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Bertinotti: noi e l'Ulivo insieme per un'opposizione più forte
di Piero Sansonetti
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ROMA. «Accantoniamo le diffrenze per dare tutti assieme una risposta forte al berlusconismo». In un'intervista a "l'Unità", Fausto Bertinotti propone un'assemblea di tutti i parlamentari dell'opposizione.
A una settimana dalla manifestazione unitaria del 23 marzo, che sarà la conclusione di un mese e mezzo di mobilitazioni in tutt'Italia, e che preparerà lo sciopero generale, Fausto Bertinotti rompe un po' gli schemi e si fa avanti con una proposta unitaria. Rivolta all'Ulivo. Cosa che non aveva mai fatto negli ultimi quattro anni. Propone una convergenza tra quelle che lui chiama, al plurale, «le opposizioni». Per dare sponda politica e parlamentare al movimento di lotta e alle battaglie sindacali. La proposta è abbastanza precisa: una assemblea dei parlamentari di tutti i partiti del centro sinistra e della sinistra, da tenere prestissimo, per vedere se si trovano dei punti comuni sui quali lavorare insieme. Senza pretendere di annullare le differenze che dividono «le due sinistre». Ma accantonandole, per dare insieme una risposta forte al «berlusconismo». Del resto, anche sulle differenze tra le due sinistre, Bertinotti crede che siano in corso molti cambiamenti, che i confini siano diventati più fluidi, più frastagliati e un po' più labili rispetto a un anno fa.
Bertinotti, quali possono essere i punti comuni sui quali convergere?
«Vedo la necessità di una azione su tre piani. Il piano parlamentare, quello programmatico e quello politico. Sul piano parlamentare la mia proposta è semplicissima: organizzare l'ostruzionismo contro la legge per la modifica dell'articolo 18. Io credo che le sinistre debbano dare sponda al movimento sindacale. Senza strumentalizzarlo, senza forzarlo. Per carità, quello sarebbe un errore gravissimo. Per esempio se noi cercassimo di presentare lo sciopero generale come uno sciopero politico, uno sciopero per mandare via Berlusconi, faremmo una sciocchezza.. Però si devono trovare delle sinergie tra lotta sindacale e lotta di opposizione in Parlamento. L'ostruzionismo penso che sia l'idea giusta».
E sul piano del programma?
«Dobbiamo trovare una piattaforma comune. Che ci permetta di essere efficaci sui temi fondamentali. Io credo che potremmo decidere una vera e propria stagione referendaria. Non solo per difenderci dall'attacco della destra, ma per contrattaccare. Il primo referendum secondo me dovrebbe essere per ottenere l'allargamento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (cioè del divieto di licenziamento senza giusta causa) anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. Io faccio questo ragionamento: il fatto che l'articolo 18 protegga solo una parte della classe lavoratrice è il punto debole. Infatti la destra attacca qui. Cerca di fomentare la divisione sociale. È qui che deve passare la controffensiva. Partendo da una ovvietà: in questi anni è cambiata la struttura industriale e produttiva. È cambiato il rapporto quantitativo tra grande impresa e impresa medio-piccola. Nei primi anni '70, quando fu varato lo Statuto, le aziende sotto i 15 dipendenti non erano la spina dorsale del sistema».
Tu dici una stagione di referendum...
«Sì, credo che dovremmo promuoverne tanti, usarli come strumento di lotta: sulle rogatorie, sul conflitto di interessi (se loro insisteranno sulla legge-beffa) e poi anche su temi più generali, magari non strettamente legati alle battaglie di politica interna. Per esempio sulla Tobin Tax. E partire da qui per trovare convergenze tra Ulivo e sinistra radicale anche sul piano politico. Nel senso che credo che dobbiamo lavorare per costruire dialogo, convergenze e azioni comuni coi grandi movimenti che sono in campo. Il movimento che viene chiamato no-global, il movimento sindacale e anche tutto il movimento dei girotondi che ha smosso nell'ultimo mese le acque del centro-sinistra».
Che giudizio dai su questi movimenti e su come stanno "strattonando" la politica italiana?
«Il movimento no-global non solo ha portato nella nostra politica nuove idee e nuova linfa. Ma ha avuto un effetto "moltiplicatore" per molti altri protagonismi. E' come se avesse fertilizzato il terreno, e su questo terreno chiunque butta un buon seme lo vede germogliare in fretta, mentre fino a qualche tempo fa il seme moriva bruciato. E così abbiamo visto la ripresa vigorosa del conflitto sociale, abbiamo visto uno dopo l'altro nascere nuove organizzazioni e nuovi movimenti democratici che vengono dalla società civile, abbiamo visto persino il centro sinistra tornare in piazza».
Ma tu dici che le sinistre restano due. Non ti pare una cosa innaturale? «Poteva essere logico che fossero due quando una era al governo e l'altra aveva scelto l'opposizione. Ora sono tutte e due all'opposizione, che senso a dividersi?
«Il fatto che una delle due sinistre governasse e l'altra no era un l'effetto della divisione, non era la causa. La ragione della divisione era il giudizio che si da su questa globalizzazione. Il centro-sinistra (non solo quello italiano, il centro-sinistra di tutto il mondo) ha pensato che questa globalizzazione potesse essere utilizzata come fattore progressista. Cioè che avesse in se un nucleo vitale, di modernizzazione, e che valorizzando questo nucleo si potessero temperare le politiche liberali e governare da sinistra la modernizzazione. L'altra sinistra, chiamiamola radicale - della quale noi facciamo parte - ha pensato che questa globalizzazione fosse contro la modernità, e fosse qualcosa che trasformava l'eccezionale potenziale innovativo di cui si dispone, anziché in progresso in arretramento sociale. Fino alla demolizione del compromesso sociale e democratico che era stato la base della vita politica in occidente nella seconda metà del 900. Vedi, non parlo di due sinistre per un capriccio. La divisione è molto netta e molto politica».
Da qualche mese però mi pare che su tutti questi temi la discussione si sia riaperta a 360 gradi. Non è così?
«Ci sono delle notevoli novità per via dell'affermarsi del movimento
no-global. Questo movimento ha fatto saltare tutti gli schemi. Ha messo in circolazione un'enorme quantità di politica. Ha rotto i confini, le linee di contrasto tra le due sinistre. O almeno le ha molto fluidificate. Anche perché è un movimento che raccoglie culture politiche lontane tra loro, e certamente non tutte interne allo schema della sinistra radicale. Il movimento ha fatto irruzione anche dentro quella che io chiamo "sinistra liberale", ha riaperto la discussione, il dialogo. Diciamo che le sinistre restano due, ma che sono molto aumentate le possibilità di dialogo. Il movimento no-global ha posto due discriminanti. Il no alla guerra e il no al neoliberismo. Sono la coordinata e l'ascissa: dentro c'è una gigantesca tavola cartesiana dentro la quale la sinistra può ricostruirsi».
Che giudizio dai sulla destra?
«Mi sembra che la linea scelta sull'articolo 18 costituisca una novità. Cambia il panorama. O almeno ci fornisce elementi di giudizio di cui prima non disponevamo. Non era, per me, così prevedibile la decisone del governo - dopo le mezze aperture dei giorni scorsi - di confermare la linea dura sull'articolo 18. Io mi aspettava quella che a scacchi si chiama la "mossa del cavallo". E cioè un colpo di teatro che scompaginasse gli oppositori e permettesse alla maggioranza di transitare lungo una linea ambigua. E invece, quando aveva sul piatto anche la possibilità di dividere i sindacati, di ottenere risultati politici di un certo rilievo, Berlusconi ha scelto la via dello scontro frontale. Anche a costo di ricompattare i sindacati e gli oppositori. E a costo di schierare le truppe su un fronte che non ammette armistizi o pareggi: i vince il governo o vincono i sindacati. Perché?, mi chiedo. Per tenere fede alle promesse verso la Confindustria? Non credo: anche la Confindustria era divisa. E allora? Io vedo una ragione di fondo: l'idea di importare il thatcherismo in Italia. Con tre obiettivi, legati l'uno all'altro Sconfiggere i lavoratori è il primo. Il secondo è sconfiggere i sindacati, demolirli. Perché il progetto di relazioni industriali non prevede la presenza pesante dei sindacati. Il terzo obiettivo è quello di rimettere in discussione tutto il sistema contrattuale italiano. Romperlo. Passando per l'abolizione del contratto nazionale di categoria, cioè dell'ultimo baluardo che aveva resistito tutti questi anni. È questa la sfida. Altrimenti non si spiegherebbe tanto accanimento».
Vengono in mente i primi anni della Thatcher e di Reagan. Anche la Thatcher e Reagan iniziarono con una sfida. La Thatcher ai minatori, Reagan ai controllori di volo. E vinsero.
«È inutile negarlo, il rischio c'è. Il rischio della sconfitta. Bisogna esserne consapevoli. Per questo credo che sia necessario unire le forze e contrattaccare. Uscire dalla rassegnazione, dalla subalternità. Dare sponda alla forza dei movimenti, e giocare anche noi tutto, per vincere la battaglia».
l'Unità 16 marzo 2002
Marco Sferini
17-03-02, 14:45
Mi sembra che le intenzioni espresse dal nostro Segretario siano ottime, anche per incidere meglio sulla sinistra presente nell'Ulivo, oltre che nelle battaglie di difesa dei diritti sociali.
Marco
www.geocities.com/prcsvcentro
www.geocities.com/rossebandiere
Nuvolarapida
18-03-02, 00:32
Finalmente il nostro Leader ha capito che per poter battere il berluska bisogna fare un accordo col csx e mandare giù qualche boccone amaro, purtroppo è così, bisogna farci l'abitudine, dobbiamo capire che per battere questi neo-fascisti c'è bisogno di una sinistra unita, questo è un piccolo passo che però significa molto, bisogna capire che la sinistra non è solo Parlamentari, ma la sinistra è fatta di gente che combatte per i pochi ideali che ancora le sono rimaste dobbiamo capire che per battere Berlusconi non bisogna parlare in politichese, non ci si deve arroccare sopra le rispettive posizioni, bisogna ascoltare la gente che per prima cosa chiede che la sinistra sia unita.
Ciao A tutti e finalmente grazie per aver riaperto pol.
Claudio
falcorosso
18-03-02, 17:46
Mi dispiace nuvolarapida ma probabilmente alla tua sinistra saranno rimasti pochi ideali, alla mia sinistra che è poi quella di Rifondazione e della sinistra alternativa in generale di ideali ne sono rimasti e anche tanti, tanto da non ridurre la lotta al governo di destra ad un semplice antiberlusconismo, ma ad una lotta più ampia contro il neoliberismo, di cui grandi complici ed ammiratori sono stati i vari neooppositori del centrosinistra.
La proposta del Segretario non è lo stupido pateracchio che viene propagandato da TV e Media in genere, ognuno rimane con le sue differenze e non ci si riunisce in nessuna federazione, o meglio minestrone,ma si si organizza per dare risposte unitarie alle proposte di legge del governo di centrodestra, quindi nessun pateracchio unitario di programmi impossibili, visto che noi siamo antiliberisti e gli altri sono per loro stessa ammiassione liberisti, anche se più sdolcinati, nessun neofrontismo, noi siamo e rimaniamo dell'idea che il centrosinistra come ipotesi politica ha fallita nella sua idea ci gestionre delle politiche liberiste, e crediamo fermamente che la sinistra può rnascere solo se antiliberista, questo è un punto fermo ed irrinunciabile, quello che chiediamo è solo di smetterla di fare girotondi e pernacchie, am di fare seria opposizione insieme, poi una volta sconfitto il nemico ognuno per la sua strada, la nostra della sinistra antiliberista e socialista, la loro del centrosinistra liberista e flessibile.
Con questo spero di aver chiuso con tutte le stupidità dette e sentite sulle proposte del compagno segretario.
Marco Sferini
18-03-02, 20:35
Caro Falcorosso,
sbagli a criticare così duramente nuvolarapida. Credo che condivida quanto dici, solo i toni del tuo e del suo post sono tendenzialmente differenti.
Ma l'indirizzo è comune: ostacolare le politiche capitalistiche del centrodestra, fermare le destre e riportare il paese verso una prospettiva di sinistra.
Invece di accusarci sempre l'un l'altro, pensiamo ad una grande UNITA' della sinistra italiana.
E, poi, il compagno Bertinotti su Liberazione stessa ha affermato di voler unire le forze con il centrosinistra per bloccare Berlusconi e i suoi "fini" alleati, con l'ostruzionismo parlamentare, con la protesta energica di piazza.
Cerchiamo ciò che ci unisce tutti, non ciò che ci divide.
E basta vedere il nemico sempre a chi sta accanto a noi, invece di vederlo in chi sta davanti a noi.
Marco
www.geocities.com/prcsvcentro
www.geocities.com/rossebandiere
falcorosso
18-03-02, 21:36
Caro Marco io falco ex rio, tu sai cosa voglio dire, volevo semplicemente togliere illusioni precostituite a chi pensa che noi abbiamo dimenticato che un governo precedente a questo ha liberalizzato, introdotto la flessibilità in entrata nel lavoro, quasi privatizzato la scuola pubblica, svenduto il patrimomio pubblico, privatizzato le ferrovie, creato le basi per lo smembramento dell'Enel e la sua svendita, che farà Berlusconi, a privati tipo Moratti,vedi arcola qui a spezia, e tante altre cose, comprese due guerre sue u ed un'altra di Berluscomi, quindi lotta contro le sue leggi, ma occhio sempre fermo. perchè il bastone fa male, ma la carota è altrettanto pericolosa.
Scusami ma dalla nota ho dimenticato una chicca, che ti farà un poco di dolore, le famose grandi opere propagandate dall'allora ministro Nerio Nesi, fra cui lo stretto di Messina, che ora farà Berlusconi, ma che avrebbero fatto anche loro!
Le divergenze sono troppe per non vedre che può essere solo tatticae non strategia.
Nuvolarapida
18-03-02, 22:03
Vedi Falco, come te sono iscritto a Rifondazione, ma penso che per battere berlusconi ci sia bisogno anche di noi, delle nostre idee.
Parlando della sinistra con pochi ideali mi riferivo al centro-sinistra, privo di ideali di "sinistra", non a noi, che in questi anni abbiamo combattutto per i veri ideali.
Tralasciando tutto questo, voglio dire che un dialogo e un patto con il csx, sarebbero una buona cosa, poichè forse ci eviterebbero altri 5 anni dopo questi di governo fascista, mi capisci, io preferisco un governo liberale con una tendenza alla sinistra che un governo antilliberale con una tendenza al fascimo, ma forse qualcuno non la pensa così e ancora oggi pensa di poter fare del bene ai lavoratori stando all'opposizione.
Fabio RedAzione
19-03-02, 00:12
Capisco perfettamente che il ragionamento che mi appresto a fare possa apparire, in questo momento, inopportuno e si appresti ad essere inteso da alcuni come una pretesa massimalista e minoritaria. Ma il rifiuto della Cgil di dare voce al social forum nella manifestazione del 23 Marzo e ancor più l’assenza di una piattaforma alternativa alle pratiche concertative mi induce a riflettere sull’opposizione che sta crescendo attorno al governo Berlusconi. Se è vero che la difesa dell’articolo 18 è da considerarsi sacrosanta e irrinunciabile è anche vero che attorno a quest’ultima né il sindacato confederale né i partiti del centrosinistra hanno posto al centro della loro opposizione una vera e propria piattaforma rivendicativa tesa a ribaltare la prassi riformista-liberale di questi ultimi anni. Lo scontro con il governo appare tutt’al più ispirato da una lotta strumentale per l’alternanza. La demonizzazione dell’avversario, la rincorsa verso la via giustizialista, il rifugio nella delega ai pubblici ministeri sembrano essere più che altro la via di fuga del ceto medio borghese più che i germi di una ripresa della lotta di classe. Se tutto questo risponde ad un’analisi veritiera diventa allora irrinunciabile proporre, all’interno di questa vasta opposizione che sta crescendo, un’alternativa di società. Partendo proprio dalle proposte programmatiche di Rifondazione è necessario incalzare sindacato e sinistra moderata sui temi del lavoro per passare da una fase difensiva ad un processo offensivo. Uscire dalla pratica concertativa che ancora in questi giorni governa i rinnovi contrattuali; tutti conclusi al di sotto delle stesse condizioni previste dall'accordo del 23 luglio e con cedimenti vistosi sul piano delle condizioni della prestazione. Costruire una griglia universale di diritti per riunificate il frammentato mondo del lavoro. Promuovere un referendum che allarghi l’art.18 a tutti i lavoratori, rivendicare una protezione integrale dei salari dall’inflazione, riprendere una lotta per l’introduzione delle 35 ore settimanali e del salario sociale ai disoccupati di lunga durata. Questi sono i contenuti che una vera opposizione per l’alternativa dovrebbe mettere in campo. Senza questa impostazione il rischio è quello di trovarsi al cospetto di una fase di lotte egemonizzate dal riformismo cigiellino e dal moderatismo dei Ds, ripetendo così l’esperienza dell’autunno 94’, quando la protesta contro Berlusconi andò ad arenarsi e ad arrestarsi in una prospettiva riformistica borghese che sfociò prima nel governo Dini poi nel fallimento della terza via Ulivista.
In conclusione mi sento di condividere al 100% le parole di Falcorosso che condivido e ripropongo qui sotto, non certo per insistere nella polemica ma semplicemente perchè ritengo corrispondano effettivamente alla mossa tattica del segretario.
"La proposta del Segretario non è lo stupido pateracchio che viene propagandato da TV e Media in genere, ognuno rimane con le sue differenze e non ci si riunisce in nessuna federazione, o meglio minestrone,ma si si organizza per dare risposte unitarie alle proposte di legge del governo di centrodestra, quindi nessun pateracchio unitario di programmi impossibili, visto che noi siamo antiliberisti e gli altri sono per loro stessa ammiassione liberisti, anche se più sdolcinati, nessun neofrontismo, noi siamo e rimaniamo dell'idea che il centrosinistra come ipotesi politica ha fallita nella sua idea ci gestionre delle politiche liberiste, e crediamo fermamente che la sinistra può rnascere solo se antiliberista, questo è un punto fermo ed irrinunciabile, quello che chiediamo è solo di smetterla di fare girotondi e pernacchie, am di fare seria opposizione insieme, poi una volta sconfitto il nemico ognuno per la sua strada, la nostra della sinistra antiliberista e socialista, la loro del centrosinistra liberista e flessibile. "
Originally posted by Nuvolarapida
Finalmente il nostro Leader ha capito che per poter battere il berluska bisogna fare un accordo col csx e mandare giù qualche boccone amaro, purtroppo è così, bisogna farci l'abitudine, dobbiamo capire che per battere questi neo-fascisti c'è bisogno di una sinistra unita, questo è un piccolo passo che però significa molto, bisogna capire che la sinistra non è solo Parlamentari, ma la sinistra è fatta di gente che combatte per i pochi ideali che ancora le sono rimaste dobbiamo capire che per battere Berlusconi non bisogna parlare in politichese, non ci si deve arroccare sopra le rispettive posizioni, bisogna ascoltare la gente che per prima cosa chiede che la sinistra sia unita.
Ciao A tutti e finalmente grazie per aver riaperto pol.
Claudio
In verità, questa comprensione non è nuova. Putroppo, non sempre quel che si capisce come necessario, è immediatamente realizzabile. Un conto è proporre l'unità a sinistra, mentre D'Alema propone di sospendere lo statuto dei lavoratori per tre anni, un conto è proporre l'unità a sinistra, mentre Cgil e Ds sono impegnate nell'opposizione al governo che vuole abolire lo statuto dei lavoratori. Un conto è agire in una condizione di paludosa pace sociale, un conto è agire con il movimento no-global, le mobilitazioni nelle fabbriche, i girotondi e lo sciopero generale.
R.
falcorosso
19-03-02, 15:54
GRAZIE LA CHIAREZZA IN CERTI MOMENTI è INDISPENSABILE!
Sia chiaro stupidaggini alla comunistiitaliani noi non ne faremo MAI!
Su questo potete pure metterci tutto quello che avete di più caro......... sul fuoco. A proposito è già iniziata la campagna doi disinformazione dei DS, nel loro giornale si afferma che a Lucca è stato raggiunto l'accordo per un candidato comune, mentre Rifondazione ha gia il suo candidato, una donna, ed una lista con programma all'interno del quale vi sono movimenti, esperienze sindacali, comitati, cioè la famosa sinistra di alternativa.
E' chiaro che nessuno è contrario per principio alle alleanze di tutta la sinistra, ma non per battere le destre, ma per dare svolte serie alle politiche dei governi locali, il discorso di Bertinotti era molto chiaro e per chi non lo avesse ancora compreso bene si vadaa leggere l'intervista sul Corriere, è chiaro che chi sitrova nella m.... come centrosinistrae ds cerca di approffittarne, infatti ritornano i vecchi discorsi dei mentecatti, non rieso a definirli in altro modo, della sinistra, tipo il Manifesto "bertinotti esce dall'arroccamento", oppure dell'Unità "Fassini apre a Bertinotti", queste due frasi sono già una dimostrazione pratica di come dovremmo camminare con i piedi di piombo per evitare di essere fagocitati dai loro interessi, che da sempre è dimostrato non sono quelli di una seria opposizione alle destre
Originally posted by Fabio RedAzione
Capisco perfettamente che il ragionamento che mi appresto a fare possa apparire, in questo momento, inopportuno e si appresti ad essere inteso da alcuni come una pretesa massimalista e minoritaria. Ma il rifiuto della Cgil di dare voce al social forum nella manifestazione del 23 Marzo e ancor più l’assenza di una piattaforma alternativa alle pratiche concertative mi induce a riflettere sull’opposizione che sta crescendo attorno al governo Berlusconi.
Si, penso anch'io che le cose stiano così. Con lo sciopero generale, la Cgil, prima ancora dell'articolo 18, difende la concertazione, ed i Ds si rapportano alla mobilitazione, ne più ne meno, come fecero nel 1994. Lo ha detto D'Alema ancora di recente: l'articolo 18 lo possiamo riformare meglio noi (loro) con la concertazione e senza il conflitto sociale. Essere uniti all'opposizione è cosa diversa dall'essere uniti sulla prospettiva. Lo stesso Fassino ha dichiarato di essere contrario ad un referendum estensivo delle tutele dell'articolo 18 nelle imprese con meno di 15 dipendenti, perchè il centrosinistra rappresenta anche artigiani e piccoli imprenditori. Lo ha detto proprio così. A mio avviso, le speranze di Rifondazione, possono puntare allora ben poco sulle buone intenzioni ed i ravvedimenti dei gruppi dirigenti sindacail e diessini, quanto: 1) sull'indisponibilità alla concertazione di questo governo e di questa confindustria; 2) sulla forza e determinazione del movimento; 3) sulla unificazione delle lotte civili, democratiche e sociali. Se queste condizioni ottimali si affermano, un voltafaccia come quello del 1995, potrebbe non essere possibile.
R.
Anche a me, che non sono nè rifondazione nè ds, le pure sommatorie non interessano. Io penso che, se non si mette in discussione tutta la sinistra, il suo modo di fare politica, di rapportarsi agli elettori, la sua classe dirigente, i suoi vetusti modelli e la sua autoreferenzialità, i risultati in campo economico, sociale e politico saranno sempre negativi. Se solo, per esempio, penso alla politica che è passata nella scuola, avallata, anzi sostenuta, dalla Cgil (e rifondazione, a parte la difesa dei precari e le questioni salariali, non se ne è occupata quasi per niente), mi viene uno scoramento tale che vedo la destra al potere per i prossimi cinquant'anni.
Qualcuno di voi può postare l'intervista di Bertinotti al Corriere della Sera in cui propone (da quello che ho capito) la costituzione di un nuovo soggetto politico che raccolga la sinistra alternativa?
L'intervista è stata pubblicata anche su Liberazione, in edicola oggi.
R.
Intervista a Fausto Bertinotti
Rifondazione, pronta a far parte di nuovo soggetto politico
Marco Cianca
E' difficile definire Fausto Bertinotti un ingeneroso oligarca. Ma, se il vestito cucito da Sergio Cofferati mal gli si attaglia, a quali leader della sinistra va a pennello? «Per prima cosa - risponde il segretario di Rifondazione Comunista - bisogna precisare che di sinistre ce ne sono almeno due. Altrimenti si fa una gran confusione e tutti i gatti sono grigi».
Qual è la differenza di fondo?
La divaricazione radicale si è prodotta rispetto alla nuova scena post novecento, successiva al crollo dei regimi dell'Est, occupata da quella fase del capitalismo che chiamiamo globalizzazione. Le scelte sono state profondamente diverse. Da una parte c'è stata la terza via, da Clinton a Blair passando per il centrosinistra italiano, dall'altra una sinistra critica che non non ha ritenuto che si dovesse essere più moderati ma anzi più radicali e alternativi.
Torniamo agli oligarchi...
E' un problema che esiste, come si vede dalla formazione, priva di qualsiasi procedura democratica e partecipativa, delle candidature alle amministrative e delle leadership. Ma è un effetto, non una causa della crisi del centrosinistra».
In che senso?
E' l'effetto combinato di due fattori. Il primo, e più importante, riguarda l'alienazione da parte del centrosinistra dell'idea, secondo la quale la politica nasce nella società, nel rapporto con i movimenti e con la dinamica del conflitto di classe, per nulla scomparso, ma che si declina su un terreno nuovo e persino inedito. Il centrosinistra è stata l'idea ultima, sfibrata, dell'autonomia della politica.
I politici chiusi in una torre d'avorio?
I politici chiusi nelle loro istituzioni, separate dalle società che diventano sempre meno democratiche perché divorate dalla globalizzazione che alloca diversamente i centri decisionali portandoli nelle segrete stanze del Wto o del G8. E' la rinuncia a un punto di vista critico della società e della rivoluzione capitalistica.
Sei divorato da quest'ultima e ridotto a un'appendice della stessa che è a-democratica e produttrice della morte della politica. Sei oligarchico perché aderisci a una rivoluzione regressiva che trasforma tutte le democrazie in oligarchie e quindi ne subisci la sorte.
Questo è il primo dei due fattori di crisi cui accennava. L'altro?
Il centrosinistra ha accettato la tesi politicistica dello sblocco del sistema politico. Ha creduto alla fine del fattore K. Non si è reso conto che era una bufala. Hanno pensato che, se si faceva il maggioritario e si costruiva l'alternanza, siccome il centrosinistra era il maggiore interprete di questa modernizzazione, sarebbe stato il candidato vincente. In questa logica ha accettato fino in fondo la spettacolarizzazione della politica, il leaderismo, la personalizzazione dell'alternanza, il carattere prevalentemente televisivo del confronto, questo contro quello, non programma contro programma, blocco sociale contro blocco sociale. Pasolini diceva del Pci che era un Paese nel Paese. Il centrosinistra, al contrario, non è vissuto nel Paese. Ecco l'oligarchia.
I girotondi hanno dato la sveglia?
Sono stati una manifestazione interessante, anche se criticabile per la cultura politica prevalente. Ma non si possono vedere come fenomeno separato, come un fungo nato all'improvviso. L'humus è un lungo disgelo sociale nel quale c'è stata una semina. Il pacifismo, il femminismo, lo zapatismo, il nuovo ambientalismo, il risveglio del conflitto sociale. Nuove generazioni che cercano nuove strade per fare politica. E tutti questi semi hanno dato vita a una pianta straordinaria, il movimento dei movimenti, da Seattle a Porto Alegre, passando per Genova. E' incredibile quanto questo fatto sia stato nuovo e importante, tanto che segnerà tutto il nostro futuro, e quanto invece il centrosinistra non l'abbia capito e l'abbia incontrato solo tardivamente: a Genova i Ds non c'erano e non c'era nemmeno la Cgil di Cofferati.
Ora pensa che Cofferati diventi un interlocutore privilegiato?
L'unico interlocutore privilegiato è il movimento. Non contano le persone, contano le collocazioni di ognuno rispetto a questi movimenti emergenti e alla rifondazione della politica. Todos caballeros.
Propugna un ritorno a Rosa Luxemburg, allo spontaneismo, al rifiuto della forma partito?
Non nego un'ascendenza culturale. Ma il problema, come dimostrano anche le elezioni francesi, non è quello di un maquillage, di un correttivo della politica esistente ma di una rifondazione della politica. Non basta spostare l'asse a sinistra. Vanno ricostruite le forme di organizzazione, di vita, di cultura politica.
Ma intanto vince il centrodestra.
Per trovare il bandolo della matassa è fondamentale il nesso tra la quotidianità e la prospettiva.
Un tempo l'appartenenza al partito o al sindacato svolgeva un ruolo forte. Anche se non eri soddisfatto dei risultati della lotta, l'appartenenza e la prospettiva globale te li facevano accettare e anche valorizzare. Era la tappa di un lungo cammino. Oggi bisogna ritrovare quel nesso. E allora è essenziale vincere nella difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Ecco di nuovo il ruolo di Cofferati. E gli altri leader del centrosinistra? Li giudica irrimediabilmente oligarchi?
Irrimediabilmente non vale mai per niente e per nessuno. La politica comprende sempre la possibilità di redimersi dai propri peccati.
E non c'è nemmeno bisogno della confessione, basta il cambiamento. Purtroppo, anche nelle ultime dichiarazioni di Massimo D'Alema, vedo la conferma di una politica neocentrista».
Quindi non spera in una redenzione?
La provvidenza rossa non ha limiti. In ogni caso non mi affido alla speranza, ma alla creazione di un nuovo soggetto politico in Italia e in Europa.
E come dovrebbe chiamarsi?
Mi piacerebbe "sinistra alternativa", con dentro, a pieno titolo, Rifondazione Comunista.
Corriere della Sera 13 maggio 2002
Marco Sferini
14-05-02, 15:51
Soggetto politico nuovo. E va bene. Ma cosa significa? Lo scioglimento del PRC in questo nuovo proggetto di "Sinistra alternativa"? Oppure è una sorta di coalizione delle forze della "Sinistra alternativa"?
Perchè il primo caso mi trova contrario, il secondo invece favorevole.
Quando si affrontano temi di questa portata, occorre parlare chiaramente e non lasciare all'interpretazione delle frasi dette e poi scritte dai giornalisti.
Se la "Sinistra alternativa" è il nuovo insieme di forze di sinistra che superano l'Ulivo, da sinistra sempre, ebbene questo progetto lo trovo molto stimolante, non solo per quello che comporta, ma anche per il nostro partito stesso.
Ma se fosse solamente il primo passo per un futuro scioglimento del PRC, ebbene in questo caso sono nettamente contrario a qualsiasi "sinistra alternativa".
Un caro saluto comunista.
Marco
www.geocities.com/prcsvcentro
www.geocities.com/rossebandiere
:confused:
Mi piacerebbe "sinistra alternativa", con dentro, a pieno titolo, Rifondazione Comunista.
Queste le parole di Bertinotti. Dire "con dentro" può significare "all'interno di" oppure "insieme a". Anche se forse c'è una sfumatura del significato che porta quelle parole ad assomigliare al primo significato. Forse è più uno scioglimento che una coalizione.
Ma altro elemento da tener presente è che prima Bertinotti dice: "In ogni caso non mi affido alla speranza, ma alla creazione di un nuovo soggetto politico in Italia e in Europa. "
E individua in questo nuovo soggetto politico la via per "redimere" i leader del centrosinistra.
Vuoi vedere che andremo a fare l'accordo con Rifondazione e la desistenza con la Margherita? (Mi sa che corro troppo....)
CERCARE DI RIUNIRE LE SINISTRE è SENZ'ALTRO UNO SCOPO DA PERSEGUIRE.
LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI è LA REGOLA DI BASE.
SENZA DOVER NECESSARIAMENTE CONSIDERARE DEI TRADITORI CHI HA ROTTO E ROMPE QUESTA UNITA', Non bisogna dimenticare che ogni rottura o scisisone o cambimaento di programmi di nomi e di obiettivi, ha portato solo perrdite nell'elettorato, e quindi nella forza politica della sinistra....
Se questo risultato negativo non èstato mai sufficientemente analizzato non vuol dire che non si debba farlo e che chi ha fatto degli errori non debba rifletterci.
E0 ovvio che molti programmi e molte aspettative possano presentare delle differenze, ma cercare una riunione significa anche accettare dei compromessi trovando però accordi sssulle priorità per ogni traguardo da raggiungere senza del tutto sacrificare i punti di vista di nessuno.
Ma stai proponendo una riunificazione di tutta la sinistra?
LE SINISTRE DEVONO STARE UNITE!!
TROVANDO PRIORITà COMUNI, URGENTI E NECESSARIE, NEI PROGRAMMI E ANDARE AVANTI UN OBIETTIVO PER VOLTA.
OVVIAMENTE OBIETTIVI COMUNI E DI SINISTRA.
CGHE SAPPIAMO BENISSIMO TUTTI QUALI SONO E QUALI SONO NECESSARI E IMPROROGABILI.
SE SI VUOL ESSERE VERAMENTE DI SINISTRA.
Originally posted by Rosa rossa
Mi piacerebbe "sinistra alternativa", con dentro, a pieno titolo, Rifondazione Comunista.
Queste le parole di Bertinotti. Dire "con dentro" può significare "all'interno di" oppure "insieme a". Anche se forse c'è una sfumatura del significato che porta quelle parole ad assomigliare al primo significato. Forse è più uno scioglimento che una coalizione.
Ma altro elemento da tener presente è che prima Bertinotti dice: "In ogni caso non mi affido alla speranza, ma alla creazione di un nuovo soggetto politico in Italia e in Europa. "
E individua in questo nuovo soggetto politico la via per "redimere" i leader del centrosinistra.
Vuoi vedere che andremo a fare l'accordo con Rifondazione e la desistenza con la Margherita? (Mi sa che corro troppo....)
Ma e' l'ora di lettura e interpretazione della bibbia? :)
Scherzi a parte, credo sia solo la formalizzazione della collaborazione che c'e' tra il 99% del PRC, il 90% dei verdi, i Ds che fanno riferimento a Salvi e simili, movimenti.
Come diceva Casarini tempo fa, e' assurdo fare assieme tutto e al momento delle elezioni e della rappresentanza istituzionale, trovarsi in ordine sparso e non collaborativo.
Non gli do' torto :)
Poi vi dico come sono andate le elezioni qui a Caorle (VE) ;)
A Treviso ha funzionato meno, dove la lista a forte influenza del movimento ha trovato l'accordo con i Verdi, ma non con il PRC.
Sì, era una cosa che si poteva pensare leggendolo, quello che mi pare difficile è che un pezzo dei DS confluisca con Rifondazione.
Originally posted by Rosa rossa
Sì, era una cosa che si poteva pensare leggendolo, quello che mi pare difficile è che un pezzo dei DS confluisca con Rifondazione.
E se si dice che Rifondazione e un pezzo di Ds collaborano, non va bene? Da cosa dipende il no nella proposta?
Rispetto a quella dell;Ulivo, questa ha gia' il vantaggio di essere concreta nei fatti, e vuole solo formalizzarsi. Poi non e' detto che si presenti alle elezioni. I rappresentanti posso stare in varie parti, per come la vedo io. Infatti uno degli obiettivi della alternativa e' creare forme partecipative da affianzare a quelle solo rappresentative. Quindi il momento della rappresentanza non sarebbe l'unico momento di democrazia. Il dialogo risulterebbe migliore.
Se leggi il documento sul bilancio e democrazia partecipativa, intuisci che intendo dire *e' lungo, buone lettura :P*
RC e Margherita non andranno mai d'accordo. Già ci sono infinite difficoltà con i DS. Una sx alternativa addirittura più forte che RC contrapposta, o cmq in una non perfetta unità col il Centro dell'Ulivo avrebbe un risultato elettorale pessimo. Molto probabilmente il peggiore possibile.
Dipende dagli obbiettivi che ci si pone. La mia impressione è che il vero obbiettivo di RC sia quello di unire la sx sulle sue posizioni, in modo tale da avere più forza per "cambiare il mondo", più che vincere le prossime elezioni. Se la sx moderata si pone quello di vincerle, allora, deve fare l'esatto opposto che quello che vuole RC. Formando un'unità vera tra DS Margherita e altri movimenti del csx, le probabilità di vincere le elezioni sono molte di più. Inoltre cercare un'unità totale (RC, ULivo), acuisce le divisioni interne al csx, e, di rimando, da forza alle estreme. Questo rafforzamento delle estreme, a sua volta, da loro più "potere contrattuale", in modo tale che, più si cerca l'unità totale e minori sono le probabilità di ottenerla, sia da punto di vista Ulivo-RC, sia da quello interno all'Ulivo stesso.
Poichè la ricerca dell'unità con RC porta ad una divisione interna del csx i cui risultati, in termini elettorali, sarebbero molto peggiori di quelli che si avrebbero con l'unità interna, allora mi pare che essa non debba essere perpetrata.
Originally posted by Rosa rossa
Sì, era una cosa che si poteva pensare leggendolo, quello che mi pare difficile è che un pezzo dei DS confluisca con Rifondazione.
Non ho informazioni precise, ma non mi pare che si propongano confluenze.
Nell'intervista si dice pochissimo in proposito, ma si usa la definizione di "nuovo soggetto politico". E' una definizione che si usa per riferirsi ad un nuovo partito, o ad una nuova formazione politica, magari nei termini di una federazione o coordinamento organizzato. Rifondazione Comunista dovrebbe farne parte a pieno titolo. Quel che mi fa venire in mente questa formula è l'Izquerda Unida" spagnola, che raccoglieva l'insieme delle forze della sinistra alternativa, compreso il Pce.
Per saperne di più, temo dovremo aspettare un po'.
R.
E' probabile che, qualora aumentassero i consensi al csx, il polo vari prima delle elezioni una legge proporzionale, con la quale avrebbe più probabilità di vincere. La quale legge andrebbe bene anche per RC.
Originally posted by yurj
1)Rispetto a quella dell;Ulivo, questa ha gia' il vantaggio di essere concreta nei fatti, e vuole solo formalizzarsi.
2)Infatti uno degli obiettivi della alternativa e' creare forme partecipative da affianzare a quelle solo rappresentative. Quindi il momento della rappresentanza non sarebbe l'unico momento di democrazia. Il dialogo risulterebbe migliore.
1) Ma dove la sinistra DS sta collaborando con Rifondazione?
(Nella mia zona sono stato io a proporre ai giovani di Rifondazione una collaborazione con la Sinistra Giovanile)
2)Io credo che la collaborazione si possa fare anche senza creare l'alternativa.
Originally posted by Claude74
RC e Margherita non andranno mai d'accordo. Già ci sono infinite difficoltà con i DS. Una sx alternativa addirittura più forte che RC contrapposta, o cmq in una non perfetta unità col il Centro dell'Ulivo avrebbe un risultato elettorale pessimo. Molto probabilmente il peggiore possibile.
Dipende dagli obbiettivi che ci si pone. La mia impressione è che il vero obbiettivo di RC sia quello di unire la sx sulle sue posizioni, in modo tale da avere più forza per "cambiare il mondo", più che vincere le prossime elezioni. Se la sx moderata si pone quello di vincerle, allora, deve fare l'esatto opposto che quello che vuole RC. Formando un'unità vera tra DS Margherita e altri movimenti del csx, le probabilità di vincere le elezioni sono molte di più. Inoltre cercare un'unità totale (RC, ULivo), acuisce le divisioni interne al csx, e, di rimando, da forza alle estreme. Questo rafforzamento delle estreme, a sua volta, da loro più "potere contrattuale", in modo tale che, più si cerca l'unità totale e minori sono le probabilità di ottenerla, sia da punto di vista Ulivo-RC, sia da quello interno all'Ulivo stesso.
Poichè la ricerca dell'unità con RC porta ad una divisione interna del csx i cui risultati, in termini elettorali, sarebbero molto peggiori di quelli che si avrebbero con l'unità interna, allora mi pare che essa non debba essere perpetrata.
Aiuto... lo scopo della politica NON e' vincere le elezioni. La democrazia NON e' solo elezioni.
A me delle elezioni frega poco. Io voglio un sistema dove contino le cose, non i bilancini delle coalizioni.
Originally posted by Rosa rossa
1) Ma dove la sinistra DS sta collaborando con Rifondazione?
(Nella mia zona sono stato io a proporre ai giovani di Rifondazione una collaborazione con la Sinistra Giovanile)
2)Io credo che la collaborazione si possa fare anche senza creare l'alternativa.
1) dove succede, e' bene
2) Si, ma se si collabora per qualcosa la mattina, il pomeriggio non ci si puo' mettere un'altra casacca. Kafkiano :)
Originally posted by yurj
Aiuto... lo scopo della politica NON e' vincere le elezioni. La democrazia NON e' solo elezioni.
A me delle elezioni frega poco. Io voglio un sistema dove contino le cose, non i bilancini delle coalizioni.
Non ho detto che la democrazia si riduce alle elezioni, ma soltanto che se non le si vincono, non si può fare alcunchè, mentre si lascia campo libero all'avversario. Questo è incontestabile.
Mi pare però che le attuali forze dell'opposizione abbiano, o obbiettivi diversi, o assegnino significati diversi agli stessi obbiettivi. Queste rende problematica la possibilità di una completa unità.
Originally posted by Claude74
Non ho detto che la democrazia si riduce alle elezioni, ma soltanto che se non le si vincono, non si può fare alcunchè, mentre si lascia campo libero all'avversario. Questo è incontestabile.
Mi pare però che le attuali forze dell'opposizione abbiano, o obbiettivi diversi, o assegnino significati diversi agli stessi obbiettivi. Queste rende problematica la possibilità di una completa unità.
Sicuramente hanno obiettivi diversi, anche perchè rappresentano interessi diversi. Per esempio, alla proposta di estendere le tutele dello Statuto dei lavoratori anche alle aziende sotto i quindici dipendenti, Fassino ha risposto no, non perchè ciò non sia giusto, ma perchè sarebbero contrari tanti artigiani e piccoli imprenditori che votano Ds.
Un altro elemento che rende problematica l'unità è la concezione della politica dell'Ulivo, cioè una politica intesa come prosecuzione del campionato di calcio con altri mezzi. Tutto è ridotto alla scelta del leader, alla formula delle alleanze, al gioco di manovra, all'esaltazione della tattica, lasciando sullo sfondo, il rapporto tra politica e società.
L'Ulivo sa che vuole vincere, cerca di sapere come vincere, ma non sa perchè, per cosa vincere. Ed anche per questo, alla fine, perde.
R.
Originally posted by Roderigo
Sicuramente hanno obiettivi diversi, anche perchè rappresentano interessi diversi. Per esempio, alla proposta di estendere le tutele dello Statuto dei lavoratori anche alle aziende sotto i quindici dipendenti, Fassino ha risposto no, non perchè ciò non sia giusto, ma perchè sarebbero contrari tanti artigiani e piccoli imprenditori che votano Ds.
Un altro elemento che rende problematica l'unità è la concezione della politica dell'Ulivo, cioè una politica intesa come prosecuzione del campionato di calcio con altri mezzi. Tutto è ridotto alla scelta del leader, alla formula delle alleanze, al gioco di manovra, all'esaltazione della tattica, lasciando sullo sfondo, il rapporto tra politica e società.
L'Ulivo sa che vuole vincere, cerca di sapere come vincere, ma non sa perchè, per cosa vincere. Ed anche per questo, alla fine, perde.
R.
Questo accade, a mio modestissimo avviso, perchè l'Ulivo ritiene i problemi della leadership, delle alleanze "tattiche" e quello degli obbiettivi più propriamente politici come avulsi uno dall'altro. O almeno mi pare comportarsi come se li ritenesse tali. Ma non è così. L'uno dipende dall'altro. Più unità di intenti, obbiettivi e valori c'è, e più è facile risolvere il problema del leader. Ma mi pare che questa unione con RC sia troppo difficile. Ci sono delle discordanze di fondo, che vanno ben oltre la concezione economica della società. Il radicale cambiamento economico di questa, dovrebbe portare ad un radicale cambiamento delle sue forme di vita civili e politiche.
I disaccordi sulle questioni economiche tra RC e csx, sono in realtà disaccordi che trascendono l'economia: la concezione della democrazia, l'idea di società civile, la concezione dello Stato, dei suoi ruoli e prerogative. Non vedo come possa esserci unità. Mi spiace.
Originally posted by Claude74
Questo accade, a mio modestissimo avviso, perchè l'Ulivo ritiene i problemi della leadership, delle alleanze "tattiche" e quello degli obbiettivi più propriamente politici come avulsi uno dall'altro. O almeno mi pare comportarsi come se li ritenesse tali. Ma non è così. L'uno dipende dall'altro. Più unità di intenti, obbiettivi e valori c'è, e più è facile risolvere il problema del leader. Ma mi pare che questa unione con RC sia troppo difficile. Ci sono delle discordanze di fondo, che vanno ben oltre la concezione economica della società. Il radicale cambiamento economico di questa, dovrebbe portare ad un radicale cambiamento delle sue forme di vita civili e politiche.
I disaccordi sulle questioni economiche tra RC e csx, sono in realtà disaccordi che trascendono l'economia: la concezione della democrazia, l'idea di società civile, la concezione dello Stato, dei suoi ruoli e prerogative. Non vedo come possa esserci unità. Mi spiace.
Infatti, non ci può essere, non c'è e non si propone che ci sia. Nessuno in Rifondazione pensa ad un rapporto di unità con questo centrosinistra. Ma solo a patti di unità d'azione circoscritti agli obiettivi che sono comuni, come per esempio nell'opposizione alla modifica dell'articolo 18.
Per il resto, non capisco bene quali siano per te le divergenze relative alla organizzazione della società civile.
Alla radice dell'esistenza delle due sinistre vi è proprio una differente posizione rispetto al liberismo, alla globalizzazione ed alla guerra. I cambiamenti di cui parli, non hanno introdotto grandi novità nell'elaborazione della sinistra moderata. Essa, per lo più, si è limitata ad assumere come proprie le tradizionali concezioni liberali.
R.
Originally posted by Roderigo
Infatti, non ci può essere, non c'è e non si propone che ci sia. Nessuno in Rifondazione pensa ad un rapporto di unità con questo centrosinistra. Ma solo a patti di unità d'azione circoscritti agli obiettivi che sono comuni, come per esempio nell'opposizione alla modifica dell'articolo 18.
Per il resto, non capisco bene quali siano per te le divergenze relative alla organizzazione della società civile.
Alla radice dell'esistenza delle due sinistre vi è proprio una differente posizione rispetto al liberismo, alla globalizzazione ed alla guerra. I cambiamenti di cui parli, non hanno introdotto grandi novità nell'elaborazione della sinistra moderata. Essa, per lo più, si è limitata ad assumere come proprie le tradizionali concezioni liberali.
R.
Essa, per lo più, si è limitata ad assumere come proprie le tradizionali concezioni liberali.(R.)
Sì, più o meno è così. Ma io la ritengo una cosa giusta, e molto probabilmente tu no. La differenza non è mica di poca cosa.
Poi è chiaro che il tipo di convergenze di cui parli è sempre possibile. Perchè, pur partendo da principi diversi, certi obbiettivi specifici possono essere comuni. In questo caso non collaborare sarebbe soltanto una cosa stupida, insensata.
Originally posted by Claude74
Essa, per lo più, si è limitata ad assumere come proprie le tradizionali concezioni liberali.(R.)
Sì, più o meno è così. Ma io la ritengo una cosa giusta, e molto probabilmente tu no. La differenza non è mica di poca cosa.
Poi è chiaro che il tipo di convergenze di cui parli è sempre possibile. Perchè, pur partendo da principi diversi, certi obbiettivi specifici possono essere comuni. In questo caso non collaborare sarebbe soltanto una cosa stupida, insensata.
Avrei dovuto dire "liberiste". E davvero non è una differenza di poca cosa, anche perchè oggi il liberismo tende a separarsi anche dal liberalismo. Una delle contraddizione della sinistra moderata è anche questa: scegliere tra liberismo e liberalismo.
R.
Originally posted by Roderigo
Avrei dovuto dire "liberiste". E davvero non è una differenza di poca cosa, anche perchè oggi il liberismo tende a separarsi anche dal liberalismo. Una delle contraddizione della sinistra moderata è anche questa: scegliere tra liberismo e liberalismo.
R.
Se per liberismo intendi l'ideologia leberista, o peggio, libertarista, credo proprio che la sx non la debba in alcun modo adottare (ma secondo me nemmeno la dsx dovrebbe, avendo questa concezione delle tendenze antidemocratiche evidenti).
Lo stato, a mio modo di vedere, deve contare, deve e può porsi degli obbiettivi che riguardino la società nel suo complesso. Cosa che un liberista vero non accetterebbe, non esistendo, per esso, società, ma solo individui. Le regole complessive della società, cioè, dovrebbero essere le stesse che regolamenterebbero la relazione tra due sole persone: non aggressione e libertà di scambio. La società giusta libertariamente è quella nella quale si rispettano in maniera rigida i diritti di proprietà, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Questa, secondo me, è una follia, una cazzata, irrealizzabile e sciocca.
Io invece credo che la società esista e sia fatta di individui e gruppi autonomi che interagiscono l'uno con l'altro anche e soprattutto attraverso transazioni di tipo economico. Ci sono una pluralità di interessi, valori e stili di vita. Lo stato ha un compito fondamentalmente redistributivo. Deve assicurare che le persone più in basso nella forbice della diseguaglianza, abbiano mezzi sufficienti per vivere e soprattutto, esercitare i propri diritti libertari. Perchè è inutile avere la libertà senza mezzi materiali (comprese le opportunità) che permettano di dare un senso pratico, concreto ad essa. Il discorso sarebbe lunghissimo.....insomma, non credo che si prospetti una sx liberista nel senso vero del termine.
Per "liberismo" mi riferisco ad una politica economica che assegna allo stato una mera funzione ausiliaria rispetto al mercato ed all'impresa. Una politica che si traduce in privatizzazioni, flessibilità e compressione del salario; diminuzione delle tasse e della spesa sociale. Una politica che contrappone lo sviluppo economico ai diritti dei lavoratori. Una politica che redistribuisce il reddito all'incontrario. Una tale politica liberista mina gli stessi diritti di cittadinanza, separandosi dallo stesso liberalismo.
Nessuna forza politica la assume allo stato puro. E neppure potrebbe, volendolo. Lo stesso capitalismo non è mai integralmente liberista. La Erron in crisi, la Fiat in crisi, si precipitano dallo stato, per uscire dai guai.
Allo stesso modo non esiste una politica integralmente socialista. L'una e l'altra hanno ispirato ed ispirano l'azione dei vari governi, segnando il discrimine tra destra e sinistra. Ma dagli anni '80, questo è sempre meno vero, ed oggi centrodestra e centrosinistra si contendono il governo, competendo su chi è più bravo ad applicare ricette liberiste e distinguendosi per tempi e modalità: quello dell'ulivo si chiamava appunto "liberismo temperato". Qui sta la principale causa della esistenza di due sinistre. Una divisione che assomiglia sempre più a quella che separava, non riformisti e rivoluzionari, ma liberali e socialisti.
R.
Originally posted by Roderigo
Per "liberismo" mi riferisco ad una politica economica che assegna allo stato una mera funzione ausiliaria rispetto al mercato ed all'impresa. Una politica che si traduce in privatizzazioni, flessibilità e compressione del salario; diminuzione delle tasse e della spesa sociale. Una politica che contrappone lo sviluppo economico ai diritti dei lavoratori. Una politica che redistribuisce il reddito all'incontrario. Una tale politica liberista mina gli stessi diritti di cittadinanza, separandosi dallo stesso liberalismo.
Nessuna forza politica la assume allo stato puro. E neppure potrebbe, volendolo. Lo stesso capitalismo non è mai integralmente liberista. La Erron in crisi, la Fiat in crisi, si precipitano dallo stato, per uscire dai guai.
Allo stesso modo non esiste una politica integralmente socialista. L'una e l'altra hanno ispirato ed ispirano l'azione dei vari governi, segnando il discrimine tra destra e sinistra. Ma dagli anni '80, questo è sempre meno vero, ed oggi centrodestra e centrosinistra si contendono il governo, competendo su chi è più bravo ad applicare ricette liberiste e distinguendosi per tempi e modalità: quello dell'ulivo si chiamava appunto "liberismo temperato". Qui sta la principale causa della esistenza di due sinistre. Una divisione che assomiglia sempre più a quella che separava, non riformisti e rivoluzionari, ma liberali e socialisti.
R.
Questo è in parte vero. Ma credo che la differenza la faccia a chi si diminuiscano le tasse, e secondo quali criteri. Io francamente credo che anche in un regime più liberista, sia possibile una redistribuzione equa. Allo stesso modo è importante sapere a chi si taglia la spesa sociale, per quali ragioni e secondo quali fini.
Inoltre bisogna comprendere se la contrapposizione tra diritti dei lavoratori e sviluppo sia dovuta solo a precisi rapporti di forza o a questioni più generali, di efficienza. So che tu propendi per la prima ipotesi. I valori in gioco sono molti. Una maggior flessibilità può portare ad una moltiplicazione delle opportunità, però, d'altro canto, anche ad un peggioramento della loro qualità.
Non so fino a che punto possa esistere una soluzione definitiva a questi problemi. Io li interpreto così: fanno parte della vita spontanea della società, la quale è distinta dallo stato, e fatta principalmente da soggetti autonomi e privati che interagiscono e si scontrano.
Credo comunque che la presenza di organizzazioni sindacali forti, per es., che conservino un reale potere contrattuale a livello nazionale, possa servire. Così come il mantenimento di un sistema sanitario e scolastico pubblico e uguale per tutti.
Del resto non pretendo di avere la verità in tasca, ed i problemi sul tavolo sono complessi e difficilmente inquadrabili in modo univoco....
Originally posted by Claude74
Questo è in parte vero. Ma credo che la differenza la faccia a chi si diminuiscano le tasse, e secondo quali criteri
Ma possibile che i criteri e le cosa da fare non nascano dalla richiesta della popolazione, ma dalla fantasia del politico di turno?
Quando mai hai visto un immigrato, un barbone, un operai, un giovane precario chiederti di abbassare le tasse?
Originally posted by yurj
Ma possibile che i criteri e le cosa da fare non nascano dalla richiesta della popolazione, ma dalla fantasia del politico di turno?
Quando mai hai visto un immigrato, un barbone, un operai, un giovane precario chiederti di abbassare le tasse?
I criteri devono essere quelli dell'equità sociale, i quali ci dicono che i primi ai quali si devono abbassare le tasse sono proprio coloro che hanno di meno.
Originally posted by Claude74
I criteri devono essere quelli dell'equità sociale, i quali ci dicono che i primi ai quali si devono abbassare le tasse sono proprio coloro che hanno di meno.
Non c'e' peggior sordo di ...
Ascolta, i criteri NON li decidi tu o il politico, ma la popolazione.
Ripeto: a un immigrato clandestino, a un operaio, un giovane precario, un barbone, ti chiederebbero di abbassargli le tasse?
Moderato (POL)
21-05-02, 13:15
Originally posted by Claude74
Non ho detto che la democrazia si riduce alle elezioni, ma soltanto che se non le si vincono, non si può fare alcunchè, mentre si lascia campo libero all'avversario. Questo è incontestabile.
Mi pare però che le attuali forze dell'opposizione abbiano, o obbiettivi diversi, o assegnino significati diversi agli stessi obbiettivi. Queste rende problematica la possibilità di una completa unità.
Non esagerare, la sinistra potrà sempre fare volontariato, fare "movimento", fare "cultura". E lasciare ad altri tutte quelle cose tristi, aride e borghesi tipo produzione, numeri, economia, leggi e codici.
Originally posted by Claude74
Questo è in parte vero. Ma credo che la differenza la faccia a chi si diminuiscano le tasse, e secondo quali criteri. Io francamente credo che anche in un regime più liberista, sia possibile una redistribuzione equa. Allo stesso modo è importante sapere a chi si taglia la spesa sociale, per quali ragioni e secondo quali fini.
Inoltre bisogna comprendere se la contrapposizione tra diritti dei lavoratori e sviluppo sia dovuta solo a precisi rapporti di forza o a questioni più generali, di efficienza. So che tu propendi per la prima ipotesi. I valori in gioco sono molti. Una maggior flessibilità può portare ad una moltiplicazione delle opportunità, però, d'altro canto, anche ad un peggioramento della loro qualità.
Più il regime è liberista, più la redistribuzione è affidata al mercato, meno può essere equa.
Perchè bisogna abbassare le tasse e la spesa e non il contrario?
I tuoi distinguo sono teorici o fanno parte della pratica politica del centrosinistra?
Ricordo altri distinguo a proposito delle privatizzazioni, all'inizio degli anni '90, compagni aperti e deideologizzati, spiegavano che lo stato non deve fare i panettoni (ma la nestlè! sic). Oggi, a quanto vediamo, lo stato non deve fare neppure l'energia elettrica, le telecomunicazioni, l'industria. A livello locale, i comuni e regioni non devono fare il latte (deve farlo la Parmalat! sic), ma iniziano a non fare pure assistenza, sanità, scuola, ecc.
Prima di fare distinguo bisogna capire se ci si mette su un piano inclinato e quale.
Le "questioni più generali di efficienza" riguardano lo sfruttamento del lavoro o la ricerca, la formazione, l'innovazione? Dopo aver spremuto come limoni migliaia di lavoratori precari ed averli messi alla porta, la Fiat è più efficiente?
R.
Originally posted by Claude74
Non ho detto che la democrazia si riduce alle elezioni, ma soltanto che se non le si vincono, non si può fare alcunchè, mentre si lascia campo libero all'avversario. Questo è incontestabile.
Quindi, se si è all'opposizione, secondo te, nulla si può fare contro la cancellazione dell'articolo 18?
R.
Originally posted by Moderato
Non esagerare, la sinistra potrà sempre fare volontariato, fare "movimento", fare "cultura". E lasciare ad altri tutte quelle cose tristi, aride e borghesi tipo produzione, numeri, economia, leggi e codici.
Ma che diavolo dici? Se hai dei pregiudizi che scrivi a fare?...tieniteli e inogozzatici!
Originally posted by Roderigo
Quindi, se si è all'opposizione, secondo te, nulla si può fare contro la cancellazione dell'articolo 18?
R.
No no, se pò fà sì....ma se si è ar Governo è mejo......o no?
Originally posted by Claude74
No no, se pò fà sì....ma se si è ar Governo è mejo......o no?
Dipende. Quando Massimo D'Alema era presidente del consiglio, cosa proponeva a proposito dell'art. 18?
R.
Originally posted by Roderigo
Dipende. Quando Massimo D'Alema era presidente del consiglio, cosa proponeva a proposito dell'art. 18?
R.
Proponeva.....e non: metteva in pratica. Nel csx c'è più dialettica (anche troppa) che nel cdx, e non credo che l'art. 18 sarebbe stato toccato in ogni caso.
Ci sono molti anche nell'Ulivo, tra i popolari, che non vedono certo di buon occhio l'aborto, ma pensi che questi, qualora fossero al governo, farebbero qualcosa per menomare la 194, come ha fatto , da subito, Bottijione?
Originally posted by Claude74
Proponeva.....e non: metteva in pratica. Nel csx c'è più dialettica (anche troppa) che nel cdx, e non credo che l'art. 18 sarebbe stato toccato in ogni caso.
Ci sono molti anche nell'Ulivo, tra i popolari, che non vedono certo di buon occhio l'aborto, ma pensi che questi, qualora fossero al governo, farebbero qualcosa per menomare la 194, come ha fatto , da subito, Bottijione?
Non solo tra i popolari, ma anche tra qualche laico, come Amato. Un governo di centrosinistra potrebbe menomare la 194? Non lo so, in campagna elettorale, Rutelli aprì qualche spiraglio su questo punto, sempre in competizione con la destra che chiedeva altrettanto e di più.
Ma l'articolo 18 è un'altra cosa. D'Alema propose di sospenderlo per tre anni, nelle aziende al di sopra dei 15 dipendenti e, sempre in campagna elettorale, intervistato dal Sole 24 Ore, Fassino affermò che l'articolo 18 non è un tabù. Tuttora, la proposta di legge dei Ds, se non ricordo male, propone l'inserimento dell'arbitrato (in deroga a leggi e contratti). Certo, tali misure assunte dal centrosinistra non avrebbero una valenza simbolica, non si proporrebbero di infliggere una sconfitta storica al sindacato, il quale anzi sarebbe indotto a concertare. I passaggi della "riforma" sarebbero più lenti, più graduali, come lo furono quelli sulle pensioni. Nell'autunno del 1994, qualcuno avrebbe immaginato che di lì a pochi mesi sarebbe stata proprio una maggioranza di centrosinistra a far fare al sistema pensionistico un balzo indietro di trent'anni?
R.
Difficile sapere cosa sarebbe successo se il csx fosse andato al governo. Si possono solo esprimere opinioni. Io credo che proprio quella valenza simbolica che ha assunto il 18 l'avrebbe preservato da qualsiasi ipotesi di modifica.
Originally posted by Claude74
Difficile sapere cosa sarebbe successo se il csx fosse andato al governo. Si possono solo esprimere opinioni. Io credo che proprio quella valenza simbolica che ha assunto il 18 l'avrebbe preservato da qualsiasi ipotesi di modifica.
O Cofferati non avrebbe detto nulla. In qual caso, avresti visto la nascita di un'altro sindacato.
Originally posted by Claude74
Difficile sapere cosa sarebbe successo se il csx fosse andato al governo. Si possono solo esprimere opinioni. Io credo che proprio quella valenza simbolica che ha assunto il 18 l'avrebbe preservato da qualsiasi ipotesi di modifica.
Proprio perchè, persino sull'articolo 18, è difficile sapere cosa avrebbe fatto un governo di centrosinistra, è anche difficile stabilire che accodarsi al governo con il centrosinistra sarebbe stato comunque meglio, "per non lasciare il campo all'avversario".
Quello che sappiamo, è che D'Alema da presidente del consiglio, propose la sospensione per tre anni dello statuto dei lavoratori nelle aziende con più di 15 dipendenti e che sostenne essere i referendum radicali sbagliati, non tanto nel merito, quanto nel metodo; che Fassino, in campagna elettorale, al Sole 24 Ore, dichiarò che l'articolo 18 non era un tabù; che oggi, D'Alema e Fassino sono contrari ad andare al referendum qualora si perda lo scontro con Berlusconi; che esiste una proposta di legge dei Ds, che proponendo l'introduzione del'arbitrato, di fatto, aggira l'articolo 18.
La questione simbolica si attenua nel modo di condurre e realizzare la modifica, senza scontri frontali e con il consenso del sindacato, come si fece con la scala mobile, con le pensioni e con l'introduzione delle mille forme di precarizzazione del lavoro.
R.
Il punto di Fausto Bertinotti sull'autunno di Rifondazione comunista
La nostra opposizione
«Noi proponiamo a tutti una priorità: quella del modello sociale, per un nuovo modello di sviluppo, per la trasformazione dei rapporti economici e sociali, per i diritti sociali. Queste sono le caratteristiche fondamentali della nostra opposizione, che mettiamo al centro della nostra manifestazione del 28 settembre. Questo è il contributo che vogliamo dare all'unificazione dei movimenti». Così Fausto Bertinotti, intervenendo ieri mattina a un "Filo diretto" di Radio radicale, ha delineato le proposte di Rifondazione comunista per la fase che si va aprendo. Una fase di intensa ripresa del conflitto sociale e della mobilitazione di massa, all'interno della quale si misurerà la capacità delle diverse sinistre di costruire un'idea ed una pratica forte di opposizione.
Contro Berlusconi
Che cosa pensa Bertinotti delle scelte di politica economica del governo, dalla messa in discussione del Patto di stabilità all'attuale, paventato condono fiscale? «Che siamo di fronte al disastro delle politiche neoliberiste, in Italia ma non solo, certo, in Italia: due terzi dell'Europa, in questo momento, sono fuori dai vincoli del Patto. Questo accade perchè torna la crisi, che i neoliberisti negavano potesse tornare: la locomotiva Usa si è fermata, e questo blocco si ripercuote, a catena, sul resto del mondo e produce disastri drammatici come quello dell'Argentina. L'Europa non riesce a invertire la rotta». E l'Italia? «L'Italia ha una sua crisi specifica: bastino le cifre. Il fabbisogno pubblico è cresciuto, in un anno, del 60 per cento, la produzione è diminuita tra il 6 e il 9. Di fronte a questi dati, il governo, semplicemente, non sa che cosa fare. Anche perchè contestualmente torna a galoppare l'inflazione - la gente normale se n'era già accorta da un pezzo, a dufferenza degli istituti di statistica. Prova di questa difficoltà è un provvedimento risicato come il blocco delle tariffe, che all'inizio era stato annunciato in pompa magna. La reazione del centrtosinistra ha del grottesco: prima, una difesa strenua del Patto di stabilità, poi un attacco da destra ai provvedimenti del Governo, accusato di "dirigismo" (accusa, oltre a tutto, infondata, data la scarsa entità del blocco)...». Che cosa bisognerebbe fare, invece? Bertinotti delinea una vera paittaforma di fase, in cinque punti: primo, la ripresa di un'espansione qualificata, attraverso un intervento pubblico socialmente mirato. Si tratta quindi di rompere i vincoli e le rigidità del Patto di stabilità, non certo per aprire, genericamente, i cordoni della borsa o, peggio, per finanziare grandi opere dannose e costose tipo il Ponte di Messina: ma di varare progetti significativi sull'ambiente, il Mezzogiorno, la cultura, i servizi. Secondo: bloccare seriamente prezzi e tariffe almeno per un anno. Bloccarli tutti: tra le ragioni di questa crisi c'è anche un aumento patologico dei profitti (la bolla speculativa) che ha ridotto dasticamente salari e stipendi, e determinato una gigantesca redistribuzione del reddito verso l'alto. Terzo: è essenziale superare l'inflazione programmata e ripristinare indicatori legati all'inflazione reale. Quarto: è urgente favorire, anche per questa via, un aumento generalizzato delle retribuzioni (anche per stimolare una ripresa della domanda interna). Quinto: realizzare una svolta nella politica fiscale attraverso la tassazione dei grandi patrimoni.
Centralità dei diritti
Ma quali sono le priorità concrete di lotta di Rifondazione comunista? La stagione sociale e politica, come si diceva, è ad altissima intensità - i campi di intervento, le contraddizioni esplose o in via di esplosione, sono varie, e di varia natura. Il filo rosso del ragionamento di Bertinotti ricomincia dal referendum sull'estensione dell'articolo 18, con la straordinaria raccolta di firme realizzata in estate. Un tema centrale, almeno per una doppia ragione: perché parla dei rapporti di classe e del recupero di quella «potestà contrattuale» dei lavoratori senza la quale non ci potrà essere vera opposizione e vera alternativa al dominio delle destre; e perché avrà un effetto scardinante sull'insieme del quadro politico, sociale, di movimento. Questo tema, del resto, sarà al centro dello sciopero generale d'autunno, promosso dalla Cgil. «Noi certo ci saremo» dice Bertinotti, con la consapevolezza che si tratta a sua volta di un punto di partenza per lo sviluppo e la crescita dell'opposizione. «Questo governo, al di là delle sue apparenti contraddizioni, segue nella sua azione due linee-guida molto precise: verso l'alto, liberare da ogni inceppo, da ogni vincolo possibile, il profitto, la rendita, la ricchezza. Si possono leggere in questa chiave i provvedimenti legislativi che hanno caratterizzato i primi dodici mesi del centro destra, l'eliminazione delle tasse di successione, il rientro dei capitali, le rogatorie, lo stesso disegno di legge Cirami, che offre una nicchia di privilegio al ceto politico e a quello affaristico al confine tra legalità e illegalità. L'altra linea, verso il basso, è quella opposta: la drastica compressione dei diritti sociali, a cominciare da quelli di organizzarsi e aggregarsi. In questo senso, la modifica dell'articolo 18 e la legge Bossi-Fini sull'immigrazione sono due facce della stessa medaglia: il fine comune è la precarizzazione "assoluta" dele condizioni di lavoro. Questo significa, in generale e per tutti, la massima libertà di licenziamento. E per i lavoratori stranieri è una negazione ulteriore, e specifica, del diritto di agire la cittadinanza»
I movimenti
Qual è la posizione del Prc sulla manifestazione dei "girotondini" del 14 settembre? «Noi aderiamo, e io stesso andrò in piazza. Per una ragione evidente: la giustizia è sotto tiro, così come sotto tiro è il valore irrinunciabile dell'autonomia della magistratura. Così come è seriamente minacciato il pluralismo dell'informazione: il caso di "Sciuscià" parla da solo. A questa giornata, tuttavia, parteciperemo con le nostre parole d'ordine sulla giustizia: perché non ci sfugge la natura di classe del sistema attuale - le carceri sono affollate di poveri e di immigrati. Perché vogliamo sentirci liberi di criticare la magistratura tutte le volte - è il caso della scandalosa sentenza Montedison - che essa si pone al servizio degli interessi antioperai. E perché riteniamo importante, tra le altre cose, la chiusura di una stagione - quella degli "anni di piombo" - attraverso un provvedimento necessario di indulto, se non di amnistia». Una questione assai più specifica: come si colloca Rifondazione sulla questione dell'articolo 41 bis? «E' uno strumento che ci pare indispensabile, nonostante le obiezioni e nel rispetto del dettato costituzionale, per pareggiare lo svantaggio dello Stato sulla criminalità organizzata. Senza questo articolo, insomma, la lotta alla mafia diventerebbe impossibile».
Le priorità internazionali
In un'ampia parte del filo diretto, si è parlato di questioni internazionali. Che cosa pensa Bertinotti della manifestazione indetta dai radicali per il 21 settembre contro il governo del Vietnam? Un governo, dice l'intervistatore, che, al pari di quello della Cina, sta tentando di coniugare comunismo e logica del mercato? Così risponde Bertinotti: «Coniugare comunismo e mercato è impossibile, per la contraddizion che nol consente. Quanto alla Cina, l'integrazione nel mercato mondiale e il suo sorprendente sviluppo economico stanno producendo, mi pare, squilibri sociali e territoriali drammatici, alti tassi di disoccupazione, zone franche di sfruttamento selvaggio: una situazione che non può non preoccuparci. Non siamo certo indisponibili, quindi, alla critica di questi percorsi e di questi modelli di sviluppo. Tuttavia, in ogni fase ci sono delle priorità: e le nostre sono altre. Innanzi tutto, la mobilitazione per impedire l'attacco Usa all'Iraq. Poi, la ripresa delle tematiche di Johannesburg, e di un summit drammaticamente fallito nei suoi obiettivi cruciali. IInfine, il fronte del Mediterraneo, contro la gigantesca aggressione del governo di Sharon ai territori palestinesi».
Liberazione 6 settembre 2002
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Il punto di Fausto Bertinotti sull'autunno di Rifondazione comunista
La nostra opposizione
«Noi proponiamo a tutti una priorità: quella del modello sociale, per un nuovo modello di sviluppo, per la trasformazione dei rapporti economici e sociali, per i diritti sociali. Queste sono le caratteristiche fondamentali della nostra opposizione, che mettiamo al centro della nostra manifestazione del 28 settembre. Questo è il contributo che vogliamo dare all'unificazione dei movimenti». Così Fausto Bertinotti, intervenendo ieri mattina a un "Filo diretto" di Radio radicale, ha delineato le proposte di Rifondazione comunista per la fase che si va aprendo. Una fase di intensa ripresa del conflitto sociale e della mobilitazione di massa, all'interno della quale si misurerà la capacità delle diverse sinistre di costruire un'idea ed una pratica forte di opposizione.
Contro Berlusconi
Che cosa pensa Bertinotti delle scelte di politica economica del governo, dalla messa in discussione del Patto di stabilità all'attuale, paventato condono fiscale? «Che siamo di fronte al disastro delle politiche neoliberiste, in Italia ma non solo, certo, in Italia: due terzi dell'Europa, in questo momento, sono fuori dai vincoli del Patto. Questo accade perchè torna la crisi, che i neoliberisti negavano potesse tornare: la locomotiva Usa si è fermata, e questo blocco si ripercuote, a catena, sul resto del mondo e produce disastri drammatici come quello dell'Argentina. L'Europa non riesce a invertire la rotta». E l'Italia? «L'Italia ha una sua crisi specifica: bastino le cifre. Il fabbisogno pubblico è cresciuto, in un anno, del 60 per cento, la produzione è diminuita tra il 6 e il 9. Di fronte a questi dati, il governo, semplicemente, non sa che cosa fare. Anche perchè contestualmente torna a galoppare l'inflazione - la gente normale se n'era già accorta da un pezzo, a dufferenza degli istituti di statistica. Prova di questa difficoltà è un provvedimento risicato come il blocco delle tariffe, che all'inizio era stato annunciato in pompa magna. La reazione del centrtosinistra ha del grottesco: prima, una difesa strenua del Patto di stabilità, poi un attacco da destra ai provvedimenti del Governo, accusato di "dirigismo" (accusa, oltre a tutto, infondata, data la scarsa entità del blocco)...». Che cosa bisognerebbe fare, invece? Bertinotti delinea una vera paittaforma di fase, in cinque punti: primo, la ripresa di un'espansione qualificata, attraverso un intervento pubblico socialmente mirato. Si tratta quindi di rompere i vincoli e le rigidità del Patto di stabilità, non certo per aprire, genericamente, i cordoni della borsa o, peggio, per finanziare grandi opere dannose e costose tipo il Ponte di Messina: ma di varare progetti significativi sull'ambiente, il Mezzogiorno, la cultura, i servizi. Secondo: bloccare seriamente prezzi e tariffe almeno per un anno. Bloccarli tutti: tra le ragioni di questa crisi c'è anche un aumento patologico dei profitti (la bolla speculativa) che ha ridotto dasticamente salari e stipendi, e determinato una gigantesca redistribuzione del reddito verso l'alto. Terzo: è essenziale superare l'inflazione programmata e ripristinare indicatori legati all'inflazione reale. Quarto: è urgente favorire, anche per questa via, un aumento generalizzato delle retribuzioni (anche per stimolare una ripresa della domanda interna). Quinto: realizzare una svolta nella politica fiscale attraverso la tassazione dei grandi patrimoni.
Centralità dei diritti
Ma quali sono le priorità concrete di lotta di Rifondazione comunista? La stagione sociale e politica, come si diceva, è ad altissima intensità - i campi di intervento, le contraddizioni esplose o in via di esplosione, sono varie, e di varia natura. Il filo rosso del ragionamento di Bertinotti ricomincia dal referendum sull'estensione dell'articolo 18, con la straordinaria raccolta di firme realizzata in estate. Un tema centrale, almeno per una doppia ragione: perché parla dei rapporti di classe e del recupero di quella «potestà contrattuale» dei lavoratori senza la quale non ci potrà essere vera opposizione e vera alternativa al dominio delle destre; e perché avrà un effetto scardinante sull'insieme del quadro politico, sociale, di movimento. Questo tema, del resto, sarà al centro dello sciopero generale d'autunno, promosso dalla Cgil. «Noi certo ci saremo» dice Bertinotti, con la consapevolezza che si tratta a sua volta di un punto di partenza per lo sviluppo e la crescita dell'opposizione. «Questo governo, al di là delle sue apparenti contraddizioni, segue nella sua azione due linee-guida molto precise: verso l'alto, liberare da ogni inceppo, da ogni vincolo possibile, il profitto, la rendita, la ricchezza. Si possono leggere in questa chiave i provvedimenti legislativi che hanno caratterizzato i primi dodici mesi del centro destra, l'eliminazione delle tasse di successione, il rientro dei capitali, le rogatorie, lo stesso disegno di legge Cirami, che offre una nicchia di privilegio al ceto politico e a quello affaristico al confine tra legalità e illegalità. L'altra linea, verso il basso, è quella opposta: la drastica compressione dei diritti sociali, a cominciare da quelli di organizzarsi e aggregarsi. In questo senso, la modifica dell'articolo 18 e la legge Bossi-Fini sull'immigrazione sono due facce della stessa medaglia: il fine comune è la precarizzazione "assoluta" dele condizioni di lavoro. Questo significa, in generale e per tutti, la massima libertà di licenziamento. E per i lavoratori stranieri è una negazione ulteriore, e specifica, del diritto di agire la cittadinanza»
I movimenti
Qual è la posizione del Prc sulla manifestazione dei "girotondini" del 14 settembre? «Noi aderiamo, e io stesso andrò in piazza. Per una ragione evidente: la giustizia è sotto tiro, così come sotto tiro è il valore irrinunciabile dell'autonomia della magistratura. Così come è seriamente minacciato il pluralismo dell'informazione: il caso di "Sciuscià" parla da solo. A questa giornata, tuttavia, parteciperemo con le nostre parole d'ordine sulla giustizia: perché non ci sfugge la natura di classe del sistema attuale - le carceri sono affollate di poveri e di immigrati. Perché vogliamo sentirci liberi di criticare la magistratura tutte le volte - è il caso della scandalosa sentenza Montedison - che essa si pone al servizio degli interessi antioperai. E perché riteniamo importante, tra le altre cose, la chiusura di una stagione - quella degli "anni di piombo" - attraverso un provvedimento necessario di indulto, se non di amnistia». Una questione assai più specifica: come si colloca Rifondazione sulla questione dell'articolo 41 bis? «E' uno strumento che ci pare indispensabile, nonostante le obiezioni e nel rispetto del dettato costituzionale, per pareggiare lo svantaggio dello Stato sulla criminalità organizzata. Senza questo articolo, insomma, la lotta alla mafia diventerebbe impossibile».
Le priorità internazionali
In un'ampia parte del filo diretto, si è parlato di questioni internazionali. Che cosa pensa Bertinotti della manifestazione indetta dai radicali per il 21 settembre contro il governo del Vietnam? Un governo, dice l'intervistatore, che, al pari di quello della Cina, sta tentando di coniugare comunismo e logica del mercato? Così risponde Bertinotti: «Coniugare comunismo e mercato è impossibile, per la contraddizion che nol consente. Quanto alla Cina, l'integrazione nel mercato mondiale e il suo sorprendente sviluppo economico stanno producendo, mi pare, squilibri sociali e territoriali drammatici, alti tassi di disoccupazione, zone franche di sfruttamento selvaggio: una situazione che non può non preoccuparci. Non siamo certo indisponibili, quindi, alla critica di questi percorsi e di questi modelli di sviluppo. Tuttavia, in ogni fase ci sono delle priorità: e le nostre sono altre. Innanzi tutto, la mobilitazione per impedire l'attacco Usa all'Iraq. Poi, la ripresa delle tematiche di Johannesburg, e di un summit drammaticamente fallito nei suoi obiettivi cruciali. IInfine, il fronte del Mediterraneo, contro la gigantesca aggressione del governo di Sharon ai territori palestinesi».
Liberazione 6 settembre 2002
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Bertinotti: lo spostamento dell'Ulivo a destra chiude una fase, e cancella molte illusioni
«Ora, è l'autonomia politica dei movimenti»
Rina Gagliardi
In questo quadro, si colloca però la resistenza della sinistra ds. Che arriva fino all'appello contro la guerra sottoscritto da oltre 130 parlamentari...
La sinistra ds - così come del resto la sinistra dell'Ulivo - è sotto schiaffo. All'interno, può solo opporre a sua volta dei No, può solo resistere, ma ha difficoltà ad esprimere una strategia alternativa. Con l'appello contro la guerra, invece, si è determinato un salto di qualità, un'operazione politica importante: frutto, non a caso, di una concreta convergenza con la sinistra di alternativa. Sottolineo questo dato, per ribadire che, dentro il quadro del centrosinistra, non c'è salvezza.
Che cosa significa, in concreto, questa chiusura degli spazi? E' un invito ad abbandonare l'Ulivo, per coloro che si collocano nella sua sinistra?
Nessun invito e nessuna indebita pressione: non è solo una questione di rispetto per gli altri e per le loro scelte, è una questione sia di analisi sia di prospettiva politica. Intanto, bisogna prender atto del fallimento di un'ipotesi: quella che aveva puntato tutto, o quasi, sullo spostamento dell'insieme del centrosinistra. O per via di crescita dei movimenti, o per via di iniziative incalzanti da sinistra, questa strada si è rivelata impraticabile. Il pendolo del centrosinistra va a destra,
Ma c'era anche, contestualmente, un'altra idea, sul tappeto: quella di una "rigenerazione" interna dell'Ulivo, di una sua rifondazione programmatica e di leadership. La strada indicata da Cofferati, intendo, nell'intervista di agosto al Corriere...
Anche questa ipotesi, francamente, mi sembra ormai fuori corso. L'idea di un diverso rapporto tra centrosinistra e movimenti, bypassando i partiti, definendo un nuovo principe e, magari, affidando a un gruppo di "saggi" la costruzione di un nuovo profilo programmatico dell'alleanza, non è più neppure in campo. E' stata schiacciata dal peso di fatti concreti - da quel vero e proprio banco di prova che è la crisi della Fiat, per esempio. Dalla vicenda della guerra. Dall'inasprirsi delle difficoltà del governo di centrodestra.
Torniamo a noi, e al che fare. Il quadro che descrivi è ricco di potenzialità, ma anche di difficoltà. O no?
Certo che sì. Il nostro primo problema è evitare che il processo di "impermeabilizzazione" del centrosinistra dai movimenti si rifletta negativamente su di. loro, produca un risucchio in qualche modo moderato. Diventa quindi vitale il tema dell'autonomia degli stessi movimenti: intesa come costruzione di una struttura di autogoverno, di una trama di obiettivi efficaci, di una capacità, insomma, di fare politica in proprio. Senza deleghe tradizionali, o deleghe di nuovo tipo, ai partiti. Senza frenesie massimaliste, ma con la determinazione che porti il movimento alla massa critica e ai risultati necessari.
Puoi fare, anche qui, qualche esempio concreto?
Se gli Stati uniti confermano l'intenzione di aggredire l'Iraq, il movimento per la pace si deve dare l'obiettivo - concreto - di fermarla, con una lotta a tutto campo, senza delegare a potenze superiori questo compito. Se la crisi della Fiat non si risolve, come non può risolversi, il movimento operaio deve rompere ogni indugio, aggredire il nodo dell'intervento pubblico nell'economia, presentare una proposta, costruire una grande vertenza nazionale - che potrebbe arrivare fino ad uno sciopero generale per salvare il lavoro e riconvertire la Fiat in un polo pubblico della mobilità. Se a Firenze il Forum Sociale Europeo registrerà un successo rilevante di partecipazione e presenza internazionale, e non c'è dubbio che così sarà, è essenziale che esso ponga al centro dei suoi lavori la crescita del movimento europeo come soggetto durevole, autonomo, capace di svolgere in quanto tale un ruolo sull'intera scena pubblica: la manifestazione del 9 novembre è di grande importanza, anche da questo punto di vista. Spero che questi esempi siano chiari. Si potrebbe dire così: si tratta di alzare il tiro, non in modo generico o astratto. Si tratta di andare - per usare una terminologia antica - ad una politcizzazione integrale dei movimenti: non come supplenza rispetto alla politica, ma come armatura forte degli stessi, in proprio. Ci sono questioni programmatiche che diventano centrali: l'idea del rilancio dell'intervento pubblico in economia non può non connettersi oggi a quella di un diverso modello di sviluppo. E ci sono questioni politiche che non possono più essere rinviate a un lontano futuro: come la costruzione della sinistra di alternativa.
Questi temi riguardano direttamente anche noi stessi, il nostro Partito. Destinato, mi pare, ad esercitare un ruolo crescente, dal punto di vista dell'influenza politica e del rapporto con i movimenti. Ma anche dotato dei suoi noti limiti, e della sua stessa dichiarata non autosufficienza...
Io credo che proprio il processo di involuzione del centrosinistra ci debba anzitutto spingere alla denuncia di quella vera e propria "prigione" che è l'Ulivo: proprio perché non possiamo non vedere questa gabbia, e il fatto che rischia di rendere inoperanti forze preziose, dobbiamo oggi, appunto, accelerare la nascita della sinistra di alternativa. E proprio perché sappiamo bene che da soli non bastiamo, mettiamo questo obiettivo, questa relazione politica privilegiata, al centro della nostra iniziativa,
Se non sollecitiamo né scissioni né precipitazioni organizzative, per esempio nei confronti della sinistra ds, qual è allora, nei loro confronti, la nostra proposta?
Stando ciascuno dove sta, ed evitando fughe di tipo organizzativistico, sarebbe però molto importante aprire un nuovo capitolo dei rapporti a sinistra: un confronto strategico sui grandi temi oggi sul tappeto, di cui sopra dicevamo. Guerra, politica economica, rottura dei tabu liberisti: ecco le cose su cui potremmo utilmente ragionare, intervenire, produrre iniziative e lotte comuni.
Sull'orizzonte, che cosa ci potrebbe essere?
Ci potrebbe essere una nuova dislocazione delle sinistre - delle forze, almeno, che si richiamano all'esperienza storicamente definita delle sinistre. Da un lato, un polo neocentrista, a identità neoliberista, occidentale, moderata: una "sinistra", insomma, di tipo blairiano, che ha reciso ogni legame organico con il movimento operaio, ma anche con i movimenti radicali della società civile, e che esprime opzioni liberaldemocratiche, antiautoritarie, civili. Dall'altro lato, una sinistra riformista, senza virgolette, disponibile a rivedere criticamente l'orizzonte neoliberista e il primato assoluto della governabilità, capace di un rapporto con i movimenti, sensibile alle istanze tradizionali delle "alleanze" politiche e anche sociali: insomma, una sinistra "permeata" dall'anticapitalismo, e anche dalle culture critiche, che non pone però al centro della sua identità e delle sue battaglie il tema del superamento del capitalismo, la costruzione di un'altra società. Infine, e non da ultimo, la sinistra di alternativa, della quale i comunisti sono tanta e organica parte....
In sintesi: le sinistre possono diventare - in gran parte sono già diventate - tre.
Non sono un "disegnatore" di geopolitica. Mi pare che questo processo sia in gran parte sotto i nostri occhi: ci interessa sottolinearne gli aspetti dinamici. Uno dei quali, mi pare evidente, è che esso presuppone la fine della cultura dell'alternanza e il mutamento del sistema elettorale. Ci torneremo presto: ma tra i tanti fallimenti del centrosinistra c'è anche quello della legge elettorale. Il maggioritario non regge più, è l'ora del rilancio della proporzionale.
Liberazione 19 ottobre 2002
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Paddy Garcia (POL)
12-11-02, 00:35
Un primo bilancio delle giornate fiorentine e del corteo. Intervista a Fausto Bertinotti
«E' il fenomeno politico più importante del nostro tempo»
Rina Gagliardi
Fausto Bertinotti è stato di gran lunga il politico più applaudito, riconosciuto, amato, nelle giornate del Social Forum. Un dato politico nient'affatto scontato: non era scontato, cioè, che un'assemblea di cinquemila giovani tributasse un'ovazione al segretario di Rifondazione comunista, applaudisse freneticamente i passaggi più radicali del suo discorso, si concludesse col canto corale di "Bella ciao" e "Bandiera rossa". E non si era forse ancora prodotta una connessione sentimentale così intensa, gramscianamente parlando, tra un Partito comunista - che certo fa della rifondazione uno dei propri tratti peculiari - e un movimento così "postnovecentesco", così geloso della propria autonomia, e diffidente per vocazione e natura del sistema partitico e istituzionale. Ecco un tema di riflessione, per le prossime settimane. Intanto, a Bertinotti abbiamo chiesto alcune impressioni a caldo.
Un primo bilancio di questa straordinaria giornata.
E' davvero un bilancio straordinario, e non parlo soltanto di questo corteo bellissimo, sterminato, pacifico. Il fatto è che il Social Forum ha vissuto nella combinazione di due fattori diversi: il laboratorio politico, da un lato, e la mobilitazione, dall'altro lato, l'agorà densa di dibattito e ricerca, e la manifestazione. Due gambe dello stesso processo costituente, la costituente di un nuovo popolo, che è poi il fenomeno politico più significativo e importante del nostro tempo.
Neanche questo risultato era scontato. Il movimento era stato dichiarato in crisi, non soltanto dai suoi avversari...
Qui emerge quella che possiamo definire l'"onda lunga" del movimento, che oggi ha ragione dei suoi avversari come dei suoi critici malevoli. Hanno provato in molti modi a distruggerlo: a Genova con la repressione aperta, dopo Genova con un tentativo dichiarato di intimidirlo e indebolirlo, quasi di "dirottarlo". Il movimento ha retto a tutto questo, anche perché, dopo Genova è riuscito a sfuggire alla spirale repressione\lotta\ repressione. E lo ha fatto dispiegando se stesso, con una partecipazione superiore ad ogni previsione. La tesi della crisi è stata cancellata come da una gomma. Attenzione, qui c'è il rischio di un malentendu, come dicono i francesi: il movimento è stato spesso letto con occhiali non adeguati, come se si trattasse di un Partito o di un sindacato, o come se fosse tenuto ad una continuità rettilinea. Questo movimento, in realtà, è "autocentrato", nel senso che ha la propria crescita come obiettivo primario. Non gli si può chiedere una identità programmatica di tipo classico: piuttosto, esso è portatore di un metaprogramma, di un punto di vista sul mondo, come per esempio la critica dell'economia, della politica, del potere, della scienza. La sua soggettività, perciò, si declina o per grandi obiettivi o per esperienze specifiche. E' soprattutto una cultura politica che avanza, si riconosce, si irrobustisce, contagia altri movimenti, rimette in moto il conflitto sociale....
Questo potrebbe far pensare a un'identità politica forte, ma generica. O no?
No, la politicità del movimento, così come lo abbiamo visto qui a Firenze, non è affatto generica. Un esempio? Durante la guerra in Afghanistan, i no global hanno molto contribuito alla costruzione del movimento per la pace: in quella fase, prevaleva la dimensione etica, dietro la quale c'era una notevole diversità di posizioni.. Oggi il rifiuto della guerra all'Iraq si coniuga al rigetto della dottrina Bush: è senza se e senza ma, è con o senza l'Onu. Insomma, è un punto politico netto e acquisito.
Il movimento non ama i partiti, ma con Rifondazione comunista ha un rapporto diverso - e arriva a tributargli un riconoscimento particolare. Perché?
C'è una risposta quasi ovvia: perché noi di Rifondazione siamo parte integrante di questo movimento, abbiamo puntato da tempo su un' internità autentica, non egemonica. Sai qual è stato uno dei passaggi più applauditi del mio intervento? Quando ho detto che ho un solo vero orgoglio: che sono in un Partito comunista che ha scelto di stare nel movimento come parte tra le parti. Così come mi pare che abbiano avuto un consenso pressoché unanime tutti i riferimenti di contenuto più radicali e più alternativi. Ti accorgi, invece, che nello stesso dibattito, la polemica con il centrosinistra viene certo condivisa, ma non da tutti, e non con la stessa convinzione...
Come se questo riconducesse il movimento ad una logica di schieramento al quale esso, o una sua parte importante, non vuole comunque piegarsi?
Forse è questo, forse è ancora un'altra cosa. Forse, nel momento in cui Rifondazione dispiega se stessa, se così posso dire, con i suoi contenuti e la sua radicalità, il movimento la percepisce fino in fondo come una parte di sè. Quando invece il Prc esprime il suo lato di partito - per esempio, appunto nella polemica con i "riformisti" - viene percepita, di nuovo, come una forza "parziale" - e il suo stesso segretario come un uomo di parte. E' un problema che ci rinvia, certo, alla questione più generale del rapporto tra movimento e politica, che non può essere riproposto come nel passato. In realtà tocca a noi, non a loro, saper rispondere all'interrogazione complessa di questa nuova straordinaria soggettività.
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Ciao Paddy, su SF posta un tal "Carvalho" con il "tuo" avatar.
Mi hanno chiesto se eri tu, ma da come scrive, spero di no. :)
R.
Paddy Garcia (POL)
16-11-02, 03:53
Diaffti non lo sono. :)
Come contributo alla discussione, invio una sintesi dell' ultimo scritto di Gianfranco La Grassa:
1. Ho voluto abbandonare, come già faccio da qualche anno, quella che mi sembra ancora l’ossessione di molti pensatori critici: i processi di lavoro e le nuove tecnologie oppure considerazioni eminentemente politicistiche e/o culturalistiche, fatte in nome di un mal inteso antieconomicismo. Ho però dato per scontata la sconfitta della prospettiva del vecchio comunismo con il suo soggetto rivoluzionario, la classe operaia o il lavoratore collettivo cooperativo. Non ho tuttavia affatto accettato scorciatoie con il fiorire di tutti i più svariati, ed eclettici, compositi, soggetti rivoluzionari atti a sostituire il precedente: dai popoli del terzo mondo alle donne, dai giovani agli ecologisti, dagli emarginati di vario tipo a coloro che “lavorano” le informazioni, i segni, il mondo detto immateriale e simbolico. Tutta questa farragine la ritengo transitoria, un sobbollimento di sempre ulteriori “novità” che durano alcuni anni – l’espace d’un matin in termini storici – e poi lasciano sempre nuove macerie da rimuovere.
Mi sono dunque dedicato ad un’analisi, sia pure per grandi linee, dei gruppi, o blocchi, dominanti nel capitalismo. Ho rimosso, per il momento, l’esperienza del “socialismo reale”, a mio avviso esauritasi con la sostanziale rimondializzazione del capitalismo, nel suo senso più tradizionale, anche se entrato o in via di entrata in una nuova epoca della sua storia.
2. Studiando i blocchi dominanti tipici del capitalismo, mi sono concentrato sul campo detto capitalistico, su quello che un tempo era il primo mondo: USA, Europa occidentale e Giappone. In linea generale ho considerato i blocchi dominanti capitalistici come costituiti essenzialmente: a) da agenti economico-imprenditoriali, cioè dalle dirigenze strategiche (non quelle meramente tecnico-direzionali) delle imprese, senza maniacale riguardo al fatto se esse siano o no proprietarie delle imprese stesse, se cioè queste ultime siano strategicamente dirette dai gruppi di controllo azionario o da manager senza proprietà (public company); b) da agenti politici, posti ai vertici degli apparati di Stato e che decidono, in particolare, delle direzioni di quella che viene definita spesa pubblica (oltre che, evidentemente, dell’entità delle entrate e dei gruppi sociali che debbono alimentarle). A questi sarebbe possibile aggiungere gli agenti ideologico-culturali, che in genere lascio però sullo sfondo, senza che questo significhi una mia scarsa considerazione dell’importanza della loro fun-zione (anzi, ritengo quest’ultima di grande rilevanza).
Nell’ambito del “primo mondo”, si è senz’altro ammesso – e vorrei ben vedere! – che gli USA erano il paese più potente, ma non si è mai andati oltre la considerazione del fatto in sé; né si è mai evidenziata una reale differenza tra la direzione della spesa in tale paese e quella della spesa negli altri paesi avanzati del campo capitalistico. Si è solo messo in luce che la rilevanza e i motivi della spesa pubblica erano di derivazione in qualche modo keynesiana. Per quanto mi riguarda, ho invece voluto far risalire le diverse direzioni di spesa all’esistenza di due differenti tipi di paesi capitalistici avanzati con blocchi dominanti diversi. Da una parte, il paese che dirigeva il campo capitalistico, indicato come centrale; dall’altra, gli altri paesi pur capitalisticamente sviluppati, detti non centrali (quindi non semiperiferici o periferici, termini che significano un’altra cosa).
Ho voluto distinguere i blocchi dominanti nei due tipi di paesi, segnalando in particolare la dif-ferenza esistente tra gli agenti economico-imprenditoriali e politico-statali dominanti nel paese cen-trale e quelli al vertice nei paesi non centrali. A questa differenza ho fatto risalire, in special modo, proprio la centralità o meno dei due tipi di paesi capitalistici in questione, nonché la diversa dire-zione della loro spesa pubblica. Negli USA tale direzione è stata, almeno principalmente: incre-mento continuo e accelerato della potenza militare (in senso lato, cioè in riferimento a tutto quanto occorra all’espansione della propria influenza in sempre più ampie aree mondiali) e della ricerca scientifico-tecnica, indirizzata molto più che a innovazioni di processo a quelle di prodotto, con particolare riguardo a nuovi beni, mentre non sembra, al momento, specialmente avanzata la ricerca di nuove fonti di energia (potremmo però avere qualche sorpresa in proposito) quanto invece il ten-tativo di controllo sempre più pervasivo di quelle già ampiamente in uso. Nei paesi non centrali si è invece effettuata soprattutto la spesa detta “sociale” – ma ancor più indirizzata a mantenere un ca-pitalismo basato su settori tradizionali, o comunque della passata epoca capitalistica – e tesa ad am-pliare il mercato di consumo mediante crescita della massa salariale, in particolare indiretta e diffe-rita non legata ad aumenti della produttività del lavoro (in definitiva, dell’efficienza del sistema economico nel suo complesso).
3. Quando il socialismo reale è crollato, il campo capitalistico (primo mondo) ha riconquistato il sostanziale dominio mondiale, e tutti i paesi – sempre più anche paesi come la Cina (destinata a di-venire potenza di prima grandezza), o il Vietnam e altri paesi della semiperiferia, ecc. – sono entrati in quello che è stato definito mondo globale. In realtà, il vero dominio mondiale è spettato in misura crescente agli USA, al paese già centrale nel campo capitalistico, nel vecchio primo mondo. La ri-mondializzazione capitalistica non ha alterato, anzi quasi nemmeno scalfito, i vecchi rapporti di for-za interni a questo mondo; ma per il semplice motivo che non sono stati alterati a fondo i differenti blocchi dominanti – agenti economico-imprenditoriali e politico-statali – all’interno dell’area del capitalismo avanzato.
Gli USA hanno continuato non a caso a privilegiare la solita direzione della spesa pubblica, accelerando il distacco dagli altri paesi quanto a potenza militare, innovazioni di prodotto (sviluppo di settori produttivi di nuovi beni) e controllo delle fonti di energia. Negli altri paesi, blocchi domi-nanti (sempre costituiti da agenti politici ed economici), non drasticamente ristrutturati al loro inter-no, hanno ridotto l’area dell’imprenditorialità detta pubblica, hanno diminuito – non sempre e non dappertutto in modo che possa indicarsi come radicale – la spesa sociale (sanità, pensioni, ecc.), ma hanno continuato a foraggiare ampiamente i settori produttivi della passata epoca capitalistica, o ancor più tradizionali, hanno “razionalizzato” i processi produttivi (innovazioni appunto di processo) e hanno al massimo introdotto alcune innovazioni di prodotto nel senso di nuovi tipi di vecchi pro-dotti. I settori veramente nuovi evidentemente non mancano, ma sono abbastanza deboli e ristretti, e rappresentano una quota della produzione complessiva decisamente inferiore, rispetto al paese centrale.
In una situazione del genere, l’allargamento del mercato mondiale, dovuto al crollo del “socialismo” e alla ricolonizzazione (attraverso nuove forme di dipendenza) di molti paesi semiperi-ferici e periferici, non ha creato le condizioni per una rapida entrata in una nuova epoca di grande competizione intercapitalistica – a tutti i livelli, economici e politici – ma ha mantenuto, e accentuato, la differenza di potenza tra i diversi paesi avanzati; è evidente, fra l’altro, che chi ha una quota elevata del prodotto nazionale, costituita da settori produttivi tradizionali o dell’epoca passata, è più esposto alla crescita degli stessi settori (con mano d’opera a più basso prezzo) nei paesi in via di sviluppo. La rimondializzazione del capitalismo si è dunque tradotta in una configurazione mon-diale non imperialistica, ma di tipo, al presente, imperiale; non certo l’Impero di cui parla un re-cente libro, bensì un impero statunitense, un impero con un ben preciso centro in un sistema eco-nomico-imprenditoriale e politico che coincide con uno Stato, con un paese, con una nazione.
6. La situazione odierna [è] una situazione con gli Usa quale centro del capitalismo rimondializzatosi nel 1989-91, e una serie di paesi non centrali invischiati in una politica di non adeguata opposizione e antagonismo (imperialistico, cioè infradominanti) al suddetto centro imperiale; una politica di inadeguata opposizione in quanto espressione diretta della vischiosità, e tuttora inessenziale ristrutturazione, dei blocchi dominanti esistenti nei pae-si non centrali in questione fin da quasi subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, con l’entrata del capitalismo (tradizionale) in una nuova epoca monocentrica – dopo quella ottocentesca dominata dall’Inghilterra – e la formazione dei due campi: capitalistico e (sedicente) socialistico.
Questi blocchi dominanti dei paesi non centrali – in cui, a partire da un certo momento, diverso nei diversi paesi, furono cooptate le oligarchie partitico-sindacali dei ceti lavoratori subordinati (o almeno di una buona parte di questi) – hanno attuato a lungo, praticamente per tutto il periodo di sussistenza dei “due campi”, una politica detta keynesiana, di spesa “sociale”. “Ufficialmente”, si è sostenuto che tale politica aveva come fini sia quello di favorire un certo “compromesso tra classi” e togliere forza all’influenza rivoluzionaria che poteva provenire dal campo “socialista”, sia quello di alimentare la domanda (di consumo) atta a prevenire crisi di grave portata in capitalismi opulenti, e perciò stretti nella contraddizione tra grandi capacità produttive di reddito e difficoltà di assorbi-mento dei prodotti da parte del mercato, se non alimentato anche dalla suddetta spesa “sociale” da parte dello Stato.
Ci si è dimenticati di un “piccolo” particolare; o, per la verità, non si è sempre dimenticato (perché molti marxisti avveduti ne hanno tenuto conto), ma non se ne sono tratte, almeno non me ne so-no accorto, le debite conseguenze e conclusioni. In un modo o nell’altro, la spesa statale – sociale o meno che fosse (nel paese centrale, essa lo è stata assai meno che altrove) – ha soprattutto finan-ziato e rafforzato i blocchi dominanti dei vari paesi; quei blocchi dominanti che ho considerato co-stituiti in specie da agenti strategico-imprenditoriali e politico-statali. Nei paesi (capitalistici avan-zati) non centrali, la spesa, “più sociale” che negli USA, ha alimentato in particolare: a) un raggruppamento di agenti politici (“pubblici”) tutto teso alla formazione, mantenimento e controllo di un’alleanza tra ceti dominanti e le suddette oligarchie postesi al vertice dei ceti dominati; b) i gruppi strategico-imprenditoriali (in specie delle grandi imprese oligopolistiche) di branche produttive tra-dizionali e di settori dell’epoca fordista, che conducevano una competizione accentuata nei con-fronti della corrispondente (e di più “antica data”) industria del paese centrale – si pensi ai successi, che alcuni consideravano definitivi, dell’industria automobilistica giapponese – nel mentre in quest’ultimo paese si manifestavano già ampiamente i segni della nuova “rivoluzione industriale” (informatica e non solo).
Infatti, nel paese centrale, la spesa detta keynesiana non fu certo indirizzata a fini sociali – mal-grado la mitizzazione “di sinistra” del New Deal, che in realtà non tolse gli USA dal pantano della crisi fino a quando non scoppiò, “felicemente”, la seconda guerra mondiale – ma servì mirabilmen-te, dopo la guerra vittoriosa, ad accentuare il predominio di quel paese sull’intero campo capitalisti-co mediante il grandioso potenziamento dell’apparato militare e della connessa spesa scientifico-tecnica in tutti i settori di punta; politica della spesa ideologicamente giustificata dalla “guerra fred-da” con l’altro campo e accettata dai subordinati del campo capitalistico, che pensavano di far svol-gere agli USA la funzione di contenimento militare del “socialismo”, mentre loro si sarebbero dedi-cati più specificamente allo sviluppo economico-industriale. Altra mistificazione ideologica poiché, in realtà, nei paesi non centrali, attraverso la spesa pubblica (di carattere latamente sociale), si formò, e andò rafforzandosi, un blocco dominante strutturato attorno ad industria e finanza assistite (mungitrici dello Stato), cui furono associati, a partire da un certo momento storico, i rappresentanti delle classi che dovevano essere tenute “strategicamente” sottomesse, con il “permesso” di agitarsi di tanto in tanto per qualche “conquista sociale”, a patto però di non mai disturbare veramente “il manovratore”.
Ad un certo punto – con una “provincia” del paese centrale, l’Inghilterra, a far da battistrada – si ebbe la reazione neoliberista che, soprattutto dopo la caduta del “socialismo”, si diffuse in tutta l’area capitalistica avanzata, conquistando ampie posizioni perfino in forze politiche di centro e di sinistra. Anche questo liberismo però, esattamente come il keynesismo, non significò per nulla la stessa cosa nei diversi paesi capitalisticamente avanzati. Nel paese centrale, proprio sotto la presi-denza Reagan, vi fu una notevole impennata della spesa bellica, nonché di quella indirizzata alla ri-cerca scientifica con ricadute militari, e si misero in cantiere i vari progetti che hanno dato agli Stati Uniti in tali settori un vantaggio da colmare in chissà quanti decenni. Negli altri paesi, il liberismo assolse quel compito che non era mai riuscito veramente a svolgere, nella prima epoca monocentrica, la teoria del commercio internazionale di ricardiana memoria.
Con la scusa della globalizzazione, e delle necessità delle imprese ai fini della “libera” competizione nel mercato mondiale, si continuano di fatto a favorire non esattamente (in un certo senso, potrei dire non nominativamente) i soliti gruppi dominanti dei paesi non centrali, ma la loro usuale configurazione di base; con non radicali mutamenti, nell’ambito di quest’ultima, del peso e della forza degli agenti “pubblici” e di quelli “privati”. Mediante la finzione ideologica della mera com-petizione interimprenditoriale a base di costi e prezzi, di razionalizzazione organizzativa ed effi-cienza produttiva, si continuano a favorire comunque i dominanti, ad incrementare, nei limiti del possibile, i profitti degli agenti strategico-imprenditoriali, a rafforzare le posizioni di vertice di quelli politici, a corrompere in varia guisa, con diversi rivoli di finanziamenti, gli “oppositori” (interni al sistema, o talmente “esterni” che in definitiva sopravvivono decentemente nei suoi interstizi, nelle sue “larghe maglie”). Di tutto avviene, salvo una cosa: il riconoscimento aperto che la vera competizione interimprenditoriale si svolge entro una sfera protetta da quello scudo che è il con-flitto per le zone di influenza tra diversi paesi (o gruppi di paesi) capitalistici. Altrimenti, non di ef-fettiva competizione si tratta, bensì soprattutto di una spartizione del bottino tra i vari gruppi domi-nanti, nell’ambito della quale chi ne detta le regole e se ne avvantaggia massimamente è il paese centrale, i cui gruppi (economici e politici) dominanti sono più dominanti degli altri; e sono effetti-vamente molto competitivi perché sostenuti da una ricerca d’avanguardia in nuovi settori (con in-novazioni di prodotto) e, specialmente, da un potenziale bellico atto a rafforzare ed espandere la sfera d’influenza dell’intero sistema economico-sociale-politico (cioè di un paese, di una nazione, cui anche l’ideologia dell’appartenenza – ad una nazione appunto – conferisce ulteriore forza).
7. Neokeynesismo e neoliberismo non rappresentano, come ho sostenuto, una vera alternativa l’uno rispetto all’altro. Innanzitutto, e non a caso, queste due politiche non coincidono con differenti e ben individuati schieramenti politici, ma corrono all’interno di “centro-destra” e “centrosinistra” pur se in proporzioni differenti. Si tratta di due politiche che certamente non sono “la stessa cosa” e, in parte, intenderebbero avere gruppi sociali di riferimento diversi fra loro, ma principalmente in quanto massa elettorale. Il keynesismo – in realtà una forma di statalismo ove la spesa sociale, e il gruppo di agenti politici che la controllano, ha il compito di rallentare, ma solo rallentare, sia il trasferimento di reddito dal salario al profitto che l’erosione delle conquiste “sociali” dei lavoratori – tenta di stringere intorno ai gruppi dominanti soprattutto una parte consistente delle classi lavoratri-ci salariate e subordinate. Il liberismo vorrebbe – il condizionale mi sembra d’obbligo, vista la scarsa determinazione, almeno in Francia e in Italia, delle forze politiche che lo propugnano a parole – portare a sostegno dei dominanti il vasto “popolo” dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese, nonché una parte dei lavoratori dipendenti, quella impiegata appunto dai “padroncini” e che spesso con questi si identifica (solita ideologia secondo cui ognuno può diventare padroncino, può farsi da sé).
Ovviamente, questa diversità di ceti sociali di riferimento – derivata da differenti opinioni in merito a quali di essi sarebbe più opportuno forgiare quale “scudo protettivo” per i gruppi domi-nanti – implica divisioni e ostilità (puramente tattiche) anche all’interno di questi ultimi, che finan-ziano perciò diversi e apparentemente contrapposti gruppi politici e intellettuali. Da qui l’accanimento con cui si combattono fra loro le lobbies, cui si è ridotto il ceto politico e culturale, accanimento che viene scambiato dai gonzi per grande diversità di opzioni strategiche, quando invece si litiga semplicemente su questioni di dettaglio, dove il moralismo d’accatto prevale, anzi occupa tutto lo spazio che dovrebbe occupare la lotta politica.
Non vi è però, per l’appunto, nessuna reale diversità strategica, di grande momento. Intanto non nella politica estera, problema decisivo per misurare l’ampiezza del disegno politico di una classe dirigente. Tutti i paesi non centrali, da chiunque governati, si oppongono alla prospettiva di una reale ed efficace – non fatta di deboli distinguo, di non partecipazione a certe imprese belliche del paese centrale, del resto dovuta anche ad una situazione economica poco felice (vedi Germania ver-sus Irak) – lotta alla dominazione imperiale, ormai sempre più brutale e meno “egemonica”, degli Stati Uniti. Questo è, per me, il punto centrale di ogni politica. Non vi è alcuna, pur concessa per “umanitarismo”, spontanea simpatia o solidarietà verso i dominati, che difendono giustamente le posizioni conquistate (o forse più spesso cedute dai dominanti per conseguire ben precisi fini di raf-forzamento del loro blocco), che possa spingermi – in quanto ho un cervello pensante e non sempli-cemente un cuore traboccante di buonismo – ad appoggiare chi, con la sua azione politica, favorisca oggettivamente la dominazione del paese centrale (la buona o cattiva fede mi interessa solo per una limitata misura di tempo, atta a sondare se il mio interlocutore capisce o meno a quale aberrante po-litica filoimperiale stia di fatto portando sostegno).
D’altra parte, anche se prescindessi dal necessario e imprescindibile atteggiamento antimperiale (non ancora, per impossibilità oggettiva, antimperialista), non potrei non comprendere la limitatezza strategica di neokeynesismo (statalismo) e neoliberismo (libertà all’intrapresa privata). In un modo oppure in un altro, entrambi favoriscono gruppi dominanti miopi e arretrati, tutti tesi a governare lo status quo e a protrarre il più possibile la resa dei conti definitiva. Bisogna sempre ricordare il di-scorso del Principe di Salina a Padre Pirrone nel Gattopardo: la Chiesa pensa ai secoli e millenni, ma per una classe dominante reazionaria, ormai condannata dalla storia, fare dei compromessi (in quel caso con i “piemontesi”, oggi con gli USA) e protrarre il suo definitivo declino per cent’anni (oggi anche cinquanta) equivale ad assicurarsi l’eternità.
La disgustosa e meschina borghesia di Stato – di cui è ormai parte integrante l’oligarchia di quei partiti e sindacati, che si erigono a rappresentanti della parte dei dominati costituita da quote consistenti di lavoratori salariati (e pensionati), e che certo a questi, per ottenerne l’appoggio, fa qualche concessione – si oppone strenuamente ad una eccessiva restrizione della spesa pubblica, da cui essa trae alimento per rafforzare la sua posizione e la sua influenza (e capacità ricattatoria) su altri gruppi sociali, anche dominanti. Gli agenti strategico-imprenditoriali, in specie delle grandi concentrazioni oligopolistiche decotte, insistono nel mungere lo Stato per sopperire alle loro carenze di direzione economica e finanziaria, alle loro scarse attitudini competitive, alla loro arretratezza, non in termini di nuove tecnologie (che essi impiegano largamente, dando la stura a tutta l’immaginazione di tanta sinistra intorno al mondo divenuto immateriale, all’informazione come principale merce, alla lavorazione dei segni o simboli come principale processo produttivo, ecc.), bensì come minore capacità di innovazioni di prodotto, di scoperta di nuove fonti di energia o al-meno di controllo di quelle vecchie (ormai quasi totalmente in mano al paese imperiale, data anche la recente installazione di basi USA in cinque repubbliche centroasiatiche russe, a seguito della guerra all’Afghanistan condotta da tale paese per conto proprio e in nome della “Santa Alleanza an-titerrorismo”).
La “piccola borghesia”, quel “ceto medio produttivo” di cui cantava già le lodi il PCI togliattia-no, lavora (anzi sgobba), produce, accumula ricchezza, sempre ricercando le “nicchie”, sempre li-mitandosi a settori del tutto tradizionali, a produzioni complementari a quelle di più grandi imprese (di montaggio complessivo di dati beni), ecc. E sempre sperando che la benevolenza dei dominanti imperiali la lasci espandere anche in altre aree mondiali, dove cerca di dare meno fastidio possibile a detti dominanti, ma è anche soggetta alle loro decisioni strategiche e alla possibilità che gli “aiuti” – che essi danno ai governanti dei paesi situati nella loro sempre più ampia zona d’influenza, onde ottenerne la subordinazione e l’acquiescenza – servano ad impostare lo sviluppo di una piccola e media imprenditorialità autoctona negli stessi settori tradizionali che il “ceto medio produttivo” di cui sopra crede di veder riservati a sé a tempo indeterminato.
I lavoratori salariati (e i pensionati, quelli “non d’oro”), rappresentati dalle corrotte oligarchie partitico-sindacali già ricordate, non hanno al momento alcuna autonomia, né d’azione né tanto meno di pensiero. Sono una massa spaurita, vociante e pronta “alla piazza”, sempre eterodiretta, ma che certamente difende condizioni precedenti di vita non certo lussuose, bensì semplicemente dignitose, tenuto conto degli ormai raggiunti livelli di reddito, con conseguenti abitudini di consumo decisamente consolidatesi in alcuni decenni. Nessuno può ritenere scandaloso il loro rifiuto di fare le spese della crisi che si profila (non la crisi economica del ’29, non la miseria e la fame, ma co-munque condizioni di disagio assai varie che si faranno sentire e “morderanno”, come trend di medio-lungo periodo).
8. Questa la situazione nei paesi non centrali del capitalismo detto renano; sia che governi il “centrodestra” o invece il “centrosinistra”, sia che ci si sbrigli nel più sfrenato liberismo o si torni invece a forme, certo contenute (perché “mancano i soldini”, detto prosaicamente), di keynesismo statalista. Il problema è proprio questo: si crede veramente di sfuggire alla crisi – crisi di un conti-nente, di un modo di vita, ecc. – che avanza? Il dibattito affannoso tra neokeynesiani e neoliberisti assomiglia ai disperati e disordinati tentativi di fuga dei polli in un recinto chiuso, in cui sia entrata la faina o la volpe. In questo bailamme si distinguono un po’ tutti, ma oserei dire di più i “sinistri” e, ancor più, i “sinistri dei sinistri”. E’ ora di finirla con la paura di rilevare certi fatti indiscutibili. Gli unici paesi che vanno appena un po’ meglio, o un po’ meno peggio, in Europa sono Spagna, Irlanda, Olanda, che sono i più “liberisti” in tale area. La situazione della “socialdemocratica” Germania è attualmente quasi la peggiore; subito dopo la Francia, governata fino a pochi mesi fa dai “socialdemocratici”; e subito dopo ancora l’Italia, dove un Governo che blatera di liberismo non ha ancora fatto alcunché in tale direzione. E a tutti questi paesi cosa suggerisce – anzi quasi intima – l’Unione Europea? A tutti: taglio delle spesa per pensioni, per sanità, liberalizzazione del mercato del lavoro.
E cosa suggerisce la “sinistra estrema” (uso queste etichette orrende senza crederci), ad es., in Italia? Si pretenderebbe la nazionalizzazione della Fiat decotta (e già venduta; sembra che tutti fac-ciano finta di non saperlo). Sinceramente, ho l’impressione che la sinistra non sappia proprio più che cosa fare, sia in stato confusionale, ripercorra vecchie strade pur profetizzando “un nuovo mondo possibile”. Non ci si accorge nemmeno di essere, come già il PCI degli anni ’60 e ’70, un (oggi piccolo) insieme di mosche cocchiere, che danno consigli a chi sa già che cosa fare (certo per pro-curare danni); consigli che, se seguiti (ma solo per ipotesi puramente fantasiosa), provocherebbero danni ancor maggiori.
Oggi, purtroppo, quella sinistra che è ancora statalista e neokeynesiana è completamente “fuori tempo”, non capisce di aggravare tutti i problemi già causati da blocchi dominanti capitalistici arroccati a difesa di vecchi equilibri; blocchi dominanti che – anche dopo il crollo del “socialismo reale” e la rimondializzazione del capitalismo e del “mercato” capitalistico, dopo cioè che gran parte dell’area un tempo occupata dall’altro “campo” (il secondo mondo) è diventata una possibile zona ove battersi per affermare la propria influenza – sono entrati certamente in crisi, ma non tale, anche per la presenza delle corrotte oligarchie dei ceti lavoratori che li sostengono, da provocare la loro radicale ristrutturazione nel senso di una più battagliera condotta, dell’attuazione di strategie adeguate a contrastare la dominanza imperiale che sta invece dilagando dappertutto senza sufficiente contrasto. Questa sinistra rappresenta il vero blocco conservatore; e il fatto che sia più accettabile nella “forma”, più colta (o meno incolta, siamo più precisi!), più “presentabile”, meno rozza, con più forti legami con il ceto intellettuale (peraltro il peggiore da secoli), non può impedire di capire che è essa l’ostacolo forse principale da abbattere per riprendere “un’altra via”.
Nel contempo, certamente, quella “destra” che si presenta come liberista (e illiberale) – sia che poi il liberismo lo attui oppure no – non rappresenta comunque un’alternativa, poiché la sua ideolo-gia la porta alla subordinazione alle mire egemoniche del centro imperiale, ad essere puramente – e indecentemente, disgustosamente – supina e serva rispetto a tali mire. Si tratta quindi di uno schieramento che anch’esso, se se ne fosse capaci, andrebbe spazzato via, e non certo con le buone maniere (se se ne fosse capaci). Ma mai e poi mai si tratta del nemico principale, per battere il quale ci si debba rassegnare ad appoggiare l’altra parte, che in modo più “raffinato” ci porta dritti dritti alla subordinazione totale all’impero statunitense, magari trincerandosi dietro qualche ipocrita distinguo – che spesso significa poi: se le porcherie (magari l’aggressione alla Jugoslavia) le faccio io va bene, ma agli “altri” non deve essere permesso, perché il miglior servo sono io, io debbo governare per conto degli USA – e qualche mugugno, spesso ad uso elettorale.
E’ per me del tutto incomprensibile come certi compagni discutano, con apparente serietà e impegno, qual è il miglior modo di suicidarsi: se impiccandosi o tagliandosi i c…. per morire dissanguati (quest’ultimo è l’appoggio alla sinistra). E se qualcuno mi sostiene che la “sinistra” è l’avversario mentre la “destra” è il nemico, rispondo senza perifrasi: la sinistra è nemica e rinnegata, la destra è nemica e fa il suo lavoro. Dal punto di vista politico, la loro pericolosità, e i danni che provocano, sono eguali; dal punto di vista morale, il rinnegato appartiene alla peggiore specie umana che io conosca, anche se è colto e raffinato e di buone maniere. E si stia attenti: si può essere rinnegati in tanti modi, anche urlando, ululando, il proprio amore per i diseredati ed emarginati; e, nel contempo, emarginando ed isolando tutti quelli che sollevano anche solo qualche perplessità in proposito. “Chi si fa pecora, ecc.”. A morte la destra, ma anche la sinistra e, naturalmente, “libertà ai popoli”; questa la parafrasi di una vecchia parola d’ordine.
9. Oggi non si è ancora entrati, questo volevo segnalare nei miei due scritti precedenti, in una vera epoca policentrica neoimperialistica, fatta non di semplice concorrenza interoligopolistica tra le dirigenze strategiche d’impresa ma anche di conflitto interstatale, tra gli agenti politici dei bloc-chi dominanti in vari paesi capitalisticamente avanzati, per la conquista e redistribuzione di zone d’influenza. Perché questo è l’imperialismo; e questa è la situazione che consente anche una reale competizione interimprenditoriale tra giganti economici nei settori produttivi di punta di quella data epoca storica. In assenza della potenza politico-statale (e ideologico-culturale, ricordo che manca sempre qualcosa nella mia analisi), la concorrenza interimprenditoriale si fa monca. La ricerca scientifico-tecnica, e le innovazioni di prodotto (e di risorse energetiche) in special modo, sono in ritardo nei paesi non centrali. Le loro grandi imprese sono quelle di settori della precedente “rivoluzione industriale”, fioriscono le imprese di nicchia o di settori tradizionali (di rivoluzioni in-dustriali ancora precedenti), sia pur tecnologicamente (innovazioni di processo) più avanzati di un tempo; e fioriranno fin che potranno, finché non si scontreranno duramente con quelle che si svi-lupperanno nei paesi oggi semiperiferici, con costi salariali più bassi e tecnologie (lavorative) in forte progresso.
Siamo dunque ancor oggi in un’epoca sostanzialmente monocentrica, imperiale e non imperiali-
stica, dove il paese centrale controlla larga parte del mondo, vaste zone della semiperiferia e periferia, e può giocare su paesi meno avanzati posti sotto la sua influenza – in particolare sulle risorse energetiche situate in tali paesi – per condizionare gli sviluppi dei paesi non centrali, ritardando il disfacimento dei loro attuali blocchi dominanti e la formazione di nuovi blocchi, ben più adeguati ad intraprendere la via che potrebbe infine condurre al policentrismo imperialistico.
Due sono le opzioni che abbiamo oggi di fronte (credo di più alla seconda ma non escludo la prima). Può essere che i paesi non centrali non si liberino in tempo di destra e sinistra (e non di-mentichiamo le vie di mezzo, centriste, che sono di nuovo oggi accarezzate), non fuoriescano dall’infinita diatriba e falsa alternativa tra liberismo e statalismo (con sempre meno Welfare, co-munque). La decadenza, pur relativa, di tali paesi, sarà assicurata nel corso di alcuni decenni (non credo molti; forse ne basteranno due). Ho già detto, sempre negli scritti citati, di questa decadenza relativa e non ci torno sopra. Sarà allora ineluttabile a mio avviso, anche questo l’ho già scritto, lo sviluppo di nuovi centri capitalistici, e dunque a quel punto imperialistici, in Asia. I paesi non centrali odierni si troveranno schiacciati tra due “giganti” e dovranno solo scegliere l’alleato “migliore”; saranno comunque “province” di altri imperi fra loro in lotta (l’imperialismo è in un certo senso il conflitto tra imperi; e, come ricordò Lenin contro Kautsky – ma si potrebbe dire anche contro la Luxemburg e, ante litteram, contro il terzomondismo del secondo dopoguerra – un impero non è costituito banalmente da un centro capitalistico e da domini coloniali o neocoloniali; ma su questo bisognerà tornare in altro contesto, disponendo di un migliore concetto di dominio capitali-stico in quanto articolazione, e simbiosi, degli agenti strategico-imprenditoriali e politico-statali nell’ambito dei gruppi dominanti).
Il secondo quadro che potrebbe delinearsi nel corso di una ventina d’anni – e sono più convinto di questa prospettiva, per motivi almeno accennati negli scritti precedenti – è l’ascesa di una parte dell’Europa (ivi compresa, credo, la Russia) a nuovo centro imperiale in antagonismo con gli USA. Dubito assai che la Cina, nei prossimi vent’anni, continuerà a crescere con l’attuale ritmo. Per il momento, pur essendo già una potenza di tutto rispetto, essa ha uno sviluppo più quantitativo che qualitativo; in seguito dovrà andare incontro a ben altra differenziazione dei suoi settori produttivi, ad una moltiplicazione dei gruppi di agenti strategico-imprenditoriali in competizione fra loro, quindi poi anche dei gruppi di agenti politici (e delle lobbies varie) che si contenderanno “democraticamente” il governo del paese, con il superamento dell’odierna ancor forte unità diretta dal centro. Per tutti questi motivi, a livelli alti di sviluppo, i saggi di incremento del reddito tendono a diminuire e diviene decisiva la “qualità” dei blocchi dominanti, la loro strutturazione interna, le capacità strategiche sia di quelli politici che di quelli economici (imprenditoriali); è importante lo sviluppo tecnologico, ma ancor più il sempre sottovalutato aspetto delle più volte ricordate innova-zioni di prodotto e di controllo delle fonti di energia (quindi di espansione delle proprie sfere d’influenza).
In definitiva, pur se la Cina diverrà senz’altro una delle potenze mondiali, ritengo probabile che una parte dell’Europa assurgerà comunque al ruolo di centro imperiale, in lotta imperialistica con il paese che al presente è l’unica potenza in grado di attuare una politica di dominazione mondiale. Se ciò, come penso, accadrà, non potranno rimanere in piedi certamente gli attuali blocchi dominanti nei paesi europei non centrali. Centro-destra e centrosinistra, liberismo e statalismo (“assistenziale”), possono solo assicurare la perpetuazione dell’asservimento agli Stati Uniti. Tale atteggiamento è da qualche forza politica tenuto consapevolmente, da altre magari involontaria-mente; ma il risultato non cambia. E non si creda che, quando dico involontariamente, io sostenga la possibilità di convincere questo “qualcuno” a cambiare posizione e ad assumere più coerenti posi-zioni antimperiali. Mi dispiace, ma chi questo credesse, peccherebbe di ingenuità. Anche chi si agita contro l’arroganza USA, chi fa sfoggio di un antiamericanismo a volte preconcetto, e troppo spesso non diretto soltanto contro la politica imperiale di tale paese, è invischiato in un complesso gioco di sopravvivenza della sua parte politica – finanziamenti, agevolazioni varie per stampa, editoria, mantenimento di un apparato politico e sindacale, ecc. – che lo rendono succube di una organizza-zione dei blocchi dominanti, liberisti o statalisti, nella loro configurazione attuale, del tutto impossi-bilitata a porre in atto politiche strategiche (di medio-lungo periodo) realmente, e non solo (qualche rara volta) tatticamente, antistatunitensi.
Altre forze politiche verranno in evidenza, e non saranno né liberiste né statal-assistenzialiste. Saranno stataliste, ma nel senso dell’ascesa, entro i blocchi dominanti, di nuovi gruppi di agenti po-litici tutti tesi a contrastare gli USA sul loro terreno: innanzitutto la potenza militare (in senso lato) atta al conflitto – guerreggiato o no – per le sfere di influenza; e inoltre la ricerca scientifico-tecnica per innovazioni di prodotto, ecc. E’ assai probabile che tali nuovi gruppi di agenti politici anticipino ciò che non è ancora ben visibile nell’ambito delle dirigenze strategico-economiche (e dei media, e dunque degli agenti ideologico-culturali, da queste finanziati). Tuttavia, in ultima analisi, questi gruppi politici potranno aver successo solo quando saranno, sia pur sotterraneamente, messe in moto anche forze varie, e lobbies, di carattere economico-strategico, ben più che meramente em-brionali; dato che, nel modo di produzione capitalistico, credo si possa escludere la piena autonomia degli agenti politici, che debbono in definitiva dar buona prova di sé consentendo lo sviluppo e il potenziamento dei gruppi di agenti strategico-imprenditoriali nei nuovi blocchi dominanti dell’eventuale nuovo centro imperiale antagonista degli USA.
10. Ci si chiederà: e coloro che pretenderebbero di rappresentare i dominati? Quale politica dovrebbero perseguire? Qualche indicazione “all’ingrosso” può essere formulata.
Ho già escluso, in modo netto, la possibilità di appoggiare strategicamente il centrodestra come il centrosinistra, il liberismo come il keynesismo, cioè lo statal-assistenzialismo; che significa soprattutto, lo ricordo, assistenza agli agenti, politici e strategico-imprenditoriali, di blocchi dominanti attuanti politiche di – soggettivo od oggettivo, poco importa – asservimento al centro imperiale odierno. Si potrebbe osservare che il non appoggio strategico lascia aperta la possibilità di appoggi tattici. E questo è vero; con qualche avvertenza precisa e controcorrente.
Innanzitutto, non è per nulla detto che si debba sempre, per partito preso, appoggiare tattica-mente i gruppi politico-sindacali di “centrosinistra”. Questo può essere fatto in certe occasioni, mentre in altre essi vanno smascherati e combattuti più ancora di certi gruppi – fra l’altro catalogati di “centrodestra” con troppa faciloneria e sudditanza verso coloro che infangano le bandiere della vecchia gloriosa, ma di altra epoca storica, Resistenza – che si ergono decisamente contro la politica imperiale statunitense. Tatticamente, bisogna dimostrare molta duttilità e versatilità, altrimenti non di tattica (leninista) si tratta, bensì di subordinazione alle strategie delle subdole e corrotte oligarchie partitico-sindacali che, pretendendo di difendere i dominati, i lavoratori (dipendenti, salariati), difendono se stesse e i blocchi dominanti (filo-impero statunitense) in cui sono state cooptate. Anche se si è infima minoranza – e non bisogna nutrire, illuministicamente, la pretesa di “egemonizzare” masse “popolari” (ambigue ed eterogenee), del tutto succubi delle corrotte oligar-chie di cui sopra (costituite inoltre da “rinnegati”), che hanno ben altre possibilità di usare i vari mezzi di “organizzazione del consenso”, lautamente finanziati dai vecchi agenti strategico-imprenditoriali – ci si deve in molti casi scontrare duramente e senza remissione alcuna con il cosiddetto centrosinistra (e con la “sinistra” che si ostina ad appoggiarlo, sempre con la finzione della “tattica”), onde comunque cominciare a costituire piccoli, ma essenziali, reticoli di nuovi militanti neoleninisti (se non ricordo male, Gramsci ricordò da qualche parte che, prima che le masse, è ne-cessario intanto preparare gli ufficiali e sottufficiali della truppa).
Inoltre, anche quando, per la difesa delle condizioni di vita dei lavoratori, ci si possa tatticamente accordare con i pur loschi figuri del centrosinistra, non si devono concedere loro sconti di alcun genere; è necessario mantenere sempre la propria autonomia, denunciando comunque i limiti di certe tattiche di breve periodo, e insistendo nel mettere in luce i caratteri di sostanziale subordina-zione al paese imperiale degli attuali maggioritari gruppi di agenti politici, di destra e di sinistra, facenti parte dei blocchi dominanti nei paesi non centrali, ecc.
Quindi, come avremmo preso le difese dei luddisti, è giusto assumerle oggi di fronte ad attacchi alle “conquiste sociali” dei lavoratori (facciamo pure finta che si tratti solo di conquiste e non anche di concessioni “graziosamente” elargite dai dominanti per i loro interessi, fra i quali vi è anche la corruzione e cooptazione delle oligarchie già più volte nominate). Non si deve però mai perdere la lucidità, per sé e per altri, in merito al fatto che, come la battaglia contro le macchine, anche quella in difesa dei lavoratori d’oggi non durerà all’infinito; la resistenza sarà comunque fiaccata, in tempi più o meno brevi o appena un po’ più lunghi. In ogni caso, le alternative sono, strategicamente, due: o questa lotta verrà sconfitta in tempi più brevi, ed emergeranno forze in grado di costituire in Eu-ropa un nuovo centro imperiale anti-impero USA; o avrà momentaneamente successo e allora la de-cadenza (aurea) dell’Europa sarà certo lenta e lunga, ma alla fine essa sarà solo una provincia dell’impero statunitense in lotta con un altro centro imperiale (probabilmente asiatico). E, anche in questo secondo caso e solo con tempi più lunghi, le conquiste dei lavoratori – come già le condizio-ni di vita e i mestieri degli artigiani e lavoratori manifatturieri dei primi dell’800 – saranno comunque erose.
Evidentemente, non propongo, e l’ho già scritto, di operare in alleanza con gruppi politici che si battano per affrettare il sorgere di una nuova epoca policentrica, neoimperialistica, poiché, se così si facesse, saremmo poi intruppati tra coloro che inneggeranno al proprio centro imperiale contro gli altri (o l’altro). Dobbiamo però, nel mentre si difende la vecchia condizione sociale dei lavoratori – destinata comunque a decadere anche qualora l’Europa si rassegnasse a divenire provincia dell’impero statunitense, schiacciata nella lotta tra questo e un nuovo impero ad est – pensare in termini di possibilità di passaggio ad una nuova epoca, con l’eventualità, a mio avviso assai probabile nel giro di una ventina d’anni, di un’Europa (più credibilmente, di una parte d’essa) quale nuovo centro imperiale in conflitto neoimperialistico con gli USA.
Se non ci si pone in quest’ottica, se non si seguono attentamente gli sviluppi – economici, politici, militari, ecc. – della situazione in fase di lenta evoluzione (malgrado l’apparenza di tumultuosi sobbollimenti), se non si prepara alcun nuovo militante a nuove prospettive, ma si galleggia sul “vecchio” e sulle glorie del passato o invece su generici “mondi nuovi” che avanzerebbero senza precisi connotati di fondo – chiaro frutto di una mentalità giovanilistica, ma anche di “gente” che coltiva “l’arte di arrangiarsi”, intrufolandosi negli interstizi di una società opulenta, e furbescamente vivacchia con i rivoli che il capitale non fa mai mancare a chi lo contrasta rumorosamente e senza cognizione di causa – allora veramente “siamo fritti” per oggi e per sempre.
IL LEADER DI RIFONDAZIONE COMUNISTA: PRC, CORRENTONE DS E MOVIMENTI INSIEME AVREBBERO IL 15-20%
Bertinotti: contro la guerra nasce la Sinistra alternativa
«Prodi è tra quelli che hanno fallito. Le politiche neoliberiste di cui decreta la fine, chi le ha fatte? Anche lui dovrebbe lasciare la scena»
ROMA FAUSTO Bertinotti è rientrato la scorsa notte da un lungo viaggio in America Latina. Sta preparando la presentazione, domani a Roma, del suo nuovo libro, «Per una pace infinita» (Ponte alle Grazie). Il ragionamento del leader di Rifondazione lega il viaggio (che ha avuto nei tre incontri con Castro a Cuba un momento centrale), le recenti aperture ai no global da parte dei leader del centrosinistra, e la prospettiva della guerra. Che «sconvolgerebbe non solo l´agenda ma anche la geografia della politica italiana», aprirebbe «divisioni» all´interno dei partiti e una ferita definitiva tra le due sinistre: con la nascita di un´area di sinistra alternativa - il cui potenziale Bertinotti valuta attorno al 15-20% -, in cui Rifondazione e il correntone Ds sarebbero al fianco dei movimenti nati dalle lotte sindacali e pacifiste, e che potrebbe trattare alla pari con la sinistra riformista le condizioni di una nuova alleanza. Alla cui testa, nella visione di Bertinotti, ben difficilmente potrà esserci uno dei leader emersi negli ultimi anni, neppure Romano Prodi: «La sua denuncia della fine del pensiero unico è la constatazione di un fallimento, che riguarda anche lui; anche lui, come gli altri, dovrebbe quindi lasciare la scena».
Onorevole Bertinotti, come ha trovato Cuba e Castro?
«Aperti al vento che spira nelle vele del movimento; a conferma che si tratta di un movimento mondiale. In Europa si esprime nella società civile, in America Latina nella sfera della politica: come dimostrano le esperienze, pur diverse, di Lula, Gutierrez, Castro. Cuba sta cambiando molto. Il riferimento - e qui vedo un punto di contatto con l´evoluzione del mio partito - non è più il comunismo come l´abbiamo conosciuto nei paesi dell´Est, ma da un lato la tradizione indipendentista di José Martí e Simon Bolivar, dall´altro il contagio della cultura dei movimenti. Il frutto è il rilancio di un´ipotesi riformatrice: nella scuola, nella cultura, nell´informazione».
Anche nei diritti umani e politici?
«Bisognerà pur chiedersi perché al Forum di San Paolo ad Antigua, cui ho partecipato e dov´erano rappresentate tutte le sinistre latinoamericane, compreso il Pt di Lula, nessuno ha posto questa domanda. Cuba è in piena evoluzione, da una fase di resistenza, pur sempre necessaria a causa dell´aggressione nordamericana, a una fase nuova, segnata dallo spirito di indipendenza e dall´unità delle sinistre».
D'Alema sostiene l´opposto, citando l´intervista a Newsweek in cui Lula distingue tra il fascino originario di Castro e il giudizio politico.
«Io cito documenti ufficiali: quello che ha chiuso il Forum di San Paolo parla di convergenza tra tutte le forze della sinistra, compresa Cuba, nella battaglia per un´altra America Latina possibile. E´ sgradevole che parte della sinistra europea tenti di aprire una divisione che i latinoamericani rifiutano».
Non occorre Castro per aprire il dialogo con i no global. Lo propone anche Prodi.
«Denunciando la fine del pensiero unico, Prodi ha constatato un fatto: il fallimento delle politiche neoliberiste degli ultimi dieci anni, da Maastricht al patto di stabilità, travolte dall´avvento della crisi e di un movimento mondiale di dimensioni impreviste e durevoli».
Tremonti ha parlato di New Deal, neocolbertismo, intervento dello Stato.
«Le manifestazioni della crisi sono ormai evidenti a tutti. Drammaticamente, non si vede altra scelta politica e programmatica dei governi nazionali e del governo europeo. Prendiamo il caso Fiat e l´ipotesi dell´intervento pubblico. Nessuno offre ragioni consistenti per non farlo. Eppure non si fa. I leader della politica europea si dibattono sempre più affannosamente all´interno dello stesso quadro. La classe dirigente europea ha fallito, e dev´essere sostituita».
Compreso Prodi?
«Prodi è tra quelli che hanno fallito. Le politiche neoliberiste di cui decreta la fine, chi le ha fatte?».
Impostato così, il dialogo con i no global si annuncia difficile; e a spezzarlo potrebbe venire la guerra in Iraq.
«La guerra è già cominciata. L´idea della guerra infinita e indefinita è l´espressione organica di questa fase che viene definita la globalizzazione della crisi. La guerra non ha solo ragioni economiche; è fattore di disciplina imperiale; serve a strutturare il potere. Per questo il no alla guerra e al neoliberismo sono due discriminanti della nuova politica. La sinistra riformista europea ha contribuito alle guerre costituenti dell´Impero: Golfo, Balcani, Afghanistan. Che non si accodi ora alla guerra imperiale in Iraq».
Prodi e D´Alema dicono: se non ci fosse l´Europa, la guerra ci sarebbe già.
«Siccome l´Europa è così debole, è probabile che la guerra ci sarà».
E cambierà anche la politica italiana?
«Ne sconvolgerebbe l´agenda e la geografia così come le conosciamo. I partiti della sinistra sarebbero attraversati da profonde divisioni. A quel punto il compito prioritario per tutti gli uomini di buona volontà diventerebbe la costruzione di un grande movimento di massa per la pace».
In quali forme? Che cosa accadrebbe la notte in cui l´Italia entrasse in guerra?
«Oggi la violenza appartiene solo alla parte avversa al cambiamento. Penso a strumenti di lotta non violenta, ma concreta e calata nell´attualità, qui e ora; come la pratica della disobbedienza civile. E penso a uno sciopero generale europeo per la pace».
Nell´opposizione alla guerra lei ritroverebbe un uomo con cui ha sempre avuto un rapporto critico, Cofferati.
«Sì, su questa linea c´è l´incontro con Cofferati. I nuovi movimenti hanno contaminato il movimento sindacale. C´è una convergenza specifica».
E ci sono i cattolici. I sacerdoti.
«Figure simboliche di quanto siano interne al movimento le culture critiche. A cui si tenta di rispondere con il restringimento degli spazi di democrazia. Penso alla nuova legislazione americana. O agli arresti di Cosenza. Che sono il frutto avvelenato non di un ordine dall´alto, ma della cultura politica delle classi dirigenti».
A questo punto lalleanza con la sinistra riformista sarebbe ardua. Già ora Amato dice: se gli interlocutori dei movimenti saremo noi, Bertinotti resterà solo con 4 no global.
«I veri riformisti sono coloro che non hanno timore di confrontarsi con i radicali, con quelli che al congresso della Cgil del `64 Fernando Santi definiva "il sale della terra". Si può costruire una sinistra di alternativa. E si può costruire con i riformisti l´unità della sinistra in termini diversi da quelli sin qui conosciuti. Su un piano di parità».
La Stampa 8 dicembre 2002
Intervista a Fausto Bertinotti
Azzeriamo l'Ulivo, rifacciamo l'opposizione"
a cura di Piero Sansonetti
ROMA - «C’è una contraddizione nella linea politica di Cofferati», dice Bertinotti. «Cofferati indica uno schema di discussione politica che mi sembra molto corretto: prima discutiamo sul programma, poi discuteremo le regole, gli schieramenti, la scelta del leader eccetera. Benissimo, sono d’accordo. Però Cofferati propone di avviare questa discussione dentro i confini del centrosinistra, e successivamente di confrontarsi con Rifondazione. Ecco, qui non funziona più.
Perché? Vediamo qualche tema di programma: la guerra? Sulla guerra Cofferati è più vicino ai movimenti e alla sinistra di alternativa che ai riformisti del suo paritito; e così sul giudizio che dà del neo-liberismo, e così sulla Fiat, e così sull’articolo 18, e sulla chiusura dei centri di reclusione degli immigrati, eccetera eccetera. Io ricordo di avere sfilato un mese fa a Firenze con Cofferati, e con Rosy Bindi, e con Giovanni Berlinguer, e con Gino Strada. Su quali posizioni? Contro la guerra, contro tutte le guerre, a favore del pacifismo, contro il liberismo.
Diciamo su posizioni che non sono le stesse di Fassino e D’Alema e Rutelli. Non è così? L’Ulivo diffida di Rifondazione per le sue posizioni di politica estera: ma le nostre posizioni di politica estera sono molto sinili a quelle della sinistra Ds, dei verdi, di parte della Margherita e di vari altri. E allora che logica c’è, mi chiedo, nell’avviare prima una discussione tra coloro che non sono d’accordo, cercare un punto di mediazione, e poi su quella base chiedere le convergenze di quelli con i quali si era d’accordo dall’inizio? E’ illogico, viola le regole del buonsenso. Noi oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: ci sono, nella sinistra, delle forze divergenti che convergono, e delle forze convergenti che divergono. Questo è un disastro per l’opposizione, lo capisce chiunque. Perché la indebolisce, la paralizza, la espone, le leva grinta e capacità politica reale. Non si può proseguire con una politica schizofrenica che costruisce gli schieramenti non “sui” ma addirittura “contro” i programmi...
E allora cosa bisogna fare?
Sospendiamo il recinto del centro-sinistra. Uso questa parola “moderata”: sospendiamo. Non dico di cancellarlo, di spiantarlo. Mettiamo però in frigorifero per un po’, questa formula del centrosinistra, o dell’Ulivo: avviamo una discussione seria sui programmi, sulle idee, e svolgiamo questa discussione senza etichette, senza casacche di partito o di gruppo. Tutta l’opposizione deve essere coinvolta: partiti, sindacati, correnti, movimenti, associazioni. Ciascuno porti le sue idee, i suoi punti di vista, e verifichiamo le cose sulle quali siamo d’accordo e quelle sulle quali siamo in disaccordo. Io credo che su questa base si può accertare l’esistenza di un forte nucleo di sinistra alternativa. Ci sarà anche una parte di sinistra che non si riconoscerà su queste posizioni. Allora potremmo definire degli schieramenti su basi ragionevoli, vere: in modo che idee politiche e collocazioni coincidano. E sarà anche più semplice fare alleanze, cercare compromessi, punti di convergenza...
Primarie o no, scelta del leader, regole di comportamento: tutto questo viene dopo?
Certo, viene dopo. Non ha senso discutere di queste cose finché non abbiamo capito quali sono le posizioni politiche in campo
Lei cosa pensa delle primarie che hanno proposto sia Cofferati sia D’Alema?
Si vedrà. Anche questo viene dopo. Si vedrà se sono meglio le primarie o sono meglio altre soluzioni. Io, per esempio, sarei favorevole al ritorno al proporzionale.
Bertinotti, lei sta proponendo la formazione di nuovi partiti? Cioè sta chiedendo alla sinistra Ds di fare una scissione?
No, per carità. Dobbiamo smetterla di pensare alla politica come se stessimo ancora nel ‘900. Il secolo è finito, è cambiato tutto. Scissioni e ricomposizioni di vecchi e nuovi partiti non hanno più senso. Io penso a un processo molto diverso, che non parta dalle esigenze dei partiti, o addirittura dei loro gruppi dirigenti, ma delle clamorose novità politiche che hanno terremotato la politica in occidente, e in Italia in nmodo particolare.
Quali sono queste novità politiche?
La novità politica fondamentale è stato il nascere e il crescere del movimento dei movimenti. Di questo se ne sono accorti tutti. Il movimento ha cambiato il modo di pensare della gente, e ha cambiato anche gli atteggiamenti dei vertici dei partiti della sinistra. Persino i dirigenti più legati al riformismo hanno preso atto della novità e hanno dichiarato la strategia dell’attenzione. Negli ultimi due anni, in seguito a questa novità, c’è stata una straordinaria modificazione nella costituzione materiale e nella cultura della sinistra italiana (e non solo italiana). Abbiamo assistito a un formidabile spostamento della società civile, alla nascita di nuovi soggetti, di nuove forme politiche, di nuovi valori, di nuove egemonie. Tutto questo però non ha trovato una corrispondenza formale nella società politica. Che è rimasta inmmobile. La sinistra italiana ha sempre avuto questo difetto: è sprecona. Si dimentica di raccogliere quello che è stato seminato, non sfrutta le occasioni. Fu così anche nella grande stagione del ‘68. La sinistra politica restò ferma, non cambiò in relazione ai cambiamenti che avvenivano nella società. Quella volta però ci fu una trasformazione molto forte nel sindacato. Nacque il sindacato dei consigli, e questo permise al vento del ‘68, nonostante una certa immobilità dei partiti, di continuare a soffiare fino a oltre la metà degli anni 70. Successe solo in Italia: in Francia, in Germania, in Gran Bretagna il ‘68 durò molto meno. Il problema che io pongo, oggi, è quello di imprimere una scossa alla politica, per impedire che sia gettata al vento questa nuova grande occasione che ci viene dalla scesa in campo del movimento dei movimenti.
Come si fa per cogliere l’occasione?
A Firenze è successo qualcosa di assolutamente nuovo: un movimento di massa, molto vasto, ha dimostrato, per la prima volta, che radicalità e unità non sono cencetti nemici, possono stare insieme. Radicalità e unità, nella storia della sinistra, si sono sempre poste come ipotesi alternative. C’era una certa sinistra che puntava tutto sull’unità, rinunciando a parte della sua identità e delle sue istanze; e un’altro pezzo della sinistra che per difendere istanze e identità rinunciava alle alleanze, a unirsi, ad allargarsi, a stare insieme con i diversi da se. Questa è la storia del movimento operaio. A Firenze si è rotto lo schema: il movimento chiede radicalità e unità insieme. E’ questa è la domanda che i movimenti pongono alla sinistra. E vorrebbero porla a una sinistra meno povero di quella attuale.
Come deve rispondere la sinistra? Cosa deve fare per tenere insieme radicalità e unità?
Deve organizzarsi in un progetto politico. E’ tutta qui la spinta che ci viene dai movimenti. Quando io dico “nuovi processi” intendo questo: la ricerca di un progetto politico che dia risposte ai movimenti e che metta insieme le forze che si riconoscono nella grandi discriminanti che i movimenti hanno posto: e cioè il no alla guerra e il no al liberismo. I tempi sono maturi per creare un nocciolo politico forte che inizi a lavorare e che getti le basi per la costruzione di un nuovo soggetto politico.
Quali sono queste forze? Provo a elencarle io: sinistra Ds, verdi, comunisti italiani, un pezzo di Margherita....
Sì, certo, sono queste: ma anche pezzi di sindacati, associazioni, forze della società civile. Io non sto pensando a un partito, sto pensando a una rete della sinistra, e a un nodo di questa rete che sia il nodo politico della sinistra di alternativa. E che si ponga il problema di trasformare in energia politica la grande forza e la richiesta di novità che il movimento pone.
l’Unità, 17 dicembre 2002
http://www.unita.it
Intervista a Pietro Folena
"Sul Kosovo ho cambiato idea: non dovevamo appoggiare quella guerra"
a cura di Piero Sansonetti
ROMA A Pietro Folena sono piaciute le ultime dichiarazioni di Bertinotti. Le ha trovate interessanti. Soprattutto l'idea del leader di Rifondazione di «congelare» l'Ulivo e di aprire una discussione a tutto campo - sui grandi temi della politica - che coinvolga l'intera opposizione: senza pregiudizi, senza posizioni predefinite, senza «magliette». Folena, che è uno dei capi della sinistra Ds, è d'accordo con questa ipotesi e pensa che rappresenti un'importante novità che può sbloccare il dibattito nella sinistra. Dice che in un anno (diciamo dal congresso Ds di Pesaro ad oggi) nella sinistra italiana è cambiato quasi tutto, ci sono enormi novità e c'è una grande occasione di unità. Bisogna coglierla. Partendo da dove? Dalla lotta per la pace.
Folena crede che se il centro-sinistra riesce ad unificarsi su una posizione pacifista, per l'Italia è una svolta. Cambiano i rapporti tra società e politica, cambiano i rapporti tra i partiti, riprende anima e spessore strategico tutta la politica. E dicendo queste cose Folena accenna a quella che i politologi chiamano autocritica: «Sul Kossovo, tre anni fa, la sinistra ha sbagliato. Non dovevamo appoggiare quella guerra...».
Folena, dov'è la novità nella posizioni di Bertinotti?
Nella proposta di «congelare» (non di «cancellare») l'Ulivo. E di riprendere la discussione da zero. La differenza tra «congelare» e «cancellare» non è piccola, non è un sofisma. Negli anni passati le cosiddette due sinistre si erano attestate su posizioni contrapposte. Rifondazione negava l'Ulivo, l'Ulivo dichiarava la propria autosufficienza. Lì abbiamo perso. Nel '96 trovammo un accordo tecnico elettorale, ma non era un'accordo che negava le posizioni contrapposte. Le confermava: e infatti durò poco, e il fossato che divideva le due sinistre è stato il punto debole del governo di centrosinistra. Nel 2001 non si trovò neppure l'accordo tecnico, e si permise a Berlusconi di vincere le elezioni. Da un anno a questa parte sono cambiate varie cose, Soprattutto una: è stata superata la rassegnazione e sono nati i grandi movimenti di massa. Questa formidabile spinta politica ha trasformato la scena. Anche perché ci siamo accorti che esiste un «comune sentire» che ci unisce tutti: partiti, sindacato, girotondi, no-global. Il movimento no-global è la novità più grande. Perché ha posto ai partiti politici un numero enorme di grandi domande, e ha anche iniziato a fornire le risposte. Ci ha costretto a misurarci coi problemi fondamentali: la globalizzazione, il governo delle risorse, i diritti, la guerra e la pace. Benissimo: ripartiamo da qui, dai contenuti: verifichiamo su queste cose le nostre convergenze e i dissensi, e cerchiamo nuovi livelli di unità.
Ma le sinistre sono ancora due? E sono sempre le stesse due o si sono rimescolate le carte, come dice Bertinotti?
Lo schema delle due sinistre è stato comodo per tutti, ma credo che abbia fatto dei danni. Con quello schema la sinistra radicale si è sentita esentata dalla concretezza, e la cosiddetta sinistra riformista si è sentita esentata dalla radicalità e dall'idealità. E' stato un guaio.
Bertinotti dice che da Firenze (dal forum sociale di novembre) viene per la prima volta una domanda di unità e di radicalità. Concetti che nella storia del movimento operaio sono sempre stati "alternativi". Lei è d'accordo?
Sì, credo che l'idea che Bertinotti esprime con quella formula sia simile alla mia. Per questo penso che vada superato lo schema delle due sinistre. Io non so se si potrà arrivare al risultato di avere un organico schieramento di centro-sinistra che tenga dentro tutti. Però bisogna tendere a questo. Mettendoci in discussione tutti: noi, la Margherita, ma anche Rifondazione. E cercando un nuovo livello di unità vera. Se sapremo fare questo possiamo candidarci a governare l'Italia. Se no sarà difficile.
Quindi lei dice basta alle chiacchiere sulle scissioni, su nuovi partiti e cose del genere...
Sì, basta. Per favore, basta per sempre. Distruggiamo questa maledizione dello scissionismo che ha condannato a morte la sinistra del ventesimo secolo.
Sul tema della guerra però sarà difficile tenere unito il centro-sinistra. Se tra un mese o due gli americani muoveranno guerra all'Iraq c'è il rischio di nuove divisioni. Non è così?
Tra i Ds non credo che ci saranno problemi. Noi della sinistra Ds abbiamo proposto un referendum nel partito per decidere una posizione pacifista, ma la maggioranza ci ha risposto che non ce n'è bisogno. Mi pare che non possano esserci equivoci. Ci può essere qualche incertezza nella Margherita? Io spero che posizioni molto nette come quelle dell'ex Presidente della Repubblica Scalfaro e quelle della Chiesa aiutino la Margherita a trovare una posizione ferma contro la guerra. Il problema politico che abbiamo di fronte è quello di realizzare la massima unità dell'opposizione. Se su un tema così grande, come quello della guerra e della pace, troveremo l'unità, sarà un vero e proprio «atto fondativo» della nuova opposizione, cioè sarà un pilastro che diventa garanzia dell'unità futura.
Folena, risponda a questa domanda: lei tre anni fa fu fra i sostenitori dell'intervento della Nato contro la Serbia. Oggi ha un ripensamento?
Sì. Le rispondo senza tentennamenti: sì, ho un ripensamento. Anche se credo che fossero giuste alcune argomentazioni che noi portammo a favore dell'intervento militare (fermare la pulizia etnica e i soprusi del governo serbo) penso che facemmo un errore. Perché si affermò un principio, un'idea che poi ha avuto vasta accoglienza nell'establishment europeo e anche in gran parte della sinistra: l'idea che la guerra sia un buon mezzo per risolvere le controversie. Non è così. Non è un buon mezzo. La guerra del Kosovo ha provocato dei danni profondi nelle coscienze. E ha avviato un ciclo di miltarizzazione della politica. Il problema che oggi noi dobbiamo porci è questo: come si interviene sui grandi problemi internazionali, sulle ingiustizie, sulle sopraffazioni, dato che sicuramente non si può intervenire con la guerra?
l'Unità 21 dicembre 2002
http://www.unita.it
falcorosso
12-01-03, 01:50
Pubblichiamo alcuni stralci del filo diretto di Fausto Bertinotti tenuto ieri ai microfoni di Radio Radicale
«Scontro vero tra la sinistra moderata e riformista»
L'Unità di oggi titola "Fassino-Cofferati che guerra è? "
Penso che sia uno scontro reale, importante, quello che si è aperto nel centrosinistra, in particolare nei Ds, dopo il fallimento dell'esperienza di governo dell'Ulivo e di fronte al fatto nuovo della nascita di un movimento straordinario, post novecentesco. All'inizio guardato con diffidenza ed estraneità, poi in maniera diversa da una parte del centrosinistra. In quel contesto si sono delineate due sinistre: da un lato noi e dall'altra quelli che hanno continuato a sostenere l'idea che la globalizzazione potesse essere governata riformisticamente. Noi avevamo individuato il carattere regressivo della globalizzazione come poi ha fatto il movimento; la sinistra moderata aveva pensato invece di governarla così com'era. Tra queste due sinistre - quella antagonista radicale da noi rappresentata e quella moderata - si è delineata una terza sinistra riformista, che in sintonia col movimento ha assunto le due discriminanti del no alla guerra e del no alle politiche liberiste. Tra questa sinistra e quella che lavora in continuità con la governabilità si è aperto un vero terremoto, un conflitto reale.
A Firenze non ci siete...
C'è chi di noi è stato invitato. Sono state però fatte delle scelte che non condividiamo, come quella di invitare alcune realtà di movimento e altre no. Mi preme ricapitolare la nostra posizione su questa terza sinistra: il filone Cofferati si evidenzia sulla base di un protagonismo sindacale della Cgil, maturato su un'ipotesi su cui lavoravamo da tempo: quella della rottura della concertazione e del patto sociale, un punto da noi considerato decisivo, tanto che abbiamo organizzato un referendum sull'art.18. Cofferati esprime questa linea e la porta anche all'interno del centrosinistra e nei Ds. In questo quadro noi introduciamo due elementi di distinzione critica (esercitare una critica non significa demonizzare o criminalizzare). Innanzitutto che questo protagonismo venga inscritto nell'Ulivo e a corredo di ciò venga valorizzato quel meccanismo di formazione della rappresentanza costituito dal maggioritario. Noi pensiamo che il centrosinistra sia una prigione e dentro l'Ulivo anche le istanze espresse da Cofferati finiscono per essere deprivate di una capacità di incidenza politica e di costruzione di soggettività politiche adeguate. In secondo luogo, è vero che abbiamo apprezzato la fuoriuscita dallo schema della sinistra riformista: vedere la Cgil riposizionarsi sul rifiuto della guerra "senza se e senza ma" è stato un elemento fondamentale di grande successo; abbiamo considerato questo un passaggio significativo, tanto quanto l'ingresso nel movimento dei movimenti, la partecipazione a Firenze. Cofferati ha ragione quando critica l'inefficacia di opposizione del centrosinistra, è però secondo noi troppo interno e continuista sul terreno offensivo. Sui contenuti.
Rispetto a Firenze siamo particolarmente attenti all'unitarietà del movimento dei movimenti per un fatto fondamentale: ci sono stati vari tentativi per operare una divisione tra buoni e cattivi, radicali e moderati. Il movimento da Genova in poi ha dato una lezione dimostrando la possibilità della copresenza in esso delle forze moderate e di quelle radicali. Se da questa caratteristica del popolo di Porto Alegre si passa invece ad una logica "sindacale" in cui corpi intermedi del movimento acquistano un peso prevalente per poi trovare la sintesi unitaria, questa strada distrugge il valore profondo dell'unità del movimento. Per questo sono preoccupato se a un appuntamento come Firenze, Disobbedienti, Cobas, ma anche la Fiom non vengono invitati, perché temo che si individui una relazione privilegiata tra certe strutture e certe aree di movimento.
Lei teme una concretizzazione del progetto di Cofferati nella nascita di un partito?
Se in Italia nascesse un grande partito laburista per noi sarebbe una sfida positiva. Non solo quindi non lo temo, ma penso che se ci fosse una formazione che passasse per la rottura del centrosinistra e la nascita di un grande partito laburista, per il Prc andrebbe benissimo. Perché potremmo proporre un confronto privilegiato tra noi e la sinistra riformista, per poi vedere se con i moderati esistono le basi di una possibile convergenza. Non credo però che questo sia realizzabile oggi in Italia. Non credo che Cofferati abbia questa idea. E' una persona seria, ha detto che non pensa all'ipotesi della costruzione di un nuovo partito ed ha ripetuto che pensa invece di modificare l'assetto dell'Ulivo. Ed è questa la ragione per cui noi insistiamo su queste due critiche: quella di rimanere dentro l'involucro del centrosinistra; di rischiare di aprire una crepa nell'unità del movimento.
Con Rifondazione si può battere il centro destra...
Cofferati ha sempre marcato più di altri il problema che il centrosinistra non può fare a meno di un accordo con Rifondazione. Il suo schema è: l'Ulivo definisce una posizione comune - politica, programmatica - poi fa un accordo con Rifondazione ai fini di costruire uno schieramento anche con delle convergenze programmatiche per battere le destre. Ma per quale ragione noi, Cofferati e gli altri che abbiamo la stessa posizione di rifiuto della guerra e che siamo insieme a Firenze nelle manifestazioni dobbiamo invece essere separati nella sfera politica? E perché invece la sinistra riformista deve stare nello stesso schieramento con coloro che hanno posizioni diverse sulla guerra? Questo è un paradosso che va sciolto. Va sciolto con la messa in discussione dello schema dell'Ulivo. Al contrario di un movimento diviso e di un Ulivo unito, bisogna proporre un movimento unito e la divisione dell'Ulivo.
A Porto Alegre dove corre la sinistra ma i no global minacciano fischi per alcune di queste presenze ci andrete anche voi?
Nelle tavole rotonde ci sono solo due inviti formali, io in quanto segretario del Prc e Sergio Cofferati. Rifondazione è stato l'unico partito l'anno scorso, oltre quello ospitante di Lula, a essere ammesso a sottoscrivere il documento conclusivo, a non essere solo un partito ospite ma un partito protagonista. Anche l'anno scorso ci sono stati fischi indirizzati ad altre formazioni politiche, perché ci sono ambiguità che vanno sciolte. Quest'anno le cose possono andare un po' meglio perché una parte di queste forze ha scelto il versante del no alla guerra e quindi qualche titolo per essere presenti se lo sono guadagnato. Gli altri che continuano a mantenere l'ambiguità nei confronti della guerra sicuramente sono esposti a una contestazione.
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Paddy Garcia (POL)
17-01-03, 06:47
Intervista a Fausto Bertinotti. «Nel centrosinistra si sta producendo un terremoto: una crisi che viene da lontano»
A sinistra, accadono fatti rilevanti, discussioni intense, polemiche nervose. Sulla crisi del centrosinistra, sulla nascita di una "terza sinistra" (Cofferati), sul ruolo e le posizioni di Rifondazione, anche e soprattutto in rapporto alla crescita del Movimento, Fausto Bertinotti ci parla delle opportunità aperte in questa fase. Ma anche delle priorità che tali restano. Ecco l'intervista.
Insomma, che cosa sta succedendo nelle sinistre italiane?
In realtà, è un vero e proprio terremoto quello che oggi investe il centrosinistra: era in incubazione da tempo, come avevamo ben visto, ed ora tende ad esplodere. Di che si tratta, alla fin fine? Di una crisi nella quale convergono sia l'onda lunga della sconfitta elettorale del 2001 sia, soprattutto, l'ingresso sulla scena politica - in forme finora impreviste ma comunque forti - del movimento. E' il soggetto, quest'ultimo, che con la sua iniziativa e la sua autonomia ha mutato la fisionomia del conflitto, quello sociale e quello politico. Se non vediamo questa sequenza, che non è solo cronologica ma, appunto, sociale e politica, non capiamo quasi nulla di quello che è successo in Italia: la protesta No Global ha innescato, se così si può dire, una voglia di partecipazione diffusa, protagonistica, alla politica (cfr. i "girotondi") e ha inciso sulla ripresa stessa del conflitto del lavoro. Attraverso vari passaggi, tutto questo ha prodotto, in un'area che possiamo schematicamente definire «la sinistra del centrosinistra», una rinascita, un nuovo vigore, un riposizionamento. Un fenomeno che (passando anche attraverso l'ultimo congresso dei ds), si manifesta oggi come una delle possibili forme di un nuovo movimento politico.
Ti riferisci a quel processo che è culminato nell'assemblea ultima del Palasport, e nella nuova leadership "sul campo" di Sergio Cofferati?
Sì, mi riferisco a questo processo, del quale è difficile prevedere l'esito, ma del quale risultano chiari almeno tre elementi. Il primo - di merito - è il netto rifiuto della guerra e la disponibilità a costruire un'attiva opposizione pacifista. Il secondo è l'esigenza di un rapporto diverso tra Ulivo e movimenti, anche sulla base di una critica alla leadership attuale. Il terzo è una maggiore radicalità nell'opposizione al governo Berlusconi. Fin qui, non possiamo che guardare con interesse a questo nuovo movimento, che rende evidente la crisi del centrosinistra e promuove un nuovo protagonismo di massa. Detto tutto questo, non possiamo né essere acritici, nei suoi confronti, né buttare alle ortiche o sospendere - per opportunismo politico o subalternità culturale - il nostro progetto politico.
A questo proposito, c'è, a sinistra, una posizione che ci sollecita ad investire le nostre energie - e magari la la nostra stessa "ragione sociale" - su questa concreta ipotesi di spostamento a sinistra dell'asse dell'Ulivo. E qualcuno ci accusa, nientemeno, che di anteporre a tutto le nostre logiche di sopravvivenza di partito. Davvero in questa fase la priorità potrebbe, o dovrebbe essere, quella di incalzare da sinistra il centrosinistra, per posizionarlo su una linea diversa?
Vorrei risponderti senza che ci sia il rischio di fraintendimenti: io credo che l'idea dello spostamento a sinistra dell'asse dell'Ulivo sia una pura illusione, rincorrendo la quale, di sicuro, si corrompe ciò che c'è di radicale e di alternativo nel tessuto della sinistra. Il vero oggetto della discussione è se si debba o no entrare all'interno dell'Ulivo, diventando parte integrante dell'"operazione Cofferati" e temporaneamente archiviando la nostra specificità. Io rispondo di no: il centrosinistra non si lascia modificare nelle sue opzioni di fondo, è un'alleanza interclassista che rifiuta ogni rottura sistematica non solo e non tanto con pezzi della borghesia ma con l'organizzazione politica di Confindustria.
E' un problema, insomma, di "costituzione materiale"....
E' così vero, questo riferimento, che lo vedi anche sul terreno della guerra. I Ds, ora, hanno scelto di collocarsi risolutamente contro l'aggressione all'Iraq (hanno aderito proprio ieri alla manifestazione del 15 febbraio, ndr. ). Ma nel centrosinistra ci sono forze non certo irrilevanti che tengono aperto un canale forte con gli Stati uniti, il governo Bush e il governo di Tony Blair - del resto, non è forse vero che una parte della socialdemocrazia europea sta, o alla fine starà, con gli Usa?
Ma se, nel prossimo dibattito parlamentare, la Quercia confermasse la sua collocazione pacifista e votasse contro la partecipazione italiana, non sarebbe questa una prova dell'utilità della battaglia "interna-esterna"?
Sarebbe la prova di quello che non ci stanchiamo di ribadire da un pezzo: che l'autonomia del movimento - del movimento che parla di "un altro mondo possibile", che è sceso in piazza contro la guerra fin dal 10 novembre 2001 e che ha schierato, l'anno scorso, a Firenze, un milione di persone per la pace - investe con forza anche la sinistra moderata, la induce a rivedere i propri schemi, la influenza nelle proprie scelte. Di questo non abbiamo mai dubitato: l'allargamento dello schieramento pacifista, la sua capacità di coinvolgere il più vasto numero di forze e di soggetti possibili non è forse un obiettivo essenziale della nostra lotta? E che Rifondazione comunista, insieme alla gran parte del movimento, si sia battuta contro la guerra senza se e senza ma e contro l'aberrazione dell'idea di guerra preventiva, non ha forse concorso a spostare con forza il terreno e le posizioni di tutti? Ricordo - solo perché sia chiaro il senso di questo ragionamento, non per polemica - che la posizione prevalente, nel centrosinistra, all'inizio è stata tutt'altra, tanto che in Parlamento l'Ulivo, come tale, non si è schierato contro la guerra: lo hanno fatto invece 131 parlamentari, in autonomia "trasversale" rispetto alla coalizione e ai suoi gruppi.
Per riassumere...
Il punto essenziale mi pare questo: l'asse strategico dell'Ulivo non è stato modificato nè dall'interno nè dall'esterno. Nè dall'area di sinistra nè dal movimento. Ove ci fosse questa modificazione, che a me non pare nell'ordine delle cose possibili, l'idea stessa dell'Ulivo - la sua "gabbia" - andrebbe in pezzi. Insomma, un conto è l'efficacia della politica, un conto le discriminanti di lungo periodo. Non ripropongo qui la classica distinzione tra tattica e strategia: ripropongo invece, il tema dell'autonomia necessaria dei soggetti - tutti i soggetti, dal Prc ai movimenti - che compongono il campo della sinistra di alternativa.
Tutto questo significa che con il movimento politico di Cofferati - dico così per schematizzare - Rifondazione comunista può avere o no un dialogo concreto, un'interlocuzione positiva?
Noi non abbiamo alcuna avversione pregiudiziale a un rapporto positivo con questo movimento. Abbiamo, anzi, interesse e attenzione. Allo stesso tempo, però, ci sono due questioni che ci dividono...
Quali?
La prima concerne, appunto, ll movimento e le sue sorti: la poniamo con forza proprio perché non riguarda direttamente il nostro partito, ed anche perché può avere una precipitazione nel breve periodo. Il movimento è da tempo sottoposto ad una pressione che lo spinge a riorganizzarsi su basi diverse da quelle attuali, come del resto accade in altri paesi europei. Io credo che qui sia in pericolo proprio l'originalità del movimento italiano, che finora ha gelosamente custodito la propria unità interna (tutti a pari titolo nella determinazione delle scadenze), la propria capacità di sintesi (che aliena, quando raggiunta, le singole sovranità), la "compatibilità" e il reciproco riconoscimento delle diverse posizioni, quando una sintesi comune non sia stata raggiunta. Insomma, sto parlando di quello straordinario risultato - la coppia unità-radicalità - sancito nelle giornate del Social Forum di Firenze: essa può essere sostituita da un'idea di unità fondata sulla mediazione delle organizzazioni. Il rischio, mi pare, è quello di introdurre divisioni tra presenze moderate e presenze radicali. Sull'assemblea del Palasport ho espresso esattamente questa preoccupazione, di fronte ad alcuni inviti e ad alcuni "non inviti". Quel che ritengo essenziale, alla fin fine, è che il rapporto tra forze politiche, soggetti politici, partiti e Movimento si mantenga fedele ad un criterio di interlocuzione generalizzata, da parte di tutti. Noi, come Rifondazione, come forza che da sempre ha scelto di essere anche parte integrante del movimento e della sua costruzione, abbiamo sempre tenuto questa linea di condotta: e come tale il movimento stesso la riconosce. Non è un caso, credo, che anche al prossimo appuntamento di Porto Alegre il Prc sarà tra gli invitati ufficiali.
L'altra questione attiene, penso, alla politica.
E' un'obiezione che attiene, in effetti, al lungo periodo: noi e il movimento politico che fa capo a Cofferati abbiamo due diverse strategie politiche. La sua, è quella di un diverso rapporto di riqualificazione dell'Ulivo, la nostra è la costruzione della sinistra di alternativa. Torniamo, insomma, al punto iniziale: davvero la sinistra italiana non ha altro orizzonte al di fuori del centrosinistra? Noi pensiamo di no. Sulla base di questa chiarezza, fatta salva l'"intangibilità" del Movimento e della sua unità, reso evidente che le prospettive del centrosinistra e dell'alternativa hanno, quantomeno, "pari dignità", si tratta, certo, di costruire convergenze e occasioni di incontro. Sulla guerra, come abbiamo già detto. Su scadenze prossime di grande importanza: come i referendum, in particolare sull'articolo 18 che estende i diritti del lavoro. E sulla Fiat, che è questione capitale del Paese: la nostra ipotesi di nazionalizzazione, o di consistente intervento pubblico, è sul tappeto. Che cosa ne pensa, Cofferati?
Vorrei risponderti senza che ci sia il rischio di fraintendimenti: io credo che l'idea dello spostamento a sinistra dell'asse dell'Ulivo sia una pura illusione, rincorrendo la quale, di sicuro, si corrompe ciò che c'è di radicale e di alternativo nel tessuto della sinistra. Il vero oggetto della discussione è se si debba o no entrare all'interno dell'Ulivo, diventando parte integrante dell'"operazione Cofferati" e temporaneamente archiviando la nostra specificità. Io rispondo di no: il centrosinistra non si lascia modificare nelle sue opzioni di fondo, è un'alleanza interclassista che rifiuta ogni rottura sistematica non solo e non tanto con pezzi della borghesia ma con l'organizzazione politica di Confindustria.
Questa me la segno! Non mi sarei mai aspettato di sentire Bertinotti parlare ancora di borghesia e partiti interclassisti! Grazie al cielo non tutto è stato buttato "su in alto".
falcorosso
19-01-03, 14:35
Mi spiace dover rispondere in questo modo a uno come te soviet, del quale apprezzo la coeranza e la linearità, ma sopprattutto l'onesta delle tue parole, ma solo chi non conosce o non ha meditato a fondo sulla svolta operata da Rifondazione, poteva avere dubbi di questo tipo, siamo e saremo sempre un partito Marxista, ed è Marx che ha fondato il comunismo e organizzato la sua teoria e la sua pratica, ad esso abbiamo aggiunto le profonde riflessioni sulla sua storia fino all'oggi ed i grandi contributi sulla teoria del partito e della rivoluzione di grandi pensatori, partendo da Gramsci per arrivar a Napoleoni, quindi nessuna sorpresa, non è la rigidità che fa un comunista, ma la complessità delle domande che si pone nel suo pensare o nel suo agire.
Originally posted by falcorosso
Mi spiace dover rispondere in questo modo a uno come te soviet, del quale apprezzo la coeranza e la linearità, ma sopprattutto l'onesta delle tue parole, ma solo chi non conosce o non ha meditato a fondo sulla svolta operata da Rifondazione, poteva avere dubbi di questo tipo, siamo e saremo sempre un partito Marxista, ed è Marx che ha fondato il comunismo e organizzato la sua teoria e la sua pratica, ad esso abbiamo aggiunto le profonde riflessioni sulla sua storia fino all'oggi ed i grandi contributi sulla teoria del partito e della rivoluzione di grandi pensatori, partendo da Gramsci per arrivar a Napoleoni, quindi nessuna sorpresa, non è la rigidità che fa un comunista, ma la complessità delle domande che si pone nel suo pensare o nel suo agire.
Sono uno di quelli che non hanno mandato giù la defenstrazione di Lenin dallo statuto...
... ad ogni modo apprezzo l'attuale politica del PRC, capace, in rispetto della tradizione comunista, di dire qualcosa fuori dal coro, anche a costo di insulti... ne è un esempio proprio la battaglia sull'articolo 18.
falcorosso
20-01-03, 12:03
vedi, del nostro nuovo corso, chiamiamolo così, fanno parte anche la distruzione delle icone, esse erano quelle immaginette che permettevano , e permetteno a tanti di fare e disfare in nome di, ma poi guardando fino fondo il loro fare ed agire o scolasticamente o ponendo sempre l'iimaginetta davanti per giustificare le peggio cose, lenin è in noi, come lo sono però altre decine di pensatori, che poco sono stati letti e conosciuti perchè non avevano lo stesso appeal nei confronti dell'immaginario popolare, pensa alee innovazioni che ad esempio ha portato un pensatore come Gramsci, o Napoleoni, o Luchas, o Benjamin, tutti grandi pensatori, ma se guardiamo ai contemporanei sono molti quelli che hanno contribuito a sempre nuove elaborazioni del marxismo, elaborazione non revisionistiche, cioè che mantenevano la rafdice del nostro essere, quel materialismo diakettico che è la base filosofica del nostro pensare ed agire.
Tutto questo per dirti che molto spesso si è avuto uno sfruttamento di immagine di Lenin, piazzato sulle tessere, sulle bandiere, negli stutiti e ogni tre frasi negli scritti, ma poi analizzando fino in fondo quanto vi ers di lui del suo pensiero nella azione e nelle idee di quelli che così tanto ne abusavano.
Abbiamo deciso di smetterla con questa pratica, in modo definitivo, il suo ed il pensiero di tanti altri sono la nostra pratica , il nostro analizzare e fare inchiesta prima di decidere ed agire, è come la cultura di fondo ci permette di esprimere pensieri ed idee, non è friutto di uno o due, ma di tutti coloro che hanno agito e fatto, questa è la cultura di sinistra, non quella delle immaginette e delle citazioni.
Ok... ad ogni modo credo che l'unica discriminante perchè uno si definisca "comunista" sia l'accettazione delle teorie marxiste; ci può benissimo essere qualcuno che non aderisca alle teorie leniniste e nessuno può negargli l'appellativo "comunista" se riconosce il pensiero di Marx (in quanto fondatore).
L'importante è che questa "deleninizazione" formale del partito sia dovuta al ragionamento che ho fatto qua sopra e non ad una posizione ufficiale di avversione al leninismo.
Ciò nontoglie che la mia posizione resta (magari un po' da inutile nostalgico) attaccata al povero Vladimr Il'Ich (di cui domani ricorre il 79 anniversario di morte)
falcorosso
21-01-03, 00:58
Tutti noi siamo legati a Lenin, un po meno all'uso che di lenin viene fatto dai leninisti
Paddy Garcia (POL)
20-02-03, 13:11
Bertinotti: l´Ulivo guarda solo alle convenienze
La Stampa 20/2/2003
ROMA E´ uno dei protagonisti indiscussi di questa giornata. Anzi, per quel che riguarda l´opposizione è il protagonista con la p maiuscola, giacché il suo partito è il solo che ha presentato una mozione che dice «no alla guerra senza se e senza ma». Tant´è vero che l´Ulivo ha litigato e si è diviso sull´atteggiamento parlamentare da assumere nei confronti di quel documento, e un signore come Armando Cossutta, che con il leader del prc, dalla scissione in poi, è in pessimi rapporti, è stato costretto a dare il voto favorevole al testo di Rifondazione comunista.
Onorevole Bertinotti, come giudica l´atteggiamento dell´Ulivo in questa vicenda parlamentare?
«La verità, e lo dico con dispiacere, è che loro guardano alle convenienze, alle alleanze politiche, a prescindere, come diceva Totò. Cioè a prescindere da quei tre milioni che sono scesi in piazza e che chiedevano una risposta politica che il centrosinistra non ha fornito. Il loro interesse principale, anche in una vicenda drammatica come questa, era quello di come posizionarsi politicamente».
Però, seppur con mediazioni e compromessi, anche la mozione dell´Ulivo dice di no alla guerra all´Iraq.
«Il problema è che quelli del centrosinistra dicono tutto e il contrario di tutto. Ma su temi come quello della guerra non lo si può fare. Al limite si può pensare alle convenienze politiche e alle alleanze quando di discute di un contratto di lavoro, ma qui stiamo parlando di un evento drammatico, di una tragedia imminente, dell´approssimarsi della guerra, insomma. E la mozione del centrosinistra non esclude il conflitto. Contiene qualche freno alla guerra e però riconosce che la soluzione finale di questa vicenda internazionale è la guerra. La verità è che con questo voto in Parlamento il centrosinistra ha perso una grande occasione».
Ma dicendo "no alla guerra senza se e senza ma" si sarebbero spaccati.
«E´ la riprova che guardano solo alle convenienze. E quindi hanno deciso di rinviare il problema seguendo questo ragionamento: se l´Onu non avvallerà il conflitto non ci divideremo, altrimenti ci si spaccherà, ma dopo. Il risultato è una mozione piena di ambiguità».
Di contro, il centrosinistra critica il fatto, per esempio, che voi non abbiate come punto di riferimento le Nazioni unite.
«Ma è un errore affidarsi all´Onu: se le Nazioni unite fossero coinvolte nella guerra sarebbero completamente screditate».
Nell´Ulivo, comunque, c´è chi ha votato a favore della vostra mozione: il correntone ds, per esempio.
«Sì, questo è chiaramente il sintomo di un disagio, di una contraddizione che stanno vivendo».
m.t.m.
Paddy Garcia (POL)
28-04-03, 20:25
PARLA IL LEADER DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
Bertinotti a Cofferati: se scegli la libertà di voto ti contraddici
ROMA SERGIO Cofferati non è favorevole al referendum e i suoi uomini in Cgil sono schierati contro il “sì” proposto da Guglielmo Epifani, che ne pensa, onorevole Bertinotti? «Mi stupirei e mi dispiacerebbe molto se Cofferati proponesse ai ds la libertà di voto».
Ai ds? Si parla della Cgil, segretario.
«Non capisco cosa c’entri la Cgil, Cofferati non ne è più il segretario».
Lei dice che una scelta del genere da parte di Cofferati la sorprenderebbe: perché mai?
«Perché per lui equivarrebbe a contraddire il suo programma politico».
C’è però chi ritiene che la freddezza di Cofferati sia dettata anche dal fatto che lei voglia utilizzare lo strumento referendario come un’arma contro di lui, perché il suo ingresso in politica potrebbe togliere consensi a Rifondazione comunista.
«Questa è una versione strumentale e falsa. Basta ricostruire la cronologia: la raccolta di firme per questo referendum è cominciata prima del dibattito interno ai ds e del protagonismo politico di Cofferati. L’iniziativa è nata per dare uno sbocco offensivo alla lotta difensiva, condotta anche dalla Cgil, contro la manomissione dell’articolo 18. Se poi si vuol dire che il referendum gioca un ruolo attivo nei processi politici, allora io rispondo: sì, per fortuna».
La Cgil, comunque, nonostante Cofferati, sembra orientata a schierarsi per il “sì” al referendum.
«Già, confermando anche questa volta il suo ruolo autonomo».
Dunque, la linea di Epifani la trova d’accordo.
«E’ un fatto positivo, mentre il rovescio della medaglia sono i movimenti di chi, nel sindacato, lavora per impedire questa soluzione. E’ importante che il campo delle forze che sostengono i referendum si sia ampliato rispetto a quello di coloro che lo promossero e raccolsero le firme. E’ un elemento politicamente rilevante. E’ importante che la più grande organizzazione dell’associazionismo, l’Arci, abbia deciso per il “sì” al referendum e che la maggiore organizzazione sindacale, la Cgil, abbia proposto di schierarsi a favore del quesito».
Però è una scelta molto combattuta quella della Cgil, come lei sa la segreteria si è spaccata, i cofferatiani sono contrari alla linea di Epifani...
«Una grande organizzazione sociale non può non assumere come bandiera la battaglia contro i licenziamenti ingiustificati. Non si può combattere per 364 giorni l’anno per i diritti dei lavoratori e poi abdicare al proprio ruolo il giorno del referendum. Questo è un ragionamento dettato da logiche partitiche che possono fare le forze politiche, sbagliando».
Si riferisce all’Ulivo?
«Nel centrosinistra si pensa che opporsi al referendum serva ad accreditarsi presso i settori più rilevanti del Paese, presso la borghesia imprenditoriale. Si punta a competere al centro con la destra. E questo è un errore».
Onorevole Bertinotti, i ds sembrerebbero propensi a optare per la libertà di voto.
«Peggio mi sento. Per una forza politica scegliere la formula della libertà di voto rispetto a un tema a così alta densità programmatica equivarrebbe a dimettersi dai propri compiti e dal proprio ruolo. Sarebbe come dire che quella forza politica non esiste, che si autocancella sfilandosi dalla contesa programmatica».
Una parte del centrosinistra discute sull’opportunità di boicottare il referendum facendo mancare il quorum...
«E’ una delle modalità di lotta ai referendum. Ed è la peggiore. Che cosa avrebbero pensato gli italiani se all’epoca del referendum sul divorzio le forze politiche avessero optato per questa linea? Avrebbero pensato che erano prive di senso civile. A meno che non si consideri la questione dei diritti dei lavoratori di minore importanza... Ma non lo voglio credere: l’invito a non recarsi alle urne in questo caso sarebbe di maggiore gravità rispetto al famoso “andate a mare” di Craxi. Insomma, con questo referendum si affronta un problema fondamentale: quale modello sociale si vuole affermare nel nostro Paese?».
E secondo lei ds e Margherita non vorrebbero affrontare questo problema?
«Io dico: Ulivo, su questo si parrà la tua nobilitate. La verità è che mentre il centrodestra ha un modello preciso - aumentare la flessibilità, abbassare i salari e comprimere i diritti - il centrosinistra ha cento modelli diversi, che è come non averne nessuno».
Insomma, segretario, per lei libertà di voto e astensione dalle urne, sarebbero scelte incomprensibili.
«Sarebbe come se negli anni 60, durante la lotta per gli aumenti salariali, una forza politica di sinistra avesse dichiarato di non avere un’opinione su questo tema. Non si può rispondere “boh, non lo so” a problemi come questi».
Fatto sta che nell’Ulivo questo referendum non va per la maggiore.
«E pensare che se, come mi auguro, scattasse il quorum e vincessero i “sì” si avvierebbe un vero processo politico di costruzione di un’alternativa. Come non si fa a capire che il successo del referendum rappresenterebbe la prima sconfitta di Berlusconi e che quindi costituirebbe un’occasione importante per l’opposizione?».
Da "La Stampa" 28 apile 2003
Ma la sinistra alle prossime elezioni come si presenta, ogni deputato una lista ?
Paddy Garcia (POL)
07-07-03, 20:09
Bertinotti: basta con il maggioritario
Ma il premierato svilisce le Camere
Gianna Fregonara
ROMA - E’ pronto a iscriversi al dibattito e a farne una vera e propria battaglia. E non è solo perché il suo partito potrebbe averne un vantaggio, che Fausto Bertinotti preferisce il sistema proporzionale. Ma sulle possibilità che il rilancio della discussione sulla legge elettorale possa portare a qualche risultato Bertinotti è cauto: «Il tema è molto serio, ma la decisione che lo spinge all’ordine del giorno ha origine da ragioni congiunturali. Comunque finalmente si certifica la crisi del maggioritario, che ha provocato un astensionismo inquietante: un terzo dell’elettorato non partecipa al voto e sono di solito le persone più marginali, escluse, gli ultimi che non si sentono rappresentati. Quella introdotta dal maggioritario è una vera e propria malattia del sistema: si riduce il peso dei partiti nella società, trasformandoli in coalizioni elettorali che diventano a loro volta puri supporter di leader e poi, nei casi come Berlusconi, vere e proprie patologie del sistema. Col proporzionale il Parlamento, le istituzioni e la democrazia erano permeabili alla società civile. I movimenti della società diventavano protagonisti: uno sciopero generale provocava la caduta del governo».
Questo è successo anche nel 1994 a Berlusconi, quando si votava con il maggioritario.
«No, lì è stato un conflitto interno alla compagine di governo che ha fatto cadere l’esecutivo. Quando c’era il proporzionale era diverso. Negli Anni Settanta, pur in presenza di un governo non in sintonia, è stato fatto lo Statuto dei lavoratori con il Pci».
Non negherà che il proporzionale è stato tra le cause dell’instabilità dei governi.
«Non direi, abbiamo avuto quarant’anni di Dc e non è stato peggio dell’asse Bossi-Berlusconi-Fini».
Ci sono stati oltre cinquanta governi in cinquant’anni.
«In Germania c’è il proporzionale e ha garantito l’alternanza di conservatori cattolici e socialdemocratici».
Lei propone il cancellierato?
«Sì, addirittura mi piacerebbe un sistema con un Parlamento più forte e un premier più debole, ma il modello tedesco può andar bene: la società civile e il Parlamento hanno un ruolo strategico nella decisione».
Berlusconi pensa al sistema con cui si eleggono i consigli provinciali. Le va bene lo stesso?
«No, il sistema provinciale è un sistema presidenziale, e io credo che debba essere messa da parte ogni spinta presidenzialista».
Bossi dice che prima di discutere di legge elettorale bisogna fare il Senato delle Regioni. Si può fare?
«Se la discussione parte così è morta. Stiamo parlando di un problema gravissimo per la democrazia, non se ognuno deve piazzare la propria bandierina su una riforma».
Nelle settimane scorse si è parlato dell’accordo di Rifondazione con l’Ulivo per le politiche. Il ritorno al proporzionale rischia di mettere in crisi questi programmi?
«Il nostro schema non cambia perché noi ricerchiamo, qui e ora, convergenze su obiettivi comuni contro Berlusconi».
Corriere della Sera 7 luglio 2003
adesso il 'capo' se ne viene col cancellierati alla tedesca. A me il premierato forte piace, peccato che a goderselo ci sia Belruscao adesso.
Paddy Garcia (POL)
07-07-03, 20:46
Il PRC si è sempre battuto per un sistema proporzionale.
Sul premierato mi soprendi: sarebbe la morte del parlamento e quindi della democrazia rappresentativa. Sarebbe una specie di maggioritario mascherato da proporzionale.
P.G.
il premierato misto non credo sia la morte di nessuna democrazia. In fondo è giusto che se io sono il Premier goda di poteri se no cosa ci sto a fare? solo per dire 'si questa legge l'approvo' no questa no? e scusa.
Paddy Garcia (POL)
07-07-03, 21:05
Le derive personalistiche non mancherebbero (e non è un caso che lo proponga Berlusconi).
Ed è un sistema che può essere causa di forti frizioni – che possono giungere anche alla paralisi istituzionale – nel caso in cui il parlamento non si d'accordo con il premier (vedi GB).
P.G.
Dacchè le nostre "democrazie" vengono chiamate rappresentative... il detentore del potere legislativo dev'essere il rappresentate del popolo, il parlamento, che deve rappresentare la composizione del popolo, dunque eletto proporzionalmente.
Il maggioritario e il presidenzialismo sono forme di dittatura della maggioranza.
Adesso i "comunisti" si mettono a discutere di quale sia la legge elettorale borghese migliore. Mah!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
In origine postato da ulianov
Adesso i "comunisti" si mettono a discutere di quale sia la legge elettorale borghese migliore. Mah!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Dacchè si deve combattere il sistema dall'interno... tanto vale forgiare le armi della borghesia a nostro piacimento...
In origine postato da soviet999
Dacchè si deve combattere il sistema dall'interno... tanto vale forgiare le armi della borghesia a nostro piacimento...
Qualsiasi tipo di sistema elettorale non procura nessun avanzamento alla lotta di classe
io sono contro il proporzionale:
1) favorisce la destra
2) i piccoli partiti tipo lega e rifondazione avrebbero più potere d'interdizione
3) le più grandi democrazie del mondo sono maggioritarie(stati uniti, gran bretagna, francia)
con il maggioritario secco invece:
1) lega e rifondazione avrebbero meno potere d'interdizione perchè se vanno da sole non beccano neanche un deputato
2)ci sarebbe più stabilità di ora
come le ladies dell'antica Grecia chiamavano il "dildo
tranquillo, il dildo ce lo mettono anche senza democrazia.
scusate ma la gringocrazia cos'è?
In origine postato da benfy
io sono contro il proporzionale:
1) favorisce la destra
2) i piccoli partiti tipo lega e rifondazione avrebbero più potere d'interdizione
3) le più grandi democrazie del mondo sono maggioritarie(stati uniti, gran bretagna, francia)
con il maggioritario secco invece:
1) lega e rifondazione avrebbero meno potere d'interdizione perchè se vanno da sole non beccano neanche un deputato
2)ci sarebbe più stabilità di ora
1) ??? Ma se continuate a ripetere che in termini di voti superereste il centrodestra, ma è solo per via della localizzazione dei voti che avete perso!! Perlomeno mettetevi d'accordo sulla balle da raccontare (tralatro... cosa vuol dire che un sistema favorisce una certa parte politica? bella democrazia che hai in mente)
2) E questo è un male! Bel democratico che sei, la scomparsa di numerosi partiti rappresenta un bene per la democrazia.
Fralaltro col maggioritario un partito di belve semiumane con il 4% dei consensi tiene in scacco il governo...
3):D :D :rolleyes: ...te l'han mai detto che Babbo Natale non esiste?
Paddy Garcia (POL)
24-07-03, 16:24
Forum di Fausto Bertinotti con la redazione di Liberazione
L'altra Europa, spazio pubblico
L'incontro con Fausto Bertinotti, che si è svolto ieri mattina qui a Liberazione, ha avuto un tema, o meglio, una dimensione privilegiata: l'Europa. Si è discusso, naturalmente, del movimento e del suo rapporto con la politica, della cruciale questione dell'efficacia dei risultati, delle difficoltà dei governi di destra in Italia e nel mondo, delle prospettive di un nuovo "patto" tra Prc, sinistra alternativa e centrosinistra per battere la destra, ma anche i disegni neocentristi. Ma tutta la discussione, appunto, aveva l'Europa come proprio teatro, non più ormai come orizzonte del futuro prossimo, ma come cornice concreta del presente. Tra i passaggi più significativi del segretario di Rifondazione comunista, quello della necessità di un mutamento di campo del conflitto politico e sociale: «Rispetto alla dimensione tradizionale della lotta, determinata dai confini nazionali dei singoli Stati» dice Bertinotti «noi dobbiamo splafonare in alto, verso l'Europa, e in basso, verso il territorio. Vi sono garanzie e tutele che oggi si devono e si possono concentrare sul livello continentale. E vi sono proposte, o leggi, dell'avversario che si può tentar di scardinare soprattutto a partire dal territorio, dal radicamento locale. Un'ipotesi che concerne i movimenti quanto la sinistra di alternativa». Torneremo più avanti su questo concetto. Intanto, ecco una sintesi del Forum.
Fausto Bertinotti
La prima questione concerne, se posso usare un'analogia epistemologica, le lenti che vanno inforcate in questa fase: qual è, dal nostro punto di vista, dalla nostra peculiare collocazione, la contraddizione principale. Io credo che essa consista nello scarto drammatico tra l'ampiezza quantitativa e qualitativa del movimento - anzi, dei movimenti, intesi in tutte le loro diverse e articolate iniziative - e la scarsità dei risultati ottenuti. Siamo all'interno - lo ripeto - di una contraddizione vistosa tra la ripresa su grande scala delle lotte, la forza che si è saputo mettere in campo, l'egemonia che a larghi tratti è stata esercitata - e la sconfitta che al momento abbiamo subìto. Intendiamoci bene: non siamo negli anni Ottanta, sarebbe del tutto sbagliato abbandonarsi a un pessimismo analogo a quello che seguì il grande buio di quel decennio. Anche perchè la differenza è proprio rilevante: la débacle di allora intervenne sull'organizzazione della soggettività politica, e chiuse un ciclo; la sconfitta di oggi, all'opposto, è all'interno di un ciclo nuovo. E' paragonabile al tempo della semina, piuttosto che del raccolto.
Tutto questo, certo, non può bastare a tranquillizzarci: pericoli di stabilizzazione moderata o di nuove intense tempeste, rotture, guerre sono tanto evidenti quanto incombenti. Dunque, in questa fase, nel prossimo autunno, l'efficacia della politica - della nostra politica - resta il tema cruciale: come si riesce a introdurre una prassi di riforme; come si riescono a praticare obiettivi che invertano le tedenze a tutt'oggi dominanti, la guerra e le pratiche neoliberiste.
Seconda questione: l'analisi delle forze dominanti, che credo vada aggiornata, contro le coazioni a ripetere. Le destre oggi al potere - Berlusconi e Bush, per citare due protagonisti dell'attualità - continuano a essere prevalenti, ma la loro maggior debolezza mi pare evidente: il fatto è, per limitarci all'Italia, che una parte della borghesia e una parte delle alte gerarchie ecclesiastiche, che avevano puntato su Berlusconi, considerano disattese le promesse e gli impegni pattuiti e manifestano di conseguenza una crescente sfiducia. Perciò, queste destre non si trovano di fronte soltanto, come antagonista, la superpotenza mondiale rappresentata dai movimenti, ma un nuovo, e più insidioso, avversario "interno". Questo avversario è il neocentrismo, e il suo involucro è l'Europa: stiamo assistendo ad una vera e propria costruzione, cementata da un'ispirazione comune larghissima. E' l'idea di un'Europa differente ma complementare e compatibile con gli Stati uniti d'America. Un'Europa dove ci sono molti vuoti - la pace, i diritti sociali e del lavoro, la partecipazione democratica - ma dove sono i pieni ad allarmare. Il nuovo continente nasce a-democratico, senza sovranità popolare. Non è la provincia americana, come è stato spesso, è tendenzialmente il partner principale degli Usa, e con esso si accinge a governare il mondo. Non cancella del tutto il proprio modello sociale e la propria civiltà, ma li adegua, appunto, alla prospettiva di una nuova partnership e punta a dotarsi anche di un autonomo sistema di difesa.
Alla domanda sul come si vince, dunque, rispondo così: si vince non solo contro le destre regressive, per altro in declino, ma anche contro questa costruzione di centro.
Terza e ultima questione, vale a dire la nostra proposta politica di fase. Essa ha senso a partire dal potenziamento dei movimenti, per determinare un processo politico non separato, un circolo virtuoso nel rapporto tra gli stessi movimenti e la politica. Quando abbiamo detto che quel che si deve avviare, nei confronti dell'Ulivo, è un dialogo tra e con tutte le forze d'opposizione, non abbiamo proposto una formula, o un imbellettamento retorico: la modalità del percorso, la partecipazione dei soggetti organizzati, la qualità dei contenuti e degli obiettivi costituiscono una discriminante di essenziale importanza. La stagione del rapporto tra centrosinistra e Rifondazione comunista, due potenze di diversa entità che più o meno avviano e concludono un negoziato autarchico, è definitivamente alle nostre spalle: è morta. Oggi va avviato un circuito diverso, con un confronto tra tutti, ed un'eventuale convergenza privilegiata tra le forze più affini, o più tra loro omogenee: la sinistra alternativa di oggi può nascere anche all'interno di queste possibili sinergie, in questo percorso di costruzione.
In questo processo, io credo che si debba concepire un mutamento del campo del conflitto. Lo Stato nazionale, i suoi confini, non sono più sufficienti e, talora, non sono adeguati alle nuove caratteristiche del conflitto stesso. D'altra parte, viceversa, sinistra alternativa e movimenti soffrono molto spesso di insufficiente radicamento locale. Insomma, secondo me, bisogna splafondare in alto, verso la dimensione europea, in basso verso quella locale. Essa, del resto, propone subito la necessità di scalare altri livelli - ma può consentire, intanto, di scardinare progetti e pratiche dell'avversario difficilmente aggredibili in toto. Per ciò che concerne l'Europa - l'altra Europa per la quale intendiamo batterci - cominciamo col mettere in fila gli appuntamenti del prossimo autunno: la nostra manifestazione nazionale (che dovremo ridimensionare), a fine settembre, il corteo del movimento il 4 ottobre, poi, di seguito, la marcia Perugia-Assisi e il Forum Sociale Europeo di Parigi. Non è un elenco, ma un programma politico in nuce. Ecco, il nostro compito - quello di Rifondazione comunista - è proprio la sua trasformazione in vero e proprio progetto di fase.
Claudio Jampaglia
A proposito del rapporto tra movimento e politica: i no global non sono una classe, ma un arcipelago internazionale, globale e locale. Con una preponderanza della dimensione etica. Non rischiamo di caricarlo di compiti politicamente più grandi di lui? E poi: qual è il percorso dei movimenti rispetto ad obiettivi di carattere "riformistico", un termine che resta ambiguo?
Fausto Bertinotti
E' vero che il movimento ha natura fortemente etica. A condizione di considerare questa eticità un carattere originale di rapporto con la politica, con propri percorsi autonomi. Lo abbiamo verificato proprio sul terreno più significativo, la guerra. Durante l'attacco all'Afghanistan, il rigetto morale non si trasformò, nel movimento, in una posizione esplicita. A Firenze, alla vigilia dell'aggressione all'Iraq, il No alla guerra diventò invece scelta comune e convinta del movimento, insieme al rifiuto della «terza via». Un processo di politicizzazione che ha consentito ai no global di diventare la spina dorsale del movimento pacifista. Come lo intercetti? Con un rapporto di scambio. Mi convince molto la posizione del presidente dell'Arci, Tom Benetollo: non è detto che vada chiamato "patto". L'idea giusta, comunque, è che forze che hanno condotto un'esperienza in comune dalla forte valenza programmatica entrino in relazione con la politica. Questo è positivo anche per il Prc che, rivendicando la sua internità al movimento, può intervenire fattivamente nel rapporto tra le opposizioni, nella proposta di obiettivi o precise proposte legislative.
Ivan Bonfanti
A proposito della centralità che sempre di più la dimensione europea acquisterà, rispetto a quella degli Stati nazionali, a che punto è l'elaborazione della sinistra europea, per esempio nel Gue?
Fausto Bertinotti
I processi politici della sinistra europea sono in gravissimo, clamoroso ritardo. Per questo, secondo me, una accelerazione è necessaria - a partire dai temi della Convenzione, ma anche da quelli sociali (le pensioni). Sarebbe auspicabile, anche, dar vita a un partito europeo, a cominciare dal nucleo delle forze disponibili.
Alessandro Curzi
Condivido la necessità di rompere gli schemi tradizionali, e credo che questo impegno dovrà coinvolgere anche il giornale. Non sarà semplice. Si tratta, mi pare, di porre l'Europa in primo piano: per noi significa andare a fondo non solo sui temi sociali, ma sulle grandi quesitoni, per esempio, della cultura, delle istituzioni, della formazione. E anche, secondo me, della difesa: siamo proprio sicuri che non serva un vero e proprio esercito europeo? Non sarebbe essenziale per sancire una ben diversa autonomia della nuova Europa dagli Stati uniti e, più in generale, sulla politica internazionale?
Fausto Bertinotti
No, non sono d'accordo con la proposta di Solana e non credo che l'Europa debba dotarsi di un proprio sistema di difesa. Ma riconosco a questo problema una precisa «verità interna». Provo a spiegarmi. Se dovessi dire qual è il maggior ostacolo ad un accordo col centrosinistra, non direi, malgrado la mia radicata propensione sociale e "sindacale", che esso concerne la politica economica e sociale: ma la politica estera. E neppure la contesa pace\guerra (è difficile oggi per chiunque opporsi ad un impegno di pace e pacifista), ma, appunto, l'idea più generale dell'Europa. Che cos'è la costruzione neo-centrista se non lo sviluppo più conseguente dell'asse franco-tedesco? Esso si è manifestato, nelle settimane che hanno preceduto la guerra in Iraq, come un'alleanza non volgarmente servile: due grandi Stati che non si piegano ai diktat di Bush, ma neppure rompono con gli Usa. E si propongono come il cuore di un'Europa che rende se stessa compatibile con la guida nordamericana della globalizzazione. In questo quadro, capisco il senso di una proposta di esercito europeo: proprio per questo la vedo come una proposta allarmante, e molto insidiosa.
Ad essa si può dire no prima di tutto per ragioni etiche, sulla base di un'istanza di tipo religioso o cristiano: perchè, appunto, si è contrari ad ogni forma di armamento e nuovo armamento. Ma questo tipo di rifiuto, dal nostro punto di vista, non basta. Il nostro No a un'Europa armata può esser praticato, e può diventare efficace, solo all'interno di un progetto politico diverso. Se siamo cioè in grado di proporre davvero altre priorità - come per esempio nuove istituzioni della cultura, della formazione, della ricerca scientifica - che collochino su un altro piano il problema della forza politica dell'Europa.
Stefano Galieni
Passo ad un altro tema. Nel mio ambito di lavoro politico, i migranti, mi pare di cogliere una crisi di rapporto tra Rifondazione comunista e i movimenti, i soggetti in carne ed ossa che lavorano sulle questioni del razzismo, dell'immigrazione e, così via. L'accusa è che noi siamo pronti a "normalizzare" la protesta, in funzione dei nostri progetti - si fa per dire - di governo.
Fausto Bertinotti
Io faccio un'altra analisi, anche se penso che tu ti stia riferendo a situazioni reali, interne a un circuito di ceti politici che si rapportano al movimento in termini, se così possiamo dire, non del tutto innocenti. D'altra parte, noi di Rc siamo spesso oggetto di critiche tra di loro praticamente contrapposte. Penso al gentile articolo di Giuseppe Chiarante, sulla Rivista del Manifesto, che ci accusa di voler portare a compimento un'alleanza col centrosinistra che schiaccia tutte le forze intermedie tra noi e i vertici Ds: il fallimento della costruzione di un'area «cofferatiana» sarebbe da imputare, insomma, prima al nostro boicottaggio che non alle scelte del suo leader! Viceversa, c'è chi pensa che ogni avvio di dialogo con l'Ulivo non può che inquinarci. Capisco comunque che, dalla tua specifica ottica politica, le preoccupazioni possano essere molto serie - penso alla legge Turco-Napolitano. Appunto. Tra i nostri impegni, ci sarà certo anche quello di un nuova politica sull'immigrazione.
www.liberazione.it
Parla il leader di Rifondazione comunista: "Semmai è
più seria l´ipotesi di una forza di
alternativa
riformista con un vero respiro europeo"
"No alla lista unitaria per le europee è
un´idea da centrosinistra d´antan"
Bertinotti boccia la proposta Prodi: al Paese non
interessa
Ma quale che sia la formula il nostro rapporto con
l´Ulivo va avanti
GOFFREDO DE MARCHIS
da Repubblica - 27 agosto 2003
ROMA - Onorevole Bertinotti, com´è l´ipotesi della
lista unica dell´Ulivo vista da vicino, cioè da
Rifondazione comunista?
«Diciamo la verità, io vedo solo una grande freddezza
e nessun entusiasmo, la lista unica non suscita nel
Paese una discussione appassionata. La nostra
posizione comunque è chiara: è come mettere un
abito vecchio su un corpo completamente nuovo. Nel
campo del centrosinistra, durante l´ultimo anno, c´è
stata un´evoluzione importante, nei rapporti con i
movimenti sui temi della pace e della globalizzazione
e
persino nell´esperienza delle elezioni per le
provinciali
dove siamo riusciti a mettere insieme tutte le forze
d´opposizione alla Casa delle libertà. Diversa è la
prospettiva della nascita di una forza riformista con
un respiro europeo. Questo è uno sbocco non banale,
sul quale io non sono d´accordo, ma raccolgo la
sfida, può essere un´ipotesi seria e mi interessa. La
ricostruzione di un centrosinistra d´antan invece non
mi interessa e basta».
L´eventuale successo della proposta-Prodi
complicherebbe i rapporti con il suo partito?
«No. Quale che sia la forma che si dà l´Ulivo, ormai
il
rapporto con Rifondazione si basa su un obbiettivo
comune: come fare un´opposizione efficace al
governo Berlusconi e accelerarne il declino per non
fargli finire la legislatura. È un compito
fondamentale
che va ben al di là delle formule politiche. E adesso
non siamo solo noi e loro a dialogare, adesso il
campo
delle forze d´opposizione va oltre il perimetro del
centrosinistra e il rapporto è più facile».
Amato però propone di avviare un confronto con il
Polo sulle riforme. Un discorso che può riguardarvi
se
si parla anche della riforma elettorale in senso
proporzionalistico.
«Nella tesi di Amato quello che non mi convince è il
punto di partenza. Chi immagina un dialogo con
Berlusconi e la sua maggioranza non vede la crisi
della
democrazia, ragiona come se vivessimo in condizioni
normali. E partire dall´ipotesi del premierato non
farebbe altro che accentuare una crisi che si
sviluppa
a livello europeo, nazionale e locale. L´Europa è
"a-democratica". Non esiste la sovranità popolare,
non esiste una forma costituzionale di governo tanto
che per assurdo il potere legislativo e quello
esecutivo sono la stessa cosa. Sul piano nazionale la
politica subisce l´offensiva presidenzialista di tipo
manageriale che non può avere niente a che fare con
la democrazia. Ecco: inseguire il Polo su questo
terreno è come prendere lucciole per lanterne. A
livello locale, si accentua il potere degli
amministratori
e allo stesso tempo gli si tagliano le risorse
costringendoli a soffocare il pubblico dando spazio
ai
privati. Detto questo, la prima cosa da fare non è
dialogare con il Polo ma convocare gli Stati generali
delle opposizioni e aprire un discorso di fondo sulla
democrazia. Invece di parlare del superpremier
parliamo della mancanza di potere dei lavoratori.
Sarebbe davvero una contraddizione discutere di
bilancio partecipativo a Porto Alegre con Veltroni e
Domenici e poi, tornati in Italia, mettersi intorno a
un
tavolo con Berlusconi per affrontare il tema dei
poteri
del premier».
La coperta comunque è sempre troppo corta. Se non
sono le riforme istituzionali, spunta la riforma
delle
pensioni e il centrosinistra non deve tirarsi
indietro,
dicono i leader.
«Imporre a chi ha svolto un lavoro alienante e
ripetitivo per 35, 36 anni di rimanere in fabbrica è
come far lavorare un bambino. Quello delle pensioni è
un terreno su cui c´è molta confusione, ma non
manca la convergenza tra le forze dell´opposizione e
le forze sociali. E c´è un dato di fatto: non c´è
alcuna ragione d´intervento sul sistema previdenziale
dal punto di vista delle compatibilità economiche.
Che
mi parli di patto tra le generazioni un governo che
ai
giovani offre la precarietà e agli anziani propone la
rottura di un diritto sociale acquisito è
inaccettabile.
Se mi dicono che è un ingiustizia trattare allo
stesso
modo chi fa un lavoro creativo e chi invece ne svolge
uno alienante, sono disposto ad ascoltare. Ma di
fronte a una proposta generalizzata il mio rifiuto è
radicale».
Lei ha detto che va bene Prodi come candidato
premier ma vedrebbe con favore anche un Ds.
Significa che preferisce la seconda soluzione?
«Significa che per noi non ci sono pregiudiziali. Ma
che non mi piacciono le candidature costruite sul
diritto ereditario. Questo vale per Prodi e anche per
altri. Mi piacerebbe che la leadership emergesse
durante la costruzione del progetto comune, che
derivasse la sua autorevolezza da questo percorso.
Mitterrand diventa leader delle sinistre francesi
perché fa Epinay, non perché viene calato dall´alto.
Possibile che nessuno in Italia abbia l´ambizione di
percorrere la stessa strada?[b/]».
È vero che prima o poi Rifondazione cambierà il nome
rinunciando alla definizione di comunista?
[b]«C´è un clima di attesa, molti, anche nei movimenti,
considerano il riferimento comunista un fardello
troppo pesante. Secondo me si sbagliano, essere
comunisti oggi è una sfida per il futuro. Però
possiamo
costruire insieme la risposta. Io Tarzan, tu Jane. Io
sono comunista, tu no. Ma possiamo camminare
vicini».
Capitano Nemo
30-08-03, 16:16
In origine postato da yurj
Parla il leader di Rifondazione comunista: "Semmai è
più seria l´ipotesi di una forza di
alternativa
riformista con un vero respiro europeo"
"No alla lista unitaria per le europee è
un´idea da centrosinistra d´antan"
Bertinotti boccia la proposta Prodi: al Paese non
interessa
Ma quale che sia la formula il nostro rapporto con
l´Ulivo va avanti
(.....)
È vero che prima o poi Rifondazione cambierà il nome
rinunciando alla definizione di comunista?
«C´è un clima di attesa, molti, anche nei movimenti, considerano il riferimento comunista un fardello
troppo pesante. Secondo me si sbagliano, essere
comunisti oggi è una sfida per il futuro. Però
possiamo costruire insieme la risposta. Io Tarzan, tu Jane. Io
sono comunista, tu no. Ma possiamo camminare
vicini».
"Un noto adagio dice che se gli assiomi della geometria urtassero gli interessi degli uomini, si sarebbe cercato di confutarli. Quelle dottrine delle scienze storiche e naturali che colpiscono i vecchi pregiudizi della teologia hanno provocato e provocano tuttora una delle lotte più accanite.
Nulla di strano quindi che la dottrina di Marx, la quale serve in modo diretto a educare e organizzare la classe d'avanguardia della società moderna, indica i compiti di questa classe e dimostra che, grazie allo sviluppo economico, la sostituzione dell'attuale ordinamento sociale con un ordine nuovo è cosa ineluttabile - nulla di strano che questa dottrina abbia dovuto farsi strada lottando ad ogni passo(....)
Lenin, "marxismo e revisionismo", 1908.
Il marxismo è una scienza filosofica(modello: Aristotele, Hegel): NON è una scienza naturale!
Il marxismo è una scienza "ipotetica", che tiene conto sia della teoria della deduzione di Aristotele che della teoria dell'induzione di Stuart Mill: il marxismo è quindi un modello ipotetico-deduttivo nutrito di induzioni.
Marx perviene mediante metodo ipotetico a due ipotesi:
Una -esplicita- di tipo "socioeconomico";
L'altra -implicita- di tipo "antropologico"
In base alla prima si evince che il modo di produzione capitalistico -visto sotto il punto di vista dinamico e dialettico delle sue leggi produttive- debba necessariamente produrre progressivamente un soggetto rivoluzionario inter-modale: un soggetto capace cioè non solo di ribellione ma atto a superare un modo di produzione;Ricordiamo: il lavoratore collettivo cooperativo asociato alleato con le potenze mentali della produzione capitalistica, definite da Marx come "General Intellect".
Quattro sono i concetti scientifici usati da Marx:
. Modo di produzione;
. Forze produttive sociali;
. Rapporti sociali di produzione;
. Ideologia;
Il Preve a tali categorie in una opera di ridefinizione dei confini analitici marxisti ne aggiunge un 'altra:
"Natura umana e sociale".
La prima ipotesi di Marx è un'ipotesi di tipo socio-economico: NON è dunque di tipo puramente economico e NEPPURE di tipo puramente sociologico: Marx NON fa parte della storia dell'economia politica e della storia della sociologia in quanto tali;
L'economia politica moderna nasce con Adam Smith e con Ricardo come "disciplina della produzione della ricchezza nella forma delle merci e della sua distribuzione fra i vari settori produttivi;
La sociologia moderna nasce con Auguste Comte come "disciplina della regolazione sociale mediante la conoscenza degli interessi delle varie classi".
Marx è innanzitutto adempimento di analisi e prassi al fine di "agire" un cambiamento della società mediante presupposti razionali: presupposti che provengono da uno studio degli elementi del reale agenti o agiti nella società come conseguenza di un conflitto tra classi sociali.
Se in questi pochi passi abbiamo visto come non sia possibile esautorare Marx dal marxismo, settorializzandolo ora nell'abito dell'economicismo( con tutte le sue degenerescenze: dall'operaismo alle "moltitudini"), ora nell'ambito della sociologia, possiamo ricavarne che:
1) Sono in errore coloro che intendono il marxismo come una visione sicentifica indifettibile e statica(oggettivizzata) poichè costoro (che potremmo chiamare, prendendo spunto dalla scuola pitagorica, gli "acusmatici" o esoterici) tramutano una scienza (sia pur sociale) nel suo esatto opposto, il dogma.
2)Sono in errore coloro che "giocando" sulla duttilità della "settorializzazione sociologica" sacrificano al movimentismo la radice più profonda di Marx. Radice che non è obsolescenza ma che si traduce in ultima istanza in un imperativo, un imperativo proprio a tutte le scienze: prosecuzione della ricerca e ricerca ulteriore.
La crescita del marxismo è necessaria e paragonabile a quella di un'altra qualsiasi scienza (seppure, non dimentichiamolo, sempre di scienza sociale parliamo). Prendiamo ad esempio Newton: se ci si fosse fermati alla gravità "dedotta" dalla caduta di una mela, non saremmo giunti mai alla fisica quantistica.
Coloro che negano l'esigenza di una crescita, o ritengono deformabile il suo corso in base a soggettive e superficiali interpretazioni dell'analisi, producono come conseguenza l'annicchilimento del marxismo, la sua riduzione a summa di principi più o meno moraleggianti, proiettabili in più contesti a seconda della convenienza.
Se organismi come i Carc oggi rappresentano un esempio plastico di ciò che intendiamo per "acusmatici" ed "esoterici"(distaccati dal mondo reale e del materialismo dialettico, pur essendo molte delle loro analisi valide), il vertice di Rifondazione oggi rappresenta la variante "sociologica", quella priva di una visione nitida di classe derivante da una seria analisi della attuale condizione sociale, locale ed internazionale.
Non è che le "classi" non esistono più: solo nel divenire storico queste mutano poichè non rappresentano una realtà assoluta: da "ab-solutus", "svincolate dalla realtà terrena";
Altrimenti saremmo restati fermi ai "patrizi" ed ai "plebei" di romana memoria; se la classe operaia in senso novecentesco nei paesi occidentali non esiste più, ciò non vuol dire che un nuovo e poliedrico soggetto politico di classe non vada definendosi all'orizzonte!
Quali le alternative? Assemblarlo maldestramente in un'ottica movimentistica e ricondurlo verso il contrattualismo socialdemocratico che ha fatto arenare la classe operaia?
Coltivare illusioni borghesi e puerili sulla pedissequa ripetizione dei modelli rivoluzionari novecenteschi, pur nel cuore dell'occidente imperialistico e post-industriale?
Il compagno Bertinotti pare voler lenire i drammi di un riflusso innegabile(ed inevitabile vista la "gestione" mediatica dell'evento Iraq), "aprendo" ad un centro-sinistra più alieno che mai a recepire influssi e influenze potenti da una formazione politica dalla prospettiva incerta.
In una gara automobilistica è come voler contendere il primo posto ad una vettura avendo finito la benzina, e pretendere di vincere facendosi trainare da essa!
Rinunciare al comunismo è come rinunciare a correre: inutile allora discutere sul tipo di cavo da rimorchio da utilizzare.
Attendiamo un Partito Comunista Nuovo(Rifondazione?) animato da uomini e donne, mi si passi la citazione, "di buona volontà": come fù in un giorno del 1921.
Saluti a pugno chiuso
-N-
Paddy Garcia (POL)
25-10-03, 19:50
BERTINOTTI
"Lo ammetto, il comunismo ha fallito"
di Andrea Cangini
ROMA - Bertinotti, lei è comunista?
«Sì, certo. O meglio: spero di esserlo».
Che vuol dire?«Che si tratta di un obiettivo talmente ambizioso che la volontà, da sola, non basta».
Come per il buon cristiano?
«Sì, anche il buon comunista dev'essere quotidianamente coerente con le proprie idee».
Essere comunisti senza più il comunismo pare una condizione spirituale, più che politica.
«Non direi, anche perché il comunismo non è mai diventato realtà storica...».
Troppo facile. Per i comunisti l'Unione sovietica era il comunismo. O no?
«No. Le società post-rivoluzionarie non erano comuniste. E il comunismo è stato molto di più di quel che hanno rappresentato storicamente quelle società».
Sia più chiaro.
«Voglio dire che, dall'Ottocento in poi, l'idea comunista ha mosso milioni di persone di cui il movimento operaio è stata solo una parte. E laddove il comunismo è divenuto Stato, il primo sconfitto è stato proprio il movimento operaio».
Insomma, l'Urss si è indebitamente appropriata dell'idea comunista...
«Come tutte le società post-rivoluzionarie si è definita comunista per ragioni politiche. Ma, in realtà, il comunismo non è mai stato messo in pratica».
Forse perché si tratta di un'idea irrealizzabile?
«Beh, originariamente il movimento è nato per opporsi all'oppressione...».
Di più, è nato per eliminare ogni forma di oppressione.«Concordo. E credo che le ragioni del fallimento del comunismo storico siano tre. La prima è che il movimento comunista, anziché dispiegarsi su scala mondiale, si è rinchiuso nella dimensione nazionale. La seconda sta nell'idea del primato del partito, che sacrifica il dispiegarsi di tutti i conflitti...».
E la terza?
«Una certa concezione del potere rappresentata dalla drammaticità della scorciatoia rivoluzionaria».
Ovvero?
«Ovvero l'idea che fosse possibile raggiungere il trascendimento della società attraverso la presa del potere così com'era».
Il punto, però, è che, a differenza dei cristiani, voi comunisti pensate sia possibile realizzare le vostre idee in questo mondo.
«Sì, ma vale anche per i liberali. Anche loro pensavano di poter realizzare le proprie idee e hanno fallito. La differenza è che io ammetto la sconfitta del comunismo storico, mentre loro negano quella del liberalismo».
Per il liberale Berlusconi chi, oggi, si dichiara comunista è antidemocratico.
«Persino Berlusconi dovrebbe ammettere che in Italia la democrazia e lo Stato sociale sono il frutto delle lotte di massa di cui i comunisti sono stati parte integrante».
Recentemente, lei ha allentato il rapporto con Cuba e fatto rimuovere l'immagine di Stalin dalle sezioni del suo partito...
«Infatti ci chiamiamo Rifondazione comunista e non Partito comunista. Partiamo cioè dall'idea drammatica che solo attraverso una 'rifondazione' il termine comunista può riacquistare credibilità. Il Novecento è superato, ma la caduta del Muro e l'affermazione della globalizzazione neoliberale danno alla rinnovata idea comunista una nuova chance».
La falce e il martello non sono ormai una palla al piede?
«No, i simboli non parlano il linguaggio logico della prosa. Sono simboli, parlano del mito e si rivolgono alle viscere e alla fantasia. Perché cambiarli? Perché amputare le radici?».
Il Resto del Carlino, 21 ottobre 2003
http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net
In origine postato da Paddy Garcia
BERTINOTTI
"Lo ammetto, il comunismo ha fallito"
Il punto, però, è che, a differenza dei cristiani, voi comunisti pensate sia possibile realizzare le vostre idee in questo mondo.
«Sì, ma vale anche per i liberali. Anche loro pensavano di poter realizzare le proprie idee e hanno fallito. La differenza è che io ammetto la sconfitta del comunismo storico, mentre loro negano quella del liberalismo».
non ci rimane che il cattolicesimo.... :rolleyes:
In origine postato da Paddy Garcia
BERTINOTTI
"Lo ammetto, il comunismo ha fallito"
di Andrea Cangini
Essere comunisti senza più il comunismo pare una condizione spirituale, più che politica.
«Non direi, anche perché il comunismo non è mai diventato realtà storica...».
Troppo facile. Per i comunisti l'Unione sovietica era il comunismo. O no?
«No. Le società post-rivoluzionarie non erano comuniste.».
Insomma, l'Urss si è indebitamente appropriata dell'idea comunista...
«Come tutte le società post-rivoluzionarie si è definita comunista per ragioni politiche. Ma, in realtà, il comunismo non è mai stato messo in pratica».
Di più, è nato per eliminare ogni forma di oppressione.«Concordo. E credo che le ragioni del fallimento del comunismo storico siano tre. La prima è che il movimento comunista, anziché dispiegarsi su scala mondiale, si è rinchiuso nella dimensione nazionale.
Il Resto del Carlino, 21 ottobre 2003
http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net
Ecco, siccome non è la prima volta che sento fare queste affermazioni, devo dire che mi sembra non stiano in piedi da un punto di vista logico.
Allora: A) il comunismo è una cosa bellissima, ma non è mai divenuto realtà storica, perchè i paesi in cui governavano i partiti comunisti, in verità non erano comunisti. E sia.
Mi si spieghi adesso perchè un ragionamento simile non lo può fare un capitalista:B) il capitalismo è una cosa bellissima, che può assicurare ricchezza e benessere a tutti, ma non è mai divenuto realtà storica, perchè i paesi in cui governano partiti che dicono di accettare il capitalismo, in verità non sono capitalisti.
Quanto poi al rinchiudersi nella dimensione nazionale che avrebbe impedito la realizzazione del comunismo, ormai è diventata una fissazione. Sarà che il 6 dicembre si avvicina...
Ma possibile che qualcuno si sia scordato dell' azione di stretta interazione (chiamiamola così) dei vari partiti comunisti fin dai tempi di Lenin?
In origine postato da Paddy Garcia
BERTINOTTI
"Lo ammetto, il comunismo ha fallito"
Ha fatto la scoperta del nuovo millennio, se non ce l'avesse detto lui nessuno l'avrebbe mai capito.
Grazie Fausto.
Il comunismo storico è fallito, mi sa che fallirà prima Bertinotti.
Mi spiego. Secondo me, non è fallito il comunismo come ideologia, sono falliti i tentativi di dare una svolta autoritaria al pensiero marxista e leninista, trasformando una idea di emancipazione collettiva, quindi di liberazione, in un "laccio emostatico" per i diritti civili e politici delle masse popolari dei paesi dell'Est.
Saluti
"Aggiunta alla lettera del 24 dicembre 1922
Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nel rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell'impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotski, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che può avere un'importanza decisiva."
Lenin (lettera al congresso 4/1/1923)
Se si dava retta a Lenin, magari oggi non facevamo questi discorsi!
Naturalmente l'Unione Sovietica non diventò mai un paese comunista non solo perchè a gestire l'infinita fase di transizione (durata 72 anni e poi morta con la caduta del muro) fossero stati gli uomini sbagliati, ma anche perchè in quel paese non vi erano le condizioni per passare dal feudalesimo al comunismo, sostanzialmente non vi era la classe operaia pronta a guidare il proletariato. Questa condizione necessaria, in quegli anni, a cui si deve legare inevitabilmente l'internazionalismo, non vi è stata in nessuno dei paesi autodefiniti comunisti. Non ci resta che rifondare guardando alle nuove esperienze (Chiapas, Venezuela) e l'incontro tra 7 partiti comunisti europei è un inizio
Il comunismo ha fallito per gli errori strutturali interni a questa ideologia, e non perchè a costruirlo sono stati gli uomini sbagliati nel momento sbagliato.
1) Per socializzare la produzione, tramite la statalizzazione di tutta l'economia, è inevitabile centralizzare e consegnare una quantità enorme di decisioni (sia di produzione che di consumo) ad una cerchia di persone ben definita (burocrazia).
2) Non esistendo un mercato, è impossibile che i bisogni dei singoli individui o gruppi di essi si esternino in maniera spontanea.
3) Più in generale, il comunismo è un'ideologia che presuppone una convergenza di interessi ed azioni da parte di tutti gli individui di una data società. Questo contrasta con ciò che viene usualmente chiamato il "fatto del pluralismo", cioè che gli individui di una società naturalmente tendono a dividersi e frazionarsi per interessi, valori, scopi etici comportamenti e stili di vita.
In origine postato da Claude
Il comunismo ha fallito per gli errori strutturali interni a questa ideologia, e non perchè a costruirlo sono stati gli uomini sbagliati nel momento sbagliato.
1) Per socializzare la produzione, tramite la statalizzazione di tutta l'economia, è inevitabile centralizzare e consegnare una quantità enorme di decisioni (sia di produzione che di consumo) ad una cerchia di persone ben definita (burocrazia).
2) Non esistendo un mercato, è impossibile che i bisogni dei singoli individui o gruppi di essi si esternino in maniera spontanea.
3) Più in generale, il comunismo è un'ideologia che presuppone una convergenza di interessi ed azioni da parte di tutti gli individui di una data società. Questo contrasta con ciò che viene usualmente chiamato il "fatto del pluralismo", cioè che gli individui di una società naturalmente tendono a dividersi e frazionarsi per interessi, valori, scopi etici comportamenti e stili di vita.
1) questo è il comunismo in uno stato, cioè quello fatto in URSS e che questa sia una delle ragioni del fallimento non ci sono dubbi. infatti l'internazionalismo non può prescindere se si guarda al comunismo come prospettiva di società.
2) Potresti essere più chiaro? Io penso che una scala di bisogni si può determinare sulla necessità e non per forza sulla legge domanda-afferta
3) Acuta affermazione. Ciò contrasta piuttosto con l'idea di democrazia borghese, infatti si sperimentano forme di democrazia partecipata che non vede coinvolta l'intera popolazione, ma quei soggetti che spontaneamente si sentono di partecipare ala vita pubblica. Ovviamente per discutere di questo argomento non si può che cadere nella speculazione fine a se stessa, ossia discutere dei concetti di "Potere" e di "Egemonia". Penso che i neo-marxisti, o post-comunisti, si stiano ponendo questi problemi e cerchiamo sperimentando ogni giorno di srivere un modello possibile.
Saluti
Simone
Paddy Garcia (POL)
27-10-03, 05:00
In origine postato da Claude
3) Più in generale, il comunismo è un'ideologia che presuppone una convergenza di interessi ed azioni da parte di tutti gli individui di una data società. Questo contrasta con ciò che viene usualmente chiamato il "fatto del pluralismo", cioè che gli individui di una società naturalmente tendono a dividersi e frazionarsi per interessi, valori, scopi etici comportamenti e stili di vita.
Alle prime due ti ha risposto Simone.
A parte che dire che "il comunismo è un idelogia" è una bestemmia, di questo interessante punto di discussione su individualità e comunismo, ne abbiamo discusso già, e su questo punto continuto a sostenere che la libertà più radicale espressa da Marx è la libertà di essere plurali, differenti, singolari. Più che a un popolo coeso, l''individuo sociale' di cui parlava Marx fa pensare a una un insieme diversificato.
Al contrario di quello che dici tu, il comunismo potrebbe venir inteso come una teoria matura e realistica della libertà individuale, giacché suo scopo peculiare (sempre stando a Marx) è emancipare la vita del singolo da ogni sorta di astrazioni impersonali (la merce, la religione, certo, ma anche lo Stato), valorizzando ciò che in essa vi è di unico e di irripetibile.
In questo modo bisognerebbe fare una distinzione fondamentale fra individualismo e individualità e secondo me non si può parlare genericamente di "interessi o valori" come fai tu.
L'individualismo è fare ciò che meglio ci aggrada senza pensare alle conseguenze che quello che si fa ha su gli altri.
Al contrario l'individualità è la capacità di ognuno di noi di differenziarsi dagli altri per specifiche caratteristiche.
La società capitalista esalta l'individualismo ma reprime l'individualità, ed è questa la vera società massificante che omologa al pensiero unico ogni campo della vita umana: dalla moda, alle piccole abitudini quotidiane, al modo di vestirsi, mangiare, vivere.
La determinazione storica ed il mezzo di questa omologazione è il denaro. Nella società capitalistica esso diventa "il vero spirito di tutte le cose", perché da mezzo (per vivere, per mediare bisogno e suo soddisfacimento) diviene fine, valore, espropriando e pervertendo il valore reale delle cose. Per cui una persona non è più giudicata o valorizzata per quello che è er per la sua differente individualità ma per quello che ha.
È l'illusione di colmare il limite derivante dall'individualità, attraverso il possesso e la logica dell'avere, invece di abbandonarsi all'essere, alla relazione con gli altri uomini che solo può far sperimentare la pienezza del proprio essere totale e le proprie differenze.
Scrive Marx nei Manoscritti :
"Ciò ch'è mio mediante il denaro, ciò che io posso, cioè può il denaro, ciò sono io... Le proprietà del denaro sono mie, di me suo possessore: le sue proprietà e forze essenziali. Ciò ch'io sono e posso non è, dunque, affatto determinato dalla mia individualità.
Io sono brutto, ma posso comprarmi le più belle donne. Dunque non sono brutto, ché l'effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, è annullato dal denaro... Io sono un uomo malvagio, infame, senza coscienza, senza ingegno, ma il denaro è onorato, dunque lo è anche il suo possessore... Il denaro è il più grande dei beni, dunque il suo possessore è buono... Io sono senza spirito, ma il denaro è lo spirito reale di ogni cosa... Io, che mediante il denaro posso tutto ciò che un cuore umano desidera, non posso io tutti i poteri umani?".
In un mondo veramente umano, cioè un mondo comunista, l'uomo è invece considerato come uomo e il suo rapporto con il mondo come rapporto umano, per cui si può scambiare amore solo contro amore, fiducia solo contro fiducia, ecc. Se si vuole godere dell'arte, bisogna essere un uomo colto in fatto di arte; se si vuole esercitare un'influenza su altri uomini, bisogna essere un uomo attivo realmente stimolante. Solo lo spirito può "comprare" lo spirito, non si può barattare l'avere con l'essere.
In questo senso il comunismo non vuole "tutti uguali" o reprimere le individualità. Al contrario vuole eliminare quel fattore (la differenza di classe) che invece impedisce agli uomini di esprimersi come sono realmente.
In poche parole vuole costruire una società dove tutti gli uomini abbiano la stessa ed eguale capacità per sviluppare le loro individualità, cioè le loro differenze.
P.G.
In origine postato da Paddy Garcia
Alle prime due ti ha risposto Simone.
A parte che dire che "il comunismo è un idelogia" è una bestemmia, di questo interessante punto di discussione su individualità e comunismo, ne abbiamo discusso già, e su questo punto continuto a sostenere che la libertà più radicale espressa da Marx è la libertà di essere plurali, differenti, singolari. Più che a un popolo coeso, l''individuo sociale' di cui parlava Marx fa pensare a una un insieme diversificato.
Al contrario di quello che dici tu, il comunismo potrebbe venir inteso come una teoria matura e realistica della libertà individuale, giacché suo scopo peculiare (sempre stando a Marx) è emancipare la vita del singolo da ogni sorta di astrazioni impersonali (la merce, la religione, certo, ma anche lo Stato), valorizzando ciò che in essa vi è di unico e di irripetibile.
In questo modo bisognerebbe fare una distinzione fondamentale fra individualismo e individualità e secondo me non si può parlare genericamente di "interessi o valori" come fai tu.
L'individualismo è fare ciò che meglio ci aggrada senza pensare alle conseguenze che quello che si fa ha su gli altri.
Al contrario l'individualità è la capacità di ognuno di noi di differenziarsi dagli altri per specifiche caratteristiche.
La società capitalista esalta l'individualismo ma reprime l'individualità, ed è questa la vera società massificante che omologa al pensiero unico ogni campo della vita umana: dalla moda, alle piccole abitudini quotidiane, al modo di vestirsi, mangiare, vivere.
La determinazione storica ed il mezzo di questa omologazione è il denaro. Nella società capitalistica esso diventa "il vero spirito di tutte le cose", perché da mezzo (per vivere, per mediare bisogno e suo soddisfacimento) diviene fine, valore, espropriando e pervertendo il valore reale delle cose. Per cui una persona non è più giudicata o valorizzata per quello che è er per la sua differente individualità ma per quello che ha.
È l'illusione di colmare il limite derivante dall'individualità, attraverso il possesso e la logica dell'avere, invece di abbandonarsi all'essere, alla relazione con gli altri uomini che solo può far sperimentare la pienezza del proprio essere totale e le proprie differenze.
Scrive Marx nei Manoscritti :
"Ciò ch'è mio mediante il denaro, ciò che io posso, cioè può il denaro, ciò sono io... Le proprietà del denaro sono mie, di me suo possessore: le sue proprietà e forze essenziali. Ciò ch'io sono e posso non è, dunque, affatto determinato dalla mia individualità.
Io sono brutto, ma posso comprarmi le più belle donne. Dunque non sono brutto, ché l'effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, è annullato dal denaro... Io sono un uomo malvagio, infame, senza coscienza, senza ingegno, ma il denaro è onorato, dunque lo è anche il suo possessore... Il denaro è il più grande dei beni, dunque il suo possessore è buono... Io sono senza spirito, ma il denaro è lo spirito reale di ogni cosa... Io, che mediante il denaro posso tutto ciò che un cuore umano desidera, non posso io tutti i poteri umani?".
In un mondo veramente umano, cioè un mondo comunista, l'uomo è invece considerato come uomo e il suo rapporto con il mondo come rapporto umano, per cui si può scambiare amore solo contro amore, fiducia solo contro fiducia, ecc. Se si vuole godere dell'arte, bisogna essere un uomo colto in fatto di arte; se si vuole esercitare un'influenza su altri uomini, bisogna essere un uomo attivo realmente stimolante. Solo lo spirito può "comprare" lo spirito, non si può barattare l'avere con l'essere.
In questo senso il comunismo non vuole "tutti uguali" o reprimere le individualità. Al contrario vuole eliminare quel fattore (la differenza di classe) che invece impedisce agli uomini di esprimersi come sono realmente.
In poche parole vuole costruire una società dove tutti gli uomini abbiano la stessa ed eguale capacità per sviluppare le loro individualità, cioè le loro differenze.
P.G.
Credo che l'errore fondamentale del comunismo stia proprio nel pensare che merci, religione, Stato ecc. siano delle "astrazioni impersonali" e non piutosto ciò che contraddistingue (fatte le debite proporzioni, ovviamente) l'individualità che esso stesso stesso vuol promuovere.
Inoltre, che esista un "valore reale" delle cose è opinabile. Nel senso che è vero che siamo capaci di ordinare priorità, di fare delle distinzioni, di valutare, per l'appunto, mma è difficile pensare che tale valutazione possa avere univocità, possa essere determinabile una volta per tutte, possa essere scritta nello spirito dell'uomo, e non invece derivare dagli scambi, dagli scontri tra gruppi e singoli individui.
Del resto a me non fa meno male vedere che un perfetto imbecille si "appropria" della ragazza a cui tenevo tanto solo per il fatto di essere bello.;)
Paddy Garcia (POL)
27-10-03, 18:25
In origine postato da Claude
Credo che l'errore fondamentale del comunismo stia proprio nel pensare che merci, religione, Stato ecc. siano delle "astrazioni impersonali" e non piutosto ciò che contraddistingue (fatte le debite proporzioni, ovviamente) l'individualità che esso stesso stesso vuol promuovere.
Ok di questo possiamo discutere. Però non si può negare che le impersonalità sopraelencate siano decisamente "determinazioni" storiche dell'uomo, non naturali, e difatti oggi notiamo che piano piano ce ne stiamo liberando.
Inoltre, che esista un "valore reale" delle cose è opinabile. Nel senso che è vero che siamo capaci di ordinare priorità, di fare delle distinzioni, di valutare, per l'appunto, mma è difficile pensare che tale valutazione possa avere univocità, possa essere determinabile una volta per tutte, possa essere scritta nello spirito dell'uomo, e non invece derivare dagli scambi, dagli scontri tra gruppi e singoli individui.
A non tutte le cose viene dato lo stesso valore e certi fattori tendono a alterare decisamente ciò che secondo me di naturale ci deve essere nei rapporti fra gli individui. Che ne so vai in biblioteca vedi un libro di Enrico Papi vicino a quello di Kafka. E' chiaro che Enrico Papi non è uno scrittore come lo è Kafka ma ha le possibilità di pubblicarsi e vedersi accanto a tali geni della letteratura. Oppure ancora, quanti imbianchini sarebbero diventati dei grandi pittori se solo avessero avuto la possibilità di comprarsi una tela e dei colori ed iniziare a dipingere? Come vedi l'individualità dell'uomo non ha le stesse capacità di esprimersi allo stesso livello per tutti, e il "valore" degli uomini e delle loro caratteristiche non è piu' reale, ma è un'altra cosa!
Del resto a me non fa meno male vedere che un perfetto imbecille si "appropria" della ragazza a cui tenevo tanto solo per il fatto di essere bello.;)
Magari la sua bellezza è solo l'immagine che si vuole dare al bello, non è bello *per lei*, forse rappresenta una bellezza *impersonale* dettata dai canoni della società consumistica ect! Comunque devi ammettere che peggio sarebbe un imbecille, pure butto, ma che ha la porsche :)
P.G.
In origine postato da simone73
1) questo è il comunismo in uno stato, cioè quello fatto in URSS e che questa sia una delle ragioni del fallimento non ci sono dubbi. infatti l'internazionalismo non può prescindere se si guarda al comunismo come prospettiva di società.
2) Potresti essere più chiaro? Io penso che una scala di bisogni si può determinare sulla necessità e non per forza sulla legge domanda-afferta
3) Acuta affermazione. Ciò contrasta piuttosto con l'idea di democrazia borghese, infatti si sperimentano forme di democrazia partecipata che non vede coinvolta l'intera popolazione, ma quei soggetti che spontaneamente si sentono di partecipare ala vita pubblica. Ovviamente per discutere di questo argomento non si può che cadere nella speculazione fine a se stessa, ossia discutere dei concetti di "Potere" e di "Egemonia". Penso che i neo-marxisti, o post-comunisti, si stiano ponendo questi problemi e cerchiamo sperimentando ogni giorno di srivere un modello possibile.
Saluti
Simone
Su certi bisogni possiamo essere d'accordo (bere, mangiare, stare in salute ecc.), ma quando si va oltre questo?
Come determinare cosa è giusto e utile che ognuno abbia rispetto qualcun altro, se non c'è la libertà di produrre, nei modi e nei termini che si preferisce, e dunque di disporre di certi beni e merci in maniera esclusiva ed autonoma( proprietà privata dei mezzi di prod.) (con il rispetto di certe regole fondamentali a salvaguardia della dignità del lavoratore, ovviamente)?
Mi ricordo di quella volta che assistetti ad una conferenza di un'organizzazione di estrema sinistra in cui si criticava la smania dei telefonini. Come non dar loro ragione. Questa mania degli sms, dei mms e compagnia cantante mi ha sempre infastidito.
Ma, mi domando, quanto costerebbe, in termini di libertà concreta di poter compiere scelte quotidiane, magari banali, se si regolamentasse, ( peraltro dopo estenuanti votazioni collettive, possibilmente alla ricerca dell'unanimità) l'uso dei cellulari? E come persino si potrebbe decidere che i cellulari sono utili, così, aprioristicamente, senza che la loro utilità si possa estrinsecare nel loro libero uso quotidiano?
D'altronde i comunisti hanno sempre criticato il fatto che il capitale, sempre alla ricerca di consumatori-clienti-lavoratori da sfruttare, induca in essi dei bisogni che prima non esistevano. Ma credo che questo modo di vedere le cose fraintenda, almeno in parte, i meccanismi grazie ai quali i bisogni stessi si generano:
Contingenze diverse creano bisogni diversi, e d'alltro lato, prospettive diverse sulle medesime contingenze creano allo stesso modo bisogni diversi. In realtà certi bisogni non vengono creati, ma semplicemente slatentizzati dall'offerta. Un caso è quello degli asili nido: E' stato provato da studi che l'offerta di asili nido e servizi per l'infanzia ne generi la domanda
il comunismo è antitetico alla natura umana in qualsiasi forma. Se nega la libertà lo è perchè nega un diritto inviolabile dell'uomo, e questo lo ha fatto il nazifascismo come lo stalinismo. Se la libertà non la nega, resta comunque un'utopia, nessun uomo per sua natura accetterebbe di dividere cio che ha con gli altri uomini, sarebbe la resa indviduale. Chi ha detto che le società umane prima dell'avvento dell'industrializzazione erano società mutue e solidali? ci siete stati le avete vissute? quando Hengels dice che le società preistoriche erano abbozzi di comunismo, dice minchiate. L'uomo ha sempr agito secondo i propri interessi, e quando cacciava, prima cacciava per sè e poi per la famiglia. Certo oggi che i cervelli umani sono sviluppati si potrebbe parlare di comunismo, ma resta semrpe una cosa fuori dall'immaginario umano. Se poi prendiamo parola per parola ciò che dice Marx, dovremmo accomunarci lavoro, case, famiglie e donne...che merda di società diverrebbe=?
In origine postato da Claude
Su certi bisogni possiamo essere d'accordo (bere, mangiare, stare in salute ecc.), ma quando si va oltre questo?
Come determinare cosa è giusto e utile che ognuno abbia rispetto qualcun altro, se non c'è la libertà di produrre, nei modi e nei termini che si preferisce, e dunque di disporre di certi beni e merci in maniera esclusiva ed autonoma( proprietà privata dei mezzi di prod.) (con il rispetto di certe regole fondamentali a salvaguardia della dignità del lavoratore, ovviamente)?]
Il problema del libero mercato è che tra i beni e le merci che tu elenchi ci sta anche l'uomo. Possiamo intendere la produzione capitalista in due modi: l'ingerenza nella parte tecnica del processo produttivo e la determinazione del volume della produzione stessa. Già nella prima affermazione scoppia immediatamente il conflitto tra capitale e lavoro, infatti il capitalista ha necessità di un progresso delle tecniche di produzione per aumentare capitale, mentre ogni trasformazione tecnica contrasta con gli interessi del lavoratore direttamente toccato e peggiora la sua situazione immediata deprezzando la forza di lavoro e rendendo il lavoro stesso più intensivo, monotono, penoso. Ben lungi dall'essere luddista, con questo esempio voglio affermare il concetto che solo e soltanto una in una catena produttiva collettiva il progresso tecnologico coincide con quello umano e con il miglioramento della qualità della vita dell'operaio. Questo è innegabile! Oggi però non vi è solo una conflitto tra capitale e lavoro, il capitalismo odierno crea conflitti con la natura stessa delle cose, lo testimoniano i danni irreversibili che subisce il sistema terra in nome del profitto, ad esempio si preferisce tutelare le sette sorelle ed accaparrarsi materie prime finite per la produzione energetica, piuttosto utilizzare fonti energetiche alternative (idrogeno, acqua, sole, ecc..) rispettando l'uomo e l'ambiente. Il limite più grosso della proprietà privata dei mezzi di produzione è la finitezza della vita umana, il capitalista singolo individuo pensa alla finitezza della propria vita e non ha remore nel distruggere il futuro in nome del profitto. Cosa diversa se pensiamo ad un industria i cui proprietari sono gli uomini e le donne che vi lavorano, essi hanno un interesse collettivo quondi non vi può essere nella produzione di richezza nessuno sfruttamento di se stessi o compromissione del futuro della collettività. Infine ritengo che una società comunista, ma non uno stato terzo marxista-leninista la cui produzione è nazionalizzata, sia in grado di offrire soddisfacimento ai bisogni ed alle necessità "primarie" e "secondarie" di se stessa, telefonini compresi ;)
D'altronde i comunisti hanno sempre criticato il fatto che il capitale, sempre alla ricerca di consumatori-clienti-lavoratori da sfruttare, induca in essi dei bisogni che prima non esistevano. Ma credo che questo modo di vedere le cose fraintenda, almeno in parte, i meccanismi grazie ai quali i bisogni stessi si generano:
Contingenze diverse creano bisogni diversi, e d'alltro lato, prospettive diverse sulle medesime contingenze creano allo stesso modo bisogni diversi. In realtà certi bisogni non vengono creati, ma semplicemente slatentizzati dall'offerta. Un caso è quello degli asili nido: E' stato provato da studi che l'offerta di asili nido e servizi per l'infanzia ne generi la domanda
L'asilo nido è un esempio infelice perchè è oggettivamente utile, il capitalismo lo crea per fare profitto è questo è mortificante, ma sul caso specifico Vygotskij e la scuola psicopedagocica sovietica degli anni trenta aveva speimentato strumenti di assistenza ed educazione all'infanzia, che l'occidente scoprì solo negli anni 60-70, proprio perchè non si face un offerta tesa al profitto, ma una risposta in base ad una necessità. Ma ovviamente Vygotskij fu uno dei purgati di stalin!
Cmq per intenderci Rifondazione Comunista non è un partito marxista-leninista ed i nostri propositi sono quelli di rifondare il pensiero comunista, senza perdere l'immenso patrimonio teorico da marx ai giorni nostri, si cerca utilizzando il metodo dialettico di scrivere e vivere una società antropocentrica, non vi può essere comunismo senza umanesimo.
Saluti
Simone
il comunismo è antitetico alla natura umana in qualsiasi forma.
Dimostra l'antiteticità del pensiero marxista alla natura umana e poi ne parliamo......senza parlare dell'unione sovietica
nessun uomo per sua natura accetterebbe di dividere cio che ha con gli altri uomini, sarebbe la resa indviduale.
Ma cosa si dovrebbe dividere????? Sentito mai parlare di conflitto capitale lavoro, collettivizzazione dei mezzi di produzione, ecc....
Chi ha detto che le società umane prima dell'avvento dell'industrializzazione erano società mutue e solidali? ci siete stati le avete vissute? quando Hengels dice che le società preistoriche erano abbozzi di comunismo, dice minchiate.
Intanto Engels si scrive senza H. Il comunismo è una dottrina che vede la storia in divenire materiale, sulla natura umana si può speculare, anche se rimangono due le visioni più interessanti quella di Hobbes e quella di Rousseau. Cmq studia antropologia. Perchè hai detto una cazzata, in antropologia esistono esempi di società diciamo comunitaria ed esempi di altre civiltà, diciamo individualiste.
L'uomo ha sempr agito secondo i propri interessi, e quando cacciava, prima cacciava per sè e poi per la famiglia.
In effetti anche Berlusconi segue questo principio.
Se poi prendiamo parola per parola ciò che dice Marx, dovremmo accomunarci lavoro, case, famiglie e donne...che merda di società diverrebbe=?
eheheheheheheh DIO SANTO MA ESISTE ANCORA GENTE COSI' ...... cresci pischelletto
andate a leurà va...
siete voi che non avete compreso una mazza...
marx voglio ricordarvi che era un CAPO fabbrica e anche il suo amico enghels quindi la coerenza.. ma
Paddy Garcia (POL)
18-12-03, 05:14
Manifesto di Prodi/2. Bertinotti: un progetto bipolarista
di Simone Collini
ROMA - Due cose non convincono Fausto Bertinotti dello scenario che si è aperto con la proposta della lista unitaria per le europee e l’arrivo del manifesto programmatico di Romano Prodi: «l’idea di una spinta ulteriore, in Italia e in Europa, verso un sistema bipolare» e «la logica dei due tempi nella costruzione del programma, che prevede cioè prima la discussione tra le forze riformiste e poi la definizione di un programma di tutte le opposizioni». Perché per il segretario di Rifondazione comunista, «l’esigenza primaria, oggi, è quella di favorire una convergenza di tutte le forze di opposizione».
Onorevole Bertinotti, come giudica il “contributo” di Prodi per le europee?
«È l’attualizzazione di quanto sostenuto da Prodi in questi mesi ed è del tutto legittima, anche se una parte dell’Ulivo ha già detto che non ci sta a far parte del progetto. Quello che non mi convince è l’involucro politico dentro cui Prodi contiene la sua proposta, perché si tratta di una spinta ulteriore verso il bipolarismo, in Italia e in Europa. Il bipolarismo costituisce un forte impoverimento della democrazia e del pluralismo. Riduce la contesa politica dentro un regime di alternanza tra due schieramenti che rischiano di schiacciarsi al centro, come accade nei paesi anglosassoni. In tutta l’Europa continentale, invece, i processi vanno in direzione del tutto diversa, di piena valorizzazione del pluralismo. Inoltre sta prendendo corpo una sinistra radicale o alternativa, come la si voglia chiamare, che pur attraverso forze politiche diverse, esprime una realtà che la nascita dei movimenti ha in qualche modo sottolineato».
Questo per quanto riguarda il contenitore. E per il contenuto?
Come giudica il manifesto programmatico di Prodi?
«Premesso che non l’ho letto tutto, bisogna innanzitutto capire se è un contributo per il programma dell’Ulivo o per quello delle opposizioni, perché naturalmente sono due cose molto diverse tra di loro. Se il punto di riferimento è il programma dell’Ulivo, non ho che un titolo di commentatore esterno per parlarne, seppure interessato come possibile contraente di un’alleanza per battere Berlusconi. Se invece il presidente della Commissione intende parlare in vista di un programma delle opposizioni - come oggi secondo me sarebbe esigenza primaria in Italia - di come costruire una convergenza di tutte le forze di opposizione, allora in questa discussione devono essere attratte tutte le forze dell’opposizione».
Programma dell’Ulivo e programma delle opposizioni: secondo lei le due cose possono essere consequenziali o devono procedere parallelamente?
«È sbagliata la logica dei due tempi, cioè prima il tempo della discussione tra le forze che sono riformiste (usiamo questa accezione) per poi costruire il programma di tutta l’opposizione. Non può esserci un prima e un dopo. Questo modo di procedere può essere persino pericoloso, perché rischia di irrigidire tutte le posizioni e di far arrivare, invece che a una convergenza, a una contrattazione».
Rifondazione comunista è pronta a dare il suo contributo per la definizione di questo programma?
«Lo stiamo facendo già, il quesito non si pone. Abbiamo costruito dei gruppi di lavoro di tutte le opposizioni sulla questione del lavoro, dell’ambiente, della democrazia e delle riforme costituzionali. Ovviamente siamo ai preliminari, ma il lavoro è cominciato. È precisamente questo l’orizzonte che è richiesto. Anzi, chiederei a Prodi se pensa che questo lavoro di definizione di una convergenza di tutte le opposizioni costituisca oggi il primo punto dell’agenda politica oppure no. Io penso di sì. Il che non vuol dire che forze tra loro omogenee non si possano impegnare in un percorso anche autonomo».
Un dialogo tra Ulivo e Rifondazione è possibile anche sul progetto per l’Europa di Prodi?
«Il dialogo, in ogni caso, è possibile e necessario non per ciò che è scritto in una proposta, ma perché abbiamo il compito di battere Berlusconi. C’è il problema di costruire un’alternativa a questo governo, che rischia di produrre dei danni irreversibili al Paese. Di fronte al declino e alla crisi sociale, ci siamo posti il problema di partecipare alla caduta del governo Berlusconi e quindi di contribuire a dare maggiore efficacia e radicalità alla lotta delle opposizioni - che già erano impegnate insieme sul terreno della Gasparri, contro il condono edilizio, sulla vicenda delle pensioni - lavorando insieme alla costruzione di un’alternativa di governo».
C’è già chi parla di lei come possibile ministro del futuro governo di centrosinistra...
«Personalmente la cosa non mi riguarda. Secondariamente trovo la discussione grottesca, perché parlare della composizione del governo è un elemento davvero fuorviante».
Cossutta dice che lei ha tutto il diritto di diventare ministro, basta che mantenga fino in fondo l’impegno preso con l’Ulivo.
«Non ho nessuna ragione per rispondere a Cossutta».
Paddy Garcia (POL)
02-01-04, 16:08
«Su questi industriali
indaghi il Parlamento»
L'intervista tratta dal Corriere della sera all'interno di un'inchiesta sul capitalismo italiano
Fausto Bertinotti sembrava voler cambiar pelle. L'elogio della non violenza, la critica a ogni forma di potere, il convegno sulle foibe. Ma ora, come una scintilla di marxismo ortodosso che covava sotto la cenere, arriva questa proposta di una commissione d'inchiesta sul capitalismo. Un'idea che fa venire in mente un tribunale bolscevico. Il segretario di Rifondazione comunista vuole processare gli industriali che sfruttano e affamano i lavoratori? «Va intanto chiarito che tutta la nostra azione tende a dare attualità al termine comunismo. Vogliamo rimettere al centro della politica il tema classico della trasformazione della società capitalista. E per far questo dobbiamo liberarci dalla palla di piombo che abbiamo al piede. Dobbiamo fare, dolorosamente, i conti con la nostra storia di comunisti, non per chiudere, ma per discernere ciò che è vivo da ciò che è morto e dotarci del bagaglio per una nuova sfida».
Continua a pensare realizzabile il comunismo e ineluttabile il crollo del capitalismo?
Credo che il comunismo sia una possibilità. Non credo nel determinismo della sua realizzazione. E' una possibilità, ma anche una necessità. Per dirla con il movimento dei movimenti, che sta diventando la levatrice di un nuovo conflitto di classe, un altro mondo è possibile. Questo capitalismo ha smarrito la sua spinta propulsiva. E' solo apparentemente portatore di una modernizzazione, mentre in realtà produce crisi e instabilità, sulle quali si edificano la guerra e il terrorismo.
E lei vuole una commissione parlamentare per dimostrare questo?
Certamente no. Il discorso che sto facendo ha una dimensione mondiale, con un processo lungo e aperto che non ha nulla a che vedere con la presa del Palazzo d'Inverno.
Niente tribunale bolscevico, quindi. Ma allora che cosa deve fare la commissione?
Studiare la crisi del capitalismo italiano. Non possiamo continuare a galleggiare su un transatlantico che va a fondo.
Chi dovrebbe essere interessato a una proposta del genere?
C'è una larga parte della cultura borghese che pensa che l'Italia, e l'Europa, rischia una marginalizzazione. Io mi tengo l'idea che questo capitalismo non è riformabile, ma chi ritiene che lo sia dovrebbe essere interessato a questa sfida.
Ma lei mette sotto accusa il sistema o le persone? Il capitalismo o i capitalisti?
Nel modo di produzione capitalistico possono esserci molte e diverse costruzioni sociali, politiche ed economiche. Il capitalismo keynesiano è diverso da quello liberista. Quello europeo del Dopoguerra è diverso da quello americano ed entrambi sono diversi da quello giapponese.
Ha nostalgia per il capitalismo della ricostruzione e del boom economico?
No, perché so di quante lacrime e sangue sono state inondate le lotte degli operai, dei braccianti, delle classi subalterne. Ma nessuno può negare che ci siano stati momenti alti dal punto di vista della progettualità. Bisogna mettere l'accento sulla capacità di guadagnare nuove frontiere. Nel dibattito interno al Pci era sbagliata l'idea di Giorgio Amendola che quello italiano fosse un capitalismo straccione. Il capitalismo degli Anni '60, quello della produzione di serie per il consumismo di massa, era criticabile sul terreno del modello sociale, ma aveva una capacità di produrre crescita e sviluppo.
E quello attuale?
Produce solo instabilità. E l'Italia ha una sua connotazione particolarmente negativa. E' un Paese in declino, come e più dell'Europa. Dov'è la ricerca strategica? Dov'è la capacità di innovazione? Dov'è un progetto di sviluppo e di politica industriale? Sono domande interne allo sviluppo capitalistico. Non chiedo un'inchiesta sui mali del capitalismo nel mondo, sarebbe grottesco. Sto chiedendo di indagare sullo stato economico del nostro Paese.
Ma qual è la rottura tra vecchio e nuovo capitalismo?
Sono molti i punti di rottura, come ammettono anche molti osservatori di parte borghese. Ci sono i casi patologici, tipo Enron, Cirio o Parmalat. E c'è l'assenza di un efficace sistema di controlli. Ma il fatto è che questo processo finanziario che ha accompagnato la globalizzazione ha determinato l'attesa di guadagni giganteschi realizzabili instantaneamente. Lo stesso processo produttivo è diventato servile di un tale fenomeno. Ma quando la rendita prende il sopravvento si determinano crepe nelle quali si può precipitare.
Dal paradiso fiscale all'inferno della bancarotta…
Certo. E all'effetto di instabilità contribuiscono le stock option, le azioni riservate ai manager, pagati iperbolicamente proprio perché a rischio. In Italia si è pensato che il capitalismo potesse essere indifferente alla morte delle partecipazioni statali e all'uscita di scena delle grandi imprese. Contando su una rete di piccole e medie aziende spinte a competere per la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto, con una accentuazione parossistica della flessibilità e del precariato e con il lavoro nero a funzionare da ulteriore polmone. Ma l'idea che il ventre molle di salari e diritti sia comprimibile all'infinito si sta rivelando sempre più sbagliata. E, allora, vogliamo discutere di un nuovo modello di sviluppo?
Per far questo vuole portare tutti gli imprenditori italiani, Berlusconi compreso, davanti a una commissione d'inchiesta?
La commissione dovrebbe discutere per un anno, sentendo esperti di valore e consultando studi, analisi, dati. E interrogando i protagonisti, sia chi comanda sia chi ubbidisce. Una grande riflessione sullo stato dell'economia e delle classi dirigenti. Il capitalismo straccione non è quello di cui parlava Amendola, ma quello che oggi ci sta portando allo sfacelo.
Marco Cianca
(dal Corriere della sera
del 31 dicembre 2003)
Paddy Garcia (POL)
10-01-04, 14:02
10.01.2004
"La Sinistra europea sarà sempre comunista"
ROMA «Faremo del rapporto con il Movimento l’elemento fondativo di una nuova forza politica sovranazionale». No-global, movimento altromondista, popolo di Seattle o di Porto Alegre, quale che sia la definizione è di questo che Fausto Bertinotti parla quando dice «Movimento». Il segretario di Rifondazione comunista sarà oggi e domani a Berlino, dove insieme ai segretari di altri sette partiti della sinistra europea, firmerà l’atto di nascita di un nuovo partito transnazionale. Il nome sarà semplicemente «Sinistra europea» e, spiega il leader del Prc, «si baserà su due discriminanti proprie del Movimento: il rifiuto della guerra e il rifiuto delle politiche neoliberiste».
Onorevole Bertinotti, chi farà parte di questo nuovo partito?
«Forze della sinistra alternativa europee».
Una sorta di nuova Internazionale?
«No, perché avvieremo un processo sperimentale diverso, non fondato sul ruolo guida di uno Stato o di un partito e non costruito sulla base di un’omogeneità ideologica. E comunque faranno parte della Sinistra europea partiti comunisti, ma anche partiti non comunisti».
C’è all’orizzonte una ridefinizione del vostro partito e magari anche l’abbandono del termine “comunista”?
«Quello che faremo a Berlino è un passo interno a un processo che ha un prima e un dopo, ma non c’entra nulla con l’abbandono del nome comunista. L’operazione che avviamo può costituire un’indicazione di metodo, ma il termine comunista va mantenuto. E non per guardare al passato, per pura fedeltà alla storia, ma per costruire il futuro. Perché non riesco a trovare un termine più efficace e significativo di comunismo per indicare un sistema alternativo a quello del capitalismo».
Rimane il nome, ma c’è la ridefinizione del partito...
«C’è la ridefinizione di una nuova identità comunista, che si costruisce attorno a un tema cruciale: la non-violenza».
Quale sarebbe il rapporto tra comunismo e non-violenza.
«Di fronte al capitalismo, alla guerra e al terrorismo, la non-violenza è l’unico modo possibile per attualizzare il comunismo. Quindi non-violenza e comunismo sono oggi indissolubilmente legati».
Un elemento di discontinuità che fa discutere al vostro interno.
«Ci sono dei contrasti, ma questo indica la vitalità della proposta. Siamo comunque di fronte a una innovazione profonda che va nel senso della radicalità».
Una radicalità che si discosta da certe forze storicamente conosciute della vostra tradizione.
«Lo riconosco. Ma sono anche convinto che questo è un modo di uscire da sinistra dalla crisi della storia del movimento operaio».
L’operazione che si avvia a Berlino viene criticata da una parte del suo partito. L’area dell’Ernesto parla di «fuga leaderistica in avanti» e dice che Rifondazione non ha ufficialmente deciso niente su questa iniziativa.
«A Berlino si compie un atto politico fondativo che verrà sottoposto al giudizio dei singoli partiti. I segretari firmeranno un atto che prospetta la nascita del partito della Sinistra europea, ma tutti i partiti passeranno poi a una discussione al loro interno per verificare se esiste un consenso».
Il Partito comunista francese farà un referendum tra gli iscritti, Rifondazione?
«Discuteremo dell’operazione nel corso della Direzione convocata per il 28 di questo mese e poi al al Comitato politico nazionale del 6 e 7 marzo si voterà l’adesione alla Sinistra europea».
Da dove nasce l’idea di dar vita a un partito europeo?
«Dalla convinzione condivisa che l’Europa oggi non esiste come soggetto politico presente sulla scena mondiale».
Che vuole dire?
«Che l’Europa è totalmente inadeguata a governare un mondo sovrastato dalla guerra e dal terrorismo».
Perché, secondo lei?
«Perché ha smarrito l’idea di sé come civiltà e come modello di politica sociale. Si è come americanizzata».
La sinistra potrebbe ripiegare sugli Stati nazionali.
«E invece noi pensiamo alla costruzione di un’altra Europa: dei popoli, della partecipazione, della pace».
Rifondazione e le altre forze che daranno vita alla Sinistra europea continueranno a sedere a Strasburgo nel Gruppo della sinistra unitaria europea o costituiranno un nuovo gruppo parlamentare?
«Non abbandoneremo il Gue, anche se è vero che la Sinistra europea nasce come nucleo fondativo di una forza che guarda a uno spazio ampio, che è quello del Gue, ma che è più ampio ancora, perché comprende forze della sinistra alternativa che oggi non fanno parte del Gue ma che sono interessate alla nostra operazione».
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