il cuore e tutta se stessa con una freccia. Ciò produce un vivo dolore che fa emettere lamenti, ma insieme così piacevole che l’anima vorrebbe non le venisse mai meno. Questo non è un dolore fisico né si tratta di una piaga materiale: ha sede nell’anima e non ne appare traccia sul corpo. Siccome tutto ciò non può spiegarsi se non aiutandosi con paragoni, io mi servo di alcuni confronti – grossolani, è vero, rispetto a un simile fatto, ma non so esprimermi in altro modo. Queste sono grazie che non si possono scrivere né raccontare, perché riesce a capirle solo chi ne ha fatto esperienza. Intendo dire che si riesce a comprendere fin dove arrivi questa pena, in quanto le pene spirituali sono assai diverse dalle altre. Da ciò deduco in che misura le anime dell’inferno e del purgatorio debbano patire più di quel che si possa immaginare qui mediante le nostre pene corporali».

Per S. Teresa, dunque, la transverberazione non le avrebbe prodotto alcun effetto fisico. Sta di fatto che, alla sua morte, il suo corpo fu sottoposto ad autopsia. Il cuore estrattole dal petto e collocato in un prezioso reliquiario conservato nella Chiesa delle Carmelitane Scalze di Alba di Tormes, mostra evidenti trafitture con segni di bruciature. Ma questo fatto non contraddice le parole di Teresa, la quale non poteva compiere nessun esame fisico sul suo cuore: del resto, l’ardore ed il dolore che provava erano talmente superiori a qualsiasi ardore e dolore fisico che a lei sembrava di avere solo una ferita nell’anima e non anche nel corpo. Le circostanze nel quale si inseriva il fenomeno della transverberazione è descritto nei parr. 10-14 della sua Vita, dove si parla di ferite o trafitture di amore. Riporto i passi che precedono il racconto della sua visione:

«10. Questi altri impulsi sono diversissimi. Non siamo noi a porre la legna, ma sembra che, acceso già il fuoco, subito vi siamo gettati dentro per bruciare. Non è l’anima a inasprire il dolore della piaga, per l’assenza del Signore, ma è una saetta che le si conficca a volte nelle viscere e nel cuore così al vivo da lasciarla incapace di capire cosa abbia o cosa voglia. Solo intende di volere Dio e che la saetta pare abbia la tempera di un’erba che l’induce ad odiare se stessa per amore del Signore, in servizio del quale rinunzierebbe volentieri alla vita. Non si può magnificare né dire il modo con cui Dio ferisce l’anima e l’enorme sofferenza che produce, perché la trae fuori di sé, ma questa pena è così piacevole che non c’è nessun godimento nella vita terrena capace di offrire maggior piacere. L’anima vorrebbe sempre, come ho detto, giungere a morire di un tal male.

11. Questa pena e questa gioia unite insieme mi facevano uscire di senno perché non riuscivo a capire come ciò potesse essere. Oh, che cos’è per l’anima vedersi ferita! Si sente, cioè, in modo tale da potersi dire ferita per così eccellente causa, e vede chiaramente di non aver fatto nulla per attirarsi questo amore, ma che dal sommo amore, di cui Dio la privilegia, sembra sia caduta a un tratto su di lei quella scintilla che la fa ardere tutta. Oh, quante volte ricordo, quando mi trovo in questo stato, quel verso di Davide: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, che mi sembra di vedere realizzarsi testualmente in me.

12. Quando questi impeti non sono molto forti, sembra all’anima di potersi calmare un po’, per lo meno cerca qualche rimedio, non sapendo che cosa fare, con alcune penitenze, ma il corpo è ormai insensibile ad esse e non sente dolore nemmeno nel versare sangue, quasi fosse morto. Cerca allora altri espedienti e maniere che servano a procurarle qualche sofferenza per amor di Dio, ma quel primo dolore è così forte che non so quale tormento fisico glielo potrebbe togliere. Siccome il rimedio non è qui, queste nostre medicine sono di troppo basso livello per un male di così alto livello. Si calma un po’ e ha una qualche tregua, se chiede a Dio di darle un rimedio per il proprio male, ma non ne vede alcuno all’infuori della morte, perché con essa pensa di godere totalmente il suo bene. Altre volte l’impeto è così forte che non si può fare né questo né altro; il corpo resta come morto, non si possono muovere né piedi né mani, anzi, se si sta in piedi, si ricade su se stessi come una cosa inerte, senza poter neppure respirare; si emettono solo alcuni gemiti, non forti, perché non si ha più energia, ma intensi di sentimento».

Anche la morte di Teresa fu di natura mistica. E’ nota la causa naturale: il faticoso viaggio da Burgos ad Avila, compiuto in pessime condizioni, le causò un flusso di sangue, facendole rendere placidamente l’anima a Dio, posando dolcemente la testa sulle braccia della consorella infermiera. In realtà, la causa ultima fu di natura mistica: fu l’ultimo assalto dell’amore divino che ruppe la debole tela del suo corpo, ricongiungendo nell’eternità l’eletta al Suo Amato Sposo. Questa è peraltro la versione indicata dalla Bolla di Canonizzazione della Santa: cioè la sua fu una morte per amore.
Si legge “quin etiam post mortem – cuidam moniali per visum manifestavit se non vi mortis, sed ex intolerabili divini amoris incendio vita excessisse” (la suora a cui si accenna è suor Caterina di Gesù del monastero di Bea, monaca dotata di grandi virtù).
Il desiderio di morire per amore, del resto, in una preghiera che la Santa era solita recitare, prima di morire:

“Mio Signore e mio Sposo!
E’ giunta l’ora tanto desiderata.
Finalmente è giunta l’ora di vederci.
Mio amato, mio Signore,
è giunta l’ora di partire.
E’ giunta l’ora.
Sia fatta la vostra volontà!
Sì, è giunta l’ora che io lasci quest’esilio
E che la mia anima goda di Voi,
che ho tanto desiderato”.

Il Signore la ascoltò. Era la mattina del 4 ottobre 1582, festa di S. Francesco d’Assisi, un altro ferito d’amore come lei. Il giorno dopo, per la correzione gregoriana del calendario, diventò il 15 ottobre.
Cinque anni prima della morte, S. Teresa aveva descritto la sua morte con parole altamente poetiche:

«La farfalletta è morta, felicissima d’aver trovato il suo riposo, e Cristo vive in lei» (Castello interiore, settime mansioni, III, 1).

S. Giovanni della Croce, avendo dinanzi agli occhi l’esperienza di Teresa, dirà che la fiamma d’amore, che investe le anime trasformate, spezza la tela del corpo e «si porta via il gioiello dell’anima».

Augustinus

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Augustinus
15-10-03, 16:30
Scrive S. Giovanni della Croce nella “Fiamma viva d’amore” tenendo presente l'esperienza di Teresa:

1. O fiamma d’amor viva,
che tenera ferisci
dell’alma mia il più profondo centro!
Poiché non sei più schiva,
finiscimi se vuoi,
il velo squarcia a questo dolce incontro!

2. O dolce cauterio!
Deliziosa piaga!
Morbida mano, tocco delicato,
che sa di eterna vita
e ogni debito paga!
Morte in vita, uccidendo, hai tramutato!

3. O lampade di fuoco,
nei cui vivi bagliori
gli abissi più profondi del mio senso,
prima oscuro e cieco,
con rara perfezion
all’Amato or dan luce e calor!

4. Come mite e amoroso
ti svegli sul mio seno,
dove in segreto e solo tu dimori!
Col tuo dolce respiro
di bene e gloria pieno,
quanto teneramente m’innamori!

(Fiamma viva B, 1, 1 ss.).

http://img262.imageshack.us/img262/8300/giovanni1dj.jpg

Ed ancora, sempre nella stessa opera:

29. Il velo è ciò che impedisce un’impresa così importante, perché è facile pervenire a Dio, una volta tolti gli ostacoli e squarciati i veli che separano l’anima da Dio. Tre sono i veli che, potendo impedire quest’unione, devono essere squarciati perché essa si realizzi e l’anima giunga al possesso perfetto di Dio: quello temporale, che racchiude tutte le creature; quello naturale, che comprende le operazioni e le inclinazioni puramente naturali; il terzo è quello sensitivo e concerne l’unione dell’anima con il corpo, cioè la vita sensitiva e animale, di cui parla san Paolo in questi termini: Sappiamo che quando verrà disfatta questa nostra abitazione sulla terra, riceveremo una dimora da Dio nei cieli (2Cor 5,1). È necessario squarciare i primi due veli prima che l’anima arrivi al possesso dell’unione con Dio, stato in cui si esige la rinuncia e il distacco da tutte le cose del mondo, come anche la mortificazione di tutti gli appetiti e gli affetti naturali. Attraverso questa purificazione le operazioni dell’anima da naturali sono diventate divine. Tutto ciò è avvenuto compiutamente nell’anima mediante i contatti penosi della fiamma quando essa le procurava ancora dolore. Infatti nella purificazione spirituale, di cui ho parlato sopra, l’anima ha finito di squarciare i due veli, per passare poi all’unione con Dio, dove si trova ora. Resta da rompere solo il terzo velo della vita sensitiva: perciò l’anima parla di velo e non di veli, perché solo questo le rimane da squarciare. Siccome questo velo è molto sottile, leggero e spiritualizzato in seguito all’unione con Dio, la fiamma non lo investe dolorosamente come gli altri due, ma con dolcezza e soavità. Ecco perché l’anima parla di dolce incontro, che è tanto più dolce e delizioso quanto più le sembra che debba squarciare il velo della vita.
30. È utile ricordare che la morta naturale di coloro che arrivano a questo stato, può sembrare, dal punto di vista umano, simile a quella degli altri, ma la causa e il modo di morire sono molto differenti. Se gli altri, infatti, muoiono di morte provocata da una malattia o dalla vecchiaia, queste persone, pur morendo di malattia o di vecchiaia, in realtà ciò che le strappa dal loro corpo è uno slancio o un trasporto d’amore, molto più elevato, più forte e più possente dei precedenti, tanto da squarciare il velo e portare via il gioiello dell’anima. Per tutti questi motivi, la morte di tali persone è molto più soave e dolce di quanto sia stata per loro l’intera vita spirituale. Muoiono, infatti, per elevati rapimenti e soavi trasporti d’amore, come il cigno che emette il canto più melodioso quando sta per morire. Per questo Davide dice che è preziosa la morte dei santi che si sono devotamente donati a Dio (Sal 115,15 Volg.). In quell’attimo vengono a incontrarsi tutte le ricchezze dell’anima, e i fiumi d’amore dell’anima, così vasti e maestosi da sembrare mari, sfociano nell’oceano divino. È qui che vengono a congiungersi il primo e l’ultimo dei tesori per accompagnare il giusto che parte per il suo regno, mentre, come dice Isaia, dai confini della terra si elevano le lodi a gloria del giusto (Is 24,16).
31. L’anima sente ormai giunto il momento di questi gloriosi incontri e che è sul punto d’entrare in possesso del suo regno in modo perfetto e definitivo, per l’abbondanza di beni di cui si vede arricchita. Si riconosce, infatti, pura, ricca e piena di virtù e pronta per la vita eterna. Dio le concede di vedere, in questo stato, la sua bellezza e le rivela i doni e le virtù che le ha dato, perché trasformi tutto in amore e lode, senza accenni di presunzione o vanità: ormai il lievito d’imperfezione che corrompe la pasta (1Cor 5,6; Gal 5,9) non c’è più. Si accorge che le resta solo da squarciare questo sottile velo della vita mortale, in cui si sente incatenata, imprigionata e privata della libertà. Desidera essere sciolta dal corpo per essere con Cristo (Fil 1,23), perché la disturba che una vita così vile e debole le impedisca l’altra tanto eccelsa e rigogliosa. Per questo chiede che il velo si squarci, in questi termini: il velo squarcia a questo dolce incontro!
32. Lo chiama velo per tre motivi: primo, per l’unione esistente tra lo spirito e la carne; secondo, perché divide l’anima da Dio; terzo, perché come il velo non è tanto opaco e spesso da impedire alla luce di trasparire leggermente, così, nel presente stato, l’unione di cui si parla, essendo già molto spiritualizzata, illuminata, trasparente, assomiglia a un velo talmente sottile da lasciar intravedere qualche riflesso di Dio. L’anima sente qui il vigore dell’altra vita e si rende conto della pochezza di questa, che le sembra un velo sottile e una tela di ragno, secondo l’espressione di Davide: I nostri anni sono fatti come tela di ragno (Sal 89,9 Volg.). Ma questo velo è ancora più sottile della ragnatela per l’anima ormai così elevata da essere stabilita in Dio: sente le cose come Dio, di fronte al quale, dice Davide, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato (Sal 89,4), e ugualmente Isaia: Tutte le nazioni sono come un nulla davanti a lui (Is 40,17). Lo stesso valore hanno per l’anima, per la quale tutte le cose sono nulla, ed anche lei stessa è nulla ai propri occhi. Solo il suo Dio è tutto per lei.
(Fiamma viva B, 1, 29 ss.)

Augustinus
15-10-03, 16:38
http://img262.imageshack.us/img262/2286/teresad9sp.jpg

Nada te turbe

Nada te turbe Nada te espante,
Quien a Dios tiene nada le falta.
Todo se pasa. Dios no se muda.
La paciencia todo lo alcanza.
Nada te turbe, nada te espante
quien a Dios tiene, nada le falta.

Nulla ti turbi - Nulla t'attristi,
tutto dilegua - Dio non si muta,
con la pazienza - tutto t'acquisti,
manchi di nulla - se hai Dio nel cuor.

http://santiebeati.it/immagini/Original/24850/24850A.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/24850/24850.JPG

Augustinus
15-10-03, 22:53
http://www.wga.hu/art/n/novelli/carmel.jpg Pietro Novelli, detto Il Monrealese, Nostra Signora del Carmelo e Santi carmelitani (SS. Teresa d'Avila, Maria Maddalena de' Pazzi, Simone Stock e Angelo da Gerusalemme), 1641, Museo Diocesano, Palermo

Augustinus
14-10-04, 22:54
(Opusc. «Il libro della vita», cap. 22, 6-7, 14)

Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi.
Ne ho fatto molte volte l'esperienza, e me l'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. E' da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà.
Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l'aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia.
Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell'amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell'accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica.

Augustinus
14-10-04, 22:57
Vida de Santa Teresa de Jesus, XXIL 3.5‑11.14. Obras, Burgos, 1922, 159‑166

Quando cominciai ad avere un po' d'orazione soprannaturale, vale a dire di quiete, procurai di allontanarmi da ogni cosa corporea; tuttavia, non osai elevare l'anima, perché mi sembrava una temerarietà a causa della mia grande miseria. Intanto ‑ ed era vero ‑ mi pareva di sentire la presenza di Dio e cercavo di starmene raccolta in lui. Se il Signore aiuta, questa orazione fa gustare molte delizie. Perciò, sentendone diletto e profitto, non solo non trovavo chi mi riconducesse alla considerazione dell'umanità di Cristo, ma in verità la reputavo anch'io un ostacolo. O Signore dell'anima mia, mio Bene, Cristo Gesù crocifisso! Non ricordo mai questa illusione che avevo allora, senza sentirne gran dolore; mi sembra infatti che fu un grave tradimento, anche se per ignoranza.

Voler far a meno dell'umanità di nostro Signore rivela un difetto nell'umiltà cosi nascosto e dissimulato che uno nemmeno se ne accorge. Ma chi può essere come me, cosi superbo e miserabile, da non stimarsi molto ricco e ben ripagato se in ricompensa della sua vita, sia pur condotta tra ogni genere di fatiche, orazioni, penitenze e persecuzioni, il Signore gli permette di stare ai piedi della croce con san Giovanni? Non so a chi può mai sorgere il pensiero di non esserne contento se non a me; appunto per questo ebbi a perdere dove invece avrei potuto guadagnare. A volte la sensibilità o la malattia non permettono di pensare alla passione del Signore, perché è troppo penosa. Ma nessuno vieta di far compagnia a Gesù risorto, giacché l'abbiamo tanto vicino nel santissimo Sacramento, in cui si trova glorificato.

Non ho mai avuta una prova che non abbia sopportato bene, purché ti contempli, Signore, quando stavi davanti ai giudici. Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano cosi magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa. Gesù infatti aiuta e da forza, non viene mai meno: è un vero amico. Ho sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. Ne ho fatto molte volte l'esperienza, e me l'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri.

Da nostro Signore ci vengono tutti i beni. Lui ci istruirà e meditando la sua vita non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un cosi buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con se! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva far a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l'aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi non hanno seguito altro cammino. Ce ne da prova san Francesco con le stimmate e sant'Antonio con il Bambino. San Bernardo trovava le sue delizie nell'umanità di Cristo, cosi come santa Caterina da Siena e molti altri che conoscete meglio di me. Rigettare ogni immagine corporea sarà certo ben fatto se l'insegnano persone tanto spirituali; ma io credo che ciò non debba farsi se non quando l'anima sia già molto avanzata, perché prima d'allora si deve sempre cercare il Creatore attraverso le creature.

Quando Dio vuol sospendere tutte le potenze dell'anima in certi modi d'orazione, è chiaro che la presenza della sacratissima umanità di Cristo ci è tolta dinanzi, anche se non vogliamo. Se è cosi, tanto meglio, perché una tale perdita ci fa meglio godere quello che ci sembrava di aver perduto. Allora l’anima si dedica totalmente ad amare colui che l'intelletto faticava a conoscere. L'anima può cosi amare colui che non riusciva a comprendere e godere il bene che non avrebbe mai potuto cosi godere se non col perdere se stessa per meglio guadagnare. Ma che noi mettiamo ogni cura e ogni abilità per evitare di aver sempre innanzi la sacratissima umanità di Gesù, (e piacesse a Dio che l'avessimo sempre per davvero!), ecco ciò che non mi pare ben fatto. Anzi, come suol dirsi, è camminare per aria, perché allora l'anima sembra andare senza appoggio, nonostante,'.il che si creda piena di Dio. E' invece importantissimo per noi uomini, finché siamo quaggiù, rappresentarci il Signore in figura di uomo.

Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Voler fare gli angeli, mentre siamo sulla terra, è una vera pazzia, soprattutto quando si è cosi miseri come ero io.Il pensiero solitamente ha bisogno di appoggio, benché talvolta l'anima esca cosi fuori di se e sia talmente piena di Dio da non aver bisogno, per raccogliersi, di alcuna cosa creata. Ma ciò non è abituale. Quando perciò sopraggiungono affari, travagli, persecuzioni, quando non si può avere tanta quiete o si passa per un periodo di aridità, Cristo è sempre un buonissimo amico. Lo vediamo uomo come noi, soggetto alle nostre medesime debolezze e sofferenze, e ci diventa di grande compagnia. Una volta fatta l'abitudine, sapremo rappresentarcelo facilmente, nonostante che ci saranno giorni in cui non saper trovare Dio ne senza immagini, ne attraverso l'umanità di Cristo. Perciò è bene, come ho detto, di non abituarci a cercare consolazioni spirituali. Capiti ciò che vuole, sarà già gran cosa rimanere abbracciati alla croce.

Nostro Signore rimase senza consolazione, solo, sotto il peso dei suoi dolori. Non abbandoniamolo, ed egli ci darà la mano per salire, più che non potrà fare la nostra solerzia). Poi magari si assenterà, quando lo vedrà opportuno e vorrà spingere l'anima a uscire da sé stessa. Dio si compiace molto nel vedere un'anima prendere umilmente suo Figlio per mediatore, amarlo tanto e riconoscersi indegna, dicendo con san Pietro: Signore, allontanati da me che sono un peccatore (Lc 5, 8), i anche se lui la eleva alla più alta contemplazione. L'ho provato io stessa, perché il Signore mi ha condotta per questa via. Altri potranno prendere una strada più breve, ma io ho visto che l'edificio dell'orazione deve fondarsi sull'umiltà: quanto più un'anima si abbassa nell'orazione, tanto più Iddio la innalza.

Concluderò cosi: ogni volta che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell'amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell'accesa carità che il Padre ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue. Amore chiama amore. Nonostante che siamo agli inizi e la nostra miseria sia grande, sforziamoci di aver sempre questo presente e di essere vigili nell'amare. Se Dio ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica. Sua Maestà ci doni questa fiamma, lui che sa bene quanto ci convenga. lo lo supplico in nome dell'amore che ci ha portato e in nome dei suo glorioso Figlio che tanto patì per testimoniarcelo. Amen.

Augustinus
14-10-04, 23:00
Novena dello Spirito Santo, meditaz. 9,3,1. Opere, Torino, 1826, t. X, 213-201‑202.197‑198.

Il cuore umano va sempre cercando beni che possano renderlo felice. Se egli li cerca dalle creature, per quanti ne riceva, non rimane mai contento. Ma se non vuole altro che Dio, Iddio accontenterà tutti i suoi desideri. Gli uomini più felici in questa terra non sono forse i santi? Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete (Gv 4,13). L'amore è acqua che sazia; chi ama Dio di vero cuore, non cerca né desidera niente più, perché in Dio trova ogni bene. Contento di Dio, egli va sempre dicendo: "Dio mio e mio tutto". Dio mio, tu sei ogni mio bene. Ma perciò il Signore si lagna di tante anime che vanno mendicando miseri e brevi diletti dalle creature, e lasciano lui ch'è un bene infinito e fonte d'ogni gaudio: Essi hanno abbandonato me. sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua (Ger 2,13), dice il Signore in Geremia.

Dio ci ama e desidera vederci contenti. Egli perciò grida e fa sapere a tutti: Chi ha sete vengo a me. Chi desidera essere beato, venga a me, e io gli donerò lo Spirito Santo, che lo renderà beato in questa e nell'altra vita. Chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Chi crede e ama Gesù Cristo, sarà arricchito di tanta grazia che dal suo cuore, cioè dalla volontà che è il centro dell'anima, sgorgheranno più fontane di sante virtù; esse non solo gioveranno a conservare la sua vita, ma anche a dare la vita agli altri. Appunto quest'acqua era lo Spirito Santo, l'amore sostanziale che Gesù Cristo promise di mandarci dal cielo dopo la sua ascensione. Leggiamo infatti in Giovanni che Gesù questo disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato.

La chiave che apre i canali di quest'acqua beata è la santa preghiera, che ci ottiene ogni bene in virtù della promessa del Signore: Chiedete e vi sarà dato (Mt 7, 7). Noi siamo ciechi, poveri e deboli; ma la preghiera ci ottiene luce, forza e ricchezze di grazia. Teodoreto affermava che la preghiera può tutto, anche da sola. Chi prega, riceve quanto desidera. Iddio vuol darci le sue grazie, ma vuol essere pregato. Gesù mio, ti pregherà con la Samaritana: Dammi quest'acqua del tuo amore, che mi faccia scordare della terra, per vivere solo per te, amabile, infinito. L'anima mia è terra arida, che non produce altro che sterpi e spine di peccati. Signore, innaffiala con la tua grazia, perché renda qualche frutto a tua gloria.

Signore, il tuo Spirito ci infiammi di quel fuoco di cui Gesù disse: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già accesso (Lc 12,49). Questo è stato quel fuoco divino che ha accesso i santi a far grandi cose per Dio: amare i nemici, e amare i disprezzi, spogliarsi di tutti i beni terreni e abbracciare con allegrezza persino i tormenti e la morte. L'amore non sa stare ozioso e non dice mai basta. Un'anima che ama Dio, quanto più fa per l'amato, più desidera di fare per dargli gusto e attirarsi di più il suo affetto. Questo santo fuoco si accende nell'orazione mentale, secondo la parola del salmista: Nel meditare e divampato il fuoco (Sal 38,4). Se dunque desideriamo di ardere d'amore verso Dio, amiamo l'orazione; questa è la beata fornace, dove si accende questo divino ardore.

Augustinus
14-10-04, 23:26
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=24850):

Santa Teresa di Gesù (d'Avila), Vergine e dottore della Chiesa

15 ottobre - Memoria

Avila, Spagna, 28 marzo 1515 - Alba de Tormes, 15 ottobre 1582

Donna di eccezionali talenti di mente e di cuore, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, dove concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un intensa attività come riformatrice dell'Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l'autorizzazione del Generale dell'Ordine si dedicò appassionatamente ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Coniclio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale. Lasciò nella sua autobiografia e nei suoi scritti di spiritualità un documento di profonda esperienza mistica. Paolo VI la riconobbe Dottore della Chiesa (27 settembre 1970). (Mess. Rom.)

Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un'intensa attività come riformatrice dell'Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l'autorizzazione del generale dell'Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. (Avvenire)

Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Memoria di santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell’Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza.

Martirologio tradizionale (15 ottobre): Ad Avila, in Spagna, santa Teresa Vergine, madre e maestra dei Fratelli e delle Sorelle dell'Ordine dei Carmelitani di più stretta osservanza.

Al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice del Carmelo, Madre delle Carmelitane Scalze e dei Carmelitani Scalzi; "mater spiritualium" (titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana); patrona degli scrittori cattolici (1965) e Dottore della Chiesa (1970): prima donna, insieme a S. Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo; nata ad Avila (Vecchia Castiglia, Spagna) il 28 marzo 1515; morta ad Alba de Tormes (Salamanca) il 4 ottobre 1582 (il giorno dopo, per la riforma gregoriana del calendario fu il 15 ottobre); beatificazione nel 1614, canonizzazione nel 1622; festa il 15 ottobre.
La sua vita va interpretata secondo il disegno che il Signore aveva su di lei, con i grandi desideri che Egli le mise nel cuore, con le misteriose malattie di cui fu vittima da giovane (e la malferma salute che l'accompagnò per tutta la vita), con le "resistenze" alla grazia di cui lei si accusa più del dovuto. Entrò nel Carmelo dell'Incarnazione d'Avila il 2 novembre 1535, fuggendo di casa. Un pò per le condizioni oggettive del luogo, un pò per le difficoltà di ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua "conversione", a 39 anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione.
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, realizzata due anni dopo col monastero di S. Giuseppe, senza rendite e "secondo la regola primitiva": espressione che va ben compresa, perchè allora e subito dopo fu più nostalgica ed "eroica" che reale. Cinque anni più tardi Teresa ottenne dal Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi - in visita in Spagna - l'ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il permesso per due conventi di "Carmelitani contemplativi" (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle monache ed in tal modo potessero aiutarle. Alla morte della Santa i monasteri femminili della riforma erano 17. Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale Rossi, altri - specialmente in Andalusia - contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di Dio). Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino all'erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581. Teresa potè scrivere: "Ora Scalzi e Calzati siamo tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore". Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi. Le sue opere - specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) - insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell'anima, dai primi passi sino all'intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L' Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull'unione dell'anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l'ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche. Morendo la sua gioia fu poter affermare: "muoio figlia della Chiesa".

Autore: Anthony Cilia

Fonte: www.ocarm.org

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Ludovico
01-01-05, 00:41
Libro de su vida Cap. XXXII

Molto tempo dopo che il Signore aveva cominciato a farmi non poche delle grazie di cui ho già detto e parecchie altre non meno insigni, mentre un giorno mi trovavo in orazione, mi parve tutt'a un tratto, non so come, di trovarmi anima e corpo nell'inferno. Capii che il Signore voleva che vedessi il luogo che i demoni mi avevano preparato laggiù e che io avevo meritato con i miei peccati (*). La visione non durò più di un attimo, ma se anche vivessi moltissimi anni, credo che mi sarebbe impossibile dimenticarla. L'ingresso mi pareva simile a un vicolo molto lungo e stretto, una specie di forno assai basso, scuro e angusto. Il pavimento era come una sudicia fanghiglia di odore pestilenziale, tutta brulicante di rettili schifosi. In fondo c'era una buca scavata dentro il muro, una specie di nicchia, dove mi parve di venir rinchiusa stretta stretta. Quanto avevo visto prima era assai piacevole in paragone di ciò che provai lì dentro, sebbene anche ciò che ho detto or ora non renda assolutamente l'idea.
Quello che soffrii allora, poi, mi sembra che non si possa nè descrivere nè intendere neppure alla lontana. Sentivo un fuoco nell'anima, che mi è impossibile rendere a parole. Quanto ai dolori fisici ne ho patiti di gravissimi, in questa vita, anzi, a detta dei medici, tra i più atroci che si possano soffrire, perchè, quando divenni storpia, mi si rattrappirono tutti i nervi, senza dire di molti altri che ho avuti, di diverso genere, alcuni dei quali, come ho già detto, provocati appunto dal demonio; ma tutti insieme sono meno che nulla in confronto con quel che soffersi in quel punto, tanto più pensando che sarebbero stati senza fine, che non sarebbero cessati mai più. Eppure tutto ciò non è nulla in paragone all'agonia dell'anima, che è un'angoscia, un' oppressione, una tristezza così acuta e una così disperata e straziante desolazione, che non so proprio come descriverla. Dire che sembra di morire in continuazione è dir poco: perchè nell'agonia mortale pare che sia un altro a strapparci la vita, mentre qui è l'anima stessa che si sbrana da sè. Insomma, non so come rendere l'idea di quel fuoco interiore e di quella disperazione che spinge all'estremo quei gravissimi tormenti e quegli inenarrabili dolori. Io non vedevo chi fosse a provocarli in me, ma mi sentivo come ardere e stritolare, e il peggio posso ben dire che fosse quel fuoco e quella disperazione interni. Chiusa in quel luogo orrendo senza la minima speranza di un qualche sollievo, non potevo nè sedermi nè distendermi, perchè, rinserrata in quel buco, le pareti circostanti, orribili a vedersi, mi stringevano da tutte le parti, togliendomi il respiro. Non c'è alcuna luce, tutto è immerso nelle più fitte tenebre: eppure - e non riesco a capire come ciò sia possibile - pur non essendoci luce, si vede ugualmente tutto ciò che può tormentare la vista.
Il Signore, per quella volta, non volle che vedessi altro all'inferno, ma più tardi ebbi un'altra visione di cose terrificanti, dove scorsi il castigo di alcuni singoli vizi. Quanto all'aspetto, mi parvero assai più spaventose, ma siccome non ne sentivo io stessa la pena, non mi fecero tanta paura come la prima visione, in cui il Signore volle farmi veramente sentire con lo spirito quei tormenti e quell'angoscia, come se il mio corpo li stesse soffrendo in realtà. Io non so come sia potuto succedere, ma certo intesi che era una grazia segnalatissima, e che il Signore aveva voluto farmi toccar con mano da che cosa mi aveva liberato la sua misericordia. Non è nulla, infatti, sentir parlare dell'inferno: sebbene io avessi pensato alcune volte (non molte, perchè la mia anima non si lasciava condurre bene dal timore) a differenti sorte di tormenti e avessi letto che i demoni ci attanagliano e altre atrocità del genere, pure tutto ciò non è nulla, se paragonato con la pena reale, la quale è addirittura un'altra cosa. C'è una differenza come tra un quadro e l'oggetto ch'esso rappresenta, e anche il bruciore del fuoco di questa terra è ben poca cosa rispetto al fuoco di laggiù. Io ne rimasi atterrita, e lo sono ancora adesso mentre scrivo, sebbene siano trascorsi quasi sei anni (**). Mi pare, anzi, che in questo stesso punto mi si geli il sangue nelle vene, tale è il terrore che mi prende. Così, ogni volta che ho qualche tribolazione o qualche dolore, basta che ripensi a quelle visioni perchè tutto ciò che si uò patire quaggiù mi sembri una sciocchezza, per cui mi sembra che, in parte, ci lamentiamo senza ragione. Perciò torno a dire che questa fu una delle più generose grazie che il Signore mi abbia fatto, perchè mi aiutò moltissimo, non solo a non temer più le prove e le contraddizioni di questa vita, ma a sopportarle col massimo coraggio, ringraziando Iddio per avermi liberato, a quel che ormai sembrerebbe, da quei mali spaventosi ed eterni.
Da allora in poi, ripeto, tutto ciò mi sembra facilmente sopportabile, in paragone di un solo attimo di quelle sofferenze. Mi stupisco che, con tutti i libri che ho letto, dove si cerca di far capire che cosa sono le pene dell'inferno, io non ci pensassi affatto nè le temessi com'era giusto. Dove avevo il cervello? Come potevo dilettarmi di cose che m'avrebbero condotta in un simile luogo? Siate benedetto in eterno, mio Dio! Voi mi avete ben dimostrato di amarmi assai più di quanto io non amassi me stessa. Quante volte, Signore, non mi avete liberata da quel carcere pauroso, mentre io tornavo pure a rinserrarmici contro la vostra volontà! Da quelle visioni mi nacque anche la terribile pena che provo al pensiero delle molte anime che si dannano, specie quelle dei luterani (ch'erano già, per la grazia del battesimo, figlie della Chiesa), e l'impetuoso desiderio di giovare alle anime, tanto che, a patto di liberarne anche una sola da queste pene tremende, credo che sarei prontissima a subire non una ma mille morti. Penso che se, in questo mondo, vediamo una persona, che ci sia particolarmente cara, afflitta da qualche gran dolore, pare che la nostra stessa natura ci inviti alla compassione, e se quel dolore è grande, ne soffriamo noi stessi. Ebbene, mi chiedo allora, chi potrà mai sopportare il pensiero che un'anima si condanni per tutta l'eternità alla peggiore di tutte le sofferenze? Non c'è cuore che non ne sia straziato. Se i supplizi di questa terra, di cui pur sappiamo che, per male che vada, termineranno con la morte, ci muovono a tanta compassione, io non so come possiamo avere un momento di pace, se consideriamo quante mai anime il demonio trascina ogni giorno con sè a un supplizio che non avrà mai fine.
Queste considerazioni mi fanno desiderare che in una cosa di tanta importanza non ci si ritenga paghi se non dopo di aver fatto tutto quel che ci è possibile: non tralasciamo nulla e il Signore si degni di soccorerci con la sua grazia. Io, a quel tempo, benchè fossi senz'altro cattivissima, pure stavo piuttosto attenta a servire il Signore, non commettevo certi peccati che nel mondo si sogliono fare continuamente, come chi bevesse un bicchier d'acqua sopportavo gravissime infermità con molta pazienza (anche se era Dio stesso a darmela), non ero portata alla mormorazione nè a sparlare della gente, non mi pareva di voler male ad alcuno, non ero ambiziosa, nè mi ricordo di aver mai nutrito invidia sì da offendere gravemente il Signore, e praticavo anche qualche altra virtù, perchè, pur essendo una miserabile, per lo più vivevo nel santo timore di Dio. Eppure ecco dove i demoni si erano già preparati a ricevermi! E' vero che, date le mie colpe, mi sembra che avrei meritato un castigo ancora più grave, ma con tutto ciò, ripeto, era un supplizio terribile. Però dico che è cosa pericolosissima accontentarci dello stato cui siam giunti o starcene tranquilli e pacifici mentre andiamo cadendo a ogni passo in peccato mortale. Per l'amor di Dio, allontaniamoci da ogni occasione di peccato, che allora il Signore ci aiuterà, come ha fatto con me. Piaccia a Sua Maestà di tenermi la sua santa mano sul capo, sì ch'io non torni a cadere, ora che ho visto dove andrei a finire! Non lo permetta il Signore per la sua divina misericordia: amen.
[...]

(*) O meglio: il luogo che avrebbe meritato se fosse giunta in fondo alla china pericolosa da lei intrapresa in un certo periodo della sua vita. Così comunemente s'interpreta, dato che la testimonianza concorde dei suoi confessori esclude che la Santa abbia mai commesso un peccato mortale.
(**) Scriveva queste parole nel 1565 circa.

Bellarmino
01-01-05, 12:42
Castello Interiore

Prologo

1 - Fra le cose impostemi dall'obbedienza, ben poche mi sono state così difficili come questa di mettermi ora a scrivere dell'orazione, sia perché sembra che il Signore non mi conceda lo spirito né il desiderio di farlo,
e sia perché mi trovo da tre mesi con la testa così debole e intontita da scrivere con pena anche per gli affari di necessità. Ma sapendo che la forza dell'obbedienza suole appianare ogni cosa, anche quelle che sembrano impossibili, mi accingo all'opera di buona voglia, benché ne senta un'estrema ripugnanza: Iddio non mi ha mai dato di vedermi in continua lotta con le infermità e con ogni sorta di occupazioni senza che la natura ne soffra. Mi assista Colui nella cui misericordia confido, e che in mio favore ha già fatto cose assai più difficili.

2 - Credo che poco saprò aggiungere di nuovo a quanto mi fu già imposto di scrivere.
Temo anzi di non far quasi che ripetermi, perché io sono in tutto come quegli uccelli a cui s'insegna a parlare, e che non sapendo più in là di quanto hanno appreso o sentito, non fan altro che ripetere le stesse cose.
Se il Signore mi vorrà far dire qualche cosa di nuovo, si degnerà d'illuminarmi, o, per lo meno, di richiamarmi alla mente ciò che ho scritto altre volte. Mi contenterei anche di questo. Data l'infedeltà della mia memoria, mi terrei fortunata di poter ripescare certe cose che, a quanto dicevasi, erano ben dette, e ciò nel caso che fossero perdute. Ma se il Signore non vorrà concedermi neppur questo, mi sarà di guadagno lo stancarmi e l'accrescermi il mal di testa per obbedienza, quand'anche da ciò che fossi per dire non si ricavasse alcun vantaggio.

3 - Incomincio dunque quest'obbedienza oggi, festa della SS. Trinità dell'anno 1577, a Toledo, in questo monastero di S. Giuseppe del Carmine, ove attualmente mi trovo. Mi sottometto al giudizio delle dottissime persone che mi hanno imposto di scrivere. Si abbia intanto per certo che se mi sfuggirà qualche cosa di non conforme a quanto insegna la S. Chiesa Cattolica Romana, ciò non sarà per malizia, ma per pura ignoranza, poiché, grazie a Dio, sono stata, sono e sarò sempre ad essa soggetta. -
Sia Egli benedetto e glorificato in eterno! Amen.

4 - Quegli che mi comandò di scrivere, mi disse che le monache di questi monasteri di nostra Signora del Carmine avevano bisogno di qualche spiegazione intorno a certi dubbi di orazione; e siccome le donne fra di loro s'intendono meglio, gli è sembrato che se fossi riuscita a dirne qualcosa, sarei stata di qualche loro vantaggio, specialmente per l'amore che mi portano. Perciò in questo scritto non mi volgerò che a loro, tanto più che sarebbe follia illudermi di esser utile ad altri. Grande grazia mi farebbe di certo il Signore se alcuna se ne giovasse per lodarlo un po' di più. E sa bene Sua Maestà se io desideri altra cosa. Se riuscirò a dire alcunché di buono, esse vedranno che io, essendone tanto incapace, non ne posso essere l'autrice, a meno che abbiano così poca intelligenza come io abilità, se il Signore nella sua misericordia non mi viene in aiuto

PRIME MANSIONI

Capitolo I

Bellezza e dignità dell'anima umana. Paragone per meglio intendersi. Vantaggi che si acquistano nel conoscersi e nell'intendere le grazie che si ricevono da Dio. La porta di questo castello è l'orazione.

1 - Oggi stavo supplicando il Signore di parlare in luogo mio, perché non sapevo cosa dire, né come cominciare ad obbedire al comando che mi è stato imposto, ed ecco quello che mi venne in mente.
Mi servirà di fondamento a quanto dirò.
Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo.
Del resto, sorelle, se ci pensiamo bene, che cos'è l'anima del giusto se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie?
E allora come sarà la stanza in cui si diletta un Re così potente, così saggio, così puro, così pieno di ricchezze? No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un'anima e alla sua immensa capacità!
Il nostro intelletto, per acuto che sia, non arriverà mai a comprenderla, come non potrà mai comprendere Iddio, alla cui immagine e somiglianza noi siamo stati creati. Se ciò è vero - e non se ne può dubitare - è inutile che ci stanchiamo nel voler comprendere la bellezza del castello. Tuttavia, per avere un'idea della sua eccellenza e dignità, basta pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, essendo anche l'anima una creatura.

2 - Che confusione e pietà non potere, per nostra colpa, intendere noi stessi e conoscere chi siamo!
Non sarebbe grande ignoranza, figliuole mie, se uno, interrogato chi fosse, non sapesse rispondere, né dare indicazioni di suo padre, di sua madre, né del suo paese di origine?
Se ciò è indizio di grande ottusità, assai più grande è senza dubbio la nostra se non procuriamo di sapere chi siamo, per fermarci solo ai nostri corpi.
Sì, sappiamo di avere un'anima, perché l'abbiamo sentito e perché ce l'insegna la fede, ma così all'ingrosso, tanto vero che ben poche volte pensiamo alle ricchezze che sono in lei, alla sua grande eccellenza e a Colui che in essa abita.
E ciò spiega la nostra grande negligenza nel procurare di conservarne la bellezza. Le nostre preoccupazioni si fermano tutte alla rozzezza del castone, alle mura del castello, ossia a questi nostri corpi.

3 - Come ho detto, questo castello risulta di molte stanze, alcune poste in alto, altre in basso ed altre ai lati. Al centro, in mezzo a tutte, vi è la stanza principale, quella dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l'anima.
Considerate bene questo paragone di cui forse Dio si compiacerà di servirsi per farvi intendere qualche cosa delle grazie che Egli si degna di accordare alle anime e la differenza che le distingue.
Ciò, naturalmente, fin dove ho inteso che sia possibile, perché, data la loro moltitudine nessuno è in grado di conoscerle tutte: tanto meno io che sono così misera.
Ma se il Signore ve l'accorderà, vi sarà di grande conforto sapere che lo può fare, mentre quelle che non ne sono favorite ne prenderanno l'occasione per lodare la sua infinita bontà.
Perciò, come non ci è di pregiudizio la considerazione della gloria del cielo e di quanto vi godono i beati, ma serve a rallegrarci e a spingerci per meritare anche noi quel che essi già godono, così non ci sarà di danno comprendere come sia possibile che un Dio tanto grande si comunichi fin da questo esilio con vermiciattoli così ripugnanti come siamo noi, ma ci muoverà ad amare una bontà così buona e una così infinita misericordia.
Chi si scandalizza nell'apprendere che Dio può far tante grazie fin da questo esilio, tengo per certo che sia senza umiltà e senza amore del prossimo. Se non fosse così, perché non dovrebbe compiacersi nel vedere Iddio far tali grazie a un suo fratello, quando ciò non vieta che le possa accordare anche a lui?
Perché non godere che Sua Maestà mostri la sua grandezza con chi meglio gli piace, poiché Egli alle volte non agisce che per questo, come disse del cieco a cui dette la vista, quando gli apostoli lo interrogarono se quella cecità era per i suoi peccati o per quelli dei suoi genitori? Risulta da ciò che se Egli dà a qualcuno le sue grazie, non è perché questi sia più santo degli altri a cui non ne dà, ma perché si manifesti in lui la sua grandezza, come già in S. Paolo e nella Maddalena, e perché noi lo lodiamo nelle sue creature.

4 - Si potrà dire che sembrano cose impossibili e che è bene non scandalizzare i deboli.
Ma è minor male permettere che alcuni non le credano, piuttosto che privare chi ne è favorito del profitto che ne deve ritrarre.
Questi infatti ne avrà piacere, e si ecciterà a più amare Colui che nella sua infinita potenza e maestà gli usa così grandi misericordie.
D'altra parte, so di parlare ad anime per le quali questo pericolo non esiste, perché conoscono e credono che Dio può discendere a manifestazioni di amore ben più sublimi. Chi non lo crede, sono sicura che non ne farà mai l'esperienza, perché Dio ama che non si ponga limite alle sue opere.
Parlando a coloro che Dio non conduce per questa strada, 1i scongiuro che non sia di essi così.

5 - Tornando al nostro incantevole e splendido castello, dobbiamo ora vedere il modo di potervi entrare.
Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è la stessa anima, non si ha certo bisogno di entrarvi, perché si è già dentro. Non è forse una sciocchezza dire a uno di entrare in una stanza quando già vi sia? Però dovete sapere che vi è una grande differenza tra un modo di essere e un altro, perché molte anime stanno soltanto nei dintorni, là dove sostano le guardie, senza curarsi di andare più innanzi, né sapere cosa si racchiuda in quella splendida dimora, né chi l'abiti, né quali appartamenti contenga. Se avete letto in qualche libro di orazione consigliare l'anima ad entrare in se stessa, è proprio quello che intendo io.

6 - Mi diceva ultimamente un gran teologo che le anime senza orazione sono come un corpo storpiato o paralitico che ha mani e piedi, ma non li può muovere. Ve ne sono di così ammalate e talmente avvezze a vivere fra le cose esteriori, da esser refrattarie a qualsiasi cura, quasi impotenti a rientrare in se stesse.
Abituate a un continuo contatto con i rettili e gli animali che stanno intorno al castello, si son fatte quasi come quelli, e non sanno più vincersi, nonostante la nobiltà della loro natura e la possibilità che hanno di trattare nientemeno che con Dio.
Se queste anime non cercano d'intendere la loro immensa miseria e non vi pongono rimedio, avverrà che per non volger lo sguardo a se stesse, si trasformeranno in altrettante statue di sale, come avvenne alla moglie di Lot per essersi voltata indietro.

7 - Per quanto io ne capisca, la porta per entrare in questo castello è l'orazione e la meditazione.
Non sto più per la mentale che per la vocale, perché dove si ha orazione occorre che vi sia pure meditazione.
Non chiamo infatti orazione quella di colui che non considera con chi parla, chi è che parla, cosa domanda e a chi domanda, benché muova molto le labbra.
Alle volte sarà buona orazione anche questa, quantunque non accompagnata da tali riflessioni, purché queste si siano fatte altre volte. Ma se alcuno ha l'abitudine di parlare con la maestà di Dio come con uno schiavo, senza pensare se dice bene o male, contento di quello che gli viene in bocca o ha imparato a memoria per averlo recitato altre volte... non tengo ciò per orazione, né piaccia a Dio che vi siano cristiani che così facciano.
Quanto a voi, sorelle, spero nella bontà di Dio che questo non vi accada, grazie all'abitudine che avete di trattare spesso di cose interiori: cosa assai utile per preservarvi da simili stupidaggini.

8 - Non parliamo dunque di queste anime paralitiche, alle quali, se il Signore non comanderà di alzarsi come al paralitico che stava da trent'anni alla piscina, toccherà serio pericolo e sventura assai grave.
Parliamo, invece di quelle che poi finiscono con entrare nel castello. Benché ingolfate nel mondo, non mancano di buoni desideri: di tanto in tanto si raccomandano a Dio, e, sia pure in fretta, rientrano in se stesse con qualche considerazione. Pregano qualche volta al mese, benché distrattamente, dato che il loro pensiero è quasi sempre tra gli affari, a cui sono molto attaccate, secondo il detto: Dov'è il tuo tesoro ivi è il tuo cuore.
Però, di tanto in tanto decidono di liberarsene perché, grazie al proprio conoscimento - che è sempre una gran cosa - riconoscono che la strada per cui camminano non è quella che conduce al castello. Finalmente entrano nelle prime stanze del pianterreno, ma vi portano con sé un'infinità di animaletti, i quali non solo impediscono di veder le bellezze del castello, ma neppur permettono di rimanervi in pace.
Tuttavia han già fatto molto con l'entrarvi.

9 - Vi parrà forse, figliuole, che tutto ciò non sia a proposito, perché voi, grazie a Dio, non siete di questo numero.
Ma abbiate pazienza, perché altrimenti non saprei come farvi intendere, nel modo che le intendo io, certe cose interiori riguardanti l'orazione.
Piaccia a Dio che riesca a dirvene qualche cosa, perché si tratta di un argomento assai difficile, specialmente per chi non ne ha esperienza. Ma se voi l'avrete, capirete che certe cose si devono toccare per forza.
Piaccia a Dio nella sua infinita misericordia che esse non accadano a noi!

Capitolo 2

Deformità di un'anima in peccato mortale. Il Signore ne fa vedere qualcosa a una certa persona. Qualche pensiero sul proprio conoscimento. Capitolo assai utile per certi punti che meritano attenzione. Come intendere queste mansioni.

1 - Prima di andare innanzi, vi prego di considerare come si trasformi questo castello meraviglioso e risplendente, questa perla orientale, quest'albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita che è Dio, quando s'imbratti di peccato mortale. Non vi sono tenebre così dense, né cose tanto tetre e buie, che non ne siano superate e di molto. Il Sole che gli compartiva tanta bellezza e splendore è come se più non vi sia, perché, pur rimanendo ancora nel suo centro, l'anima tuttavia non ne partecipa più. Conserva sempre la capacità di goderlo, come il cristallo di riflettere i raggi, ma intanto non vi è più nulla che le sia di merito; e finché dura in quello stato, non le giovano a nulla per l'acquisto della gloria neppure le sue buone opere, perché, non procedendo esse da quel principio per cui la nostra virtù è virtù - voglio dire da Dio, da cui, anzi, si allontanano - non gli possono essere accette. Infatti, chi commette un peccato mortale intende di contentare,non Dio, ma il demonio; e siccome il demonio non è che tenebra, la povera anima si fa tenebra con lui.

2 - So di una persona a cui il Signore volle far vedere lo stato di un'anima in peccato mortale.
Secondo lei, sarebbe impossibile, comprendendolo bene, che alcuno potesse ancora peccare, anche se per fuggirne le occasioni dovesse soffrire i maggiori tormenti immaginabili. Da ciò le venne un ardentissimo desiderio che tutti se ne persuadessero. E io ora vi scongiuro, figliuole, di pregar molto il Signore per coloro che si trovano in questo stato, trasformati in una stessa tenebra con le loro opere.
Come da una fonte limpidissima non sgorgano che limpidi ruscelli, così di un'anima in grazia: le sue opere riescono assai grate agli occhi di Dio e degli uomini, perché procedenti da quella fonte di vita nella quale essa è piantata come un albero, e fuor dalla quale non avrebbe né freschezza né fecondità. Quell'acqua la conserva, impedisce che inaridisca e le ottiene frutti saporosi, ma se l'anima l'abbandona di sua colpa per mettersi in un'altra dalle acque sudicie e fetenti, non sgorgherebbe da lei che la stessa abominevole sporcizia.

3 - Si deve intanto considerare che la fonte, o, a meglio dire, il Sole splendente che sta nel centro dell'anima, non perde per questo il suo splendore né la sua bellezza. Continua a star nell'anima, e non vi è nulla che lo possa scolorire. Supponete un cristallo esposto ai raggi del sole, ravvolto in un panno molto nero: il sole dardeggerà sulla stoffa, ma il cristallo non ne verrà illuminato.

4 - Anime redente dal sangue di Gesù Cristo, aprite gli occhi e abbiate pietà di voi stesse! Com'è possibile che, persuase di questa verità, non procuriate di togliere la pece che copre il vostro cristallo? Se la morte vi sorprende in questo stato, quella luce non la godrete mai più!...
O Gesù! ... Che orrore vedere un'anima priva di questo lume! Come rimangono le povere stanze del castello!
Che turbamento s'impossessa dei sensi che ne sono gli abitanti!
In che stato di accecamento e mal governo cadono, le potenze che ne sono le guardie, i maggiordomi e gli scalchi!
Ma siccome l'albero è piantato nella stessa terra del demonio, che altro ne può venire?

5 - Udii una volta una persona spirituale meravigliarsi non tanto di ciò che faccia un'anima in peccato mortale, quanto di ciò che non faccia.
Ci liberi Iddio, nella sua misericordia, da male così funesto, il solo che quaggiù possa meritare questo nome, degno di castighi che non avranno mai fine.
In ciò, figliuole mie, dobbiamo esser sempre timorose, né mai desistere dal pregare Iddio di liberarcene, perché se Egli non custodisce la città, invano lavoriamo noi, che siamo il nulla medesimo.
Quella persona inoltre diceva di aver ricavato due vantaggi dalla grazia di cui Dio l'aveva favorita: anzitutto, un timore grandissimo di offenderlo, per cui alla vista di così gravi danni continuava a pregarlo di non lasciarla cadere; e, in secondo luogo, uno specchio di umiltà, nel quale vedeva che il principio del bene che facciamo non procede da noi, ma dal fonte nel quale l'albero dell'anima è piantato, e dal Sole che feconda le nostre buone opere.
Questa verità, aggiungeva, le era apparsa così chiara, che quando faceva o vedeva qualche opera buona, pensava subito a Colui che ne era il principio, persuasa che senza il suo aiuto non si possa proprio far nulla. Indi si levava a dar grazie al Signore, scordando quasi sempre se stessa quando le avveniva di far qualche cosa di buono.

6 - Non sarebbe perduto, sorelle, il tempo trascorso, io a vergare questo scritto e voi a leggerlo, se pur noi vi ricavassimo questi due vantaggi. E se il Signore permette che simili paragoni giungano a nostra cognizione, può essere perché siano d'aiuto non tanto per i dotti e gli esperti che già sanno ogni cosa, ma piuttosto per noi donne, che nella nostra ignoranza abbiamo bisogno di tutto.
Ci conceda Iddio nella sua bontà di cavarne profitto!

7 - Queste cose interiori sono di così difficile intelligenza che una persona ignorante come me, prima di dirne una parola giusta, ne deve dire, necessariamente, molte di inutili e d'inopportune.
Ci vorrà pazienza per leggermi, come ne occorre a me per scriver di ciò che ignoro. Alle volte mi avviene di prender in mano la penna come un idiota, senza sapere cosa dire, né da dove cominciare. Tuttavia, farò del mio meglio per spiegarvi certe cose interiori, che credo vi saranno utili.
Benché ci parlino spesso dell'eccellenza dell'orazione che le nostre Costituzioni ci impongono per varie ore, però non ci spiegano quello che vi possiamo fare, e poco ci dicono dei fatti soprannaturali che Dio opera nell'anima, mentre parlandone e spiegandoli in diverse maniere, se ne avrebbe del gran conforto, grazie alla considerazione di questo celeste ed interiore edificio che i mortali conoscono così poco, benché molti vi si trovino.
In altri libri da me scritti, il Signore ne ha già dato qualche lume, ma certe cose, specialmente più difficili, io non le ho mai intese così bene come ora. I1 male è che per giungere a spiegarle, dovrò ripeterne una quantità di conosciute: con una intelligenza così rozza come la mia, non se ne può proprio fare a meno.

8 - Ritorniamo dunque al nostro castello e alle sue molte mansioni.Non dovete figurarvi queste mansioni le une dopo le altre, come una fuga di stanze. Portate il vostro sguardo al centro, dove è situato l'appartamento o il palazzo del Re. Egli vi abita come in una palmista, di cui non si può prendere il buono se non togliendo le molte foglie che lo coprono. Così qui: intorno e al di sopra della stanza centrale, ve ne sono molte altre, illuminate in ogni parte dal Sole che risiede nel mezzo. Le cose dell'anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, perché la capacità dell'anima sorpassa ogni umana immaginazione. Importa molto che un'anima di orazione, a qualunque grado sia giunta, sia lasciata libera di circolare come vuole, in alto, in basso, e ai lati, senza incantucciarla e restringerla in una sola stanza. Poiché Dio l'ha fatta così grande, non obblighiamola a rimaner a lungo nello stesso posto, sia pure nel proprio conoscimento. Oh, il proprio conoscimento! Intendetemi bene figliuole!
Esso è tanto necessario che le stesse anime ammesse da Dio nel suo medesimo appartamento non devono mai trascurarlo, nonostante siano giunte tanto in alto. Del resto, non potrebbero trascurarlo neppure volendolo, perché è proprio dell'umiltà fabbricare, come ape nell'alveare, quel miele, senza del quale tutto è perduto.
Ma come l'ape non lascia di uscire a succhiare i fiori, così l'anima, la quale, pur addestrandosi nel proprio conoscimento, deve di tanto in tanto innalzarsi a considerare la grandezza e la maestà di Dio.
In ciò scoprirà la propria miseria meglio che rimanendo in se stessa, e sarà meno infastidita dagli animaletti immondi che entrano nelle prime stanze, dove ci si esercita nel proprio conoscimento.
Tuttavia, è sempre una grande grazia di Dio saperci in esso esercitare, benché, come suol dirsi, vi si possa mancare per eccesso o per difetto. Insomma credetemi: lavoreremo assai più virtuosamente con l'aiuto di Dio, che non col rimanere attaccate alla nostra miseria.

9 - Non so se mi spiego bene. È tanto importante conoscerci, che in ciò non vorrei vi rilassaste, neppure se foste già arrivate ai più alti cieli, perché mentre siamo sulla terra, non c'è cosa più necessaria dell'umiltà.
Torno dunque a ripetere che è assai utile, - anzi, utile in modo assoluto - che prima di volare alle altre mansioni, si entri in quelle del proprio conoscimento, che sono le vie per andare a quelle. Ora, se possiamo camminare sopra un terreno piano e sicuro, perché voler ali per volare? Facciamo piuttosto del nostro meglio per approfondirci in questa nostra conoscenza. Ma credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio. Contemplando la sua grandezza, scopriremo la nostra miseria; considerando la sua purezza riconosceremo la nostra sozzura; e innanzi alla sua umiltà vedremo quanto ne siamo lontani.

10 - Vi sono in ciò due vantaggi: primo, perché una cosa bianca messa vicina a una nera appare più bianca, come una nera messa vicino a una bianca; e in secondo luogo, perché la nostra intelligenza e volontà, portate ora su Dio e ora su di noi, si rendono più nobili e più disposte al bene. Se dal fango della nostra miseria non ci sollevassimo mai, ne risulterebbero molti inconvenienti. Di coloro che sono in peccato mortale abbiamo detto che nero ed immondo è tutto quello che da essi proviene. Così nel caso nostro, quantunque - Dio ce ne liberi! - non nel medesimo modo, non trattandosi in fondo che di un semplice paragone. È un fatto, però, che mantenendoci di continuo nella ignominia della nostra terra, le nostre correnti possono intorbidirsi a contatto con il fango del timore, della pusillanimità, della codardia e dei pensieri come questi: " Mi guardano o non mi guardano? Che mi avverrà camminando per questa via? Sarà per superbia se ardirò cominciare quest'opera? È bene che una miserabile come me si eserciti in cose così sublimi come l'orazione? Non mi riterranno forse migliore, se non cammino per la strada comune? E dato che le esagerazioni non sono mai buone, neppure in fatto di virtù, non verrò forse io, povera peccatrice, a cadere da più grande altezza, senza più coraggio di muovere un passo? Non sarò forse di danno ai buoni? Oh, no, una persona come me, non è fatta per le singolarità!".

11 - Ohimè, figliuole mie, quante anime il demonio deve rovinare per questa strada, facendo loro credere che tutto ciò sia per sentimento di umiltà! E quante altre cose potrei dire, provenienti dall'insistere troppo sul proprio conoscimento! Finisce col far deviare, e io non mi stupisco. Se non usciamo mai da noi stesse, ne può venire questo e peggio ancora. Perciò, figliuole, fissiamo gli occhi in Cristo nostro bene e nei suoi santi, e vi impareremo la vera umiltà. Allora la nostra intelligenza si renderà più esperta, e la conoscenza di noi stessi cesserà dal renderci imbelli e codardi. Questa mansione, benché sia la prima, è così eccellente e preziosa che se l'anima sa sottrarsi agli animali che l'ingombrano, non lascerà di andare innanzi. L'esperienza che ho di queste prime mansioni mi permette di descriverle, e so che terribili ed astute sono le insidie del demonio per impedire che le anime conoscano se stesse e la strada per cui camminano.

12 - Non si deve dunque pensare che gli appartamenti siano pochi: ve ne sono a milioni.
Le anime vi entrano in molti modi, e tutte con buona intenzione. Ma siccome il demonio è maligno, deve aver appostato in ogni stanza legioni di suoi pari, per impedire che passino da una mansione all'altra, e così le poverette, che ne sono ignare, si trovano impigliate in mille lacci: ciò non avviene tanto facilmente a quelle che sono più vicine all'appartamento reale. Queste, invece, essendo ancora fra le cose del mondo, ingolfate nei suoi piaceri e perdute dietro agli onori e alle ambizioni, si lasciano vincere facilmente, perché i loro vassalli, che sono i sensi e le potenze, si trovano destituiti di quella forza che in origine avevano da Dio ricevuta. Ciò nonostante desiderano di non offendere il Signore, e fanno qualche opera buona.
Coloro che si trovano in questo stato devono far di tutto per ricorrere spesso al Signore, e non avendo vassalli capaci di difenderli, prendere per intercessori la benedetta Madre di Dio e i suoi santi, perché combattano per loro. Del resto, non c'è stato in cui non si abbia bisogno dell'aiuto di Dio. Ed Egli si degni di accordarcelo per la sua infinita misericordia! Amen.

13 - Com'è miserabile questa vita!...Avendovi già parlato altrove e lungamente del danno di non ben conoscere ciò che riguarda l'umiltà e il proprio conoscimento, non m'indugio di più, benché l'argomento sia molto importante. Piaccia a Dio che vi abbia detto qualche cosa di utile!

14 - Quanto alla luce che si diffonde dal palazzo reale, dovete avvertire che le prime mansioni ne ricevono assai poca. Benché non siano nere e tenebrose come quando l'anima è in peccato, tuttavia sono alquanto in penombra, e non possono essere vedute neppure da coloro che le abitano, non per difetto dell'appartamento, ma per ragione delle molte cose nocive, serpenti, vipere e animali velenosi che, essendosi introdotti con l'anima, le impediscono di avvertire la luce. Non so come spiegarmi, ma è come se uno entra in una stanza inondata di sole con gli occhi così impiastricciati di fango da non poterli quasi dischiudere.
La sala è illuminata, ma egli non ne gode la chiarezza a causa di quel suo impedimento o, nel caso nostro, per le bestie e i serpenti che l'accecano in tal modo da non permettergli di vedere altro che loro. Così mi pare che debba essere dell'anima, la quale, benché non sia in cattivo stato, tuttavia è così immersa nelle cose del mondo, così ingolfata negli affari, nei traffici e negli onori, da sentirsi impedita di considerare se stessa e di godere come vorrebbe della sua propria bellezza, sembrandole, per di più, che da tanti impedimenti non sappia liberarsi. Eppure per entrare nelle seconde mansioni bisogna che si disbrighi da tutte le cure ed affari che non siano indispensabili, sia pure in conformità al suo stato.
Ciò è di tanta importanza che se non comincia subito a farlo, non solo non arriverà alla mansione principale, ma sarà pure impossibile che, senza grande pericolo, rimanga nella mansione che occupa, benché già nel castello: fra tante bestie velenose è impossibile che una volta o l'altra non ne venga morsicata.

15 - Noi infelici, figliuole, se dopo esserci affrancate da questi ostacoli, e avanzate di molto verso le mansioni più segrete, dovessimo uscirne per nostra colpa e gettarci ancora nella confusione!
È per i nostri peccati se molte anime, dopo aver ricevuto tante grazie, le lasciano miseramente perire per loro colpa. Esteriormente noi siamo libere. Piaccia a Dio che lo siamo pure interiormente! Altrimenti, ci liberi Lui!
Figliuole mie, non immischiatevi mai negli affari altrui. Pensate che poche sono le mansioni del castello in cui non vi sia da combattere con il demonio. E' vero che in alcune le potenze, che, come ho detto, ne sono le guardie, hanno forza sufficiente per resistere, ma dobbiamo star molto attente per scoprire le insidie del demonio ed evitare che ci inganni col trasformarsi in angelo di luce, perché ci può danneggiare in moltissime maniere, insinuandosi a poco a poco, in modo da non lasciarci accorgere del male se non dopo avercelo fatto.

16 - Altre volte vi ho detto che il demonio è come una lima sorda che bisogna sorprendere fin dal principio, e per farvelo meglio conoscere voglio ora aggiungere qualche altra cosa. Ispira egli a una sorella desideri così violenti di penitenza, da farle credere di non aver riposo se non allora che si sta martoriando. Fin qui nulla di male. Ma ecco che la Priora le ordina di non fare penitenza senza suo permesso. Il demonio allora le fa credere che in cosa tanto buona può prendersi qualche libertà! Ed ella si macera in segreto fino a rovinarsi la salute e a non poter più seguire la Regola. Ecco dove va a finire quel fervore!...
Ispira a un'altra sentimenti di zelo per una più alta perfezione. Anche qui nulla di meglio.
Ma ne può venire che costei scorga gravi mancanze in ogni minimo difetto delle consorelle, e si ponga ad osservare se ne commettono per poi avvisarne la Priora. Può intanto avvenire che per meglio zelare l'osservanza religiosa, non si accorga delle sue trasgressioni, per cui le altre, che non sanno nulla delle sue intenzioni, vedendo la cura che si prende per ciò che non la riguarda, possono aversela a male.

17 - Ciò che qui il demonio pretende non è certo da poco. Suo scopo è di raffreddare la carità e l'amore vicendevole, il che è assai grave. Persuadiamoci, figliuole mie, che la vera perfezione consiste nell'amore di Dio e del prossimo. Quanto più esattamente osserveremo questi due precetti; tanto più saremo perfette: le nostre Regole e Costituzioni non sono infine che il mezzo per meglio osservarli.
Lasciamo da parte questi zeli indiscreti che ci possono essere assai dannosi, e ognuna attenda a se stessa.
Siccome di questo argomento ho già parlato a lungo in altro luogo, non voglio oltre dilungarmi.

18 - È tanta l'importanza dell'amore vicendevole che non dovreste mai dimenticarvene. L'andare osservando certe piccolezze - che alle volte non sono neppure imperfezioni, ma che la nostra ignoranza ci fa vedere assai gravi - nuoce alla pace dell'anima e inquieta le sorelle. Sarebbe una perfezione che costa assai caro!
Il demonio potrebbe far nascere questa tentazione anche in riguardo alla Priora, e sarebbe più pericolosa. Tuttavia bisogna agire con prudenza, perché se si tratta di cose contro la Regola e le Costituzioni, non si deve sempre passar sopra, ma avvisarla, e se non si corregge, darne conto al Superiore.
E questa è carità. Altrettanto si dica delle sorelle in cose di qualche importanza. Lasciarle passare per paura che sia tentazione, sarebbe la stessa tentazione.
Però, dovete star bene in guardia a non lasciarvi ingannare dal demonio con parlare di queste cose le une con le altre. Il maligno ne potrebbe molto guadagnare, introducendo l'abitudine alla mormorazione.
Se ne parli soltanto con chi può mettervi rimedio. Qui, grazie a Dio, il pericolo non è tanto da temersi, per il silenzio quasi continuo che si osserva. È bene però che si stia sempre sull'attenti!...

Bellarmino
01-01-05, 12:45
SECONDE MANSIONI

Capitolo unico

Per giungere alle ultime mansioni occorre perseveranza.Guerra accanita da parte del demonio, e quanto convenga non sbagliare strada fin dal principio.Mezzo che le fu molto utile.

1 - Diciamo ora quali siano le anime che entrano nelle seconde mansioni, e cosa vi facciano.
Vorrei sbrigarmi presto perché ne ho già parlato altrove e assai lungamente; ma per non ricordarmi ciò che ho detto, mi sarà impossibile non ripetermi in molte cose. Se almeno sapessi presentarle in altra maniera, forse non vi annoierei, a quel modo che non ci annoiano i libri che ne trattano, benché siano molti.

2 - Parlo dunque di coloro che han già cominciato a far orazione e hanno inteso quanto importi non rimanere nelle prime mansioni, benché non sappiano ancora uscirne definitivamente.
Ciò dipende dal non fuggire le occasioni, cosa assai pericolosa. Tuttavia, non mancano alle volte, per grande misericordia di Dio, di sottrarsi ai serpenti e alle altre cose velenose, persuasi che ciò sia bene.
Sotto un certo aspetto, costoro soffrono di più che non quelli delle prime mansioni, ma siccome ne conoscono i pericoli, si espongono di meno, e ciò fa sperare che andranno avanti.
Dico che soffrono più dei primi, perché questi sono come quei muti che, per essere anche sordi, sopportano più facilmente la pena di non poter parlare. Benché sia più grande quella di sentire e non parlare, non è certo più desiderabile la condizione di chi non sente, essendo sempre una gran cosa sentire ciò che si dice.
Così delle persone di cui parlo.
Essendosi avvicinate all'appartamento di Sua Maestà, ne sentono gli inviti e capiscono di aver in Lui un buon vicinante, grande in bontà e misericordia.
Siamo ancora ingolfati negli affari, nei passatempi, nei piaceri e nelle distrazioni mondane; e siccome fra bestie tanto velenose, pericolose e insidiose, fa quasi meraviglia non inciampare e cadere, cadiamo ancora nei peccati e poi ci rialziamo. Eppure questo nostro Signore vede tanto volentieri che noi l'amiamo e ne cerchiamo la compagnia, che non lascia di quando in quando di chiamarci perché andiamo a Lui. Ed è così dolce la sua voce che la povera anima, vedendo di non saper far subito quello che le dice, si sente tutta distruggere! Ecco perché ho detto che è più penoso udire che non udire.

3 - Queste voci ed inviti si odono non già come quelli di cui parlerò più avanti, ma nelle parole di certe buone persone, nelle prediche, nelle buone letture e in tutti quegli altri modi di cui Dio si serve per far sentire le sue chiamate: prove, malattie e certe verità che Egli fa conoscere nei momenti che si consacrano all'orazione, sia pure svogliatamente, ma da Lui molto stimati.
Quanto a questa prima grazia, guardatevi bene dal non farne il conto che si merita, né desolatevi per non sapergli subito rispondere, perché Sua Maestà sa aspettare anche per molti giorni ed anni, specialmente quando vede perseveranza e buoni desideri. Questa disposizione è assolutamente necessaria, e con essa si guadagna molto.
Qui la lotta dei demoni è molto varia e terribile, e l'anima ne ha una pena assai più grande che non nelle mansioni precedenti. In quelle era come una povera sordomuta, o, se non altro, sentiva poco e meno resisteva, a guisa di persona che avesse quasi perduta la speranza di vincere.
Ma qui l'intelligenza è più viva, le potenze più abili, i colpi delle artiglierie nemiche più violenti, ed è impossibile non sentirli.
I demoni mettono innanzi tutti i beni e i piaceri del mondo, che sono le serpi di cui parlo; li fanno apparire quasi eterni; mostrano la stima in cui sono tenuti; suggeriscono il ricordo dei parenti e degli amici; e siccome in questa mansione si desidera di far un po' di penitenza, la mostrano come contraria alla salute, e mille altre difficoltà.

4 - O Gesù!... Che scompiglio fan qui i demoni, e che afflizioni per l'anima! ...
Non sa se andare avanti o tornare alle mansioni prime, perché mentre la ragione le fa presente la follia di mettere in confronto i beni della terra con quelli che spera, la fede le insegna quello che meglio le conviene, e la memoria le ricorda dove vanno a finire tutti i beni del mondo, rimettendole sotto gli occhi la morte di molte persone che ne godettero in abbondanza.
Di alcune la morte avvenne improvvisamente, e furono da tutti dimenticate. Molti di quelli che ha veduti in prosperità, ora sono calpestati sotto terra: sul loro sepolcro è passata anch'essa varie volte, considerando la moltitudine dei vermi che andavano brulicando nel loro corpo... e molte altre cose che la memoria le mette innanzi.
Intanto la volontà s'inclina ad amare il Signore per le innumerevoli attrattive di cui lo scopre fornito. E avendo ricevuto da Lui tante dimostrazioni di amore, desidera di ripagarlo almeno in qualche cosa. Soprattutto la colpisce il pensiero che questo vero Amante non solo non l'abbandona, ma le resta sempre vicino per darle l'essere e la vita. L'intelletto le fa capire che un amico migliore non si potrà mai trovare, neppure in molti anni di vita; che il mondo è pieno di falsità; che i piaceri del demonio apportano inquietudine, contraddizioni e travagli; che fuori del castello non vi è sicurezza né pace, e che non bisogna frequentare le case altrui, perché, volendolo, si può godere in casa propria ogni abbondanza di beni.
E chi è che preferisca imitare il figliuol prodigo, pascendosi con il cibo dei porci, quando in casa sua ha tutto quello che gli occorre, quando soprattutto ha un Ospite così grande che lo mette in possesso di ogni sorta di beni, solo che lo voglia?
Buone ragioni sono queste per poter vincere il demonio.

5 - Eppure, Signore e Dio mio, l'abitudine di correr dietro alla vanità e l'esempio di un mondo che non sa far altro che questo, distruggono ogni cosa.
La fede in noi è così debole che crediamo più facilmente a quanto ci cade sotto gli occhi, che non alle verità che essa ci insegna. E così la miseria di chi insegue queste cose sensibili, non è che troppo evidente: danno causato da quei rettili velenosi con i quali siamo in contatto.
Se uno viene morsicato da una vipera, ne rimane avvelenato, e il corpo si gonfia. Così anche di noi, se non stiamo in guardia. Allora per guarire ci vorranno molte medicazioni. Anzi, sarà per una grande grazia di Dio se non si finirà col soccombere.
Qui l'anima va soggetta a gravi pene, specialmente se il demonio, riconoscendo le sue attitudini e qualità, la vede capace di andar molto innanzi, perché allora raduna tutto l'inferno per costringerla ad uscire dal castello.

6 - Ah, Signor mio! Qui il vostro aiuto è assolutamente necessario: senza di voi non si può proprio far nulla.
Deh! non permettete mai, per la vostra misericordia, che quest'anima si lasci ingannare, abbandonando la strada incominciata! Datele luce sufficiente per riconoscere che ogni suo bene dipende dal perseverare e dal fuggire le compagnie cattive.
Le sarà invece assai utile trattare con coloro che si occupano di tali cose, avvicinandosi non solo a quelli che si trovano nelle sue medesime mansioni, ma anche a coloro che vedrà molto innanzi. Questo le potrà molto giovare, essendo possibile che, trattando con loro, finisca con introdursi nelle loro stesse mansioni.
Ma stia bene in guardia per non lasciarsi vincere dal demonio. Se il maligno la vedrà fermamente risoluta a perdere la vita, il riposo e tutto ciò che le presenta piuttosto di ritornare alla prima stanza, lascerà presto di combatterla.
Ma occorre che sia di animo virile, e non già di coloro che andando alla guerra, non mi ricordo bene con chi, si gettarono a bere bocconi.
Si risolva coraggiosamente, immaginandosi di andare a combattere contro tutti i demoni, per vincere i quali non vi sono armi migliori della croce.

7 - Ecco un'osservazione che ho già fatto altre volte e che per la sua grande importanza ripeto anche qui.
Per non intraprendere la fabbrica di questo grande e prezioso edificio in maniera troppo volgare, colui che comincia non deve neppur pensare alle consolazioni, perché se inizia il lavoro sulla sabbia, esso finirà col cadere, ed egli non potrà sottrarsi ai disgusti e alle tentazioni.
Non è in queste mansioni che la manna viene dal cielo, ma più innanzi, là dove l'anima ha tutto quello che vuole, perché non vuole se non quello che Iddio vuole.
Che pretese le nostre! Ci dibattiamo ancora fra mille inciampi e imperfezioni, con virtù novelline, ancora incapaci di muoversi perché nate da poco - e piaccia a Dio che siano almeno nate! - eppure osiamo lamentarci delle aridità e voler dolcezze nell'orazione! ... Guardatevene assolutamente, sorelle! Abbracciate la croce che il vostro Sposo portò sulle spalle, convincendovi di non dover fare che questo.
Colei che per suo amore saprà patire di più, patisca, e sarà la più felice. Quanto al resto, ritenetelo per accessorio. E se il Signore ve lo darà, ringraziatelo senza fine.

8 - In fatto di sofferenze esterne, vi parrà d'essere pronte a sopportarle, purché Dio vi consoli interiormente.
Ma il Signore sa meglio di noi quello che ci conviene, e non ha certo bisogno che lo consigliamo noi.
Alle nostre richieste potrebbe rispondere, e a ragione: Non sapete quello che domandate!
L'unica brama di chi vuol darsi all'orazione - non dimenticatelo mai, perché è importantissimo - dev'essere di fare di tutto per risolversi e meglio disporsi a conformare la sua volontà a quella di Dio.
In questo, come appresso dirò, sta la più grande perfezione che si possa bramare.
Più questa conformità sarà perfetta, maggiori grazie si riceveranno da Dio, e maggiore sarà pure il progresso nel cammino.
Non crediate che si tratti di qualche nuova astruseria o di cose mai conosciute ed intese: il nostro bene sta tutto qui. Se sbagliamo fin da principio, volendo che il Signore faccia la nostra volontà e ci conduca per dove vogliamo noi, che saldezza potrà avere l'edificio? Procuriamo invece, per quanto è da noi, di evitare qualsiasi contatto con le bestie velenose, perché spesso il Signore permetterà che le aridità e i pensieri cattivi ci perseguitino ed affliggano senza che sappiamo allontanarli.
Altre volte poi permetterà che ne rimaniamo morsicati per insegnarci a star più attenti e vedere se ci dispiace di averlo offeso.

9 - Perciò, se qualche volta cadete, non dovete così avvilirvi da lasciare d'andare innanzi. Da quella caduta il Signore saprà cavare del bene, come il venditore di triaca, che per far prova della sua efficacia beve prima il veleno.
Quando non vi fosse altro mezzo per misurare la nostra miseria e vedere il danno che ci proviene dalle dissipazioni, vi sarebbe sempre la lotta che dobbiamo sostenere per tornare a raccoglierci.
Ov'è male più grande che non poterci ritrovare in casa nostra?
E se in casa nostra non ci sentiamo soddisfatti, forse che possiamo sperare di sentirci tali in casa altrui, quando pare che ci muovan guerra fin gli stessi amici e parenti più stretti, con i quali, di buona o mala voglia, dobbiamo pur vivere, come sono le nostre potenze, che con ciò sembrano vendicarsi di quanto han dovuto subire da parte dei nostri vizi? Pace, pace, sorelle mie!
Questa è la parola del Signore, da lui tante volte ripetuta ai suoi apostoli.
Se non abbiamo e non procuriamo di trovar pace in casa nostra, tanto meno - credetemi - la troveremo in casa altrui.
Per il sangue che Cristo sparse per noi, finisca ormai questa guerra! Lo chiedo a chi non ha ancora cominciato a rientrare in se stesso, mentre a chi ha cominciato, chiedo che la prospettiva della lotta non lo faccia tornare indietro.
Pensi che la ricaduta sarebbe peggiore della caduta; ne intravegga la rovina, confidi, non in se stesso, ma nella misericordia di Dio; e il Signore lo condurrà da una mansione all'altra, sino a dove le bestie non solo non lo potranno più toccare né molestare, ma dove egli le terrà soggette e le burlerà, godendo, fin da questa vita, tale abbondanza di beni da superare qualsiasi desiderio.

10 - Come ho detto in principio, ho già parlato altrove del modo con cui dovete comportarvi nelle inquietudini suscitate dal demonio, e come per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento si deve agire non a forza di braccia, ma soavemente e con dolcezza. Qui non voglio aggiungere che questo: cioè, che secondo il mio parere, giova molto trattare di queste cose con persone sperimentate, acciocché non si creda di pregiudizio al raccoglimento anche il disbrigo delle occupazioni necessarie.
Purché non abbandoniamo l'orazione, il Signore volge tutto in nostro bene, anche se nessuno ce ne dica il modo. Ma se commettiamo questo sbaglio, non c'è altro rimedio che tornare a riprenderla, sotto pena d'indebolirci sempre più. E piaccia a Dio che ce n'accorgiamo!

11 - Ma - potrebbe qualcuno pensare - se tornare indietro è tanto pericoloso, è meglio neppur cominciare, ma star fuori del castello.
Vi ho già detto in principio - ed è parola di Dio che chi ama il pericolo in esso perisce, e che la porta del castello è l'orazione.
Ora, pretendere di entrare nel cielo senza prima entrare in noi stessi per meglio conoscerci e considerare la nostra miseria, per vedere il molto che dobbiamo a Dio e il bisogno che abbiamo della sua misericordia, è una vera follia.
Il Signore dice: Nessuno va al Padre se non per me. (Non so se dica proprio così; a me pare di sì). E ancora: Chi vede me, vede il Padre mio. Ora, se noi non lo guardiamo mai, né mai consideriamo quello che gli dobbiamo, né la morte che ha subito per noi, non so come possiamo conoscerlo e servirlo.
E senza queste opere di suo servizio, che valore avrà la nostra fede? E che valore avranno le nostre opere separate che siano dai meriti inestimabili di Gesù Cristo nostro Bene?
E allora, chi ci indurrà ad amare il Signore?
Piaccia a Sua Maestà di farci intendere quanto gli siamo costati, quanto non convenga che il servo sia da più del padrone, che per salire alla gloria occorre lavorare e che bisogna pregare per non andare sempre in tentazione.

TERZE MANSIONI

Capitolo 1

Della poca sicurezza che si ha in questo esilio, nonostante la sublimità dello stato nel quale si possa essere, per cui bisogna andar sempre con timore Alcuni avvisi importanti.

1 - A coloro che per misericordia di Dio hanno superato tutti questi combattimenti, e con la loro perseveranza sono entrati nelle terze mansioni, che cosa diremo se non: Beato l'uomo che teme il Signore? Dato il mio rozzo ingegno, non è piccola grazia che Sua Maestà mi faccia intendere, proprio in questo momento, il senso del suaccennato versetto in lingua volgare. Sì, a ragione li chiamiamo beati, perché seguono una via che, per quanto ci è dato di vedere, li condurrà al porto della salute, purché non tornino indietro. Comprendete da ciò, sorelle, quanto importi vincere le battaglie che precedono, dopo le quali il Signore - ne son certa - non lascerà di darci sicurezza di coscienza, il che non è piccolo beneficio. Ho detto sicurezza, ma ho detto male, perché in questa vita la sicurezza non si può mai avere, per cui, tutte le volte che ne parlerò, sottintendete sempre: a patto che non si abbandoni il cammino incominciato.

2 - Oh, la sventura di dover vivere in questa vita, nella quale occorre essere sempre come coloro che avendo i nemici alla porta, non possono lasciar le armi neppure per mangiare e dormire, ma star in continua apprensione che da qualche parte si dia l'assalto alla fortezza! Oh, Signor mio e mio Bene! Come volete che si ami una vita così infelice, e si lasci di bramare e di chiedere d'esserne liberati? Ciò non sarebbe che con la speranza di perderla per amor vostro, o di spenderla tutta per vostro servizio, sicuri con questo d'esser vostra volontà che continuiamo a vivere. In caso contrario, mio Dio, moriamo pure con Voi, come disse S. Tommaso, perché vivere senza di Voi e nel timore di perdervi per sempre, non è che un morire mille volte. Perciò vi dico, figliuole, di non domandare altra beatitudine che di entrare nella sicurezza dei beati. Che gioia si può mai avere in mezzo a tanti timori, quando non si vuol altra gioia che di contentare il Signore? Considerate che in queste disposizioni, ed in altre ancora più perfette, erano pure certi santi che poi caddero in gravi peccati. Si aggiunga poi che non siamo sicuri che Dio abbia a stendere la mano pure a noi, mediante qualche suo aiuto particolare, per cavarci da quello stato e darci modo di far penitenza.

3 - Per conto mio, figliuole, quando questo pensiero mi si presenta alla mente - ciò che mi succede assai spesso - mi sento così rabbrividire che non so come riesca a scrivere, e nemmeno come continui a vivere. Pregate, figliuole mie, perché Sua Maestà viva sempre in me: con una vita così male impiegata come la mia, non so proprio come mettermi tranquilla. Non affliggetevi se vi parlo così. Ho visto altre volte che, quando vi parlo in questo modo, voi vi rattristate, e ciò per il fatto che mi volete una gran santa. Avete ragione, e lo vorrei essere anch'io. Ma che devo fare, se per colpa mia ho perduto ogni cosa? Certamente non posso lamentarmi di Dio, perché Egli mi ha dato tutti gli aiuti sufficienti per realizzare i vostri desideri, e io mai me ne ricordo senza versare grandi lacrime. Che confusione, intanto, dover scrivere per anime che mi possono fare da maestre! Che dura obbedienza è mai questa per me! Piaccia a Dio, per amor del quale io scrivo, che ciò vi sia di vantaggio, e pregatelo di perdonare a questa miserabile e temeraria creatura! Sa bene il Signore che non posso in altro sperare che nella sua misericordia. Ed essendomi impossibile di non essere quella che sono, non mi resta che di appoggiarmi alla sua clemenza e di confidare nei meriti di suo Figlio e della Vergine sua Madre di cui indegnamente porto l'abito. E voi, figliuole mie, che pure lo portate, ringraziate Iddio di essere le vere figlie di questa Signora, perché avendo in lei una Madre così grande, non siete costrette a vergognarvi di me, che sono tanto cattiva. Imitatela, considerate la grandezza e il vantaggio che abbiamo nell'avercela a Patrona, e come non siano stati sufficienti i miei peccati e la mia misera vita a scemare, neppur di poco, lo splendore del suo sacro Ordine.

4 - Vi voglio dare un consiglio.Non per questo che siete in un tal Ordine e con una tal Madre e Patrona dovete credervi sicure. David era molto santo, ma ben sapete chi sia stato SalomoneNon fidatevi né della stretta clausura, né della penitenza che fate. Nemmeno vi assicuri la vostra costante occupazione nelle cose di Dio, nel, continuo esercizio dell'orazione e nel ritiro assoluto dal mondo, che vi pare anzi di odiare. Tutto questo è buono; ma non deve bastare a farvi smettere di temere. Ripetete invece quel che dice il salmo, e ricordatelo spesso: Beatus vir qui timet Dominum!

5 - Mi sono tanto divagata che non ricordo più cosa stavo dicendo. Quando penso alla mia miseria, mi si tarpano le ali e divengo incapace di dir alcunché di buono, per cui non voglio più parlarne. Torniamo, dunque, a quello che ho cominciato a dire circa le anime che sono entrate nelle terze mansioni. Non è piccola la grazia che il Signore ha fatto loro nell'aiutarle a vincere le prime difficoltà. Esse ora - e credo che ve ne siano molte nel mondo, per misericordia di Dio - desiderano ardentemente di non offendere il Signore, si guardano anche dai peccati veniali, amano la penitenza, hanno le loro ore di raccoglimento, impiegano bene il tempo, si esercitano in opere di carità verso il prossimo, sono molto regolate nel parlare e nel vestire, e quelle che hanno famiglia la tengono assai bene. Il loro stato è degno d'invidia, e non vi è nulla, a quanto sembra, che possa loro impedire anche l'ultima mansione, come di certo non lo impedirà loro il Signore, purché esse lo vogliano, essendo troppo bella questa loro disposizione per non attirarsi tutte le grazie di Gesù.

6 - O Gesù!... Chi è fra voi, sorelle, che innanzi a un bene così grande abbia a dire di non volerne sapere, specialmente dopo aver già superato quello che è più penoso? Nessuna certo. Sì, diciamo tutte di volerlo, ma per divenire vere anime di Dio non basta volerlo, come non è bastato al giovane che fu interrogato dal Signore se voleva essere perfetto. Da quando ho cominciato a parlare di queste mansioni, l'immagine di quel giovane mi è sempre dinanzi, perché qui ci troviamo nelle sue medesime condizioni, né più né meno. Le aridità che si provano nell'orazione hanno varie cause, ma il più delle volte derivano da questo. Non parlo già di quelle pene interiori, veramente intollerabili che molte anime buone soffrono senza loro colpa, e dalle quali il Signore le fa poi uscire con vantaggio. Nemmeno parlo di coloro che van soggetti a melanconia o ad altre infermità, dato che in ogni cosa bisogna sempre risalire ai giudizi di Dio. Io tengo per certo che causa ordinaria delle aridità sia appunto quello che ho detto. Siccome queste anime sentono che per nulla al mondo commetterebbero un sol peccato - e molte di esse neppure un peccato veniale avvertito - e vedono che impiegano bene la loro vita e le loro ricchezze, non sanno sopportare con pazienza di trovar chiusa la porta dell'appartamento del Re, di cui si tengono e sono vassalle. Non riflettono però che molti sono i vassalli anche intorno ai re della terra, ma che non tutti possono entrare nella loro stanza. Figliuole mie, rientrate in voi stesse e non curatevi dei vostri piccoli atti di virtù, giacché, come cristiane, siete obbligate a farne di ben altri. Contentatevi di essere le vassalle di Dio e non pretendete di più, per non rischiare di perdere ogni cosa. Considerate i santi che sono entrati nell'appartamento reale, ed esaminate la differenza che ci separa da loro. Non domandate quello che non avete meritato. Veramente, dopo aver offeso Dio, non dovremmo neppur pensare di aver diritto a qualche cosa, nemmeno se poi l'avessimo servito molto! ...

7 - O umiltà, umiltà!... Non so per che motivo non posso lasciar di credere che sia per mancanza di umiltà se costoro tanto si affliggono per le aridità che soffrono. Ripeto che non parlo di quelle grandi pene interiori a cui ho accennato e che sono assai di più d'una semplice mancanza di devozione. Proviamoci da noi stesse, sorelle! Meglio, ci provi il Signore che sa farlo assai bene, malgrado ogni nostra ripugnanza!.. Veniamo ora a queste anime così ben regolate, osserviamo cosa fanno per Iddio e vedremo subito che non c'è motivo di lamentarci di Lui. Se quando ci dice quello che dobbiamo fare per essere perfette, noi gli volgiamo le spalle e ce ne andiamo con tristezza, come il giovane del Vangelo, cosa volete che faccia, dato che ci deve premiare a seconda dell'amore che gli portiamo? Si pensi inoltre che quest'amore non dev'esser frutto di immaginazione, ma provato con opere. Però non bisogna neppur credere che Egli abbia bisogno di queste opere: ciò che importa è la determinazione della volontà.

8 - Ci parrà di aver fatto ogni cosa perché portiamo l'abito religioso, assunto di nostra spontanea volontà, e abbiamo abbandonato per Iddio tutte le cose del mondo e quanto in esso avevamo. Forse non saranno state che le povere reti di S. Pietro. Tuttavia a chi dà quanto ha, sembra di dar molto. E questa è già una buonissima disposizione, purché si perseveri e non si torni fra i rettili delle prime mansioni, neppure con il desiderio. Se si persevera in questo spogliamento ed abbandono di ogni cosa, si otterrà quanto si brama, a condizione però - e lo raccomando moltissimo - che ci si tenga per servi inutili, come dice S. Paolo, ovvero Gesù Cristo, né mai si creda che Dio sia obbligato a darci quei favori quasi a premio di quello che si fa. Non bisogna inoltre dimenticare che chi più riceve, più è obbligato a dare. E allora, che cosa possiamo fare per un Dio così generoso che è morto per noi, che ci ha creati e ci conserva nell'essere, se non ritenerci felici di ripagare, almeno in parte, il molto che gli dobbiamo per i grandi servizi che ci ha resi? Sì, è a malincuore che uso queste espressioni, ma è la pura verità: in tutto il tempo di sua vita il Signore non ha fatto che servirci. E noi oseremo chiedergli anche delizie e favori?

9 - Considerate attentamente, figliuole, alcuni avvisi che qui ho accennato solo in confuso per non sapermi spiegare. Il Signore ve li farà meglio comprendere per aiutarvi a ricavare dalle aridità, non già inquietudine, come il demonio pretende, ma sentimenti di umiltà. Quando un'anima è veramente umile, anche se Dio non le dà consolazioni, le darà sempre - siatene persuase - tal pace e conformità da sentirsi più contenta delle altre, nonostante tutte le loro delizie.Le consolazioni Egli le comparte ai più deboli: spesso è così,e l'avrete letto anche voi. E questi non le cambierebbero di sicuro con leenergie delle anime che camminano nelle aridità, perché, purtroppo, siamo piùamici delle consolazioni che delle croci.Ma voi, o Signore, che sapete ognicosa, metteteci alla prova, per farci conoscere chi siamo!

Capitolo 2

Prosegue sul medesimo argomento e tratta delle aridità dell'orazione e di quello che ne potrebbe venire. E' necessario che ci mettiamo alla prova. Come il Signore provi le anime che si trovano in queste mansioni.

1 - Ho conosciuto alcune anime - anzi, credo di poter dire molte - che avendo raggiunto questo stato, vivevano da molti anni, a quanto se ne poteva giudicare, in grande rettitudine e regolarità di vita, sia interna che esterna. Ciò nonostante, quando pareva che già dominassero tutto il mondo, o per lo meno che ne fossero pienamente disingannate, bastava che Sua Maestà le mettesse alla prova, e in cose non gravi, che subito cadevano in tanta inquietitudine e turbamento di spirito che io ne rimanevo attonita e molto turbata.Dar consigli è inutile. Col pretesto che da tanto tempo fan professione di virtù, si credono in grado di insegnare agli altri, e pensano di aver tutte le ragioni per essere sensibili a quelle prove.

2 - Io non ho trovato e non trovo altro rimedio per consolare tali anime, che mostrarsene grandemente afflitti, come del resto se n'ha motivo nel vederle soggette a cosa grande miseria. Non bisogna contraddirle nel loro modo di vedere, perché sanno illudersi così bene con i loro ragionamenti da credere che patiscono per amor di Dio, giungendo infine - altro inganno per anime tanto avanzate! - a non mai persuadersi della loro imperfezione. Nessuna meraviglia che le prove si sentano, ma mi pare che ciò dovrebbe essere per poco. Iddio, volendo che i suoi eletti tocchino con mano la loro miseria, sottrae un poco il suo favore: e questo basta per dar loro a conoscere chi sono.L'esito della prova si manifesta immediatamente, ed essi non tardano molto a riconoscere quanto siano imperfetti giacché la pena che alle volte ne hanno, è meno per la causa che dovrebbe produrla, che per l'umiliazione di vedersi tanto sensibili, benché non lo vogliano, per delle cose di così scarsa importanza. Tuttavia, credo che anche questo sia una grande grazia di Dio, perché, sebbene imperfezione, è molto utile per l'umiltà.

3 - Non così invece delle persone di cui sopra. Esse canonizzano nella loro mente le prove che soffrono e vorrebbero che le canonizzassero anche gli altri. Ne voglio dare qualche esempio per poterci meglio conoscere e saperci mettere alla prova prima che ci provi il Signore, essendo assai vantaggioso conoscerci e farci trovar preparate.

4 - Una persona ricca, senza figli ed eredi a cui lasciare i suoi beni subisce una perdita di denaro. Tuttavia con quello che le rimane, può sopperire ai bisogni suoi e della casa, e ne ha pure d'avanzo. Ora, se questa persona si lascia andare a tanta pena come se non le sia rimasto neppure un pane per cibarsi, in che modo il Signore potrà chiederle di abbandonare tutto per amor suo? Vi dirà che se ne affligge perché ne scapitano i poveri... Ma io credo che, più dell'elemosina, il Signore desideri che io mi conformi al suo volere, mantenendomi in pace. Se quella persona non arriva a tanto, perché Dio non l'ha portata a grande perfezione, poco importa: si persuada però di non avere ancora libertà di spirito, e in tal modo si disporrà a riceverla, purché la domandi. Ecco un'altra che, quanto al suo sostentamento, ne ha abbastanza ed anche d'avanzo. Le si presenta un'occasione di fare acquisto di maggiori ricchezze. Riceverle, se vengono date, passi; ma procurarle, e, dopo averle ottenute, affaticarsi per acquistarne di più, abbia pure le migliori intenzioni del mondo - e veramente ottime dovrà averle, trattandosi di persona virtuosa e di orazione - stia pur sicura che non arriverà mai alle mansioni superiori, più vicine al Re.

5 - Altrettanto si dica qualora accada qualche cosa per cui siano disprezzate, o perdano un po' del loro onore. Il Signore, che pubblicamente ama onorare la virtù, spesso darà loro grazia di sopportare quell'affronto, affinché non ne scapiti la virtù di cui sono credute in possesso, oppure per ricompensarle - sempre buono questo nostro Bene! - dei servizi che gli hanno resi. Tuttavia rimarranno con una certa inquietudine da cui non sapranno liberarsi, o per lo meno non tanto presto. Dio buono! E non son essi, che meditano da tempo sulla passione del Signore, sui vantaggi dei patimenti e che patire desiderano?... E poi vogliono che tutti vivano come loro!... E piaccia a Dio che ancora non credano di soffrire in pena dei peccati altrui, ritenendo meritorie quelle loro afflizioni! ...

6 - Ciò, sorelle, vi parrà fuor di luogo, o, per lo meno, non detto per voi, perché qui queste cose non avvengono. Non solo non abbiamo ricchezze, ma non le cerchiamo e neppure le vogliamo; e non vi è alcuno che ci dica ingiurie. Ma questi son paragoni, non fatti. Tuttavia si applicano assai bene a molte evenienze della nostra vita, che qui non è il caso di specificare, non essendovene motivo. Da ciò intanto potete conoscere se siete veramente staccate da quello che avete lasciato. Mezzi per mettervi alla prova non vi mancano, perché certe cosette, sia pure di genere diverso, si presentano anche qui, e con esse vi è dato di vedere se siete padrone delle vostre passioni. L'importante - credetemi - non è nel portare o nel non portar l'abito religioso, ma nel praticare 1a virtù, nel sottometterci in tutto allo volontà di Dio, affinché la nostra vita scorra in conformità delle sue disposizioni, e nel non volere che si faccia la nostra, ma la sua volontà. Giacché a tanto non siamo ancora arrivate, umiltà, ripeto. Essa è l'unguento di ogni ferita, e se ne fossimo ben fornite, Dio, che è il chirurgo, non tarderebbe molto a guarirci.

7 - Le penitenze di queste anime sono così ben misurate, come tutta la loro vita. Ci tengono molto alla vita! Ciò, dicono, per poter servire il Signore: il che non è male. E così, di penitenze, ne fanno con molta discrezione, per non compromettere la salute. Non abbiate paura che si ammazzino!... In questo i loro occhi sono molto aperti, né l'amore in esse è così forte da farle andare in delirio. Ma io vorrei che non ci contentassimo di servire Iddio in questo modo, sempre così lento da non mai giungere alla meta. Eppure crediamo di camminare, ed anche di stancarci!... Ma è un camminare faticoso; e sarà molto se non perderemo la strada. Se per recarci, da un paese a un altro sono sufficienti otto giorni di viaggio, vi par forse ben fatto impiegarvi un anno intero, per nevi ed acque, fra alberghi e cattivi sentieri? Non è meglio far tutto in un istante, specialmente quando vi sia anche il pericolo dei serpenti?... Che buone prove potrei addurvi intorno a ciò! Voglia Iddio che io non sia ancora a questo punto, perché molte volte mi sembra di sì!...

8 - Camminando con tante precauzioni, si vedono pericoli dovunque, si prende paura di tutto, e non si ha coraggio di andare innanzi. Oh, poter arrivare a quelle mansioni, lasciando agli altri far la strada per noi!...
Ma siccome questo è impossibile, facciamoci coraggio; sorelle mie, mettiamo nelle mani di Dio le nostre ragioni e i nostri timori, dimenticandoci della nostra naturale debolezza che ci potrebbe preoccupare. La cura del nostro corpo l'abbiano i Superiori: ci pensino essi! A noi soltanto l'accelerare il passo per poter vedere il Signore. Benché in questa casa non abbiate che poco o nessun sollievo, tuttavia la preoccupazione della salute vi potrebbe molto ingannare, senza che per questo ne aveste una migliore. Io lo so per esperienza, come so che l'importante non sta nelle austerità corporali, le quali, dopo tutto, non sono che accessorie. Accelerare il passo vuol dire grande umiltà. E se mi avete bene intesa, avrete capito che in questo è il torto di coloro che non vanno innanzi. Quanto a noi, non crediamo mai, anzi, sforziamoci di credere di non aver fatto che pochi passi, e di pensare che le nostre consorelle ne facciano assai di più. Non solo dobbiamo desiderare di essere tenute per le più miserabili, ma procurare che ne siano tutti persuasi.

9 - In questo modo saliremo di molto. In caso contrario staremo tutta la vita nel medesimo posto, fra mille pene e miserie. Non essendoci mortificate, il viaggio ci diverrà noiosissimo e pesante, mentre gli altri, liberatisi da ogni impaccio, saliranno alle mansioni, di cui mi resta da parlare. Iddio giusto e misericordioso, i cui doni sono sempre superiori ai nostri meriti, non lascia senza ricompensa neppur coloro che dimorano in queste terze mansioni, e dà loro contenti così grandi che superano di molto tutti i piaceri e i divertimenti della terra.
Ma credo che non li favorisca di troppi gusti spirituali, se non per qualche volta e a ragione d'invito, allo scopo di far loro vedere quello che si gode nelle altre mansioni, affinché si dispongano ad entrarvi.

10 - Vi sembrerà che i contenti e i gusti spirituali siano un tutt'uno, e mi domanderete perché ne faccio la distinzione. A me pare, che siano molto diversi, ma potrei anche ingannarmi. Dirò quello che ne penso nelle quarte mansioni che verranno dopo, nelle quali il discorso sarà più a proposito, dovendosi parlare delle delizie che il Signore vi comparte. Benché sembri inutile trattarne, può darsi che ne ricaviate vantaggio, perché, conoscendo bene una cosa e l'altra, vi sforzerete per seguire la migliore. Oltre a ciò, le anime che Dio eleva fin là, vi troveranno un soggetto di consolazione, mentre ne avranno confusione quelle che già credono di aver tutto. Però, se queste sono umili, ne ringrazieranno il Signore, mentre in caso contrario ne avranno un segreto dispiacere, quantunque senza motivo, perché la perfezione, come pure il premio, non è di chi ha più delizie, ma di chi ama di più, e meglio opera secondo giustizia e verità.

11 - Se ciò è vero, come infatti è, mi domanderete a che serve trattare di queste grazie interiori e far intendere che cosa siano. Non lo so neppur io: bisogna domandarlo a chi mi ha comandato di scrivere. Mio dovere non è già di disputare con i Superiori - ciò che è affatto sconveniente - ma di obbedire. Tuttavia, ecco quello che vi posso dire.Prima ancora di ricevere queste grazie, quando non solo non ne avevo l'esperienza, ma neppure pensavo di averla - e ciò a ragione, perché troppo bello sarebbe stato per me se avessi potuto supporre che almeno in qualche cosa piacevo a Dio - se mi avveniva di leggere le grazie e le consolazioni di cui Egli favorisce le anime che lo servono, ne provavo vivissima gioia, e la mia anima lodava molto il Signore. Ora, se facevo io così, nonostante la mia grande miseria, forse che non lo loderanno assai di più le anime virtuose e umili? Perciò, se non si ottenesse che di farlo lodare anche solo da un'anima, sarebbe sempre ben fatto, a mio avviso, comprendere e far comprendere le delizie che per colpa nostra perdiamo. Si aggiunga inoltre che se questi favori procedono da Dio, producono tanto amore ed energia da permetterci di camminare con minor fatica e di andar crescendo in buone opere e virtù. Quello che importa è di non fermarci colpevolmente. Se ciò non avviene, il Signore è giusto e ci darà per altre vie quello che ci nega per questa! Egli ne conosce i motivi, e i suoi segreti sono occulti, ma è fuor di dubbio che è sempre per un nostro maggior bene.

12 - Le anime che per bontà di Dio sono giunte a questo stato - favore non piccolo, per essere vicinissime a salire più in alto - approfitteranno molto, secondo me, se cercheranno di esercitarsi attentamente nella prontezza dell'obbedienza. Pur non trattandosi di persone religiose, sarebbe assai utile, come molti già fanno, avere una guida da cui dipendere per rinnegare in tutto la propria volontà, causa ordinaria di ogni nostra rovina: perciò, non una guida che abbia le stesse nostre vedute e agisca con troppi riguardi, ma che sia staccata da tutto, non essendovi nulla che più ci aiuti a ben conoscerci quanto il trattare con persone che apprezzino il mondo per quello che vale. Oltre a ciò, vi sono cose che sembrano impossibili; ma se vediamo che altri le fanno facilmente, ne prendiamo coraggio e osservando il loro volo ci eccitiamo a volare pure noi, come gli uccelli che quando imparano a volare imitano a poco a poco i loro genitori, senza far subito grandi voli. E so che questo è molto utile. Sebbene tali persone siano fermamente decise di non offendere Dio, è sempre bene che si allontanino da ogni occasione, perché essendo ancora vicine alle prime mansioni, vi potrebbero facilmente ritornare. Le loro forze non sono ancora fondate sulla roccia, come quelle di coloro che, essendosi esercitati nei patimenti, già conoscono le tempeste del mondo, sanno che non si devono temere e che i piaceri della terra non sono da desiderarsi. Esse invece potrebbero tornare indietro anche per una sola di quelle grandi tempeste che il demonio sa ordire a nostro danno.Se mosse da retto zelo, volessero impedire i peccati altrui, potrebbero non saper resistere ai pericoli in cui verrebbero a trovarsi.

13 - Badiamo ai nostri difetti, e non occupiamoci degli altrui... Ma è proprio di queste persone circospette meravigliarsi di tutto, mentre in quello che più importa, forse potrebbero molto imparare da quelli stessi di cui tanto si meravigliano! Forse li superano nella compostezza esteriore e nella modestia del tratto, ma per buono che ciò sia, non è quello che più valga. Non è ragionevole pretendere che camminino tutti per la nostra strada: tanto meno poi insegnare il cammino della perfezione quando non si sa neppure cosa sia. Anche se questi desideri del bene altrui ci siano ispirati da Dio, vi si possono commettere molti sbagli. Per cui è meglio attenerci a quanto prescrive la nostra Regola, vale a dire: Vivere sempre nel silenzio e nella speranza. Delle anime altrui avrà cura Iddio; e noi saremo ad esse più utili se cercheremo di raccomandarle al Signore. Sia Egli per sempre benedetto!

Bellarmino
01-01-05, 12:48
QUARTE MANSIONI

Capitolo 1

Contenti e soddisfazioni che si provano nell'orazione, e in che si distinguano dai gusti spirituali.Gioia provata nell'intendere la differenza tra l'immaginazione e l'intelletto, cosa assai utile per coloro che durante l'orazione vanno soggetti a molte distrazioni

1 - Per parlare delle quarte mansioni devo raccomandarmi, come ho già fatto, allo Spirito Santo e supplicarlo che parli in luogo mio, non altrimenti che per poter dire e far capire qualche cosa delle mansioni che rimangono. Qui comincia il soprannaturale, parlar del quale è assai difficile, a meno che non mi aiuti Sua Maestà, come ha fatto in un un altro mio scritto dove, - circa quattordici anni fa - ho riferito quello che ne avevo inteso. Presentemente, mi sembra di avere un po' più di luce su questi favori che Dio accorda alle anime; ma quanto a spiegarli, è un'altra cosa. Se Dio vuole che ne ricaviate qualche utile, li spieghi Lui, altrimenti lasci stare...

2 - Queste mansioni, essendo più vicine all'appartamento reale, sono di una magnificenza così grande e contengono meraviglie così stupende che invano si sforza l'intelletto a cercar termini sufficienti per riprodurle meno imperfettamente. Coloro che non hanno esperienza vi troveranno molte oscurità, mentre gli altri mi comprenderanno benissimo, soprattutto se la loro esperienza sarà grande. Parrà che per arrivare a queste mansioni occorra aver vissuto a lungo nelle altre. Se in via ordinaria è vero che bisogna passare per le mansioni precedenti, tuttavia, come avrete sentito più volte, non è di regola assoluta, perché Dio distribuisce i suoi beni come vuole, quando vuole e a chi vuole, senza far ingiuria ad alcuno.

3 - Le bestie velenose entrano raramente in queste mansioni; e se vi entrano, invece di far danno, sono piuttosto di vantaggio. Anzi, in questo grado di orazione è meglio secondo me, che esse vi entrino e vi scatenino la guerra, perché in mancanza di altre tentazioni può darsi che il demonio s'intrometta nelle consolazioni di Dio e inganni le anime, facendo loro maggior danno che non con le solite tentazioni. Tali anime, infatti, non vi guadagnano che ben poco, perché il maligno toglie loro ogni occasione di merito con lasciarle in continua pace. La quale, quando è sempre nello stesso grado, non mi pare molto sicura, essendo impossibile in questa vita che lo Spirito di Dio stia in noi sempre nel medesimo modo.

4 - Parliamo ora di ciò che ho promesso, vale a dire della differenza fra i contenti che si provano nell'orazione e i gusti spirituali.Con il nome di contenti mi pare si possano intendere quei sentimenti soavi che ci procuriamo da noi, facendo meditazione o pregando il Signore. Benché siano effetto di nostra industria, richiedono sempre il concorso di Dio: cosa che bisogna sottintendere in qualsiasi fatto che verrò esponendo, perché senza di Lui non possiamo far nulla. Si hanno contenti anche dalle buone opere che facciamo, in quanto che, vedendovi un frutto del nostro lavoro, godiamo d'esserci impiegati in tal modo. Ma, pensandoci bene, vediamo che si provano i medesimi sentimenti anche per molte cose terrene, come per una grande fortuna che ci venga inopinatamente, per l'incontro improvviso di una persona molto cara, per il buon esito di un affare importante o di un'altra cosa assai grave che ci attiri l'approvazione di tutti, oppure per veder ritornare vivo il marito, un fratello, un figlio di cui si era già pubblicata la morte. Vi sono contenti così grandi che perfino fan piangere, come io stessa ho veduto e come qualche volta è successo anche a me. Ora, se questi contenti sono naturali, tali mi sembrano anche quelli che procedono dalle cose di Dio. Se i primi non sono cattivi, i secondi sono più nobili, perché cominciano da noi e finiscono in Dio, mentre i gusti cominciano da Dio e si fanno sentire dalla natura, procurandoci tanto piacere quanto í contenti di poco prima, e assai di più. Oh, Gesù, se mi potessi spiegar meglio!... Mi par di vedervi una grandissima differenza, ma non so come farmi capire. Lo faccia il Signore!...

5 - Mi ricordo in questo momento del versetto che diciamo in fine all'ultimo salmo di Prima: Cum dilatasti cor meum Chi ha grande esperienza non ha bisogno di altro per conoscere la differenza in questione; ma per chi non ne ha, occorrono più ampie spiegazioni. I contenti sopra accennati, non solo non dilatano il cuore, ma pare, in via ordinaria, che lo stringano alquanto, nonostante derivino dal vedere che si lavora per Iddio. Sgorgano pure certe lacrime angosciose, che sembrano quasi spremute da passione. Ignorante come sono, so ben poco di ciò che siano le passioni dell'anima. Se lo sapessi, e sapessi distinguere ciò che procede dalla nostra natura e sensibilità, mi farei capire un po' meglio. Certe cose le saprei meglio dichiarare se, oltre averle provate per esperienza, le avessi anche intese. Lo studio e la scienza sono utilissimi in ogni cosa.

6 - L'esperienza da me avuta di questo stato, vale a dire dei contenti e dei gusti della meditazione, consisteva in questo, che se pensando alla passione del Signore mi mettevo a piangere, non potevo più cessare se non quando mi sentivo la testa indolenzita. E altrettanto mi accadeva quando pensavo ai miei peccati: tutte cose che costituivano per me una grande grazia di Dio. Presentemente non voglio esaminare quale dei due fenomeni sia il migliore, sei contenti o i gusti spirituali, ma soltanto dirne la differenza. In queste lacrime e desideri vi concorre alle volte la natura, in quanto dipendono dalle nostre disposizioni; ma, come ho detto, benché provengano da tali cause, finiscono sempre in Dio, e perciò si devono molto stimare, purché entri l'umiltà a farci conoscere che non per questo siamo migliori degli altri. Non si può infatti sapere se tali effetti provengano tutti dall'amore, nel qual caso sarebbero un puro dono di Dio. Per lo più queste devozioni sono delle anime che stanno nelle mansioni precedenti, dove il lavoro consiste quasi sempre nel meditare e nel discorrere con l'intelletto. In ciò esse fanno bene, non essendo loro concesso di più. Ma sarebbe meglio che ogni tanto si occupassero in far atti di lode e d'amore di Dio, rallegrandosi della sua bontà e del suo essere divino, desiderando il suo onore e la sua gloria: e ciò nel miglior modo possibile, perché si tratta di sentimenti che eccitano molto la volontà. Se il Signore ci concede di emettere questi atti, guardiamoci bene dal troncarli sotto pretesto che sia terminato il tempo di meditazione.

7 - Essendomi già dilungata altrove intorno a ciò, non voglio aggiungere più nulla. Desidero soltanto avvertirvi che per inoltrarsi in questo cammino e salire alle mansioni a cui tendiamo, l'essenziale non è già nel molto pensare, ma nel molto amare, per cui le vostre preferenze devono essere soltanto in quelle cose che più eccitano all'amore. Forse non sappiamo ancora in che consista l'amore, e non mi meraviglio. L'amore di Dio non sta nei gusti spirituali, ma nell'essere fermamente risolute a contentarlo in ogni cosa, nel fare ogni sforzo per non offenderlo, nel pregare per l'accrescimento dell'onore e della gloria di suo Figlio e per l'esaltazione della Chiesa cattolica. Questi sono i segni dell'amore, non già non distrarsi, quasi basti la più piccola divagazione per mandare a monte ogni cosa.

8 - Per l'instabilità del pensiero, mi sono trovata anch'io varie volte in grandissima afflizione. Ma da poco più di quattro anni sono giunta a conoscere, per esperienza, che il pensiero, o, a meglio intenderci, l'immaginazione, non è la stessa cosa che l'intelletto.Ne ho interrogato un dotto ed ho saputo con mia grande soddisfazione che veramente è così. Non riuscivo infatti a spiegarmi come mai l'intelletto, che pure è una potenza dell'anima, rimanga alle volte intontito, mentre il pensiero sia quasi sempre così instabile da non poter esser fermato che da Dio. E quando Dio lo ferma, ci par quasi d'esser fuori dal corpo. Insomma, mi pareva che le potenze dell'anima fossero occupate e stessero raccolte in Dio, mentre il pensiero vagava in mezzo alle distrazioni, e ciò mi stupiva.

9 - Prendete in acconto, o Signore, tutto ciò che la nostra ignoranza ci fa soffrire in questo cammino! Il male deriva dal credere che non si debba far altro che pensare a Voi, per cui non osiamo interrogare i dotti, né conosciamo di che cosa abbiamo bisogno. E così, per non intenderci, sopportiamo terribili sofferenze, credendo alle volte che sia grave peccato, non solo il cattivo, ma persino il buono. Da qui procedono le afflizioni di molte persone di orazione - almeno di gran parte di quelle che sono poco istruite - e il lamentarsi delle loro pene interiori; da qui le malinconie, la perdita della salute e l'abbandono definitivo dell'orazione: dal non pensare, cioè, che abbiamo in noi un mondo interiore. Come non possiamo fermare il movimento del cielo che continua sempre nella sua corsa vertiginosa, così non possiamo fermare il pensiero. E noi intanto, immaginandoci che dietro al pensiero vadano anche le altre potenze, crediamo di smarrirci e di impiegare malamente il tempo che passiamo innanzi a Dio, quando invece può darsi che mentre l'anima è assorta in Lui nelle mansioni più elevate, il pensiero si aggiri nelle vicinanze del castello soffrendo e lottando fra una quantità di bestie feroci e velenose, con grande suo merito. Perciò non dobbiamo turbarci, né abbandonare l'orazione, che è appunto lo scopo del demonio, ma persuaderci che la maggior parte di queste inquietudini e sofferenze derivano dal non conoscere noi stessi.

10 - Proprio ora, mentre scrivo queste righe, mi vien da osservare ciò che succede nella mia testa. Accenno al gran rumore di cui me la sento intontita, così grande che in principio mi pareva di non poter obbedire a chi mi aveva ordinato di scrivere. Si direbbe che vi sian dentro fiumi molto grandi, cascate di acqua, uccelli in gran numero e fischi: e non già nelle orecchie ma nella sommità della testa, dove, a quanto dicesi, risiede la parte superiore dell'anima.Andai soggetta a questo fenomeno molte altre volte, e mi pare che il gran movimento dello spirito salga in su velocemente. Piaccia a Dio che ricordi di dirne la causa nelle mansioni seguenti, perché qui non vien bene. Può darsi che il Signore mi abbia mandato ora questo mal di testa per farmelo meglio comprendere. Ma nonostante il rumore di cui me la sento ripiena, niente m'impedisce di applicarmi all'orazione e di continuare a scrivere, perché l'anima è tutt'intera nel riposo e nell'amore, con i suoi desideri e la sua chiara conoscenza.

11 - Ma se la parte superiore dell'anima risiede nella sommità della testa, perché non ne rimane disturbata? Non lo so, eppure è così.Questo rumore dà pena quando l'orazione non è accompagnata da sospensione; ma durante la sospensione non dà alcun disturbo. Sarebbe veramente deplorevole se per questo inconveniente dovessi abbandonare l'orazione!... così pure dei pensieri. Non è ragionevole inquietarsene: dobbiamo trascurarli. Se provengono dal demonio, il maligno vedendo che non ce ne curiamo, ci lascerà in pace. Ma spesso avviene che procedano dalla debolezza lasciata in noi con molti altri inconvenienti dal peccato di Adamo. Allora sopportiamoli con pazienza per amor di Dio, come sopportiamo la necessità di mangiare e dormire, senza poterne fare a meno, nonostante la molestia che ne abbiamo.

12 - Riconosciamo la nostra miseria e sospiriamo a quel soggiorno dove più nessuno ci disprezzi. Queste, come mi ricordo di aver alle volte sentito dire, sono parole della Sposa dei Cantici, e io non vi trovo migliore applicazione, non essendovi certo in questa vita umiliazione e disprezzi così grandi da potersi paragonare a queste lotte interiori. Quando interiormente si è in pace, si sa sopportare qualsiasi lotta e turbamento; ma fuggire la moltitudine delle preoccupazioni terrene per ritirarci in un riposo che Dio stesso ci facilita, e trovarne gli ostacoli in noi stessi, oh! è un tormento penosissimo, quasi insopportabile!... Perciò, Signore, portateci in quel luogo dove queste miserie non ci disprezzino più, perché alle volte sembra proprio che si prendano gioco dell'anima! Però, se in questa vita Dio ne libera qualcuno, è soltanto quando egli giunge all'ultima mansione, come, a Dio piacendo, dirò.

13 - Quanto all'intensità della pena e alla guerra che queste miserie scatenano, non credo che tutte le anime ne debbano soffrire come la mia, che per essere stata tanto cattiva ne soffri per molti anni, quasi a vendetta di se stessa. Siccom questa lotta mi fu assai penosa, credo che sia tale anche per voi, e per ciò ve ne parlo ad ogni istante, sperando, una volta o l'altra, di farvi intendere che, trattandosi di una cosa inevitabile, non ve ne dovete inquietare né affliggere. Maciniamo la nostra farina senza curarci di questa battola di molino, facendo agire la nostra volontà e il nostro intelletto.

14 - Questo disturbo si sente più o meno. a seconda della salute e dei tempi. La povera anima si rassegni a soffrire, anche se non ne ha alcuna colpa. Del resto, commettiamo tanti altri difetti che è doveroso aver pazienza! Siccome siamo poco istruite, e non bastano a farci trascurare questi pensieri né i consigli che ci danno, né ciò che leggiamo nei libri, non mi pare che sia tempo perduto fermarmi più a lungo a consolarvi, per il caso che ne abbiate bisogno, perché nulla saprò fare se Dio non vi darà la sua luce.
È necessario - e il Signore lo vuole - che ricorriamo a tutti quei mezzi che ci siano di aiuto a ben conoscerci, per non addebitare all'anima ciò che è puro effetto della nostra mobile fantasia, della natura e del demonio.

Capitolo 2

Prosegue sul medesimo argomento, e dichiara con un paragone cosa siano i gusti spirituali e come non bisogna cercarli

1 - Dove mi sono perduta, mio Dio!... Non so neppure cosa stavo dicendo. Gli affari e la poco salute mi hanno interrotta sul più bello. E così, data la mia poca memoria e la mancanza di tempo per rileggere ciò che ho scritto, questo lavoro non sarà che un disordine completo. E chi sa se non sia una confusione continua anche quello che dico! Tale almeno è l'impressione che ne ho. Dei contenti spirituali mi pare di aver detto che alle volte si mischiano con le nostre passioni, così da far uscire in singulti. Ho udito dire di alcuni che si sentono stringere il petto e vanno soggetti a certi movimenti esteriori da cui non possono difendersi: perdono sangue dal naso, ed altri simili inconvenienti. Io non ne so nulla, perché queste cose non mi sono mai avvenute, ma credo che quelle persone ne debbano uscire consolate, perché, come ho detto, va tutto a finire in un grande desiderio di piacere a Dio e di goderlo.

2 - Ma quelli che io chiamo gusti di Dio, e a cui altrove ho dato il nome di orazione di quiete, sono molto diversi, e lo sanno anche coloro che per bontà di Dio ne hanno fatto la prova. Supponiamo per meglio intenderci di vedere due fontane i cui bacini si riempiono di acqua. Ignorante e di poco ingegno come sono, non trovo nulla di più adatto per meglio spiegare certe cose di spirito quanto l'acqua che io amo assai e che ho osservato con attenzione speciale, a preferenza di ogni altro elemento. Del resto non vi dev'essere cosa, creata da un Dio tanto grande e sapiente, che non nasconda moltissimi segreti dai quali non ci sia possibile ricavare grandi utilità, non meno di coloro che se n'intendono. Sono anzi persuasa che ogni minima creatura di Dio, sia pure una piccola formica, occulti più meraviglie di quante se ne sappiano immaginare.

3 - Dunque, questi due bacini si riempiono di acqua, ma in modo diverso. In uno l'acqua viene da lontano per via di acquedotti e di artificio, mentre l'altro, essendo costruito nella sorgente, si riempie senza rumore. Se la sorgente è abbondante, com'è questa di cui parliamo, non solo riempie il bacino, ma questo, a sua volta, rigurgita in un grosso ruscello continuamente alimentato, senza bisogno di condutture o d'artificio. E in ciò consiste la differenza. L'acqua che viene per i condotti rappresenta, secondo me, i contenti che sgorgano dalla meditazione e che noi ci procuriamo con le nostre riflessioni, meditando sulle creature e stancandoci l'intelletto. Siccome sono frutto di nostra industria, quando devono apportare all'anima qualche vantaggio, lo fanno con rumore.

4 - Nell'altro bacino, invece, l'acqua deriva dalla stessa sorgente che è Dio; e quando Sua Maestà si compiace di accordare qualche grazia soprannaturale, l'acqua fluisce nel più profondo dell'anima con pace, dolcezza e tranquillità inesprimibile, senza che si sappia donde e in che modo scaturisca. Si tratta di gioie e di diletti che, sebbene da principio non si facciano sentire nel cuore, come quelli del mondo, in seguito inondano ogni cosa. L'acqua si riversa per ogni mansione e in tutte le potenze, sino a raggiungere il corpo: perciò ho detto che comincia in Dio e finisce in noi. In questo gusto e soavità l'uomo esteriore va tutto immerso, come sa bene chi l'ha provato.

5 - Scrivendo queste righe, ricordo il versetto accennato: Dilatasti cor meum, nel quale si dice che il cuore si è dilatato. Tuttavia, mi pare che questi effetti, invece di nascere dal cuore, provengano da un punto più interno, come da una cosa molto profonda. Penso che debba essere dal centro dell'anima, come più tardi ho inteso, e più avanti dirò. Scopro in noi tanti segreti che spesse volte ne rimango stupita. E quanti altri ve ne devono essere!... O Signor mio e Dio mio! Come sono grandi le vostre meraviglie! E noi qui, da poveri ed ignoranti pastorelli, pensiamo di poter capire qualche cosa di quello che Voi siete! E che è questo qualche cosa, se non un niente, dato che non conosciamo neppure i molti segreti che sono in noi? Ma se dico un niente, è solo in paragone del moltissimo che c'è in Voi, non già perché non sia assai grande quello che possiamo ammirare nelle vostre opere.

6 - Ritorniamo a quel versetto che mi può servire per far comprendere la dilatazione di cui parlo. Appena l'acqua celeste comincia a sgorgare dalla sua sorgente, vale a dire dal profondo di noi stessi, sembra che il nostro interno si vada dilatando ed ampliando, empiendosi di beni eccellenti ed ineffabili, tanto che la stessa anima non sa comprendere ciò che allora riceve. Sente come una specie di profumo, quasi che nel fondo del nostro interno vi sia un braciere sul quale vengano gettate squisitissime essenze odorose. Il fuoco non si vede, né si sa dove sia, ma il calore e il fumo odoroso penetrano tutta l'anima, arrivando spesso, come ho detto, ad investire anche il corpo. Badate bene d'intendermi! Non si sente né calore, né odore, ma un qualche cosa di più delicato. Se mi servo di questi paragoni, è per farmi capire. Chi non l'ha provato si persuada che è così e che lo si sente assai bene. L'anima lo sente più chiaramente di quanto io mi sappia esprimere. Non è questa una cosa che si possa immaginare di sentire, perché non vi riusciremmo neppure impiegandovi tutte le nostre diligenze. E da ciò si vede che non è opera del nostro metallo, ma dell'oro purissimo della Sapienza divina. Benché le potenze non mi sembrino ancora nell'unione, pure vi si trovano come assorte, rapite di meraviglia innanzi a ciò che succede. 7 - Parlando di queste cose interiori, può darsi che intorno a qualche particolare non vada d'accordo con quel che ho detto in altri luoghi. Ma ciò non deve far meraviglia, perché sono ormai passati quasi quindici anni, e può essere che ora il Signore mi abbia dato maggior lume che non in quel tempo. Tanto adesso che allora sono sempre capace d'ingannarmi, ma non mai di mentire: con la grazia di Dio soffrirei piuttosto mille morti. Dico le cose come le intendo.

8 - Però mi sembra che in qualche maniera la volontà debba state unita alla volontà di Dio. Ma queste cose di orazione si conoscono meglio esaminando gli effetti e le opere che ne seguono: infatti, per provarle non v'è crogiuolo migliore. Per chi le riceve, è grandissima grazia se ne ha insieme l'intelligenza, e maggiore se non ritorna indietro. Voi forse, figliuole, vorreste aver subito questa specie di orazione, e non ne stupisco, perché l'anima non ha ancora finito di comprendere ciò che Dio accorda in questo stato, né il grande amore con il quale Egli l'avvicina a sé, che subito si sente presa dal desiderio di conoscere come queste grazie si acquistino. Perciò vi voglio dire quello che ho potuto capire.

9 - Prescindiamo dal caso in cui il Signore si degni di accordarcele unicamente perché così gli piace. Egli ne sa il motivo, e noi non ci dobbiamo intromettere. Dopo aver fatto ciò che si esige per le mansioni precedenti, si richiede umiltà e ancora umiltà. Questa virtù inclina il Signore ad accondiscendere alle nostre brame. E il primo segno per vedere se ne siete in possesso è credere fermamente che di queste grazie e gusti divini siete indegne, e che mai vi saranno accordati in tutta la vostra vita. Ma voi mi direte: Se non le dobbiamo procurare, in che modo le potremo avere? Rispondo che non vi è modo migliore di quello che ho detto, vale a dire, di non procurarle. Ed eccone le ragioni. La prima, che per ricevere queste grazie è necessario amare il Signore senza alcun interesse.La seconda, che è mancanza di umiltà credere che i nostri meschini servizi possano meritare un tal bene. La terza, che la vera disposizione per noi, che abbiamo tanto offeso il Signore, non è già di aspirare ai gusti spirituali, ma di bramare sinceramente di soffrire e di renderci simili a Lui.La quarta, che se Dio si è obbligato a concedere la gloria a chi osserva i comandamenti, non lo si è affatto quanto a dare queste grazie, perché possiamo salvarci anche senza di esse, ed Egli sa meglio di noi quello che ci conviene, e chi siano i suoi veri amanti. So di alcune persone che camminano per la via dell'amore nel modo che si deve, vale a dire con l'unico desiderio di servire il loro Dio crocifisso; eppure non solo non domandano consolazioni, ma nemmeno le desiderano, sino a supplicare il Signore a non volerle dar loro in questa vita. E questa è la pura verità che io so di preciso, perché sono persone di mia conoscenza. La quinta ragione è che faticheremo inutilmente. Siccome quest'acqua non è condotta per via di canali come la precedente, se la fonte si rifiuta di produrla, ci stancheremo senza alcun risultato. Voglio dire che nonostante le nostre frequenti meditazioni e gli sforzi che facessimo per versar lacrime, l'acqua non verrebbe ugualmente, perché non scaturisce da qui. Dio la concede a chi vuole, e spesso nel momento in cui meno si pensa.

10 - Siamo di Dio, sorelle. Egli faccia di noi quello che vuole e ci conduca per dove meglio gli piace! Se ci umiliamo e ci distacchiamo veramente - dico veramente e non già nell'immaginazione che spesso ci inganna - se veramente dunque ci distacchiamo da tutto, il Signore non lascerà di farci queste grazie e molte altre ancora, superiori a ogni nostro desiderio. Sia Egli per sempre lodato e benedetto!

Capitolo 3

Tratta dell'orazione di raccoglimento - Ordinariamente Dio l'accorda prima della precedente, che è quella dei gusti divini - Effetti dell'una e dell'altra

1 - Gli effetti di questa orazione sono molti, e ne dirò alcuni. Ma prima voglio parlare dell'orazione che ordinariamente la precede. Non ne dirò che poche parole, perché ne ho già parlato altrove.
Si tratta di un raccoglimento che mi sembra anch'esso soprannaturale. Benché non consista nello starsene al buio, nel chiudere gli occhi e in altre cose esteriori, tuttavia gli occhi si chiudono e si desidera la solitudine.
E con ciò pare che senza alcuna fatica si vada costruendo l'edificio dell'orazione precedente.
I sensi e le altre cose esteriori sembrano rinunciare a ogni loro diritto, per dar modo all'anima di ricuperare i suoi che aveva perduti.

2 - Coloro che ne trattano, dicono che l'anima rientra in se stessa e che alle volte sale sopra se stessa.
Ma se io mi servo di questo linguaggio, non riesco a dir nulla. Io ho questo di cattivo: di pensare che voi intendiate le espressioni che mi fabbrico io, le quali forse non saranno intese che da me. Immaginiamoci dunque che i sensi e le potenze - che secondo il paragone adottato, sono gli abitanti del castello - siano fuggiti fuori e vivano da giorni ed anni con gente straniera, nemica del bene del castello. Riconoscendo finalmente il loro torto, ritornano, si avvicinano al castello, ma non si decidono ad entrarvi per la tirannia della cattiva abitudine contratta. Tuttavia, girano intorno e non tradiscono più. Il gran Monarca che risiede nel castello, vedendo la loro buona volontà si lascia impietosire, e nella sua grande misericordia decide di chiamarli a sé.
A guisa di buon pastore, emette un fischio tanto soave da non esser quasi percepito, ma con il quale fa loro conoscere la sua voce, acciocché lasciata la via della perdizione, rientrino nel castello. E ciò fanno immediatamente, perché quel fischio è di così grande efficacia da districarli da tutte le cose esteriori fra le quali vivevano. Mi sembra di non essermi mai spiegata così bene come in questo momento. Quando il Signore accorda questa grazia, si ha un aiuto particolare per cercar Dio in noi stessi. Qui lo si trova meglio e con maggior profitto che non nelle creature, e qui afferma d'averlo trovato anche S. Agostino dopo averlo cercato altrove.

3 - Ma non crediate che si possa ottenere il raccoglimento procurando di applicare l'intelligenza a considerare che Dio è in noi, o cercando di rappresentarcelo nell'anima mediante l'immaginazione.Questo sarà un ottimo ed eccellente metodo di meditazione, perché fondato sulla verità dell'inabitazione di Dio, ma non è quello che io intendo dire, perché, dopo tutto, è sempre una cosa che con l'aiuto del Signore può essere fatta da chiunque. Non così di quello che intendo io, perché alle volte gli abitanti si trovan nel castello prima ancora che si cominci a pensare a Dio. Non so come vi siano entrati, né come abbiano udito il fischio del pastore. Ciò non fu certamente per le orecchie, con le quali non si percepisce nulla, ma per aver sentito un certo vivo desiderio di ritirarsi soavemente nell'interno. Mi capirà bene chi ne avrà l'esperienza, perché io non so spiegarmi di più. Mi pare di aver detto che succede come di un riccio o di una tartaruga quando si ritirano in se stessi. Colui che lo scrisse deve averlo inteso assai bene. Però questi animali si ritirano quando vogliono, mentre qui non dipende da noi, ma solo da Dio quando ce ne vuol favorire. Dovendo essere chiamati ad occuparsi in modo speciale di ciò che riguarda l'interiore, sono persuasa che Dio non conceda questa grazia se non a coloro che van staccandosi da tutto, se non con l'opera, perché impediti dal loro stato, almeno con il desiderio. E se questi che Dio invita a salire gli lasciano mano libera, posso affermare che non si fermeranno qui.

4 - Chi scopre in sé questi effetti ne ringrazi molto il Signore, essendo doveroso che si mostri riconoscente, e in tal modo si disporrà ad altre grazie più grandi. Inoltre, questo stato serve per abituarci - come si consiglia in alcuni libri - a tralasciare ogni discorso per attendere a quello che Dio fa in noi. Però, se il Signore non ha ancora cominciato a sospenderci, non so se si potrà così fermare il pensiero da non averne più danno che vantaggio. Su questo argomento hanno molto discusso alcune persone spirituali, ma io - confesso la mia poca umiltà - non ho mai trovato nelle loro ragioni tanta forza da farmi arrendere a quello che dicevano. Una di loro mi allegò un certo libro del santo - come credo che sia - fra Pietro d'Alcantara, a cui mi sarei sottomessa volentieri perché se n'intendeva. Orbene, leggendo insieme quel libro, lo trovammo del mio stesso parere. Non si esprime con le medesime parole, ma da ciò che dice si capisce che l'amore dev'essere già acceso.

5 - Può darsi che m'inganni, ma ecco i motivi su cui mi appoggio. Primieramente, perché in queste cose di spirito fa più chi meno pensa e meno vuol fare. Dobbiamo essere come un povero bisognoso che sta innanzi a un grande e ricco imperatore: chiedere, abbassare gli occhi e aspettare con umiltà. Quando Dio ci farà capire per certe sue vie segrete che ci sta ascoltando, allora, giacché ci ha permesso di stargli innanzi, sarà bene che ci mettiamo in silenzio, procurando - ciò che potendo non sarà male - di non porre in moto l'intelletto. Ma se notiamo che il Re non ci ha né veduti né sentiti, guardiamoci bene dallo star là come tonti, a guisa di anime che per essersi sforzate di frenare i pensieri e violentate per non pensare a nulla, si trovano in più grande aridità e forse in maggiore inquietudine d'immaginazione. Dio vuole che gli facciamo delle domande, che pensiamo di essere alla sua presenza, persuasi che Egli conosca quello che ci conviene. Non so affatto persuadermi che le industrie umane possano avere qualche valore in cose che Dio ha riservate a sé. Sembra che in queste Egli abbia posto dei limiti, mentre ne ha lasciate libere molte altre che con il suo aiuto possiamo fare anche noi - sempre fin dove ce lo permetta la nostra miseria - come le penitenze, l'orazione e le altre buone opere.

6 - La seconda ragione è che queste operazioni interiori sono soavi e pacifiche, mentre ciò che vien fatto con pena è più di danno che di vantaggio. (Chiamo fatte con pena quelle azioni che esigono uno sforzo, come il trattenere il respiro). L'anima deve abbandonarsi nelle mani di Dio, affinché Egli ne faccia quel che vuole; deve dimenticarsi di ogni suo interesse e fare il possibile per rassegnarsi alla sua divina volontà.
La terza ragione è che la stessa preoccupazione di non pensare a nulla può eccitare a pensare molto.
La quarta, perché non vi è nulla di più utile e di più gradevole a Dio che dimenticarci di noi stessi, dei nostri interessi, delle nostre soddisfazioni personali, per occuparci del suo onore e della sua gloria.Ora, come può dimenticarsi di se stesso chi è tutto intento a non distrarsi, sino a non permettere che la sua intelligenza e i suoi affetti si muovano a desiderare la maggior gloria di Dio e a rallegrarsi per quella che già gode? Se é Dio che sospende l'intelletto, gli dà da occuparsi in altro modo, e ciò mediante una illustrazione così chiara che esso ne rimane assorto, persuaso che per certe cose non può proprio far nulla. Tuttavia, e senza che ne sappia il modo, si trova meglio ammaestrato che non con l'impiego di tutte le sue diligenze, con le quali piuttosto si sarebbe fatto del danno. Siccome Dio ci ha dato le potenze per aiutarci ad agire, non vedo perché si debbano sospendere, tanto più che ad ogni loro azione ha da corrispondere un premio. Lasciamole fare il loro ufficio, fino a quando Dio non si degni elevarle a uno più grande.

7 - Per l'anima che Dio ha voluto mettere in questa mansione, non vi è nulla di più conveniente, secondo me, che di attenersi a quello che ho detto: cioè, procurare, senza rumore e senza violenza, d'impedire che l'intelletto discorra, ma senza sospenderlo, né sospendere il pensiero, bensì impiegarlo nel ricordarsi della presenza di Dio e della sua natura divina. Se l'intelletto si sospende da solo per quello che sente in sé, ciò sia alla buon'ora, purché si guardi dal volere intendere di che si tratta. Il dono è fatto solo alla volontà, e bisogna lasciarglielo godere senza ricorrere ad alcuna industria, eccetto a qualche parola amorosa. Del resto, avviene spesso in questo stato che, pur non procurandolo, si rimanga li senza pensare a nulla, benché solo per poco.

8 - Sul principio di questa mansione ho parlato dell'orazione dei gusti divini, poi sono passata all'orazione di raccoglimento, della quale avrei dovuto parlare prima, perché meno alta di quella, e mezzo per raggiungerla. Dunque, nell'orazione di raccoglimento non si deve mai smettere di meditare e di discorrere con l'intelletto. Nell'altra invece, nella quale l'acqua si trova nella stessa sorgente e non per via di canali, l'intelletto, come ho detto in altro luogo, si sospende da sé o si sente sospendere dal fatto di non poter capire ciò che avviene; e così va girando da una parte all'altra come intontito, incapace di fissarsi in alcuna cosa. Questa agitazione inquieta molto la volontà, che nel frattempo è tutta immersa nel suo Dio. Ma essa non se ne curi, perché perderebbe buona parte di ciò che gode: lasci stare l'intelletto e si abbandoni fra le braccia dell'amore. Il Signore le insegnerà quello che dovrà fare: cioè, riputarsi indegna di tanto bene e impiegarsi in atti di ringraziamento.

9 - Volendo trattare dell'orazione di raccoglimento, ho tralasciato gli effetti di quella dei gusti divini e i segni dai quali si può conoscere chi ne è favorito. A quanto si sperimenta, si tratta di una dilatazione o aumento di anima. Ecco una sorgente da cui l'acqua non ha via di uscita, ma il cui bacino è così fatto che quanto più acqua riceve, tanto più cresce di capacità. Così sembra anche qui, perché, oltre le grandi grazie che si ricevono, Dio dilata l'anima e la rende capace di contenere ogni cosa. Questa soavità e dilatamento interiore si riconoscono anche dall'energia di cui l'anima si sente ripiena, perché nel servizio di Dio non si porta più grettamente come prima, ma con larghezza maggiore. Cessa pure di angustiarsi per la paura dell'inferno, e nutre grande fiducia di andare un giorno in paradiso. Non teme che di offendere Iddio, ma non con timore servile, che qui sparisce del tutto. Se prima aveva paura di far penitenza per non perdere la salute, ora le sembra con l'aiuto di Dio di poterne fare, non avendo mai avuto in proposito desideri così grandi come ora.
E se prima provava tanta ripugnanza per le tribolazioni, ora le teme di meno, perché la sua fede si è fatta più viva e vede che accettandole per amor di Dio, ottiene la forza di sopportarle con pazienza. Anzi, nella sua brama di far qualche cosa per Lui, qualche volta le avviene pure di desiderarle. Quanto più progredisce nella conoscenza di Dio, tanto più bassa è l'opinione che si fa di sé. E avendo assaporato le dolcezze del Signore, ritiene per immondizie quelle della terra, da cui si allontana a poco a poco, rendendosi, a ciò fare, sempre più padrona di sé. Insomma, resta migliorata in tutte le virtù, e andrà sempre più progredendo, purché non torni ad offendere Iddio, nel qual caso perderebbe ogni cosa, anche se già arrivata alla cima. Però, non si deve credere che per trovarsi con tali effetti basti ricevere questa grazia una o due volte soltanto. Occorre riceverla di continuo: il nostro bene è tutto in questa perseveranza.

10 - Ecco un avviso che raccomando molto a chi si trova in questo stato. Si guardi attentamente dal mettersi nelle occasioni di offendere Iddio. Qui l'anima non è ancora formata: è come un bambino che comincia a poppare, il quale se si discosta dal petto di sua madre non può aspettarsi che la morte. Se chi ha ricevuto questa grazia si allontana dall'orazione senza un'urgente necessità e non vi fa subito ritorno, temo grandemente che le avvenga come al bambino, e vada di male in peggio. So che vi è molto da temere, e conosco alcune persone a cui questo è successo per essersi allontanate da Colui che voleva farsi loro amico, come dimostravano le sue opere. Ne sento viva compassione. Se tanto insisto sulla fuga dalle occasioni, è perché il demonio mette più impegno nel rovinare un'anima sola di queste, che non molte altre a cui Dio non faccia tali grazie. Queste gli possono essere di gran danno, perché attirano altre anime, con immenso vantaggio per la Chiesa di Dio. Perciò le combatte in ogni modo e fa di tutto per rovinarle, se non altro per la rabbia di vederle tanto amate da Dio. Ma se soccombono, diventano peggiori delle altre. Da questi pericoli, sorelle, a quanto si può capire, voi siete al sicuro. Ma Dio vi liberi dall'andare in superbia e vanagloria! Il demonio può simulare anche queste grazie; ma lo si conosce facilmente, perché non solo non produce gli effetti che ho descritto, ma ne lascia di diametralmente opposti.

11 - benché ve n'abbia già parlato altrove, tuttavia vi voglio avvertire di un pericolo in cui ho visto cadere varie persone di orazione, specialmente donne, che perla loro debolezza vi sono più esposte: ed è il seguente. Alcune persone, a causa delle loro grandi austerità, orazioni e vigilie, o semplicemente perché di debole complessione, non possono ricevere una consolazione spirituale senza che la loro natura ne rimanga soggiogata. E siccome sentono una certa interiore dolcezza mentre esteriormente vanno indebolendosi e mancando - specialmente quando entrano in quello stato che si chiama di sonno spirituale, che è alquanto più alto di quello anzidetto - confondono quella dolcezza con l'indebolimento che sentono, e se ne lasciano sopraffare. Più si abbandonano e più ne rimangono assorbite, perché la natura s'indebolisce sempre più. E intanto credono che sia un qualche rapimento. Ma io lo chiamo sbalordimento, perché non fan altro che perdere il tempo e rovinarsi la salute.

12 - Una certa persona rimaneva in questo stato per otto ore di seguito, senza perdere i sensi, e nemmeno con pensieri di Dio. Ma siccome si trovò chi l'ebbe a intendere, le fecero sparire ogni cosa obbligandola a mangiare, a dormire e a non fare tanta penitenza. Senza volerlo, aveva ingannato il confessore, varie altre persone e se stessa. Sono convinta che il demonio non vi doveva essere estraneo: pretendeva di cavarne vantaggio, e non poco già cominciava ad averne.

13 - È bene sapere che vi può essere languidezza esteriore ed interiore anche allora che questo stato proviene da Dio, ma l'anima ne rimane forte, e nel vedersi così vicina al Signore, si lascia andare a grandi sentimenti. Tuttavia questo stato non dura che pochissimo, benché si ripeta di frequente e l'anima torni a sospendersi. Tuttavia, se non è per debolezza naturale, questa orazione non solo non abbatte il corpo, ma nemmeno è causa di affezioni esteriori. Perciò dovete star bene attente, e quando alcuna va soggetta a tali cose, ne avverta la Superiora e faccia di tutto per distrarsi. La Superiora non le permetta tante ore di orazione ma gliene ordini poca. Procuri che mangi e che dorma bene, fino a quando non abbia riprese le sue forze naturali, nel caso che le abbia perdute per mancanza di nutrimento e di sonno. Se è di così debole complessione da non averne giovamento, credetemi, Dio la vuole per la vita attiva: nei monasteri vi dev'essere di tutto.
Sia impiegata negli uffici e si abbia cura che non rimanga troppo in solitudine, perché finirebbe col rovinarsi del tutto la salute. Ciò le sarà di grande mortificazione, ma il Signore vuol provare come sopporti la sua assenza, e se lo ami per davvero. Dopo un po' di tempo, può darsi che Egli le ritorni le forze; ma se non lo fa, ella acquisterà tanti meriti con la preghiera vocale, e l'obbedienza, quanti ne acquisterebbe con la vita contemplativa, e forse più.

14 - Può anche darsi che vi siano persone d'immaginazione o di testa così debole come io ne ho trovate, che s'immaginino di vedere tutto quello che pensano. Sarebbe molto pericoloso, ma siccome ne devo parlare più avanti, non aggiungo altro. Mi sono tanto dilungata in queste mansioni perché credo che in esse le anime vi entrino in maggior numero. Si aggiunga inoltre che in queste, per l'unione che vi è del naturale col soprannaturale, il demonio può fare maggior danno che nelle seguenti, nelle quali il Signore non gli lascia tanta libertà. Sia Egli per sempre benedetto! Amen!

QUINTE MANSIONI

Capitolo 1

In che modo l'anima si unisca a Dio durante l'orazione, e come conoscere se vi sia inganno

1 - In che modo, sorelle, vi potrei parlare delle ricchezze, dei tesori e delle delizie che si trovano nelle quinte mansioni? Di queste, come di quelle che ancora restano, sarebbe meglio non parlare, perché non vi sono termini sufficienti, come non vi è intelletto per comprenderle, né paragoni per spiegarle. Le cose della terra sono troppo basse per servire a questo scopo. Ma siccome Voi, o Signor mio, vi siete compiaciuto che alcune delle vostre serve ne godano tanto spesso, mandate luce dal cielo affinché io le sappia illuminare, premunendole contro gli inganni del demonio quando si trasformerà in angelo di luce. Dopo tutto, esse non desiderano che di piacervi.

2 - Ho detto che in queste mansioni ne entrano soltanto alcune, mentre avrei dovuto dire che solo pochissime non vi entrano. Anzi, siccome vi è il più e il meno, penso che certe particolarità siano soltanto di poche. Tuttavia, arrivare anche solo alle porte è sempre una grande grazia di Dio, perché molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Così di noi che portiamo questo sacro abito del Carmine.Tutte siamo chiamate all'orazione e alla contemplazione perché in ciò è la nostra origine e siamo progenie di quei santi Padri del monte Carmelo che in grande solitudine e nel totale disprezzo del mondo cercavano questa gioia, questa preziosa margherita di cui parliamo: eppure in poche ci disponiamo per ottenere che Dio ce la scopra. Quanto all'esteriore si va bene, ma quanto alle virtù necessarie per arrivare a detto stato, ci manca ancora moltissimo, per cui non dobbiamo mai trascurarci, né in poco né in molto. Facciamoci coraggio, sorelle mie, e siccome un po' di cielo lo possiamo godere fin da ora, supplichiamo il Signore a concederci di non rimanerne prive per nostra colpa, ma a mostrarcene la strada e a fortificarci l'anima, onde scavare sino a scoprire questo tesoro nascosto che sta dentro di noi. Se Dio si compiacerà di aiutarmi, ve ne dirò qualche cosa.

3 - Ho detto che ci fortifichi l'anima, acciocché intendiate che le forze del corpo, se Dio non le dà, non sono necessarie. Non solo Egli non impedisce ad alcuno di acquistarsi le sue ricchezze, ma si contenta che ognuno gli dia ciò che ha. Sia benedetto per sempre un così grande Signore! Badate però, figliuole mie, che per acquistarvi ciò che dico, Egli esige che non vi riserviate nulla. Sia poco o molto quello che avete, lo vuol tutto per sé. Più o meno grandi saranno le grazie che ne avrete, ma sempre in proporzione di quello che vedrete di aver dato: per sapere se la nostra orazione arrivi o non arrivi all'unione, non vi è prova migliore. Non crediate che questa orazione somigli al sonno, come la precedente: dico sonno in quanto che l'anima sembra che sia mezzo assopita, perché se pare che non sia del tutto addormentata, non si sente neppure sveglia. Qui invece è addormentata - e addormentata profondamente - non solo a tutte le cose della terra, ma pure a se stessa, tanto che per la breve durata di questo fenomeno essa rimane così fuori di sé, da non poter formare alcun pensiero, neppure volendolo. Qui per sospendere il pensiero non c'è proprio da ricorrere ad alcuna industria. Se ama, non sa come, né chi; se vuole, non sa cosa vuole: è come se sia morta al mondo per più vivere in Dio.

4 - Ma è una morte deliziosa: morte, perché l'anima si sottrae a tutte le operazioni che può avere dall'unione col corpo; deliziosa, perché sembra che si separi dal corpo per meglio vivere in Dio. Infatti, al corpo non so se rimanga tanto di vita da poter ancora respirare. Pensando ora a quest'ultima cosa, mi sembra che non gliene rimanga affatto. Almeno, se respira, non lo avverte. L'intelletto vorrebbe tutto occuparsi per intendere qualche cosa di ciò che l'anima sente, ma siccome le sue forze non glielo permettono, rimane così sorpreso che, pur non perdendosi del tutto, non può muovere né mani né piedi, come si direbbe di una persona che fosse così svenuta da parerci morta. Oh, segreti di Dio!... Non mi stancherei mai di parlarne, se pensassi di farne capire qualche cosa, disposta pure a dir mille spropositi pur di riuscirvi una volta sola, e procurare a Dio un maggior tributo di lodi.

5 - Ho detto che questa orazione non somiglia al sonno. Nella mansione precedente, finché l'anima non ne abbia fatta una grandissima esperienza, rimane sempre con dubbio sui fenomeni subiti: se furono una sua illusione, se dormiva, se provennero da Dio o dal demonio trasformato in angelo di luce, e tanti altri timori: i quali del resto non è bene che manchino per il pericolo che qualche volta s'intrometta per davvero la nostra natura. Se là le bestie velenose non hanno modo d'introdursi, vi possono penetrare certe lucertolette che per la loro sottigliezza si cacciano da per tutto: intendo parlare di quei piccoli pensieri provenienti dall'immaginazione e da quello che ho detto, i quali, benché non siano di danno - specialmente se si trascurano - spesso però infastidiscono. Qui invece non possono entrare neppure le lucertolette più piccole, non essendovi immaginazione, memoria o intelletto capaci d'impedire un tanto bene.Oso anzi affermare che se si tratta di vera unione con Dio, non vi può entrare a far danno nemmeno il demonio, perché allora Dio è unito all'essenza dell'anima, e il maligno non solo non ha ardire d'avvicinarsi, ma credo che di questi segreti non debba neppure intendersene. La cosa è assai chiara. Se dicono che egli non conosce i nostri pensieri, a maggior ragione non deve conoscere questi segreti che Dio non confida neppure all'intelletto. Oh, stato felicissimo nel quale il maledetto non può fare alcun danno! L'anima ne esce con grandissimi vantaggi, perché Dio opera in lei senza che alcuno vi metta ostacoli, neppure noi stessi. Che cosa allora non dovrà mai dare Chi tanto ama di dare, e può dare quanto vuole?

6 - Sembra che io v'ingeneri confusione. Ho detto se è unione di Dio, quasi che vi siano altre unioni.
Altro se ve ne sono!... Può darsi che in riguardo di certe vanità il demonio faccia uscire l'anima da se stessa per la grande passione con cui ella le ami, benché non nella stessa maniera né con gli stessi sentimenti di gioia, di soddisfazione, di diletto e di pace, di cui l'anima si sente ripiena quando l'operazione è da Dio. I piaceri, le ebbrezze e le consolazioni della terra, nonché non essere paragonabili con i sentimenti che Dio produce, non hanno con essi alcuna relazione di origine, e ben diversa è l'impressione che ne risulta, come voi stesse avrete forse provato. Ho detto in altro luogo che è come se gli uni si sentano alla superficie del corpo e gli altri nel midollo delle ossa. Allora mi sono spiegata assai bene, ma ora meglio di così non so farlo.

7 - Però mi sembra che non siate ancora soddisfatte, e temiate di cadere in inganno. Grande è la difficoltà che s'incontra nel discernimento di queste cose interiori. Tuttavia, per coloro che ne hanno esperienza, può essere sufficiente quello che ho detto, nonostante che ben grande ne sia la differenza. Comunque, eccovi un segno evidente per non cadere in inganno ed accertarvi che l'operazione è di Dio.Il Signore me l'ha riportato oggi alla memoria, e credo che sia sicuro. Nelle questioni più difficili, anche se mi pare di intenderle e di dire la verità, uso sempre questa espressione: Mi sembra; e ciò per far capire che se m'inganno, sono pronta a sottomettermi a coloro che ne san di più. Costoro, benché di queste cose non abbiano esperienza, hanno però un certo senso che è loro proprio, e siccome Dio li destina a luce della sua Chiesa, quando si tratta di ammettere una verità li illumina Lui stesso. Se non sono leggeri, ma veri servi di Dio, non solo non si scandalizzano di queste meraviglie, ma sono anzi persuasi che Dio ne possa fare assai di più; e se si tratta di fenomeni non ancora ben chiari, trovano modo di ammetterli studiando quelli che sono scritti.

8 - Di questo ho io grande esperienza, come l'ho di certi semi-dotti paurosi che mi costarono assai.
Chi non crede che Dio sappia fare assai di più, e non ammette che possa essersi compiaciuto e possa tuttora compiacersi di comunicarsi talvolta con le sue creature, costui, secondo me, tien chiusa la porta a ogni divina effusione. Voi, sorelle, guardatevene attentamente, credete sempre che Dio può fare assai di più, e non fermatevi mai ad esaminare se chi riceve queste grazie sia virtuoso o no. Il motivo lo sa il Signore: noi non dobbiamo intrometterci. Serviamo Iddio con umiltà c semplicità di cuore, lodandolo per queste sue opere meravigliose.

9 - Eccomi dunque al segno che io chiamo sicuro. Osservate quest'anima a cui Dio ha sospeso del tutto l'intelletto per meglio arricchirla della vera sapienza. Per tutto il tempo che dura in questo stato - tempo sempre breve, e che all'anima sembra ancora più breve - ella non vede e non sente nulla. Ma Dio s'imprime nel suo interno, e quando ella torna in sé, in nessun modo può dubitare che Dio sia stato in lei ed ella in Dio. Questa verità le rimane scolpita sì al vivo, da non poterne affatto dubitare né dimenticarla, neppure dopo molti anni, benché Dio non gliela rinnovi: senza poi dire degli altri effetti, sui quali tornerò più avanti. In questa certezza sta appunto il segno che ho detto.

10 - Ma voi mi direte: Come si vede o s'intende che è Dio, se non si vede e non s'intende nulla? Non dico che lo si veda allora, ma in seguito; e ciò non per visione, ma per una piena convinzione che rimane nell'anima e che non può essere che da Dio. Conosco una persona che non sapeva che Dio si trova in ogni cosa per presenza, per potenza e per essenza. Ma lo intese chiaramente dopo un favore di questo genere ricevuto dal Signore. Avendo interrogato uno di quei semidotti di cui ho parlato più sopra sul come Dio sia in noi, egli che ne sapeva quanto lei prima di questa illustrazione, le rispose che vi sta soltanto per la grazia; ma ella era talmente fissa nella verità, che non gli credette. In seguito interrogò altre persone che le dissero la cosa come stava, e ne rimase molto consolata.

11 - Badate però di non cadere in errore pensando che questa certezza riguardi una forma corporale, come il corpo di nostro Signore Gesù Cristo presente invisibilmente nel santissimo Sacramento. Qui non vi è nulla di simile, perché non si tratta che della divinità. Ma che certezza si può mai avere di una cosa che non si vede?
Io non lo so. Sono opere di Dio. Ma so di dire la verità. Se non vi fosse questa certezza, si avrebbe, secondo me, non già un'unione di tutta l'anima con Dio, ma soltanto di una sua potenza, oppure di un altro genere di grazie fra le molte che il Signore usa fare. Dopo tutto, non è il caso d'indagare come questi fenomeni avvengano. A che tanto affaticarci quando la nostra intelligenza non li può comprendere? Ci basti sapere che Chi li fa può fare ogni cosa. Sono operazioni di Dio, innanzi alle quali le nostre industrie sono nulla. Essendo incapaci di raggiungerle, guardiamoci pure dal volerle comprendere.

12 - A proposito di quest'impotenza, mi ricordo di ciò che dice la Sposa dei Cantici e che voi stesse avrete udito: Il Re mi ha condotta nella cella del vino, o piuttosto, come credo che dica: Mi ha introdotta. Insomma, non dice che vi sia andata da sé. Dice ancora che andava di qua e di là in cerca del suo Amato. Ora, l'orazione di cui parlo è appunto la cella vinaria nella quale il Signore intende introdurci, ma quando e come vuol Lui. Da noi, con i nostri sforzi, non vi possiamo entrare: bisogna che ci introduca Lui. Ed Egli lo fa quando entra nel centro dell'anima nostra. Qui, per meglio mostrare le sue meraviglie, vuole che altro non facciamo che assoggettargli la volontà, guardandoci bene dall'aprir le porte delle potenze e dei sensi che giacciono addormentati, perché intende entrare nel centro dell'anima senza passare per alcuna porta, come entrò dai suoi discepoli quando disse: Pax vobis, e come usci dal sepolcro senza smuovere la pietra. Più avanti vorrà che l'anima lo goda nel centro di se stessa ben più intensamente che non qui; ma sarà nell'ultima mansione.

13 - Che grandi cose vedremo, figliuole mie, se cercheremo di non contemplare che la nostra miserabile bassezza, reputandoci indegne di essere le serve di questo eccelso Signore, le cui meraviglie ci sono affatto incomprensibili!... Sia Egli per sempre benedetto: Amen.

Capitolo 2

Prosegue sul medesimo argomento, e dice con un grazioso paragone in che consiste l'orazione di unione, e quali gli effetti che lascia Capitolo degno di nota

1 - Vi parrà che di questa mansione vi abbia ormai detto ogni cosa; eppure mi rimane ancora molto, perché, come vi ho già fatto osservare, vi è il più e il meno. Per ciò che riguarda l'unione, non credo di saperne dire di più, ma resta molto da parlare circa gli effetti che Dio produce nelle anime quando esse si dispongono a ricevere le sue grazie. Ne voglio dire qualche cosa, e nel contempo far conoscere lo stato in cui l'anima rimane. Per farmi meglio capire, voglio servirmi di un paragone che trovo molto appropriato, per mezzo del quale vedremo che quantunque in questa operazione di Dio nell'anima noi non possiamo far nulla, tuttavia per ottenere che il Signore ce ne favorisca, possiamo far molto col disporci.

2 - Avrete già udito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui Egli solo poteva essere l'autore. Si tratta di piccoli semi, simili a granellini di pepe che io non ho mai veduto, ma di cui ho sentito parlare: perciò, se cado in qualche inesattezza la colpa non è mia. Al sopraggiungere dell'estate, quando i gelsi si coprono di foglie, questi semi cominciano a prender vita. Prima che spuntino quelle foglie di cui si devono nutrire, stanno là come morti; a poco a poco, con quell'alimento si sviluppano, finché, fatti più grandi, salgono sopra alcuni ramoscelli, ed ivi con la loro piccola bocca filano la seta che cavano dal loro interno, fabbricandosi certi bozzoli molto densi, nei quali ognuno di quegli insetti, che sono brutti e grossi, si rinchiude e muore. Ma poco dopo esce dal bozzolo una piccola farfalla bianca, molto graziosa. Se questo fenomeno non cadesse sotto i nostri occhi, ma ci fosse raccontato come cosa di altri tempi, nessuno lo crederebbe. Infatti, come potremmo credere che un verme o un'ape, - esseri privi di ragione - siano tanto diligenti e industriosi nel lavorare per noi fino a rimetterci la vita come il povero bacolino nel suo lavoro? Ecco un buon soggetto, sorelle, per intrattenervi a lungo in meditazione, senza null'altro aggiungere, bastando questo solo per farvi considerare le meraviglie e la sapienza del nostro Dio. Oh, se conoscessimo le proprietà delle cose! Come sarebbe vantaggioso meditare sopra queste meraviglie, compiacendoci di essere le spose da un Re così grande e sapiente!

3 - Tornando ora al nostro argomento, l'anima, di cui quel verme è l'immagine, comincia a prendere vita quando per il calore dello Spirito Santo, comincia a valersi dei soccorsi generali che Dio accorda a ognuno e a servirsi dei rimedi che Egli ha lasciato nella sua Chiesa, come le frequenti confessioni, le buone letture e le prediche: rimedi opportuni per l'anima che sia morta nel peccato e si trovi fra le occasioni cattive a causa della sua trascuratezza. Ripreso a vivere con quei rimedi e pie meditazioni, vi si andrà pure sostentando finché sia cresciuta. E questo è il punto in cui la considero, poco curandomi di ciò che precede.

4 - Quando questo verme si è fatto grande - come abbiamo visto in principio di questo scritto - comincia à lavorare la seta e a fabbricarsi la casa nella quale dovrà morire. Questa casa, come vorrei far intendere, è il nostro Signore Gesù Cristo. Mi pare di aver letto in qualche parte, o di aver udito, che la nostra vita è nascosta in Cristo, ovvero in Dio, che è poi lo stesso, oppure che Cristo è la nostra vita. Che il testo sia o non sia così, per il mio intento poco importa.

5 - Osservate qui, figliuole mie, quello che con l'aiuto di Dio possiamo fare: che Sua Maestà diventi nostra dimora fabbricata da noi stessi, come lo è in questa orazione di unione. Dicendo che Dio è nostra dimora, e che questa dimora possiamo fabbricarcela da noi stessi per prendervi alloggio, sembra quasi che voglia dire di poter noi aggiungere o togliere a Dio qualche cosa. E lo possiamo benissimo, ma non già aggiungendo o togliendo a Dio, bensì aggiungendo o togliendo a noi, come quei piccoli vermi, perché non avremo ancora ultimato quanto sarà in nostro potere che Egli verrà, e unendo alla sua grandezza la nostra lieve fatica, che è un nulla, le conferirà un valore così eccelso da meritare che Egli si costituisca in nostra stessa ricompensa. Non contento di aver sostenute le spese maggiori, vorrà pure unire le nostre piccole pene alle molto grandi che Egli un giorno ha sofferto per non farne che una cosa sola.

6 - Orsù dunque, figliuole mie, mettetevi subito al lavoro! Tessiamo questo piccolo bozzolo mediante lo spogliamento di ogni nostro amor proprio e volontà, distaccandoci da ogni cosa terrena e praticando opere di pedi orazione, di meditazione e di obbedienza, con resto che già sapete. Oh, se mettessimo in pratica tutto quello che sappiamo e che ci hanno insegnato! E poi muoia, muoia pure questo verme, come il baco da seta dopo aver fatto il suo lavoro! Allora ci accorgeremo di vedere Iddio e ci sentiremo sepolte nella sua grandezza, come il piccolo verme nel suo bozzolo. Dicendo che vedremo Iddio, dovete intendere nel modo con cui Egli si fa sentire in questa specie di unione.

7 - Passiamo ora a vedere come questo verme si trasformi, che è lo scopo di quanto finora vi ho detto. Dico che quando il verme entra in questa orazione e vi rimane morto a tutte le cose del mondo, esce mutato in piccola farfalla bianca. Oh, potenza di Dio! Oh, in che stato esce l'anima, dopo, essere rimasta nella grandezza di Dio e tanto a Lui unita come qui, sia pure per poco tempo, giacché, a mio parere, non si arriva mai a mezz'ora! In verità vi dico che essa non si riconosce più. Pensate alla differenza fra un verme ributtante e una piccola farfalla bianca: così di lei. L'anima ignora come abbia potuto meritare tanto bene, voglio dire che non sa di dove le sia venuto, perché conosce benissimo che a meritarlo non è da lei. Si sente presa da un desiderio vivissimo di lodare Iddio, sino a bramare di distruggersi e di affrontare mille morti. Brame irresistibili di darsi a grandi sofferenze cominciano tosto ad occuparla senza che sappia liberarsene, e sospira con ardore di abbandonarsi alla penitenza, di stare in solitudine e di fare che tutti conoscano il suo Dio, sino a provare afflizione profonda nel vederlo offeso. Nelle mansioni seguenti parlerò di questi effetti con particolari maggiori. Benché i fenomeni delle quinte mansioni siano quasi identici a quelli delle seguenti, tuttavia sono assai diversi quanto all'intensità degli effetti. Una anima che Dio ha condotto a questo punto, se si sforza di andare avanti, vedrà grandi meraviglie.

8 - Oh, lo spettacolo di questa piccola farfalla in continua agitazione! Eppure in tutta la sua vita non ha mai goduta tanta pace e soavità. Vien proprio da lodare Iddio nel contemplarla così incapace a fermarsi e a riposare. No, dopo aver goduto di un tal bene, le cose della terra non la soddisfano più, specialmente se Dio l'abbia spesso inebriata di quel suo vino, dal quale si ricavano sempre nuovi vantaggi, quasi ogni volta. Ormai non fa più conto di ciò che praticava quando era verme. Allora intesseva a poco a poco il suo bozzolo, ma ora le sono nate le ali; ed essendo capace di volare, perché contentarsi di andare ancora passo passo? I suoi desideri sono immensi, e poco le sembra quanto possa fare per Iddio. Neppur più si meraviglia di ciò che i santi hanno fatto, perché sa per esperienza quanto il Signore aiuti, trasformando l'anima in modo tale da renderla irriconoscibile, quasi non sia più quella di prima. La debolezza che le pareva di avere per non fare penitenza si è convertita in fortezza. E se precedentemente il suo attacco ai parenti, agli amici e ai beni terreni era tale che né i suoi atti interiori, né le sue decisioni, né la sua stessa volontà riuscivano ad infrangerlo, sembrandole anzi di attaccarvisi di più, ora invece si sente così libera da dispiacersi anche di quei rapporti che non può troncare senza offesa di Dio. Avendo sperimentato che il vero riposo non le può venire dalle creature, sente noia di tutto.

9 - Sembra che mi estenda troppo; eppure potrei dire assai di più. Chi ha ricevuto da Dio questa grazia, vedrà che non sono lunga. Non è dunque da meravigliarsi se questa piccola farfalla, sentendosi straniera fra le cose della terra, cerchi di riposarsi in qualche altra parte. Ma dove andrà la poverina? Tornare donde è uscita non può, giacché, come ho detto, non è cosa in suo potere, nonostante ogni suo possibile sforzo, finché Dio non si compiaccia di favorirla nuovamente. Che nuovi tormenti cominciano allora per lei! O Signore!... E chi lo può credere dopo grazie così sublimi? Sì, finché si vive, in un modo o in un altro si ha sempre da soffrire.
Se qualcuno afferma di essere giunto a questo stato, sempre fra consolazioni e delizie, gli rispondo che non vi è giunto affatto o, per lo meno, che essendo entrato nella mansione precedente, vi ha goduto qualche rara consolazione, aiutata anche quella dalla sua naturale debolezza, per non dire forse dal demonio che gli abbia dato un po' di pace per muovergli in seguito una guerra più accanita.

10 - Non voglio dire con ciò che gli abitanti di questa mansione non abbiano la pace: l'hanno e molto grande, perchè le stesse sofferenze sono qui tanto preziose e di così eccellente radice che, nonostante la loro alta intensità, generano pace e contento. Dal disgusto che ispirano le cose del mondo nasce nell'anima il desiderio di abbandonarlo; ed è un desiderio così penoso che la poverina, per aver un po' di sollievo, deve pensare essere volontà di Dio che viva in esilio. Alle volte non basta neppur questo, perché l'anima, nonostante i suoi molti progressi, qui non è ancora così sottomessa al volere di Dio come lo sarà più avanti. Tuttavia non lascia di rassegnarsi, sia pure con pena e con abbondanza di lacrime, non potendo far altro perché di più non le è ancora concesso. Sperimenta questa pena ogni qualvolta si mette in orazione, pena che in parte le deriva dal dolore vivissimo di vedere Iddio vilipeso e poco onorato dal mondo, e nel considerare il gran numero di eretici e di mori che van perduti, benché lo senta assai di più per la perdita dei cristiani. Teme che molti sian quelli che si dannino, sebbene non ignori la grandezza della misericordia di Dio e sappia che quegli infelici possono sempre correggersi e salvarsi, nonostante la malvagità della loro vita.

11 - Oh, grandezza di Dio! Pochi anni, forse pochi giorni prima, quest'anima non pensava che a se stessa.
Chi ora l'ha posta in sollecitudini così penose? Noi non riusciremmo ad averne di sì intense neppure se vi consumassimo intorno molti anni di meditazione. E che? Io dunque non potrei avere tali cure nemmeno impiegando giorni ed anni a meditare il gran male che è l'offesa di Dio, nel pensare che quanti si dannano sono suoi figli e miei fratelli, nel considerare i pericoli in cui ci troviamo e quanto ci sarebbe vantaggioso uscire una buona volta da questa miserabile vita? No, figliuole! La pena che queste riflessioni producono non è come quella di cui parlo. Con l'aiuto di Dio, e indugiandoci molto nelle suddette riflessioni, possiamo pure averne, ma non mai così penetrante come l'altra, la quale sembra che stritoli e macini l'anima senza che essa vi contribuisca, né alle volte lo voglia. Ma allora in che consiste? Donde viene? Ve lo voglio dire.

12 - Non vi ricordate di ciò che vi ho detto - sebbene non a questo proposito - in riguardo alla sposa che Dio ha introdotto nella cella vinaria, ordinando in lei la carità? E' quello che avviene qui. L'abbandono con cui quest'anima si è rimessa nelle mani di Dio, unito al grande amore che ella gli porta, la rende così soggetta da non sapere né volere che una cosa: che Egli faccia di lei tutto quello che vuole. Credo infatti che Dio non conceda mai questa grazia se non all'anima che già ritiene tutta sua. E così, senza che ella se ne accorga, fa in modo che esca da questo stato segnata con il suo sigillo. Del resto, qui l'anima non è più di una cera su cui s'imprima il sigillo. La cera non s'imprime il sigillo da sé: essa non fa che tenersi pronta a riceverlo con la sua mollezza. Ma anche in questo non è essa che si modifica: ciò che essa fa è soltanto di stare immobile senza opporre resistenza. Oh, bontà di Dio! Anche qui dev'esser tutto a vostre spese! L'unica cosa che chiedete è la nostra volontà: cioè, che la cera non opponga resistenza.

13 - Questo, dunque, sorelle, è quello che Dio fa per indurre l'anima a riconoscersi per sua. Le dà quello che ha, vale a dire, le stesse disposizioni avute in terra da suo Figlio: grazia veramente incomparabile. Chi più di suo Figlio ha desiderato di uscire da questa vita? Lo ha detto Lui stesso nella cena: Ho desiderato con desiderio Oh, Signore! E non pensavate alla morte che vi attendeva crudele, dolorosa e terribile? - No, il grande amore e il desiderio che tutti gli uomini si salvassero, superavano di gran lunga quelle pene, senza poi dire che le ritenevo da nulla di fronte alle molte altre che poi ho patito, e che patisco tuttora da che sono nel mondo. -

14 - È proprio così, e l'ho meditato spesso. Pensando al dolore che ha sofferto e soffre un'anima di mia conoscenza - dolore così intollerabile che pur di non soffrirlo amerebbe meglio morire - mi domandavo: se così insopportabile è il tormento di un'anima la cui carità, dopo tutto, non è neppure paragonabile a quella di Cristo, che cosa avrà mai provato il Signore, e quale sarà mai stata la sua vita, avendo sempre innanzi ogni cosa e vedendo continuamente le gravi offese che si facevano al Padre suo? Questo tormento dovette essere assai più grave di tutti quelli della sua sacratissima passione. Questa, se non altro, segnava la fine di ogni suo travaglio. E questo pensiero, unito alla consolazione di sapere che la sua morte sarebbe stata di nostro rimedio, e che con i suoi patimenti avrebbe dimostrato al Padre il grande amore che gli portava, doveva addolcire i suoi dolori. Non è così che avviene anche fra noi? Quando uno si dà a grandi penitenze con alto impeto di amore, nemmeno quasi le sente. Anzi, vorrebbe farne assai di più, e gli par tutto poca cosa... Così nostro Signore in quell'occasione così propizia per dimostrare al Padre suo con quanta perfezione gli ubbidisse e quanto amasse noi uomini! Oh, che gioia soffrire per fare la volontà di Dio! Ma vedere la Maestà di Dio continuamente offesa, e avvertire il gran numero di anime che si dannano, io lo credo così penoso che se nostro Signore fosse stato un semplice uomo, un giorno solo di questo tormento sarebbe bastato, a mio parere, per troncargli, non già una, ma molte vite.

Capitolo 3

Prosegue sul medesimo argomento, e parla di un'altra specie di unione, per raggiungere la quale giova molto l'amore del prossimo - Capitolo molto utile

1 - Torniamo ora alla nostra piccola colomba e vediamo qualche cosa di ciò che Dio le accorda in questo stato. Però - e bisogna esserne persuase - l'anima non deve mai lasciare d'avanzarsi nel servizio di Dio e nel proprio conoscimento, perché se si tiene paga di ricevere questa grazia e, credendosi sicura, vive trascurata, abbandonando la via del cielo, consistente nell'osservanza dei comandamenti, le avverrà come alla farfalla del baco, la quale getta il seme per dar vita ad altre farfalle, ma essa muore e rimane morta per sempre. Dico che getta il seme, perché Dio vuole che grazie così grandi non siano date invano. Perciò, se quell'anima non se ne giova, fa in modo che se ne giovino gli altri. Con i desideri e le virtù che le vengono dal perseverare nel bene, quell'anima comunica a varie altre il suo stesso calore. Anzi può rimanerle il desiderio di giovare al prossimo anche dopo aver perduto ogni calore, godendo di far conoscere le grazie che Dio accorda a chi lo ama e lo serve.

2 - Ciò è avvenuto a una persona di mia conoscenza. Nonostante il suo cattivo stato, godeva che altri si approfittassero delle grazie da lei avute, e si compiaceva d'insegnare il cammino dell'orazione a chi lo ignorava. In questo modo fece del gran bene, e il Signore le ritornò la sua luce. È vero che non era ancora giunta ad avere gli effetti di cui parlo. Però, quanti son coloro che, chiamati da Dio all'apostolato, onorati come Giuda delle sue stesse comunicazioni ed elevati al regno come Saul, finiscono poi, per loro colpa, col perdersi! Impariamo da ciò, sorelle mie, che il mezzo più sicuro per progredire in nuovi meriti e non mai perderci come questi infelici, è l'obbedienza, accompagnata dall'esatto adempimento della legge di Dio. Parlo non solo alle anime che ricevono queste grazie, ma anche alle altre.

3 - Malgrado quello che ho detto, mi pare che questa mansione rimanga ancora molto buia. Tuttavia, siccome è di sommo interesse l'entrarvi, è bene non perderne la speranza, neppure se il Signore non comparta questi favori soprannaturali, perché con il suo aiuto la vera unione si può conseguire benissimo, sforzandosi di acquistarla col sottomettere la propria alla volontà di Dio. Quanti dicono cosa, persuasi di non voler altro, e di essere anche disposti a sacrificare la vita! Se foste tali veramente, vi direi e non cesserei di ripetervi che questa grazia l'avete già. Di quell'altra unione accompagnata da delizie, non preoccupatevi affatto. Il più prezioso di quella dipende tutto da questa, e non lo si può conseguire se non dopo essersi stabiliti nella sottomissione al volere di Dio. Oh, unione desiderabile che è mai questa! Felice l'anima che l'ha raggiunta! Essa ha pace in questa e nell'altra vita, perché, a parte il pericolo di perdere Dio e il dolore di vederlo offeso, non vi è allora più nulla che la possa affliggere, non la povertà, non le malattie, neppure la morte, eccetto quella di coloro che nella Chiesa di Dio possono fare del bene, vedendo essa chiaramente che il Signore sa disporre le cose meglio di come ella le desideri.

4 - Dovete avvertire che non tutte le pene sono del medesimo genere. Alcune - come pure alcune gioie - sono un prodotto spontaneo della natura e della carità, come la compassione dei mali altrui, sofferta pure da nostro Signore quando risuscitò Lazzaro. Queste non solo non impediscono che l'anima stia unita alla volontà di Dio, e non la turbano con moti violenti afflittivi e di lunga durata, ma passano anche presto, e, come ho detto parlando delle delizie dell'orazione, lungi dal penetrare sino al fondo dell'anima, non toccano che i sensi e le potenze. Il loro campo principale è nelle mansioni precedenti, mentre in quelle che dirò per ultimo non entrano neppure. In questa specie di unione la sospensione delle potenze di cui ho fatto parola, non è necessaria. Il Signore è onnipotente: può arricchire le anime per molte vie, e farle arrivare a questa mansione senza la scorciatoia di cui ho parlato.

5 - Persuadetevi intanto, figliuole mie, che il verme deve assolutamente morire, e morire a nostre spese. Nell'altra unione l'aiuta molto a morire la nuova vita che l'attende; ma qui bisogna che l'uccidiamo noi, pur continuando a vivere di questa vita. Ciò non si può fare se non a prezzo di grandi lotte; ma se ne avrà la ricompensa, e tanto grande quanto la vittoria. Nessun dubbio che vi si possa giungere, purché l'unione con la volontà di Dio sia vera. Questa è l'unione che io ho sempre desiderato e che non cesso mai di domandare a Dio, perché più evidente e più sicura.

6 - Oh, noi infelici! Come sono pochi quelli che la raggiungono! Si crede di aver fatto tutto perché si è entrati in religione e si evita l'offesa di Dio! Ma, ohimé! restano ancora certi vermi che non si lasciano conoscere, finché, come quello che rose l'edera di Giona, non abbiano rovinata ogni virtù, quali l'amor proprio, la propria stima, i più piccoli giudizi temerari e certe mancanze di carità verso il prossimo che non si ama come noi stessi...
Se adempiamo i nostri doveri per forza, unicamente per non commettere peccato, siamo molto lontane dalle disposizioni necessarie per essere unite del tutto alla volontà di Dio!

7 - Secondo voi, figliuole mie, in che consiste questa divina volontà? Nell'esser noi così perfette da formare una cosa sola col Figliuolo e col Padre, come Gesù Cristo ha domandato. Ma quanto ci manca per arrivare a questo punto! Per me vi confesso che scrivendo queste cose, lo faccio con grandissima pena, perché vedo che per mia colpa ne sono ancora molto lontana. Per arrivarvi non è necessario che il Signore ci dia grandi consolazioni: basta quello che ci ha dato con l'aver mandato suo Figlio ad insegnarci la strada. Non crediate però che la conformità alla volontà di Dio consista nel non sentire dispiacere se muore mio padre o mio fratello, oppure nel sopportare con gioia eventuali tribolazioni o infelicità. Sarebbe buona cosa, ma alle volte potrebbe essere frutto di umana discrezione, in quanto che, vedendo che non v'è più rimedio, si fa di necessità virtù. Quanti atti di questo genere ed altri consimili seppero pur fare i filosofi con la loro sapienza! Per noi la volontà di Dio non consiste che in due cose: nell'amore di Dio e nell'amore del prossimo. Qui devono convergere tutti i nostri sforzi. E se lo faremo con perfezione, adempiremo la volontà di Dio e gli saremo unite. Ma quanto siamo lontane dall'osservare questi precetti nel modo che un tal Signore si merita! Piaccia a Dio di farci un giorno arrivare: cosa che del resto è in nostra mano, purché lo vogliamo!

8 - Il segno più sicuro per conoscere se pratichiamo questi due precetti è vedere con quale perfezione osserviamo quello che riguarda il prossimo. Benché vi siano molti indizi per conoscere se amiamo Dio, tuttavia non possiamo esserne sicuri, mentre lo possiamo essere quanto all'amore del prossimo. Anzi, più vi vedrete innanzi nell'amore del prossimo, più lo sarete anche nell'amore di Dio: statene sicure. Ci ama tanto Iddio, che in ricompensa dell'amore che avremo per il prossimo, farà crescere in noi, per via di mille espedienti, anche quello che nutriamo per Lui. E di ciò non v'è dubbio.

9 - Di grande importanza per noi è osservare attentamente come su questo punto ci diportiamo,perché se vi mettiamo grande perfezione, tutto è fatto. Ma per la miseria della nostra natura credo che non arriveremo mai ad avere perfetto amore del prossimo, se non lo faremo nascere dalla medesima radice dell'amore di Dio. Perciò, sorelle mie, siccome l'affare è importantissimo, procuriamo di esaminare noi stesse fin nelle più piccole cose, senza far conto di certe idee che alle volte ci vengono in massa durante l'orazione, per le quali ci pare di esser pronte per amore del prossimo a intraprendere e a far cose molto grandi, anche per la salvezza di un'anima sola. Se le nostre opere non vi corrispondono, non abbiamo motivo di crederci da tanto. Così si dica per ciò che riguarda l'umiltà e le altre virtù. Le astuzie del demonio sono grandi. Per farci credere che possediamo una virtù, mentre non l'abbiamo, metterà in moto tutto l'inferno, e ne avrà ragione per il gran danno che ci può fare, perché queste virtù, derivando da tale radice, saranno sempre con qualche vanagloria, contrariamente a quelle di Dio, dalle quali esula con essa anche la superbia.

10 - Non posso a meno di ridere, alle volte, nel vedere quello che succede ad alcune anime. Quando sono in orazione, sembra loro di esser disposte per amor di Dio ad ogni umiliazione e pubblico scherno; ma poi, potendolo, nasconderebbero anche il più piccolo difetto! Non parliamo se venissero accusate di una mancanza non commessa! Dio ce ne liberi!.. Ora, chi non può sopportare queste cose, si guardi bene dal far conto di ciò che in se stesso crede di stabilire, perché i suoi propositi non sono che un effetto di pura immaginazione, non un'efficace determinazione di volontà, nel qual caso la cosa sarebbe ben diversa. È appunto per l'immaginazione che il demonio tende i suoi lacci e i suoi inganni. E a quelli che sono poco istruiti, come noi donne, ne può tendere moltissimi, perché non sappiamo distinguere la differenza che passa fra le potenze e l'immaginazione, né le molte altre cose che sono nel nostro interno. Com'è facile, sorelle, distinguere fra voi chi ha il vero amore del prossimo da chi non lo possiede con tanta perfezione! Se comprendeste quanto importi tal virtù, non vi applichereste ad altro studio.

11 - Quando vedo delle anime tutte intente a rendersi conto dell'orazione che hanno, e così concentrate quando sono in essa da far pensare che rifuggano dal più piccolo movimento e dal divertire il pensiero per paura di perdere quel po' di gusto e di devozione che sentono, mi persuado che ancora non conoscono come si arrivi all'unione. Pensano che sia tutto nel far così. No, sorella mia! Il Signore vuole opere. Vuole, ad esempio che non ti curi di perdere quella devozione per consolare un'ammalata a cui vedi di poter essere di sollievo, facendo tua la sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare a lei da mangiare; e ciò non tanto per lei, quanto perché sai che questa è la volontà di Dio. Ecco in che consiste la vera unione con il volere di Dio! Altrettanto se senti lodare una persona: devi rallegrarti di più che se quelle lodi fossero per te. E questo ti sarà facile, se avrai l'umiltà, nel qual caso le lodi sono piuttosto di pena. E ancora, godere che le virtù delle sorelle, siano conosciute, sentir pena di un loro difetto, come se fosse tuo, e cercare di coprirlo. Ma su questo punto mi sono già estesa in altro luogo.

12 - Sorelle, se in questo mancassimo, saremmo perdute! Piaccia a Dio che ciò non avvenga! Vi assicuro che facendo come ho detto, otterrete di arrivare a questa unione, mentre in caso contrario persuadetevi di non arrivarvi mai, nonostante che possiate avere devozione e delizie spirituali sino a credere d'esservi giunte, e andiate soggette, durante l'orazione di quiete, ad alcune piccole sospensioni, in base alle quali certe anime credono che tutto sia fatto. Pregate il Signore che vi conceda l'amore del prossimo in tutta la sua perfezione e lasciate fare a Lui. Se da parte vostra vi sforzerete e farete il possibile per procurarvelo; se costringerete la vostra volontà ad accondiscendere in tutte a quella delle sorelle, anche a scapito dei vostri diritti; se nonostante tutte le ripugnanze della natura, dimenticherete i vostri interessi per non attendere che ai loro, e, presentandosene l'occasione, prenderete su di voi ogni fatica per esentarne le altre, Egli vi darà più di quanto sappiate desiderare. Non crediate che questo non vi debba costare, e che abbiate già fatto ogni cosa. Considerate quanto é costato al nostro Sposo l'amore che ha nutrito per noi: per liberarci dalla morte ha subito la morte più crudele, quella della croce.

Capitolo 4

Prosegue sul medesimo argomento e dichiara più ampiamente questa specie di orazione - Quanto importi camminare con attenzione, perché il demonio mette in opera ogni mezzo per far retrocedere le anime dalla via incominciata

1 - Mi pare che bramiate conoscere cosa faccia la colombina e dove vada a riposarsi, perché, sapendo ormai volare molto alto, non si ferma più né fra le dolcezze spirituali, né fra le soddisfazioni della terra. Ma non posso appagare il vostro desiderio che all'ultima mansione; e anche allora piaccia a Dio che mi ricordi e abbia tempo di farlo. Sono già cinque mesi che ho cominciato questo lavoro; e siccome la mia testa non mi permette di rileggerlo, dev'essere un disordine completo, con alcune cose dette forse due volte. Ma dovendo servire per le mie sorelle, non me ne preoccupo.

2 - Vi voglio spiegare più chiaramente in che consista l'orazione di unione, servendomi di un paragone, conformemente al mio ingegno, e parleremo più a lungo di questa piccola farfalla, la quale, benché non sappia fermarsi né trovare in nulla il suo riposo, tuttavia non cessa di far del bene a sé e agli altri, nonostante ogni contraria apparenza.

3 - Avrete spesso sentito dire che Dio si sposa spiritualmente con le anime. Sia benedetta la sua misericordia per tanta umiliazione!... Si tratta di un paragone grossolano; eppure non trovo nulla che faccia meglio intendere queste cose come il sacramento del matrimonio. Certo che la differenza è molto grande, perché nell'alleanza di cui parliamo non vi è nulla che non sia spirituale: quella corporea ne rimane molto lontana, e lontane le mille miglia dai gusti e dalle consolazioni spirituali che qui il Signore concede, sono pure le soddisfazioni di chi contrae matrimonio. E' l'amore che si unisce all'amore, e si hanno operazioni così pure, delicate e soavi da non aver parole per esprimersi. Ma il Signore sa farle sentire benissimo.

4 - Benché l'unione non arrivi ancora ad essere fidanzamento spirituale, tuttavia vi succede come nel mondo, quando due devono fidanzarsi: si esamina se uno conviene all'altro e se desiderano di unirsi, poi si permette che si vedano, affinché ne siano entrambi soddisfatti. Supponiamo nel caso nostro che il contratto sia già stipulato, che l'anima sia ben informata di quanto quell'unione le convenga, e sia decisa a sottomettersi in tutto alla volontà dello Sposo, non tralasciando nulla di quanto vedrà di suo gradimento. Intanto il Signore, vedendo che l'anima è proprio in queste disposizioni, si dichiara contento di lei e, volendo farsi meglio conoscere, le concede la grazia di venire, come suol dirsi, a un incontro, per poi unirla a sé. E tutto questo in brevissimo spazio di tempo, non essendovi di mezzo più alcun contratto, ma soltanto uno sguardo, mediante il quale l'anima vede - e in maniera molto misteriosa - chi sia lo Sposo che deve prendere, riportandone una tale conoscenza, quale non potrebbe acquistare neppure in mille anni con l'esercizio dei sensi e delle potenze.
Con quel semplice sguardo lo Sposo, essendo Quegli che è, fa l'anima più degna di andare a dargli la mano, mentre l'anima ne rimane talmente rapita da far poi tutto il possibile per realizzare il fidanzamento. Ma se invece si trascura sino a porre le sue affezioni sopra altro oggetto che non sia Lui, perde ogni cosa, e con perdita tanto più grave quanto più eccelse sono le grazie che Egli le terrebbe riserbate: insomma, una perdita da non potersi descrivere.

5 - Anime cristiane che Dio ha condotto fin qui, vi prego per amor suo di non mai trascurarvi e di fuggire le occasioni, perché qui l'anima non è ancora così forte da saperle affrontare come dopo il fidanzamento, che ha luogo nella mansione seguente. L'incontro con lo Sposo qui è soltanto con uno sguardo; e il demonio mette in moto ogni cosa per combattere l'anima e impedirle di fidanzarsi. Dopo invece, vedendola tutta dello Sposo, va più a rilento e ne ha paura, conoscendo per esperienza che se qualche volta l'assale, egli ne rimane con gran perdita, ed ella con maggior vantaggio.

6 - Eppure ho conosciuto alcune persone molto avanzate che dopo esser giunte sin qui, il demonio è riuscito a far sue, mediante insidie ed astuzie sottili. Credo che, pur di riuscirvi, debba mobilitare tutto l'inferno, essendo persuaso che rovinare un'anima sola di queste è rovinarne una moltitudine. V'è da ringraziare il Signore nel considerare il gran numero di anime che Dio attira a sé mediante il concorso di una sola. Quante migliaia ne han convertite i martiri! Quante una donzella come S. Orsola! Quante ne ha rapite al demonio un S. Domenico, un S. Francesco ed altri fondatori di Ordini! e quante gliene rapisce tuttora il P. Ignazio, fondatore della Compagnia! Se è vero che essi ricevevano da Dio queste grazie, come appare dalla lettura della loro vita, è pur vero che, se giunsero a tanto, fu solo perché si sforzarono di non andar privi, per loro colpa, di un sì divino fidanzamento. Ah, figliuole mie, il Signore è disposto a darci grazie non meno oggi che allora. Anzi, sembra quasi che oggi abbia maggior bisogno che si ricevano, perché pochi sono coloro che zelano, come allora, la sua gloria. Ma è che amiamo troppo noi stesse! Siamo troppo attente a non perdere i nostri diritti ! Oh che grande inganno!... Ci dia luce il Signore nella sua infinita misericordia, per non cadere fra tante tenebre!...

7 - Mi potreste esporre od opporre due difficoltà. Primo: se l'anima è così conforme al volere di Dio, come si è detto, e non vuol fare in nulla la propria volontà, come può cadere in inganno? Secondo: per quali vie il demonio può introdursi in voi e rovinarvi in maniera tanto pericolosa se siete lontane dal mondo, frequentate tanto i sacramenti, senza poi dire che qui vivete in compagnia di angeli, giacché, per bontà di Dio, ognuna di voi non desidera che di servire e piacere in tutto al Signore? Che ciò accada a chi vive fra i pericoli del mondo, nessuna meraviglia! Vi rispondo che avete ragione e che in questo il Signore ci ha fatto una grande grazia. Tuttavia, quando penso che Giuda viveva con gli apostoli e conversava con lo stesso Dio di cui udiva le parole, comprendo che non ci può essere sicurezza neppure nel nostro stato.

8 - Rispondendo ora alla prima difficoltà, dico che quest'anima non si perderebbe se si tenesse continuamente unita alla volontà di Dio. Ma viene il demonio con le sue grandi astuzie, e sotto colore di bene la distacca a poco a poco da quella divina volontà in certe piccole cosette, ingannandola in varie altre col farle credere che non siano cattive. Le offusca l'intelligenza, le raffredda la volontà, le fa crescere l'amor proprio; e così, da una in altra cosa, la vien separando dal volere di Dio ed accostando al suo proprio. Con questo rimane sciolta anche la seconda difficoltà, perché non vi è clausura tanto stretta che al demonio possa essere inaccessibile, né deserto così sperduto che egli non sappia rintracciare. Però vi faccio osservare quest'altra cosa: il Signore potrebbe permettere tutto questo per vedere come si diporti quell'anima di cui vorrebbe servirsi per illuminare le altre, perché se ella ha da essere infedele, è meglio che lo sia subito, piuttosto di divenirlo quando può far danno a molte altre.

9 - Ecco il rimedio che mi sembra più efficace. Presupposto che si preghi continuamente per chiedere a Dio che ci sostenga con la sua mano, pensando spesso che se Egli ci abbandona, cadiamo subito e indubbiamente nell'abisso; presupposto di non mai commettere la pazzia di confidare in noi stesse, dobbiamo esaminare con particolare cura ed attenzione come ci esercitiamo nella virtù, se progrediamo o torniamo indietro, specialmente in ciò che riguarda l'amore vicendevole, il desiderio di essere tenute le ultime di tutte, e così pure come disimpegniamo le cose ordinarie. Esaminandoci seriamente e pregando il Signore a illuminarci vedremo subito dove guadagniamo e dove invece perdiamo. Non dovete credere che Dio, dopo avere elevato una anima tanto in alto, l'abbandoni poi sì facilmente che il demonio, per ciò ottenere, non debba molto faticare. Anzi, gli dispiace tanto la sua perdita che non cessa d'inviarle molti avvisi interiori: per cui il pericolo che corre non le può essere nascosto.

10 - Insomma, procuriamo di andar sempre innanzi e temiamo molto se non facciamo progressi, perché vuol dire che il demonio sta meditando qualche assalto. Non avanzare è un segno molto cattivo, perché l'amore non è mai ozioso: è impossibile che un'anima giunta tanto in alto cessi di andare innanzi. Se aspira a diventare sposa di Dio, con il quale è già venuta ai primi accordi, non deve certo dormire. Intanto, figliuole mie, per mostrarvi come il Signore tratta le anime che già considera sue spose, entriamo a parlare delle seste mansioni, e vedrete come sia insufficiente per disporci a tali grazie, non solo il poco che facciamo, ma neppure il molto che potremmo fare e soffrire. Ben può essere che il Signore abbia disposto che mi ordinassero di scrivere queste cose, affinché, fissati gli sguardi sul premio, e vedendo quanto sia infinita la sua misericordia nel manifestarsi e comunicarsi con dei vermi come noi, dimentichiamo le nostre piccole soddisfazioni terrene, e corriamo infiammate dal suo amore, occupate soltanto della sua grandezza.

11 - Piaccia a Dio che di un argomento così difficile sappia almeno dire qualche cosa! Certo che se Egli e lo Spirito Santo non muovono la mia penna, ne sarò affatto incapace. Ma nel caso che questo scritto non vi debba essere di profitto, prego i1 Signore di non permettermi di dir parola, non avendo io altro di mira - come Egli conosce e io ne posso giudicare - che di dar gloria al suo nome e ottenere che ci sforziamo di servirlo, dato che tanto ricompensa fin da questa terra, dove le sue grazie ci fanno intravvedere quanto ci darà un giorno nel cielo senza le interruzioni, i travagli e i pericoli che s'incontrano in questo mare tempestoso. Sarebbe un gran conforto poter vivere e lavorare sino alla fine del mondo per la gloria di un Dio così grande, nostro Sposo e Padrone! Ma vi è il pericolo di offenderlo e di finire col perderlo!... Piaccia al Signore che meritiamo di rendergli almeno qualche servizio, scevro di quelle imperfezioni che sempre ci accompagnano, anche nelle buone opere! Amen.

Bellarmino
01-01-05, 12:51
SESTE MANSIONI

Prima parte cap 1/5

Seconda parte cap 6/11

Capitolo 1

Quanto più grandi sono le grazie che il Signore comincia a compartire, tanto più gravi sono i travagli che ne vengono - Si parla di alcuni di essi, e si dice come li sopporti chi è entrato in questa mansione - Utile per le anime che soffrono pene interiori

1 - Con l'aiuto dello Spirito Santo, veniamo ora a parlare delle seste mansioni, nelle quali l'anima, già ferita dall''amore dello Sposo, cerca con maggior cura di starsene in solitudine, sfuggendo, per quanto il suo stato glielo permette, tutto ciò che la potrebbe distrarre. La vista dello Sposo l' ha così colpita, che ora ogni suo desiderio è di tornare a goderlo. Qui veramente non si vede nulla per dover usare la parola vista, neppure con l'immaginazione; ma se l'adopero è per il paragone che ho adottato. L'anima, dunque, è fermamente decisa di non prendere altro sposo. Ma lo sposo, invece di guardare all'ardore con cui ella desidera che si celebri il fidanzamento, vuole che i suoi desideri si rendano più intensi, e che quel bene, superiore a ogni bene, le costi almeno qualche cosa. È vero che di fronte a un tanto bene vi è ben poco che valga; ma vi devo pur dire, figliuole, che non meno grandi sono anche le prove che d'ora innanzi le succedono, tanto che per sopportarle ha bisogno di quei pegni di cui si vede favorita. Oh, mio Dio!... Quali pene interiori ed esteriori deve mai ella soffrire prima di entrare nella settima mansione!...

2 - In verità, quando vi penso temo che, prevedendole, sia assai difficile che la nostra debolezza si risolva a sopportarle, neppure con la prospettiva di una infinità di vantaggi, a meno che non si sia già arrivati alla settima mansione, dove non si ha più paura di nulla e dove l'anima è decisamente risoluta a sopportare qualsiasi cosa per amore di Dio. La ragione è che allora è quasi sempre in intima unione col Signore, da cui le deriva ogni forza. Credo utile descrivervi alcune pene che qui si soffrono, e che io conosco assai bene. Certo che non tutte le anime sono condotte per questa strada. Tuttavia, quelle che Dio favorisce di tali cose di cielo, sia pure ad intervalli, è mio parere che, in un modo o in un altro, debbano andar soggette alle sofferenze della terra. Non era mia intenzione fermarmi su di ciò; ma poi ho pensato che la cognizione di ciò che soffrono le anime, a cui Dio comparte tali grazie, può essere di conforto a chi si trova in dette angustie, nelle quali sembra veramente che tutto sia perduto. Nel parlarne non seguirò l'ordine con cui si succedono, ma come mi si presenteranno alla mente.

3 - Voglio cominciare dalle più piccole, che sono le mormorazioni, tanto delle persone con cui si hanno rapporti, come di quelle con cui non se ne hanno, e di cui non si avrebbe mai pensato che potessero occuparsi delle cose nostre. Dicono: " Vuol far la santa! Fa di tutto per ingannare il mondo e screditare gli altri, che sono assai migliori di lei, benché senza tante cerimonie! ". Si noti intanto che ella non fa proprio cerimonie, ma cerca solo di osservare esattamente ciò che esige il suo stato. Tuttavia, quelli che riteneva per amici si allontanano da lei, e facendosi suoi nemici l'assalgono con i morsi più dolorosi e più sensibili: " Quell'anima è un'illusa! È in inganno evidente! Sono artifizi del demonio! Le avverrà come a quella e a quell'altra che andarono perdute! Dà motivo di screditare la virtù! Inganna i confessori!...E andranno a dirlo agli stessi confessori, citando l'esempio di coloro che per quella, via si sono perduti. E mille altri scherni e dicerie.

4 - Io so di una persona che, al punto a cui le cose eran giunte, temeva di non poter più trovare chi volesse confessarla. Non mi fermo a raccontare i particolari, perché troppo numerosi. Il peggio è che questa guerra non termina tanto presto, ma dura tutta la vita, perché gli uni raccomandano agli altri di stare in guardia e di non trattare con tali anime. Mi direte che vi sono anche di quelli che ne parlano bene. Si, figliole, ma come pochi di fronte al gran numero dei denigratori! Del resto, per quell'anima le lodi non sono che un motivo di tormento, perché, essendosi veduta poco prima in grandi peccati e molto povera, riconosce che se ora ha qualche bene, questo non è suo, ma di Dio che gliel' ha dato, per cui la stima degli uomini le si fa intollerabile: almeno da principio, poi la pena diminuisce, e ciò per più motivi. Primo, perché l'esperienza la persuade che gli uomini tono tanto pronti a dir bene che a dir male, per cui non fa più conto di una cosa che dell'altra. Secondo, perché Dio le fa maggiormente conoscere non essere in lei alcun bene che non provenga da Lui, e perciò non fa che ringraziarlo, dimenticando la parte che ella vi ebbe, quasi sia di altri. Terzo, perché vedendo alcune anime far progressi nel conoscere le grazie di cui ella è favorita, pensa che il Signore voglia ad esse giovare mediante la stima di cui quelle la circondano senza suo merito. Quarto, perché occupandosi dell'onore e della gloria di Dio più che di se stessa, si sente libera dal timore, comune ai principianti, che quelle lodi le siano di danno, come lo furono ad alcune persone di sua conoscenza. Pur di ottenere che per suo mezzo Dio sia lodato una volta sola di più, non si cura neppure di cadere nel disonore: avvenga quel che vuole avvenire.

5 - Queste ed altre ragioni attenuano la gran pena che le lodi le producono. Tuttavia, ne sente sempre qualche cosa, a meno che non vi presti attenzione. Ma incomparabilmente più grave di tutti è il tormento di vedersi pubblicamente ritenuti per buoni senza alcuna ragione. Quando un'anima arriva a non curarsene, molto meno si curerà delle critiche: queste anzi la ricreeranno come una musica soave. E ciò è verissimo, perché i frutti di quel cammino fanno l'anima più forte: lei stessa lo riconosce e vede che chi la perseguita non lo fa con offesa di Dio, ma solo perché così Egli permette allo scopo di farle ricavare maggiori beni. E siccome vede che è così, circonda quelle persone di una tenerezza tutta particolare, le riguarda come le sue amiche più sincere, perché le procurano maggiori vantaggi che non coloro che dicon bene di lei.

6 - Oltre a ciò il Signore suole inviare infermità molto gravi. Questa prova supera la precedente, soprattutto quando i dolori sono acuti: credo infatti che fra le prove esteriori non ve ne sia alcuna sulla terra che eguagli il tormento di gravissimi dolori. Intendo dolori molto forti: degli altri, ne vengano quanti vogliono. Dolori siffatti mettono sossopra l'interiore e l'esteriore: l'anima si altera, non sa più cosa fare, tanto che pur di sottrarsi a quel tormento, accetterebbe di buona voglia qualunque rapido martirio. Bisogna però dire che il dolore non dura sempre nella sua più alta intensità, perché Dio non dà più di quello che si può sopportare, e prima di tutto infonde pazienza. Ma in via ordinaria manda sofferenze molto gravi e malattie di ogni specie.

7 - Conosco una persona che da quando cominciò ricevere la grazia di cui ho parlato, vale a dire da quarant'anni a questa parte, può affermare di non aver mai avuto un sol giorno senza dolori e senza soffrire in diverse altre maniere, tanto per mancanza di salute corporale che per altri travagli molto gravi. È vero che era stata molto cattiva, e perciò di fronte all'inferno che aveva meritato, stimava tutto poca cosa. Forse chi non ha tanto offeso il Signore sarà condotto per altre vie, ma io preferisco sempre quella della croce, se non altro per imitare nostro Signore Gesù Cristo. Lo farei anche se non vi fosse alcun altro vantaggio: a maggior ragione nel vederne un sì gran numero.

8 - Che dire poi delle pene interiori? Se si potessero ben descrivere, come parrebbero leggere le esteriori!
Ma chi può descriverle nella maniera in cui si sentono? Cominciano col tormento d'incontrarci con un confessore così pauroso e poco sperimentato che non trova nulla di sicuro. Vedendo cose straordinarie, teme di tutto, dubita di tutto e condanna tutto come opera del demonio o effetto di melanconia, specialmente se nell'anima così favorita viene a scorgere qualche imperfezione, quasi che le persone a cui Dio fa tali grazie, debbano essere angeli, cosa assolutamente impossibile finché siamo in questo corpo. Ciò del resto non mi meraviglia. Ai nostri giorni la melanconia ha invaso il mondo: si è tanto diffusa, e il demonio se ne serve per tanti mali, che i confessori han ragione di temere e di guardarsene attentamente. Ma la povera anima che, essendo agitata dai medesimi timori, ricorre al confessore come a un giudice e si vede da lui condannata, cade in preda ad angosce e a inquietudini così vive da non essere comprese se non da chi le ha provate.
Altro supplizio di tali anime - specialmente se sono state imperfette - è di pensare che Dio permetta tale inganno in castigo dei loro peccati. È vero che quando ricevono tali grazie ne sono affatto sicure, e nemmeno possono dubitare che non siano dallo spirito di Dio; ma siccome quei favori passano rapidamente, mentre il ricordo dei peccati persevera, il loro tormento non tarda molto a ricominciare, specialmente se vedono in sé dei difetti, che non mancano mai. Godono un po' di pace quando il confessore le rassicura; ma se egli le impaurisce, la loro pena diviene insopportabile, specialmente se sono in una di quelle aridità in cui pare che non si abbia mai avuto, né si avrà mai alcun pensiero di Dio, udendo parlare del quale sembra che si accenni a una persona che si è sentita nominare molto tempo addietro.

9 - Ma questo è ancora nulla. Guai se oltre a ciò l'anima si lascia vincere dal timore di non sapersi manifestare e di ingannare i confessori! Allora non le giova a nulla neppure se, esaminandosi attentamente, non scorge in sé nemmeno un primo moto che tenga loro nascosto. L'intelletto è così al buio che non è più capace di vedere la verità, crede a tutte le rappresentazioni della fantasia, che allora è padrona, e a tutte le insinuazioni del demonio a cui Dio deve certo permettere di porre l'anima alla prova, sino a farle intendere di essere da Lui rigettata. Sono tanti gli assalti da cui è combattuta, ed ha un'angoscia interiore così tormentosa e intollerabile, che io non so ad altro paragonarla che alle pene dell'inferno. In tanta tempesta, ogni consolazione è proscritta; e se ne cerca qualcuna dal confessore, le vien da pensare che tutti i demoni si colleghino con lui per tormentarla di più. Un confessore che dirigeva un'anima sottoposta a questo supplizio le aveva detto, dopo che la prova era passata, che quando vi andasse soggetta, glielo facesse sapere, perché quell'angoscia, risultando da tante cose, gli pareva molto pericolosa. Ma siccome il male peggiorava dovette persuadersi che neppur lui vi poteva nulla. Se quell'anima prendeva un libro in volgare, le accadeva di non capirvi niente, come se non conoscesse neppur l'alfabeto, benché sapesse leggere benissimo: la sua intelligenza ne era affatto incapace.

10 - Per questa tempesta non vi è rimedio di sorta: bisogna aspettare la misericordia di Dio, il quale, con una sola parola o con qualunque fortuito avvenimento, toglie immediatamente ogni angoscia quando meno si pensa. Allora l'anima si sente inondata di gioia, e così piena di sole da sembrarle di non essere mai stata fra le tenebre. È come un soldato uscito vittorioso da una tremenda battaglia, e ringrazia il Signore che ha combattuto per lei, ottenendole di vincere. Da parte sua è persuasissima di non aver affatto combattuto, perché le armi con cui poteva difendersi le sembravano tutte fra le mani dei nemici. E così conosce la sua grande miseria e il poco che noi possiamo, quando Dio ci abbandona.

11 - Le pare che per intendere questa verità non abbia più bisogno di riflettere, perché l'esperienza avuta e la totale impotenza in cui si è trovata le hanno fatto conoscere il nulla del nostro essere e la bassezza della nostra miseria. Durante quella tempesta non ha offeso e non avrebbe offeso il Signore per alcuna cosa al mondo: perciò è in grazia, ma ella non lo sente. Anzi, le pare di non avere in sé neppure una scintilla di amor di Dio, né di averne mai avuto, sogno le buone opere compiute, e fantasia le grazie da Dio ricevute. Non vede altro che i suoi peccati, e questi con chiarezza.

12 - Oh, Gesù! ... Che spettacolo veder un'anima così abbandonata, a cui giovano a nulla tutte le consolazioni della terra! Sorelle, se vi succede di trovarvi in questo stato, non crediate che i ricchi e quelli che godono libertà siano in grado di aver rimedio più di voi. No, no. A quel modo che tutti i piaceri del mondo, posti innanzi ai condannati a morte, non solo non li confortano, ma accrescono il loro tormento, così qui, perché si tratta di una pena che vien dall'alto e non può esser guarita da alcuna cosa al mondo. Dio vuole che conosciamo la sua sovranità e la nostra miseria, essendo ciò importantissimo per quello che ha da venire.

13 - Che deve fare la povera anima se quel suo stato si prolunga per vari giorni? Se prega, è come se non pregasse (in riguardo, dico, ad averne consolazione) perché non solo non penetra il senso della preghiera, ma non sa neppure cosa dice, nonostante preghi vocalmente. Per l'orazione mentale, meno che meno: le sue potenze non vi sono disposte. Di maggiore pregiudizio le è pure la solitudine: e, ciò nonostante, non può soffrire la compagnia, né sentire alcuno che le parli senza sperimentarne un nuovo e particolare tormento. E così, malgrado ogni suo sforzo in contrario, non può a meno di mostrare all'esterno una certa noia e malumore che è impossibile non vedere. Sa dire ciò che prova? No. Si tratta di cose indicibili, di pene ed angustie spirituali che non si sanno nominare. Il miglior rimedio, non già per farle scomparire - che non ve n'è - ma solo per poterle alquanto sopportare, è di occuparsi in opere di carità o in altre cose esteriori, fiduciosi nella misericordia di Dio che non manca mai a chi in Lui confida. Sia Egli sempre benedetto! Amen.

14 - Quanto alle sofferenze esteriori causate dal demonio, non credo utile parlarne, perché devono essere molto rare e non tanto penose. Per quanto facciano, credo che i demoni non arrivino mai a inabilitare le potenze e a turbare l'anima nel modo che ho detto, rimane sempre la ragione per pensare che non possono andare più in là di quanto il Signore permette; e finché rimane la ragione, ogni pena è leggera di fronte a quello che ho detto.

15 - Parleremo di altre pene interiori trattando dei diversi modi di orazione e dei favori che Dio accorda in queste mansioni. Molte di esse superano in intensità le precedenti, come appare dallo stato in cui lasciano il corpo. Tuttavia non meritano il nome di pene, e non è giusto che così si chiamino: sono elettissime grazie di Dio, riconosciute come tali anche dall'anima che le soffre, tanto da giudicarle superiori a ogni suo merito.
La più grande di queste pene sopraggiunge all'ingresso della settima mansione, ed è accompagnata da molte altre. Parlerò soltanto di alcune, perché di tutte è impossibile, come è impossibile dichiararne la natura.
Hanno un'origine molto più alta delle precedenti; e se di quelle che sono di ordine più basso io non ho saputo dire che questo, meno ancora ne saprò dire della altre. Si degni Iddio, per i meriti di suo Figlio, di prestarmi in tutto il suo aiuto! Amen.

Capitolo 2

Diversi modi con i quali Iddio eccita l'anima - Si tratta di favori molto grandi e preziosi, nei quali, a quanto sembra, non vi è nulla da temere

1 - Sembra che abbiamo dimenticato la nostra piccola colomba, ma non è così perché le prove di cui ho parlato sono appunto quelle che la impennano a un volo più alto. Cominciamo ora a vedere come lo Sposo si comporta con lei. Prima di darsi a lei totalmente, la fa sospirare a lungo, usando certi mezzi molto delicati che la stessa anima non comprende, e che io non penso di saper spiegare se non per farmi intendere da chi ne ha l'esperienza. Si tratta di certi impulsi che procedono dal profondo dell'anima, così delicati e sottili da non aver paragoni neppure pper darne un'idea.

2 - Differiscono molto da quei sentimenti che possiamo procurare da noi stessi, come pure da quei gusti spirituali di cui abbiamo parlato. Spesso, quando meno si pensa e neppure si è occupati di Dio, Sua Maestà scuote l'anima come per un colpo di tuono o a guisa di cometa che passi rapidamente. Non si sente alcun rumore, ma l'anima intende che Dio l' ha chiamata, e lo intende così bene che alle volte, specialmente sul principio, trema ed esce in lamenti, benché nulla le dolga. Sente di essere stata ferita, ma non sa da chi, né in che modo. Però riconosce che è una ferita preziosa e non vorrebbe guarirne. Si lamenta con lo Sposo con esterne parole di amore, senza potersi frenare, perché conosce che Egli è presente e che ciò nonostante non vuol manifestarsi onde non lo goda. Intensissima è la pena che ne sente, ma deliziosa e soave: l'anima non potrebbe sottrarsene, neppure volendolo. Del resto, non lo vorrebbe nemmeno, perché prova più gioia in questa pena che non nella deliziosa sospensione dell'orazione di quiete, priva di ogni pena.

3 - Sto struggendomi per darvi ad intendere in che consista questa operazione di amore, ma non so come fare. Dire che l'Amato dia chiaramente a conoscere di essere con l'anima, e che ciò nonostante chiami l'anima con un segno così evidente da escludere ogni dubbio, con un fischio così penetrante che essa ode e le è impossibile di non udire, sembra importare contraddizione. Eppure, pare che lo Sposo, dalla settima mansione ove risiede, faccia sentire la sua voce senza dire parola, e che gli abitanti delle altre mansioni - sensi, immaginazione e potenze - non osino muoversi. O mio potente Signore, come sono grandi i vostri segreti! Come diverse le cose dello spirito da quanto si può vedere e intendere quaggiù, dove non c'è nulla che possa lumeggiare un fenomeno come questo, che pure è tanto piccolo di fronte ai molti che Voi operate nelle anime!

4 - L'effetto che ne risulta è che l'anima si va struggendo in desideri, pur senza sapere cosa brami, perché vede d'avere Iddio con sé. Voi mi direte: Ma se l'anima ha questa conoscenza, che altro desidera? Di che si affligge? Che cosa vuole di più? Non lo so. Ma so che questa pena sembra compenetrarla intimamente, e che quando le vien tolta la saetta da cui è stata ferita, le pare, per il grande amore di cui arde, che con la saetta le strappino pure le viscere. Ecco ciò che mi vien da pensare. Non potrebbe essere che dal fuoco dell'acceso braciere che è il mio Dio, si fosse spiccata una scintilla e fosse venuta a toccare l'anima facendole sentire l'ardore di quell'incendio? Non potrebbe essere che, essendo una scintilla molto deliziosa ma non tanto forte per consumarla, lasciasse l'anima in balìa della pena prodottale nel toccarla? Ecco, a mio parere, il miglior paragone che ho potuto trovare. Si tratta di un dolore delizioso che non è dolore e che non si fa sempre sentire nel medesimo grado. Alle volte dura a lungo e alle volte pochissimo, conforme piace al Signore comunicarlo, non essendo cosa che si possa ottenere con industria umana. Anche se si prolunga per un buon tratto di tempo, non è mai costante, ma va e viene. Perciò l'anima non finisce mai di abbruciarsi. Anzi, quando sta per accendersi, la scintilla si spegne, ed ella rimane con il desiderio di tornare all'amoroso tormento di cui quella scintilla le è causa.

5 - Qui non si tratta né di un effetto della natura o della melanconia, né di un'illusione prodotta dal demonio o dall'immaginazione: lo si vede assai bene, e se ne può essere sicuri. E' un movimento che proviene da dove abita Colui che è immutabile, e i cui effetti sono molto diversi da quelli delle altre devozioni, nelle quali il profondo assorbimento causato dal gusto spirituale può appunto ispirare qualche dubbio. Siccome i sensi e le potenze non sono sospesi, vanno considerando ciò che succede, ma senza mettervi ostacolo. Anzi, quanto a quella pena deliziosa, credo che non possano far nulla, né aumentarla né toglierla. Chi ha ricevuto da Dio questa grazia - e se l' ha ricevuta lo vedrà benissimo leggendo questo scritto - lo ringrazi infinitamente e non abbia paura di essersi ingannato. Tema soltanto di mostrarsene ingrato, e faccia il possibile per meglio servire il Signore e perfezionare la propria vita. Allora Iddio non cesserà di favorirlo e non si sa dove andrà a finire. Una certa persona che aveva ricevuto questa grazia l'aveva goduta per vario tempo, ne era talmente contenta che con essa si sarebbe ritenuta abbondantemente ripagata anche se avesse servito il Signore per molti anni in mezzo a grandi sofferenze. Sia Egli per sempre benedetto! Amen.

6 - Può essere che mi domandiate perché questo favore sia più sicuro degli altri. Ed eccone le ragioni. Primo, perché credo che il demonio non produca mai una pena così deliziosa come questa. Se può dar delizie e soavità che sembrano spirituali, non è però in suo potere unire alla sofferenza - e a tale sofferenza - tanta gioia e tranquillità di spirito. La sua potenza non si esplica che al di fuori; e le sue pene, quando le produce, nonché essere deliziose e tranquille, sono torbide e inquiete.Secondo, perché questo dolce uragano si scatena da una regione nella quale il demonio non può far nulla. Terzo, per i grandi vantaggi che ne derivano all'anima, i più comuni dei quali sono, fra gli altri, la risoluzione di patire per Iddio, il desiderio di avere molte croci e una determinazione fermissima di fuggire le soddisfazioni e le conversazioni del mondo, e altre cose consimili.

7 - Che non sia effetto d'immaginazione, lo si prova con l'incapacità di riprodurlo, neppure volendolo. È così chiaro, che l'illusione ne è assolutamente impossibile: impossibile, dico, che ci sembri essere quando non è, o si possa solo dubitarne. Anzi, se si rimane con dubbio - d'esserne o di non esserne stati favoriti - bisogna dire che non sono veri impeti, perché questi si fan sentire così bene, come alle orecchie del corpo una voce molto forte. E nemmeno si può dubitare che provenga da melanconia, perché questa fabbrica le sue chimere nell'immaginazione, mentre la pena di cui parlo procede dall'interno dell'anima. Ben può essere che m'inganni ma fino a quando persone competenti non mi apporteranno altre ragioni, io sarò sempre di questo parere. So di un'anima che temeva sempre di essere in inganno: eppure di questa orazione non poté mai dubitare.

8 - Il Signore ha pure altri mezzi per eccitare l'anima. Talvolta, ad esempio, mentre si prega vocalmente, senza alcun pensiero di cose interiori, par di sentire, tutto a un tratto, una certa soave infiammazione, simile a un profumo molto delizioso che ci investa d'improvviso, diffondendosi per tutti í sensi. Non già che si senta profumo o altra cosa somigliante: se adopero questo paragone, è per far intendere che lo Sposo è presente e che muove l'anima a un dolcissimo desiderio di goderlo, per cui essa rimane disposta a grandi atti e a impiegarsi tutta nel lodarlo. L'origine di questa grazia - che per l'anima è assai ordinaria - è la medesima della precedente. Tuttavia non vi è nulla che dia pena, neppure i desideri di vedere Iddio. Per alcune ragioni già dette, mi pare che non vi sia da temere nemmeno qui: ma bisogna ricevere questo favore con rendimento di grazie.

Capitolo 3

Ancora sul medesimo argomento e dice del modo con cui Dio parla alle anime: nel qual caso non bisogna condursi a seconda dei propri lumi. Alcuni segni per conoscere se vi sia o non vi sia illusione. Capitolo molto utile

1 - Ecco un altro modo con cui Dio suole eccitare le anime. Sembra una grazia superiore alle precedenti; ma siccome può andar soggetta a maggiori pericoli, ne voglio parlare un po' più a lungo. Si tratta di certe parole che Egli dice all'anima e che possono essere di diverso genere. Alcune sembra che vengano dal di fuori, altre dall'intimo più segreto dell'anima, altre dalla sua parte superiore, ed altre dall'esterno, in modo da udirle con le orecchie del corpo e da sembrare che siano dette con voce articolata. Qualche volta - spesso, anzi, - possono essere effetto di fantasia, specialmente in persone di debole immaginazione o melanconia: intendo di una melanconia notevole.

2 - Secondo me, di queste due classi di persone, non è il caso di occuparsi, neppure se dicono di vedere, sentire ed intendere; e guardarsi anche dall'inquietarle con dir loro che sono vittime del demonio, ma ascoltarle come persone inferme. La Priora o il confessore, con cui esse si confidano, raccomandino loro di non annettervi importanza, perché nel servizio di Dio non è questo che vale, e che per tale via il demonio ne ha ingannati parecchi. Tuttavia, per non affliggerle di più - che già lo sono per il loro umore - aggiungano che così non sarà di loro. Dicendo che si tratta di melanconia, non si finirebbe più: affermerebbero di vedere e di sentire anche con giuramento, perché a loro sembra proprio così.

3 - Bisogna dispensarle dall'orazione e far di tutto per indurle a non curarsi di quel che sentono, perché il demonio, anche se non nuoce a queste anime ammalate, può servirsi di esse per far del male alle altre. Ma si tratti di anime inferme o sane, in queste cose bisogna sempre diffidare, fino a quando non si abbia conosciuto da che spirito provengano. Perciò da principio è sempre meglio opporsi: se sono cose di Dio, le prove non serviranno che a farle crescere e ingrandire di più. Tuttavia, bisogna guardarsi dall'inquietare e stringere troppo l'anima, perché qui essa non può far altro.

4 - Ritornando ora alle locuzioni interiori di cui ho parlato, in qualsiasi modo esse avvengano, possono procedere da Dio, dal demonio o dalla propria immaginazione. Voglio ora dire - se con l'aiuto di Dio vi riuscirò - quali siano i segni per riconoscere la loro origine e quando possono essere pericolose. Molte sono le persone di orazione che ne vanno favorite, e io vi vorrei persuadere, sorelle, che non vi è alcun male, sia nel prestarvi che nel non prestarvi fede. Quando riguardano soltanto voi, e sono parole di consolazione, oppure di avviso circa i vostri difetti, qualunque ne sia l'autore - siano pure effetto di fantasia - importa poco. Solo che non abbiate a credere - neppure se vengono da Dio - che per questo siate migliori delle altre. Forse che Egli non ne ha dette molte anche ai farisei?... L'importante è di trarne profitto. Di quelle che non sono pienamente conformi alla sacra Scrittura, non fatene più conto che se le udiste dal demonio in persona. Dobbiamo ritenerle per una tentazione contro la fede anche se sono frutto di nostra debole immaginazione, e resistere sino a farle cessare. E cesseranno sicuramente, perché non hanno forza.

5 - Per giudicare se tali parole vengano da Dio, non è buon criterio badare al modo con cui si sentono, se dall'esterno, dall'interno dell'anima o dalla sua parte superiore. Secondo me, i segni più sicuri sono i seguenti. Il primo e più rassicurante è la sovrana potenza che quelle parole hanno in sé, perché sono insieme parole ed opere.Mi spiego meglio. Un'anima si trova immersa in quelle pene ed inquietudini interiori di cui ho parlato, arida e con l'intelletto fra le tenebre; ma con una sola di quelle parole, come: Non affliggerti! ella si ritrova nella pace e nella tranquillità, immersa nella luce e affatto libera da quella afflizione da cui credeva di non poter essere alleviata neppure da tutto il mondo e da tutti i dotti insieme uniti, malgrado ogni loro sforzo nel suggerirle ragioni per calmarsi. È forse afflitta e piena di paura perché il confessore o altre persone le hanno detto che si tratta del demonio; ma a questa sola parola: Sono io, non temere! si riacquieta completamente, rimane piena di consolazione, e le pare che più nessuno le possa far credere altra cosa. Altre volte invece si trova gravemente preoccupata per alcuni affari importanti che non sa come andranno. Le vien detto di rassicurarsi perché tutto andrà bene, e ne esce più che certa, e pienamente tranquilla. E così si dica di molti altri casi.

6 - Il secondo segno è che l'anima rimane in una grande quiete, in un devoto e pacifico raccoglimento e in una disposizione che la porta a lodare Iddio. Oh, Signore! ... Se ha tanta forza una parola trasmessa per un vostro paggio, - giacché in questa mansione, a quanto dicono, non siete Voi che parlate, ma un vostro angelo, - che cosa farete Voi quando l'anima vi sarà unita e Voi lo sarete con lei mediante l'amore?

7 - Il terzo segno è che queste parole non escono di mente neppure dopo moltissimo tempo. Alcune poi non si dimenticano mai, ciò che non avviene di quelle che si odono quaggiù; dico di quelle che udiamo dagli uomini, le quali, benché dette da persone gravi e sapienti, tuttavia non s'imprimono come queste, né come queste si credono nel caso che si riportino ad avvenimenti futuri. Queste infatti lasciano con una certezza assoluta, per cui, anche se sul loro avveramento sorgono dei dubbi, e l'intelletto - trattandosi di cose che paiono impossibili - si rilasci alquanto e vacilli, l'anima perdura in tale sicurezza da non mai dubitarne, nonostante le sembri che tutto vada al contrarío di quanto abbia inteso. Passeranno pure degli anni, ma ella non cesserà di pensare che Dio le avvererà, ricorrendo anche a dei mezzi che gli uomini nemmeno sospettano, come sempre avviene. Non lascia però di soffrirne se all'avveramento si frappongono ostacoli. Anzi, siccome le furono rivolte molto tempo addietro, e non sente più gli effetti e la certezza di allora sulla loro origine, l'assalgono dei dubbi, e si domanda se non siano state dal demonio o dalla sua immaginazione. Però, quando le intende, non solo non ha alcun dubbio, ma per attestarne la verità sarebbe pronta a morire. Secondo me, queste incertezze devono provenire dal demonio che cerca di angustiare e intimorire l'anima soprattutto se dall'avveramento delle parole intese devono seguire immensi beni agli altri, o si tratta di opere di grande onore e servizio di Dio. Se poi si frappongono difficoltà, oh, come se ne giova il maligno! Se non altro per indebolire la fede. E non credere che Dio sia così potente da far cose superiori alla nostra intelligenza, è già un gran danno.

8 - Però, nonostante tutti questi assalti, nonostante che i confessori affermino che sono illusioni, nonostante che un gran numero d'incidenti diano a credere che l'avveramento sia impossibile, rimane sempre - non so dove - una così viva scintilla di certezza che la stessa anima non potrebbe spegnere neppure volendolo, neanche allora che tutte le altre speranze fossero già morte. Finalmente la parola di Dio si avvera, e l'anima ne rimane così lieta da non voler altro che effondersi in continue lodi al Signore, a ciò mossa più dal vedere adempito quello che Egli le disse, che non dalla stessa opera, malgrado che per lei possa essere di grandissima importanza.

9 - Non so perché l'anima abbia tanto interesse che queste locuzioni si avverino. Non credo però che, mancandone l'avveramento, ella ne abbia tanta pena, perché dopo tutto, non fa che riferire quanto le vien detto. In simili circostanze una persona si ricordava del profeta Giona quando temeva che Ninive non venisse distrutta. Del resto, siccome si tratta dello spirito di Dio, che è somma verità, è giusto che l'anima gli si mostri fedele, desiderando che non sia sorpreso in menzogna. Perciò grandissima è la sua gioia, quando dopo mille alternative e malgrado ogni difficoltà, assiste all'avveramento di ciò che ha inteso. Preferirebbe sopportare ogni travaglio piuttosto che non si adempissero le parole che indubbiamente ella crede di Dio. Forse non tutte le anime avranno questa debolezza, se debolezza può chiamarsi. Per conto mio, non la ritengo cattiva, e non oso condannarla.

10 - Quando tali parole provengono dall'immaginazione non hanno alcuno di questi segni, non la certezza, non la pace, non il gaudio interiore, eccetto il caso che si sentano quando l'anima è profondamente assorta nell'orazione di quiete o nel sonno spirituale. So che la cosa è possibile, perché avvenuta a persona di mia conoscenza. Vi sono anime di temperamento o d'immaginazione così ,deboli - o non so per che altra causa - che una volta immerse in questo profondo raccoglimento, rimangono talmente fuor di sé che dall'esterno non sentono più nulla: i sensi sono tutti assopiti, ed esse somigliano a uno addormentato, per non dire che alle volte dormano per davvero. In questo stato s'immaginano, quasi sognando, che alcuno parli con loro; vedono delle cose e pensano che siano da Dio, benché in fine non rimangano che con gli effetti di un sogno.
Può anche avvenire ciò che alle volte accade veramente: cioè, che mentre pregano il Signore con grande devozione, sembri loro che Egli risponda in conformità dei desideri che hanno. Tuttavia, chi ha grande esperienza non potrà mai scambiare le parole di Dio con quelle dell'immaginazione.

11 - Il timore più grande è che siano dal demonio. Ma se hanno i segni che ho detto, si può essere sicuri che sono da Dio. Tuttavia, benché sembri e si sia convinti che vengano da Lui, non bisogna mai esserne così persuasi da fare alcuna cosa - o anche solo pensarla - senza il consiglio di un confessore dotto, prudente e vero servo di Dio, specialmente se tali parole importino cose gravi da dirsi o da farsi, concernenti tanto la stessa anima che altre persone. Questa è la volontà di Dio, e con questo si osserverà il suo comando, avendoci Egli detto di tenere il confessore il luogo suo. Ecco delle parole sulla cui provenienza non si può, dubitare, e che sono di grande incoraggiamento nelle difficoltà. Il Signore assisterà il confessore e, volendolo, lo porterà a credere che si tratta del suo spirito. In caso contrario, non si sarà obbligate a nulla. Agire diversamente e condursi secondo il proprio parere mi sembra molto pericoloso. Perciò, sorelle, vi raccomando, da parte di nostro Signore, di non far mai così.

12 - Iddio parla anche in un altro modo, con una azione che mi pare molto evidente: cioè, come appresso dirò, per via di visione intellettuale. Il fatto si svolge nel più intimo dell'anima: con l'udito dell'anima s'intende il Signore che pronuncia delle parole, ma in un modo così chiaro e segreto da non dovervi temere alcuna ingerenza diabolica, sia per la maniera con cui s'intende, come per gli effetti che ne vengono e che ci permettono di crederlo. Se non altro si ha la sicurezza che ciò non viene dall'immaginazione: sicurezza che con un po' di avvertenza si può sempre avere per le ragioni seguenti. Primo, per la differenza che v'interviene in fatto di chiarezza, tanto che dalle parole di Dio non si può togliere una sillaba senza che ce n'accorgiamo, ricordandoci perfino se ci furono dette in questa o in quella maniera, benché nell'una e nell'altra si abbia sempre il medesimo senso; mentre le parole dell'immaginazione non sono né chiare, né distinte, ma come mezzo sognate.

13 - Secondo, perché spesso non vi si pensa neppure: vengono all'improvviso, anche in mezzo a una conversazione. Se qualche volta rispondono ai pensieri che passano allora per la mente, oppure a quelli che si ebbero prima, spesso riguardano avvenimenti non mai pensati, né creduti possibili. Perciò l'immaginazione non potrebbe fabbricarle, né ingannare l'anima col farle credere una cosa mai desiderata, voluta o conosciuta.

14- Terzo, perché nelle locuzioni di Dio l'anima è come una persona che ode, mentre in quelle dell'immaginazione è come una che compone a poco a poco quel che desidera di udire.

15 - Quarto, perché le parole sono molto differenti: con una sola di Dio si comprendono più cose che non sappia comporne l'intelletto in così breve spazio di tempo.

16 - Quinto, perché spesso, mentre si percepiscono, si comprende assai di più di quello che esse significano, benché senza suoni e in un modo che io non so spiegare. Ma di questo modo d'intendere parlerò altrove più a lungo, perché si tratta di una cosa molto sorprendente che serve a far lodare il Signore. Intorno a questi modi d'intendere, alcune persone hanno avuto dei dubbi, specialmente una che ne ha sofferto moltissimo, e come lei ve ne saranno altre che non finiranno mai di rassicurarsi. Quella persona ne è stata favorita molte volte, per cui ha potuto esaminare la cosa con maggiore attenzione. Da principio il suo timore più grande era che si trattasse di una sua fantasia. Se è il demonio che parla, lo si conosce più presto. È vero che le sue astuzie sono molte e che sa trasformarsi anche in angelo di luce; ma ciò soltanto nelle parole, pronunciandole così chiare come quelle dello spirito di verità senza lasciare alcun dubbio. Tuttavia non potrà simularne gli effetti: non solo non lascerà nella tranquillità e nella luce, ma riempirà di confusione e d'inquietudine. Aggiungo però che se l'anima è umile e nonostante le parole che ode, non agirà che dopo aver preso consiglio, il demonio non le potrà fare gran danno: anzi, non gliene farà affatto.

17 - Se si tratta di grazie e di favori divini, l'anima consideri attentamente se per essi si ritenga migliore.
Se non rimane tanto più confusa quanto più amorevoli sono le parole che intende, si persuada che non sono da Dio, essendo assolutamente sicuro che quando vengono da Lui, più il favore è grande e più l'anima si umilia, più ricorda i suoi peccati, più dimentica i suoi interessi, più si applica con memoria e volontà a procurare l'onore di Dio, trascura di più i suoi progressi e più si guarda dall'opporsi al suo volere, rimanendo maggiormente convinta di aver essa meritato, non già quelle grazie, ma l'inferno. Se i doni e i favori dell'orazione producono questi effetti, l'anima deponga ogni dubbio e confidi nella misericordia di Dio che è fedele, e non permetterà mai al demonio d'ingannarla. Tuttavia, è bene andar sempre con timore.

18 - Chi non è condotto per questa strada, può forse pensare che, per liberarsi da ogni pericolo, sia meglio non ascoltare quanto vien detto; e se le locuzioni sono interiori, distrarsi in modo da non intenderle. Ma ciò è impossibile. Prescindo dalle parole dell'immaginazione, alle quali ci si può opporre facilmente col non farne caso e col non nutrire desideri troppo forti. Ma quanto alle altre, non v'è rimedio che valga, perché lo spirito che parla arresta ogni pensiero e rende così attenti a quanto dice, da sembrare che sia meno impossibile a una persona di finissimo udito non intendere chi le parli molto forte. Tuttavia questa persona può sempre divertire l'attenzione e fissare il pensiero e l'intelligenza in altre cose. Ma qui no, perché non vi sono orecchie da chiudere, né possibilità di pensare ad altro fuorché a quanto vien detto. Può arrestare le nostre potenze e tutto il nostro interiore solo Colui che, pregato da Giosué, ha fermato il sole. E da ciò l'anima comprende che un Signore assai grande governa il castello: cosa che la compenetra di devozione ed umiltà. No, non vi è alcun mezzo per evitare di ascoltarlo. Si degni Sua Maestà di dirigere i nostri pensieri a non contentare che Lui, dimenticandoci di noi stessi! Amen! Piaccia a Dio che mi sia spiegata nel modo che mi sono prefisso, e che sia di qualche utilità a coloro che avranno queste grazie!

Capitolo 4

Iddio sospende l'anima nell'orazione mediante i rapimenti, le estasi e i ratti: insieme di cose che credo formino un tutt'uno - Per ricevere da Dio grandi grazie occorre un coraggio particolare

1 - Che riposo può mai avere la povera farfalletta fra i travagli e le altre cose di cui ho parlato? Tutto contribuisce a farle desiderare il godimento dello Sposo. Intanto, il Signore che conosce la sua debolezza, la va abilitando con questi e molti altri espedienti, affinché si animi ad unirsi a Lui, prendendolo per suo Sposo.

2 - Voi forse riderete nel sentirmi parlare in questo modo, e vi parrà di udire una sciocchezza, sembrandovi che per far questo non occorra aver del coraggio, poiché a nessuna donna, neppure della più bassa condizione, può mancar animo di sposarsi con un re. Lo crederei anch'io se si trattasse di un re terreno; ma con il Re del cielo vi dico che ne occorre più di quanto ne pensiate, perché per favori così grandi la nostra natura è molto timida, e vile. Se il Signore non c'infondesse coraggio, sono persuasa che sarebbe impossibile, nonostante i vantaggi che vi trovassimo. Osservate ora in che modo il Signore viene a conchiudere questo fidanzamento: favorendo l'anima con dei rapimenti che la fanno uscire dai sensi. Se l'anima conservasse l'uso dei sensi, credo che nel vedersi vicina a così grande Maestà non le sarebbe possibile rimanere in vita.Sempre che si tratti di veri rapimenti, e non di certe debolezze a cui noi donne andiamo soggette, ritenendole per estasi e rapimenti.
Come ho già detto, vi sono complessioni così deboli che sembrano morire con una semplice orazione di quiete. Avendo trattato con molte persone spirituali, ho potuto conoscere varie specie di rapimenti, e ve ne voglio parlare. Non so se riuscirò a spiegarmi così bene come ho fatto in un altro scritto, dove ho parlato pure di altre cose che qui avvengono. Credo per più ragioni che non sia fuor di luogo ripetermi anche qui, se non altro per unire insieme quanto concerne le mansioni.

3 - Una specie di rapimenti è questa. L'anima, pur non essendo in orazione, si sente toccata da una parola di Dio che le viene in mente o che ode. Sembra allora che il Signore, mosso a compassione per averla veduta languire tanto tempo nel desiderio di lui, avvivi nel suo interno la scintilla di cui ho detto e così l'anima, dopo essersi completamente bruciata, risorge a nuova vita a guisa di fenice, con il perdono di tutte le sue colpe, come piamente si può credere, sempre inteso che ne abbia le disposizioni e si serva dei mezzi che la Chiesa insegna. Così purificata, il Signore la unisce a sé, senza che alcuno ne sappia il modo, eccetto loro due.
Anzi, neppur l'anima lo sa. Benché mantenga l'uso delle sue interne facoltà, non essendo qui come in uno stato di svenimento o parossismo nel quale non si ha percezione di sorta, né interna né esterna, tuttavia non sa dirne nulla.

4 - Per quanto io ne capisca, l'anima non è mai stata così sveglia per le cose di Dio, né con tanta luce e conoscenza di Sua Maestà come in questo caso. Sembrerà impossibile, perché se i sensi e le potenze si trovano così sospesi da dover dire che sono come morti, in che modo si può conoscere che l'anima comprende? È un segreto che io non capisco, nascosto forse a qualsiasi creatura e noto solo al Creatore, non meno di molte altre cose che avvengono in questo stato, voglio dire in queste due ultime mansioni, le quali del resto, non ammettendo fra loro porta chiusa, si possono unire benissimo: se mi sembra bene dividerle è perché nell'ultima avvengono certi fenomeni che non si sanno conoscere se non entrandovi.

5 - Quando l'anima è in questa sospensione e il Signore crede opportuno di svelarle qualche suo segreto, come certe cose del cielo, o le accorda delle visioni immaginarie, ella lo sa dire benissimo, perché la sua memoria ne rimane così colpita da non potersene più dimenticare. Ma non così nelle visioni intellettuali, non essendo conveniente che, viventi ancora di questa vita, se ne abbia tale conoscenza da saperne parlare.
Tuttavia, siccome in quel tempo ne deve avere di assai sublimi, di molte di esse l'anima può dire qualche cosa dopo aver ripreso l'uso dei sensi. Può darsi che alcuna non sappia ancora cosa sia visione, specialmente intellettuale. A suo tempo ne dirò qualche cosa, avendomelo comandato chi ne ha il diritto. Benché vi sembri fuori di luogo, forse per qualche anima può essere utile.

6 - Ma voi mi direte: Se di queste grazie così sublimi non rimane alcun ricordo, che utilità ne ha l'anima nell'esserne favorita? Ah, figliuole! Ne ha vantaggi così grandi da non saperli abbastanza magnificare.
Si tratta di beni che rimangono impressi nella parte più intima dell'anima: non si sanno esprimere, ma non si sanno nemmeno dimenticare. Ma come ricordarli se non sono accompagnati da alcuna immagine, e le potenze non li intendono? Non lo so. Tuttavia, so che certe verità riguardanti la grandezza di Dio rimangono nell'anima così scolpite, che quand'anche non vi fosse la fede a dirle chi Egli sia, e a imporle di riconoscerlo per suo Dio, l'adorerebbe come tale fin da quel momento, come fece Giacobbe dopo aver veduto la scala. In quella visione egli dovette intendere molti altri segreti che poi non seppe manifestare, perché se avesse visto soltanto una scala sulla quale scendevano e salivano gli Angeli, e non avesse avuto una maggiore luce interiore, non avrebbe certo inteso così grandi misteri.Non so se in quello che dico do nel segno: l'ho udito raccontare e nemmeno so se mi ricordo bene.

7 - Neppur Mosé seppe dire tutto quello che vide nel roveto: disse soltanto quello che Dio gli permise. Certo che se il Signore non gli avesse mostrato dei segreti, e con tale certezza da fargli credere e vedere che Egli era Dio, mai Mosè si sarebbe gettato in tanti e così gravi travagli. Sotto le spine del roveto dovette intendere grandi cose che gli dettero coraggio per tutto quello che poi fece in favore del popolo d'Israele. Perciò, sorelle, dobbiamo guardarci dal voler intendere le cose occulte di Dio e dai cercarne le ragioni. Come crediamo che Egli è onnipotente, dobbiamo pur credere che vermiciattóli di così poca capacità come noi non possono comprendere le sue grandezze. Lodiamolo molto, affinché si compiaccia di farcene intendere qualcuna.

8 - Vorrei trovare qualche paragone per lumeggiare alquanto quel che dico. Ma credo che non ve ne siano di adatti. Tuttavia, eccone uno. Voi entrate in una di quelle sale che hanno i re o i gran signori, e che credo si chiamino camerini, dove si conservano innumerevoli cristalli di vario genere, terrecotte e molti altri oggetti, disposti in tal modo che, appena entrati, si vedano subito. Fui introdotta in una di queste sale in casa della duchessa d'Alba, presso la quale i Superiori mi avevano comandato di fermarmi durante un mio viaggio dietro istanza della medesima. Appena entrata, rimasi molto sorpresa, e domandandomi a che fosse utile quell'ammasso di cose, vidi che tanta diversità di oggetti poteva servire per lodare il Signore. Ma ora sono molto contenta di potermene giovare nella presente circostanza. Mi sono trattenuta là dentro per un bel pezzo, ma vi era tanto da vedere che dimenticai subito ogni cosa: non mi rimase memoria di alcun oggetto, come se non li avessi visti, per cui non saprei dire come fossero. Mi ricordo soltanto di averli veduti. Così qui. L'anima è divenuta una cosa sola con Dio, e si trova nella stanza del cielo empireo che dobbiamo avere nel nostro interno, perché se Dio risiede in noi, è chiaro che di queste mansioni ne abbiamo almeno qualcuna. Ora, se il Signore non svela all'anima i suoi segreti tutte le volte che essa è in estasi, bastandole soltanto il gran bene di rimanere assorta nel godimento di Lui, talvolta però si compiace sospenderle quel godimento affinché dia una rapida occhiata a quanto vi è nella stanza. E allora ella ritornando in sé, riporta l'impressione delle grandezze vedute, senza che tuttavia ne sappia dire qualche cosa, e senza che la sua natura possa arrivare più in là di quanto il Signore le ha voluto soprannaturalmente far vedere.

9 - Ho detto vedere: dunque, è visione immaginaria? No, io non parlo che di visioni intellettuali, ma siccome sono ignorante, la mia rozzezza non si sa meglio spiegare. Perciò, se di questa orazione ho detto qualche cosa che va bene, è chiaro che non è venuto da me. Se in questi rapimenti l'anima non intende alcun segreto, ritengo che non si tratti di veri rapimenti, ma di certe debolezze naturali che sogliono venire alle persone di gracile complessione, come sono le donne, le quali, appena lo spirito supera con un po' di forza il naturale, rimangono così assorte, come mi sembra di aver detto parlando dell'orazione di quiete. Questi fenomeni non hanno a che fare con i rapimenti, perché in questi, credetemi, Dio rapisce a sé tutta l'anima e le mostra una qualche piccola porzione del regno che le ha acquistato, come a sua sposa e proprietà.La quale porzione, per piccola che sia, è sempre immensa, come tutto quello che vi è in un Dio così grande. Egli intanto non vuol disturbo di cosa alcuna, non dalle potenze, né dai sensi. Perciò, ordina che si chiudano le porte di tutte le mansioni, lasciando aperta soltanto quella in cui Egli abita, acciocché l'anima vi possa entrare. Sia benedetta una così grande misericordia! Con quanta ragione sarà maledetto chi non vorrà giovarsene, perdendo Dio per sempre!

10 - Ah, è un nulla, sorelle, quello che abbiam lasciato! È un nulla quello che facciamo o possiamo fare per un Dio che così si comunica con un verme! E se un tanto bene possiamo sperarlo fin da questa vita, che facciamo, sorelle, in che ci fermiamo? Che cos'è che ci distrae dal cercare questo Signore, come la sposa per le vie e per le piazze?Ah, che tutto è illusione nel mondo se non ci aiuta a fare questo! Anche se i suoi piaceri, ricchezze e godimenti durassero per sempre, e fossero tanto numerosi da superare ogni immaginazione, non sarebbero che sterco è schifezza, paragonati ai tesori che si hanno a godere senza fine. Eppure, nemmeno questi possono reggere al paragone di possedere il Signore di tutti i tesori, del cielo e della terra.

11 - Oh, cecità umana! E fino a quando, fino a quando terremo gli occhi impiastricciati di terra? Benché fra noi la terra non sembri tale da accecarci del tutto, scorgo però delle pagliuzze e delle piccole pietre che, lasciate aumentare, ci possono essere di danno. Per amor di Dio, sorelle, serviamoci di questi difetti almeno per approfondire la nostra miseria ed averne miglior vista, come dal fango il cieco nato, guarito dal nostro Sposo. Vedendoci tanto imperfette, intensifichiamo la preghiera per ottenere che dalle nostre miserie il Signore abbia a ricavare del bene, onde contentarlo in ogni cosa.

12- Come mi sono dilungata senza accorgermi!... Perdonatemi, sorelle! Giunta a queste grandezze di Dio - intendo dire a parlare di esse - non posso lasciare di lamentarmi nel vedere il bene che per nostra colpa perdiamo. È vero che Dio l'accorda a chi vuole; ma se noi l'amassimo come Egli ci ama, lo darebbe anche a noi, perché non desidera che di trovar anime a cui dare, senza che le sue ricchezze abbiano per questo a diminuire.

13 - Ritornando ora a quello che dicevo, lo Sposo comanda di chiudere le porte delle mansioni, nonché quelle del castello e del muro di cinta. Infatti, quando il rapimento comincia, cessa il respiro e manca la forza di parlare, nonostante che gli altri sensi si conservino alle volte un po' di più. Talvolta invece si perde subito ogni senso: il corpo e le mani si raffreddano sino a sembrare di non avere più anima, tanto che alle volte non si sa nemmeno se si respiri. Ma ciò non dura molto - intendo dire nel medesimo grado - perché, scemando un poco questa grande sospensione, il corpo ritorna alquanto in se stesso e si rianima, ma per tornare a morire e a dar maggior vita all'anima. Però questa estasi così grande non dura molto.

14 - Tuttavia, accade che, finita l'estasi, la volontà rimanga così assorta e l'intelletto tanto astratto da durare in questo stato uno o più giorni senz'essere capaci, a quanto sembra, d'occuparci in altre cose che non muovano la volontà ad amare: per la qual cosa essa è molto sveglia, mentre è intorpidita quanto a determinarsi verso oggetti creati.

15 - Oh, la confusione che prova l'anima nel ritornare in se stessa! Quali ardenti desideri d'impiegarsi nel servizio di Dio in qualunque modo Egli lo desideri! Se dalle precedenti orazioni derivano gli effetti che ho descritto quali ne verranno da una così sublime, come questa? Si vorrebbero avere mille vite per impiegarle tutte per Iddio, e si desidera che tutte le cose della terra siano altrettante lingue che lo lodino in nome nostro. Vivissimi i desideri di penitenza, benché nell'effettuarli non si soffra molto, per la gran forza dell'amore che impedisce di sentire ciò che si fa. Perciò l'anima, pensando ai martiri, vede chiaramente che nel sopportare i loro tormenti essi non hanno fatto poi molto, perché con un tal aiuto di Dio diviene facile ogni cosa. E così queste anime si lamentano con Dio quando non hanno nulla da soffrire.

16 - L'anima stima assai di più questa grazia quando la riceve in segreto, perché quando ne è favorita in presenza di qualcuno, la confusione e la gran vergogna che ne sente le fan quasi dimenticare quello che ha goduto, per la pena e l'inquietudine di quello che dirà chi l'ha vista. Conoscendo la malizia del mondo, teme che quell'effetto venga attribuito a tutt'altra causa, e che si prenda per una occasione di giudizi temerari ciò che dovrebbe servire per lodare il Signore. Però, questi sentimenti di pena e di vergogna mi pare che denotino una certa mancanza di umiltà. È vero che l'anima non può impedirseli, ma se brama di essere disprezzata, che gliene importa? Disse il Signore a una persona che soffriva di queste pene: Non affliggerti, perché o daranno lode al mio nome o mormoreranno di te, e in ambedue le cose tu avrai da guadagnare. E queste parole, come poi seppi, la consolarono e la incoraggiarono molto, per cui ho voluto scriverle qui, a istruzione di coloro che si troveranno nelle sue medesime afflizioni. Sembra che il Signore voglia far intendere che quell'anima è sua, e che nessuno la deve toccare. Che si attenti al suo corpo, al suo onore, ai suoi beni, ciò sia alla buon'ora, ne verrà gloria al Signore; ma all'anima no. Egli la difenderà contro tutto il mondo e contro tutto l'inferno, sempre inteso che ella non sia così sfacciata da volerlo abbandonare.

17 - Non so se sono riuscita a far un po' comprendere che cosa sia il rapimento, dato che a spiegarlo del tutto è impossibile. Però nel parlarne non si è perduto nulla: si saprà distinguere i veri dai finti, i cui effetti sono molto diversi. Li chiamo finti non già perché l'anima che ne va soggetta voglia ingannare, ma perché ne rimane ingannata. E siccome i segni e gli effetti non corrispondono alla grandezza del favore, ne resta così infamata che poi non si crede più, e a ragione, neppure a quelle che così il Signore favorisce. Sia Egli per sempre benedetto e ringraziato! Amen. Amen.

Capitolo 5

Prosegue sul medesimo argomento, e dice che Dio eleva l'anima anche in altro modo, mediante il volo di spirito. Motivi per i quali occorre aver coraggio. Spiega qualche cosa di quest'altra grazia, esprimendosi in modo piacevole. Capitolo assai utile

1 - Ecco un'altra specie di rapimento che io chiamo volo di spirito: sostanzialmente è un tutt'uno, ma agisce sull'anima in modo assai diverso. Si sente un movimento di anima così impetuoso da sembrare che lo spirito ci venga rapito, e ciò con tale velocità e così d'improvviso da sentirne, specialmente da principio, non poca paura. Per questo vi ho detto che chi riceve queste grazie ha bisogno non solo di gran coraggio, ma di fede, di fiducia e di pieno abbandono a quello che il Signore vorrà da lui. Credete che sia di poco sgomento per una persona pienamente in se stessa, sentirsi portar via l'anima, e alle volte anche il corpo, come di alcuni abbiam letto, senza sapere chi li porti, dove e come li porti, giacché quando questo improvviso movimento comincia, non si è ancora sicuri che sia da Dio?

2 - Vi è forse qualche mezzo per resistere? No. Anzi, so da una persona che a voler resistere è peggio. Siccome l'anima si è rimessa tante volte e tanto sinceramente nelle mani di Dio offrendosi a Lui con risoluta volontà, sembra che Dio le voglia far vedere che ormai non è più padrona di sé, e la rapisce con movimento evidente e impetuoso. Perciò quella persona aveva stabilito d'imitare la pagliuzza attratta dall'ambra, come forse avrete visto, e abbandonarsi nelle mani di Colui che è tanto potente, vedendo anch'ella che allora il partito più saggio è fare di necessità virtù. Ho detto una paglia, ed è così. Con la stessa facilità con cui un gigante solleva una paglia, il nostro grande e valoroso Gigante rapisce lo spirito.

3 - Il bacino di quella fontana di cui abbiamo parlato - non ricordo bene se nelle Quarte Mansioni - prima si riempiva con soavità e piacevolezza, senza alcun movimento. Ora invece quel gran Dio che ritiene le sorgenti delle acque e non permette al mare di oltrepassare i suoi confini, sembra che ne dischiuda le vene alimentatrici, per cui un'onda potente si solleva con impeto e porta in alto la navicella dell'anima. E a quel modo che tutti gli sforzi del pilota e di coloro che governano la nave non possono fare che questa si fermi dove vogliono quando le onde la investono con furia, così non può fermarsi dove vuole l'interiore dell'anima, né fare che i sensi e le potenze si sottraggano all'impulso di chi li muove. Del corpo, non se ne fa alcun caso.

4 - Vi confesso, sorelle, che scrivendo queste cose mi sento tutta trasecolare per l'eccelsa potenza che il nostro gran Re e Imperatore mi manifesta. E che sarà per chi ne farà l'esperienza? Se, come si svela a queste anime, Egli si svelasse ai più perversi del mondo, sono convinta che più nessuno l'offenderebbe, non per amore, per il gran terrore che se n'avrebbe. Assai ben gravi son quindi gli obblighi di coloro che per vie così sublimi sono stati istruiti a far di tutto per non offendere Iddio! Voi, sorelle, che ricevete queste o altre simili grazie, vi scongiuro, per amor di Dio, di non mai trascurarvi, badando di non contentarvi soltanto di ricevere. Ricordatevi che chi molto riceve, molto pure ha da rendere.

5 - È questa una verità che dà vive apprensioni, ed occorre che l'anima si armi di gran coraggio. Ma se non è Dio che glielo dà, essa va innanzi con timore, perché, dopo aver considerato ciò che Dio le concede, porta il pensiero su se stessa e vede che di fronte al molto a cui è obbligata, lo serve troppo poco, e anche in quel poco con mancanze, imperfezioni e tiepidezze senza numero. Se fa qualche opera buona, preferisce e si studia di dimenticarla immediatamente, per non ricordare i difetti con cui l'ha compiuta. Non fa che pensare ai suoi peccati, e siccome non ha con che riparare, si rimette alla misericordia di Dio, supplicandolo per quella bontà e clemenza che Egli ebbe con i peccatori.

6 - Allora Sua Maestà le potrebbe rispondere come a una certa persona, la quale afflitta per questo stesso motivo, considerava innanzi a un crocifisso di non aver mai avuto di che dare, né di che lasciare per Iddio. Quel crocifisso la consolò, dicendole che Egli le offriva í dolori e i travagli della sua passione, affinché li considerasse come propri e li presentasse a suo Padre. Ed ella rimase così ricca e così piena di gioia da non dimenticarsene mai più. Ogni qualvolta avvertiva il peso della sua miseria, bastava che se ne ricordasse per subito rianimarsi ed uscirne consolata. Di queste cose potrei raccontarne varie altre, perché, avendo trattato con molte persone sante e di orazione, ne conosco parecchie; ma non lo faccio affinché non crediate che si tratti di me. Il fatto riportato mi è parso assai utile per farvi intendere quanto il Signore si compiaccia che noi ci sforziamo di conoscerci, procurando continuamente di mirare e rimirare la nostra miseria e povertà, persuase di non aver nulla che non ci venga da Lui. Perciò occorre aver coraggio, sia per questo che per le molte altre cose che si presentano quando Dio tiene l'anima in questo stato. Anzi, se vi è umiltà, occorre più coraggio in questo stato che non negli altri. Il Signore ci soccorra per Quegli che è!...

7 - Ritorno a quell'improvvisa elevazione di spirito di cui ho parlato. Avviene in tal modo da far credere che veramente lo spirito si stia separando dal corpo. Benché la persona non muoia, ha però dei momenti in cui ella non sa dire se l'anima si trovi o non si trovi nel corpo. Si crede trasportata per intero in una regione molto diversa dalla nostra, dove in una luce che non ha paragone con la nostra, le vengono mostrate cose così grandi che da sé non potrebbe immaginare, neppure lavorandovi intorno per tutta la vita. Perciò avviene che in un solo istante le siano spiegati un'infinità di segreti, dei quali ella non giungerebbe a conoscere la millesima parte, neppure se per ordinarli vi si affaticasse molti anni con l'immaginazione e l'intelletto. Questa è visione immaginaria, non intellettuale. Con gli occhi dell'anima vi si vede molto meglio che non qui con quelli del corpo, come pure s'intendono varie cose senza l'aiuto delle parole: voglio dire che se si vedono alcuni santi, si riconoscono così bene come se si fossero spesso frequentati.

8 - Alle volte, unitamente alle cose che si vedono con gli occhi dell'anima, se ne presentano altre in visione intellettuale, specialmente angeli in gran numero che accompagnano il loro Dio. Queste e molte altre meraviglie che non è possibile manifestare si presentano per via di una cognizione ammirabile che io non so dichiarare e nella quale non si vede nulla, né con gli occhi del corpo, né con quelli dell'anima. Saprà meglio spiegarsi chi avrà maggiore esperienza e abilità, benché mi sembri assai difficile. Non so se mentre avvengono queste cose l'anima sia o non sia nel corpo. Non affermerei con giuramento né che l'anima sia nel corpo, né che il corpo sia privo di anima.

9 - Ecco il pensiero che mi è venuto varie volte. Come il sole ha tanta forza da mandare in un istante i suoi raggi sulla terra senza muoversi dal cielo dove si trova, così l'anima - la quale è un tutt'uno con lo spirito, come il sole con i suoi raggi - può essere che per la forza del calore che le viene dal vero Sole di Giustizia si elevi sopra se stessa mediante una qualche sua parte superiore senza abbandonare il suo posto. Ma io non so quel che dico. La verità è che con la prestezza con cui la palla esce dall'archibugio quando gli è dato fuoco, si leva nell'interno una specie di volo - non so che altra parola adoperare - il quale, benché senza rumore, ha tuttavia, un movimento così evidente che l'illusione non è possibile. Mentre l'anima è fuori di sé, le vengono mostrate grandi cose, e quando ritorna in sé si ritrova con grandissimi vantaggi. Le cose della terra le appaiono così spregevoli che, di fronte a quelle vedute, le sembrano immondezze. D'allora in poi non vive quaggiù che con pena, non essendovi nulla che la possa ancora interessare di ciò che prima le soleva essere attraente.
Sembra che il Signore le abbia mostrato qualche cosa di quanto valga il paese che l'attende - come coloro che mostrarono i segni della terra promessa nella quale si erano recati per incarico del popolo d'Israele - acciocché, conoscendo in che luogo deve andare a riposarsi, sopporti più tranquillamente le fatiche di questo aspro cammino. Vi sembrerà che una grazia così istantanea non debba essere di tanti vantaggi; ma ne lascia nell'anima di così grandi, da non poter essere apprezzati se non da coloro che ne sono favoriti.

10 - Da ciò si vede che non è opera del demonio, e meno ancora dell'immaginazione. Effetti così sublimi non possono essere del demonio. No. La pace, il conforto e il profitto di cui l'anima si sente in possesso non possono venire da lui. E meno ancora queste tre cose che si sentono in grado molto alto: la prima, il conoscimento e la grandezza di Dio, perché, più son le cose che di Lui si vedono, più Egli ci appare magnifico; la seconda, l'umiltà e il conoscimento di noi stessi, nel pensare che un essere così vile abbia osato offendere il Creatore di tante meraviglie e osi ancora guardarlo; la terza, il disprezzo di tutte le cose della terra, eccetto di quelle che siano di aiuto nel servizio di così grande Signore.

11 - Queste le gioie che lo Sposo comincia a regalare alla sposa: gioie di tanto valore che da lei non potranno mai essere sciupate, perché quello che ha veduto le rimane così impresso da esserle impossibile di dimenticarsene fino a quando non ne godrà eternamente. Lei sventurata se dovesse perderle! Ma lo Sposo che l'ha così favorita può anche concederle di non perderle mai.

12 - Tornando al coraggio che bisogna avere, vi par forse da nulla accorgersi di perdere l'uso dei sensi senza saperne il motivo, sino a sembrare che l'anima si separi realmente dal corpo? Ma ci vuole il coraggio che può dar solo Colui che dà tutto il resto. Però, voi mi farete osservare che quella paura rimane ben ripagata. È quello che dico anch'io. Lodi senza fine a Colui che può fare questi doni! E piaccia a Dio che meritiamo di servirlo! Amen.

SESTE MANSIONI

Capitolo 6

Espone un effetto dell'orazione precedente, e dice in che modo si può conoscere se sia vera o se si tratti d'inganno. Altra grazia che Dio accorda alle anime per impiegarle nelle sue lodi

1 - Con queste grazie così elevate l'anima desidera sì al vivo di godere in pieno Chi gliele fa, che vivere per lei diviene un grande, benché delizioso tormento. Sospira ardentemente di morire, e con lacrime incessanti supplica il Signore di toglierla da questo esilio, dove tutto l'annoia. Ha un po' di sollievo nel ritirarsi in solitudine, ma la pena non tarda molto a tornare e l'accompagna dovunque, per cui la farfalletta non sa trovar riposo che duri. Siccome è ripiena d'amore, basta la minima occasione che stimoli il suo fuoco per farle prendere il volo. E ciò spiega perché in questa mansione i rapimenti sono molto frequenti, senza che vi sia modo di evitarli, neppure quando vengono in pubblico. Di qui le persecuzioni e le mormorazioni. E benché l'anima non voglia temere, pure alle volte non può, per il gran numero di coloro che cercano di spaventarla, specialmente confessori.

2 - Mentre da una parte sembra che sia molto sicura, specialmente quando sta sola con Dio, dall'altra non lascia di essere in angustia per la paura che il demonio l'inganni sino a farle offendere il suo Amore.
Le chiacchiere della gente non la preoccupano che di poco, a meno che non sia sgridata dal confessore come se ella possa in ciò qualche cosa. Non fa che domandare a tutti preghiere, e supplica incessantemente il Signore di condurla per altra via. Le hanno detto di far così perché quella è assai pericolosa. Ma siccome su quella via ha sperimentato molti e grandissimi vantaggi, e non può impedirsi di pensare - secondo quello che legge e sa - che, importando essa l'osservanza dei comandamenti di Dio, è diretta verso il cielo, non le riesce di desiderarne l'uscita, malgrado ogni sua buona volontà, e si rimette nelle mani del Signore. Causa di pena è pure questa sua impotenza, perché le sembra di non obbedire al confessore, mentre nell'obbedienza e nella premura di non offendere Iddio vede l'unico mezzo per non cadere in inganno. Tuttavia, non commetterebbe un peccato veniale avvertito neppure se la facessero in brani. Così almeno le sembra e si affligge grandemente nel vedere di non potersi difendere dal commetterne molti senza accorgersi.

3 - Il Signore ispira a quest'anima un così vivo desiderio di non offenderlo, neppure nelle più piccole cose, e di evitare, potendolo, qualunque minima imperfezione, che per questo solo motivo, se altri non ve ne fossero, vorrebbe fuggire gli uomini, e invidia grandemente coloro che vivono e son vissuti nei deserti. Nel contempo vorrebbe anche cacciarsi in mezzo al mondo, per fare che anche un'anima sola lodasse Iddio di più. Si duole, se è donna, che il suo sesso le sia in ciò d'impedimento, e invidia coloro che possono alzare la voce per dire a tutti chi sia questo gran Dio degli eserciti.

4 - Oh, povera farfalletta, legata con tante catene che non ti permettono di volare come vuoi! Abbiate pietà di lei, o mio Dio, e fate che ella possa soddisfare, almeno in parte, a quanto desidera in vostra gloria ed onore. Non guardate alla pochezza dei suoi meriti, né alla miseria della sua natura! Non foste Voi sì potente da ordinare al vasto mare di dividersi e al gran Giordano di trattenere le sue acque per lasciar libero il passo ai figliuoli di Israele? Ma perché avere compassione di lei? Non può ella forse, sostenuta dalla vostra fortezza, soffrir travagli in gran numero? Orbene, poiché ella è a ciò disposta, e tali sono le sue brame, stendete, Signore, il vostro braccio potente, e non trascorra ella la sua vita in mezzo a cose tanto basse. Risplenda la vostra grandezza in un essere così femminile e dappoco, affinché il mondo, conoscendo che ella da sé non può far nulla, innalzi a Voi le sue lodi. Qualunque cosa le costi, ella non vuole che questo, pronta a dar pure mille vite, se tante ne avesse, pur di ottenere che un'anima sola vi lodasse di più. Sì, e le riterrebbe per assai bene impiegate. Ma vedendo di non essere degna neppure di patire per Voi la più piccola pena, teme che meno lo sia per la morte.

5 - Non so a che proposito, né per qual motivo ho detto questo: l'ho fatto senza accorgermi. Comunque, questi son gli effetti di quelle estasi e sospensioni, né si può dubitarne. Non sono desideri passeggeri ma duraturi, e che al presentarsi di una occasione che li metta alla prova, non si dimostrano finti. Perché dire che sono duraturi, quando l'anima si sente alle volte così codarda e timorosa da sembrarle di non aver animo per nulla, neppure per le cose più lievi? Se il Signore l'abbandona alla sua natura, dev'essere, secondo me, per un suo maggior bene. Allora ella conosce che se ebbe coraggio per qualche cosa, questo non le venne che da Dio e lo vede così chiaro da rimanerne annientata, con un conoscimento maggiore della misericordia e della grandezza di Colui che ha voluto manifestare la sua potenza in una creatura tanto vile. Nondimeno, lo stato ordinario dell'anima è quello che abbiamo detto.

6 - In questi grandi desideri di vedere Iddio, occorre che avvertiate una cosa: cioè, che essi alle volte si fanno molto violenti, e allora invece d'aiutarli bisogna reprimerli. Ciò dico qualora lo possiate, perché in certi casi, di cui parlerò più avanti, non lo si può assolutamente, come voi stesse vedrete. Ma qui qualche volta lo si può, perché la ragione si mantiene in efficienza e può conformarsi alla volontà di Dio, ripetendo le parole di S. Martino? Bisogna divertire l'attenzione, soprattutto se sono di grande struggimento, perché essendo retaggio di anime molto perfette, può darsi che ci siano suscitati dal demonio per farci credere di esser pur noi di quel numero, mentre è bene andar sempre innanzi con timore. Tuttavia non credo che il maligno possa produrre la pace e il riposo generato nell'anima da questa pena, ma soltanto un movimento di passione, uguale a quello che si sente quando si è afflitti per qualche cosa del mondo. Chi non ha provato gli uni e gli altri non saprà forse distinguerli, e pensando che quei desideri siano qualche cosa di grande, farà il possibile per aiutarli, con grave pregiudizio della sua salute, perché la pena ne è continua, o almeno molto frequente.

7 - Talvolta questa pena può essere prodotta da debolezza di complessione, specialmente in certe persone sensibili che piangono per ogni cosa, le quali poi si danno mille volte a credere di piangere per Iddio, mentre non è vero. Quando, per un dato tempo, alla minima parola che si oda di Dio e al più piccolo pensiero di Lui si prorompe in grandi lacrime senza sapersi contenere, può essere che ciò accada per certi umori accumulati intorno al cuore che aiutino più dell'amore di Dio, sino a sembrare di non poter più finire di piangere. E quelle persone, avendo inteso che le lacrime sono buone, non solo non cercano di reprimerle, ma fanno di tutto per assecondarle, non desiderando altra cosa. Con ciò il demonio si prefigge d'indebolirle affinché si rendano incapaci di fare orazione e di osservare la Regola.

8 - Dato che trovo pericoli dovunque e che vi può essere inganno anche in una cosa tanto eccellente come nelle lacrime, mi sembra che mi vogliate chiedere che cosa si debba fare, o se piuttosto l'ingannata non sia io. Potrei anche esserlo. Però, sappiate, che se parlo cosa, è perché ho veduto che in alcune persone questo inganno è possibile. Non in me certamente, perché io, non solo non sono tenera di cuore, ma ho un cuore così duro che alle volte ne ho pena. Tuttavia, quando il fuoco interno è violento, il cuore, benché duro, distilla come un lambicco. Se le lacrime vengono da questa fonte, non potrete non accorgervene, perché in luogo di turbare, confortano, lasciano nella pace, e rare volte fan male. Del resto, anche se è un'illusione, vi è sempre questo di buono, che il danno è solo per il corpo, non per l'anima, sempre inteso che si abbia umiltà. Non è male però, quand'anche non vi sia alcun danno, star sempre con timore.

9 - Non dobbiamo pensare di aver fatto tutto perché versiamo molte lacrime. Piuttosto, mettiamo mano a molte opere e a praticare la virtù: queste son le cose che più convengono al caso nostro. Vengano anche lacrime quando Iddio ce ne favorisca; ma non si faccia nulla per procurarle. Anzi, meno ce ne cureremo, meglio inaffieremo la nostra arida terra, aiutandola più efficacemente a dar frutti con l'acqua che viene dal cielo, paragonata alla quale non ha proprio a che fare quella che troviamo noi a forza di scavare. Anzi, scaveremo, ci stancheremo, e spesso non troveremo, non dico una sorgente, ma neanche una pozza. Perciò, sorelle, ritengo più utile che ci mettiamo innanzi a Dio, considerando da una parte la sua misericordia e grandezza, e dall'altra la nostra grande miseria. Egli sa quello che più ci conviene, ed Egli ci dia quello che vuole: acqua o siccità. Così cammineremo tranquille, e il demonio non avrà tanta possibilità di tenderci insidie.

10 - In mezzo a queste cose che sono insieme dolci e penose, il Signore invia talvolta certi moti di giubilo e una certa strana orazione di cui non si sa comprendere la natura. Ma ve ne parlo acciocché nel caso che ne siate favorite, sappiate che è possibile e ne lodiate molto il Signore. Si tratta, a mio parere, di una grande unione delle potenze, ma alle quali il Signore lascia libertà di godere di quel gaudio, pur senza intendere ciò che godono, né come godono. E altrettanto è dei sensi. Sembra che parli in arabo, ma è così. L'anima sente una gioia così grande che, non volendo esser sola a goderne, brama di farla conoscere a tutti, affinché l'aiutino a lodare il Signore, scopo di ogni suo movimento. Oh, che feste e che dimostrazioni farebbe per dimostrate a tutti il suo gaudio! Sembra che si sia ritrovata, e che voglia, come il padre del figliuol prodigo, invitare tutti a far festa, giacché si vede in tal luogo da non poter dubitare, almeno per allora, di doverne essere sicura. E ciò a ragione, essendo impossibile, a mio avviso, che il demonio produca nel più intimo dell'anima una gioia così grande, accompagnata da tanta pace da muoverla a dar lodi al Signore.

11 - Sotto l'impeto di tanta gioia, è molto se riesce a dissimulare, e non poco penoso a tacere. In questo stato doveva essere S. Francesco quando, incontratosi con i briganti mentre girava per la campagna gridando, disse che era l'araldo del gran Re. E quanti santi si sono rifugiati nei deserti per potere, come S. Francesco, gridar alto le lodi di Dio! Io ne conobbi uno, chiamato fra Pietro d' Alcantara, che credo di ritenere per santo, tale essendo stata la sua vita. Anch'egli faceva così; e coloro che l'udivano lo ritenevano per pazzo. Oh, santa pazzia, sorelle! Oh, se il Signore la concedesse pure a noi! Considerate intanto la grazia che Egli vi ha fatto nell'accogliervi in questo luogo, dove nel caso che vi concedesse tal favore e voi così lo manifestaste, sareste piuttosto incoraggiate, e non già criticate come nel mondo, dove un tal sistema è così, poco in uso da non recar meraviglia se susciti mormorazioni.

12 - Oh, tempi infelici e miserabile vita quella che viviamo! Vivissimo alle volte è il mio gaudio quando, stando tutte unite, vedo le mie sorelle in tanta gioia interiore che ognuna fa quanto più può nel rendere lodi al Signore per trovarsi in monastero: lodi che, come si vede ad evidenza, partono proprio dal cuore. E io vorrei che le innalzaste di sovente. Se una comincia, le altre la seguono. E in che cosa più bella potreste impiegare le vostre lingue, quando siete insieme, se non nel lodare il Signore, avendo tanti motivi per farlo?

13 - Piaccia a Dio di concederci spesso questa orazione che è molto sicura e profittevole. Con le nostre forze non la possiamo acquistare, perché soprannaturale. Alle volte può accadere che duri tutto un giorno. Allora l'anima somiglia a uno che abbia molto bevuto, ma non tanto da esser fuori dai sensi; oppure a una persona malinconica che, pur non avendo perduto del tutto il giudizio, abbia l'immaginazione talmente fissa in una cosa, da non esservi alcuno che riesca a distrarla. Queste comparazioni sono troppo grossolane per fenomeni così elevati, ma il mio ingegno non sa trovarne di migliori. Tuttavia è così. Il gaudio sommerge l'anima in tal modo che ella va dimentica di sé e di ogni altra cosa, non avverte né indovina a parlare se non di quello che ha rapporto alla sua gioia, voglio dire, delle lodi di Dio. Figliuole mie, aiutiamo tutte quest'anima! A che scopo vogliamo avere più cervello? Vi è forse al mondo maggior contento di questo? Tutte le creature ci assecondino, per tutti i secoli dei secoli. Amen, amen, amen.

Capitolo 7

Pena che sentono dei propri peccati le anime che ricevono queste grazie. Gravissimo errore in cui si cade, per spirituali che si possa essere, quando non si procura di aver sempre innanzi l'umanità di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, la sua passione, la sua Madre gloriosa e i suoi santi. Capitolo molto utile

1 - Vi parrà, sorelle, che le anime a cui Dio si comunica così intimamente, siano ormai sicure di averlo a godere per sempre, e che non abbiano più motivo di temere né di piangere i loro peccati. Ma è un gravissimo errore. Forse lo potranno credere coloro che a tali grazie non sono arrivati; ma se le hanno provate, e furono vere grazie di Dio, comprenderanno quello che ora dirò. Il dolore dei peccati cresce in proporzione dei favori che Dio elargisce; e ritengo che non cessi se non in quel luogo dove nessuna cosa può dar pena.

2 - Però, il dolore è più o mene pungente, e non si fa sempre sentire nel medesimo modo. L'anima, invece di pensare al castigo che i suoi peccati le hanno meritato, non vede che l'ingratitudine di cui si è resa colpevole verso Colui che ha tutto il diritto di essere servito e a cui ella tanto deve. Nei favori che gode scopre maggiormente la grandezza di Dio, si spaventa nel riconoscere di essere stata tanto temeraria, piange il suo poco rispetto, ravvisa nella sua audacia una follia inconcepibile, e al pensiero di aver abbandonato una Maestà così grande per cose tanto vili, non finisce più di lamentarsi. Si ricorda più spesso di questo che non delle grazie ricevute, le quali, benché tanto grandi, come quelle che ho detto e dirò, le sembrano cose che passino di tanto in tanto trasportate da un fiume impetuoso, mentre il ricordo dei suoi peccati le è sempre dinanzi come un letamaio ribollente: ed in ciò è la sua croce.

3 - So di una persona che desiderava di morire, non solo per vedere Iddio, ma anche per sottrarsi alla pena di sentirsi sempre cosa ingrata verso Colui a cui era e doveva essere obbligata. Le pareva che le sue iniquità non potessero essere equiparate da alcun'altra creatura, non sapendo ella immaginare che qualche altra fosse stata da Dio così sopportata e favorita di tante grazie. Dell'inferno non hanno affatto paura. Raro, benché tormentoso, è pure il timore di perdere Iddio. L'unica loro apprensione è che il Signore ritiri la sua mano, permettendo che l'offendano ed abbiano a ricadere nello stato infelice in cui per qualche tempo si sono vedute. Non si curano né della pena, né della gloria futura; e se desiderano di star poco in purgatorio, è più per non esser lontane da Dio che per i tormenti che vi si patiscono.

4 - Ritengo che non sia mai sicuro per un'anima, anche se molto favorita, dimenticarsi dello stato infelice in cui forse si è un po' veduta, perché questo ricordo aiuta molto, nonostante sia penoso. Può darsi che io pensi così per essere stata tanto cattiva, e che appunto per questo non riesca mai a dimenticarmene. Così non sarà di chi è stato virtuoso, benché nessuno vada senza difetti finché si vive in questo corpo mortale. Il pensiero che Dio ha perdonato e dimenticato le nostre colpe, lungi d'alleviarne la pena, l'aumenta di più, mettendo innanzi quell'eccelsa Bontà che non lascia di favorire con le sue grazie chi non ha meritato che l'inferno. Questo pensiero doveva essere il martirio di S. Pietro e della Maddalena, perché, accesi di amore e favoriti di tante grazie come erano, comprendevano meglio la grandezza e la maestà di Dio: grande doveva essere la loro pena, accompagnata da tenerissimi sentimenti.

5 - Vi parrà pure che godendo di queste cose così sublimi, non si debba più fermare la meditazione sui misteri della sacratissima Umanità di nostro Signore Gesù Cristo, ma occuparsi soltanto in amare. Su questo argomento ho già scritto a lungo in un altro luogo. Alcuni mi han fatto opposizione, e mi hanno detto che non me ne intendo, che diverse sono le vie di Dio e che quando le anime hanno oltrepassati i princìpi, è meglio che si distacchino dalle cose corporee per non esercitarsi che in quelle della divinità. Tuttavia non mi faranno mai confessare che questo sia un buon cammino. Ben può essere che mi sbagli o che diciamo tutti la stessa cosa, ma io so che per di qui il demonio ha tentato d'ingannarmi; e ne sono rimasta così scottata che penso di ripetere qui ciò che ho detto in altri luoghi, affinché camminiate con molta attenzione e non abbiate a credere - guardate che cosa ardisco dire! - a chi vi afferma il contrario. Procurerò di farmi intendere meglio che non abbia fatto altrove. Colui che aveva promesso di trattarne per iscritto, avrebbe fatto bene ad estendersi di più, perché a persone di non troppa intelligenza, un'esposizione sommaria può essere di gran danno.

6 - Certe anime credono di non essere capaci di pensare alla passione: meno ancora lo saranno quanto alla sacratissima Vergine e alla vita dei santi, dalla cui memoria ci deriva tanto aiuto e profitto. Ma io non capisco a che cosa pensino. Separarsi da ciò che è corporeo per bruciare continuamente di amore è proprio degli spiriti angelici, non di noi che viviamo in corpo mortale. Se abbiamo bisogno di trattare, pensare e accompagnarci con coloro che, pur essendo come noi, compiono per Iddio delle magnifiche imprese, a maggior ragione non dobbiamo separarci dalla sacratissima Umanità di nostro Signore Gesù Cristo, unico nostro bene e rimedio. Non posso credere che alcuni facciano così. Essi non si devono intendere. Ma intanto fan male a sé e agli altri.Assicuro, se non altro, che non entreranno mai nelle due ultime mansioni, perché, perduta la guida che è il buon Gesù, non ne troveranno la strada. Sarà già molto se potranno stare nelle altre con sicurezza. Non dice forse il Signore che Egli è la via? Non afferma ancora che è luce, e che nessuno può andare al Padre se non per Lui? E quest'altre parole: Chi vede me vede il Padre mio? Diranno che si devono spiegare in altro modo. Io non conosco altre spiegazioni: con questa mi sono sempre trovata assai bene, e la mia anima sente che è vera.

7 - Alcune anime, - molte delle quali han trattato con me - appena elevate alla contemplazione perfetta vogliono l'impossibile: cioè, star sempre in quello stato. Ma, dopo quella grazia, rimangono in tal modo da non esser più capaci di discorrere come prima sopra i misteri della passione e della vita di Cristo. lo non so quale ne sia la ragione, ma è un fatto che avviene di frequente e che inabilita l'intelletto alla meditazione. Secondo me, la causa deve essere questa. Siccome il lavoro della meditazione è tutto nel cercare il Signore, una volta trovatolo, e abituatisi a cercarlo con le operazioni della volontà, l'anima non vuol più stancarsi nel mettere in moto l'intelletto. Può essere inoltre che la volontà, sentendosi infiammata, non voglia più servirsi dell'intelletto. Potendolo non sarebbe male; ma non si può, specialmente quando non si è ancora arrivati a queste sublimi mansioni, e così non si fa che perdere tempo. Spesso per accendere la volontà si ha bisogno dell'intelletto.

8 - Notate, sorelle, questa cosa che è assai importante e che voglio spiegare più a lungo. Ecco un'anima che vuol tutta impiegarsi in amare: non vorrebbe far altro. Eppure, nonostante lo voglia, non può, perché se non è morta la volontà, è morto il fuoco di cui suole avvampare, e per farlo ardere è necessario che qualcuno vi soffi sopra. O che forse si dovrà star lì nell'aridità, aspettando, come il nostro Padre Elia, che discenda il fuoco dal cielo a consumare il sacrificio che l'anima va facendo di sé? No, certamente: non è bene sperar miracoli.
Se qualche volta il Signore si compiace di farli, come abbiamo detto e diremo ancora più innanzi, tuttavia vuole che da parte nostra ci teniamo così bassi da credercene indegni, e che ci aiutiamo da noi stessi in tutti i modi possibili: cosa che in questa vita non bisogna mai tralasciare, per alta che possa essere la nostra orazione.

9 - Di questa diligenza non han bisogno che raramente, o quasi mai, coloro che Dio ha già introdotto nella settima mansione, per la ragione che là dirò, se saprò ricordarmene. Tuttavia, nemmeno essi lasciano di star sempre con Cristo Signor Nostro, sia pure in una maniera tutta ammirabile per esser Egli Dio e Uomo insieme. Dunque, quando la volontà non arde di quel fuoco di cui ho parlato, né si sente in noi la presenza del Signore, è volere di Dio che ce ne andiamo in cerca, come la sposa dei Cantici.Domandiamo alle creature, come insegna S. Agostino - credo nelle Meditazioni o nelle Confessioni - da Chi siano fatte, e guardiamoci dallo star là come sciocchi, perdendo il tempo nell'attendere quello che ci è stato dato una volta. Può essere che da principio il Signore non ritorni a favorircene, non solo in un anno, ma neppure in molti. Egli ne conosce il perché, e noi non dobbiamo cercare di saperlo, non essendovene motivo. Conoscendo che lo dobbiamo servire per la via dei comandamenti e dei consigli, camminiamo per essa con somma diligenza, pensando alla vita e alla morte di nostro Signore e al molto che gli dobbiamo: il resto venga quando a Lui piacerà!

10 - Forse risponderanno che su tali argomenti non si sanno fermare; e, da quanto abbiam detto, potranno in parte aver ragione. Tuttavia, sapete che una cosa è discorrere con l'intelletto, e un'altra considerare le verità che la memoria presenta all'intelletto. Forse direte di non capirmi, e può essere che non mi capisca neppur io per sapermi spiegare. Tuttavia farò del mio meglio. Io chiamo meditazione un discorso fatto con l'intelletto nel modo seguente. Cominciamo col pensare alla grazia che Dio ci ha fatto nel darci il suo unico Figliuolo; poi percorriamo senza fermarci tutti i misteri della sua gloriosa esistenza; oppure cominciamo con l'orazione nell'orto, seguendo con l'intelletto nostro Signore fino alla sua crocifissione; ovvero prendiamo un passo della passione, per esempio la cattura, e percorriamo questo mistero considerando minutamente tutte le circostanze che possono fare impressione, come il tradimento di Giuda, la fuga degli apostoli e tutto il resto. Questa è un'orazione assai bella e molto meritoria.

11 - Eppure, ripeto, questa è l'orazione che le anime elevate da Dio agli stati soprannaturali e alla contemplazione perfetta dichiarano di non saper fare. Io non ne so il motivo, ma ordinariamente è cosa, ed esse han ragione. Però, s'ingannano quando affermano di non potersi trattenere in questi misteri, né richiamarseli alla memoria, specialmente quando la Chiesa Cattolica li festeggia, essendo impossibile che un'anima, dopo aver ricevuto da Dio tante grazie, si dimentichi di così preziose manifestazioni di amore, che sono come ardenti scintille, atte ad infiammarla sempre più nella sua carità verso Dio. No, quelle anime non si devono intendere. Quei misteri si comprendono in un modo più elevato. L'intelletto li rappresenta così al vivo, e la memoria ne rimane così impressionata che la sola vista del Signore prostrato nell'orto con quel sudore spaventoso, basta ad occuparci, non solo per un'ora, ma per molti giorni di seguito. Con un semplice sguardo si vede chi Egli sia, e quanto enorme la nostra ingratitudine verso un dolore così grande. Accorre subito la volontà, sia pure senza tenerezza, ma col desiderio di rispondere in qualche cosa a tanta grazia e di soffrire un poco per Colui che ha tanto sofferto, ed altri simili desideri molto atti ad occupare la memoria e l'intelletto. Questo, a mio parere, è il motivo per cui l'anima non può passare innanzi e discorrere a lungo sulla passione, e ciò le fa credere di non sapersi in essa occupare.

12 - Qualora non lo possa veramente, è sempre bene che vi si sforzi, perché so che questo esercizio non impedisce neppure la più alta orazione. No, non ho per buono che si astenga dall'esercitarvisi spesso. Se il Signore la sospende mentre è così occupata, ciò sia alla buon'ora, perché allora le toglie quello che la occupa anche contro sua voglia. Ma io sono sicura che questa maniera di agire nonché non essere di ostacolo, serve grandemente per ogni sorta di beni. L'ostacolo sarebbe nel far di tutto per continuare a discorrere come ho detto in principio, benché non sia affatto possibile per chi è arrivato più in su. (Forse lo potrebbe anche fare, perché molte sono le vie per le quali Dio conduce le anime). Comunque, non si condanni chi non può camminare per di qui, né lo si giudichi incapace di godere i grandi beni racchiusi nei misteri del nostro Re Gesù Cristo. Ma nessuno, per spirituale che possa essere, mi saprà persuadere che sia bene rinunciarvi.

13 - Ecco ciò che succede ad alcune anime, tanto sul principio come allora che sono alquanto avanzate. Appena cominciano a toccare l'orazione di quiete e ad assaporare le delizie e i gusti che il Signore concede, pensano di non dover far altro che continuare a goderne. Ma, come ho detto in altro luogo, si guardino bene dal lasciarsi troppo assorbire, perché la vita è lunga, ed è così piena di travagli che per sopportarli con perfezione, si ha sempre bisogno di considerare come li han sopportati Cristo, nostro modello, i suoi apostoli e i santi. È troppo bella la compagnia del buon Gesù per dovercene separare! E altrettanto si dica di quella della sua santissima Madre. Egli ha piacere che qualche volta compatiamo le sue pene, a scapito delle nostre gioie e consolazioni, tanto più che le delizie dell'orazione non sono mai così continue da non lasciar tempo per tutto. Se alcuna affermasse d'esser sempre nelle medesime condizioni - cioè, di non poter mai fare ciò che dico - riterrei il suo stato per molto dubbio. Anche voi tenetelo per tale, e cercate di liberarvi da questo inganno, facendo il possibile per distrarvi. Se ciò non basta, parlatene alla Priora acciocché vi metta in uffici di tali preoccupazioni da togliervi subito a quel pericolo, perché se , tale stato si prolunga, vi può essere di grave danno tanto alla testa che alla ragione.

14 - Credo di aver fatto capire quanto convenga, per spirituali che si possa essere, non aver così paura delle cose corporee da sembrarci di danno anche la sacratissima Umanità di Gesù Cristo. Oppongono quello che Gesù disse ai suoi discepoli: cioè, convenire che Egli se ne andasse. Ma io non lo posso sopportare. Certo che non disse così alla sua santissima Madre, perché ella era forte nella fede, sapeva che Egli era Dio e Uomo, e benché l'amasse più di tutti, lo faceva in modo così perfetto che la sua presenza le era piuttosto di aiuto. Invece gli apostoli non avevano quella fede così ferma che solo ebbero più tardi, e che ora noi dobbiamo avere. Da parte mia, figliuole, vi dico che questo sistema è pericoloso, e che il demonio potrebbe finire col farci perdere la devozione al santissimo Sacramento.

15 - L'inganno in cui mi pare d'esser anch'io caduta non è arrivato a questo punto: soltanto che non godevo più di pensare a nostro Signore Gesù Cristo per andarmene tutt'assorta nell'attesa di quelle delizie. Ma vidi chiaramente che il mio cammino non era buono, perché, siccome non potevo sempre goderne, il mio pensiero andava vagando qua e là, e l'anima pareva un uccello che svolazzasse senza trovare ove posarsi. Perdevo molto tempo, non progredivo in virtù, non mi avanzavo nell'orazione, e non ne capivo la ragione, né giammai l'avrei capita, perché quel mio modo di fare mi sembrava molto sicuro. Fui illuminata da un buon servo di Dio con cui ebbi a parlare della mia orazione, e allora vidi chiaramente quanto fossi fuor di strada. Presentemente non finisco più di dolermi per non aver compreso che con una perdita così grande non si può guadagnare che assai male. No, ora non voglio più alcun bene, neppure potendolo, se non per mezzo di Colui dal quale tutti ci vennero. Sia Egli per sempre benedetto! Amen.

Capitolo 8

In che modo Iddio si comunichi all'anima nella visione intellettuale. Alcuni avvisi in proposito. Effetti che questa visione produce quando è vera. Tali grazie si devono tener segrete

1 - È bene ora vedere che, quando Dio lo vuole, noi non possiamo far altro che star sempre con Lui, e ciò vi farà capire più chiaramente la verità di quello che vi ho detto e che quanto più un'anima va innanzi, tanto più continua si fa la sua compagnia col buon Gesù, secondo quello che si apprende dalle diverse maniere con cui Egli si comunica alle anime, mostrando l'amore che ci porta. Ciò avviene mediante alcune visioni e apparizioni molto ammirabili, delle quali, se piacerà a Dio che mi sappia spiegare, vi dirò in breve qualche cosa, affinché non abbiate a spaventarvi qualora ve ne sia data qualcuna: tanto più che queste grazie, anche se non concesse a noi, servono molto a far lodare il Signore, mostrandolo così buono da non sdegnare di comunicarsi in tal modo con una creatura, nonostante tanta sua potenza e maestà.

2 - Ecco ciò che avviene. Mentre l'anima è in tutt'altri pensieri fuorché in quello di avere tali grazie - grazie che non ha mai pensato di meritare - si sente vicino nostro Signor Gesù Cristo, ma senza che lo veda, né con gli occhi del corpo, né con quelli dell'anima. E questa - non ne so il perché - si chiama visione intellettuale. Una persona che ebbe questa grazia unitamente a molte altre di cui parlerò più avanti, da principio andava molto impressionata perché non capiva cosa fosse, non vedeva nulla e ciò nonostante intendeva così chiaramente essere Cristo quegli che le appariva, da non poterne dubitare: dubitare, dico, che si trattasse di una visione, perché circa la sua provenienza, - se da Dio o no, - era sempre timorosa, benché i grandi effetti di cui rimaneva arricchita la portassero a credere che fosse da Dio. Ella non solo non aveva mai sentito parlare di visioni intellettuali, ma neppure sapeva se esistessero. Intendeva però chiaramente che Quegli che sentiva presente era il medesimo che altre volte le parlava nella maniera che ho detto, mentre prima non sapeva chi le parlasse, ma solo intendeva le parole. Questa visione, inoltre, non è come l'immaginaria che passa presto, ma dura molti giorni e alle volte più di un anno.

3 - So ancora che quella persona, standosene con paura, si portò tutt'afflitta dal confessore, che le chiese come sapesse, se non vedeva nulla, che Quegli fosse nostro Signore, e le domandò come era il suo viso. Ella rispose che non lo sapeva, che non vedeva viso di sorta, e che non sapeva dire di più di quanto aveva detto. Sapeva soltanto che Egli era Colui che le parlava, e che ne era sicura. Non poteva dubitarne nemmeno se le mettevano indosso delle gravi paure, specialmente quando il Signore le diceva: Non temere, sono io! Queste parole avevano tal forza da toglierle subito ogni dubbio, e da lasciarla in tale compagnia piena di gioia e di coraggio.Ciò le era di grande aiuto per pensare continuamente al Signore e procurare di non far nulla che l'offendesse, perché le sembrava che la stesse sempre guardando. E ogni qualvolta voleva trattare con Lui, sia nell'orazione che fuori, le pareva che Egli le fosse così vicino da non poter lasciare d'ascoltarla. Riguardo alle sue parole, ella le udiva non quando voleva, ma improvvisamente, a seconda del bisogno. Sentiva che le camminava al lato destro, ma con nessuno di quei segni sensibili per i quali si può conoscere che una persona ci è vicina, bensì in una maniera più delicata che non si deve saper dire: però con la medesima certezza, anzi maggiore, perché con i sensi si può cadere in inganno, mentre qui è impossibile. Se fosse effetto di melanconia, non si avrebbero i vantaggi e gli effetti interiori di cui l'anima si sente ripiena. E nemmeno può essere dal demonio, perché l'anima non rimarrebbe così in pace, né con desideri così continui di piacere a Dio, né con disprezzi così sentiti per tutto ciò che non l'avvicini a Lui.

4 - Col tempo la visione di quella persona si andò meglio manifestando, ed ella comprese che non era dal demonio. Tuttavia si sentiva alle volte piena di paura, e alle volte con grandissima confusione per non sapere da dove tal bene le venisse. Io e quella persona eravamo una stessa cosa, e niente passava nella sua anima che io non conoscessi, per cui posso esserle di buon testimonio. Abbiate quindi per vero quanto di lei vi ho raccontato.Questa grazia apporta all'anima grande confusione e umiltà. Sarebbe tutto il contrario se fosse dal demonio. Né vi può aver parte l'industria umana, perché l'operazione di Dio è così evidente che in nessun modo l'anima può pensare che sia un bene di suo acquisto, ma datole unicamente dalla mano di Dio. Fra le grazie già raccontate ve ne saranno forse di superiori, ma questa apporta all'anima una speciale conoscenza di Dio, dalla cui continua compagnia le deriva un amore tenerissimo verso di Lui, accompagnato dai più vivi desideri d'impiegarsi in suo servizio e da una grande purità di coscienza, perché Colui che ha sempre dinanzi, le fa avvertire ogni cosa. E' un fatto che, pur sapendo di esser sempre alla presenza di Dio, molte volte trascuriamo di pensarci. Ma qui la cosa è impossibile, perché l'anima è tenuta sveglia da Dio stesso che le sta vicino. Perciò, più frequenti sono pure le grazie di cui abbiamo parlato, perché l'anima è quasi sempre in continui atti d'amore verso Colui che vede o sente vicino.

5 - Insomma, dai vantaggi che lascia si conosce chiaramente che è una grazia assai grande, degna d'immensa stima. L'anima ringrazia il Signore che gliela dà senza suo merito, e non la cambierebbe con alcun tesoro o diletto della terra. Quando Dio crede di privarnela, ella si sente sola, e a nulla giovano i suoi sforzi per riaverla, perché Dio la concede quando vuole, né vi son mezzi per procurarsela.

6 - Alle volte si tratta della presenza di qualche santo, e anche allora se ne ha grande giovamento. Ma voi mi direte: Se non si vede nulla, come si capisce che è Cristo, la sua gloriosissima Madre o qualche santo? L'anima non lo sa dire, non comprende come lo capisca e, ciò nonostante, ne è fermissimamente sicura. Pare che la cosa sia più facile quando si tratta di Gesù Cristo che fa sentire la sua voce, ma quando sono santi che non parlano, e sembrano messi là in aiuto e compagnia dell'anima, il fatto è assai più sorprendente. Vi sono altre cose spirituali che non si sanno spiegare, ma che servono a farci meglio conoscere quanto sia incapace la nostra natura di comprendere le infinite grandezze di Dio, dato che non comprende neppur quelle. L'anima si contenti di ammirarle, di benedire il Signore e di ringraziarlo vivamente. Siccome non sono grazie che si danno a tutti, essa le deve molto stimare, procurando di servir meglio il Signore, ché appunto per questo gliele dà. Ne viene intanto che l'anima, lungi dal credersi più degli altri, si persuade d'esser quella fra tutti che meno serve il Signore. Le pare di esservi obbligata più degli altri, e la minima mancanza che commette le trapassa le viscere, non senza grande ragione.

7 - Quella fra voi che Dio condurrà per di qui saprà riconoscere da questi effetti se vi è inganno o fantasia. Quanto al demonio, non credo possibile, se è lui, che la cosa si protragga a lungo, con tanti vantaggi per l'anima e tanta pace interiore. Non è questo il suo costume. Un essere così malvagio non potrebbe produrre tanto bene neppure volendolo, perché verrebbero certi fumi di propria stima a farci subito pensare di essere migliori degli altri. Gli dà tanta rabbia che l'anima si mantenga sempre con Dio, continuamente occupata di Lui, che se qualche volta cerca d'ingannarla, non lo fa troppo spesso. Dio poi è fedele, e non permetterà mai al demonio di aver tanta forza sopra un'anima, la cui unica brama è di piacergli e di sacrificare anche la vita per il suo onore e la sua gloria: anzi, farà in modo che ne esca presto disingannata.

8 - Il mio pensiero è e sarà sempre questo: dal momento che l'anima si sente con questi effetti che sono propri delle grazie di Dio, qualche volta Egli potrà permettere al demonio di tentarla, ma la farà uscire con vantaggio e coprirà il maligno di confusione. Perciò, figliuole, se alcuna va per questa strada, non si lasci spaventare.
Però è bene che camminiate sempre con timore e con grande avvertenza. Guardatevi dal credere che per essere così favorite possiate alquanto trascurarvi: sarebbe segno che le vostre grazie non sono da Dio, né più né meno che se non vi vedeste con gli effetti accennati. Da principio sarà bene che ne parliate sotto segreto di confessione con qualche persona molto dotta -sono costoro che ci devono illuminare - oppure con una molto spirituale. Però preferite il molto dotto, se la spiritualità dell'altro non è profonda. Meglio ancora: potendolo, consultate l'uno e l'altro. Se vi diranno che è una vostra immaginazione, non preoccupatevene, perché un'immaginazione non fa né bene né male. Piuttosto raccomandatevi a Dio affinché non permetta che cadiate in inganno. Ne avrete maggior pena se vi diranno che è il demonio. Ma non ve lo dirà certamente uno molto dotto quando veda gli effetti di cui abbiamo parlato. Quand'anche ve lo dicesse, vi assicurerebbe del contrario il Signore che sta con voi, il quale vi riempirebbe di consolazione, e darebbe luce al direttore per potervi meglio comprendere.

9 - Se l'interpellato è uno che, pur praticando l'orazione, non è condotto per questa strada, si spaventerà subito e condannerà ogni cosa. Perciò vi consiglio d'indirizzarvi a un qualche grande teologo, possibilmente molto spirituale. La Priora lo permetta, anche se in base alla buona vita che mena, vede che quell'anima va bene. È obbligata a permetterlo. E saranno ambedue sicure. Però, dopo essersi consultata, l'anima deve mettersi in pace e guardarsi dal moltiplicare consultazioni, perché il demonio può ispirare timori così eccessivi e irragionevoli da spingere l'anima a non contentarsi di una volta sola. Ciò avviene specialmente quando il confessore non è di molta esperienza, si fa vedere timoroso, o è lui che induce l'anima a consultarsi. In tal modo vengono a divulgarsi certe cose che sarebbe bene tener segrete. Ecco allora l'anima fra le persecuzioni e le angustie. Credeva che le sue grazie fossero occulte, e invece le vede divulgate, con un seguito di molte cose spiacevoli tanto per lei che per 1'Ordine, causa la malizia dei tempi. Perciò è necessario avere molta prudenza, e io la raccomando assai alle Priore.

10 - Non devono esse pensare che una sorella sia migliore delle altre perché è favorita di tali grazie. Il Signore guida ognuna secondo che crede meglio. Se è vero che quei favori, quando sono corrisposti, aiutano a divenire delle grandi serve di Dio, è pur vero che alle volte il Signore non li comparte che alle più deboli. Perciò non bisogna né approvare né condannare, ma considerare la virtù. Sarà più santa colei che servirà il Signore con maggiore mortificazione, umiltà e purità di coscienza. Ma siccome quaggiù non si può avere che una sicurezza relativa, bisogna attendere che il vero Giudice dia a ciascuno quello che si merita. E vedremo allora con sorpresa quanto siano diversi i suoi giudizi dai nostri terreni apprezzamenti. Sia Egli per sempre benedetto! Amen. .. .

Capitolo 9

In che modo Iddio si comunichi all'anima nella visione immaginaria. Raccomanda istantemente di non desiderare questa via, e ne dice le ragioni. Capitolo assai utile

1 - Veniamo ora alle visioni immaginarie, nelle quali dicono - e dev'essere vero - che il demonio può intromettersi più facilmente che non nelle precedenti. Ma se vengono da Dio, credo che ci siano più utili, perché più conformi alla nostra natura: eccetto quelle che Dio accorda nell'ultima mansione, alle quali non ve n'è una che possa essere somigliante.

2 - Ecco come nostro Signore si presenta nella visione descritta nel capitolo precedente. Supponiamo di tener chiusa in un astuccio d'oro una pietra preziosa di grandissimo valore e di ammirabili qualità. Non l'abbiamo mai vista, ma siamo sicuri di averla, e portandola con noi non lasciamo di sperimentarne gli effetti e d'apprezzarne il valore, avendoci essa guariti da certe infermità per le quali è appropriata. Tuttavia non osiamo guardarla, né aprirne l'astuccio.Anzi, non lo possiamo neppure, perché il modo di aprirlo è noto solo al suo padrone, il quale ce l'ha imprestata perché ce ne gioviamo, ma se ne è tenuta la chiave. Quando vorrà mostrarci la pietra, aprirà l'astuccio, come sua cosa propria; e quando gli piacerà, se la porterà via, così come suol fare.

3 - Supponiamo ora che di tanto in tanto apra improvvisamente l'astuccio in beneficio di colui a cui l'ha imprestata. Questi ne avrà un ricordo più vivo, e non potrà pensare all'ammirabile splendore di quella pietra senza provarne una gioia particolare. Così qui. Quando il Signore si compiace di favorire alcuno con maggior affetto, gli mostra svelatamente la sua sacratissima Umanità sotto la forma che vuole, o come era quando viveva sulla terra o come dopo la sua resurrezione, sia pure con tanta rapidità da fare pensare a un lampo. Tuttavia la sua immagine s'imprime nella mente così al vivo da non poter essere cancellata fino al giorno in cui lo si godrà senza fine.

4 - Ho detto immagine, ma non già nel senso che debba parere una pittura, bensì come un Essere veramente vivo, che alle volte parla con l'anima e le svela dei sublimi segreti. Tuttavia, anche se l'apparizione si protrae per qualche tempo non si può in essa fermare lo sguardo più di quello che lo si possa nel sole, per cui la sua vista ne è sempre rapidissima, nonostante che il suo splendore non offenda gli occhi dell'anima, come lo splendore del sole quelli del corpo. Parlo degli occhi dell'anima, perché, qui non si percepisce che con essi. Quanto a vedere con gli occhi del corpo non ne so nulla perché la persona suddetta, da cui ho appreso tanti particolari, non ne fu mai favorita: e parlare con esattezza di ciò che non si conosce per esperienza, è assai difficile. Lo splendore di quell'immagine è come una luce infusa, simile a quella che avrebbe il sole se lo si coprisse di una cosa trasparente, come il diamante; e le sue vesti sembrano di tela d'Olanda. Ma quando il Signore accorda questa grazia l'anima entra quasi sempre nel rapimento, perché uno spettacolo così tremendo dall'umana debolezza non può essere sopportato.

5 - Dico tremendo, in quanto è di una maestà così grande che l'anima ne va piena di spavento, benché sia il più bello e il più dilettevole spettacolo che una persona sappia immaginare, la quale non riuscirebbe a rappresentarselo così, neppure se vi lavorasse intorno mille anni di vita, perché superiore di gran lunga alla capacità della nostra immaginazione e del nostro intelletto. Qui non vi è bisogno di chiedere come si conosca chi Egli sia. Non occorre che alcuno ce lo dica, perché si dà a conoscere da sé molto bene come Signore del cielo e della terra: contrariamente ai re di questo mondo, i quali, se non sono accompagnati dalla loro corte, o non si dice chi siano, passano spesso inosservati.

6 - Oh, Signore! .... Come vi conoscono poco i cristiani! Che sarà quando verrete a giudicarci, se qui, mentre venite con tanta affabilità per trattare con la vostra sposa, si prova un così vivo terrore a guardarvi? Ah, figliuole! Che sarà mai quando con voce terribile pronunzierà le parole: Via, maledetti dal Padre mio?

7 - Sia questo il pensiero che lasci ora nella nostra mente la grazia di cui parlo, e ci sarà di non poco profitto. S. Girolamo, benché santo, l'aveva sempre presente. E con esso ci sembrerà poco quello che dovremo soffrire per il rigore della Regola abbracciata. Anche se le sue austerità durassero a lungo, paragonate a quelle dell'eternità non sarebbero che di un istante. Quanto a me, vi assicuro, benché tanto miserabile, di non aver mai avuto così paura dei tormenti dell'inferno da stimarli anche solo qualche cosa di fronte al terrore dei dannati nel vedere pieni d'ira gli occhi tanto belli, dolci e misericordiosi del Signore. Mi pare che il mio cuore non li potrebbe sopportare. E tale è sempre stato il mio pensiero. Ah, quanto dovrà più temere chi ha ricevuto questa grazia, se l'emozione che in essa si prova basta da sola per far uscire dai sensi! Questo dev'essere il motivo per cui l'anima rimane allora sospesa. Ma il Signore soccorre alla debolezza di lei, acciocché si unisca alla sua grandezza in questa divina e tanto sublime comunicazione.

8 - Se l'anima può indugiarsi a lungo nella contemplazione del Signore, credo che non si tratti di visione, ma di una qualche figura formatasi nell'immaginazione in seguito a una considerazione molto intensa: figura che, paragonata a quella di cui parlo, sarà come una cosa morta.

9 - Ecco quanto avviene ad alcune persone. So che è vero perché ne han trattato con me, e non tre o quattro, ma molte. Costoro, in seguito alla debolezza della loro fantasia o all'attività del loro intelletto o non so per quale altro motivo, s'immergono in tal modo nelle loro immaginazioni da essere sicurissime di vedere tutto quello che pensano. Ma esse comprenderebbero tosto il loro errore, se avessero avuto una qualche vera visione, perché, non solo non ne risentono alcun effetto, ma siccome sono loro stesse a fabbricare quel che vedono con l'immaginazione, rimangono molto più fredde che se vedessero un'immagine devota. Perciò non se ne deve far caso. Del resto esce pure di mente molto più presto di un sogno.

10 - Non così nel caso nostro. Mentre l'anima è molto lontana e non pensa neppure di aver da vedere qualche cosa, ecco che d'improvviso le si presenta la visione, la quale mette sossopra le potenze e i sensi con gran timore e turbamento, per poi lasciarli in una pace deliziosa. A quel modo che quando S. Paolo fu rovesciato per terra avvennero nel cielo alcuni tuoni e movimenti, così in questo nostro mondo interiore. Vi succede come una gran commozione, ma poi subito si fa tutto tranquillo, e l'anima si ritrova in possesso di così grandi verità da non aver più bisogno di alcun maestro, perché la vera Sapienza l'ha liberata dalla sua ignoranza, senza che ella si affaticasse. Per qualche tempo l'anima conserva una tale certezza della divina provenienza di questa grazia che, per quanto le dicano in contrario, nulla può indurla à temere d'essere stata in inganno. Ma in seguito, quando il confessore cerca d'intimorirla, Dio permette che ne dubiti, pensando che ciò possa essere in castigo dei suoi peccati. Tuttavia non ne è convinta. Vi si trova come nelle tentazioni contro la fede: il demonio può inquietarla, ma non per questo lascia ella di credere. Anzi, quanto più il maligno la combatte, tanto più si convince che beni così grandi non le vengono da lui. Egli non può far molto sull'interiore dell'anima: le sue rappresentazioni non sono mai con tanta verità, maestà ed effetti.

11 - Siccome è una cosa che i confessori non possono vedere, e la persona che ne è favorita non sa alle volte spiegarsi, essi han tutti i motivi di temere. Perciò si deve procedere con circospezione e attendere che il tempo ne mostri i frutti, osservando se l'anima ne esca più umile e più fortificata in virtù. Il demonio, se è lui, darà presto dei segni e si lascerà sorprendere in mille falsità. Il confessore che ha esperienza, ed ha provato queste cose, non tarderà molto ad accorgersi. Dalla relazione che gliene faranno, vedrà prontamente se è l'opera di Dio, dell'immaginazione o del demonio, specialmente se avrà ricevuto dal Signore il dono del discernimento degli spiriti. Se avrà questa dono e sarà fornito di dottrina, lo conoscerà molto bene anche senza esperienza.

12 - Importa molto, sorelle, che vi comportiate con il confessore con grande verità e schiettezza, non soltanto quanto a manifestargli i vostri peccati, com'è doveroso, ma anche nel dargli conto della vostra orazione. Altrimenti non vi potrei assicurare né della vostra via, né che sia Dio quegli che v'insegna. Piace molto al Signore che usiamo con i suoi rappresentanti la stessa verità e chiarezza che useremmo con Lui, desiderosi di far loro conoscere tutti i nostri pensieri e soprattutto le nostre opere, anche più piccole. Se fate così, sbandite ogni timore e mettetevi in pace. Anche se le visioni non fossero da Dio, avendo voi umiltà e buona coscienza, non vi farebbero alcun danno. Il Signore saprebbe cavar bene dal male, in quanto che, nella persuasione di esser da Dio favorite, fareste di tutto per maggiormente contentarlo, mantenendovi continuamente occupate nella sua immagine: e così avreste un guadagno là dove il demonio pretendeva rovinarvi.
Diceva un gran teologo che se il demonio, bravo pittore com'è, gli rappresentasse un'immagine del Signore molto espressiva, egli invece di averne pena, se ne servirebbe per ravvivarsi in devozione e muovere guerra al maligno con le stesse sue armi. Per quanto un pittore possa essere malvagio, non per questo si deve disprezzare l'immagine che egli faccia, quando sia di Colui che è il nostro solo Bene.

13 - Inoltre quel teologo biasimava molto coloro che al sopraggiungere di qualche visione consigliano di farle le corna, perché, diceva, dobbiamo onorare l'immagine del nostro Re in qualunque luogo si veda. E trovo che ha ragione. Anche fra noi, del resto, se una persona ama un'altra e viene a sapere che quest'altra copre d'ingiurie il suo ritratto, non ha certo piacere. A maggior ragione si deve rispettare un crocifisso o un'immagine del nostro Imperatore in qualunque luogo si veda. Benché io abbia scritto su questo argomento anche in altre parti, mi è piaciuto ripetermi perché ho conosciuto una persona a cui avevano imposto un tal rimedio, ed era molto afflitta. Non so chi possa essere l'autore di un tale espediente non buono ad altro che a tormentare l'anima, la quale, credendo di andar perduta se non ascolta il confessore, si sforza di obbedirgli. Ma se di questi consigli ne daranno anche a voi, il mio è che non li abbiate a seguire, esprimendo queste ragioni con umiltà. Per ciò che mi riguarda, le buone ragioni apportatemi da colui che in tale circostanza trattò con me, mi convinsero pienamente.

14 - Un gran vantaggio di questa grazia è che l'anima, pensando al Signore, alla sua vita e alla sua passione, ricorda il suo dolcissimo e bellissimo volto e ne prova vivissima consolazione, a quel modo che anche tra noi si sente più piacere nel pensare ai benefici di una persona conosciuta che non di un'altra mai vista. Vi dico che è un ricordo soave, di gran conforto e vantaggio. Porta con sé molti altri beni, ma siccome ho già parlato degli effetti che queste cose producono e che avrò a dire anche altrove, non voglio ora che ci stanchiamo, né io né voi. Vi raccomando solo instantemente che, venendo a conoscere o a udire che Dio accorda ad alcuno queste grazie, non abbiate a pregare né a desiderare che ne favorisca pur voi. Benché ciò vi sembri assai buono e degno di grande stima, tuttavia non conviene, per le ragioni che qui vi dico.

15 - Primo; perché è mancanza di umiltà volere che vi si dia quello che non avete meritato: e credo che chi lo desidera, di umiltà ne abbia ben poca. A quel modo che un povero contadino è lungi dal desiderare di esser re, perché la cosa gli sembra impossibile e non crede di meritarla, così l'umile di fronte a queste grazie. Le quali, a mio parere, non sono concesse che agli umili, perché il Signore, prima di accordarle, invia sempre un qualche grande sentimento della propria nullità. Chi ha tali desideri, come può essere persuaso che il Signore gli usi una ben grande misericordia nel non tenerlo già nell'inferno? Secondo, perché è certissimo che con quei desideri, o si è già in inganno o si è in gran pericolo di esserlo. Al demonio basta vedersi aperta la più piccola porta per tenderci mille insidie! ... Terzo, perché quando il desiderio è veemente, vi entra di mezzo l'immaginazione, e allora la persona si dà a credere di vedere e di sentire ciò che desidera, come avviene a coloro che sognano di notte quello che di giorno han molto pensato e desiderato. Quarto, perché assai temerario è volermi scegliere da me stessa la via, quando non so distinguere quella che più mi conviene, invece di abbandonarmi a Dio, il quale, conoscendomi, mi condurrebbe per quella che più si addice al caso mio, dandomi modo di compiere in tutto la sua santa volontà. Quinto, credete forse che siano leggeri i travagli delle anime che così Dio favorisce? No, ma grandissimi e di vario genere. E allora, come sapete di essere capaci di sopportarli? Sesto, perché può essere che troviate la vostra perdita dove pensavate di guadagnare, come avvenne a Saul per essere re.

16 - Oltre a queste, vi son altre ragioni. Per cui, credetemi, il più sicuro è di non volere se non quello che Dio vuole, il quale ci conosce più di noi e ci ama. Mettiamoci fra le sue mani, affinché compia in noi la sua santa volontà: mantenendoci in essa con animo risoluto, non cadremo mai in errore. Dovete inoltre avvertire che il fatto di ricevere tali grazie non significa che si abbia pure maggior merito. Anzi, ricevendo di più, si rimane obbligati. Ciò che importa maggiore o minor merito è alla portata di tutti, e Dio non ne priva nessuno. Vi sono molte anime sante che non hanno mai saputo che cosa sia ricevere una di queste grazie; altre invece le ricevono, e non sono sante. Non dovete poi credere che questi favori siano continui. Anzi, per uno solo di essi che il Signore conceda, si han travagli in gran numero, per cui l'anima, nonché preoccuparsi per sapere se tali grazie le verranno ripetute, non pensa che al modo di meglio corrispondervi.

17 - È vero che devono essere di grande aiuto per avere virtù più perfette; ma le virtù acquistate con le proprie fatiche sono degne di maggior premio. Io conosco una persona, anzi due - una delle quali è uomo - a cui il Signore aveva concesso queste grazie. Eppure esse desideravano così ardentemente di servire Iddio a proprie spese, senza tanti favori, ed avevano una brama così viva di patire per amor suo, che si lamentavano con Lui perché così le favoriva, disposte pure a resistere se avessero potuto.Parlo solo delle delizie che Dio comparte nella contemplazione, non delle visioni, perché queste sono degne di molta stima, e se ne ricava sempre gran vantaggio.

18 - Secondo me, questi desideri sono soprannaturali e propri di anime altamente innamorate, le quali vorrebbero mostrare a Dio che non lo servono per il salario. Se si sforzano di servirlo con maggiore attenzione, non è per la gloria che ne avranno in ricompensa, a cui non pensano neppure, ma soltanto per soddisfare all'amore, la cui natura è di sempre operare, in tutte le maniere. L'anima, se lo potesse, escogiterebbe nuovi mezzi per consumarsi in amore. E se la maggior gloria di Dio richiedesse il suo perpetuo annientamento, vi si assoggetterebbe volenteri. Sia Egli per sempre benedetto che vuol mostrare la sua grandezza nel comunicarsi con sì miserabili creature! Amen.

Capitolo 10

Altre grazie e diversa maniera con cui Dio le concede. Gran profitto che se ne ricava

1 - Il Signore si comunica con queste apparizioni in varie circostanze: alle volte quando l'anima è afflitta, altre volte quando le ha da venire qualche grave travaglio, ed altre quando Sua Maestà vuole deliziarsi con lei e favorirla. Ma non è il caso di discendere a tanti particolari, perché mio scopo è di far conoscere, per quanto io me ne intenda, le diverse grazie che su questo cammino si ricevono, affinché sappiate in che consistono, e quali gli effetti che lasciano, senza ingannarci col pensare che ogni immaginazione sia una visione.Con ciò, inoltre, non vi turberete né cadrete in angustia qualora ne siate favorite, vedendo che, dopo tutto, si tratta di cose possibili. Il demonio guadagna molto e prende molto piacere nel vedere un'anima afflitta ed inquieta, perché sa che tale stato le impedisce d'impiegarsi nell'amare e nel dar lodi al Signore. Sua Maestà si comunica ancora in altri modi; molto più sublimi e meno pericolosi, nei quali le contraffazioni del demonio non credo siano possibili. Ma siccome si tratta di cose molto occulte, non è troppo facile parlarne, a differenza delle visioni immaginarie che si possono spiegare più facilmente.

2 - Ecco ciò che accade quando Dio lo vuole. L'anima, mentre è in orazione e profondamente in essa assorbita, si sente improvvisamente sospesa, e il Signore le fa intendere grandi segreti, che ella crede di vedere nello stesso Dio. Ho detto vedere, ma in realtà non vede nulla, perché non si tratta di una visione della sacratissima Umanità e neppure di una visione immaginaria, ma di una molto intellettuale, nella quale s'intende in che modo si vedano in Dio le cose e come Egli le contenga in sé. Benché sia una grazia fugacissima, tuttavia s'imprime nell'anima profondamente, e grandi sono gli effetti che ne vengono. Anzitutto ci copre di confusione, facendoci meglio vedere la malizia dei nostri peccati, in quanto li commettiamo mentre siamo in Dio: si, dentro di Lui. Per farmi intendere, voglio vedere se riesco a servirmi di una similitudine. Benché sia così e si tratti di una verità che sentiamo molte volte, tuttavia, o non vi pensiamo o non vogliamo capirla: se la comprendessimo bene, pare che tanta temerità non ci sarebbe possibile.

3 - Supponiamo che Dio sia come una stanza o un palazzo molto grande e bello. Il palazzo, ripeto, è lo stesso Dio. Ora, il peccatore per commettere le sue iniquità può forse uscire dal palazzo? No. Tutte le abominazioni, le scelleraggini, le disonestà che noi peccatori commettiamo, si consumano tutte in quel palazzo, vale a dire nello stesso Dio. Oh, verità spaventevole e degna di somma riflessione! Quanto utile per noi che siamo poco istruite e non finiamo mai di persuadercene! Oh, sarebbe affatto impossibile avere ancora una così insensata temerità! Consideriamo, sorelle, la grande misericordia e la pazienza di Dio che non ci sprofonda sull'istante. Ringraziamolo sentitamente e vergognamoci di essere così sensibili a ciò che dicono o fanno contro di noi. Non è forse un'inconcepibile nequizia risentirci di una paroletta, detta alle volte in nostra assenza e forse senza cattiva intenzione, mentre vediamo Dio nostro Creatore sopportare che le sue creature gli facciano tante offese fin dentro di Lui?

4 - Oh, miseria umana! Quando, figliuole, imiteremo un poco questo nostro gran Dio? No, non ci avvenga mai di credere che facciamo pur noi qualche cosa perché sopportiamo un'ingiuria! Soffriamo tutto di buona voglia, e amiamo coloro che ci offendono, giacché anche questo gran Dio non ha mai lasciato di amarci, nonostante i nostri molti peccati. Sì, ha ragione di volere che tutti perdonino, qualunque sia l'offesa ricevuta. Benché questa visione sia tanto rapida, pure vi dico che è un'insigne grazia di Dio, purché l'anima sappia giovarsene, riportandola spesso alla memoria.

5 - Subitamente, e in un modo inesplicabile, succede alle volte che Dio mostri in se stesso una tale verità da eclissare tutta quella che si trova nelle creature, dando chiaramente a conoscere che Egli solo è verità, incapace di mentire. Allora si comprende ciò che dice David in un salmo: cioè, che ogni uomo è mendace, parole che non si intenderebbero mai così bene, neppure se si sentissero molte volte. Dio è una verità che non può mancare. Quando Pilato chiese a nostro Signore, durante la passione, che cosa fosse la verità, penso che gli abbia chiesto troppo.E noi quanto poco la conosciamo questa suprema Verità! Su questo argomento vorrei spiegarmi più a lungo, ma mi è impossibile.

6 - Impariamo da ciò, sorelle, che per conformarci in qualche cosa al nostro Sposo e Dio, occorre che ci studiamo di comportarci sempre con verità. Non dico soltanto che non si debba mentire: in ciò, grazie a Dio, vi vedo così guardinghe che in queste case non si dice bugia per veruna cosa del mondo; ma che camminiamo nella verità innanzi a Dio e innanzi agli uomini in tutte le circostanze possibili, specialmente col non volere che ci ritengano più di quello che siamo, e con dare a Dio quello che è di Dio, e a noi quello che è nostro nelle opere che facciamo. Cerchiamo di metterci ovunque nella verità, e non faremo tanta stima di questo mondo che è tutto menzogna e bugia, e che appunto perché tale non può essere durevole.

7 - Mi chiedevo una volta perchè Dio ami tanto l'umiltà, e mi venne in mente, d'improvviso, senza alcuna mia riflessione che ciò dev'essere perché Egli è somma Verità, e che l'umiltà è verità. È verità indiscutibile che da parte nostra non abbiamo nulla di buono, ma solo miseria e niente.Chi più lo intende, più si fa accetto alla suprema Verità, perché in essa cammina. Ci conceda Iddio, sorelle, di non mai uscire da questo nostro conoscimento! Amen!

8 - Nostro Signore accorda all'anima queste grazie perché, considerandola ormai come sua vera sposa, già decisa di fare in tutto il suo volere, vuole svelarle qualche sua grandezza e mostrarle in quali cose debba ella assecondarlo. Non occorre che mi estenda di più. Ho parlato di queste due grazie, perché mi sembrano di grande utilità. In esse non vi è alcun motivo di temere, ma soltanto di lodare il Signore che le dà. Secondo me, il demonio e l'immaginazione non possono tanto intromettersi, e l'anima ne esce molto consolata.

Capitolo 11

Tratta di certi desideri di godere Iddio, dati all'anima da Dio stesso, così grandi e impetuosi da mettere in pericolo la stessa vita. Vantaggi che l'anima ne ricava

1 - Bastano forse queste grazie perché la colombella o farfalletta - non crediate che me ne sia scordata - si senta soddisfatta e si riposi dove dovrà morire? No, certamente. Anzi, il suo stato si fa molto più grave, geme e va continuamente fra le lacrime. Benché riceva queste grazie da molti anni, tuttavia, ognuna di esse accresce il suo tormento, perché meglio vi conosce le grandezze del suo Dio. Ed ella, vedendosi da lui separata e così lontana dal possederlo, sente aumentare i suoi desideri, in proporzione dell'amore che va pur esso aumentando, a misura che più scopre quanto meriti di essere amato quel suo gran Dio e Signore. E con l'andare degli anni quei desideri vanno a poco a poco aumentando fino a produrre la gran pena di cui ora dirò. Ho detto anni per conformarmi al modo con cui si sono svolti nella persona accennata, ma so bene che a Dio non si metton limiti. Egli può fare quel che vuole, per noi desidera di far molto, e può in un istante elevare l'anima al più alto grado che qui si dirà.

2 - Accenno, dunque, a quelle ansie, lacrime, sospiri e grandi impeti, di cui ho parlato: cose che sembrano derivare dal nostro amore quando sia molto sentito. Tuttavia, sono come un fuoco che dà fumo, si possono sempre sopportare, sia pure con pena, e non sono neppure da paragonarsi con quello che ora voglio dire. Mentre l'anima va così ardendo in se stessa, ecco che in seguito a un minimo pensiero o a una parola che senta sulla lentezza della morte, le viene - non si sa da che parte, né in che modo - come un colpo o una saetta di fuoco. Non dico già che sia una saetta: checché sia, si vede chiaramente che non viene da noi.
Dico colpo, ma non lo è; e tuttavia ferisce profondamente. Mi pare che si faccia sentire, non in quella parte dove si sperimentano i dolori della terra, ma nel più intimo e più profondo dell'anima, dove questo fugacissimo raggio riduce in polvere tutto ciò che trova di questa nostra bassa natura, tanto da esserci impossibile, finché esso continua, di ricordarci ancora di noi. Immediatamente le potenze si sentono così impacciate da non essere più capaci di nulla, eccetto di quelle cose che possono aumentare il tormento.

3 - Non vorrei che mi credeste esagerata. Anzi, sono assai moderata, perché si tratta di cose che non si sanno esprimere. I sensi e le potenze vengono rapiti a tutto ciò che non contribuisce a far crescere quello spasimo.
E se l'intelletto conserva la sua attività, è solo per comprendere con quanta ragione l'anima debba affliggersi per essere lontana da Dio. Vi concorre pure il Signore col dare una così viva cognizione di sé da portare la pena a un alta grado d'intensità, per cui la persona che ne soffre finisce col prorompere in alte grida, senza potersi contenere, neppure se molto paziente e abituata a grandi sofferenze, perché i tormenti di cui parlo non si sentono nel corpo ma nel profondo dell'anima. Allora quella persona comprende quanto più grandi delle pene del corpo siano quelle dell'anima, e pensa che di questa natura debbano pur essere quelle del purgatorio, dove l'assenza del corpo non impedisce all'anima di soffrire assai di più che non qui sulla terra in compagnia del corpo.

4 - Io ho visto una persona in questo stato e ho creduto veramente che fosse per morire.
Nessuna meraviglia del resto, perché qui si è appunto in gran pericolo di morte. Per quanto questo fenomeno sia breve, lascia il corpo completamente slogato e con i polsi così deboli come se l'anima stia per rendersi a Dio. Cessa anche il calore naturale, e l'anima brucia di tal maniera che, con un po' di più, Dio compirebbe le sue brame. Al momento il corpo non sente nulla, né poco né molto. Però le membra si slogano, e per due o tre giorni si hanno grandi dolori, senza neppur la forza di scrivere: credo che il corpo rimanga più debole di prima. Se al momento il corpo non soffre, dev'essere per l'intensità dello spasimo interiore che impedisce all'anima di far, conto di lui. È come avere un dolore molto acuto in un membro: anche se ne abbiamo vari altri, questi non si sentono tanto. È un fatto che io ho sperimentato assai bene. Ma nel caso nostro non si sente né poco né molto, né credo che si senta dolore neppure se ci mettano in brani.

5 - Mi direte che ciò è imperfezione, perché quell'anima non si uniforma al volere di Dio, a cui si è tante volte assoggettata. Fin qui lo poteva fare, e con ciò sopportava la vita. Ma ora non lo può più, perché il suo intelletto non è padrone di sé, né può ad altro pensare fuorché alla ragione che ella ha di ben dolersi. Perché ancora vivere separata dal suo Bene? Si sente come in una strana solitudine, e non varrebbero a tenerle compagnia, non solo tutte le creature della terra, ma neppure, credo, gli stessi abitanti del ella ama: anzi, le sarebbero di tormento. Si vede come per aria, senza appoggi sulla terra e senza mezzi per salire al cielo.
Arde di sete e non può giungere all'acqua: sete intollerabile, salita ormai a tali estremi da non poter essere saziata che con l'acqua di cui il Signore parlò alla Samaritana.
Altra ella non ne vuole, e questa intanto non le viene concessa! ...

6 - Oh, Signore!... In quali angustie stringete mai chi vi ama! Eppure tutto è poco di fronte al molto con cui poi lo favorite. Del resto è giusto che il molto costi molto, massimamente quando serve a purificare l'anima per poi introdurla nella settima mansione, come il purgatorio purifica quelle che devono entrare nel cielo, tanto più che innanzi alla grandezza dello scopo, quel tormento si fa piccolo, come goccia di acqua di fronte al mare, nonostante che in sé sia di un'afflizione così angosciosa da superare, a mio parere, tutte le pene della terra. Quanto a queste, le teneva da nulla, in paragone, anche la persona di cui parlo, malgrado ne avesse sofferte moltissime, sia corporali che spirituali. Eppure l'anima tiene quella pena in sì gran pregio dal riconoscersene del tutto indegna, e la soffre di gran voglia, disposta pure, se così piace al Signore, di sopportarla per tutta la vita. Però questo suo sentimento non è tale da esserle di sollievo, per cui in quel caso non morrebbe una volta sola, ma sarebbe in continua agonia: veramente così.

7 - Pensiamo un momento, sorelle, a coloro che sono all'inferno. Non hanno né questa conformità al volere di Dio, né questa gioia e contento interiore, né la speranza che i loro tormenti siano ad essi di vantaggio, ma una continua sofferenza che va sempre più aumentando: dico che va sempre più aumentando quanto alle pene accidentali. Ora, siccome le sofferenze dell'anima, sono assai più terribili di quelle del corpo; siccome i tormenti che là si soffrono sorpassano di gran lunga quelli di cui abbiamo parlato, con l'aggiunta che dovranno essere eterni, che sarà mai di quelle anime infelici? E che cosa si può fare e patire, qui in questa vita così breve, che non sia ancora un niente per sottrarsi a quegli orribili ed eterni dolori? No, non è possibile far comprendere quanto siano orribili le sofferenze dell'anima, e quanto diverse da quelle del corpo: bisogna provarle. Se il Signore ce lo fa comprendere è per darci a conoscere il molto che gli dobbiamo nell'averci chiamate in questo stato, nel quale, per sua misericordia, nutriamo speranza che ci vorrà preservare dall'inferno, perdonandoci tutti í nostri peccati.

8 - Ritorniamo ora al nostro argomento, cioè alla gran pena in cui abbiam lasciato l'anima. In quel grado d'intensità non dura molto: tutt'al più, tre o quattro ore. Più a lungo non lo credo possibile, tranne che per un miracolo, perché la nostra naturale debolezza non la potrebbe sopportare. A quella persona accadde una volta che non durasse più di un quarto d'ora, ma ne uscì come fatta a pezzi. Era l'ultimo giorno delle feste di Pasqua. Ella le aveva passate in tale aridità da quasi neppur accorgersi che fosse Pasqua.
Ma ecco che durante la ricreazione, - e ciò che dico è vero - al solo udire una parola sul prolungarsi della vita, quella pena l'assalì con tanta violenza da trarla completamente dai sensi. Immaginate voi se si possa resistere! ... Sarebbe come una persona caduta in un braciere che volesse togliere alla fiamma il potere di bruciarla.
Si tratta di sentimenti che non si sanno dissimulare. Coloro che assistono non possono sapere ciò che passa nell'anima. Però vedono che ella è in pericolo di vita. E se le sono un po' di compagnia, è solo a guisa di ombre. E ombre le sembrano tutte le cose della terra.

9 - È possibile che qualche volta anche voi abbiate a vedervi in questo stato. Non dimenticatevi allora che vi può aver parte la nostra naturale debolezza.
Come avete visto, l'anima si va talmente struggendo, che per uscire dal corpo sembra che non le manchi più nulla. Può allora avvenire che ne tema per davvero, e che brami un po' di sosta al tormento per non morire.
È la nostra naturale debolezza che fa sentire i suoi timori. Tuttavia il desiderio non cessa, ne è possibile trovare rimedio a tanta pena, finché Dio non lo tolga. Ordinariamente ciò avviene con qualche grande rapimento o visione, in cui il vero Consolatore consola e fortifica l'anima affinché si rassegni a vivere per quanto Egli vorrà.

10 - È uno stato assai penoso, ma l'anima ne esce con grandissimi effetti, senza più la paura delle tribolazioni possibili, in quanto non vi è più nulla dopo quel tormento che possa ancora intimorirla. Anzi, visti i vantaggi che le sono venuti, amerebbe soffrirlo varie altre volte. Ma la cosa non è in suo potere perché come non ha alcun mezzo per resistere o per sottrarsene quando viene, così non ne ha alcuno per procurarselo. Avendo constatato che nessuna cosa della terra le può essere allora di conforto, sente per il mondo maggior disprezzo di prima; avendo compreso che solo il Creatore può consolare e saziare la sua anima, esce con maggior distacco dalle creature; e avendo veduto che se Egli può consolare, può anche far soffrire, ne concepisce maggior timore, e si studia più attentamente di non offenderlo.

11 - Secondo me, due sono le cose che in questo cammino spirituale mettono in pericolo di morte: l'una, la pena di cui parliamo, veramente pericolosa e non di poco; l'altra, una gioia o un'ebbrezza molto grande per la quale l'anima si trova in tale estremo da parere che stia veramente per morire: un poco ancora, e uscirebbe dal corpo con sua non piccola fortuna. Giudicate ora, sorelle, se non ho io ragione di dire che qui occorre aver coraggio, e se nel caso che voi domandiate a Dio queste grazie, non abbia Egli ragione di chiedervi, come già ai figliuoli di Zebedeo, se potete bere il suo calice.

12 - Sono sicura che tutte risponderemmo di sì, e non senza ragione, perché il Signore, quando vede che uno ha bisogno di essere incoraggiato, non lascia di farlo. Anime siffatte Egli le difende in ogni cosa, e quando sono oggetto di biasimo e di persecuzione, risponde per loro, se non con le parole, con i fatti, come fece con la Maddalena. E poi, poi... prima che muoiano, le paga di tutto in una volta, come ora vedrete. Sia Egli per sempre benedetto, e tutte le creature lo lodino! Amen.

Bellarmino
01-01-05, 12:54
SETTIME MANSIONI

Capitolo 1

Grazie sublimi di cui Dio favorisce le anime che sono entrate nelle settime mansioni - Differenza fra anima e spirito, benché siano un tutt'uno - Si tratta di cose che meritano attenzione

1 - Dopo quello che si è detto di questo cammino spirituale, vi parrà, sorelle, che non vi sia più nulla d'aggiungere. Ma è stoltezza pensarlo, perché se le grandezze di Dio non hanno limiti, non ne hanno neppure le sue opere. Chi può finire di raccontare le sue misericordie e le sue magnificenze? Nessuno certamente.
Perciò, non solo non dovete meravigliarvi di ciò che si è detto, ma neppure di quanto si dirà, non essendo infine che un punto rispetto al molto che di Dio si può dire. È già una sua grande misericordia l'aver comunicato queste cose a persone da cui possiamo saperle, perché così, conoscendo meglio le sue comunicazioni con le creature, meglio lodiamo la sua grandezza, e ci sforziamo di tenere in gran conto le anime con le quali Egli tanto si diletta. Anche noi abbiamo un'anima, fatta ad immagine e a similitudine di Dio, ma non sappiamo apprezzarla come si merita, per cui non conosciamo i grandi segreti che sono in essa. Piaccia a Dio - se ciò gli è di gloria - di muovere la mia penna e d'insegnarmi il modo di farvi intendere qualche cosa del molto che vi è ancora da dire, e che Dio disvela alle anime da Lui introdotte in questa mansione. A questo scopo io ho già molto pregato. Mio intento, come Dio sa, è di mettere in luce le sue misericordie, affinché il suo nome sia maggiormente lodato e benedetto. E spero che Egli mi esaudisca, non pe me, ma per voi, affinché intendiate quanto importi che non sia per vostra colpa che lo Sposo lasci di celebrare con voi questo matrimonio spirituale, fonte d'immensi vantaggi.

2 - Gran Dio! Misera come sono, mi vien da tremare nel parlare di un soggetto che merito così poco d'intendere. Mi sento tutta confondere, e penso se non sia meglio trattare di questa mansione in poche parole.
Mi sembra che si debba supporre che io me ne intenda per esperienza, e ciò, conoscendomi chi sono, mi è d'indicibile vergogna e terrore. D'altra parte mi sembra che non farlo sia tentazione e debolezza.
E così mi arrendo, nonostante i giudizi che ne possiate fare. Purché il mio Dio sia lodato e conosciuto un po'
di più, mi gridi pur dietro tutto il mondo! ... Senza poi dire che quando questo scritto verrà alla luce, può essere che io sia morta. Sia benedetto Colui che vive e vivrà per tutti i secoli! Amen.

3 - Quando nostro Signore si degna d'aver pietà di quanto patisce ed ha patito per il desiderio di Lui quest'anima che Egli spiritualmente ha già accettato in sua sposa, la introduce, prima che il matrimonio spirituale si consumi, nella sua stessa mansione, che è questa settima di cui parliamo. In quella guisa che Dio ha la sua dimora nel cielo, così deve averla nell'anima, per abitarvi da solo come in un secondo cielo.
Importa molto, sorelle, che ci guardiamo dal credere che la nostra anima sia un qualche cosa di oscuro. Ordinariamente, siccome non vediamo altra luce fuor di quella che colpisce i nostri occhi, ci figuriamo che nel nostro interno non ve ne sia alcuna e che nella nostra anima regni una specie di oscurità. Così è per le anime che non sono in grazia; ma ciò, non per difetto del Sole di Giustizia che é ancora in loro come datore dell'essere, ma perché esse non sono capaci di ricevere la sua luce, come mi pare di aver detto nella prima mansione, riferendomi a ciò che ne aveva inteso una certa persona. Queste anime sventurate si trovano come in una oscura prigione, con le mani e i piedi legati, incapaci di qualsiasi azione che sia loro di merito, cieche e mute. Compiangiamole ché ne abbiamo ragione, pensando che anche noi ci siam forse trovate nelle medesime condizioni, e che Dio può aver misericordia anche di loro.

4 - Abbiamone gran cura e non trascuriamo mai di supplicarne il Signore. Pregare per coloro che sono in peccato mortale è una grandissima elemosina, maggiore di quella che si possa fare nella supposizione seguente. Ecco un cristiano che ha le mani legate dietro le spalle con una grossa catena, e stretto a un palo. Sta languendo di fame, non già perché gli manchino gli alimenti, ché anzi ne ha vicini di squisitissimi, ma perché non può prenderli né portarli alla bocca. Anzi, ne ha una nausea profonda, e sta ormai per morire, non di morte temporale, ma eterna. Ora, non sarebbe una crudeltà fermarsi a guardarlo senza mettergli in bocca alcun cibo? Che dire invece se per le vostre preghiere gli venissero tolte le catene? Ma già voi mi capite...
Perciò vi scongiuro per amor di Dio di non mai dimenticarvi nelle vostre preghiere di queste povere anime!...

5 - Ma non è di loro che intendiamo parlare, bensì di quelle che per misericordia di Dio han fatto penitenza dei peccati commessi, e ora sono in grazia. Possiamo considerare ognuna di queste anime non già come una cosa stretta e limitata, ma come un mondo interiore, suddiviso in tante e meravigliose mansioni. Ed è giusto che sia così, perché in esse ha sua stanza il Signore. Ora, quando Sua Maestà si compiace di accordare a un'anima la grazia di questo divino matrimonio, comincia con introdurla nella sua stessa mansione, ma non come le altre volte quando la favoriva di rapimenti. Benché Dio unisca l'anima a sé anche con i rapimenti e con quell'orazione che abbiamo detto di unione, tuttavia queste cose non sembra che invitino l'anima ad entrare nel suo centro, come avviene in questa mansione, ma soltanto a salire nella sua parte superiore. Comunque, il modo poco importa. Quello che vale è che il Signore unisce l'anima a sé, rendendola cieca e muta, come S. Paolo al momento della conversione, e impedendole di conoscere la grazia che gode e come la gode.
La gran gioia che allora l'anima sperimenta è solo in quanto si vede vicina a Dio, mentre quando Egli la unisce a sé, non intende nulla perché le potenze si perdono.

6 - Ma qui la cosa è diversa. Il nostro buon Dio vuol levarle le squame dagli occhi, affinché veda ed intenda qualche cosa della grazia che sta per farle, e ciò in un modo assai strano. Una volta introdotta in questa mansione, le si scoprono, in visione intellettuale, le tre Persone della santissima Trinità, come in una rappresentazione della verità, in mezzo a un incendio, simile a una nube risplendentissima che viene al suo spirito. Le tre Persone si vedono distintamente, e l'anima, per una nozione ammirabile di cui viene favorita, conosce con certezza assoluta che tutte e tre sono una sola sostanza, una sola potenza, una sola sapienza, un solo Dio. Ciò che crediamo per fede, ella lo conosce quasi per vista, benché non con gli occhi del corpo né con quelli dell'anima, non essendo visione immaginaria. Qui le tre Persone si comunicano con lei, le parlano e le fanno intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo che Egli col Padre e con lo Spirito Santo scende ad abitare nell'anima che lo ama ed osserva i suoi comandamenti.

7 - O Dio! Che differenza udire e credere a queste parole dall'intenderne la verità nel modo che ho detto!
Lo stupore dell'anima va ogni giorno aumentando, perché le pare che le tre divine Persone non l'abbandonino più. Le vede risiedere nel suo interno, nella maniera già detta, e sente la loro divina compagnia nella parte più intima di se stessa, come in un abisso molto profondo che per difetto di scienza non sa definire.

8 - Stando a quello che ho detto, vi sembrerà che l'anima non sia in se stessa, ma tanto assorbita da non intendere nulla. Eppure, per ciò che riguarda il servizio di Dio, è molto più in sé di prima, tanto che appena espletate le sue occupazioni, si raccoglie con quella dolce compagnia, mentre il Signore non lascia di farle sentire la sua continua presenza, né mai più l'abbandona se non sia prima lei a lasciarlo. Ma grande è là sua fiducia che Dio, dopo averle concesso questa grazia non permetterà che la perda. E così infatti può credere, malgrado che non lasci di comportarsi con la maggior attenzione possibile per non offenderlo in nulla.

9 - Dovete sapere che la vista di questa divina presenza non dura sempre così perfetta - dico in modo così chiaro - come al momento della sua prima manifestazione, o come quando il Signore si compiace di ripeterne la grazia. Se fosse così, sarebbe impossibile non solo occuparsi in altra cosa, ma neppur vivere fra gli uomini. Però, quantunque la visione non sia sempre così chiara, tuttavia l'anima non lascia mai di avvertire di essere in quella compagnia. Ecco un paragone: una persona si trova con molte altre in una stanza inondata di luce.
Si chiudono le finestre e si rimane al buio. Ora, quella persona non lascia certo di credere che le altre siano là per il fatto che, mancando la luce, non le vede e non le vedrà fino al ritorno della luce. Sarebbe ora da chiedere se, tornata la luce, ella volendolo, possa rivedere le persone. No, non è in suo potere: occorre che Dio si compiaccia di aprire la finestra dell'intelletto. Ma è già per una sua grande misericordia se non si allontana da lei e permette che lo comprenda in quel modo!

10 - Sembra che Sua Divina Maestà voglia disporre l'anima con quest'amabile compagnia per delle cose più sublimi. In essa infatti trova un grande aiuto per avanzarsi in perfezione, e liberarsi dal timore che le altre grazie di Dio talvolta le ispiravano. Infatti, quella persona si trovò migliorata in ogni cosa, persuasa che l'essenziale della sua anima non si muovesse più da quella mansione, per pene ed affari che avesse.
Anzi le sembrava che la sua anima fosse quasi divisa tanto che dopo questa grazia, quando le accadeva di vedersi fra gravi tribolazioni, si lamentava di lei, come Marta di Maria, rimproverandola che stesse sempre godendo in quella quiete e lasciasse lei fra tante pene e occupazioni che le impedivano di tenerle ivi compagnia.

11 - Può essere, figliuole, che ciò vi sembri una stranezza, ma è così. Sappiamo che l'anima è una, eppure non dico una stranezza, ma un fatto molto ordinario. Non vi ho forse detto che da certi effetti interiori si può chiaramente conoscere che fra l'anima e lo spirito vi dev'essere una qualche differenza? In realtà non sono che una cosa, ma alle volte vi si nota una distinzione così sottile da pensare che l'uno operi in un modo e l'altra in altro, a seconda del sapore diverso di cui il Signore li favorisce. Inoltre, mi pare che l'anima differisca dalle sue potenze e che non sia una cosa sola con esse. Insomma, vi sono nel nostro interno tanti e così delicati misteri che sarebbe temerità mettermi io a spiegarli. Li vedremo tutti nell'altra vita, se il Signore si compiacerà, nella sua misericordia, d'ammettercí in quel soggiorno ove ci saranno svelati.

Capitolo 2

Ancora sul medesimo argomento - Differenza che passa tra l'unione e il matrimonio spirituale, spiegata con graziosi paragoni

1 - Veniamo ora a parlare del divino e spirituale matrimonio, che credo quaggiù non si debba effettuare in tutta la sua perfezione, perché basta che ci allontaniamo da Dio per subito perderne la grazia. La prima volta che l'accorda, il Signore si compiace di mostrarsi all'anima nella sua Umanità sacratissima mediante una visione immaginaria affinché ella lo conosca e comprenda il gran dono che sta per farle. Forse ad altre persone si mostrerà in altra forma; ma a quella di cui parliamo si presentò appena fatta la comunione, circonfuso di grande splendore, e le disse esser tempo che ella si curasse delle cose di Lui come fossero sue proprie, mentre Egli s'interesserebbe delle sue. Ed aggiunse altre parole che sono più da sentire che da dire.

2 - Si direbbe che per quella persona non fosse una novità, perché il Signore le si era mostrato così varie altre volte. Ma allora lo fece in tal modo da lasciarla fuor di sé e tutta piena di spavento: primo, per la grande violenza con cui la visione le avvenne; secondo, per le parole che le furono dette; e infine perché non aveva mai avuto altre visioni, tranne quella di cui ho parlato. Dovete sapere che la differenza fra le visioni precedenti e quelle di queste mansioni è molto grande: quella che passa tra il fidanzamento e il matrimonio spirituale è come quella tra due fidanzati e coloro che più non possono separarsi.

3 - Ho già detto che si ricorre a questi paragoni perché non ve ne sono altri di più adatti. Però si tenga presente che qui al corpo non si pensa, non altrimenti che se l'anima ne fosse separata, e nient'altro che puro spirito. Meno ancora poi nel matrimonio spirituale, perché questa misteriosa unione si fa nel centro più intimo dell'anima, ove deve abitare lo stesso Dio che per entrarvi non ha bisogno di alcuna porta. Se ho detto che non ha bisogno di alcuna porta, è perché nelle grazie fin qui descritte i sensi e le potenze gli erano come di mezzo, ai quali doveva pur ricorrere quando appariva nella sua sacratissima Umanità. Ma ben diversa è la cosa nell'unione del matrimonio spirituale. Il Signore appare nel centro dell'anima - non per visione immaginaria ma intellettuale - in un modo più delicato che non in quello già detto, come apparve agli apostoli senza passare per la porta quando disse loro: Pax vobis Ed è un segreto così grande, un così intenso diletto, un così sublime e subitaneo favore che non so a qual paragone ricorrere. Sembra che Dio voglia mostrare all'anima la gloria del cielo, ma in un modo più elevato che non con ogni altra visione o gusto spirituale. Soltanto questo si può dire: che l'anima, o meglio il suo spirito, diviene una cosa sola con Dio. Così a quanto si può capire. Dio, spirito pur Lui, volendo mostrarci l'amore che ci porta, fa conoscere ad alcune persone fin dove il suo amore sa giungere, affinché lodiamo la sua grandezza, la quale si compiace di così unirsi a una creatura da non volersi mai più da essa dividere, come coloro che per il matrimonio non si possono più separare.

4 - Non è così nel fidanzamento spirituale nel quale spesso i due soggetti si separano, come nemmeno nell'unione, nella quale, pure avendosi congiunzione di due cose in una, tuttavia queste si possono dividere, e sussistere ognuna da sé. Ordinariamente infatti si tratta di una grazia che passa rapidamente, lasciando l'anima priva della compagnia che aveva: priva nel senso che non la sente più.Non così invece nel matrimonio spirituale, perché l'anima rimane sempre in quel centro con il suo Dio. Possiamo paragonare l'unione a due candele di cera unita insieme così perfettamente da formare una sola fiamma, oppure come se il lucignolo, la fiamma e la cera non siano che una cosa sola. Nondimeno le candele si possono separare, ricavandone due candele distinte: così pure il lucignolo dalla cera. Ma nel caso nostro è come l'acqua del cielo che cade in un fiume o in una fonte, dove si confonde in tal modo da non saper più distinguere quella del fiume da quella del cielo; oppure come un piccolo ruscello che va a finire nel mare, da cui non è più possibile separarlo; o come una gran luce che entra in una stanza per due finestre: vi entra divisa, e dentro si fa un tutt'uno.

5 - Ciò forse intendeva S. Paolo quando disse: Chi si accosta e si unisce a Dio si fa un solo spirito con Lui, accennando a questo sublime matrimonio nel quale si presuppone che Dio si sia già avvicinato all'anima mediante l'unione. Dice ancora l'Apostolo: "Il mio vivere è Cristo e il morire un guadagno" Così mi pare che possa dire pur l'anima, perché qui la farfalletta muore con suo grandissimo gaudio, essendo Cristo la sua vita.

6 - Col tempo s'intenderà meglio questa cosa dagli effetti che si avranno, e la si vedrà chiaramente per via di certe segrete aspirazioni, talvolta così vive da rendere impossibile ogni dubbio. Sì, è Dio che dà vita all'anima. Ella non si sa esprimere, ma lo sente molto bene. E alle volte, non potendo più contenere i grandi sentimenti che l'agitano, prorompe in parole di tenerezza, come: "O Vita della mia vita! O Sostegno che mi sostieni! " ed altre simili. Intanto, dalle divine mammelle a cui è attaccata, escono certi spruzzi di latte che confortano tutti gli abitanti del castello, quasi voglia il Signore che anch'essi partecipino al godimento dell'anima, e che dal fiume immenso in cui la fontanella si è sperduta zampillino alcune polle di acqua in sostegno di coloro che devono attendere nel corporale ai due sposi. Sono operazioni che si avvertono e delle quali si rimane sicurissimi, a guisa di persone che vengano improvvisamente bagnate e che non possano a meno di avvertirlo, neppure se in quell'istante fossero distratte. Ma a quel modo che non si può avere alcun getto d'acqua senza un principio che la muova, così nel nostro interno quanto alle operazioni che ho detto: vi dev'essere qualcuno che scagli quelle saette e che dia vita a quella vita, un sole fortemente luminoso che dall'interiore dell'anima diffonda luce per tutte le potenze. Ciò nonostante l'anima non si muove dal suo centro, né perde la sua pace. Colui che dette la pace agli apostoli quando stavano insieme, può darla anche a lei.

7 - Penso che questo saluto del Signore, non meno delle parole con cui mandò in pace la gloriosa Maddalena, dovettero operare più di quello che suonavano, perché in noi le parole di Dio sono parole ed opere.
In quelle anime ben disposte dovevano operare in tal modo da spogliarle di ogni cosa corporea, lasciandole nello stato di puri spiriti, acciocché potessero congiungersi, mediante questa unione celeste, con lo Spirito increato, essendo ormai fuor di dubbio che tanto più Egli ci riempie di sé, quanto più ci vuotiamo di ogni cosa creata., distaccandocene per amor suo. Per questo Gesù Cristo Signor Nostro pregando una volta per i suoi apostoli, domandò - non so bene in che circostanza - che fossero una cosa sola col Padre e con Lui, come Egli, Gesù Cristo Signor Nostro, è nel Padre e il Padre in Lui.Non so se possa darsi maggiore amore! Anche noi vi siamo comprese, perché il Signore disse: Non prego soltanto per essi, ma anche per coloro che crederanno in me. Aggiunse inoltre: Io sono in essi."

8 - Oh, come sono vere queste parole! Come le intende e le sperimenta bene l'anima in questa orazione!
Anche noi le intenderemmo se non fosse per nostra colpa, perché le parole di Gesù Cristo, nostro Re e Signore, non possono mancare. Ma siccome manchiamo noi, non disponendoci e non allontanandoci da quanto ci può intercettare questa luce, così non riusciamo a vederci in questo specchio, nel quale la nostra immagine è pure impressa.

9 - Ritornando a quello che dicevo, Dio introduce l'anima nella sua stessa mansione che è il centro della medesima anima. Ora, come il cielo empireo, dove sta Dio, dicono che non si muove come gli altri cieli, così questa mansione, per cui l'anima che vi fu introdotta non va più soggetta ai movimenti che suole avere nelle potenze e nella immaginazione, o per lo meno esse non le sono di danno, né le tolgono la pace. Sembro voler dire che una volta arrivata a questa grazia, l'anima sia sicura della sua eterna salute, e non tornerà più a cadere. No. Ovunque accenno a tale sicurezza, si deve intendere finché Dio tenga l'anima per mano, ed ella non l'offenda. Per quanto riguarda quella persona, so di certo che, nonostante si veda in questo stato e vi perseveri da vari anni, tuttavia, lungi dal tenersi sicura, va innanzi con maggior timore di prima, guardandosi da ogni più piccola colpa. Vivissimi i suoi desideri di servire Iddio, ma, come si dirà più innanzi, vedendo il poco che può fare di fronte al molto a cui è obbligata, non meno viva e continua è la sua pena e confusione: il che non è piccola croce, ma grandissima penitenza. Quanto alle penitenze, più ne fa, più ne sperimenta diletto.
Ma la sua vera penitenza è quando il Signore le toglie la salute e le forze necessarie per farla. Come ho detto altrove, qui la sua pena è assai più grande, e le deve venire dalla radice a cui ella è attaccata. Se un albero piantato in riva all'acqua corrente si conserva più fresco e dà frutti più copiosi, nessuna meraviglia di quest'anima, né dei suoi desideri, dato che il suo vero spirito si è ormai fatto una cosa sola con l'acqua celeste di cui abbiamo parlato.

10 - Tornando a quello che dicevo, non bisogna credere che le potenze, i sensi e le passioni si mantengano sempre in questa pace. Invece l'anima sì, benché nelle sue mansioni inferiori non manchino di tanto in tanto guerre, fatiche e sofferenze, le quali, però, non sono mai tali da toglierla dal suo luogo, né da farle perdere la pace, almeno in via ordinaria. Il centro dell'anima nostra, ossia il nostro spirito, è così difficile da spiegare e da credere che, per non saper io farmi intendere, temo che siate tentate di non credermi. Non è forse assai strano affermare che vi sono pene e travagli, e che nel medesimo tempo l'anima rimane in pace? Ma eccovi una o due similitudini. Piaccia a Dio che mi servano per dirne qualche cosa. Tuttavia so di dire la verità, anche se esse non sono molto appropriate.

11 - Come un re nel suo palazzo non lascia di stare sul suo trono perché il regno è funestato da grandi guerre e calamità, così qui: benché nelle altre mansioni vi sian bestie velenose, grande confusione e se ne oda il tumulto, l'anima rimane al suo posto e non vi è nulla che la smuova. Il rumore che sente le può dare un po' di noia, ma non l'inquieta, né le fa perdere la pace, perché le passioni sono vinte e temono di entrare da lei, per non doverne uscire più umiliate. Ecco che abbiamo il corpo indolenzito ma la testa sana. Ora, non perché ci duole il corpo, ci deve pur dolere la testa... Mi rido di questi paragoni, non mi soddisfano; ma non ne so altri. Pensate quello che volete. Ciò che ho detto é vero.

Capitolo 3

Effetti di questa orazione - Bisogna considerarli con grande cura e attenzione perché ammirabile è la differenza che li distingue dagli altri

1 - Abbiamo detto che la farfalletta è morta, felicissima d'aver trovato il suo riposo, e che Cristo vive in lei. Vediamo ora come vive, e se la sua vita attuale differisca da quella di prima, potendosi conoscere da questi effetti se realmente abbia ricevuta la grazia di cui si è detto. A quanto ne posso giudicare, gli effetti sono i seguenti.

2 - Anzitutto un grande oblio di sé, così profondo da farle credere di non esistere più. Si sente trasformata in tal maniera da non riconoscersi più. Non pensa né al cielo che l'attende, né alla vita, né all'onore, ma solo a impiegarsi alla maggior gloria di Dio. Le parole dettele dal Signore, cioè, che prendesse cura delle cose di Lui perché Egli si curerebbe delle sue, pare che abbiano prodotto quello che significano, tanto che ella non si preoccupa più di nulla. Non vuol essere nulla in nessuna cosa, eccetto quando vede di poter alquanto contribuire nell'accrescere, anche solo di un punto, l'onore e la gloria di Dio: per questo sacrificherebbe volentieri la vita. Ma quanto al resto, si sente in un così strano oblio da sembrare, ripeto, di non esistere più.

3 - Non dovete però credere, figliuole, che trascuri di mangiare e dormire, benché le sia di gran tormento, e nemmeno che lasci di compiere i doveri a cui per il suo stato è obbligata: qui non parliamo che delle disposizioni interiori. Quanto alle opere esterne, vi è ben poco da dire. E questo costituisce la sua pena, per esser costretta a vedere che le sue forze non valgono a nulla. Ma se può qualche cosa, e vede che è di gloria al Signore, nulla al mondo la trattiene.

4 - Il secondo effetto è un gran desiderio di patire, ma non in modo d'averne inquietitudine, come già per l'innanzi. Sua brama ardentissima non è che di compiere la volontà di Dio, e perciò ritiene come buono tutto quello che il Signore dispone: se Egli vuole che patisca, ciò sia alla buon'ora; se non lo vuole, non s'inquieta come prima.

5 - Se viene perseguitata sperimenta nel suo interno una vivissima gioia, e permane in una pace molto più profonda che non negli stati precedenti. Non solo non prova il minimo risentimento per quelli che le fanno o le vogliono fare del male, ma li circonda di maggiori attenzioni; e se li vede in qualche travaglio, ne rimane teneramente afflitta, sino ad essere disposta a far di tutto per sollevarli. Li raccomanda instantemente al Signore, e rinuncerebbe volentieri ad alcune delle sue grazie affinché Dio le concedesse a loro, ed essi non l'offendessero più.

6 - Ma ecco ciò che più mi sorprende. Avete veduto le angosce e le desolazioni di queste anime per il desiderio di morire e di andare a godere Iddio. Ma ora desiderano tanto di servirlo, di farlo da tutti servire e di affaticarsi anche per il profitto di un'anima, che non solo non sospirano più di morire, ma bramano di vivere a lungo, anche fra gravissimi travagli, pur di ottenere che Dio sia lodato un po' di più. Non se ne curerebbero nemmeno se fossero sicure di andar subito a Dio appena uscite dal corpo, perché alla gloria dei santi non pensano, né per allora la desiderano. La loro gloria è nell'aiutare il loro Dio crocifisso, specialmente quando vedono fino a che punto sia Egli offeso e come pochi cerchino il suo onore, trascurando tutto il resto.

7 - Vero è che talvolta, dimenticandosi di tutto questo, riprendono con i più teneri sospiri a desiderare di godere Iddio e di uscire da questo esilio, specialmente quando considerano il poco che sanno fare per Lui; ma ritornano presto al loro stato, e vedendo che infine lo hanno sempre con sé, se ne contentano e gli offrono l'accettazione della vita come un dono assai caro, il più costoso che gli possano offrire. Non hanno più paura della morte che di un soave rapimento. E ciò che sorprende è che autore di questi sentimenti è il medesimo che prima dava loro quei desideri così eccessivi e tormentosi. Sia Egli per sempre lodato e benedetto!

8 - Insomma, queste anime non desiderano né gusti né consolazioni spirituali, perché hanno con sé lo stesso Dio, ed Egli vive con loro. Ora, siccome la sua vita non fu che un continuo martirio, è chiaro che tale debba pur rendere la loro, almeno nei desideri se non nella pratica, nella quale Egli usa conformarsi alla nostra debolezza benché non manchi, quando lo vede necessario, di venirci in aiuto con la sua forza. Tali anime sono staccate da tutto, non d'altro bramose che di star sole o di lavorare per la salute delle anime. Non hanno né aridità né pene interiori, e non vorrebbero far altro che lodare Iddio, di cui vanno teneramente occupate. Quando si distraggono, sono richiamate da Dio stesso nella maniera che ho detto, e l'impulso con cui le sveglia - non so che altra parola adoperare - procede dal loro stesso interiore, come ho detto trattando degli impeti, ma con grande soavità. È desso un fenomeno tanto frequente e ordinario, che lo si è potuto esaminare attentamente. Non è frutto dell'intelletto, né della memoria, né di qualunque cosa che possa far pensare a un concorso della stessa anima. Come il fuoco che, malgrado ogni sua più grande intensità, non dirige mai in basso le sue fiamme, ma sempre in alto, così qui: quel movimento inferiore procede dal centro dell'anima e sale a svegliare le potenze.

9 - Veramente, quand'anche non vi fosse alcun altro vantaggio su questo cammino dell'orazione che di vedere con quanta premura Iddio cerchi di comunicarsi con noi e come ci vada pregando - sì, dico pregando - di rimanere con Lui, sarebbero fin troppo sufficienti per ripagarci di ogni possibile travaglio questi suoi tocchi di amore così soavi e penetranti. Certo che li avrete provati pur voi perché credo che una volta giunti all'orazione di unione, non mancherà Iddio di farsi così sentire, sempre inteso che da parte nostra non si trascurino i suoi voleri. Quando ciò vi accadesse, ricordatevi che procede dalla stanza interiore che Dio occupa in voi, e lodatelo grandemente. E' un suo messaggio, un biglietto scritto con grande amore, della cui provenienza non si può dubitare, e di cui vuole che soltanto voi conosciate i caratteri e ciò che con essi vi domanda. E voi, - per quante occupazioni esteriori possiate avere, anche se in conversazione con varie persone - non lasciate mai di rispondegli. Sì, può darsi che Dio vi faccia questa segretissima grazia mentre siete con gli altri; ma siccome la risposta dev'essere interiore, potete dargliela egualmente con grandissima facilità, consistendo essa in un atto di amore, o nel dire con S. Paolo: Che volete, Signore, che io faccia? È questo un tempo propizio, nel quale il Signore sembra che ci stia ascoltando per insegnarci come meglio piacergli: alla qual cosa ordinariamente dispone assai bene questo tocco delicato, eccitandone una volontà risoluta.

10 - Ciò che caratterizza questa mansione è che vi mancano quasi del tutto le aridità e le inquietitudini interiori che di tanto in tanto si producono nelle altre. L'anima è quasi sempre nella pace, così sicura della divina provenienza di questa grazia da neppur dubitare che possa trattarsi di una contraffazione: non del demonio, perché non credo che egli ardisca, e che Dio gli permetta di entrare in questa mansione dove il Signore ha invitata l'anima per stare con lei e farsi da lei contemplare; non dei sensi e delle potenze, perché qui, come ho detto, non hanno nulla a che fare; e neppure della stessa anima, perché in queste grazie ella non può prestare altro concorso che quello già da lei prestato nel darsi tutta al Signore.

11 - Il modo con cui Dio arricchisce ed istruisce l'anima in questa orazione è così calmo e silenzioso da fare pensare alla costruzione del tempio di Salomone, durante la quale non si sentiva il minimo rumore.Così in questo tempio di Dio, in questa mansione che è sua: Dio e l'anima si godono in altissimo silenzio. L'intelletto non ha movimenti né ricerche da fare. Chi l'ha creato vuole che si riposi e contempli ciò che avviene come per una piccola fessura. Di tanto in tanto verrà privato pur di questo e non potrà più vedere, ma soltanto per poco, perché qui le potenze non si perdono, ma stan lì assorte senza operare.

12 - Ecco ciò che mi stupisce. L'anima arrivata a questo punto non va più soggetta ad alcuna estasi, almeno in modo da perder l'uso dei sensi. E se qualche volta vi va ancora, non è mai con quei rapimenti e voli di spirito di cui ho parlato. Comunque, ciò le avviene assai di rado, e quasi mai in pubblico: cosa che prima le era assai ordinaria. Non servono più ad eccitarvela neppure quelle grandi occasioni che prima accendevano la sua devozione, come un'immagine devota, le note d'una musica, oppure una predica che poi quasi non ascoltava. Siccome la povera farfalletta era tutta in ansietà, si spaventava di ogni cosa e prendeva il volo. Ora, invece, sia che abbia già scoperto il suo riposo; sia che per le grandi meraviglie vedute in questa mansione non si stupisca più di nulla; sia che per aver trovato una tale compagnia non si senta più così sola come prima; oppure che si tratti di una qualche altra ragione a me sconosciuta, fatto sta, sorelle, che non è più così. Sarà perché quando Dio comincia a introdurre e a mostrare all'anima le meraviglie di questa mansione, ella perde l'estrema debolezza che prima aveva e che tanto la tormentava, oppure perché il Signore l'ha fortificata, dilatata e resa più abile; ovvero perché prima voleva far conoscere pubblicamente, per certi suoi fini particolari quello che le accordava in segreto. Comunque, i giudizi di Dio sono superiori a ogni nostra immaginazione.

13 - Questi gli effetti che Dio opera nell'anima quando la unisce a sé con quel bacio che la sposa domandava e che qui, a quanto pare, le viene accordato. A questi si devono aggiungere tutti quelli che nei diversi gradi di orazione abbiamo classificati per buoni. Qui ella si delizia nel tabernacolo di Dio. Qui la colomba inviata da Noè per vedere se il diluvio era finito trova l'olivo, ad indicare che in mezzo alle acque e alle tempeste di questo mondo ha finalmente scoperto terra ferma. Oh, Gesù, se potessi conoscere tutti i passi della sacra Scrittura tendenti a far comprendere questa pace dell'anima! Sapendo quanto essa importi, fate, o mio Dio, che i cristiani si muovano tutti a cercarla, e conservatela, nella vostra misericordia, a chi l'avete già data, benché sappiamo di dover sempre vivere con timore fino a quando non ci darete la vera pace, conducendoci dove essa non può più terminare. Dico vera pace, non perché questa di cui parlo non sia vera, ma perché allontanandoci da Dio, possiamo ricadere nella guerra di prima.

14- Oh, la pena di queste anime nel vedere di esser ancora capaci di perdere un tanto Bene! Perciò camminano più cautamente e procurano di cavar forza dalla loro debolezza per non trascurare una sola occasione di maggiormente piacere a Dio. Più si vedono da lui favorite, più diffidano e temono di se stesse, sino alle volte a non aver coraggio neppure di sollevare gli occhi, come il Pubblicano del Vangelo, per aver meglio conosciuto nelle divine grandezze la loro estrema miseria e l'enorme malizia dei loro peccati. Altre volte invece, bramose di sentirsi sicure, sospirano di morire, ma poco dopo, mosse dall'amore che nutrono per Iddio, desiderano di vivere per meglio servirlo, rimettendosi alla sua divina misericordia per tutto ciò che le riguarda. Talvolta poi la vista delle molte grazie ricevute le riempie di confusione, nel timore che avvenga loro come a quei vascelli, che, per essere troppo carichi, colano a picco.

15 - No, sorelle, neppure queste anime van senza croce. Però non si angustiano, né perdono la pace: tutto passa rapidamente come un'onda, o come una tempesta a cui segua la bonaccia. La presenza del Signore che portano con sé fa dimenticare loro ogni cosa. Sia Egli per sempre benedetto, e tutte le creature lo lodino! Amen.

Capitolo 4

Si conclude, dicendo ciò che il Signore sembra proporsi nel concedere a un'anima questi grandi favori, e come occorra che Marta e Maria vadano d'accordo - Capitolo molto utile

1 - Non dovete credere, sorelle, che gli effetti di cui ho parlato si mantengano sempre nel medesimo grado.
È per questo che quando mi ricordo dico che ciò avviene in via ordinaria, perché alle volte il Signore abbandona l'anima alla sua natura, e allora sembra che tutte le cose velenose dei dintorni e delle mansioni del castello si uniscano insieme per vendicarsi di lei anche per quel tempo che non possono averla fra le mani.

2 - No, non è uno stato che duri molto: al massimo un giorno o poco più. Il mutamento avviene di solito per qualche grande occasione, e allora nello scompiglio che ne sente, l'anima apprezza meglio la santa compagnia in cui si trova, grazie alla quale il Signore le infonde fermezza per non deviare in nulla dal suo servizio e dalle buone risoluzioni, le quali, anzi, sembra che vadano aumentando. Insomma, l'anima non torce in nulla dalle sue buone determinazioni neppure per un primo moto piccolissimo. Se questo stato non dura molto è perché il Signore vuole che l'anima non perda il ricordo della sua miseria, si conservi umile, intenda meglio il molto che gli deve, e lo ringrazi per la grandezza del favore che le fa.

3 - Queste anime hanno vivi desideri e ferme risoluzioni di non commettere imperfezioni di sorta, ma non senza che per questo lascino di commetterne molte, e anche peccati. Non però con avvertenza: in questo il Signore le deve molto aiutare. Parlo dei peccati veniali, non dei mortali, dai quali si sperano libere, benché non con molta sicurezza, essendo possibile che ne abbiano qualcuno di occulto: il che molto le angustia. Altro tormento è la vista delle anime che si perdono. Benché abbiano una certa grande speranza di non essere del loro numero, tuttavia non possono non temere quando pensano a qualche personaggio della sacra Scrittura che pareva da Dio favorito, come Salomone, che ebbe con il Signore tante e così sublimi comunicazioni. Quella fra voi che si sente più sicura, tema più di tutte, perché dice David: Beato l'uomo che teme il Signore! Egli sempre ci protegga! La maggiore sicurezza è nel supplicare il Signore a concederci di non mai offenderlo. Sia Egli per sempre benedetto! Amen.

4 - Sarà bene, sorelle, che vi dica il motivo per cui Dio fa quaggiù tante grazie. Se mi avete seguita con attenzione, l'avrete capito attraverso gli effetti che esse producono, ma ora ve lo voglio ripetere affinché nessuna cada nel grave errore di pensare che sia soltanto per vezzeggiare le anime. Siccome Dio non può farci maggior favore che concederci una vita conforme a quella del suo amatissimo Figliuolo, tengo quindi per certo che lo scopo di queste grazie sia di fortificare la nostra debolezza onde sappiamo imitarlo nel molto patire, come mi sembra di aver detto altre volte.

5 - Quelli che si sono avvicinati di più a nostro Signore Gesù Cristo hanno anche sofferto di più. Considerate le sofferenze della sua santissima Madre e dei suoi gloriosi apostoli. E S. Paolo, in che modo ha potuto soffrire così gravi travagli? In lui, veramente, si ammirano gli effetti della vera contemplazione e delle visioni che sono da Dio, non dall'immaginazione o dal demonio. Forse che egli si nascose per non occuparsi che in godere di quelle grazie? Ma lo sapete anche voi: non ebbe riposo di giorno, e neppure dovette averne di notte, perché in essa si guadagnava da vivere. Mi piace molto ricordarmi di S. Pietro a cui, mentre fuggiva dal carcere, apparve nostro Signore per dirgli che andava a Roma per esservi nuovamente crocifisso.
Non recitiamo mai l'ufficio che ricorda questo fatto senza che io ne provi una particolare consolazione.
Dopo questa grazia come rimase S. Pietro? Cosa fece? Si offrì subito alla morte. E non fu una grazia da poco se trovò chi gliela dette.

6 - Oh, sorelle mie! Come deve trascurare il proprio riposo l'anima che vive così unita al Signore! Come non si deve curare dell'onore! Come dev'essere lontana dal desiderare d'essere stimata in qualche cosa! Sì, se ella s'intrattiene spesso con Lui, come sarebbe doveroso, finisce col dimenticare se stessa per esaurire ogni sua preoccupazione nel cercare di maggiormente contentarlo e nel conoscere in quali cose e per quali vie possa mostrargli l'amore che gli porta. Questo è il fine dell'orazione, figliuole mie. A questo tende il matrimonio spirituale: a produrre opere ed opere, essendo queste, come ho detto, il vero segno per conoscere se si tratta di favori e di grazie divine.

7 - Infatti, che mi gioverebbe starmene profondamente raccolta in solitudine, occupata in atti virtuosi innanzi a Dio, proponendo e promettendo di far meraviglie in suo servizio, se poi, uscendo di là, facessi, al presentarsi di un'occasione, tutto il contrario di come ho promesso? Tuttavia non bisogna credere che non se ne cavi alcun vantaggio, perché il tempo che si trascorre con Dio è sempre di grande utilità. Se spesso la nostra debolezza ci impedisce di mettere in pratica le prese risoluzioni, qualche volta il Signore ci può dar grazia di farlo, anche a dispetto di ogni nostra ripugnanza, come avviene di frequente. Egli, infatti, quando vede un'anima assai pusillanime, le manda, contro sua voglia, un qualche grande travaglio e glielo fa superare vittoriosamente: allora essa smette ogni timore, e si offre a Dio con maggiore coraggio. Ho voluto dire che giova poco in paragone del molto che si ricaverebbe, se le opere si conformassero ai propositi e alle parole. Perciò chi non può far tutto in una volta, faccia a poco a poco. Se vuole che l'orazione le sia di profitto, si sforzi di vincere la sua volontà: occasioni non mancano, neppure in questi piccoli monasteri.

8 - Ricordatevi che questo importa assai di più di quanto potrei dire. Fissate i vostri sguardi sul crocifisso, e vi diverrà facile ogni cosa. Se il Signore ci ha dimostrato il suo amore con opere così grandi e con così orribili tormenti, perché volerlo contentare soltanto di parole? Sapete voi che cosa vuol dire esser veramente spirituali? Vuol dire esser gli schiavi di Dio, tali che, segnati con il suo ferro, quello della croce, Egli li possa vendere come schivi di tutto il mondo, com'è stato per Lui. E non ci farebbe alcun aggravio, bensì una grazia non piccola, avendogli noi sacrificato la nostra libertà. Chi non prende questa determinazione non farà mai gran profitto, ne stia sicuro, perché, come ho detto, l'umiltà è il fondamento dell'edificio, e non mai il Signore lo eleverà di molto, se detta virtù non sarà veramente ben salda. E ciò nel vostro stesso interesse, per evitare che tutto cada per terra. Sorelle, se volete che il vostro edificio s'innalzi sopra un buon fondamento, procurate di essere le ultime e le schiave di tutte, studiando in che modo e per quali vie vi sia possibile di meglio contentare e servire le altre. E in tal modo fareste più il vostro che l'altrui vantaggio, perché porreste pietre così salde da impedire che il castello ruini.

9 - Ma per questo, ripeto, è necessario che cerchiate di non far consistere il vostro fondamento soltanto nel recitare e contemplare, perché se non procurate di acquistare le virtù e non ne fate l'esercizio, rimarrete sempre delle nane. E piaccia a Dio che vi limitiate soltanto a non crescere, perché su questa via, come sapete anche voi, chi non va innanzi torna indietro. Tengo per impossibile, infatti, che l'amore, quando vi sia, si contenti di rimaner sempre in uno stato.

10 - Forse penserete che io m'indirizzi agli incipienti, e dica che dopo un certo tempo essi possono riposarsi. Ma vi ho già fatto sapere che se interiormente queste anime sono nel riposo, è perché esteriormente non lo sono che pochissimo, e neppure lo desiderano. Secondo voi, infatti, qual'è il motivo di quelle ispirazioni o, a meglio dire, aspirazioni di cui ho parlato, di quei messaggi che dal suo centro interiore l'anima invia agli abitanti della parte più alta del castello e delle mansioni che circondano l'appartamento in cui ella si trova? Forse perché si mettano a dormire? No, no, no. Da quel centro ella scatena la guerra per impedire ai sensi, alle potenze e a tutto ciò che è corporeo di rimanersene in ozio, guerra più dura di quella che moveva loro quando con essi pativa. Forse in quel tempo non comprendeva ancora la grande utilità dei patimenti, benché sia stato appunto con essi che il Signore l'ha condotta sin qui. Ma ora la compagnia che gode le comunica maggiori forze che mai, perché se come dice David, con i santi saremo santi, nessun dubbio che l'anima, essendo divenuta una cosa sola con il Forte in quest'unione sublime di spirito a spirito, debba partecipare della sua fortezza, a quel modo che ne parteciparono i santi per patire e morire.

11 - Di questa forza che da qui le deriva, l'anima rende partecipi tutti gli abitanti del castello e perfino lo stesso corpo. Spesse volte il corpo pare che non ne senta vantaggio; ma il vigore acquistato dall'anima col bere il vino della cantina in cui lo Sposo l'ha introdotta e da cui non la lascia più uscire, si riversa sulla sua debolezza, a quel modo che il cibo introdotto nello stomaco fortifica la testa e tutte le membra. Ciò nonostante il corpo, finché vive, è votato a sorte ben dura, perché, per quanto faccia, gli par tutto un niente di fronte alla grande forza interiore e alla guerra con cui l'anima lo stimola. Da ciò le grandi penitenze che fecero molti santi, specialmente la gloriosa Maddalena, benché cresciuta fra le delizie; da ciò lo zelo per la gloria di Dio che ebbe il nostro Padre Elia, e la brama con cui S. Domenico e S. Francesco radunarono anime a lodare il Signore. Nel dimenticarsi così di se stessi, dovettero soffrire non poco.

12 - Ecco, dunque, sorelle, quanto vorrei che procurassimo. Desideriamo e pratichiamo l'orazione non già per godere, ma per aver la forza di servire il Signore. Lungi da noi voler camminare per una strada non battuta! Ci perderemmo sul più bello! Sarebbe veramente singolare pretendere le grazie di Dio per una via diversa dalla sua e da quella dei suoi santi. Non pensiamolo neppure! Credetemi: per ospitare il Signore, averlo sempre con noi, trattarlo bene e offrirgli da mangiare, occorre che Marta e Maria vadano d'accordo. In che modo Maria, stando seduta ai suoi piedi, poteva dargli da mangiare se sua sorella non l'aiutava? Si dà da mangiare al Signore quando si fa il possibile per guadagnare molte anime, le quali, salvandosi, lo lodino eternamente.

13 - Ma voi mi farete osservare due cose; la prima che per testimonianza di nostro Signor Gesù Cristo, Maria ha scelto la parte migliore.Sì, ma ella aveva già fatto l'ufficio di Marta servendo il Signore con lavargli i piedi e asciugandoglieli con i suoi capelli.E credete che sia stato da poco per una signora pari suo andar per quelle strade, e forse sola - giacché il fervore le impediva di considerare come andava - entrare dove non era mai stata, ed ivi soffrire le mormorazioni del fariseo e le molte altre cose che vi dovette sopportare? Che cambiamento per una donna come lei, presentarsi in città a quel modo, e fra gente così cattiva, a cui bastava sapere che ella era in amicizia col Signore da loro tanto aborrito, per ricordarsi della sua vita passata, e dire che poi voleva fare la santa, avendo ella già mutato vestito e ogni altra cosa!... Se oggi si sparla tanto di persone meno illustri, che sarà stato di lei? Sì, sorelle, la parte migliore non le venne data che a prezzo di travagli e di mortificazioni senza numero, pur prescindendo dal dolore che doveva sentire nel vedere il suo Maestro così aborrito. Che dire poi di quel che dovette sopportare alla morte del Signore? Credo che se non ebbe il martirio, fu perché lo sofferse sul Calvario nel veder morire il suo Maestro. E quanto angosciosi le dovettero essere gli anni che gli sopravvisse nello scorgersi da Lui lontana!.. Da ciò si vede che non stava sempre ai piedi del Signore fra le delizie della contemplazione!

14 - L'altra cosa che mi vorrete dire è che per guadagnare anime a Dio voi non potete né avete i mezzi sufficienti; che lo fareste molto volentieri, ma che non dovendo insegnare né predicare come gli apostoli, non sapete in che altro modo attendervi. A questa difficoltà ho già risposto per iscritto altre volte,' e non so se l'abbia fatto anche in questo Castello. Ma siccome è una cosa che credo vi passi per la mente con i desideri che il Signore vi dona, non lascerò di ripetermi pur qui. Alle volte, come vi ho detto altrove, il demonio ci ispira grandi desideri per ottenere che, trascurando di servire Iddio nelle cose possibili che abbiamo tra mano, ci dichiariamo contente di aver desiderato le impossibili. Benché la vostra orazione sia giovevole a tutto il mondo, tuttavia non dovete pensarlo, ma contentarvi che sia tale per quelle che sono con voi, verso le quali siete più obbligate. In tal modo la vostra opera diverrà molto più grande, non essendo certo da poco ottenere che con la vostra umiltà e mortificazione, con i vostri servizi in favore delle sorelle, con la vostra carità verso di esse e con il vostro amore per Iddio, diveniate un fuoco che tutte le abbruci, e che le stimoliate continuamente con le vostre virtù. Sarete allora di grandissimo vantaggio, e renderete a Dio un servizio molto gradito.

Allora il Signore, vedendovi sfruttare ogni vostra possibilità, conoscerà che siete disposte a far molto di più, e vi ricompenserà come se in realtà lo faceste, guadagnandogli molte anime.

15 - Direte che questo non è convertire, perché le vostre sorelle sono già virtuose. Ma che v'importa di ciò?
Più saranno perfette, più gradite saliranno a Dio le loro lodi, e più la loro orazione sarà giovevole al prossimo. Insomma, sorelle mie - e con ciò concludo - guardiamoci dall'innalzare torri senza fondamento. Più che alla magnificenza delle opere, il Signore guarda all'amore con cui si fanno. Se faremo quanto dipende da noi, ci darà modo di fare sempre meglio. Però, non dobbiamo subito stancarci, ma offrire a Dio, interiormente ed esteriormente, tutto il sacrificio che possiamo nella corta durata di questa vita - più corta forse di quanto pensiamo. Egli l'unirà a quello che offrì per noi sulla croce e gli conferirà il valore meritato dalla nostra volontà, nonostante la piccolezza delle opere.

16 - Piaccia a Dio, sorelle e figliuole mie, di vederci tutte in quel luogo ove lo benediremo per sempre! Intanto mi conceda di fare anch'io qualche cosa di quello che v'insegno: glielo domando per i meriti del suo Figliuolo, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen. Grande è la confusione che provo, e perciò vi scongiuro nel nome del Signore di non mai dimenticarvi nelle vostre preghiere di questa povera miserabile.

EPILOGO

1 - Come ho detto in principio, quando cominciai a scrivere queste pagine lo feci con grande ripugnanza; ma, ora che ho finito, sono molto contenta e ne ritengo per bene impiegata la fatica, del resto non molto grande. Pensando alla vostra stretta clausura, ai pochi motivi d'intrattenimento che avete, e come in certi monasteri difettiate pure di uno spazio conveniente, mi pare, sorelle, che vi debba essere di conforto potervi ricreare in questo Castello interiore, nel quale vi è lecito entrare e passeggiare in qualunque ora senza il permesso della Priora.

2 - Certo che con le vostre energie non potete entrare in tutte le sue mansioni, neppure se vi sembra di essere assai forti, a meno che non v'introduca lo stesso Signore del castello. Perciò, se incontrate resistenza, vi consiglio di starvene tranquille, per non disturbarlo in tal maniera da chiudervene per sempre l'entrata. Egli ama molto l'umiltà, e se vi riterrete indegne di neppure entrare nelle terze mansioni, otterrete dalla sua benevolenza che vi faccia presto entrare nelle quinte. Allora, recandovi in esse frequentemente, lo potrete servire così bene da meritare che v'introduca nella sua stessa mansione, da cui non uscirete mai più, se non chiamate dalla Superiora, la cui volontà Egli vuole adempiate né più né meno della sua. Se per obbedienza doveste star fuori molto tempo, al vostro ritorno vi farebbe sempre trovare aperta la porta. E abituate che foste a riposarvi nel castello, la sola speranza di ritornarvi - e che nessuno vi può togliere - vi renderebbe leggera ogni cosa, anche se molto dura.

3 - Benché non si parli che di sette mansioni, ognuna di esse si suddivide in molte altre, collocate in basso, in alto e ai lati, con bei giardini, fontane ed altre cose così deliziose da farvi bramare di struggervi tutte, in lode a quel gran Dio che le ha create a sua immagine e somiglianza. Se in questo che ho scritto troverete qualche cosa di buono, credetemi: l'avrà dettato il Signore a vostra consolazione. Io non vi ho aggiunto che il difettoso.

4 - Per il gran desiderio che ho di aver parte nell'aiutarvi a servire questo mio Dio e Signore, vi chiedo che ogni qualvolta leggerete questo scritto, lodiate grandemente in nome mio Sua Maestà, pregando per l'esaltazione della sua Chiesa e per la conversione dei luterani. Supplicate insieme il Signore che mi perdoni i miei peccati e mi liberi dal purgatorio dove forse la sua misericordia mi terrà quando questo libro vi verrà dato a leggere, se, esaminato da uomini dotti, sarà giudicato degno di esser visto. Se contiene qualche errore, è perché io non me n'intendo. Mi sottometto in tutto a ciò che insegna la santa Chiesa Cattolica Romana. Questi i sentimenti in cui ora vivo, e nei quali protesto e prometto di voler vivere e morire. Il Signore Dio nostro sia sempre lodato e benedetto! Amen, amen.

5 - Questo scritto è stato terminato nel monastero di S. Giuseppe di Avila l'anno 1577, vigilia di S. Andrea, a gloria di Dio che vive e regna per tutti i secoli! Amen.

Augustinus
02-01-05, 09:45
Castello interiore, Le Mansión V, 3.11-12

Quando vedo delle anime tutte intente a rendersi conto dell'orazione che hanno e così concentrate quando sono in essa da far pensare che non abbiano ardire di fare il più piccolo movimento né di divergere il pensiero per paura di perdere quel po' di gusto e di devozione che sentono, mi persuado che non conoscono il cammino dell'unione. Pensano che consista tutto nel far così. No, sorella mia! Il Signore vuol opere. Vuole, per esempio, che non ti curi di perdere quella devozione per consolare un'ammalata a cui vedi di poter essere di sollievo, facendo tua la sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare a lei da mangiare; e ciò non tanto per lei, quanto perché sai che questa è la volontà di Dio. Ecco in che consiste la vera unione col volere di Dio! Altrettanto si dica se senti lodare una persona : devi rallegrarti di più che se quelle lodi fossero per tè. E questo ti sarà facile se avrai umiltà, perché allora le lodi sono piuttosto di pena. Così pure godere che le virtù delle sorelle siano conosciute, sentir pena di un loro difetto, come se fosse tuo, e cercare di coprirlo.

Ma su questo punto mi son già estesa in altro luogo (Cammino di Perfezione VII).
Sorelle, se in questo mancassimo, saremmo perdute! Piaccia a Dio che ciò non avvenga! Vi assicuro che facendo come ho detto, non mancherete di ottenere questa unione, mentre in caso contrario vi dovrete persuadere di non arrivarvi mai, nonostante che possiate aver devozione e delizie spirituali sino a credere d'esservi giunte, e andiate soggette, durante l'orazione di quiete, ad alcune piccole sospensioni, in base alle quali certe anime credono subito che tutto sia fatto. Pregate il Signore che vi conceda l'amore del prossimo in tutta la sua perfezione e lasciate fare a Lui. Se da parte vostra vi sforzerete e farete il possibile per procurarvelo; se costringerete la vostra volontà ad accondiscendere in tutto a quella delle sorelle, anche a scapito dei vostri diritti; se nonostante tutte le ripugnanze della natura, dimenticherete i vostri interessi per non attendere che ai loro, e presentandosene l'occasione prenderete su di voi ogni fatica per esentarne le altre, Egli vi darà più di quanto saprete desiderare. Non crediate che questo non vi debba costare e che tutto sia fatto. Considerate quanto è costato al nostro Sposo l'amore che ha nutrito per noi: per liberarci dalla morte ha subito la morte più crudele, quella della croce.

Augustinus
02-01-05, 09:46
Storia delle Fondazioni, XX.

Fondatrice del monastero di Nostra Signora dell'Annunciazione in Alba de Tormes fu Teresa Layz, figlia di nobili genitori, perfetti gentiluomini di puro sangue. Però, non essendo così ricchi come lo richiedeva la nobiltà del loro stato, abitavano in un paese a due leghe da Alba, chiamato Tordillos.

Fa pietà veder il mondo arrivare a questi eccessi! Si preferisce vivere isolati in piccoli villaggi, privi d'istruzione e di molti altri mezzi utili alla salute dell'anima, piuttosto di venir meno a una sola di quelle formalità che costituiscono il così detto punto d'onore!...

I genitori di Teresa avevano già quattro figlie quando ella venne al mondo, e nel vedere ch'era anch'essa una figlia, rimasero molto disgustati.

Fa pena vedere i mortali disconoscere quel che loro conviene! Completamente all'oscuro dei disegni di Dio, ignorano i grandi beni che possono venir loro dalle fìglie e i mali senza numero dai figli. E tuttavia vorrebbero opporsi a Colui che sa tutto e tutto crea, consumandosi dal dispiacere per quello che dovrebbe invece rallegrarli : proprio come gente dalla fede illanguidita che non riflette né ricorda che l'ordinatore d'ogni cosa è Dio e che l'uomo non deve far altro che abbandonarsi nelle sue mani. Già tanto ciechi da non rimettersi alla sua divina provvidenza, danno pur prova d'una ben crassa ignoranza non intendendo quanto sia inutile abbandonarsi a tali angustie. Gran Dio! Come saran diversi i giudizi che porteremo sopra queste cieche pretensioni quando ci sarà svelata la verità d'ogni cosa! Quanti padri si vedranno andare all'inferno per aver avuto dei figli! Quante madri si vedranno invece in paradiso per le loro fìglie!

Tornando a quello che dicevo, le cose giunsero a tal estremo che tre giorni dopo la nascita della bambina i genitori, nulla curandosi della sua vita, la lasciarono sola dalla mattina alla sera senza che alcuno se ne prendesse pensiero. Meno male che appena nata — unica buona cosa che fecero — l'avevano fatta battezzare da un sacerdote!...

Alla sera arrivò la donna che aveva cura della piccina. Costei, quando seppe quello che avveniva, corse a vedere se fosse ancora viva, e la seguirono varie altre persone venute a far visita alla madre. E furono anch'esse spettatrici di quanto ora dirò.

La donna prese la bambina fra le braccia e disse piangendo, quasi a deprecare quella enorme crudeltà : « E che, figliola mia, non siete voi dunque cristiana?... ». La piccina alzò la testa e rispose : « Sì, lo sono ». Poi tacque e non parlò più fino all'età in cui i bambini sogliono parlare. — I presenti rimasero tutti meravigliati.

Da quel giorno sua madre cominciò ad amarla e a prodigarle ogni cura, dicendo spesso che avrebbe voluto vivere fino a vedere quello che il Signore avrebbe fatto di lei. La educò come le altre sue figlie molto cristianamente, formandola alla virtù.

Augustinus
14-10-05, 22:23
Beata Vergine Maria del Carmelo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144752)

S. Elia profeta (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=273033)

S. Giovanni d'Avila, Sacerdote (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=165817)

S. Simone Stock, Carmelitano (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=166913)

S. Andrea Corsini (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=395522)

S. Teresa Margherita (Redi) del Cuore di Gesù (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=269908)

Beate Carmelitane di Compiègne, Monache Claustrali (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=148884)

S. Teresa Benedetta della Croce, religiosa carmelitana e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=313683)

S. Teresa Del Bambin Gesù (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=289509)

S. Giovanni della Croce Dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=77318)

S. Maria Maddalena de' Pazzi (http://www.politicaonline.biz/forum/showthread.php?t=347202)

Beata Giovanna di Tolosa Contessa, terziaria carmelitana (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=327431)

Beata Maria degli Angeli (Marianna Fontanella) (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=281201)

Venerabile Domenico di Gesù Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=290656)

Augustinus
14-10-05, 22:35
Nada te turbe (http://www.radioblogclub.com/open/123093/nada_te_turbe/Nada%20te%20turbe%20-%20CANTOS%20DE%20TAIZE%20-%20)

Nada te turbe (http://www.radioblogclub.com/open/146063/nada_te_turbe/Nada%20te%20turbe)

Nada te turbe (http://marcofrisina.com/joymp3/nadate6.mp3) di Mons. Marco Frisina

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Augustinus
14-10-05, 22:40
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Augustinus
14-10-05, 22:45
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/8/82/Teresa_Avila_Vision_of_the_Dove_Rubens.jpg Peter Paul Rubens, Visione di S. Teresa, XVII sec.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2b/Teresa_of_Avila_dsc01644.jpg Peter Paul Rubens, S. Teresa, 1644

Augustinus
14-10-05, 23:02
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Augustinus
18-10-05, 08:09
PAULUS PP. VI

MULTIFORMIS SAPIENTIA DEI

LITTERAE APOSTOLICAE *

S. Teresia a Iesu, Virgo Abulensis, Doctor Ecclesiae universales renuntiatur.

AD PERPETUAM REI MEMORIAM

Multiformis Sapientia Dei apertius quandoque dilectis Christi discipulis innotescit, quibus arcano consilio atque singulari liberalitate datur, ut intellegant, quae sit «latitudo et longitudo et sublimitas et profundum: scire etiam supereminentem scientiae caritatem Christi» (Eph 3, 18). Etenim «Spiritus Sanctus non tantum per sacramenta et ministeria populum Dei sanctificat et ducit eumque virtutibus ornat, sed, dona sua dividens prout vult (1 Cor 12, 11), inter omnes ordinis fideles distribuit gratias quoque speciales, quibus illos aptos et promptos reddit ad suscipienda varia opera vel officia pro renovatione et ampliore aedificatione Ecclesiae proficua» (Conc. Vat. II, Lum. Gent. 12).

Divina hac sacrorum charismatum copia affluenter est cumulata Teresia a Iesu, clarissima illa ac nobilissima virgo eademque Ordinis Beatae Mariae Virgins de Monte Carmelo reformatrix, quae, simplex cum esset moribus humanarumque litterarum imperita, dicendo et scribendo tantopere eminuit, ut ad eam referri possint haec verba: «in medio Ecclesiae aperuit os eius» (Eccli 15, 5), ac iure merito sit a sanctis viris sancta praedicata, verum etiam et dux certissima et magistra a sacrarum disciplinarum doctoribus exculta; nimiis quamvis implicata peculiares officii sui negotiis, meliorem nihilominus, id est caelestem, patriam continenter est visa appetere; aegra plerumque corpore et aerumnosa, fortissima quaeque pro Dei gloria Christique Ecclesiae utilitate sebi animosa proposuit.

Quapropter cum haec famula Dei, sive eximis vitae factis sive animi virtutibus egregiis sive ingenii acie sit per omne tempus celebrata, id profecto iustam et magnam causam habemus, cur, quem ad modum Gregorius XV, decessor Noster, ei caelitum honores decreverit, ut universi Christi fideles intellegerent, quam abunde in ancillam suam Deus effudisset de Spiritu Sancto (cf Litt. Decr. Omnipotens sermo), ita Nos, ob eius praecipue rerum divinarum cognitionem et praeceptionem, Ecclesiae doctorem, mulierum primam, eam pronuntiandam esse non dubitemus. Spe enim ducimur ac fore confidimus, ut Teresia a Iesu, sollemni decreto christianae vitae magistra declarata, hodierni etiam temporis homines vehementer excitet, ut ea in primis colant, quae ad fovendam animi pietatem ad supernarumque rerum contemplationem et adeptionem conducant.

Teresia nata est Abulae, in Hispaniarum finibus, die XXVIII mensis Martii, anno MDXV. Quae vero esset aliquando futura, parvula praenuntiavit, cum in domus hortulis abditam vitam agere conaretur, consilio sibi proposito ea ad exitum perducendi, quae de priscae Ecclesiae martyribus saepe legebat. Matre immature mortua, ipsam Dei Genetricem in auxilium sibi ac praesidium comparavit. Aequum ei igitur fuit, ut ab ineunte adulescentia Deo se tοtam vovere optaret seque in Carmelitidum mulierum coenobium conferret, viginti annos nata. Quae multis haud dubiis indiciis quamquam in virtutes colendas studium impendebat, de pristino tamen animi fervore aliquantulum remittere coepit a suoque proposito declinare. Feliciter vero ei cessit, ut, Petro Alcantarensi, Ludovico Bertrando, Francisco Borgia, Ioanne Abulensi aliisque sanctis viris cohortantibus, ad caelestium rerum considerationem vehementer alliceretur et ad perfectiora Deoque acceptiora semper agenda. Quod consilium alto animo fovit ac perfecit, testibus tam eius spiritus moderatoribus quam iis, qui cum ea vitae operumque consuetudine coniuncti fuerunt.

Ad peculiaria tamen capessenda munia vocari videbatur, ad quae suopte ingenio ac naturali quadam voluntatis propensione inclinabat. Constanti enim mente et firma movebatur sui Ordinis coenobium condendi, quod altiore ratione, quam suetus mos ferebat, regeretur; idque Sede Apostolica probante absοlvit, septem cum esset et quadraginta annorum, doctis usa sanctisque consiliariis. Obortas autem undique difficultates tam intrepide superavit coeptumque iter tam constanter institit, ut brevi annorum spatio alia in Hispaniae regionibus non pauca coenobia constituerit. Quo aptius praeterea renovatis sororum coenobiis prospiceret atque ad Ecclesiae incrementum apostolicis operibus prodesset, religiosos etiam viros, Carmeli Ordini addictos, ad altiorem vitae disciplinam restituere cogitavit suumque propositum ad effectum deduxit, maxime favente et adiutricem operam praebente sancto Ioanne a Cruce.

Sic ergo instaurata et aucta sodalitate, ad id mentem intendit, ut pias, quas frequentiores sibi in dies asciverat, mulieres ad sanctae vitae rationem informaret; ut videlicet abditae et solae cum Deo viverent, assiduas pro Ecclesia preces ei adhiberent, corpus suum crebris et voluntariis cruciatibus afflictarent, studiosa inter se affabilitate caritateque iungerentur, Christi praecipuo parentes mandato. Illa autem in omnium virtutum exercitatione spectatissimo erat incitamento et exemplo. Anteibat enim prudentia et evangelica simplicitate, animi demissione, erga praepositos in rebus etiam arduis oboedientia, sui contemptu aliorumque utilitatis studio singulari, quibus iuvandis se suaque impendere non dubitabat. Austeram praeterea et asperam vitam ducebat, in adversis patiens, in prosperis maximopere Deo grata. Praelucebat quoque flagranti in Deum pietate, eius amore pentus devincta. In vicem innumerabilibus a Deo gratiis aucta, ad Ecclesiae tamen prοrsus monita adhaerescebat, cum pluris admodum faceret fidelem et humilem Dei ministres obtemperationem quam visiones, revelationes et exstases. Cuiusmodi ob assiduum cum Domino cοmmercium, luminosum quiddam, ut ferunt, eius in vultu nitere videbatur, summa cunctis admirations et laetitiae causa.

Huc addendum humanas, quae dicuntur, Teresiam coluisse virtutes, utpote quae valde contenderet, ut verum diceret, fidem servaret, staret promisses, familiarem usque sermonem sereret laetitiae atque humanitatis plenum. In rebus vero agendis ac sustinendis animi magnitudine praestabat, simul vero comitate et aequa in unumquemque existimatiοne et observantia. Neque est obliviscendum eam suas inter curas cοntinentesque labores tempus etiam invenisse et vires ad praeclara opera conscribenda, quae totam vel operosissimi hominis vitam omninο requirere ac detenere viderentur, altissimarum de Deo deque supernis rebus quaestionum subtilem et acutam disceptatricem.

Tam diu denique tamque actuose laborantem brevis et letalis morbus in urbe Alba corripuit et, ut alia incepta aggredi desisteret, cοegit. Suum erga Christi Ecclesiam amantissimae filiae obsequium iterum iterumque obtestans, magna mater piissime obiit die IV menses Octobres, anno MDLXXXII.

Quae vivens est propter singulares virtutes undique dilaudata, ea luculentius mortua emicuit estque exculta. Merito ergo factum, ut a Paulo V ei beatorum Caelitum, a Gregorio vero XV sanctorum decernerentur honores eaque in christianae religiosaeque vitae proponeretur exemplum, in quod omnes respicerent. Quodsi huius Dei famulae sanctitate ad imitandum trahimur, eius doctrinae excellentia in summam movemur admirationem. Suam enim et intellegendi et dοcendi imperitiam etsi pluries est testata, res tamen altissimas et percipere et docere et scriptes mandare, Deo afflante, valuit, Christum arbitrata unum esse sebi sapientiae fontem et quasi librum vivum. Ad hoc quod attinet, mirum censendum in primis est sanctam Teresiam tanta subtilitate tantaque sollertia in mysterium Christi inque animi humani cοgnitionem penetrasse, ut eius doctrina haud dubiam praesentiam vimque singularis charismatis Spiritus demonstraret. In hac siquidem doctrina excellunt altissimi rerum sensus, mysterii Dei viventis, Christi Salvatoris et Ecclesiae intima comprehensio, acris experientia gratiae, quae naturam, tot dotibus exornatam, nobilitat atque dilatat. Inde summa efficacitas perennisque doctrinae eius auctoritas, quae ultra fines Ecclesiae catholicae protenditur ipsosque non credentes attingit.

Eius magisterium non solum ad vitam fidelium momentum habuit, verum etiam, et quidem efficienter, ad illam magni ponderis electamque cognitionis theologicae provinciam, quae theologiae spiritualis nomine hodie appellatur. Teresiae enim scripta uberrimus fons sunt multiplicas experientiae, testificationis, perspicientiae spiritualis, unde copiose omnes huius theologiae cultores hauserunt. Eadem scripta, etsi varias ob causas rerumque adiuncta neque secundum praestitutam rationem exarata, concors tamen et solidum doctrinae spiritualis corpus efficiunt. Sic in volumine, quod Libro de su vida inscribitur, summa eorum, quae in ipsa misericors Deus operatus est, enarrat, eorum aperit sensum eademque ante legentium oculos instar mirabilis cuiusdam «historiae salutis» proponit. In commentario autem, cuius est titulus Camino de Perfección, ascetica vitae theologalis fundamenta, scilicet primarias virtutes, itidem necessitatem et gradus orationis, etiam contemplativae, exquisita educandi arte persequitur. In libro deinde, cui Castillo Interior est index, plenam perfectamque progressionem vitae divinae in homine rimatur, qui ad altissimos usque gradus experientiae mysticae, particeps esse potest mysterii Trinitatis et Christi. In opere, vulgo Libro de las Fundaciones appellato, apostolica coepta sua Teresia describit laboresque, quos ad Ordinis sui reformationem pro Christi Ecclesia exantlavit. Eius praeterea Epistulae, humanitatis plenae, versatile eius ingenium animumque ostendunt, quippe quae constitutam sibi vitam contemplativam actuose vivere nitatur ac simul cum suae aetatis hominibus religiosas humanasque vicissitudines participare. In commentariis denique Relaciones inscriptis eminent eius studium et religio, ut dona sua superna Ecclesiae auctoritati omnino subiciat. Veluti centrum spiritualis Teresiae doctrinae est Christus, qui Patrem revelat eique nos coniungit sibique consociata eiusdem vero doctrinae potiora capita sunt oratio christiana ut vita amoris, et Ecclesia, qua regnum Dei in nobis efficitur. Coniunctio nostra cum Christo instituitur in mensa verbi Dei, per continuam Evangelii meditationem, et in mensa Corporis ac Sanguinis eius, per convivium sacrificale Eucharistiae; in utraque hac mensa humanitas Christi Iesu hominem, qui eidem se totum committit, intime assumit in mysterium mortis ipsius, resurrectiοnis et gloriosae vitae apud Patrem. Eam ob causam sacratissima Christi humanitas omne bonum nostrum continet et salutem. Quam doctrinam Teresia in libro de vita sua his exprimit verbis: «nos Deo piacere non possumus, nec Deus solet sua dona nobis impertire, nisi per sacratissimam humanitatem Christi, in quo ipsemet sibi cοmplacet» (22, 6). Summam enim perfectionem homo tunc tantum attinget, cum ei dicere licebit cum Paulo: mihi vivere Christus est (cf Mansiones, VII, 2, 5). Vita autem orationis, quae a Teresia in eοdem vitae suce libro dοcetur (8, 5), existimari potest vita amoris, quatenus oratio ea est amicitiae necessitudo, qua diu solique cum Deo loquimur, a quo scimus nos amari. Deus hominem invitat nec desinit sollicitare, ut suam amicitiam amplectatur atque in dies artiοrem secum habeat communionem. Huiusmodi autem amicitiae cum Patre, per Christum, in Spiritu Sancto, respondere eaque dignus inveniri per gratiam nititur. Magnitudo autem orationis et contemplationis hominem nedum ab iis, quae regnum Dei Ecclesiamque respiciunt, alienet, in eadem maiore consortione et ardore eum compellit. Hoc quidem demonstratur tum vita mirisque factis, quae Teresia, ipsius contemplationis plenitudine acta, in utilitatem Ecclesiae peregit, tum eius testificatione, quam veluti doctrinae suce fundamentum edixit, quamque sincera ventate et cordis laetitia moriens his verbis iteravit: «Gratias tibi ago, Domine, quod ut Ecclesiae filia moriοr».

Quae cum ita sint, iam die XV mensis Octobris, anno MCMLXVII, propοsitum palam significavimus in albo Ecclesiae doctorum sanctam Teresiam a Iesu scribendi. Quae sententia, non solum Nostra consuetudine cum eiusdem sanctae mulieris doctrina, sed magna etiam nitebatur aestimatione, quam Nostri in Romano Pontificatu decessores iterum iterumque de eius doctrinae excellentia verbis declararunt, qui profecto sollemnem pronuntiationem Nostram antecedere videntur. Quo in numero Gregοrius XV est, cum in ipsis canonizationis Litteris hoc de sanctae Teresiae doctrina testimonium dederit: «Omnipotens . . . ita adimplevit eam spiritu intellegentiae, ut . . . illam caelestis sapientiae imbribus irrigaverit». Magni insuper pοnderis est cοmparatio, quam Benedictus XIII in Litteris canonizationis sancti Ioannis a Cruce fecit eiusdem santi cum Teresia: «in mysticae theοlogiae arcanis scripto explicandis, aeque ac Teresia divinitus instructus fuit»; qua doctor cum doctore confertur. Clarissima praeterea est sancti Pii X declaratio: «tanta tamque utilis ad salutarem christianorum eruditionem fuit haec femina, ut magnis iis Ecclesiae patribus et doctoribus, quos memoravimus (nempe Gregorium Magnum, Iοannem Chrysostomum, Anselmum Augustanum) aut non multum aut nihilo omnino cedere videatur». Idemque Summus Pontifex asserere non dubitavit, datis Litteris Apostolicis «Ex quo Nostrae» die VII mensis Martii, anno MDCCCCXIV: «iuste Ecclesia huic virgini honores qui doctorum sunt deferre consuevit». Benedictus autem XV, Patres Cardinales alloquens, die XXIV mensis Decembris, anno MDCCCCXXI, dixit cum sanctitatis corona sertum doctrinae Teresiam coniunxisse. Pius XI, in Constitutione Apostolica «Summorum Pontificum», die XXV mensis lulii, anno MDCCCCXXII, data, eandem appellavit «sapientissimam matrem» et «altissimam contemplationis magistram». Pius XII, in sermone die XXIII mensis Novembres, anno MDCCCCLI habito, asseruit sanctae Teresiae ope . . . doctrinae spiritualis thesaurum Spiritum Sanctum universae Ecclesiae comparasse. Ioannes denique XXIII, proximus decessor Noster, eam nuncupavit Ecclesiae lumen singulare, in Epistula nempe Apostolica, die XVI mensis Iulii, anno MDCCCCLXII, data.

E sanctis autem viris, ii, qui, superno Dei providentis consilio, vitae consuetudinem cum Teresia habuerunt, numquam suum erga eius sanctitatem cultum ab eius doctrina, divinitus infusa, seiunxerunt; qui fuerunt viri magni quidem nominis, Petrus Alcantarensis, Franciscus Borgia, Ioannes a Cruce, Ioannes de Ribera, Ioannes Abulensis. Qui omnes eam magistram habuerunt contemplationis, a Deo illustratam, vel quo rectius dicamus, magistrorum spiritus magistram. Posteriore tempore sancti erant Ecclesiae doctores, qui eam simili aestimatione venerabantur, ut Franciscus Salesius et Alfonsus de Ligorio, aliique sancti, ut Antonius Maria Claret, Carolus a Setia, Vincentius Paliotti.

Neque umquam in Ecclesia extenuata est opinio virginem Abulensem haberi posse doctorem. Sufficit theologorum Salmanticensium mentem proponere. Hi, cum ea de re quaestio esset, anno MDCLVII palam scripserunt: «habet autem doctricis aureolam matriarche nostra beata Teresia, cuius singularem doctrinam . . . tamquam e caelo emanatam recipit et approbat Ecclesia».

Quapropter, valde cupientibus, ut tantae mulieris sanctitas et doctrina in omnium mages utilitatem cederent, visum est Nobis posse doctores Ecclesiae titulum atque cultum eidem tribui, qui sanctis tantum viris usque adhuc praestiti sunt. Hoc tamen de negotio ut quam diligentissime disceptaret, Sacrae Rituum Congregationi mandavimus. Quae, peritissimorum virorum opera et sententia antea usa, in ordinario coetu, die XX mensis Decembris, anno MDCCCCLXVII habito, id dubium excutiendum proposuit, an titulus et cultus doctoris Ecclesiae praeterquam viris, tribui etiam mulieribus posset, quae, iuxta Benedicti XIV Pont. Max. norma; et decreta, sanctitate et eximia doctrina ad commune fidelium bonum contulissent. Sententiam autem eorum, qui aderant, Patrum Cardinalium Praelatorumque Officialium, id fieri posse asseverantem, ratam Nos habuimus et confirmavimus, die XXI mensis Martii, anno MCMLXVIII. Cumque dilectus Filius Michaël Angelus a Sancto Ioseph, Ordinis Carmelitarum Discalceatorum Praepositus Generalis, sua ipsius suique Ordinis vota declarans, enixe a Nobis postulavisset, ut Teresiam a Iesu doctorem Ecclesiae pronuntiaremus, idque plurimi etiam petivissent S. R. E. Cardinales, Archiepiscopi, Episcopi, Moderatores Religiosorum Ordinum, Congregationum Institutorumque saecularium aliique doctissfimi e Studiorum Universitatibus et altioris ordinis Institutis viri, huiusmodi preces et vota Sacrae Rituum Congregationi perpendenda misimus, quae peculiarem positionem, ut dicunt, eandemque magni ponderis, paravit, totum negotium explorate accurateque pertractantem. Quae cum S. R. E. Cardinales Sacrae Congregationi pro Causis Sanctorum, interea constitutae, praepositi diligentissime recognovissent, sententiam suam in ordinario eiusdem Congregationis coetu, in Vaticanas Aedibus habito die XV mensis Iulii, anno MCMLXIX, significaverunt, post auditam sive relationem Venerabilis Fratris Nostri Arcadii S. R. E. Cardinalis Larraona, huius causae Ponentis, sive Praelatorum Officialium iudicia; omnesque uno ore affirmaverunt sanctam Teresiam a Iesu dignam omnino esse, quae in doctorum Ecclesiae album ascriberetur. De his denique die XXI mensis pulii, superiore anno, certiores facti, omnibus attente perpensis, eiusdem Sacrae Congregationis consultum approbavimus et confirmavimus, statuentes, ut sollemni id ritu conficeretur.

Quod hodie, Deo iuvante cunctaque plaudente Ecclesia, factum est. In Petriano enim templo, undique gentium maximeque ex Hispania fidelium turmis confluentibus, plurimis astantibus S. R. E. Cardinalibus sacrisque et Romanae Curiae et catholicae Ecclesiae Praesulibus, acta omnia confirmantes expostulationibusque concedentes sodalium Ordinis Carmelitarum Discalceatorum ceterorumque petitorum vota perlibenter implentes, haec inter divinum sacrificium pronuntiavimus verba: «CERTA SCIENTIA AC MATURA DELIBERATIONE DEQUE APOSTOLICAE POTESTATIS PLENITUDINE SANCTAM TΕRESIAM A JESU, VIRGINEM ABULENSEM, ECCLESIAE UNIVERSALIS DOCTOREM DECLARAMOS».

Quibus verbis prolatis Deoque una cum astantibus gratiis actis, de mira huius Ecclesiae doctoris sanctitate et doctrina sermonem habuimus, ad aramque templi maximam caelesti victima litavimus.

Hac autem super re decernimus, ut haec Litterae Nostrae religiose serventur suosque effectus sive nunc sive in posterum piene habeant; atque praeterea sic sit rite iudicandum ac definiendum, irritumque et inane fiat, si quidquam secus super his a quovis, auctoritate qualibet, scienter vel ignoranter attentare contigerit.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die septimo et vicesimo menses Septembris, anno Domini millesimo nongentesimo septuagesimo, Pontificatus Nostri octavo.

PAULUS PP. VI

* AAS 63 (1971), pp. 185-192

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(traduzione)

LETTERA APOSTOLICA

MULTIFORMIS SAPIENTIA DEI

SANTA TERESA DI GESÙ, VERGINE DI AVILA,
È PROCLAMATA DOTTORE DELLA CHIESA

PAOLO PP. VI

A PERPETUA MEMORIA

La multiforme Sapienza di Dio talvolta si rivela in maniera più manifesta ad alcuni amati discepoli di Cristo e ad essi, per arcano disegno e liberalità singolare, vien concesso di comprendere quale sia «la larghezza e la lunghezza e l'altezza e la profondità: di conoscere anche la carità di Cristo che supera ogni scienza» (Ef 13, 8). Infatti «lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma, distribuendo a ciascuno i propri doni come a lui piace (1 Cor 12, 11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa» (LG 12).

Teresa di Gesù, grande e nobile vergine, e inoltre riformatrice dell'Ordine della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, fu arricchita a profusione di questa divina abbondanza di sacri carismi. Di semplici costumi e ignara di cultura letteraria, eccelse talmente con la parola e con gli scritti, che a lei si possono riferire queste parole: «aprì la sua bocca in mezzo all'Assemblea» (Sir 15, 5), e a buon diritto fu proclamata santa da uomini santi e fu anche venerata come sicurissima guida e maestra da dottori di scienze sacre. Sebbene si interessasse a moltissimi affari inerenti al suo dovere, si vide tuttavia che aspirava ininterrottamente a una patria migliore, cioè a quella celeste; quasi sempre sofferente nel corpo e carica di tribolazioni, affrontò impavida qualsiasi impresa per la gloria di Dio e per l'utilità della Chiesa di Cristo.

Perciò, dal momento che questa serva di Dio è stata sempre esaltata, sia per i fatti straordinari della sua vita sia per le rare virtù del suo animo sia per l'acume del suo spirito, reputiamo con certezza questo fatto motivo giusto e nobile a che, come il Nostro predecessore Gregorio XV le ha decretato gli onori dei santi, affinché tutti i fedeli di Cristo comprendessero con quale abbondanza Dio avesse ricolmato di Spirito Santo la sua serva (cf Lett. Decr. Omnipotens sermo), così Noi non dubitiamo doverla proclamare dottore della Chiesa, prima fra le donne, specialmente per la sua conoscenza e dottrina delle cose divine. Abbiamo infatti fiducia e confidiamo che Teresa di Gesù, dichiarata con solenne decreto maestra di vita cristiana, stimoli fortemente anche gli uomini del nostro tempo a coltivare soprattutto ciò che favorisce l'amore dell'anima verso la contemplazione e il conseguimento delle cose celesti.

Teresa nacque ad Avila, in Spagna, il 28 marzo dell'anno 1515. Ancor bambina fece intravedere come sarebbe divenuta un giorno, perché si sforzava di condurre una vita nascosta nei giardinetti della sua casa, essendosi proposta di osservare fino alla morte quanto spesso leggeva intorno ai martiri della Chiesa primitiva. Dopo la immatura morte della mamma, si procurò come aiuto e presidio la stessa Madre di Dio. Fu dunque per lei naturale che fin dalla fanciullezza desiderasse consacrarsi totalmente a Dio e che, a vent'anni, si recasse al monastero delle Carmelitane. Sebbene si applicasse assiduamente, per molti indizi sicuri, all'esercizio delle virtù, tuttavia cominciò ad allentare il primitivo fervore dell'anima e ad allontanarsi dal suo proposito. Fortunatamente le avvenne poi di essere intensamente attirata alla considerazione delle realtà celesti e a compiere le opere più perfette e maggiormente accette a Dio, in seguito alle esortazioni di Pietro d'Alcantara, Ludovico Bertrando, Francesco Borgia, Giovanni d'Avila e altri santi. E coltivò e condusse a compimento questa decisione con magnanimità, per testimonianza tanto dei suoi confessori quanto di quelli che le furono utili per consuetudine di vita e di opere.

Sembrava tuttavia chiamata a sostenere compiti straordinari, cui era portata dal suo ingegno e da una certa naturale propensione della volontà. Infatti era mossa dall'intenzione costante e risoluta di far sì che il monastero del suo Ordine fosse retto secondo la regola più antica, scaduta dalla consuetudine; e, con l'approvazione della Santa Sede, condusse ciò a buon fine, all'età di 47 anni, dopo essersi consigliata con uomini dotti e santi. Quando poi sorsero difficoltà da ogni parte, le superò così coraggiosamente e persistette con tanta fermezza nel cammino intrapreso che, in pochi anni, fondò nel territorio spagnolo altri non pochi monasteri. Inoltre, per provvedere in modo più appropriato ai monasteri riformati delle suore e per giovare con opere apostoliche all'incremento della Chiesa, pensò di richiamare a una più elevata disciplina di vita anche i religiosi, soggetti all'Ordine del Carmelo, e condusse a termine il suo disegno con il sostegno e l'aiuto di san Giovanni della Croce.

Dopo aver così fondato e incrementato l'ordine, si dedicò ad ammaestrare nel metodo di una vita santa le pie donne, che aveva accolte presso di sé ogni giorno più numerose, affinché vivessero davvero nascoste e sole con Dio, gli rivolgessero assidue preghiere per la Chiesa, mortificassero il loro corpo con frequenti e volontarie sofferenze, fossero unite fra loro da affettuosa gentilezza e carità, per obbedire allo speciale comandamento di Cristo. Ella poi era eccellente incitamento ed esempio nell'esercizio di tutte le virtù. Si distingueva infatti per prudenza e semplicità evangelica, umiltà d'animo, per obbedienza verso i superiori, anche in cose difficili, nel disprezzo di sé e nella particolare propensione per il bene degli altri e, per aiutarli, non esitava a sacrificare sé e le sue cose. Conduceva inoltre una vita austera e dura, paziente nelle vicende avverse, assai riconoscente a Dio in quelle felici. Splendeva anche di ardente pietà verso Dio, intimamente avvinta dal suo amore. Colmata, a sua volta, da Dio di innumerevoli grazie, tuttavia abbracciava pienamente i consigli della Chiesa, stimando molto di più la fedele e umile obbedienza ai ministri di Dio che le visioni, le rivelazioni, le estasi. Per questa assidua familiarità con Dio si dice che sembrava risplendesse sul suo volto qualcosa di luminoso che provocava in ciascuno meraviglia e gioia.

Bisognava aggiungere a ciò le virtù umane, che dicono abbia coltivato Teresa, poiché si sforzava fortemente di dire la verità, di mantenere la parola data, di osservare le promesse, di avere un linguaggio, anche familiare, pieno di letizia e amabilità. Primeggiava veramente, in ciò che doveva fare o sostenere, per grandezza d'animo, come pure nell'ugual stima e nell'ugual rispetto verso ciascuno. Non bisogna dimenticare che fra i suoi impegni e le continue fatiche trovò anche il tempo e la forza di scrivere opere eccelse, che sembravano esigere totalmente e occupare l'intera esistenza di una persona attivissima, ricercatrice acuta e penetrante di profondissime questioni relative a Dio e alle cose celesti.

Una breve malattia mortale colpì infine ad Alba colei che si era affaticata tanto a lungo e così attivamente, e la costrinse a desistere da altre iniziative. La magnanima madre morì piamente il 4 ottobre dell'anno 1582, testimoniando ripetutamente il suo ossequio di figlia amorevolissima verso la Chiesa di Cristo.

Colei che durante la sua vita era stata lodata dovunque per le sue singolari virtù, dopo la sua morte si segnalò e fu venerata con maggior splendore. E avvenne giustamente che le fossero decretati gli onori dei beati abitatori celesti da Paolo V, pοi quelli dei santi da Gregorio XV e che fosse proposta come esempio di vita cristiana e religiosa, verso cui tutti potessero volgere lo sguardo. Se siamo attratti a imitare la santità di questa serva di Dio, siamo presi da grandissima ammirazione per l'eccellenza del suo insegnamento. Infatti, sebbene avesse più volte dichiarato la sua incapacità di comprendere e di insegnare, tuttavia fu in grado di intendere, di insegnare e di scrivere, ispirata da Dio, su profondissimi argomenti, reputando Cristo l'unica fonte della sua dottrina e quasi libro vivente. Riguardo a questo bisogna ritenere soprattutto una cosa meravigliosa che santa Teresa sia penetrata nel mistero di Cristo e nella conoscenza dell'anima umana con tanta acutezza e sagacia, così che la sua dottrina indica chiaramente la presenza certa e la forza di un carisma singolare dello Spirito. Giacché in questa dottrina eccellono un profondissimo senso della realtà, un'intima comprensione del mistero del Dio vivente, di Cristo Salvatore e della Chiesa, una viva esperienza della grazia, che innalza e sviluppa la natura, ornata di tante doti. Di qui la somma efficacia e la perenne autorità della sua dottrina, che si estende oltre i confini della Chiesa cattolica e raggiunge anche coloro che non credono.

Gli scritti – L'umanità di Cristo – L'orazione

Il suo magistero ebbe importanza non solo per la vita dei fedeli, ma anche, e per di più in modo operante, per quella sezione scelta e di gran valore della conoscenza teologica, che oggi si chiama teologia spirituale. Infatti gli scritti di Teresa sono una fonte abbondantissima di molteplice esperienza, testimonianza, penetrazione spirituale, cui hanno largamente attinto tutti gli studiosi di questa teologia. Questi scritti, sebbene siano stati abbozzati per ragioni e circostanze diverse né secondo un metodo prestabilito, formano tuttavia un corpo armonioso e compatto di dottrina spirituale. Così nel volume intitolato Libro de su vida, Teresa narra il complesso delle opere che in lei compì Iddio misericordioso, ne spiega il senso e lo propone dinanzi agli occhi dei lettori, come una mirabile «storia di salvezza». Invece nello scritto che si chiama Camino de Perfección, espone i fondamenti ascetici della vita teologale, cioè le virtù principali, così come la necessità e i gradi dell'orazione, anche contemplativa, con eccellente abilità educativa. Inoltre nel libro del Castillo Interior scruta il pieno e perfetto sviluppo della vita divina nell'uomo, che può diventare partecipe del mistero della Trinità e di Cristo fino ai gradi più alti della esperienza mistica. Nell'opera chiamata comunemente Libro de las Fundaciones Teresa narra le sue imprese apostoliche e le fatiche che tollerò per la riforma del suo Ordine a favore della Chiesa di Cristo. Oltre a ciò le sue Lettere, piene di umanità, mostrano la versatilità del suo ingegno e del suo animo, poiché ella si sforza di vivere attivamente la vita contemplativa a lei destinata, e insieme di partecipare alle vicende religiose e terrestri degli uomini del suo tempo. Infine nel libro di appunti chiamato Relaciones risplende il suo santo desiderio di sottoporre completamente i suoi doni divini all'autorità della Chiesa. Siccome il centro della dottrina spirituale di Teresa è Cristo che rivela il Padre, ci unisce a lui e ci associa a sé, i migliori fondamenti di questa dottrina sono la preghiera cristiana come vita di amore, e la Chiesa, mediante la quale si realizza in noi il regno di Dio. La nostra unione con Cristo si prepara alla mensa del verbo di Dio, nella incessante meditazione del Vangelo, e alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue, attraverso il convito sacrificale della Eucaristia. In ambedue queste mense l'umanità di Cristo assume intimamente l'uomo che a lui interamente si affida, nel mistero della sua morte, risurrezione e vita gloriosa presso il Padre. Per questo l'umanità sacratissima di Cristo comprende ogni nostro bene e salvezza. Teresa esprime questa dottrina nel libro della sua vita con queste parole: «Non possiamo piacere a Dio, né Dio suole partecipare a noi i suoi doni, se non per la santissima umanità di Cristo, in cui egli si compiace» (22, 6). L'uomo, infatti, raggiungerà la perfezione solo allora, quando potrà dire con Paolo: La mia vita è Cristo (cf Mansiones, VII, 2, 5). D'altra parte la vita di orazione che Teresa insegna nel medesimo libro della sua vita (8, 5), può stimarsi una vita di amore, poiché l'orazione è quella necessità dell'amicizia, per cui parliamo a lungo soli con Dio dal quale sappiamo di essere amati. Dio invita l'uomo e non cessa di sollecitarlo, perché abbracci la sua amicizia e abbia con lui una comunione più stretta ogni giorno di più. L'uomo si sforza di corrispondere a tale amicizia con il Padre, per Cristo, nello Spirito Santo, e di esserne trovato degno. Ora la grandezza della orazione e della contemplazione tanto meno aliena l'uomo da quanto riguarda il regno di Dio e la Chiesa, ma piuttosto ve lo spinge con maggiore simpatia e ardente desiderio. Ciò si dimostra sia con la vita e con le opere meravigliose che Teresa, spinta proprio dalla pienezza della contemplazione, compì per il bene della Chiesa, sia con la testimonianza, che ella enunciò come fondamento della sua dottrina e che, morente, ripeté con piena verità e gioia del cuore: «Ti ringrazio, Signore, perché muoio figlia della Chiesa».

Stando così le cose, già il 15 ottobre 1967, dichiarammo pubblicamente il proposito di iscrivere santa Teresa di Gesù nel catalogo dei dottori della Chiesa. E questa intenzione si fondava non solo sulla Nostra consuetudine con la dottrina di questa donna santa, ma anche sulla grande stima che più e più volte espressero con la parola sulla eccellenza della sua dottrina i Nostri predecessori nel Pontificato Romano, che sembrano precorrere senza dubbio la Nostra solenne proclamazione. Fra questi c'è Gregorio XV, che proprio nella Bolla di canonizzazione diede alla dottrina di santa Teresa questa testimonianza: «L'Onnipotente . . . la riempì talmente dello spirito di intelligenza, che . . . la irrigò con la pioggia di una sapienza celeste». Inoltre è molto importante il paragone che fece Benedetto XIII nella Bolla di canonizzazione di san Giovanni della Croce, fra il medesimo santo e Teresa: «. . . nello spiegare con gli scritti i segreti misteriosi della teologia mistica, fu divinamente istruito, non altrimenti che Teresa»; con questo paragone si avvicina un dottore a un dottore. Inoltre è assai famosa la dichiarazione di san Pio X: «Questa donna è stata così grande e tanto utile alla salutare istruzione dei cristiani, che sembra essere o non molto o per nulla inferiore a quei grandi padri e dottori della Chiesa, che abbiamo ricordato (cioè Gregorio Magno, Giovanni Crisostomo, Anselmo d'Aosta)». E lo stesso Sommo Pontefice, nella Lettera Apostolica Ex quo Nostrae del 7 marzo 1914, non esitò ad affermare: «Per cui giustamente la Chiesa è solita attribuire a questa vergine gli onori propri dei dottori». Benedetto XV poi, parlando ai Cardinali il 24 dicembre 1921, disse che Teresa aveva unito alla corona della santità il serto della dottrina. Pio XI nella Costituzione Apostolica Summorum Pontificum del 25 luglio 1922 la chiamò «madre sapientissima» e «altissima maestra di contemplazione». Pio XII, nel discorso tenuto il 23 novembre 1951, dichiarò che lo Spirito Santo aveva provveduto tutta la Chiesa del tesoro di una spirituale dottrina, per opera di santa Teresa. Infine Giovanni XXIII, Nostro immediato predecessore, precisamente nella Lettera Apostolica del 16 luglio 1962, la chiamò luce singolare della Chiesa.

E i santi che, per celeste consiglio della provvidenza di Dio, ebbero consuetudine di vita con Teresa, non disgiunsero mai la venerazione verso la sua santità dalla sua dottrina, divinamente ispirata. E sono stati certamente uomini di grande nome, come Pietro d'Alcantara, Francesco Borgia, Giovanni della Croce, Giovanni di Ribera, Giovanni d'Avila. Tutti loro l'hanno avuta maestra di contemplazione, illuminata da Dio, o per esprimerci più esattamente, maestra di maestri di spirito. In seguito vi sono stati santi dottori della Chiesa che l'hanno venerata con uguale stima, come Francesco di Sales e Alfonso de' Liguori e altri santi, come Antonio Maria Claret, Carlo da Sezze, Vincenzo Pallotti.

Mai venne meno nella Chiesa il pensiero che la vergine di Avila potesse essere stimata dottore. Basti menzionare il parere dei teologi Salmanticensi i quali, essendoci una controversia a questo proposito, scrissero apertamente nell'anno 1657: «Ora la nostra beata madre Teresa ha l'aureola di dottore e la Chiesa riceve e approva la sua singolare dottrina . . . come proveniente dal cielo». Sicché per il grande desiderio che la santità e dottrina di una donna così grande riesca di maggiore utilità per tutti, è a Noi parso bene che si possa a lei attribuire quel culto di dottore della Chiesa che finora è stato attribuito soltanto ad uomini santi. Tuttavia abbiamo dato l'incarico alla Sacra Congregazione dei Riti di discutere con la massima diligenza intorno alla questione. Ed essa, dopo aver usufruito in precedenza dell'opera e del parere di persone assai dotte, nell'assemblea ordinaria del 20 dicembre 1967 propose che si esaminasse il punto su cui si era indecisi, se il titolo e il culto di dottore della Chiesa potesse essere attribuito, oltre che agli uomini, anche alle donne, le quali avessero contribuito al bene comune dei fedeli per santità ed eccellente dottrina, secondo le norme e i decreti del Papa Benedetto XIV. Noi, il 21 marzo del 1968, ratificammo e confermammo il pensiero dei Cardinali, Prelati e Officiali presenti, che assicuravano che ciò era possibile. Poiché il diletto figlio Michelangelo di San Giuseppe, Preposito Generale dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, manifestando il suo proprio desiderio e quello del suo Ordine, aveva chiesto che proclamassimo Teresa di Gesù dottore della Chiesa e poiché avevano chiesto la stessa cosa anche molti Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Superiori di Ordini Religiosi, di Congregazioni e di Istituti secolari, e altre persone assai dotte di Università degli Studi e di Istituti superiori, mandammo queste preghiere e questi voti alla Sacra Congregazione dei Riti, perché li valutasse, ed essa preparò la cosiddetta speciale «positio», di grande importanza, che con sicurezza e diligenza esaminò l'intera questione. Quando i Cardinali, preposti alla Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, che era stata nel frattempo istituita, ebbero esaminato con gran cura l'argomento, espressero il loro parere nell'Assemblea ordinaria della stessa Congregazione, tenuta nella Basilica Vaticana il 15 luglio 1969, dopo aver udito sia la relazione del Nostro Venerabile Fratello Cardinale Arcadio Larraona, Ponente di questa causa, sia l'opinione dei Prelati Officiali; tutti dichiararono concordemente che santa Teresa di Gesù era senz'altro degna di essere iscritta nel catalogo dei dottori della Chiesa. Infine, dopo esserne stati informati il 21 luglio dell'anno scorso e dopo aver esaminato con attenzione ogni cosa, abbiamo approvato e confermato la deliberazione della medesima Congregazione, stabilendo che venisse portata a compimento con rito solenne.

E ciò é avvenuto oggi, con l'aiuto di Dio e con l'approvazione di tutta la Chiesa. Infatti nella Basilica di San Pietro, con il concorso di schiere di fedeli giunte da tutte le nazioni e sopra tutto dalla Spagna, alla presenza di molti Cardinali e sacri Presuli della Curia di Roma e della Chiesa cattolica, che ratificano tutti i decreti, aderiscono alle richieste dei membri dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi e volentieri esaudiscono i voti degli altri richiedenti, durante il divino sacrificio abbiamo pronunciato queste parole: «CON COGNIZIONE VERA E DECISIONE PONDERATA E PER LA PIENEZZA DELL'AUTORITÀ APOSTOLICA DICHIARIAMO SANTA TERΕSA DI GESÙ, VERGINE D'AVILA, DOTTORE DELLA CHIESA UNIVERSALE».

Dopo aver pronunciato queste parole e ringraziato Dio insieme con i presenti, abbiamo tenuto un discorso sulla meravigliosa santità e dottrina di questo dottore della Chiesa, abbiamo sacrificato la vittima divina all'altare maggiore della basilica.

Decidiamo ora a questo proposito, che la Nostra Lettera sia conservata devotamente e che abbia il suo pieno compimento anche in futuro, e che inoltre si giudichi e si definisca così nel modo dovuto e sia vano e senza fondamento quanto di diverso intorno a ciò da chiunque possa essere attentato, con qualsiasi autorità, scientemente o per ignoranza.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l'anello del Pescatore, il 27 settembre dell'anno del Signore 1970, ottavo del Nostro Pontificato.

PAOLO PP. VI

Augustinus
14-10-06, 23:03
http://www.mcs.drexel.edu/~gbrandal/Illum_html/Teresa.jpg http://lepanto.com.br/Imagens1/STeresAvila.jpg http://www.duesseldorf-blog.de/wp-content/uploads/st_theresa.jpg Juan de la Miseria, Ritratto dell'allora Beata Teresa d'Avila, 1576

http://www.ccel.org/ccel/teresa/life/files/port2.gif

http://www.sacred-destinations.com/spain/images/avila/monastery-incarnation/st-teresa-cell-roberto-jimenez.jpg Cella di S. Teresa, Convento de la Encarnación, Ávila

Augustinus
14-10-07, 13:33
http://www.centre-spirite-theresedavila.com/images/therese%20d'avila.jpg

Augustinus
14-10-07, 13:37
http://img45.imageshack.us/img45/5964/consulsdefws2.jpg Ambito di François Guy, Crocifisso tra i SS. Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri, Isidoro (l'agricoltore) e Teresa d'Avila, 1625-30

http://www.provincia.padova.it/comuni/monselice/arte/images/duomo%20nuovo/santa%20teresa.jpg Gian Battista Mengardi, Estasi di santa Teresa d'Avila, XVIII sec., Quadreria del Duomo Nuovo, Monselice

http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/ravenna/pinlomb/66231653/0587/IMG0082.JPG Ambito italiano, Madonna con il Bambino ed i SS. Teresa, Carlo Borromeo e Giovanni Battista, 1650-1730, Museo d'Arte della Città, Ravenna

Augustinus
15-10-07, 13:14
St. Teresa of Avila

Teresa Sanchez Cepeda Davila y Ahumada

Born at Avila, Old Castile, 28 March, 1515; died at Alba de Tormes, 4 Oct., 1582.

The third child of Don Alonso Sanchez de Cepeda by his second wife, Doña Beatriz Davila y Ahumada, who died when the saint was in her fourteenth year, Teresa was brought up by her saintly father, a lover of serious books, and a tender and pious mother. After her death and the marriage of her eldest sister, Teresa was sent for her education to the Augustinian nuns at Avila, but owing to illness she left at the end of eighteen months, and for some years remained with her father and occasionally with other relatives, notably an uncle who made her acquainted with the Letters of St. Jerome, which determined her to adopt the religious life, not so much through any attraction towards it, as through a desire of choosing the safest course. Unable to obtain her father's consent she left his house unknown to him on Nov., 1535, to enter the Carmelite Convent of the Incarnation at Avila, which then counted 140 nuns. The wrench from her family caused her a pain which she ever afterwards compared to that of death. However, her father at once yielded and Teresa took the habit.

After her profession in the following year she became very seriously ill, and underwent a prolonged cure and such unskillful medical treatment that she was reduced to a most pitiful state, and even after partial recovery through the intercession of St. Joseph, her health remained permanently impaired. During these years of suffering she began the practice of mental prayer, but fearing that her conversations with some world-minded relatives, frequent visitors at the convent, rendered her unworthy of the graces God bestowed on her in prayer, discontinued it, until she came under the influence, first of the Dominicans, and afterwards of the Jesuits. Meanwhile God had begun to visit her with "intellectual visions and locutions", that is manifestations in which the exterior senses were in no way affected, the things seen and the words heard being directly impressed upon her mind, and giving her wonderful strength in trials, reprimanding her for unfaithfulness, and consoling her in trouble. Unable to reconcile such graces with her shortcomings, which her delicate conscience represented as grievous faults, she had recourse not only to the most spiritual confessors she could find, but also to some saintly laymen, who, never suspecting that the account she gave them of her sins was greatly exaggerated, believed these manifestations to be the work of the evil spirit. The more she endeavoured to resist them the more powerfully did God work in her soul. The whole city of Avila was troubled by the reports of the visions of this nun. It was reserved to St. Francis Borgia and St. Peter of Alcantara, and afterwards to a number of Dominicans (particularly Pedro Ibañez and Domingo Bañez), Jesuits, and other religious and secular priests, to discern the work of God and to guide her on a safe road.

The account of her spiritual life contained in the "Life written by herself" (completed in 1565, an earlier version being lost), in the "Relations", and in the "Interior Castle", forms one of the most remarkable spiritual biographies with which only the "Confessions of St. Augustine" can bear comparison. To this period belong also such extraordinary manifestations as the piercing or transverberation of her heart, the spiritual espousals, and the mystical marriage. A vision of the place destined for her in hell in case she should have been unfaithful to grace, determined her to seek a more perfect life. After many troubles and much opposition St. Teresa founded the convent of Discalced Carmelite Nuns of the Primitive Rule of St. Joseph at Avila (24 Aug., 1562), and after six months obtained permission to take up her residence there. Four years later she received the visit of the General of the Carmelites, John-Baptist Rubeo (Rossi), who not only approved of what she had done but granted leave for the foundation of other convents of friars as well as nuns. In rapid succession she established her nuns at Medina del Campo (1567), Malagon and Valladolid (1568), Toledo and Pastrana (1569), Salamanca (1570), Alba de Tormes (1571), Segovia (1574), Veas and Seville (1575), and Caravaca (1576). In the "Book of Foundations" she tells the story of these convents, nearly all of which were established in spite of violent opposition but with manifest assistance from above. Everywhere she found souls generous enough to embrace the austerities of the primitive rule of Carmel. Having made the acquaintance of Antonio de Heredia, prior of Medina, and St. John of the Cross, she established her reform among the friars (28 Nov., 1568), the first convents being those of Duruelo (1568), Pastrana (1569), Mancera, and Alcalá de Henares (1570).

A new epoch began with the entrance into religion of Jerome Gratian, inasmuch as this remarkable man was almost immediately entrusted by the nuncio with the authority of visitor Apostolic of the Carmelite friars and nuns of the old observance in Andalusia, and as such considered himself entitled to overrule the various restrictions insisted upon by the general and the general chapter. On the death of the nuncio and the arrival of his successor a fearful storm burst over St. Teresa and her work, lasting four years and threatening to annihilate the nascent reform. The incidents of this persecution are best described in her letters. The storm at length passed, and the province of Discalced Carmelites, with the support of Philip II, was approved and canonically established on 22 June, 1580. St. Teresa, old and broken in health, made further foundations at Villnuava de la Jara and Palencia (1580), Soria (1581), Granada (through her assiatant the Venerable Anne of Jesus), and at Burgos (1582). She left this latter place at the end of July, and, stopping at Palencia, Valldolid, and Medina del Campo, reached Alba de Torres in September, suffering intensely. Soon she took to her bed and passed away on 4 Oct., 1582, the following day, owing to the reform of the calendar, being reckoned as 15 October. After some years her body was transferred to Avila, but later on reconveyed to Alba, where it is still preserved incorrupt. Her heart, too, showing the marks of the Transverberation, is exposed there to the veneration of the faithful. She was beatified in 1614, and canonized in 1622 by Gregory XV, the feast being fixed on 15 October.

St. Teresa's position among writers on mystical theology is unique. In all her writings on this subject she deals with her personal experiences, which a deep insight and analytical gifts enabled her to explain clearly. The Thomistic substratum may be traced to the influence of her confessors and directors, many of whom belonged to the Dominican Order. She herself had no pretension to found a school in the accepted sense of the term, and there is no vestige in her writings of any influence of the Areopagite, the Patristic, or the Scholastic Mystical schools, as represented among others, by the German Dominican Mystics. She is intensely personal, her system going exactly as far as her experiences, but not a step further.

A word must be added on the orthography of her name. It has of late become the fashion to write her name Teresa or Teresia, without "h", not only in Spanish and Italian, where the "h" could have no place, but also in French, German, and Latin, which ought to preserve the etymological spelling. As it is derived from a Greek name, Tharasia, the saintly wife of St. Paulinus of Nola, it should be written Theresia in German and Latin, and Thérèse in French.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol XIV, New York, 1912 (http://www.newadvent.org/cathen/14515b.htm)

Augustinus
15-10-07, 20:32
http://santiebeati.it/immagini/Original/24850/24850AD.JPG

Augustinus
15-10-08, 07:04
http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/M1982/M1982_1_2_590.jpg Jacques Callot, S. Teresa, 1630-36, Auckland Art Gallery, Auckland, Nuova Zelanda

Augustinus
15-10-08, 07:09
http://www.wga.hu/art/v/valle/therese.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/TheresaofJesus/StTheresaofJesus-FounderSaint.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/TheresaofJesus/StTheresaofJesus-RNave.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/TheresaofJesus/St%20Theresa%20of%20Jesus-FounderSaint-updtl.jpg http://www.saintpetersbasilica.org/Statues/Founders/TheresaofJesus/RtNavePiers1-2.jpg Filippo Della Valle, S. Teresa di Gesù, 1754, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, Roma

Augustinus
15-10-08, 12:31
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/FIQS7W/96-004385.jpg Guercino, Apparizione di Cristo a S. Teresa, XVII sec., musée Granet, Aix-en-Provence

Augustinus
16-10-08, 06:35
DIE 15 OCTOBRIS

SANCTÆ TERESIÆ

VIRGINIS

Duplex

Missa Dilexísti, de Communi Virginum 3° loco, praeter Orationem sequentem:

Oratio

EXÁUDI nos, Deus salutáris noster: ut, sicut de beátae Terésiæ Vírginis tuae festivitáte gaudémus; ita caeléstis ejus doctrínae pábulo nutriámur, et piae devotiónis erudiámur afféctu. Per Dóminum.

Secreta

ACCÉPTA tibi sit, Dómine, sacrátae plebis oblátio pro tuórum honóre Sanctórum: quorum se méritis de tribulatióne percepísse cognóscit auxílium. Per Dóminum.

Postcommunio

SATIÁSTI, Dómine, famíliam tuam munéribus sacris: ejus, quaésumus, semper interventióne nos réfove, cujus solémnia celebrámus. Per Dóminum.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-15oct=lat.htm)

Augustinus
19-10-08, 11:51
Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecôte, Paris-Poitiers, 1901, XIV ediz., t. V, p. 455-471

LE XV OCTOBRE.

SAINTE THÉRÈSE, VIERGE.

Encore que l’Eglise qui règne au ciel et celle qui gémit sur la terre semblent être entièrement séparées, dit pour cette fête l’Evêque de Meaux, il y a néanmoins un lien sacré par lequel elles sont unies. Ce lien, c’est la charité, qui se trouve dans ce lieu d’exil aussi bien que dans la céleste patrie; qui réjouit les saints qui triomphent, et anime ceux qui combattent; qui se répandant du ciel en terre, et des anges sur les mortels, fait que la terre devient un ciel, et que les hommes deviennent des anges. Car, ô sainte Jérusalem, heureuse Eglise des premiers nés, dont les noms sont écrits au ciel, quoique l’Eglise votre chère sœur, qui vit et combat sur la terre, n’ose pas se comparer à vous, elle ne laisse pas d’assurer qu’un saint amour vous unit ensemble. Il est vrai qu’elle cherche, et que vous possédez; qu’elle travaille, et que vous vous reposez; qu’elle espère, et que vous jouissez. Mais parmi tant de différences, par lesquelles vous êtes si fort éloignées, il y a du moins ceci de commun, que ce qu’aiment les esprits bienheureux, c’est ce qu’aiment aussi les hommes mortels. Jésus est leur vie, Jésus est la nôtre; et parmi leurs chants d’allégresse et nos tristes gémissements, on entend résonner partout ces paroles du sacré Psalmiste: Mon bien est de m’unir à Dieu» (1).

Or, ce bien suprême de l’Eglise de la terre comme de l’Eglise des cieux, Thérèse, en un temps de ruines, eut mission de le rappeler au monde, des hauteurs du Carmel rendu par elle à sa première beauté. Au sortir de la glaciale nuit des siècles XIV et XV une puissance d’irrésistible attrait se dégage des exemples de sa vie, pour lui survivre en ses écrits, entraînant à sa suite les prédestinés sur les pas de l’Epoux.

Ni l’Esprit-Saint pourtant n’ouvrait en Thérèse des voies inconnues; ni Thérèse surtout, l’humble Thérèse, n’innovait en ses livres. Bien avant elle, l’Apôtre avait dit des chrétiens que leur conversation est dans les cieux (2); et l’Aréopagite nous livrait sur ce point, lors de son récent passage au Cycle sacré, jusqu’aux formules de l’enseignement du premier âge. Faut-il citer après lui les Ambroise, les Augustin, les Grégoire le Grand, les Grégoire de Nazianze, tant d’autres témoins de toutes les Eglises? On l’a dit et prouvé mieux que nous ne saurions faire: «Aucun état ne fut mieux reconnu par les Pères que celui de l’union parfaite qui s’achève au sommet de la contemplation; enlisant leurs écrits, on ne peut s’empêcher de remarquer la simplicité avec laquelle ils en traitent; ils paraissent le regarder comme fréquent, et n’y voient qu’un développement du christianisme dans sa plénitude» (3).

En cela comme en tout le reste, la scolastique recueillit leurs données. Elle affirma la doctrine concernant ces sommetsde lavie chrétienne, dans les jours mêmes où l’affaiblissement de la foi des peuples ne laissait plus guère à la divine charité son plein essor qu’au fond de quelques cloîtres ignorés. Sous sa forme spéciale, l’enseignement de l’Ecole n’était malheureusement plus accessible à tous; et, par ailleurs, le caractère anormal de cette époque si étrangement troublée se reflétait jusque chez les mystiques qu’elle possédait encore.

Alors parut, au royaume catholique, la Vierge d’Avila. Admirablement douée par la grâce et par la nature, elle connut les résistances de celle-ci comme les appels de Dieu, les délais purifiants, les triomphes progressifs de l’amour; l’Esprit, qui la voulait maîtresse en l’Eglise, la conduisait par le chemin classique, si l’on peut dire ainsi, des faveurs qu’il réserve aux parfaits. Arrivée donc à la montagne de Dieu, elle fit le relevé des étapes de la route qu’elle avait parcourue, sans autre prétention que d’obéir à qui lui commandait au nom du Seigneur (4); d’une plume exquise de limpidité, d’abandon, elle raconta les œuvres accomplies pour l’Epoux (5); avec non moins de charmes, elle consigna pour ses filles les leçons de son expérience (6), décrivit les multiples demeures de ce château de l’âme humaine au centre duquel, pour qui sait l’y trouver, réside en un ciel anticipé la Trinité sainte (7). Il n’en fallait pas plus: soustraite aux abstractions spéculatives, rendue à sa sublime simplicité, la Mystique chrétienne attirait de nouveau toute intelligence; la lumière réveillait l’amour; et les plus suaves parfums s’exhalaient de toutes parts au jardin de la sainte Eglise, assainissant la terre, refoulant les miasmes sous lesquels l’hérésie d’alors et sa réforme prétendue menaçaient d’étouffer le monde.

Thérèse sans doute ne conviait personne à tenter de forcer, aussi présomptueusement qu’inutilement, l’entrée des voies non communes. Mais si l’union passive et infuse reste entièrement dépendante du bon plaisir de Dieu, l’union de conformité effective et active au vouloir divin, sans laquelle la première ne serait qu’illusion, s’offre avec l’aide de la grâce ordinaire à tout homme de bonne volonté. Ceux qui la possèdent «ont obtenu ce qu’ils peuvent souhaiter, dit la Sainte. C’est là l’union que j’ai désirée toute ma vie, que j’ai toujours demandée à Notre-Seigneur; c’est aussi la plus facile à connaître et la plus assurée» (8).

Néanmoins elle ajoutait: «Gardez-vous de ces réserves excessives qu’on voit en certaines personnes, et qu’elles prennent pour de l’humilité. Si le roi daignait vous accorder quelque faveur, l’humilité consisterait-elle à l’accueillir par un refus? Et lorsque le souverain Maître du ciel et de la terre daigne honorer mon âme de sa visite, qu’il vient pour me combler de ses grâces et se réjouir avec moi, ce serait me montrer humble que de ne vouloir ni lui répondre, ni lui tenir compagnie, ni accepter ses dons, mais de m’enfuir de sa présence et de le laisser là tout seul? Envérité, la plaisante humilité que celle-là! Voyez dans Jésus-Christ un père, un frère, un maître, un époux, et traitez avec lui selon ces diverses qualités; lui-même vous apprendra quelle est celle qui peut le satisfaire davantage, et qu’il vous convient de choisir. Ne soyez pas si simples alors que de n’eu pas faire usage» (9).

Mais, répète-t-on de toutes parts, «cette voie est toute semée d’écueils: une telle s’y est perdue; celle-ci s’y est égarée; cette autre qui ne cessait de prier, n’a pu éviter de tomber... — Admirez ici l’inconcevable aveuglement du monde. Il ne s’inquiète point de ces milliers de malheureux qui, entièrement étrangers à la vie d’oraison, vivent dans les plus horribles débordements; et s’il arrive, par un malheur déplorable sans doute, mais très rare, que les artifices du tentateur séduisent une âme qui fait oraison, on en tire avantage pour inspirer aux autres les plus grandes terreurs et pour les éloigner des pratiques saintes de la vertu. N’est-ce pas être victime de la plus funeste erreur que de croire qu’il faille, pour se garantir du mal, éviter de faire le bien? Elevez-vous au-dessus de toutes ces craintes. Efforcez-vous de conserver votre conscience toujours pure; fortifiez-vous dans l’humilité; foulez aux pieds toutes les choses de la terre; soyez inébranlables dans la foi de la sainte Eglise notre mère, et ne doutez pas après cela que vous ne soyez dans le bon chemin» (10).

Il est trop vrai: «lorsqu’une âme ne trouve pas en elle cette foi vigoureuse et que ses transports de dévotion ne contribuent pas à augmenter son attachement pour la sainte Eglise, elle est dans une voie pleine de périls. L’Esprit de Dieu n’inspire jamais que des choses conformes aux saintes Ecritures, et, s’il y avait la plus légère divergence, cette divergence suffirait à elle seule pour prouver d’une manière si évidente l’action du mauvais esprit que, le monde entier m’assurât-il que c’est l’Esprit divin, je ne le croirais pas» (11).

Mais l’âme évite un tel péril, en interrogeant ceux qui peuvent l’éclairer. «Tout chrétien doit, quand il le peut, rechercher un guide instruit, et le plus éclairé sera le meilleur. Un tel secours est encore plus nécessaire aux personnes d’oraison, et c’est dans les états les plus élevés qu’elles peuvent le moins s’en passer. J’ai toujours aimé les hommes éminents en doctrine. Quelques-uns, j’en conviens, n’auront pas une connaissance expérimentale des voies spirituelles; mais ils n’en ont point aversion, ils ne les ignorent pas, et à l’aide de l’Ecriture sainte, dont ils font une étude constante, ils reconnaissent toujours les véritables marques du bon Esprit. L’esprit de ténèbres redoute singulièrement la science humble et vertueuse; il sait qu’il sera découvert par elle, et qu’ainsi ses stratagèmes tourneront à sa perte ... Seigneur, moi ignorante et inutile, je vous bénis pour ces ministres fidèles qui nous donnent la lumière (12). Je n’ai pas plus de science que de vertu; je n’écris qu’à la dérobée, et encore avec peine: cela m’empêche de filer, et je suis dans une maison pauvre où les occupations ne me manquent pas. Il me suffit d’être femme, et femme si imparfaite, pour que la plume m’échappe des mains» (13).

A votre gré, ô Thérèse: délivrez votre âme; passant plus outre, au souvenir de ce que vous appelez vos infidélités, avec Madeleine arrosez de vos larmes les pieds du Seigneur (14), reconnaissez-vous dans les Confessions d’Augustin (15)! Oui; dans ces relations de jadis qu’approuvait, il est vrai, l’obéissance, dans ces entretiens où tout n’était qu’honneur et vertu, c’était pourtant une faute à vous, conviée plus haut, de disputer à Dieu tant d’heures qu’il vous sollicitait intimement de garder pour lui seul; et qui sait où les froissements prolongés de l’Epoux eussent en effet conduit votre âme? Mais nous dont la froide casuistique ne saurait découvrir en vos grands péchés par eux-mêmes que ce qui serait la perfection pour tant d’autres (16), c’est notre droit d’apprécier comme l’Eglise et votre vie et vos ouvrages, disant avec elle: Exaucez-nous, ô Dieu sauveur; en ce jour de joie, en cette fête de votre bienheureuse vierge Thérèse, nourrissez-nous de sa céleste doctrine, infusez-nous son amour (17).

Selon la parole du divin Cantique, pour introduire Thérèse en ses réserves les plus excellentes, l’Epoux avait dû ordonner l’amour en son âme et y régler la charité (18). Ayant donc revendiqué, comme il était juste, ses droits souverains, il ne tardait pas à la rendre au prochain lui-même plus dévouée, plus aimante que jamais. Le dard du Séraphin ne dessécha ni ne déforma son cœur. Au point culminant de la perfection qu’elle devait atteindre, l’année même de sa bienheureuse mort: «Si vous m’aimez beaucoup, écrivait-elle, je vous le rends, je vous assure, et j’aime que vous me le disiez. Oh! qu’il est vrai que notre nature nous porte à vouloir être payées de retour! Cela ne doit point être mauvais, puisque Notre-Seigneur même l’exige de nous. C’est un avantage pour nous de lui ressembler en quelque chose, ne fût-ce qu’en celle-là» (19). Et ailleurs, parlant de ses voyages sans fin au service de l’Epoux: «La peine des peines, c’était lorsque je devais quitter mes filles et mes sœurs. Elles sont détachées de tout en ce monde, mais Dieu ne leur a pas accordé de l’être de moi; il l’a peut-être permis pour que ce me fût un plus grand tourment,car je ne suis pas non plus détachée d’elles» (20).

Non; la grâce ne déprécie pas la nature, œuvre elle aussi du Créateur. En la consacrant, elle l’assainit, la fortifie, l’harmonise; elle fait du plein épanouissement de ses facultés le premier, le plus tangible hommage rendu par l’homme régénéré, sous l’oeil de ses semblables, au Dieu rédempteur. Qu’on lise ce chef-d’œuvre littéraire qu’est le livre des Fondations, ou tout aussi bien les innombrables lettres disputées par la séraphique Mère à sa vie dévorante; et l’on reconnaîtra si l’héroïsme de la foi et de toutes les vertus, si la sainteté à sa plus haute expression mystique, nuisit un instant chez Thérèse, nous ne dirons pas à la constance, au dévouement, à l’énergie, mais à cette intelligence que rien ne déconcerte, alerte et vive jusqu’à l’enjouement, à ce caractère toujours égal, répandant de sa plénitude sérénité et paix sur tout ce qui l’entoure, à la délicate sollicitude, à la mesure, au tact exquis, au savoir-vivre aimable, enfin au génie pratique, à l’incomparable bon sens de cette contemplative dont le cœur transpercé ne battait plus que par miracle, dont la devise était: Souffrir ou mourir!

Au bienfaiteur d’une fondation projetée: «Ne croyez pas, Monsieur, a/oir à donner seulement ce que vous pensez, écrit-elle; je vous en préviens. Ce n’est rien de donner de l’argent, cela ne fait pas grand mal. Mais quand nous nous verrons au moment d’être lapidés, vous, monsieur votre gendre, et tous tant que nous sommes qui nous mêlons de cette affaire, comme il faillit nous arriver lors de la fondation de Saint-Joseph d’Avila, oh! c’est alors qu’il y fera bon» (21).

C’est à cette même fondation de Tolède, en effet fort mouvementée, que se rapporte le mot de l’aimable Sainte: «Thérèse et trois ducats, ce n’est rien; mais Dieu, Thérèse et trois ducats, c’est tout».

Thérèse éprouva mieux que les dénûments humains: un jour, Dieu même sembla lui manquer. Comme avant elle Philippe Benizi, comme après elle Joseph Calasanz et Alphonse de Liguori, elle connut l’épreuve de se voir condamnée, rejetée, elle, et ses filles, et ses fils, au nom et par l’autorité du Vicaire de l’Epoux. C’était un de ces jours, prédits dès longtemps, où il est donné à la bête de faire la guerre aux saints et de les vaincre (22). L’espace nous manque pour raconter ces incidents douloureux (23); et à quoi bon? La bête alors n’a qu’un procédé, qu’elle répète au XVI siècle, au XVII, au XVIII, et toujours; comme, en le permettant, Dieu n’a qu’un but: d’amener les siens à ce haut sommet de l’union crucifiante où Celui qui voulut le premier savourer l’amertume de cette lie, put dire à plus douloureux titre qu’aucun: Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi m’avez vous abandonné (24)?

L’Eglise résume ainsi qu’il suit la vie de la réformatrice du Carmel.

La vierge Thérèse naquit à Avila en Espagne, de parents illustres par leur piété comme par leur noblesse. Nourrie par eux du lait de la crainte du Seigneur, elle fournit dès le plus jeune âge un indice admirable de sa sainteté future. Comme, en effet, elle lisait les actes des saints Martyrs, le feu du Saint-Esprit embrasa son âme au point que, s’étant échappée de la maison paternelle, elle voulait gagner l’Afrique afin d’y donner sa vie pour la gloire de Jésus-Christ et le salut des âmes. Ramenée par un de ses oncles, elle chercha dans l’exercice de l’aumône et autres œuvres pies une compensation à son désir ardent du martyre; mais ses larmes ne cessaient plus, de s’être vu enlever la meilleure part. A la mort de sa mère, la bienheureuse Vierge, suppliée par Thérèse de lui en tenir lieu, exauça le désir de son cœur; toujours dès lors elle éprouva comme sa vraie fille la protection de la Mère de Dieu. Elle entra, dans sa vingtième année, chez les religieuses de Sainte-Marie du Mont Carmel; dix-huit années durant, sous le faix de graves maladies et d’épreuves de toutes sortes, elle y soutint dans la foi les combats de la pénitence, sans ressentir le réconfort d’aucune de ces consolations du ciel dont l’abondance est, sur terre même, l’habituel partage de la sainteté.

Ses vertus étaient angéliques; le zèle de sa charité la poussait, à travailler au salut, non d’elle seule, mais de tous. Ce fut ainsi que, sous l’inspiration de Dieu et avec l’approbation de Pie IV, elle entreprit de ramener la règle du Carmel à sa sévérité première, en s’adressant d abord aux femmes, aux hommes ensuite. Entreprise sur laquelle resplendit la bénédiction toute-puissante du Dieu de bonté; car, dans sa pauvreté, dénuée de tout secours humain, bien plus, presque toujours malgré l’hostilité des puissants, l’humble vierge put édifier jusqu’à trente-deux monastères. Ses larmes coulaient sans trêve à la pensée des ténèbres où infidèles et hérétiques étaient plongés; et dans le but d’apaiser la divine colère qu’ils avaient encourue, elle offrait à Dieu pour leur salut les tortures qu’elle s’imposait dans sa chair. Tel était l’incendie d’amour divin dont brûlait son cœur, qu’elle mérita de voir un Ange transpercer ce cœur en sa poitrine d’un dard enflammé, et qu’elle entendit le Christ, prenant sa main droite en la sienne, lui adresser ces mots: C’est à titre d’épouse que désormais tu prendras soin de mon honneur. Par son conseil, elle émit le difficile vœu de faire toujours ce qui lui semblerait le plus parfait. Elle a laissé beaucoup d’ouvrages remplis d’une sagesse céleste; en les lisant, l’âme fidèle se sent grandement excitée au désir de l’éternelle patrie.

Tandis qu’elle ne donnait que des exemples de vertus, telle était l’ardeur du désir qui la pressait de châtier son corps, qu’en dépit des maladies dont elle se voyait affligée, elle joignait à l’usage du cilice et des chaînes de fer celui de se flageller souvent avec des orties ou de dures disciplines, quelquefois de se rouler parmi les épines. Sa parole habituelle était: Seigneur, ou souffrir, ou mourir; car cette vie qui prolongeait son exil loin de la patrie éternelle et de la vie sans fin, lui paraissait la pire des morts. Elle possédait le don de prophétie; et si grande était la prodigalité du Seigneur à l’enrichir de ses dons gratuits, que souvent elle le suppliait à grands cris de modérer ses bienfaits, de ne point perdre de vue si promptement la mémoire de ses fautes. Aussi fût-ce moins de maladie que de l’irrésistible ardeur de son amour pour Dieu qu’elle mourut a Albe, au jour prédit par elle, munie des sacrements de l’Eglise, et après avoir exhorté ses disciples à la paix, à la charité, à l’observance régulière. Ce fut sous la forme d’une colombe qu’elle rendit son âme très pure à Dieu, âgée de soixante-sept ans, l’an mil cinq cent quatre-vingt-deux, aux ides d’octobre selon le calendrier romain réformé (25). On vit Jésus-Christ assister, entouré des phalanges angéliques, à cette mort; un arbre desséché, voisin de la cellule mortuaire, se couvrit de fleurs au moment même qu’elle arriva. Le corps de Thérèse, demeuré jusqu’à ce jour sans corruption et imprégné d’une liqueur parfumée, est l’objet de la vénération des fidèles. Les miracles qu’elle opérait durant sa vie continuèrent après sa mort, et Grégoire XV la mit au nombre des Saints.

Vous le trouviez déjà dans la souffrance de cette vie, ô Thérèse, le Bien-Aimé qui se révèle à vous dans la mort. «Si quelque chose pouvait vous ramener sur la terre, ce serait le désir d’y souffrir encore plus» (26). — «Je ne m’étonne pas, dit en cette fête à votre honneur le prince des orateurs sacrés, je ne m’étonne pas que Jésus ait voulu mourir: il devait ce sacrifice à son Père. Mais qu’était-il nécessaire qu’il passât ses jours, et ensuite qu’il les finît parmi tant de maux? C’est pour la raison qu’étant l’homme de douleurs, comme l’appelait le Prophète (27), il n’a voulu vivre que pour endurer; ou, pour le dire plus fortement par un beau mot de Tertullien, il a voulu se rassasier, avant que de mourir, par la volupté de la patience: Saginari voluptate patientiœ discessurus volebat (28). Voilà une étrange façon de parler. Ne diriez-vous pas que, selon le sentiment de ce Père, toute la vie du Sauveur était un festin, dont tous les mets étaient des tourments? Festin étrange, selon le siècle, mais que Jésus a jugé digne de son goût. Sa mort suffisait pour notre salut; mais sa mort ne suffisait pas à ce merveilleux appétit qu’il avait de souffrir pour nous. Il a fallu y joindre les fouets, et cette sanglante couronne qui perce sa tête, et tout ce cruel appareil de supplices épouvantables; et cela pour quelle raison? C’est que ne vivant que pour endurer, il voulait se rassasier, avant que de mourir, de la volupté de souffrir pour nous» (29). Jusque-là que, sur sa croix, «voyant dans les décrets éternels qu’il n’y a plus rien à souffrir pour lui: Ah! dit-il, c’en est fait, tout est consommé (30): sortons, il n’y a plus rien à faire en ce monde; et aussitôt il rendit son âme à son Père» (31).

Or, si tel est l’esprit du Sauveur Jésus, ne faut-il pas qu’il soit celui de Thérèse de Jésus, son épouse? «Elle veut aussi souffrir ou mourir; et son amour ne peut endurer qu’aucune cause retarde sa mort sinon celle qui a différé la mort du Sauveur» (32). A nous d’échauffer nos cœurs par la vue de ce grand exemple. «Si nous sommes de vrais chrétiens, nous devons désirer d’être toujours avec Jésus-Christ. Or, où le trouve-t-on, cet aimable Sauveur de nos âmes? En quel lieu peut-on l’embrasser? On ne le trouve qu’en ces deux lieux: dans sa gloire ou dans ses supplices, sur son trône ou bien sur sa croix. Nous devons donc, pour être avec lui, ou bien l’embrasser dans son trône, et c’est ce que nous donne la mort, ou bien nous unir à sa croix, et c’est ce que nous avons par les souffrances; tellement qu’il faut souffrir .ou mourir, afin de ne quitter jamais le Sauveur. Souffrons donc, souffrons, chrétiens, ce qu’il plaît à Dieu de nous envoyer: les afflictions et les maladies, les misères et la pauvreté, les injures et les calomnies; tâchons de porter d’un courage ferme telle partie de sa croix dont il lui plaira de nous honorer» (33).

Vous que l’Eglise présente comme maîtresse et mère à ses fils dans les sentiers de la vie spirituelle, enseignez-nous ce fort et vrai christianisme. La perfection sans doute ne s’acquiert pas en un jour; et, vous le disiez, «nous serions bien à plaindre, si nous ne pouvions chercher et trouver Dieu qu’après être morts au monde: Dieu nous délivre de ces gens si spirituels qui veulent, sans examen et sans choix, ramener tout à la contemplation parfaite!» (34). Mais Dieu nous délivre aussi de ces dévotions mal entendues, puériles ou niaises, comme vous les appeliez, et qui répugnaient tant à la droiture, à la dignité de votre âme généreuse (35)! Vous ne désiriez d’autre oraison que celle qui vous ferait croître en vertus; persuadez-nous, en effet, du grand principe en ces matières, à savoir que « l’oraison la mieux faite et la plus agréable à Dieu est celle qui laisse après elle de meilleurs effets s’annonçant par les œuvres, et non pas ces goûts qui n’aboutissent qu’à notre propre satisfaction» (36). Celui-là seul sera sauvé qui aura observé les commandements, accompli la loi; et le ciel, votre ciel, ô Thérèse, est la récompense des vertus que vous avez pratiquées, non des révélations ni des extases qui vous furent accordées (37).

De ce séjour où votre amour s’alimente au bonheur infini comme il se rassasiait ici-bas de souffrances, faites que l’Espagne, où vous naquîtes, garde chèrement en nos temps amoindris son beau titre de catholique. N’oubliez point la si large part que la France, menacée dans sa foi, eut à votre détermination de rappeler le Carmel à son austérité primitive (38). Puisse la bénédiction du nombre favoriser vos fils, non moins que celle du mérite et de la sainteté. Sous toutes les latitudes où l’Esprit a multiplié vos filles, puissent leurs asiles bénis rappeler toujours « ces premiers colombiers de la Vierge où l’Epoux se plaisait à faire éclater les miracles de sa grâce» (39). Vous fîtes du triomphe de la foi, du soutien de ses défenseurs, le but de leurs oraisons et de leurs jeûnes (40): quel champ immense ouvert à leur zèle en nos tristes jours! Avec elles, avec vous, nous demandons à Dieu «deux choses: la première, que parmi tant d’hommes et de religieux, il s’en rencontre qui aient les qualités nécessaires pour servir utilement la cause de l’Eglise, attendu qu’un seul homme parfait rendra plus de services qu’un grand nombre qui ne le seraient pas; la seconde que dans la mêlée Notre-Seigneur les soutienne de sa main, pour qu’ils échappent aux périls et ferment l’oreille aux chants des sirènes ... O Dieu ayez pitié de tant d’âmes qui se perdent, arrêtez le cours de tant de maux qui affligent la chrétienté et, sans plus tarder, faites briller votre lumière au milieu de ces ténèbres» (41).
-----------------------------------------------------------------------
NOTE

1. Bossuet, Panégyrique de sainte Thérèse.

2. Philip., III, 20.

3. La Vie spirituelle et l’oraison d’après la sainte Écrit et la tradit. monast. (Solesmes), ch. XIX.

4. Vie de la Sainte écrite par elle-même.

5. Livre des Fondations.

6. Le chemin de la perfection.

7. Le château intérieur.

8. Château intér. V° demeure, ch. III; édition Bolix.

9. Chemin de la perfect. Ch. XXIX.

10. Ibid., ch. XXII.

11. Vie, ch. XXV (traduction prise de la filiale et si vivante Histoire de sainte Thérèse, publiée chez les éditeurs Retaux-Bray).

12. Ibid., ch. XIII.

13. Ibid. X.

14. Ibid. IX.

15. Ibid.

16. Bolland. in Theres. 133.

17. Collecte du jour.

18. Cant. II, 4.

19. A Marie de Saint-Joseph, Prieure de Séville, 8 novembre 1581.

20. Fondations, ch. XXVII.

21. A Alphonse Ramirez, 19 février 1569.

22. Apoc. XIII, 7.

23. Voir les lettres de la Sainte: au Prieur des Chartreux de Séville, 31 janvier 1579; etc.

24. Matth. XXVII, 46.

25. Grégoire XIII avait arrêté que, pour opérer cette réforme, on supprimerait dix jours de l’année 1582, et que le lendemain du 4 octobre s’appellerait le 15 du même mois; ce fut dans cette nuit historique du 4 au 15 que mourut sainte Thérèse.

26. Apparition au P. Gratien.

27. Isai. LIII, 3.

28. Tertull. De Patientia, 3.

29. Bossuet, Panegyr. de sainte Thérèse.

30. Johan. XIX, 30.

31. Bossuet, Ibid.

32. Ibid.

33. Ibid.

34. A l’évêque d’Avila, mars 1577, une des plus gracieuses lettres de la Sainte.

35. Vie, XIII.

36. Au Père Gratien, 23 octobre 1577.

37. Apparition à la Prieure de Véas.

38. Chemin de la perfect. I.

39. Fondations, IV.

40. Chemin de la perfect. I, III.

41. Chemin de la perfection, I, III.

Augustinus
19-10-08, 11:53
(Cammino di perfezione, XXV 3; XXVI, 1-3)

Orazione vocale è, per esempio, recitare il Padre nostro o l'Ave Maria o qualche altra preghiera, ma se non l'accompagnate alla preghiera mentale, è come una musica stonata, tanto che alle volte non vi usciranno con ordine neppure le parole... Quando pregate vocalmente cercate la compagnia del Maestro che ci ha insegnato la preghiera del Padre nostro; fate il possibile di stargli dappresso ... Non vi chiedo di concentrarvi tutte su di lui, ma guardarlo.

Holuxar
15-10-18, 23:36
15 OTTOBRE 2018: SANTA TERESA DI GESÙ…



«15 OTTOBRE SANTA TERESA, VERGINE.»
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 15 ottobre. Santa Teresa, vergine (http://www.unavoce-ve.it/pg-15ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-15ott.htm




Santa Teresa d'Avila - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santa-teresa-davila/)
http://www.sodalitium.biz/santa-teresa-davila/
«15 ottobre, Santa Teresa d’Avila, Vergine. (Avila, 28 marzo 1515 – Alba de Tormes, 15 ottobre 1582). Monaca carmelitana, riformatrice dell’ordine e mistica.
“Ad Avila, in Spagna, santa Terésa Vergine, madre e maestra dei Fratelli e delle Sorelle dell’Ordine dei Carmelitani di più stretta osservanza”.
Dolcissimo Signore nostro Gesù Cristo, vi ringraziamo del dono elargito alla vostra diletta S.Teresa della tenera devozione alla vostra Madre dolcissima Maria, ed al vostro padre putativo S. Giuseppe; e per i meriti vostri e di questa vostra santa sposa Teresa vi preghiamo di darci la grazia d’una speciale e tenera devozione verso la nostra Madre celeste Maria SS. ed il nostro grande protettore San Giuseppe. Così sia.»
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"Sante Messe - Sodalitium"
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"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
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“Sodalitium - IMBC.”
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“Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara.”
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«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
XXI domenica d. Pentecoste (Santa Messa)
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XXI domenica d. Pentecoste (Omelia)
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Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
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La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»





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“SANTA TERESA DI GESÙ
Vergine.
Doppio.
Paramenti bianchi.
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 15 ottobre. Santa Teresa, vergine (http://www.unavoce-ve.it/pg-15ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-15ott.htm
Nata ad Ávila, nella Spagna (28 marzo 1515), santa Teresa fu, fin dalla più tenera infanzia animata dal desiderio del martirio. A diciotto anni entrò nel convento di Santa Maria del Monte Carmelo e si consacrò a Cristo, che elesse per Sposo (Epistola). Il suo cuore ardeva di tale fiamma di amor divino, ch'Ella scriveva: «Oh! Come l'anima rapita (in Dio) sente la schiavitù nel corpo e la miseria della vita! Si sente come venduta in terra straniera, e quel che più l'affligge è di vedere che d'ordinario quasi tutti desiderano di sempre vivere mentre son pochi coloro che sospirano e domandano con lei la santa libertà» (Vita, Cap. XXI, n. 6).
Seguendo il consiglio di Gesù, pronunciò il voto, così difficile, di fare sempre ciò che avrebbe creduto essere più perfetto. Raggiunse, nella orazione, il più alto grado della unione mistica e vi attinse tale luce nelle cose divine (Orazione), che le sue opere le meritarono di esser considerata quasi come un Dottore della Chiesa, ciò che non avvenne mai di altra donna. «L'orazione migliore, e la più gradita a Dio, scriveva, è quella che lascia dietro a sé, gli effetti migliori che si rivelano nelle opere, e non quel gusto che non serve altro che alla nostra soddisfazione» (Lettera al Vescovo di Ávila). E l'opera di quest'umile Vergine, che convertì migliaia di anime, è una prova dell'ufficio preminente della vita contemplativa, derivante dal fatto che in essa ci si rivolge direttamente a Dio, autore di ogni bene. Morì di amore divino nel monastero di Alba de Tormes nella notte tra il 4 e il 15 ottobre 1582, proprio nella notte in cui papa Gregorio XIII, per attuare la riforma del calendario romano e riallineare le date con il vecchio calendario giuliano, decise di sopprimere dieci giorni nell'anno 1582, facendo sì che il giorno seguente al 4 ottobre dovesse chiamarsi 15 del medesimo mese.
Fu inscritta nell'Albo dei Beati il 24 aprile 1614 da papa Paolo V e annoverata tra i Santi il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.
• La vergine Teresa nacque ad Ávila in Spagna da genitori illustri per sangue e pietà. Nutrita da essi col latte nel timor di Dio, fin dalla più tenera età diede meraviglioso presagio della futura santità. Perché, leggendo gli atti dei santi Martiri, fu così accesa, nel meditarli, dal fuoco dello Spirito Santo, che, fuggita di casa, voleva passare in Africa per spendervi la vita a gloria di Gesù Cristo e alla salvezza delle anime. Ricondotta a casa dallo zio, compensò con elemosine e altre opere di pietà l'ardente desiderio del martirio, deplorando con molte lacrime d'essere stata sottratta a sorte tanto felice. Morta la madre, pregò la beatissima Vergine di farle da madre, e il pio voto venne esaudito, perché la Madre di Dio la protesse sempre come sua figlia. A venti anni, entrò fra le religiose di santa Maria del Monte Carmelo. Là, afflitta per diciott'anni da gravissime malattie e da varie tentazioni, rimase intrepida sotto le armi della penitenza cristiana, senza neppure una di quelle consolazioni celesti, onde la santità suole abbondare anche sulla terra.
Arricchita di virtù angeliche, lavorò con sollecita carità non solo alla propria salvezza, ma a quella altresì di tutti. Quindi, ispirata da Dio e coll'approvazione di Pio IV, propose, prima alle donne e poi agli uomini, la osservanza della regola, più austera, degli antichi Carmelitani. Il Signore onnipotente e misericordioso si degnò di benedire questa impresa: dacché questa vergine, povera e priva di ogni assistenza umana, anzi agendo spesso contrari gli stessi principi del secolo, riuscì a fondare trentadue monasteri. Deplorava con continue lacrime la cecità degli infedeli e degli eretici, e, affin di placare la collera e la vendetta divina, offriva a Dio per la loro salvezza i tormenti volontari che infliggeva al proprio corpo. L'anima sua era sì accesa della fiamma dell'amor divino, che meritò di vedere un Angelo trapassarle il cuore con un dardo infuocato, e di udirsi dire da Gesù Cristo presentandole la mano: Quindi innanzi brucerai di zelo per la mia gloria come una vera sposa. Per suo consiglio emise il voto eroico di fare sempre quello che avesse conosciuto più perfetto. Scrisse più opere piene di celeste sapienza, sommamente adatte ad eccitare lo spirito dei fedeli al desiderio della patria del cielo.
Ma mentre dava continui esempi di virtù, ardeva di sì vivo desiderio di castigare il suo corpo, che nonostante le consigliassero diversamente le malattie ond'era afflitta, non cessava punto di tormentarlo con cilizi, catenelle, fascetti di ortiche e altre asprissime flagellazioni, ravvolgendosi perfino qualche volta tra le spine, solendo ripetere a Dio: Signore, o patire o morire; immaginandosi sempre di perire di morte miserabilissima, finché era tenuta lontana dalla fonte celeste della vita eterna. Ebbe in alto grado il dono di profezia, e il Signore la ricolmava de' suoi celesti favori con tanta larghezza, da pregarlo spesso con ardenti esclamazioni di limitare i suoi benefizi e di non permettere che un sì pronto oblio cancellasse il ricordo delle sue colpe. Più dunque per un eccesso di amor divino che per la violenza del male allettata in Alba de Tormes, avendo predetto il giorno della sua morte, munita dei sacramenti della Chiesa, esortati i figli alla pace, carità e regolare osservanza, rese a Dio l'anima sua purissima, sotto forma d'una colomba a sessantasette anni, nell'anno 1582, il 15 Ottobre, secondo la riforma del Calendario Romano. Morente, le apparve Gesù Cristo fra schiere d'Angeli; e un albero secco, presso la cella, fiorì all'istante. Il suo corpo, rimasto incorrotto fino ad oggi, spande un liquore odoroso, ed è oggetto di pia venerazione. Glorificata da miracoli prima e dopo morte, Gregorio XV l'annoverò fra i Santi.
SANTA MESSA
- Al Vangelo.
• Omelia di san Gregorio papa.
Omelia 12 sui Vangeli.
Spesso vi raccomando, fratelli carissimi, di fuggire le opere cattive e di evitare la corruzione di questo mondo, ma quest'oggi la lettura del santo Vangelo mi costringe a dirvi di stare molto attenti a non perdere il merito delle vostre buone opere, a non cercare, nel bene che fate, il favore o la stima degli uomini, ad impedire che si insinui in voi il desiderio della lode e ad agire in modo che, quanto appare di fuori, non sia dentro vuoto di ricompensa. Il Redentore infatti ci parla di dieci vergini, e le dice tutte vergini; eppure non tutte hanno meritato di essere ammesse al soggiorno della beatitudine, perché alcune di esse, mentre cercavano una gloria esteriore della loro verginità, non si curarono di mettere dell'olio nelle loro lampade.
Ma prima dobbiamo chiederci che cosa sia il regno dei cieli, o perché lo si paragoni a dieci vergini, ed anche quali vengano dette vergini prudenti e quali vergini stolte. Mentre infatti è certo che nessun reprobo entrerà nel regno dei cieli, perché questo viene paragonato anche a delle vergini stolte? Dobbiamo sapere che spesso nel linguaggio sacro la Chiesa del tempo presente viene chiamata regno dei cieli. Onde altrove il Signore dice: "Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, e toglieranno dal suo regno tutti gli scandali". Certamente in quel regno di beatitudine, dove c'è la suprema pace, non si potranno trovare scandali da togliere.
Ciascuno vive in un corpo che ha cinque sensi; il numero cinque poi, raddoppiato, dà dieci. E, poiché la moltitudine dei fedeli comprende ambedue i sessi, la santa Chiesa si dice simile a dieci vergini. E poiché in essa i cattivi si trovano mescolati coi buoni e i reprobi con gli eletti, giustamente viene paragonata a delle vergini prudenti ed anche a delle vergini stolte. Infatti ci sono molti che vivono nella continenza, che si guardano dagli appetiti esteriori, e dalla speranza sono portati ai beni interiori, che mortificano la propria carne, e anelano alla patria celeste con tutta la forza del loro desiderio, agognano i premi eterni, e non vogliono ricevere lodi umane per le loro fatiche. Questi certamente non ripongono la loro gloria nelle parole degli uomini, ma la nascondono nella loro coscienza. E ci sono poi molti che affliggono il loro corpo con l'astinenza, ma per questa stessa loro astinenza cercano gli applausi degli uomini.
Sardinia Tridentina: Santa Teresa di Gesù, vergine (http://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/10/santa-teresa-di-gesu-vergine.html)
PROPRIUM MISSÆ
Ex Appendice Missalis Romani pro aliquibus locis, Duplex.
In Hispaniarum Regno, Duplex I classis cum octava.
https://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/10/santa-teresa-di-gesu-vergine.html
• Dalle «Opere» di santa Teresa di Gesù, vergine.
(Opusc. «Il libro della vita», cap. 22, 6 - 7, 14)
Ricordiamoci sempre dell'amore di Cristo.
Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi.
Ne ho fatto molte volte l'esperienza, e me l'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. È da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà.
Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l'aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia.
Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell'amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell'accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica.”
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“15 ottobre 2018: Santa Teresa di Gesù, vergine.
Teresa de Ahumada y Cepada nacque a Avila, in Spagna, il 28 marzo 1515 da una nobile ed antica famiglia. Fin dall’infanzia si distinse per grande amore alla lettura della Sacra Scrittura e fu animata dal desiderio del martirio.
A vent’anni entrò nel Carmelo di Avila e fece grandi progressi nella via della perfezione e ebbe rivelazioni mistiche. L’Ordine seguiva allora osservanze mitigate, Teresa riformò allora il suo Carmelo, e con l’aiuto di s. Giovanni della Croce fondò una serie di case per carmelitani e carmelitane "scalzi", riportando in esse la purezza e l'austerità delle origini carmelitane.
Santa Teresa è una delle più grandi mistiche della Chiesa; scrisse libri di profonda dottrina e le sue opere sono annoverate tra i capolavori della letteratura spagnola.
Fedele alla Chiesa e nello spirito del Concilio di Trento Teresa contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale.
Morì il 4 ottobre 1582 a Alba de Tormes, che divenne per la correzione gregoriana del calendario istituita il giorno dopo, il 15 ottobre.
Fu canonizzata il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV.”
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“15 ottobre, Santa Teresa d’Avila. Ricordiamo il suo celebre “Nulla ti turbi”:
Nulla ti turbi,
nulla ti spaventi.
Tutto passa,
solo Dio non cambia.
La pazienza ottiene tutto.
Chi ha Dio non manca di nulla:
solo Dio basta.”
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“Il 15 ottobre 1389 muore Urbano VI Prignano, Sommo Pontefice.”
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“15 ottobre 1920 – 2018. Il 15 ottobre nasceva il soldato cattolico Salvo d'Acquisto."





https://moimunanblog.files.wordpress.com/2015/10/cropped-image33.jpeg

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https://le-petit-sacristain.blogspot.com/2015/08/les-saints-et-le-combat-spirituel-sainte-therese-d-avila.html




Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch)
http://liguesaintamedee.ch
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
15 octobre : Sainte Thérèse d'Avila, Vierge, Réformatrice des Carmélites (1515-1582) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/15-octobre-sainte-therese-davila)
“15 octobre : Sainte Thérèse d'Avila, Vierge, Réformatrice des Carmélites (1515-1582).”
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Regina Sacratissimi Rosarii Ora Pro Nobis!!!
Luca, Sursum Corda – Habemus Ad Dominum!!!